tar lazio roma - sezione i - sentenza 3/4/2018 n. 3675 pres. … · 2018. 4. 9. · tar lazio roma...
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TAR LAZIO ROMA - SEZIONE I - Sentenza 3/4/2018 n. 3675
Pres. Volpe, est. Correale
Decisum: sulla legittimità del provvedimento di scioglimento di un Comune per
infiltrazioni mafiose.
1. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose
– Natura preventiva e non sanzionatoria – Conseguenze – Può basarsi su elementi
“indizianti”.
2. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose
– Ampia discrezionalità dell’Amministrazione in sede di valutazione dei fenomeni
indizianti – Conseguenza – Carattere estrinseco del controllo di legittimità dei
provvedimenti.
3. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose
– Deve basarsi su elementi concreti, univoci e rilevanti – Ipotesi.
4. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose
– Valutazione degli elementi a base del provvedimento di scioglimento – Valutazione
globale e non “atomistica” -
5. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose
– Presupposta istruttoria prefettizia – Ipotesi.
6. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose
– Valutazione delle eventuali azioni di contrasto alla comunità organizzata – Non rileva
ai fini dell’adozione del provvedimento di scioglimento.
7. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose
– Valutazione dei rapporti di parentela tra componenti dell’Amministrazione e esponenti
della criminalità organizzata – Incidenza – Ipotesi.
8. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose
– Può riguardare anche la sola attività degli apparati burocratici – Ipotesi.
9. Comuni e Province – Art. 143 D.lgs. 267/2000 – Scioglimento per infilitrazioni mafiose
– Può essere adottato anche nel caso di inadeguatezza dei controlli del vertice politico
nei confronti della burocrazia e dei gestori dei pubblici servizi del Comune.
1. Lo scioglimento del Consiglio comunale come disciplinato dall’art. 143 del D.lgs. 267/2000 per
infiltrazioni mafiose non ha natura di provvedimento di tipo “sanzionatorio” ma preventivo, per la cui
legittimazione è sufficiente la presenza di elementi “indizianti”, che consentano d'individuare la
sussistenza di un rapporto inquinante tra l'organizzazione mafiosa e gli amministratori dell'ente
considerato infiltrato. (1)
2. In ordine ai provvedimento di scioglimento di un Consiglio Comunale, stante l’ampia sfera di
discrezionalità di cui l'Amministrazione dispone in sede di valutazione dei fenomeni connessi
all'ordine pubblico, ed in particolare alla minaccia rappresentata dal radicamento sul territorio delle
organizzazioni mafiose, il controllo sulla legittimità dei provvedimenti adottati si caratterizza come
“estrinseco”, nei limiti del vizio di eccesso di potere quanto all’adeguatezza dell’istruttoria, alla
ragionevolezza del momento valutativo, nonché alla congruità e proporzionalità rispetto al fine
perseguito.
3. Ai fini dell’adozione del provvedimento di scioglimento di un consiglio Comunale l’art. 143 del
d.lgs. n. 267/2000, al comma 1 richiede che la situazione di condizionamento dell’ente locale da
parte della criminalità sia resa evidente da elementi “concreti, univoci e rilevanti”, che assumano
valenza tale da determinare “un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli
organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle
amministrazioni comunali e provinciali”. Ne discende che gli elementi sintomatici del
condizionamento criminale devono caratterizzarsi per “concretezza”, in quanto assistiti da un
obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; per “univocità”, intesa quale loro
chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; per “rilevanza”, che si
caratterizza per l'idoneità all'effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell'ente
locale.
4. Le vicende che costituiscono il presupposto del provvedimento di scioglimento di un consiglio
comunale devono essere considerate nel loro insieme, e non atomisticamente, e risultare idonee a
delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento mafioso:
ne consegue che possono assumere rilievo situazioni non traducibili in episodici addebiti personali
ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati
dell'esperienza, l'ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata
(vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni), e ciò anche quando il
valore indiziario degli elementi raccolti non è sufficiente per l'avvio dell'azione penale o per l'adozione
di misure individuali di prevenzione.
5. Deve ritenersi legittimo il provvedimento di scioglimento di un Comune per infiltrazioni mafiose
ex art. 143 D.lgs. 267/2000 laddove la presupposta relazione del Ministero dell’Interno al Presidente
della Repubblica abbia posto in evidenza la continuità sostanziale nella gestione dell’Ente, il ruolo
attivo delle organizzazioni criminali sia in fase di composizione delle liste elettorali sia in fase di
festeggiamento per l’elezione del sindaco, la situazione di “stallo” nell’evoluzione urbanistica,
contraddistinta dall’attuale vigenza ancora del P.R.G. adottato nel 1978, che lasciava ampio margine
di discrezionalità all’amministrazione nel rilasciare titoli edilizi, le procedure di affidamento
concernenti il P.I.P., non trasparenti, irregolari e con beneficiari soggetti collusi, l’affidamento della
gestione in via diretta e gratuita del campo sportivo a società il cui rappresentante legale è fratello
di un esponente del “clan” egemone sul territorio, le modalità di gestione del servizio di tesoreria
comunale, l’ingerenza della compagine politica, con ingiustificati avvicendamenti, sulla struttura
burocratica, a sua volta spesso permeabile alle infiltrazioni clientelari, la carenza di strumenti
regolamentari in diversi settori, anche strategici, con conseguente alta discrezionalità dell’apparato
burocratico e incremento delle interferenze esterne, la constatazione di un alto ammanco di cassa,
per il quale non risultavano alcuna denuncia all’A.G. o iniziative di recupero e l’omissione di controlli
e verifiche, che procuravano gravi danni al bilancio.
6. Ai fini della legittimità del provvedimento di scioglimento di un Consiglio Comunale per infiltrazioni
mafiose, l’omessa valutazione delle azioni di contrasto alla criminalità organizzata e delle altre azioni
messe in atto dall’Amministrazione per risollevare la gestione del Comune non assume rilevanza,
atteso che oggetto dell’istruttoria dell’organo ispettivo è la dimostrazione del rischio di
condizionamento dell’Amministrazione da parte della criminalità organizzata senza che a tale
dimostrazione si accompagni un bilanciamento tra le circostanze favorevoli e quelle non favorevoli,
alla stregua di quanto avviene nel procedimento penale: ciò in ragione del fatto che l'azione
amministrativa deve sempre essere ispirata ai principi di legalità e di buon andamento ed è, in quanto
tale, attività doverosa che in nessun caso può essere invocata come esimente di condotte parallele
che a tali principi non sono conformi. (2)
7. Deve ritenersi legittimo il provvedimento di scioglimento di un Consiglio Comunale per infiltrazioni
mafiose laddove l’istruttoria alla base del provvedimento abbia tenuto conto dei rapporti di parentela
tra componenti dell’Amministrazione ed esponenti di un clan locale, evidenziando tali rapporti non
“in quanto tali” ma in un quadro di insieme sufficiente ad individuare una continuità sostanziale delle
Amministrazioni succedutesi nel tempo, non essendo dirimente la circostanza che la compagine
eletta nel 2010 si sia divisa e si sia presentata su fronti contrapposti alle elezioni del 2015 dato che
è la “sostanza” della presenza costante degli amministratori, quali soggetti che hanno esposto il
Comune a permeabilità alla criminalità organizzata, a sostenere il “quadro” di influenza individuato
e non la “veste politica” con cui gli stessi si sono presentati nelle diverse tornate elettorali.
