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Corso di Laurea Magistrale in storia dal medioevo all’età contemporanea D.M. 270/2004

Tesi di Laurea

I francesi e il Nord America. Relazioni di viaggi nella nuova Francia nel 1600

Relatore

Ch. Prof. Luciano Pezzolo

Ch. Prof. essa Michèle Virol

Correlatore

Ch. Prof. Giorgio Politi

Ch. Prof. Mario Inflelise

Laureando

Marco Zanatta

854999 Anno Accademico

2015/ 2016

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3

Indice

Introduzione Pag.3

Dei selvaggi, ovvero la prima relazione di Samuel de

Champlain Pag.10

I viaggi di Champlain del 1615 e del 1618 Pag.38

L’Acadia alla fine del XVII secolo Pag.75

Conclusioni Pag.98

Bibliografia Pag. 100

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4

Introduzione

La presente ricerca prevede, come suo scopo fondamentale, l’analisi di alcuni testi

riguardanti la storia dell’espansione francese in Nord America, in quella che, a suo

tempo, veniva chiamata la Nouvelle France, e che oggi comprende principalmente la parte

est del Canada. Conviene ricordare che non si tratta dell’unico territorio soggetto alle

attenzioni della corte di Francia in America, basti ricordare la France Antartique, facente

parte dell’attuale Brasile, i Caraibi e la Florida.

La storiografia su questo argomento è, ovviamente, molto vasta. Durante il periodo della

terza repubblica (1870-1940) la mole di lavori compiuti dagli storici in questo ambito è

stata considerevole, in particolar modo è stata importante l’opera di coloro che, a livello

politico, appoggiavano l’imperialismo. Essi vedevano nel colonialismo del XVI-XVII

secolo, in ambito nordamericano, l’antenato dell’espansione che, tra XIX e XX secolo,

ebbe come scenari l’Asia e l’Africa. Nel 1918, in occasione del bicentenario della

fondazione di New Orleans, lo storico francese Gabriel Hanotaux scrisse che i francesi

non sono brutali conquistadores, ma veri e propri apostoli della civiltà ( La Salle è

descritto come un seminatore di cultura )1. Anche nel periodo antecedente alla seconda

guerra mondiale possiamo ritrovare questa ideologia. Nel 1938 Gabriel Louis Jaray

scrisse che il successo delle azioni francesi in Nord America è dovuto alle grandi qualità

di quest’ultimi. Sempre nello stesso periodo, Georges Hardy scrisse che le deportazioni e

sterminio dei nativi, utilizzati da molti paesi stranieri, faceva ripulsione al re di Francia e

alla sua corte2. Fatta eccezione per l’interessante opera di Emile Salone, uscita nel 1905

ed intitolata La colonisation de La Nouvelle France, dove l’autore analizza lo sviluppo

economico e sociale del Canada, la storia raccontata riguarda principalmente l’ambito

politico e militare.

1 Havard G., Vidal C., Making new France new again, in “Common-place The Interactive Journal of Early

American Life”, vol.7,2007, n.4 2 Ibidem

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5

Negli anni che seguirono la Seconda Guerra Mondiale la produzione storiografica su

questo tema andò incontro ad un netto declino ( non fu l’unico argomento che subì tale

sorte, anche la Francia collaborazionista di Vichy non fu più oggetto di studi per molti

anni ), sarebbe sicuramente scomparsa se non fosse stato per alcune figure di intellettuali

come Marcel Giraud, autore di numerose opere, di cui alcune pubblicate solo in inglese.

Le motivazioni possono essere svariate: dal dramma della guerra d’Indocina e d’Algeria,

alla decolonizzazione, a motivazioni di carattere prettamente storico, come la perdita di

tali colonie prima della Rivoluzione Francese e la sua scarsa importanza a livello

economico. Gli storici del periodo preferirono concentrare il loro interesse su studi

storico-antropologici riguardanti il Sud America, dove la presenza francese fu sempre

marginale.

Differente è stato invece il percorso degli studiosi nord americani, sia per gli anglofoni

che per i francofoni. Per gli storici americani l’ambito più studiato è stata la Louisiana (

che ha visto negli anni recenti un forte numero di opere pubblicate sulla sua storia ) con

forti limitazioni specifiche: è spesso vista come terra di confine, come era effettivamente

per i coloni inglesi ma non per i francesi, ed è spesso considerata solo per la piccola

appendice che ha dato nome all’attuale stato nordamericano. In Canada invece, al

contrario di quello che è successo in Francia, molto forte è stata l’influenza della scuola

degli annales, per quello che concerneva le tematiche trattate nelle varie opere, come

quella di Louise Dechêne, intitolata Habitants et marchands de Montréal au XVIIe siècle,

uscita nel 1974. Facendo fede alla formazione degli annales, il libro presenta un’analisi

quantitativa del censo, dei registri parrocchiali e degli atti notarili. È grazie agli storici

canadesi, sia francofoni che anglofoni, che la situazione di questi studi è recentemente

cambiata: essi infatti hanno sviluppato il concetto di “French America”, promuovendo

studi comparati su tutte le colonie, compresi i Caraibi.

