tecniche analitiche più usate per le sostanze organiche · basano su uno strumento in grado di...

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PROF. ALFONSO DE MARCO 1 Tecniche analitiche più usate per le sostanze organiche Le tecniche analitiche strumentali sono un utilissimo strumento per identificare sostanze incognite (analisi qualitativa), ad esempio per riconoscere tutti i prodotti ottenuti in un processo di sintesi o per determinare la composizione di un refluo industriale, o per indagini ambientali. Sono inoltre anche utilizzabili per l’analisi quantitativa, ossia per dosare le quantità dei vari composti che costituiscono il campione analizzato, ad esempio per determinazioni di purezza di un prodotto. Le principali tecniche analitiche strumentali oggi in uso ricadono per lo più in una delle tre categorie delle analisi cromatografiche, delle analisi spettroscopiche e delle analisi elettrochimiche. Tutte queste tecniche si basano su uno strumento in grado di raccogliere i dati di interesse e su un computer dotato di un software in grado di elaborare il segnale traducendolo in un tracciato (spettro) o altro tipo di output che l’operatore possa leggere e interpretare. Metodi spettroscopici La spettroscopia è la misura e l’interpretazione delle radiazioni elettromagnetiche assorbite, diffratte o emesse da atomi, molecole o altre sostanze chimiche. L’assorbimento o l’emissione sono associate a cambiamenti negli stati energetici delle specie chimiche interagenti , ciascuna delle quali ha determinati stati energetici caratteristici, in base ai quali può essere identificata. L’eccitazione di elettroni a stati di più alta energia, sia per gli atomi che per le molecole, è associata ad assorbimento di

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PROF.  ALFONSO  DE  MARCO  

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Tecniche analitiche più usate per le sostanze organiche

Le tecniche analitiche strumentali sono un utilissimo strumento per identificare

sostanze incognite (analisi qualitativa), ad esempio per riconoscere tutti i

prodotti ottenuti in un processo di sintesi o per determinare la composizione di

un refluo industriale, o per indagini ambientali. Sono inoltre anche utilizzabili per

l’analisi quantitativa, ossia per dosare le quantità dei vari composti che

costituiscono il campione analizzato, ad esempio per determinazioni di

purezza di un prodotto.

Le principali tecniche analitiche strumentali oggi in uso ricadono per lo più in

una delle tre categorie delle analisi cromatografiche, delle analisi

spettroscopiche e delle analisi elettrochimiche. Tutte queste tecniche si

basano su uno strumento in grado di raccogliere i dati di interesse e su un

computer dotato di un software in grado di elaborare il segnale traducendolo

in un tracciato (spettro) o altro tipo di output che l’operatore possa leggere e

interpretare.

Metodi spettroscopici

La spettroscopia è la misura e l’interpretazione delle radiazioni

elettromagnetiche assorbite, diffratte o emesse da atomi, molecole o altre

sostanze chimiche. L’assorbimento o l’emissione sono associate a

cambiamenti negli stati energetici delle specie chimiche interagenti ,

ciascuna delle quali ha determinati stati energetici caratteristici, in base ai

quali può essere identificata. L’eccitazione di elettroni a stati di più alta

energia, sia per gli atomi che per le molecole, è associata ad assorbimento di

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radiazioni nel campo del vicino UV e del visibile (spettroscopia UV- Vis). Ad

energie di circa un ordine di grandezza inferiori sono invece associati i moti

vibrazionali delle molecole, che danno luogo ad assorbimenti nell’infrarosso

(spettroscopia IR). Vi è poi un tipo di spettroscopia basata sul momento

magnetico dei nuclei atomici e sulla loro interazione con campi magnetici

esterni (spettroscopia NMR). Infine, solidi cristallini possono essere analizzati

mediante diffrazione di raggi X per la determinazione della geometria del

cristallo.