8. Fermo restando che ai sensi dell’art. 143 TUEL lo scioglimento di un Consiglio Comunale per
infiltrazioni mafiose può essere disposto anche laddove la permeabilità e il condizionamento
riguardino i soli apparati burocratici dell’Ente, è stato ritenuto in giurisprudenza che sebbene l’assetto
organizzativo dell’ente locale assegni ai dirigenti compiti di amministrazione attiva, decisionali e di
responsabilità, da esercitarsi in autonomia rispetto agli organi elettivi, nondimeno non rende tali
ultimi organi estranei al ripetersi di irregolarità ed illeciti di gestione, restando fermi in capo a
quest’ultimi i compiti di indirizzo e, segnatamente, di controllo “politico-amministrativo”, che se non
va esercitato partitamente per ogni singola determinazione provvedimentale, deve investire
trasversalmente l’operato dei funzionari con qualifiche dirigenziali. (3)
9. Lo scioglimento di un Consiglio Comunale ex art. 143 del D.lgs. 267/2000, in virtù della natura
“non sanzionatoria” che lo contraddistingue, è legittimo sia qualora sia riscontrato il coinvolgimento
diretto degli organi di vertice politico-amministrativo sia anche, più semplicemente, per
l’inadeguatezza dello stesso vertice politico-amministrativo a svolgere i propri compiti di vigilanza e
di verifica nei confronti della burocrazia e dei gestori di pubblici servizi del Comune, che impongono
l'esigenza di intervenire ed apprestare tutte le misure e le risorse necessarie per una effettiva e
sostanziale cura e difesa dell'interesse pubblico dalla compromissione derivante da ingerenze
estranee riconducibili all'influenza ed all'ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzata.
(4)
(1) cfr. Cons. Stato, Sez. III, 10/1/2018 n. 96; Cons. Stato, Sez. III, 2/10/2017 n. 4578; Cons. Stato,
Sez. III, 25/1/2016 n. 256; Cons. Stato, Sez. III, 26/9/2014 n. 4845; Cons. Stato, Sez. III, 28/5/2013
n. 2895; TAR Lazio, Sez. I, 22/1/2018, n. 816; Cons. Stato, Sez. III, 15/3/2016 n. 1038.
(2) cfr. TAR Lazio, Sez. I, 16/10/17, n. 10361.
(3) cfr. Cons. Stato, Sez. III, 25/1/16, n. 256.
(4) cfr. TAR Lazio, Sez. I, 28/8/15, n. 10899; Cons. Stato, Sez. III, 6/3/12, n. 1266.
Pubblicato il 03/04/2018
N. 03675/2018 REG.PROV.COLL.
N. 03559/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3559 del 2017, proposto da:
-OMISSIS-to, rappresentati e difesi dall'avvocato Giuseppe Romano, con domicilio
eletto presso lo studio dell’avv. Angelo Caliendo in Roma, via Cagliari,14;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Interno, Prefettura - Ufficio
Territoriale del Governo di Napoli, in persona dei legali rappresentanti p.t.,
rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui
domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;
-OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per l'annullamento, previa sospensiva dell’esecuzione,
a) del decreto del Presidente della Repubblica 24.1.2017, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 37 del 14.02.2017, notificato il 17/02/2017, registrato alla Corte dei
Conti il 31/01/2017 relativo allo scioglimento del -OMISSIS-, per la durata di 18
mesi, ai sensi dell’art. 143 del D.lgs. 267/00 ed alla nomina della Commissione
Straordinaria per la gestione dell’ente, nonché di ogni altro atto presupposto,
collegato e connesso;
b) della deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata in data 20/01/2017,
richiamata nel provvedimento impugnato;
c) della relazione del Ministro dell’Interno del 19/01/17 contenente la proposta di
scioglimento del Consiglio Comunale del -OMISSIS-;
d) della relazione dell’U.T.G. Prefettura di Napoli richiamata;
e) della relazione conclusiva della Commissione di Accesso, nominata con Decreto
del Prefetto di Napoli del 29/3/2016, di data e numero che si ignorano;
f) del Decreto del Prefetto di Napoli del 29/3/2016 con il quale è stata nominata la
Commissione di Accesso presso il -OMISSIS-;
g) di ogni altro atto preordinato, connesso e conseguenziale, ivi compresi i verbali e
le eventuali ulteriori relazioni della Commissione di accesso, comunque lesivi degli
interessi dei ricorrenti, non conosciuti perché mai comunicati;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del
Ministero dell'Interno e della Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Napoli,
con la relativa documentazione;
Vista l’ordinanza di questa Sezione n. 6214/2017 del 25.5.2017;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 28 febbraio 2018 il dott. Ivo Correale e uditi per
le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con rituale ricorso a questo Tribunale, i signori in epigrafe, quali sindaco e consiglieri
comunali “di maggioranza” del -OMISSIS-, eletti in seguito alla tornata elettorale
del 31 maggio 2015, chiedevano l’annullamento, previa sospensione, dei
provvedimenti, pure in epigrafe indicati, concernenti il disposto scioglimento del
consiglio comunale ai sensi dell’art. 143 d.lgs. n. 267/2000 (TUEL).
I ricorrenti, facendo riferimento alla relazione prefettizia e a quella della
Commissione d’accesso – di cui era chiesto comunque il deposito in forma integrale
– fornivano la propria ricostruzione sui profili principali esaminati in detti atti,
riguardanti il quadro politico, la distinzione tra le coalizioni elettorali del 2015, le
procedure selettive di tecnici esterni, gli amministratori, l’attività professionale del
ricorrente-OMISSIS-e le pratiche edilizie richiamate, le parentele e affinità con
esponenti della malavita locale, l’apparato burocratico, le parentele dei dipendenti,
le attività dell’ente, l’impianto sportivo, le manifestazioni relative alla “-OMISSIS-”,
il servizio di tesoreria comunale, il PIP e la pianificazione urbanistica.
Premesso quanto sopra, quindi, i ricorrenti lamentavano, in sintesi, quanto segue.
“I. Violazione e falsa applicazione dell’art. 143 d.lgs. n. 267/2000; eccesso di potere in tutte le
sue figure sintomatiche ed in particolare sviamento, irragionevolezza, illogicità, difetto di istruttoria,
travisamento dei fatti”.
Non sussistevano i presupposti di cui all’art. 143 TUEL per disporre lo scioglimento
in questione, dato che gli atti impugnati non erano dotati di sufficiente apporto
istruttorio né erano sostenuti dalla veridicità dei fatti posti a fondamento della
decisione o da una giustificazione motivazionale logica, coerente e ragionevole,
fondata su elementi concreti, univoci e rilevanti, come individuati dalla
giurisprudenza che era richiamata.
“II. Violazione e falsa applicazione dell’art. 143 d.lgs. n. 267/2000; eccesso di potere in tutte le
sue figure sintomatiche ed in particolare sviamento, irragionevolezza, illogicità, difetto di istruttoria,
travisamento dei fatti”.
La compagine amministrativa eletta aveva alacremente lavorato per risollevare il
Comune dalla grave situazione in cui versava al momento delle elezioni, anche sotto
il profilo amministrativo-contabile, gestionale, urbanistico e della sicurezza, così che
il disposto scioglimento appariva una misura illogica, assolutamente punitiva.
“III. Difetto di istruttoria; Violazione e falsa applicazione dell’art. 143 d.lgs. n. 267/2000;
eccesso di potere – Sviamento, irragionevolezza, illogicità, difetto di istruttoria, travisamento dei
fatti”.
La ricostruzione delle relazioni contestate era parziale, distorta e priva di assoluta
certezza, senza indagini ad ampio raggio sulla sussistenza di rapporti tra
amministratori e la malavita organizzata, che presentassero un serio grado di
significatività, e senza considerare i fatti in un prospetto ampio e logico-giuridico,
come previsto dalla giurisprudenza richiamata.
“IV. Violazione e falsa applicazione dell’art. 143 d.lgs. n. 267/2000; eccesso di potere per
inadeguatezza della motivazione, per sua perplessità costitutiva, per travisamento dei fatti, per
errata presupposizione”.
Risultava ultroneo l’assunto per il quale l’amministrazione comunale disciolta si
sarebbe segnalata per l’uso distorto della “cosa pubblica” a favore di esponenti della
criminalità organizzata locale, non potendo rilevare allo scopo meri rapporti di
parentela con alcuni di loro, come individuati.