Per poter analizzare questa espansione bisogna, prima di tutto, delineare i tre attori

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6

principali che l’hanno portata avanti: lo Stato, la Chiesa e i mercanti. Come sottolineato

da Brian Brazeau3, questi tre attori hanno motivazioni differenti ma interessi comuni. Lo

Stato, ad esempio, concedeva ai mercanti il monopolio e in cambio chiedeva il trasporto

dei coloni verso le nuove terre. Aveva inoltre bisogno dell’opera evangelizzatrice dei

missionari, tra cui spiccano in modo particolare i gesuiti. Poi tra questi e i mercanti ci

sono legami più fini ma non meno importanti. I missionari infatti necessitavano

dell’opera dei mercanti per instaurare un primo rapporto con le popolazioni indigene,

mentre l’evangelizzazione può venire utile dal momento in cui il rapporto commerciale

inizia ad essere ben avviato, per stabilire delle regole che altrimenti non sarebbe possibile

avere. Queste figure, per così dire ufficiali, sono però solo la punta dell’iceberg.

Importanti, per non dire fondamentali, sono le attività economiche delle città portuali,

dei loro mercanti, dei loro marinai e dei loro pescatori ( tra cui i più attivi sono

principalmente i baschi, che sfruttano i banchi di pesca di merluzzi al largo di Terra-

Nova ).

Per procedere nello studio di questo argomento ho analizzato, in tre capitoli, tre

memorie di viaggio redatte in periodi differenti, precedute da una descrizione degli

eventi accaduti nel lasso di tempo che intercorre tra i due viaggi, sia nell’ambito

geografico di cui il presente lavoro si occupa, sia in Francia, dove vengono prese le

decisioni più importanti.

Oramai diventate testimonianza abituale per lo storico, le relazioni di viaggio rientrano

nel genere della letteratura di viaggio , insieme con i diari e le corrispondenze dei

viaggiatori, con eventuali articoli scritti per giornali e gazzette, memorie e autobiografie.

Esse fanno quindi parte di un genere ben preciso, con regole e aspetti ben definiti, che

ha avuto un grande successo in epoca moderna. Per quanto riguarda le relazioni dei

3 Brazeau B., Writing a New France, 1604-1632, Farnham, 2009.

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viaggi verso l’America, Alexandre Cioranescu ne individua uno sviluppo in tre fasi4. La

prima fase corrisponde alla scoperta e ai primi anni, nel periodo tra Medioevo e

Rinascimento. L’esempio letterario a cui questi uomini si rifanno, e Colombo più di

tutti, è Marco Polo e il suo Milione. Ovviamente prendere il mercante veneziano come

esempio comportava alcune problematiche: il suo processo è a senso unico, tutto quello

di conosciuto e di mai visto viene trasformato in oggetto comune. Con tale processo si

ottiene l’assimilazione di questi oggetti al mondo conosciuto, creando così un’atmosfera

di incredulità e miracolo, che però non sembra disturbare il lettore medievale. Tra questi

autori, come già detto, il più importante è Colombo. Spettatore entusiasta, dobbiamo

però ricordare che egli pensava di essere arrivato in Cina, e quindi era convinto di

descrivere cose già viste dal veneziano. È anche per questo che quando deve parlare di

qualcosa gli dà un nome già conosciuto. Tutto questo va a danno della precisione e le

indicazioni ottenute risultano quindi poco comprensibili e inducono a false

rappresentazioni.

La seconda fase si distingue dalla prima in quanto viene mantenuto il nome originario.

Ovviamente, per poter arrivare a questo punto, si ha bisogno di una certa familiarità con

la realtà osservata. Lo stesso Colombo alla fine delle sue opere inizia ad usare nomi

indigeni. Questo cambiamento permette maggiore precisione e la possibilità di dare

sfumature che prima non sarebbero state possibili.

La terza e ultima fase invece riguarda la descrizione della realtà. Essendo nuova esige

che, dopo aver dato un nome nuovo alle cose, si renda visibile questa novità alla

scrittura. Le descrizioni, che in Colombo sono rare, si fanno sempre più frequenti e

insistenti. Las Casas ne è un esempio: pur usando una tecnica medievale, ovvero la

sostituzione di un oggetto sconosciuto in uno conosciuto, ne crea una nuova

descrizione. Essa è nuova perché l’oggetto non è più da definire o da rappresentare, ma

4 Cioranescu A., La découverte de l’Amérique et l’art de la description, in “Revue de science humaines” 106, 1962,

pp 161-168

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da adornare.

Infine due brevi annotazioni vanno fatte sulle differenze tra le relazioni più vecchie e

quelle più nuove: le prime sono enumerative, nel senso che l’oggetto è polverizzato in

una grande quantità di dettagli, invece le seconde sono costrette ad operare una certa

sintesi, in quanto si ricercano i tratti precisi che hanno il dono di individuare tali oggetti.

Infine le più antiche, reputandosi un tema poetico, si applicano solo sugli oggetti ritenuti

poetici e belli, mentre la nuova descrizione tratta di oggetti senza dubbio più umili. È

grazie a questo cambiamento e al fatto che non ci siano regole stereotipate da seguire

che si può fare affidamento solo sulla propria osservazione, ed è qui che essa compare

per la prima volta in ambito letterario. Infine Cioranescu conclude la sua osservazione

dicendo che mettere gli uomini davanti a fatti nuovi li porta a rinnovare gli strumenti

della loro conoscenza e iniziano a analizzare gli oggetti nella loro singolarità e nella loro

specificità.