Spettrofotometria UV

La strumentazione si compone di una sorgente di radiazione (lampada al

deuterio, lampada a incandescenza ecc.), un monocromatore, ossia un filtro

che permetta di sottoporre il campione a irraggiamento con luce

monocromatica, così da poter misurare l’intensità dell’assorbimento per ogni

singolo valore di ⎣, un sistema di specchi e fenditure tale da suddividere la

radiazione in due raggi uguali di cui uno colpisca il campione da analizzare e

l’altro il riferimento (di solito lo stesso solvente puro) in modo da azzerare le

sorgenti d’errore sistematico provenienti dal solvente, dalla cella e dallo

strumento.

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In ascissa è riportata la lunghezza d’onda, che può variare tra il vicino UV (200-

400 nm) e il visibile (400-700 nm). In ordinata l’assorbanza A, data da:

A = ∑CL

dove C è la concentrazione dell’analita in soluzione, espressa in mol L-1, L è la

lunghezza della cella in cm e ∑ è il coefficiente di estinzione molare espresso in

L mol-1cm-1. A è adimensionale.

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Spettrofotometria IR

La regione spettrale dell’infrarosso si estende dall’estremità rossa dello spettro

visibile fino alle microonde, cioè da 0,7 a 500⎧m di lunghezza d’onda. La zona

usata più di frequente si trova però a frequenze comprese fra 4000 e 400 cm-1

(⎣ compresa fra 2,5 e 50 ⎧m). La molteplicità di modi vibrazionali che hanno

luogo simultaneamente durante l’eccitazione produce uno spettro di

assorbimento complesso, caratteristico dei diversi gruppi funzionali presenti

nella molecola.

Esempio di spettro infrarosso relativo al m-dietilbenzene.

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Di seguito sono riportate le frequenze di assorbimento infrarosso caratteristiche

dei principali gruppi funzionali.

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Spettrometria NMR

Si tratta di una spettroscopia basata sul fatto che la rotazione dei nuclei

atomici su se stessi, a causa della loro carica elettrica, genera un campo

magnetico il quale, introdotto in un campo magnetico esterno uniforme, si

orienta. I nuclei così orientati, per effetto di una radiofrequenza applicata ad

un angolo opportuno, possono assorbire energia a specifiche frequenze

invertendo il proprio asse di rotazione.

Vi sono tipi di nuclei che non danno luogo a questo effetto, detto di risonanza

(NMR = Nuclear Magnetic Resonance), e altri che invece la presentano,

ciascuno a particolari e specifici valori di frequenza: fra questi vi sono gli isotopi

1H (il comune idrogeno, il più usato), 13C, 19F e altri. Limitandosi alla

spettroscopia 1H-NMR, questa può dare informazioni sul numero, tipo e

posizione degli atomi di idrogeno presenti in una molecola.

Spettrometria di massa

Il principio su cui si basa la spettrometria di massa è la possibilità di separare

una miscela di ioni in funzione del loro rapporto massa/carica generalmente

tramite campi magnetici statici o oscillanti. Tale miscela è ottenuta ionizzando

le molecole del campione, principalmente facendo loro attraversare un fascio

di elettroni ad energia nota. Le molecole così ionizzate sono instabili e si

frammentano in ioni più leggeri secondo schemi tipici in funzione della loro

struttura chimica.

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Il diagramma che riporta l'abbondanza di ogni ione in funzione del rapporto

massa/carica è il cosiddetto spettro di massa, tipico di ogni composto in quanto

direttamente correlato alla sua struttura chimica ed alle condizioni di

ionizzazione cui è stato sottoposto.

Spettrometria di diffrazione di raggi X

Questa tecnica, a seconda dell’apparato strumentale usato, può essere

applicata a cristalli singoli (sostanze organiche o inorganiche di cui è stato fatto

crescere un singolo cristallo, abbastanza grande da essere visibile e trasferibile

sul portacampione, e di cui si può determinare la struttura del reticolo

cristallino – lunghezze e angoli che caratterizzano la cella elementare) o a

materiali policristallini (oggetti solidi come lastrine di metallo, oppure polveri, in

cui numerosissimi microcristalli sono presenti e orientati casualmente in tutte le

direzioni). La tecnica a cristallo singolo è applicata più che altro per motivi di

ricerca, mentre la diffrazione da polveri ha numerose applicazioni industriali: il

diffrattogramma del campione può essere confrontato con quelli presenti in

archivio in modo da identificare per confronto le possibili fasi cristalline

presenti. E’ possibile anche, almeno in una certa misura, quantificare il

rapporto fra le fasi presenti.