“V. Inesistenza di irregolarità nell’esercizio dell’attività amministrativa – Difetto dei requisiti
della univocità e rilevanza ed assenza del nesso di causalità tra le asserite ingerenze ed il regolare
funzionamento dell’Ente. Violazione e falsa applicazione di legge e dell’art. 143 TUEL.
Manifesta illogicità e difetto di istruttoria dei provvedimenti gravati. Violazione dell’art. 3 della l.
241/90 e s.m.i.; difetto di istruttoria e carenza di motivazione”.
La relazione prefettizia faceva riferimento a presunte irregolarità di vario genere ma
risultava contraddistinta da numerosi “omissis” che non facevano comprendere il
quadro fattuale di riferimento, con conseguente carenza di motivazione.
“VI. Violazione e falsa applicazione dell’art. 143 d.lgs. n. 267/2000 – Violazione del principio
di proporzionalità”.
Mancavano riscontri logici e giuridici a sostegno dei singoli addebiti mossi nei
confronti dei ricorrenti.
Si costituivano in giudizio le amministrazioni in epigrafe, chiedendo la reiezione del
ricorso.
Con l’ordinanza collegiale adottata all’esito della camera di consiglio, era intimato
all’Amministrazione il deposito della documentazione ivi indicata, in forma integrale
e senza “omissis”, ed era fissata l’udienza di trattazione del merito, ex art. 55, comma
10, c.p.a.
Ottemperata tale ordinanza e in prossimità della udienza pubblica fissata per la
discussione del ricorso, le parti depositavano memorie e ulteriore documentazione
a sostegno delle rispettive tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 28 febbraio 2018 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio ritiene opportuno precisare, “in limine”, lo stato della giurisprudenza in
ordine ai presupposti legittimanti l’adozione di un provvedimento di scioglimento
ex art. 143 TUEL.
Può a tale proposito farsi riferimento, tra le più recenti, alla sentenza del Consiglio
di Stato, Sez. III, 10.1.2018 n. 96 (ma anche: Sez. III, 2.10.2017 n. 4578; 25.1.2016
n. 256; 26.9.2014 n. 4845; 28.5.2013, n. 2895), che ha ribadito, in sintesi, i seguenti
profili:
a) lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose non ha natura di
provvedimento di tipo “sanzionatorio” ma preventivo, per la cui legittimazione è
sufficiente la presenza di elementi “indizianti”, che consentano d'individuare la
sussistenza di un rapporto inquinante tra l'organizzazione mafiosa e gli
amministratori dell'ente considerato infiltrato;
b) esso è uno strumento di tutela della collettività, in particolari situazioni ambientali,
nei confronti dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa
degli enti locali, quale “misura di carattere straordinario” per fronteggiare “una
emergenza straordinaria” (già Corte Cost. 19.3.93 n. 103, sul previgente art. 15-bis
della legge 19 marzo 1990, n. 55);
c) il quadro fattuale posto a sostegno del provvedimento di scioglimento ex art. 143
cit. deve essere valutato non atomisticamente ma nella sua complessiva valenza
dimostrativa, dovendosi tradurre in un prudente apprezzamento in grado di
lumeggiare, con adeguato grado di certezza, le situazioni di condizionamento e di
ingerenza nella gestione dell’ente che la norma intende prevenire;
d) stante l’ampia sfera di discrezionalità di cui l'Amministrazione dispone in sede di
valutazione dei fenomeni connessi all'ordine pubblico, ed in particolare alla minaccia
rappresentata dal radicamento sul territorio delle organizzazioni mafiose, il controllo
sulla legittimità dei provvedimenti adottati si caratterizza come “estrinseco”, nei
limiti del vizio di eccesso di potere quanto all’adeguatezza dell’istruttoria, alla
ragionevolezza del momento valutativo, nonché alla congruità e proporzionalità
rispetto al fine perseguito.
Tali principi, d’altronde, sono stati illustrati anche da questa Sezione in più di una
occasione (da ult.: TAR Lazio, Sez. I, 22.1.18, n. 816), ove è stato precisato, al
riguardo, come l'art. 143 del d.lgs. n. 267/2000, al comma 1 (nel testo novellato
dall'art. 2, comma 30, della legge 94/2009), richieda che la situazione di
condizionamento dell’ente locale da parte della criminalità sia resa evidente da
elementi “concreti, univoci e rilevanti”, che assumano valenza tale da determinare
“un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed
amministrativi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle
amministrazioni comunali e provinciali”. Gli elementi sintomatici del
condizionamento criminale devono, quindi, caratterizzarsi per “concretezza”, in
quanto assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica;
per “univocità”, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore
è intesa a prevenire; per “rilevanza”, che si caratterizza per l'idoneità all'effetto di
compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell'ente locale (Cons. Stato,
Sez. III, 15.3.16, n. 1038).
Il provvedimento di scioglimento, in tal senso, non ha natura sanzionatoria, ma
preventiva, a tutela della collettività e non avverso i singoli amministratori dell’ente
“disciolto”, per i quali le ulteriori conseguenze (incandidabilità) sono valutate in
distinto e autonomo procedimento i cui esiti sono impugnabili avanti altra autorità
giudiziaria.
Per tale ragione le vicende che costituiscono il presupposto del provvedimento di
scioglimento di un consiglio comunale devono essere considerate nel loro insieme,
e non atomisticamente, e risultare idonee a delineare, con una ragionevole
ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento mafioso, per cui ben
possono assumere rilievo situazioni non traducibili in episodici addebiti personali
ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in
base ai dati dell'esperienza, l'ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla
criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari,
frequentazioni), e ciò anche quando il valore indiziario degli elementi raccolti non è
sufficiente per l'avvio dell'azione penale o per l'adozione di misure individuali di
prevenzione (v. anche: Cons. Stato, Sez. III, n. 4529/2015, n. 3340/2015 e n.
2054/2015).
La norma di cui all'art. 143 cit., infatti, consente l'adozione del provvedimento di
scioglimento sulla scorta di indagini ad ampio raggio sulla sussistenza di rapporti tra
gli amministratori e la criminalità organizzata, non limitate alle sole evenienze di
carattere penale, ma sulla scorta di circostanze che presentino un grado di
significatività e di concludenza serio, anche se - come detto - di livello inferiore
rispetto a quello che legittima l'azione penale o l'adozione di misure di sicurezza
(Cons. Stato, Sez. III, 6.3.12, n. 1266).
E tale valutazione deve, sì, essere propria del controllo “postumo” in sede
giurisdizionale ma lo deve essere anche al momento in cui sono adottati tutti i
provvedimenti che dispongono lo scioglimento, a partire dalla relazione della
Commissione d’indagine, fino a quella prefettizia e alla proposta del Ministero
dell’Interno, recepita dal d.p.r. finale che lo pronuncia.
Fatta questa necessaria premessa, il Collegio anticipa che, facendo applicazione di
tali principi, il ricorso proposto si palesa infondato, sulla base delle seguenti
osservazioni, che non possono non prendere come base di riferimento, per quanto
detto, i provvedimenti impugnati e il loro contenuto.
Prendendo in esame la relazione del Ministro dell’Interno al Presidente della
Repubblica, già depositata in giudizio con l’atto introduttivo, si rileva che sono stati
posti in evidenza i seguenti profili:
a) la continuità sostanziale nella gestione dell’ente, dato che un attuale consigliere di
minoranza era stato sindaco dal 1998 al 2005 (fino a un primo scioglimento ex art.