La prima relazione di cui tratterò, scritta nel 1603, è opera di Samuel de Champlain, e si

intitola: “De sauvages, ou voyage de Samuel Champlain, de Brouage fait en la France nouvelle, l’an

mil sixcenstrois”. Considerato il padre fondatore della Nuova Francia, egli descrive il suo

primo viaggio, dalla partenza da Honfleur al successivo ritorno in Francia, parlando dei

luoghi da loro esplorati e le popolazioni indigene incontrate.

La seconda relazione, sempre opera di Champlain, racconta il viaggio da egli compiuto

dal 1615 al 1618, ed è intitolata “ Voyages et decouvertures faites en la nouvelle france, depuis

l’année 1615 iusques à la fin de l’année 1618. Par le Sieur de Champlain, Cappitaine ordinaire pour

le Roy en la Mer du Ponant.”

Infine la terza relazione, opera del signore di Diereville, descrive il viaggio che egli

compì dal 1699 al 1700, poi successivamente stampata a Rouen nel 1708, si intitola:

"Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France".

L’interesse francese verso queste terre iniziò già sotto il regno di Francesco I, agli inizi

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del 1500, e finisce politicamente parlando con la sconfitta nella guerra franco-indiana ( e

più in generale con la sconfitta nella guerra dei sette anni ). Dopo il 1763 non venne

comunque meno l’importanza della presenza sociale e culturale francese sotto il nuovo

padrone inglese. Guardando la cartina del Canada ( ma anche degli Stati Uniti ) ci

rendiamo infatti conto che molti toponimi sono di origine francese, come Montreal,

Detroit ( che in francese significa stretto), New Orleans ( che si chiamava Nouvelle

Orleans, e faceva parte della Louisiana, così chiamata in onore del Re Sole ), Trois

Riviere, Cap Breton… Inoltre, dopo la conquista inglese, alcuni franco canadesi hanno

occupato ruoli di primaria importanza a livello politico.

Il governatore generale del Canada, rappresentante della monarchia del

Commonwealth, eletto direttamente dal re o dalla regina. In questa carica sono stati

nominati numerosi franco-canadesi: Georges Venier ( settembre 1959, marzo 1967 ),

Jules Le Ger ( gennaio 1974/gennaio 1979 ), Romeo Le Blanc ( febbraio 1995/ottobre

1999 ) e Michaelle Jean ( settembre 2005/ottobre 2010 ). Vi sono stati anche primi

ministri ( ovvero capi del governo canadese) nativi del Quebec, come Luis Saint Laurent

( in carica dal 15 novembre 1948 al 21 giugno 1957 ) e Pierre e Justin Trudeau (

rispettivamente padre e figlio, il primo in carica prima dal 20 aprile 1968 al 3 giugno

1979, venne poi rieletto il 3 marzo 1980 fino al giugno 1984, il figlio invece è stato eletto

nel novembre 2015, ed è attualmente in carica). Anche tra i giudici della corte suprema

vi sono stati numerosi franco canadesi.

E infine, anche se la Nuova Francia fondata da Champlain e difesa fino alla morte da

Montcalm non tornerà più, essa vive nel francese puro parlato dai suoi abitanti, nella

religione cattolica seguita dalla maggioranza dei suoi cittadini, e non dobbiamo

dimenticare che la Francia, tra i suoi territori d’oltremare, annovera Saint Pierre e

Miquelon, un gruppo di isole poco a sud di Terranova, e vi vivono oggi circa 6.000

francesi.

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Dei selvaggi, ovvero la prima relazione di Samuel de

Champlain

Il presente lavoro parte dunque dalla prima relazione in ordine cronologico, ovvero

quella di Samuel de Champlain, scritta nel 1603. Ritengo però opportuno fare una breve

introduzione all’espansione francese in Canada e agli eventi ad essa collegata.

Da Colombo a Champlain

Nel 1494, come è ben noto, era stato concluso tra Spagna e Portogallo il trattato di

Tordesillas, che divideva in due zone di influenza il mondo allora conosciuto,

attribuendo alla prima i territori ad ovest della linea che partiva a 1770 chilometri da

Capo Verde, mentre al Portogallo sarebbero andati i territori ad est di tale linea. La

monarchia francese, probabilmente troppo concentrata sullo scenario europeo, si

interessò poco all’ espansione oltremare, tanto che nel 1490 si rifiutò di finanziare una

spedizione proposta da Bartolomeo Colombo, fratello di Cristoforo.

Ci fu un parziale cambiamento di pensiero dopo la spedizione di Magellano, quando

alcuni banchieri italiani operanti a Lione e alcuni mercanti di Rouen e di Dieppe, insieme

con il potente armatore Jean Ango, decisero di finanziare una spedizione atta a

raggiungere la Cina, che però doveva prendere la rotta di Nord Est. A capo di questa

spedizione, che aveva anche il sostegno di Francesco I, venne nominato il fiorentino

Giovanni da Verrazzano. Partito da Madeira nel gennaio del 1524 con una sola nave, la

Dauphine, arrivò sulle coste della Carolina del Nord una cinquantina di giorni più tardi.

Dopo aver visitato prima le coste dell’attuale New York, poi quelle di Cap Bretone e

ritornò a Dieppe l’8 luglio.

Il successivo tentativo di compiere spedizioni verso questa parte del mondo partì da

Jean le Veneur, grande elemosiniere di Francesco I. Fu lui a presentargli Jacques Cartier,

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esperto pilota di navi. La spedizione, finanziata direttamente dalla corona, partì nel 1534.