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Tecniche cromatografiche

Si tratta di un gruppo di tecniche utili a separare miscele di sostanze organiche

nei loro componenti, per scopi sia analitici (qualitativi e quantitativi) che

preparativi (separazione e recupero dei diversi componenti).

TLC (Thin Layer Chromatography, o Cromatografia su Strato Sottile)

E’ una comune tecnica di laboratorio che consiste nel deporre, su una lastrina

di vetro, metallo o plastica rivestita di uno strato di SiO2, una goccia di

soluzione contenente le sostanze organiche da separare. La base della lastrina

viene poi immersa in una miscela di solventi (eluente) di opportuna polarità,

che salendo lungo la lastra trasportano i componenti della miscela in su, più o

meno velocemente in base alla polarità delle diverse molecole: le molecole

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più polari, più fortemente legate alla silice, saliranno meno o resteranno alla

base mentre le molecole apolari verranno trasportate più in alto. Quando

l’eluente è arrivato quasi in cima, si estrae a lastra e la si fa asciugare. Per

rivelare la posizione dei diversi componenti, qualora non siano in sé colorati e

quindi visibili (da qui il termine “cromatografia”) occorre rivelarli o con luce UV,

se si tratta di sostanze con doppi legami in grado di interagire con queste

radiazioni, oppure per trattamento con un opportuno reagente di sviluppo, in

modo da renderle scure.

Cromatografia su strato sottile (TLC)

Questa tecnica serve a capire, qualitativamente, quanti componenti sono

presenti in una data miscela; deponendo, al fianco della macchia relativa alla

miscela, una goccia di soluzione per ciascuno dei (presunti) componenti puri è

possibile identificare le varie macchie.

A questo punto, volendo procedere all’effettiva separazione dei componenti

della miscela, si può ripetere il procedimento più in grande, e nell’altro senso,

con una cromatografia su colonna.

In un tubo di vetro (colonna) munito di rubinetto e riempito di gel di silice (silice

in forma di polvere molto fine) si fa scendere la miscela di solventi che si vuole

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usare come eluente, finché la silice ne è completamente impregnata e l’aria

è tutta stata espulsa. Poi si deposita in cima alla colonna di silice uno strato,

quanto più possibile sottile, della miscela da separare. Il diametro della

colonna dipende dalla quantità totale di sostanza da separare e la

composizione dell’eluente dev’essere tale da assicurare una buona

separazione delle macchie in TLC. Poi si aggiunge in alto l’eluente e lo si fa

scendere, per gravità o applicando una pressione mediante aria compressa o

azoto (flash chromatography) raccogliendolo in basso in frazioni di opportuno

volume, che si possono poi analizzare per verificare in quale/i delle frazioni sia

contenuto il prodotto che interessa.

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Tecniche cromatografiche strumentali

La cromatografia su colonna può essere realizzata per via strumentale

mediante la tecnica detta HPLC (High Pressure Liquid Chromatography), qui

schematizzata:

Come si vede, i diversi solventi vengono miscelati e spinti lungo la colonna

mediante pompe ad alta pressione, e la miscela da analizzare si inietta e

viene spinta dall’eluente attraverso la colonna, all’interno della quale si trova

un’opportuna fase stazionaria solida. Il rivelatore può essere una lampada UV,

uno spettrometro di massa o altro, comunque i dati in uscita vengono gestiti

da un computer che traccia un cromatogramma, in cui l’altezza dei picchi è

proporzionale alla quantità di sostanza e il tempo di ritenzione dipende dalla

polarità del prodotto. Questa tecnica, a seconda delle dimensioni della

colonna, può essere usata per scopi sia analitici che preparativi.