143 cit.) e l’attuale sindaco aveva diretto l’amministrazione comunale nel biennio
2009-10 (quale vicesindaco subentrato al sindaco deceduto) ed era stato nominato
assessore all’Ecologia e Ambiente nella giunta costituita in seguito alle elezioni del
2010;
b) il ruolo attivo svolto dalle organizzazioni criminali in relazione alle elezioni del
2015, sia in fase di composizione delle liste elettorali sia in fase di festeggiamento
per l’elezione del sindaco, appartenente a lista civica sottoscritta anche da soggetti
gravati da precedenti penali, di cui ventuno parenti o affiliati alla locale consorteria
malavitosa, nonché la presenza di atti di intimidazione verso altri candidati poi
ritiratisi dalla competizione;
c) la situazione di “stallo” nell’evoluzione urbanistica, contraddistinta dall’attuale
vigenza ancora del P.R.G. adottato nel 1978, che lasciava ampio margine di
discrezionalità all’amministrazione nel rilasciare titoli edilizi; i ritardi riscontrati nello
svolgere comunque attività di controllo, come attestato dal rilascio di alcune pratiche
edilizie illegittime a favore di soggetti riconducibili alla criminalità organizzata; la
mancata dichiarazione di decadenza di concessioni edilizie rilasciate nell’ambito di
interventi straordinari del “piano casa” a soggetti collusi; il rilascio di numerosi titoli
edilizi in sanatoria su progetti anomali, carenti di documentazione o sottoscritti da
tecnici dipendenti dello studio professionale del sindaco e così pure per ulteriori
pratiche edilizie;
d) le procedure di affidamento concernenti il P.I.P., non trasparenti, irregolari e con
beneficiari soggetti collusi;
e) la gestione in via diretta e gratuita del campo sportivo a società il cui
rappresentante legale è fratello di un esponente del “clan” camorrista egemone,
secondo una prassi già alla base, tra altre evidenze, dello scioglimento disposto nel
2005;
f) le modalità di gestione del servizio di tesoreria comunale;
g) lo svolgimento della fase preelettorale e i festeggiamenti di esponenti della
malavita locale per l’elezione del sindaco;
h) l’ingerenza della compagine politica, con ingiustificati avvicendamenti, sulla
struttura burocratica, a sua volta spesso permeabile alle infiltrazioni clientelari;
i) la carenza di strumenti regolamentari in diversi settori, anche strategici, con
conseguente alta discrezionalità dell’apparato burocratico e incremento delle
interferenze esterne;
l) la constatazione di un alto ammanco di cassa, per il quale non risultavano alcuna
denuncia all’A.G. o iniziative di recupero e l’omissione di controlli e verifiche, che
procuravano gravi danni al bilancio;
m) il comportamento dell’amministrazione di favore verso il “clan” locale in
occasione della tradizionale “-OMISSIS-” del 2016.
Tutte tali osservazioni trovavano, poi, conferma nelle relazioni prefettizia e della
commissione d’accesso, come acquisite in seguito alla ricordata ordinanza collegiale.
In particolare, la relazione prefettizia ha posto in evidenza una precisa linea di
continuità tra le amministrazioni che hanno retto le sorti del -OMISSIS- dal 2002 -
con la sola interruzione del periodo di gestione commissariale - caratterizzata
dall'uso distorto dei pubblici poteri per favorire soggetti collegati direttamente o
indirettamente con gli ambienti malavitosi.
In primo luogo, risultava la costante presenza nell'amministrazione di soggetti
collegati alla criminalità organizzata, con ruoli diversi sia in giunta che in consiglio,
sia nella componente di maggioranza che in quella di minoranza alternate nel tempo,
che avevano determinato le scelte e gli indirizzi dell’ente locale.
In secondo luogo, era evidenziato come l'attuale compagine amministrativa, guidata
dal sindaco -OMISSIS-, faceva registrare al proprio interno componenti o loro
parenti, presenti nell'amministrazione del 2005 pure destinataria del provvedimento
ex art. 143 cit., ponendo anche l'accento sulla continuità di azione di “carismatiche
figure politiche”, quali, da un lato, l'ex sindaco -OMISSIS-, politico di estrazione,
ma incapace di evitare la compromissione con la criminalità organizzata nel 2005,
dall'altro, l’attuale sindaco -OMISSIS-, legato ad ambienti della consorteria criminale
e i cui comportamenti si erano caratterizzati per le gravi illegittimità finalizzate al
soddisfacimento di interessi, diversi da quelli pubblici, di natura personale o a favore
di appartenenti al “clan” locale.
La stessa struttura organizzativa dell'Ente risultava inadeguata ad assicurare
l'efficacia e l'efficienza dell'azione amministrativa, peraltro in assenza di indirizzi
politici improntati a principi di legalità e di regolamenti disciplinanti le procedure dei
settori più sensibili, così da apparire strumentale alle ingerenze della criminalità
organizzata, come confermato dalla circostanza per la quale il collegio ispettivo, al
fine di acquisire le informazioni d’interesse, aveva dovuto ricorrere a frequenti
audizioni dei responsabili dei servizi, non potendo desumerle dagli atti d'ufficio,
stante il generale stato di disordine nella conservazione degli stessi, peraltro, “…già
di difficile comprensione anche per la carenza di motivazione e la superficialità delle
valutazioni”.
La criminalità organizzata era fortemente radicata nel contesto territoriale di
riferimento ed era dotata di grande capacità di infiltrazione all'interno delle
pubbliche amministrazioni, come significativamente attestato dal fatto che diversi
civici consessi di comuni limitrofi a -OMISSIS- erano stati sciolti, anche
reiteratamente, per forme di condizionamento di tipo “mafioso”.
Erano quindi richiamate specifiche forme di intimidazione effettuate dal “clan”
locale nel periodo elettorale ed era evidenziato che la lista del sindaco eletto era stata
sottoscritta da soggetti con precedenti penali, di cui ventuno, su poco più di cento,
parenti (di) o affini al “clan” locale. A ciò doveva aggiungersi che risultava la
partecipazione di esponenti di spicco delle famiglie “camorristiche” locali al corteo
di festeggiamento per la vittoria del sindaco-OMISSIS-e la pubblicazione, sul
“profilo facebook” di sostenitori del sindaco, di una fotografia ritraente un gruppo
di affiliati al “clan” egemone, tra i quali anche il figlio del “capo clan” e attuale
“reggente”, che mostravano il “logo” del neo eletto.
Risultava anche che l’attuale sindaco, sin dall'anno 1991, appena diplomato, aveva
iniziato a svolgere attività professionale quale collaboratore e praticante dello studio
di un geometra “contiguo” all’omonimo “clan” locale, gravitando sempre intorno
all'ente che poi sarebbe andato a guidare e collaborando “di fatto” con gli uffici di
urbanistica ed edilizia che gli avevano riservato, nel tempo, un costante “trattamento
di favore”. Inoltre, era accertato anche che egli aveva firmato e presentato, quale
tecnico istruttore, numerosissime pratiche di edilizia privata, anche in periodi in cui
lo stesso ricopriva cariche di governo dell'Ente in qualità di vice-sindaco, sindaco
reggente, assessore e consigliere comunale, molte delle quali per conto di soggetti
legati alla criminalità organizzata.
In più, emergeva dalla relazione prefettizia che la riferibilità della nuova compagine
elettiva alla criminalità organizzata non si era limitata solo al coinvolgimento del
sindaco ma anche di altri consiglieri in rapporti di parentela con il clan “egemone”,
che, tra l'altro, risultavano eletti con un ragguardevole numero di preferenze, quali
l’attuale assessore all’Ecologia e Ambiente e un consigliere di maggioranza, a cui si
affiancava anche un consigliere di minoranza, fermo restando che “…diversi
componenti dell'attuale consiliatura, anche in differenti posizioni, erano presenti direttamente o per
il tramite di parenti nell'amministrazione del 2005 sciolta per infiltrazioni camorristiche”.
Il Prefetto aggiungeva che l’organo politico aveva potuto contare su un apparato
permeabile a logiche clientelari ed accondiscendente all'uso distorto delle pubbliche
funzioni, come dimostrato dall’avvicendamento, nel tempo, di dirigenti degli uffici
tecnici ogni qualvolta gli stessi non si erano mostrati adeguatamente inclini a
condividere metodi e finalità di gestione.