Cartier arrivò a Terra-Nova con due navi e, costeggiandola, scoprì il golfo del fiume San

Lorenzo, che inizialmente credeva poter essere la Cina, ma dovette poi ricredersi.

Questo viaggio fu importante perché si verificò uno dei primi contatti tra europei e

indigeni, in questo caso amerindiani appartenenti alla tribù dei Micmacs ( una delle tribù

delle cosiddette First Nation ), con i quali i francesi effettuarono piccoli scambi

commerciali. In seguito, nel risalire il fiume San Lorenzo, incontrarono anche alcuni

membri della tribù degli Irochesi. Tuttavia con questi i rapporti non furono buoni,

anche a causa di alcuni errori da parte francese ( come aver fatto erigere una croce senza

aver prima ottenuto il permesso dal loro capo ). Al successivo incontro, avvenuto sulla

nave francese, Cartier chiese a Donnacona, capo degli irochesi, di far partire con lui due

suoi figli che, gli assicura, saranno ben trattati in Francia, ma in cambio non vuole

lasciare alcun francese. Suo intento era sia quello di portare al re questi oggetti viventi,

che avrebbero sicuramente colpito l’interesse del sovrano, ma anche quello di formare

degli interpreti che sarebbero stati molto utili per le spedizioni successive. Viste poi le

difficili condizioni atmosferiche e l’imminente avvicinarsi dell’inverno fu costretto a

tornare in Francia, dove arrivò ai primi di settembre. Nonostante gli esiti non molto

positivi gli venne comunque affidata una seconda spedizione, motivata anche dalla

ricerca del “Royame du Saguenay”, di cui i figli di Donnacona avevano descritto al re le

favolose ricchezze.

In questo secondo viaggio, che avvenne nel 1535, ebbe a disposizione tre navi, per un

totale di cento persone e con viveri calcolati per 15 mesi. Dopo un viaggio difficile riuscì

finalmente ad arrivare in Nord America, dove i figli di Donnacona gli indicarono il

cammino per il villaggio ( che in lingua Irochese si dice Canada ). Dopo aver navigato

lungo il San Lorenzo Cartier si rese conto, a malincuore, che non si trattava di un

braccio di mare ma di un fiume, così ai primi di settembre decise di tornare a Stadaconnè.

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Anche questa volta sorsero problemi tra i francesi e gli autoctoni: Cartier infatti aveva

installato un accampamento senza aver prima chiesto permesso ai capi indigeni, poi non

ascoltò le richieste di Donnacona di non andare a Hochelaga. Egli si trovò così a dover

affrontare l’esplorazione del San Lorenzo senza interpreti e guide. Arrivato a Hochelaga

venne accolto bene dagli Irochesi, ma una volta arrivato alle rapide di Lachine fu

costretto a tornare indietro, per l’impossibilità di passarle. Fu un duro inverno per i

francesi a Stadaconne e, come se non bastasse, le relazioni coi nativi si deteriorarono a

tal punto che essi furono costretti a barricarsi dentro i loro forti, dove si sviluppò anche

un epidemia di scorbuto, debellata grazie a un rimedio indiano ( non prima comunque

che trovassero la morte circa 25 francesi ). Il 13 maggio 1536 levò l’ancora in direzione

della Francia con a bordo 10 indiani, di cui nessuno tornerà più in America.

Questo fu un periodo molto difficile per la Francia impegnata nelle logoranti guerre

contro Carlo V: tuttavia dopo la pace di Nizza Francesco I riuscì , con l’intermediazione

di Cartier, ad incontrare Donnacona. Dinnanzi al re egli descrisse le ricchezze del regno

di Saguenay, e Sua Maestà si convinse così a finanziare un'altra spedizione, ideando poi il

primo vero e proprio progetto di colonizzazione del Nord America. Questo progetto,

mai realizzato, prevedeva l’invio di quattrocento coloni ( di diversa estrazione sociale e

praticanti diversi mestieri ) con viveri sufficienti per due anni. L’obiettivo di questo

progetto era la creazione di una colonia a Stadacconè ma, come ho già scritto, non

venne mai realizzato.

A questa spedizione partecipò anche Jacques Cartier. Egli venne nominato

semplicemente maitre pilote, in quanto, in questo viaggio partecipava in qualità di

luogotenente del Canada, Jean-François de La Rogue, signore di Roberval. La

spedizione ebbe però problemi fin dall’inizio, in quanto Roberval fu costretto a

rimandare la sua partenza, e Cartier partì quindi per Terranova con cinque navi. Dopo

aver aspettato inutilmente l’arrivo del resto della flotta, decise di muoversi da solo verso

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il San Lorenzo, dove incontrò gli indiani stanziati a Stadaconè. Anche qui, come nei due

viaggi precedenti, commise alcuni errori che non gli permisero di stringere rapporti

amichevoli con gli indigeni. Per prima cosa rifiutò un dono, una collana di conchiglie

che il capo gli aveva posto direttamente sulla testa, interpretandolo come un tentativo di

renderlo suo vassallo. Poi, come già fece nel suo precedente viaggio, costruì un

accampamento fortificato senza chiedere il permesso ai nativi. In questo luogo,

chiamato Charlesbourg-Royal vennero trovate : “des pierres comme des diamants, les plus beaux,

les mieux polis et le mieux taillés qu’on puisse voir”5. Una volta tornato in Francia però scoprì

che si trattava unicamente di quarzo e di pirite di ferro. A settembre si rimise in marcia,

sempre nella speranza di trovare il “Royame du Saguenay”, ma si bloccò di nuovo

davanti alle rapide di Lachine. Tornato al suo accampamento, dovette affrontare un altro

inverno molto difficile, anche a causa delle ostilità degli indigeni, e alla fine decise di

tornare in Francia. Arrivato a Terranova vi trovò la spedizione di Roberval, appena

arrivata dalla Francia, che consisteva di tre navi e duecento uomini. Egli comandò a