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E’ possibile anche realizzare la cromatografia in fase gassosa

(gascromatografia), come si vede nello schema seguente:

La miscela da analizzare viene iniettata con una microsiringa nella camera di

iniezione, dove viene volatilizzata e miscelata al gas di trasporto (in genere H2

oppure He, a seconda del rivelatore che si usa) che la trasporta all’interno

della colonna.

Le moderne colonne capillari hanno una lunghezza variabile dai 15 ai 50 metri

ed uno spessore di 0.5 - 0,20 mm. La fase stazionaria liquida ricopre le pareti

interne della colonna con un film di pochi micron di spessore. Tra i rivelatori, i

più usati sono lo spettrometro di massa, il rivelatore a termoconducibilità,

entrambi di uso universale, il rivelatore a cattura di elettroni (ECD), per le

sostanze alogenate, il rilevatore a ionizzazione di fiamma (FID). Anche qui si

ottiene un cromatogramma simile a quello dell’HPLC. Questa è una tecnica

analitica, sia qualitativa che quantitativa.

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Tecniche di analisi termica

La calorimetria differenziale a scansione, nota anche con l’acronimo DSC

(dall’inglese differential scanning calorimetry) è, insieme alla termogravimetria

(TGA), la principale tecnica di analisi termica utilizzabile per caratterizzare molti

tipi di materiali. Il principio di base di queste tecnica consiste nel ricavare

informazioni sul materiale riscaldandolo o raffreddandolo in maniera

controllata. In particolare il DSC si basa sulla misura della differenza di flusso

termico tra il campione in esame e uno di riferimento mentre i due sono

vincolati ad una temperatura variabile definita da un programma prestabilito.

Tracciato di una calorimetria differenziale a scansione

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Le informazioni che si possono ottenere da questa tecnica di analisi vanno dal

calore specifico del materiale studiato, alle temperature a cui si verificano

transizioni di fase (processi fisici, quindi) esotermiche o endotermiche. Il

tracciato qui riportato riporta una temperatura di transizione vetrosa (il calore

specifico al di sopra della Tg è maggiore), un fenomeno di cristallizzazione

(esotermico) e uno di fusione (endotermico).

La termogravimetria è una metodica di analisi nella quale si effettua la

registrazione continua delle variazioni di massa di un campione, in atmosfera

controllata e in funzione della temperatura o del tempo. Questo tipo di analisi

riguarda lo studio dei fenomeni di decomposizione, di ossidazione, di perdita

del solvente di cristallizzazione e altri processi chimici irreversibili. I

termogravigrammi forniscono informazioni sui meccanismi e sulle cinetiche di

decomposizione delle molecole, tanto che possono essere utilizzati per il

riconoscimento delle sostanze.

Il principio di base di queste tecnica consiste nel ricavare informazioni sul materiale riscaldandolo o

raffreddandolo in maniera controllata. In particolare il DSC si basa sulla misura della differenza di

flusso termico tra il campione in esame e uno di riferimento mentre i due sono vincolati ad una

temperatura variabile definita da un programma prestabilito.

Le informazioni che si possono ottenere da questa tecnica di analisi vanno dal calore specifico del

materiale studiato, alle temperature a cui si verificano transizioni di fase (processi fisici, quindi)

esotermiche o endotermiche. Il tracciato qui riportato riporta una temperatura di transizione

vetrosa (il calore specifico al di sopra della Tg è maggiore), un fenomeno di cristallizzazione

(esotermico) e uno di fusione (endotermico).

La termogravimetria è una metodica di analisi nella

quale si effettua la registrazione continua delle

variazioni di massa di un campione, in atmosfera

controllata e in funzione della temperatura o del

tempo. Questo tipo di analisi riguarda lo studio dei

fenomeni di decomposizione, di ossidazione, di

perdita del solvente di cristallizzazione e altri

processi chimici irreversibili. I termogravigrammi

forniscono informazioni sui meccanismi e sulle

cinetiche di decomposizione delle molecole, tanto

che possono essere utilizzati per il riconoscimento

delle sostanze.

Tracciato di una calorimetria differenziale a scansione