Risultava che, in occasione di una manifestazione pubblica, abusivamente allestita,
contraddistinta dalla presenza di esponenti della malavita locale che se ne
mostravano protagonisti, alle osservazioni sulla regolarità da parte dell’allora
Comandante della Polizia locale, alcuni esponenti invocavano la conoscenza del
sindaco “…rammaricandosi per l'assenza dello stesso che durante la campagna elettorale si era
presentato presso l'abitazione di ciascuno di loro per chiedere il voto”, sindaco che, pur negando
la circostanza, il giorno successivo, con provvedimento d'urgenza, revocava
l'incarico al Comandante in questione, per affidarlo, poi, a un dipendente in rapporto
di parentela con esponenti del “clan” locale.
Denominatore comune dell'attività gestionale era - per il Prefetto - l'assenza di regole
e controlli, aggravata “…dalla carenza di strumenti regolamentari di rilievo in tutti i settori di
attività, dando vita a un sistema che ha lasciato spazio ad alterate interpretazioni delle norme per
piegarle agli specifici interessi privati degli amici” - “in un contesto in cui anche l'utenza sembra
avvezza al ricorso all'amico piuttosto che a pretendere il rispetto dei propri diritti” - “mantenendo
invece, per il resto della collettività, la più rigida applicazione. La situazione assumeva
“…connotazioni preoccupanti anche laddove si considerava la presenza tra i dipendenti di persone
con precedenti penali ovvero a vario titolo contigue con soggetti gravitanti in ambienti mafiosi”.
Era quindi stigmatizzato l'atteggiamento di inerzia che, ponendosi in piena sintonia
con le passate criticità, ne amplificava gli effetti estendendone le responsabilità,
come rilevato nel settore degli appalti pubblici, ove la rilevata mancanza di atti
regolamentari a portata generale e preordinati ad una corretta e uniforme gestione
delle procedure, aveva ampliato gli spazi di discrezionalità dell'apparato burocratico;
inoltre, la ingiustificata, protratta, mancata adesione del Comune alla Stazione Unica
Appaltante, in dissonanza peraltro con la sottoscrizione del protocollo di legalità con
la Prefettura, aveva alimentato il livello delle interferenze esterne.
Era evidenziato, poi, che l'inerzia nell'ambito della programmazione territoriale
aveva precostituito una voluta condizione favorevole alle speculazioni edilizie,
attraverso il rilascio di illegittimi titoli concessori, in un settore di primario interesse
per le organizzazioni criminali e favorendo nel contempo “indiscriminati aumenti
dei volumi edificabili sui territorio”.
Alcune “pratiche edilizie” risultavano viziate da illegittimità di cui avevano
beneficiato soggetti legati alla criminalità organizzata e familiari del sindaco e che
non risultavano revocate.
Per quanto riguardava i lotti P.I.P., le relative assegnazioni, avvenute a far data
dall'ottobre 2014 ed i cui contratti erano in corso di sottoscrizione, “…erano state
disposte solo sulla base di semplici richieste, in palese violazione del Regolamento che prevede, invece,
il sorteggio fra le ditte assegnatarie”, favorendo così interessi privati e della camorra.
II Responsabile “pro tempore” del settore “Politiche Sociali Sport e Cultura (il
nominato Comandante della Polizia municipale di cui erano stati già evidenziati i
vincoli di parentela con il “clan” egemone), a fine 2014, aveva affidato la gestione
dell'impianto sportivo polifunzionale comunale, in via diretta e gratuita, a una società
il cui legale rappresentante era fratello di un esponente apicale del “clan” e
l’affidamento era avvenuto con atto qualificato come “concessione” senza però
esserlo nella sostanza, data la carenza di previsione del necessario corrispettivo e
concretizzando, in tal modo, “…un vero e proprio comodato d'uso gratuito, illegittimo in
relazione alla tipologia del bene”.
Peraltro la suddetta società utilizzava ancora la struttura a titolo gratuito, con il pieno
benestare dell'Amministrazione e del suddetto Comandante, “…in danno delle casse
comunali per il mancato introito del canone previsto dalla legge”.
Sino al 2014 il servizio di tesoreria comunale era stato affidato a una società coinvolta
in un'attività d'indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Benevento,
sfociata nell'emissione di provvedimenti cautelari, personali e reali, per tutta una
serie di ammanchi di somme di denaro dalle casse di numerosi enti pubblici, per i
quali l'impresa esperiva il servizio di tesoreria. La Commissione di accesso,
verificando la documentazione agli atti dell'Ente, aveva “…riscontrato anche presso il -
OMISSIS-, un ingente ammanco di cassa dalla gestione del tesoriere, attestato in circa 624 mila
euro, per il quale l'amministrazione non aveva sporto alcuna denuncia all'Autorità Giudiziaria
né aveva adottato alcuna iniziativa tesa al recupero delle somme”. Solo nel marzo 2016 l'ente
aveva presentato istanza di insinuazione al passivo nel fallimento di detta società
intervenuto nelle more, richiesta, secondo il Prefetto, “…che, per il ritardo con cui è stata
inoltrata, comunque appare di difficile soddisfacimento”.
L'Organo ispettivo sottolineava come l'ente comunale, anche sotto la guida
dell'amministrazione di cui alle elezioni del 2015, omettendo controlli e verifiche di
cassa, aveva prodotto un gravissimo danno a carico di un bilancio, come quello del
-OMISSIS-, dai flussi finanziari di ridotta portata, evidenziando, anche, che i locali
nei quali la suddetta società aveva gli uffici (attualmente condotti in locazione dalla
subentrata), erano di proprietà della sorella del Responsabile degli uffici finanziari,
“…rilevando quale costante elemento di connotazione della gestione politica di -OMISSIS-una
insana commistione tra procedimenti amministrativi ed interessi privati tale da legittimare dubbi
sullo scrupoloso e tempestivo svolgimento delle obbligatorie verifiche di cassa da parte della
burocrazia comunale”.
Infine, era posto l’accento sulla manifestazione del 2016 della c.d. “-OMISSIS-”,
avvenuta in costanza di accesso della Commissione ispettiva, ove il Comune, in
aperta violazione delle disposizioni regolamentari, non aveva effettuato alcun
controllo, neppure a campione, sulla documentazione a corredo delle istanze di
partecipazione e sulle autocertificazioni rese dai presidenti e dai collaboratori dei due
comitati partecipanti, attestanti l'insussistenza di procedimenti penali pendenti o
sentenze di condanna.
Anche nella manifestazione in questione, cosi come già nel 2004, si erano verificati
episodi che palesavano “…la tracotante prepotenza della “-OMISSIS-”, espressione del
Clan…e la loro vicinanza al Sindaco”.
Nell'occasione, risultava che il figlio del “boss”, attuale referente del “clan”,
“…infastidito dalla bravura della rivale paranza, ha pubblicamente invitato i componenti della
stessa a lasciare la manifestazione. L'ordine è stato immediatamente rispettato, generando grande
confusione tra il pubblico presente, e la paranza dei «-OMISSIS- ha potuto proseguire il
percorso…” mentre il suddetto figlio del “boss”, attraverso il microfono, “…ha rivolto
parole di ringraziamento al -OMISSIS--.”
Singolare era quindi giudicato l'atteggiamento del sindaco che, “…lungi dal condannare
il comportamento dei "-OMISSIS-", nel tentativo di prendere apparente distanza dalla locale
criminalità organizzata, ha riunito il Comitato di Vigilanza della -OMISSIS- che, con una
lungimirante posizione, ha stabilito di sospendere l'intera manifestazione per l'anno 2017, con
l'evidente intento di prendere tempo.”
Quale segno di protesta avverso tale decisione, però, risultavano affissi nelle strade
cittadine, nei giorni successivi, manifesti dal titolo "LA -OMISSIS- NON DEVE
MORIRE", a firma del Comitato “-OMISSIS- e della “-OMISSIS-”, nei quali,
facendo riferimento all'appoggio dato nell'ultima campagna elettorale al Sindaco -
OMISSIS-, veniva stigmatizzata la decisione dell'amministrazione comunale.