Cartier di venire con lui in Canada, ma questi decise di disertare la spedizione, e

Roberval si trovò quindi da solo ad affrontare il viaggio. Non avendo conoscenze

geografiche della regione, il suo compito risultò quanto mai difficile. Pensò di prendere

possesso della vecchia Charlesburg-Royal, ribattezzandola France-Roy. Dopo un lungo

inverno, dove i francesi furono anche colpiti dallo scorbuto, decise di andare a cercare il

paese di Saguenay: ma non avendo trovato nulla decise di tornare in Francia.

Bisognerà attendere la fine del secolo per vedere rinascere un interesse coloniale

francese verso le terre nordamericane. Nel 1587, nel pieno delle guerre di religione,

Enrico III concesse a Troïlus de Mesgouez, signore di La Roche, il titolo di “ Viceroy

esdites terres neve et pays qu’il prendra et conquestra sur lesdits barbares”6. Sfortunatamente però la

sua spedizione non ebbe successo: un primo vascello venne infatti catturato dagli inglesi,

5 Havard G.,Vidal C., Histoire de l’Amerique française, Paris, 2014, pag.43

6 Ivi, pag.61

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mentre un altro fece naufragio al largo di Brouage, con trecento coloni a bordo.

Sempre nello stesso periodo, il nipote di Cartier, Jacques Noel, risalì il San Lorenzo fino

a Montreal. Rendendosi conto del guadagno che avrebbe potuto ricavarne, sollecitò il

Re affinché gli concedesse il monopolio sulla valle di questo fiume. Il Re glielo concesse

per dodici anni, richiedendo in cambio che egli costruisse e popolasse alcuni forti, che

sarebbero serviti come punto d’appoggio per il commercio. Questo monopolio però,

sulla pressione dei mercanti di Saint-Malo che desideravano un commercio libero, gli

venne revocato. Le esplorazioni per un paio d’anni si fermarono ma ripresero alla fine

delle guerre di religione con rinnovato slancio. Enrico IV decise di promuovere il nuovo

progetto del signore di La Roche, che intendeva colonizzare l’Ile de Sable, situata al

largo della Nova Scotia. La Roche, nominato per l’occasione luogotenente generale del

Re per “Canada, Hochelaga, Terre-neuves, Labrador, riviere de la Grande Baye, de Norembergue et

terres adjacentes”7,lasciò cinquanta uomini all’Ile de Sable, di cui solo undici tornarono in

Francia sei anni dopo. Nel 1599 il Re decise di affidare il monopolio della tratta delle

pelli a Pierre de Chauvin de Tonnetuit, un mercante protestante, che in cambio doveva

“abituer le païs et bastir forteresse”8. In estate, nonostante il suo territorio fosse stato ridotto

dopo le proteste di La Roche, si recò a Tadousac accompagnato da François Gravè du

Pont, mercante di Saint-Malo, e Pierre du Gua de Monts, un gentiluomo protestante.

Arrivati a destinazione, anche grazie ad un accordo con i Montagnais, La Roche fece

costruire un’abitazione in cui vi lasciò sedici uomini. Partito per la Francia alla fine della

stagione della tratta, lasciò gli uomini furono soli ad affrontare un inverno molto

difficile, reso ancora più duro dalla proliferazione della dissenteria. I vascelli tornati per

accertarsi dello stato della colonia trovarono pochi superstiti salvati dai Montagnais.

Anche questo programma era andato incontro ad un cocente fallimento, perché come

ha affermato lo storico John Dickinson “Les marchands visaient une rentabilitè accrue et la

7 Havard G., Vidal C.; Histoire de l’Amerique française, Paris, 2014, pag.62 8 Ivi, pag.63

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traite n’exigeait qu’un petit nombre de facteurs pour entrenir de bonnes relations avec les tribus

amerindiennes qui produisaient les pelletteries et les transportaient au comptoir. […]quelques gens

d’armes pouvaient etre utiles pour eloigner les concurrentes, mais toute depens suplementaire reduisait

d’autant les profits […] Dans ces conditions, il serait illusoire de croire que des marchands

s’empressarient de promouvir la colonisation sans y etre poussés par uné volonté politique ferme et

efficace”9. Nel 1602 il re decise di dividere il monopolio tra Chauvin e i mercanti di Rouen

ma, alla morte di questi nel 1603, sarà Aymar de Chaste, membro del suo consiglio di

stato, a prenderne il posto. Egli decise di mettere su una spedizione comandata da Gravè

du Pont, la prima di cui io parlerò in questo mio lavoro.

Des Sauvages10, ovvero la prima relazione di Samuel de

Champlain

In questa spedizione, in qualità di semplice osservatore, vi partecipò un cittadino di

Brouage, già pratico marinaio ed esploratore, con formazione di cartografo: Samuel de

Champlain, futuro fondatore di Quebec.