Quest’ultima, pur nel breve periodo di governo - sosteneva il Prefetto - si era posta
in logica continuità, nonostante si fosse presentata agli elettori quale “forza
alternativa”, con le modalità gestionali che avevano contrassegnato la compagine
elettiva destinataria del precedente provvedimento di scioglimento e l'accertata
protratta inerzia dell'amministrazione, non ostacolata in sede consiliare neanche
dalla minoranza - quasi ad avallare di fatto le scelte di fondo, aldilà di sterili
schermaglie politiche - da un lato aveva leso i diritti fondamentali dei cittadini e le
loro legittime aspettative di buon governo e, dall'altro, aveva posto l'ente pubblico
al servizio della criminalità organizzata, che ne aveva già ipotecato l'asservimento
con l'aperta discesa in campo del “clan” egemone nella campagna elettorale a favore
del sindaco -OMISSIS-.
Il Prefetto concludeva richiamando quanto dichiarato dal Procuratore della
Repubblica e della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli e dal Procuratore
della Repubblica del Tribunale di Napoli Nord, su “…come il non fare, che ha
caratterizzato l'amministrazione -OMISSIS-, oltre alla generale inosservanza della legge, in specie
nel settore urbanistico, costituisca la modalità più tipica ed efficace per favorire gli interessi della
criminalità organizzata, che si appropria in tal modo dell'ente locale condizionandone le scelte.”.
Svolte queste premesse, il Collegio rileva che i presupposti sui quali si fonda il
provvedimento dissolutorio, con riferimento all’analisi di contesto, alle circostanze
ambientali, alla continuità tra le amministrazioni, alla attendibilità della ricostruzione
degli episodi richiamati, come disgiunti dalle funzioni pubbliche svolte, ai rapporti
parentali e alle frequentazioni, all’impropria commistione tra interessi privati e
funzioni amministrative, confermano la implausibilità di una lettura complessiva
alternativa, come invece proposta dai ricorrenti.
Più in dettaglio, passando a esaminare i singoli motivi di ricorso, si rileva
l’infondatezza del primo, peraltro genericamente dedotto, in ordine alla sostanziale
carenza degli elementi (sopra ricordati) di cui all’art. 143 cit. per disporre lo
scioglimento del consiglio comunale, in quanto la motivazione sugli stessi e la loro
specifica individuazione deve ricondursi all’insieme documentale dato dalla relazione
della Commissione d’accesso, dalla relazione prefettizia e dalla proposta del Ministro
dell’Interno, tutte corredate da un corredo motivazionale approfondito e dettagliato,
per quanto sopra in sintesi riportato, come sarà successivamente posto in evidenza.
Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, nel quale si mette in risalto la omessa
valutazione delle azioni di contrasto alla criminalità organizzata e di attenzione per
risollevare il Comune dalla grave situazione in cui versava al momento delle elezioni,
anche sotto il profilo amministrativo-contabile, gestionale, urbanistico e della
sicurezza.
Il Collegio osserva in merito che tali interventi non possono sminuire la
significatività degli elementi indicativi del condizionamento subito
dall’amministrazione comunale e dall’apparato burocratico, per cui il loro mancato
richiamo non costituisce elemento idoneo a smentire l’attendibilità delle valutazioni
rese nelle relazioni.
Compito dell’organo ispettivo, infatti, era quello di delineare eventuali fatti ritenuti
rilevanti per la dimostrazione del rischio di condizionamento da parte della
criminalità organizzata dell’amministrazione, per cui, una volta acquisiti gli elementi
fattuali necessari per sostenere la richiesta di scioglimento, correttamente nelle
relazioni non si è fatto cenno agli elementi “contrari”, quali - ad esempio - gli atti
amministrativi “regolari”, le delibere conformi a legge, e le altre iniziative richiamate
dai ricorrenti, in quanto ritenuti insufficienti – in comparazione con la complessità
degli elementi negativi emersi in sede istruttoria - a far cadere l’impianto
“accusatorio” (in tal senso: Cons. Stato, Sez. III, 2.10.17, n. 4578, secondo cui:
“…Del resto – se bastasse qualche operazione “di facciata” per lenire il rischio di dissoluzione –
sarebbe ben agevole farvi ricorso, eludendo in questo semplice modo la finalità perseguita della norma
di cui all’art. 143 del D.Lgs. 267/2000.”).
Basti richiamare la circostanza per la quale ben più specifiche avrebbero dovuto
essere le determinazioni assunte per evitare il rischio di contaminazione con la
consorteria locale, riferendosi il Collegio, in particolare, all’adesione alla
convenzione relativa al conferimento delle funzioni di Stazione Unica Appaltante
intervenuta con la Prefettura e altri comuni della zona, che però, il -OMISSIS- non
ha ritenuto di concretamente applicare, essendo notorio che il ricorso alla S.U.A.
costituisce un presidio fondamentale per rendere gli apparati burocratici operanti in
zone afflitte dalla presenza della criminalità organizzata, non permeabili al suo
condizionamento.
A ciò si aggiunga che questa Sezione ha già avuto modo di precisare che il
provvedimento di scioglimento ex art. 143 cit. non richiede alcun giudizio di
bilanciamento di circostanze favorevoli e non favorevoli, alla stregua di quanto
avviene nel procedimento penale, dato che l'azione amministrativa deve sempre
essere ispirata ai principi di legalità e di buon andamento ed è, in quanto tale, attività
doverosa che in nessun caso può essere invocata come esimente di condotte
parallele che a tali principi non sono conformi (TAR Lazio, Sez. I, 16.10.17, n.
10361).
Parimenti non condivisibile è la censura di cui al terzo motivo di ricorso, in quanto
proprio la considerazione “d’insieme” e non “atomistica” delle singole vicende poste
in risalto ha consentito di legittimare la conclusione orientata a verificare
l‘intervenuta permeabilità alla malavita organizzata dell’attività amministrativa
comunale.
Anzi, è proprio l’esposizione dei ricorrenti che si sofferma “atomisticamente” sui
singoli episodi, come nelle premesse in fatto del ricorso, richiamando una
giustificazione parcellare che non tiene conto dell’impostazione come misura di
sostanziale “prevenzione” che la giurisprudenza ha individuato per l’applicazione
dell’art. 143 cit.
Sul punto, per economicità dell’esposizione, il Collegio rimanda a quanto sarà
illustrato in relazione al quinto e sesto motivo di ricorso.
Infondato è anche il quarto motivo di ricorso, in quanto i rapporti di parentela non
sono stati evidenziati nelle relazioni “in quanto tali” ma nel quadro “d’insieme” che
ha permesso di ricostruire la concreta ingerenza del “clan” locale.
Nella relazione della commissione d’accesso, infatti, sono stati indicati i rapporti di
parentela tra esponenti malavitosi e alcuni eletti già nella tornata elettorale del 2010
e la sussistenza di parenti o affilati al “clan” tra i sottoscrittori (in numero di 21) della
lista civica poi risultata vincitrice non per stigmatizzare la loro presenza, o per
ritenere che il sindaco eletto dovesse fare un controllo preventivo sulla posizione
penale di ogni sottoscrittore, come sostenuto negli scritti difensivi dei ricorrenti, ma
per evidenziare lo sfondo e il quadro d’insieme entro cui collocare le vicende
specifiche prese in considerazione.
Sempre in tale “quadro”, era evidenziato che un assessore frequentava affiliati al
“clan” e un altro era stato più volte “segnalato” e “indagato”. Un consigliere di
maggioranza, con precedenti penali, era cugino del “capoclan”, un consigliere di
minoranza era l’ex sindaco, condannato per reato di corruzione, e un altro era nipote
di un affiliato al “clan”.
La Commissione, quindi, individuava con idonea motivazione una “continuità”
sostanziale nel “continuo rigenerarsi” delle amministrazioni succedutesi nel
decennio 2005-15 (tranne nella parentesi “commissariale” del 2005-08), dato che
nella compagine del 2015 risultavano soggetti (indicati tutti nominativamente) che
già al momento dello scioglimento disposto nel 2005 ricoprivano incarichi di
amministratori ed erano collegati con legami di parentela con esponenti del “clan”.