La relazione comprende alcune parti preliminari, brevi ma importanti. La prima consiste

in un estratto del privilegio del Re, ovvero nella possibilità data a Champlain di “faire

imprimer par tel Imprimeur que bon luy semblera un livre par luy composé, intitulé, Des sauvages, ou

Voyage du Sieur de Champlain, fait en l’an 1603”11. Questo privilegio, concesso a Claude de

Montrœil, stampatore presso l’Università di Parigi, prevede che egli sia l’unico che, per il

periodo di cinque anni, possa stampare e far diffondere l’opera, pena per gli altri di “

cinquante escus d’amende, de confiscation, e de tous despens, ainsi qu’il est plus amplement contenu

9 Havard G., Vidal C.; Histoire de l’Amerique française, Paris, 2014, pp. 64-65 10 Champlain S., Des sauvages ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la france nouvelle l’an mil six cens trois. Paris, 1603 11 Champlai S., Des sauvages, ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la France nouvelle l’an mil six cens trois, Paris, 1603, privilege

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audit Privilege”12.

A seguire troviamo poi la dedica a Charles de Montmorency-Damville “ Chevalier des

Ordres de Roy, Seigneur d’Ampuille, & de Meru, Compte de Segondigny, Vicomte de Meleun, Baron

de Chasteau-neuf, e de Gonnort, Admiral de France & de Bretaigne”13. Egli è quindi, come

indicato dal titolo Admiral de France, capo della flotta. La relazione su questi luoghi,

visitati di persona ( per poter rendere migliore testimonianza), è quindi a lui dedicata,

concludendo che “Ie prieray Dieu, Monseigneur, pour vostre grandeur & prosperité”14,

firmandosi “Vostre tres-humble & obeissant serviteur S.Champlain”15.

Infine, prima della relazione vera e propria, troviamo un invocazione alle Muse in cui

vengono brevemente descritte le esperienze già avute da Champlain, tra le altre “Il a veu

le Perou, Mexicque, & la merveille Du Vulcan infernal qui vomit tant de feux, et les saults

mocasans”16 e conclude con una dichiarazione d’intenti, specificando lo scopo della

spedizione: “Il nous promet encor de passer plus avant Reduire le Gentils & trouver le Levant, par le

Nort, ou le Su pour aller à la Chine.”17

A seguire viene poi indicata la Table de chapitres, ovvero l’indice generale dei capitoli, con

annessa una breve descrizione degli stessi e il numero di pagine che ognuno di loro

occupa.

Bref discours, où est contenu le voyage depuis Honfleur en

Normandie, iusques au port de Tadousac en Canadas18.

La spedizione parte quindi dal porto di Honfleur il 15 marzo 1603. Pochi giorni dopo la

partenza vengono avvistate “Orgny e Grenesey, qui sont des isles entre la coste de Normandie e

12 Champlain S., Des sauvages ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la france nouvelle l’an mil six cens trois. Paris, 1603, privilege 13 Ivi, A tres-noble,haute et puissant Seigneur, Messire Charles de Montmorency 14 Ibidem 15 Ibidem 16 Ivi, Le sieur de la Franchise au Discours du Sieur de Champlain 17 Ibidem 18 Ivi, Des Sauvages, pag.1

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17

Angleterre”19. Nessuna notizia viene fornita su eventuali avvenimenti che siano successi

all’interno della nave, e in generale ci sono pochi accenni ad eventi non di tipo

meteorologico o a descrizioni di tipo geografico. Viene però descritto un interessante

incontro avvenuto “Le 21 à 17 heures du matin nous rencontrasmes 7 vaisseaux Flamans, qui à

nostre iugement venoient des Indes”20. I giorni seguenti furono caratterizzati da una grande

tempesta durata diciassette giorni, di cui i primi furono i peggiori. Il 16 Aprile il tempo

migliorò in maniera considerevole. Il giorno 28 Aprile venne avvistato un grande banco

di ghiaccio, lungo otto leghe, che impedì loro il passaggio: essi stimarono la loro

posizione a cento, cento venti leghe dal Canada. Il banco, che era situato sul 45esimo,

venne superato lungo il 44esimo parallelo. Il 6 maggio oramai la terra è vicina, però per

via della scarsa visibilità non era possibile vederla, anche se il movimento del mare ne

indicava comunque la presenza.

La prima terra avvistata fu “le cap de Saincte Marie”21, poi venne la volta dell’isola di Saint

Pierre, e poi : “Cap de Raie, e isles de Sainct Paul, & Cap de Sainct Laurent qui, est terre ferme à

la bande du su: & du dict Cap de Sainct Laurens iusques audit Cap de Raie, il y a dixhuict lieuës,

qui est la largeur de l’entree de la grande baie de Canadas”22. Ancora altre isole verranno visitate

nei giorni seguenti fino a che non arriveranno ad Anticosty, “l’entree de la riviere de

Canadas”23 per arrivare, il 26 a Tadousac, all’entrata del fiume Saguenay. Questo luogo

presenta alcune caratteristiche: “est petit,où il ne pourroit que dix ou douze vaisseux”24 e ha, alle

sue estremità, due promontori: “l’une de costé de Ouest contenant une lieuë en mer, qui s’appelle

la pointe de sainct Mathieu, & l’autre de costé de Suest contenant un quart de lieuë, qui s’appelle la

pointe de tous les Diables”25 e questi due luoghi distano meno di una lega tra di loro.