Inoltre due consiglieri, di cui un assessore, avevano acquisito il maggior numero di
voti in circoscrizioni in cui risiedevano famiglie legate al “clan” in questione.
A conferma di ciò, la commissione d’indagine evidenziava una serie di episodi –
sempre da valutare nel ricordato “quadro d’insieme” – relativi al periodo pre-
elettorale, alle elezioni del 2015 e ai relativi “festeggiamenti”, che autorizzavano a
ritenere che esponenti del “clan” avessero appoggiato e comunque avessero
“gradito” l’elezione della compagine vincitrice. Tale ricostruzione si fondava su fatti
oggettivi (referti di pronto soccorso, denunce-querele, commenti su profili
“Facebook” di esponenti malavitosi) e si legava a quanto poi riscontrato nei singoli
episodi.
Che, quindi, la compagine eletta nel 2010 si sia divisa e si sia presentata su fronti
contrapposti alle elezioni del 2015 non è elemento dirimente, come invece sostenuto
dai ricorrenti, per dimostrare la discontinuità invece invocata, dato che è la
“sostanza” della presenza costante degli amministratori, quali soggetti che hanno
esposto il Comune a permeabilità alla criminalità organizzata, a sostenere il “quadro”
di influenza individuato e non la “veste politica” con cui gli stessi si sono presentati
nelle diverse tornate elettorali.
Passando all’esame del quinto e del sesto motivo di ricorso, il Collegio rileva che essi
possono essere valutabili contestualmente per il loro contenuto, dato che il quinto
– in cui si lamenta la presenza di “omissis” e l’impossibilità di desumere una adeguata
ricostruzione dei presupposti valutati dalle Autorità – ben può saldarsi con il sesto
in cui, nella sostanza, si contestano i singoli episodi unitamente a quanto esposto
nelle premesse in fatto del ricorso e nella memoria di replica per la pubblica udienza.
In merito, il Collegio però, senza necessità di riportarli singolarmente perché già
richiamati nell’esposizione precedente in ordine al contenuto della relazione
prefettizia, non individua alcuna erroneità di valutazione da parte
dell’Amministrazione.
Riprendendo anche quanto esposto dai ricorrenti nel terzo motivo, il Collegio
osserva, in sintesi, quanto segue.
Sulla figura del sindaco, la circostanza per la quale egli sia stato presente nell’ambito
comunale a vario titolo, oltre che essere confermata “per tabulas” almeno dal 2010,
è stata ribadita da un’audizione di uno dei tecnici apicali dell’Ente, come riportato
nella relazione della commissione d’accesso, e così “per tabulas” risulta che una
consistente percentuale di “dia” e “scia” edilizie negli anni 2010-15, ove ricopriva
cariche politiche comunali, sia a lui o (a soggetti contigui) riconducibile, con dubbia
assenza di conflitto di interessi e, nuovamente, non per condannare “in sé” tale
circostanza ma per porre in evidenza la sua significativa ingerenza sull’attività di
amministrazione edilizia comunale, come confermato anche da audizione del
Responsabile del Settore Urbanistica all’epoca in cui il sindaco aveva sostituito
quello precedente deceduto, il quale evidenziava l’insistenza di costui per modificare
il Regolamento Edilizio “contra legem”, le conseguenti dimissioni e la sua
sostituzione con altro soggetto che provvedeva a redigere il Regolamento secondo
le indicazioni del sindaco.
Il Collegio osserva che il fatto per cui tale nuovo Responsabile fu assunto per
“selezione pubblica” non incrina il fondamento delle argomentazioni della
commissione, in quanto non era in contestazione in questo caso la modalità di
nomina del nuovo soggetto ma la capacità del sindaco di influire sull’attività
amministrativa “liberamente”. Ciò, se – come effettuato – collegato a circostanze
favorevoli al “clan” locale, rafforzava, quindi, la sussistenza delle “permeabilità” più
volte richiamata.
Tanto che la relazione della commissione riporta ulteriori dichiarazioni di un
funzionario tecnico in cui si rappresentava che nella consiliatura 2010-15 il vero
“pianificatore” dell’attività edilizia comunale era il sindaco poi eletto nel 2015, anche
attraverso influenze per spostare responsabili non in accordo con le indicazioni da
lui fornite.
Che risultino assunzioni di nuovi funzionari per “avviso pubblico”, come dedotto
dai ricorrenti, non può rilevare, in quanto non è l’assunzione in sé considerata a
essere criticata dalla Commissione ma, semmai, lo spostamento dei funzionari
interessati.
Tale presupposto si manifesta nella sua significatività – ai fini che qui rilevano –
nell’episodio relativo alla serata dell’ottobre 2015, ove risultavano una
manifestazione canora non autorizzata nella sua strutturazione specifica, la
comunicazione ai locali Carabinieri intervenuti sul posto in cui il Comandante della
Polizia municipale dichiarava di avere autorizzato solo in parte la manifestazione,
senza costruzione di palco invece presente, la telefonata al sindaco che chiedeva di
interrompere la manifestazione, gli epiteti e le minacce rivolti al suddetto
Comandante da parecchi soggetti presenti, tra i quali spiccavano esponenti del locale
“clan” (legati alla c.d. “-OMISSIS-”, le cui intemperanze nel 2004 erano state già alla
base del precedente scioglimento), la rimozione del Comandante da parte del
sindaco dopo pochi giorni, a beneficio di soggetto collegato al “clan” per rapporti
di parentela.
Sostengono i ricorrenti che la rimozione era avvenuta proprio per la mancata
autorizzazione della manifestazione ma può osservarsi che lo stesso ex Comandante
aveva affermato di non aver comunque autorizzato la costruzione del palco e non
appare approfondita dal sindaco la questione relativa, ponendosi invece l’immediata
rimozione come potenzialmente collegata alle minacce e offese degli esponenti del
“clan”, che ritenevano al momento della chiusura imposta della manifestazione la
responsabilità dell’ex Comandante.
In questo sfondo ben delineato, la commissione d’accesso collocava gli ulteriori
elementi, per i quali le difese dei ricorrenti non forniscono spiegazioni alternative
convincenti.
Ciò valga per l’assenza di normativa regolamentare in settori strategici (si pensi
all’Organismo Interno di Valutazione- OIV, alla contabilità armonizzata, alla Polizia
Urbana, alla Polizia Mortuaria, all’Edilizia privata, al Servizio economato, agli
acquisiti in economia, ai contributi - e agli affidamenti di impianti - sportivi e molti
altri richiamati nella relazione della commissione d’accesso). Risulta anche non
portata a termine la redazione del nuovo strumento urbanistico, avviata nel 2012,
con conseguenti criticità nel rapporto Amministrazione-Dirigenza, puntualmente
evidenziata nella suddetta relazione, con pressanti ingerenze del sindaco, già quando
era nella precedente amministrazione, e ripetuti avvicendamenti di dirigenti, con una
“precisa strategia di permeazione dell’Ente volta all’alterazione della legittima azione
della pubblica amministrazione”, con conseguente carenza di controlli.
In materia edilizia spicca l’anomalia della procedura di rilascio di un permesso
edilizio in sanatoria, su progetto del sindaco nelle vesti professionali sopra ricordate,
a favore della cognata del “capoclan”, l’applicazione del “Piano Casa” per un
permesso per immobile da costruire su terreno di proprietà della moglie del sindaco
e di un esponente riconducibile al “clan”, rilasciato con procedura illegittima sotto
vari profili, su cui pende procedimento penale, e così pure per altri titoli rilasciato a
favore di soggetti collusi (PdC in sanatoria n. 11 del 15.4.13 e PdC n. 4467/14).
Analoghe considerazioni per una “scia” in materia di somministrazione, con
procedura favorevole a società il cui rappresentante legale era figlio di soggetto
coinvolto con il “clan” in procedimento penale.
Nella gestione dell’area P.I.P., sia pur risalente al 2007, è risultata nel 2014 la
violazione del relativo regolamento di assegnazione, con speculazione economica
riconducibile a soggetti vicini al sindaco e a soggetti pluripregiudicati e società legate
al “clan”, come dettagliatamente indicato nella relazione della commissione
d’accesso.
Sugli affidamenti pubblici si è già detto della mancata osservanza e sottoscrizione
del Protocollo sulla S.U.A.
La gestione dell’impianto sportivo è stata affidata, con procedura anomala, come
illustrato nella relazione, a società il cui rappresentante legale era fratello di un
esponente di spicco del “clan”, la cui famiglia aveva sottoscritto la lista del sindaco,
e con mancanza dei requisiti di regolarità finanziaria.
Risultavano omissioni nella richiesta della documentazione “antimafia”, pur
sussistendone l’obbligo. Anche la gestione della Villa comunale non si sottraeva a
osservazioni, per l’incongruità dell’unica offerta pervenuta, con realizzazione di un
chiosco bar con “scia” senza certificazione di agibilità.
La gestione del sistema integrato dei rifiuti vedeva procedure anomale, con proroga
illegittima, a beneficio di società la cui rappresentante legale aveva precedenti penali,
così come il padre.
Evidente era la distorsione nella gestione del servizio di tesoreria comunale,
contraddistinta da anomalie e ammanchi di cassa di cui non era denunciata la
presenza, a favore di società riconducibile a parenti di amministratori, come
anticipato sopra nel richiamo alla relazione prefettizia.
Inoltre, occorre rilevare che, nel caso di specie, le irregolarità amministrative non
sono riconducibili ai soli appartenenti alla struttura burocratica dell’Ente, ma vi è
stata diretta ingerenza degli organi di vertice dell’apparato politico nelle decisioni
assunte, verificandosi quella commistione tra ruoli alla quale si è fatto più volte
cenno nelle relazioni.
In ogni caso, l’art. 143 TUEL consente l’adozione della misura dissolutoria anche in
presenza della permeabilità e del condizionamento dei soli apparati burocratici
dell’Ente.
Peraltro, è stato ritenuto in giurisprudenza che sebbene l’assetto organizzativo
dell’ente locale assegni ai dirigenti compiti di amministrazione attiva, decisionali e di
responsabilità, da esercitarsi in autonomia rispetto agli organi elettivi, nondimeno
non rende tali ultimi organi estranei al ripetersi di irregolarità ed illeciti di gestione.
Restano, invero, fermi, ai sensi dell’art. 107 del d.lgs. n. 267 del 2000, i compiti di
indirizzo e, segnatamente, di controllo “politico-amministrativo”, che se non va
esercitato partitamente per ogni singola determinazione provvedimentale, deve
investire trasversalmente l’operato dei funzionari con qualifiche dirigenziali (cfr.
Cons. Stato, Sez. III, 25.1.16, n. 256).
Si tenga presente che l’esatta distinzione tra attività di gestione ed attività di indirizzo
e di controllo politico-amministrativo non esclude che il non corretto
funzionamento degli apparati dell’amministrazione sia addebitabile all’organo
politico quando non risultano le attività di indirizzo e di controllo dirette a
contrastare tale cattivo funzionamento (Cons. Stato, Sez. III, n. 4578/17 cit.).
In sostanza, la relazione in questione evidenziava che le irregolarità e le varie forme
di deviazione riscontrate in sede di accesso riguardavano proprio settori
imprenditoriali su cui si appuntavano i sostanziali interessi della malavita locale e
che, in merito, o non vi era stato un esercizio di efficace vigilanza e controllo da
parte del vertice politico amministrativo sull’apparato burocratico o vi erano state
forme di ingerenza nell’adozione di provvedimenti. Era abbondantemente illustrato,
quindi, che era stato preso in considerazione un quadro indiziario generale idoneo a
configurare i presupposti per lo scioglimento del consiglio comunale, senza necessità
di immediati e definitivi riscontri in sede penale per quel che riguardava specifici
comportamenti, fermo restando che il su richiamato sfondo aveva evidenziato il
mantenimento di interessi e assetti preesistenti e funzionali ad un vantaggioso
“status quo” per la malavita organizzata locale, dovuto alla generale connivenza da
parte dell’amministrazione pubblica che, invece, si sarebbe dovuta subito e
costantemente attivare per rimuovere le deviazioni evidenti riscontrate nel corso
dell’accesso.
Ad essere stata correttamente stigmatizzata, quindi, era la tendenza dell’attività degli
organi politici a non porre in essere ciò che era loro compito nel dare luogo ad
un’opera di vigilanza e controllo dell’apparato burocratico, al fine di evitare
ingerenze da parte della criminalità organizzata, i cui esponenti “di spicco”
comunque avevano (anche solo autonomamente) ritenuto comunque di trarre
vantaggi dall’elezione del sindaco, come acclarato dalle manifestazioni pubbliche di
soddisfazione dopo la sua elezione nel 2015.
Proprio la mancanza di un efficace controllo o vigilanza costituisce un elemento di
forte rilevanza al fine di individuare una riconducibilità all’organo politico dei
vantaggi acquisiti a causa di tali omissioni da parte di soggetti “vicini” o direttamente
appartenenti alla malavita organizzata, dato che - come detto - la funzione dei
provvedimenti impugnati non è “sanzionatoria” verso i singoli ma rivolta ad evitare
il perdurare dell’infiltrazione “mafiosa”, oggettivamente considerata.
Si rammenta che è conclusione giurisprudenziale diffusa – a tale proposito – quella
per la quale lo scioglimento ex art. 143 cit., in virtù della natura “non sanzionatoria”
che lo contraddistingue, è legittimo sia qualora sia riscontrato il coinvolgimento
diretto degli organi di vertice politico-amministrativo sia anche, più semplicemente,
per l’inadeguatezza dello stesso vertice politico-amministrativo a svolgere i propri
compiti di vigilanza e di verifica nei confronti della burocrazia e dei gestori di
pubblici servizi del Comune, che impongono l'esigenza di intervenire ed apprestare
tutte le misure e le risorse necessarie per una effettiva e sostanziale cura e difesa
dell'interesse pubblico dalla compromissione derivante da ingerenze estranee
riconducibili all'influenza ed all'ascendente esercitati da gruppi di criminalità
organizzata (in tal senso: TAR Lazio, Sez. I, 28.8.15, n. 10899 e Cons. Stato, Sez. III,
6.3.12, n. 1266).
Il quadro indiziario complessivamente emerso dagli accertamenti istruttori, e
valutato come significativo di una gestione amministrativa poco lineare, rende quindi
ragionevolmente plausibile la conclusione per la quale l'attività dell'ente era, sia
concretamente che potenzialmente anche per il futuro, permeata e permeabile a
possibili ingerenze e pressioni da parte della criminalità organizzata specificamente
individuata.
Tutti questi elementi, perciò, considerati nel loro insieme e inseriti nello sfondo di
riferimento possono essere ritenuti idonei a configurare i presupposti di concretezza,
univocità e rilevanza richiesti dall’art. 143 TUEL ai fini dello scioglimento del
Consiglio comunale, con il fine di prevenzione teso ad evitare anche solo il rischio
di infiltrazione da parte della malavita organizzata già presente sul territorio.
Tenuto conto dei principi giurisprudenziali espressi in precedenza e della
ricostruzione dei fatti di cui alle relazioni richiamate, quindi, per il particolare tipo di
sindacato di legittimità “estrinseco” di cui dispone il giudice amministrativo nella
materia in questione, il provvedimento dissolutivo impugnato risulta immune dai
vizi dedotti.
Il ricorso, quindi, non può trovare accoglimento.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna in solido i ricorrenti a corrispondere al Ministero dell’Interno le spese di
lite, che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, D. Lgs. 30 giugno
2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla
Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dei ricorrenti, di altri (anche
ex) amministratori citati nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il
Comune oggetto del provvedimento impugnato.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 febbraio 2018 con l'intervento
dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
Roberta Cicchese, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ivo Correale Carmine Volpe
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei
termini indicati.