19 Champlain S., Des sauvages ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la france nouvelle l’an mil six cens trois. Paris, 1603, pag.1 20 Ibidem 21 Ivi, pag.2 22 Ibidem 23 Ibidem 24 Ivi, pag.3 25 Ibidem

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18

Bonne reception faicte aux François par le grand Sagamo des

Sauvages de Canada, leurs festins & danses, la guerre qu’ils ont avec

les Irocois, la façon & dequoy sont faicts leurs Canots & Cabanes:

Avec la description de la poincte de Sainct Mathieu26.

All’atteso incontro con i selvaggi, che si tenne nella capanna del loro capo, Champlain vi

partecipò insieme a Gravè du Pont e con due nativi che erano stati portati in Francia

apposta per poter apprendere la lingua e poter fare le veci dei francesi presso il Sagamo (

che in lingua

nativa

significa capo

). Appena

giunti essi

“nous fusmes à

la cabanne de

leur grand

Sagamo qui

s’apelle

Anadabijou, où

nous le trouvasmes avec quelque 80. ou 100. de ses compagnons qui fasoient Tabagie”27. Il termine

Tabagie indica una festa, in questo caso fatta per la vittoria nella guerra contro gli

Irochesi. A questo punto uno dei nativi che era stato portato in Francia ( ricordiamo che

questo fatto era una pratica diffusa, in modo da poterli istruire per farne degli interpreti,

ma anche come “oggetti preziosi” da far vedere al Re) si alzò e cominciò a parlare,

descrivendo prima “ la bonne reception que leur avoit fait le Roy, & le bon traictement qu’ils

26 Champlain S., Des sauvages ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la france nouvelle l’an mil six cens trois. Paris, 1603, pag.3 27 Ibidem

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19

avoient receu en France, & qu’ils s’asseurassent que sadite Majesté leur vouloit du bien, & desiroit

peupler leur terre, & faire paix avec leurs ennemis ou leur envoyer des forces pour les vaincre”28 in un

silenzio rigoroso questi continuò il suo discorso e così concluse “comptant aussì les beaux

Chasteaux, Palais, maisons & peuples qu’ils avoient veus, e notre façon de vivre”29. A questo punto

egli si sedette, il Sagamo si alzò e offrì la pipa a Gravè du Pont, a Champlain e agli altri

capi. Non vi erano presenti infatti i membri di una sola nazione indigena ma di tre:

Algonchini, Montagnais e Etchemins.

Dopo che tutti ebbero fumato il grande capo si rialzò e ricominciò a parlare, dicendo

che “ils devoient estre fort contens d’avoir sa dicte Majesté pour grand amy … Qu’il estoit fort aise que

sadicte Majesté peuplast leur terre, & fist la guerre a leurs ennemis, qu’il ny avoit nation au monde a

qu’ils voulussent plus de bien qu’aux François”30. Finito il suo discorso, essi uscirono dalla

capanna per unirsi ai festeggiamenti. Segue la descrizione delle carni e della selvaggina e

di come esse vengono cotte e preparate su dei calderoni appositi. Vi è poi l’usanza da

parte di alcuni guerrieri di prendere un cane e di gettarlo ai piedi del Sagamo. Un altro

compie lo stesso gesto, e così via sino a quando la carne non è ben cotta. Iniziano poi le

danze, uno o due tengono il tempo cantando e tenendo le mani sulle ginocchia.

Il giorno 28 poi i nativi si recarono per esplicito volere del loro grand Sagamo a Tadousac

con le loro famiglie a bordo di canoe piene di pelli. Queste imbarcazioni vengono

descritte come: “Canos ont quelque huict ou neuf pas de long, & large comme d’un pas … ils sont

faicts d’escorce d’arbre appellé Bouille”31 e sono leggere, di modo che siano anche facilmente

trasportabili. Le capanne erano invece basse, costruite anch’esse con la stessa scorza

d’albero, con un apertura in alto per permettere al fumo di uscire e alla luce di entrare.

Per dormire essi usavano delle pelli, dove dormono normalmente più persone, e pure i

cani. Il capitolo si conclude con la descrizione della punta di San Mattia, luogo dove si

28 Champlain S., Des sauvages ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la france nouvelle l’an mil six cens trois. Paris, 1603, pag.4 29 Ibidem 30 Ivi,pp.4-5 31 Ivi, pag.6

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20

era avuto il primo accampamento. Nella sua zona più bassa presenta molti alberi e un

terreno di tipo sabbioso, mentre tutto il resto sono montagne fatte di nuda roccia, e il

mare vi batte forte.

La resiouissance que font les Sauvages apres qu’ils ont eu victoire sur

leurs ennemis, leurs humuers, endurent la faime, sont malicieux, leur

croyance & faulses opinions, parlent aux diables, leurs habits, &

comme ils vont sur les neiges, avec la maniere de leur mariage, & de

l’enterrement de leurs morts32.

Il giorno 9 giugno i nativi ricominciarono con le feste per celebrare la vittoria contro gli

Irochesi. Gli algonchini avevano un loro modo particolare di festeggiare, infatti scrive

Champlain: “les Algoumequins une des trois nations sortient leurs cabanes, & se retirerent à part

dans une place publique”33 dove le donne e le ragazze si mettevano tutte assieme e, durante

il canto, si spogliavano dei loro vestiti “monstrans leur nature”34. Durante questa danza il

grande Sagamo degli Algonchini, chiamato Besouat, si trovava di fronte a loro in mezzo a

due bastoni su cui erano conficcate le teste dei loro nemici. Ogni tanto si rivolgeva ai

membri delle altre due nazioni, Montagnais e Estechemains, dicendo “ voyez comme nous

nous resiouissons de la victoire que nous avons obtenüe sur nos ennemis”35. Tornato dai suoi

compagni, essi si spogliano, lasciando solo un piccolo pezzo di pelle per coprire gli

organi genitali, mentre gli altri prendono dei doni ( che possono essere di vario tipo ) da

donare a loro. Descrive poi gli umori delle tribù: gioiosi, dalla voce possente per farsi

intendere bene e sono soliti prendere lunghe pause mentre parlano. Questo loro modo

di parlare è particolarmente visibile durante il concilio, dove sono ammessi solo gli

32

Champlain S., Des sauvages ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la france nouvelle l’an mil six cens trois. Paris, 1603, pag.6 33 Ivi, pp.6-7 34 Ivi, pag.7 35 Ibidem

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21

anziani uomini del villaggio. Segue poi una disquisizione sul loro modo di vivere e sulle

sofferenze che devono patire, dove descrive anche scene di cannibalismo “qu’ils sont

presque contraints de se manger les uns les autres”36 dovute alla mancanza di cibo visto che gli

animali, nella stagione fredda, si spostano verso climi più caldi. Interessante è il passo

successivo dove egli dice che : “Ie tiens que qui leur monstreroit à viure & enseigner le labourage

des terres, & autres choses, ils l’apprendroient fort bien”37. Egli poi introduce una sua

considerazione sul carattere dei nativi, dicendo che sono malvagi, dediti alla vendetta e

grandi bugiardi, gente sulla quale si può fare poco affidamento in quanto promette tanto

e mantiene poco ed inoltre, per quello che egli ha potuto vedere, non hanno leggi.

Dopo questo passo egli fa alcune considerazioni sulla loro religione e ne fa un confronto

con la propria, cioè il cattolicesimo (al contrario di altri membri della spedizione che

erano di fede protestante ). Il Sagamo lo informò che essi credono in un solo Dio e che

egli, dopo aver creato tutte le cose “ il print quantité de fleches, & les mit en terre, d’où il sortit

hommes & femmes, qui ont multiplié au monde iusques à present, & sont venus de ceste façon”38.

Champlain gli rispose allora che quello che diceva era falso: è vero che esiste un solo

Dio che ha creato il cielo e la terra, ma per il resto si sbaglia. Dal primo uomo che egli

creò, Adamo, chiamato “nostre premier pere”39, derivò Eva, dalla quale è discesa l’umanità.

Gli chiese poi se veramente non credono in altro che a questo Dio, e il capo gli rispose

che insieme ad esso c’è un figlio, una madre e il sole ma è comunque sempre Dio al di

sopra degli altri. A questo punto egli domandò se avesse mai sentito della venuta in terra

del Signore. Il Sagamo raccontò due episodi, di cui lui non era testimone, che si

tramandavano da molte generazioni. Nel primo vi erano cinque uomini che camminano

verso il tramonto, e qui incontrarono Dio, il quale domandò loro dove erano diretti, ed

essi risposero di essere alla ricerca della propria via. Questi rispose che la loro via

36 Champlain S., Des sauvages ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la france nouvelle l’an mil six cens trois. Paris, 1603, pag.8 37 Ibidem 38 Ibidem 39 Ibidem

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22

l’avevano trovata, ma essi andarono oltre e Dio decise di trasformarne due in pietre.

Egli pose agli altri tre la stessa domanda e, avendone ricevuto la stessa risposta,

trasformò i primi due in pezzi di legno. A quel punto all’ultimo rimasto pose la stessa

domanda ed egli rispose come gli altri, però desistette dall’andare avanti e Dio “ luy donna

de la viande, & en mangea; Apres avoir faict bonne chere, il retourna avec les autres sauvages, & leur

racompta tout ce que dessus”40. Il secondo racconto riguardava invece un uomo che ricevette

la visita di Dio, il quale gli chiese la pipa e il permesso di poter fumare del tabacco.

Dopo aver fumato Dio ruppe la pipa, l’unica che l’uomo possedeva. Egli era

visibilmente arrabbiato, perciò Dio allora gliene donò una nuova da portare al Sagamo.

A questo punto lo avverte che, finché il capo avrà tale pipa nulla mancherà loro ma, dal

momento che la perderà, arriverà di sicuro la carestia. Dio non è quindi particolarmente

buono con loro, ma Champlain gli rispose che potrebbe essere stato il demonio, e che se

essi credessero come loro in Dio, non mancherebbero di nulla. A questo punto è

Champlain a illustrargli il Dio in cui crede: “Que nous croyons en ce grand Dieu, qui par sa

bonré nous avoit envoye son cher fils, lequel conceu du S.Espirit. print chair humaine dans le ventre

virginal de la vierge Marie”41 e che per trentatre anni ha fatto miracoli (tra i quali scacciare il

diavolo, resuscitare i morti e guarire i malati ) e insegnato agli uomini la volontà di Dio,

ed è infine morto sulla croce e salito al cielo, dove ora siede alla destra del Padre. Dio,

continuò, forma una triade con suo figlio e lo Spirito Santo, ma rimane sempre unico.

Tutta l’ umanità fa la sua volontà e, con il suo permesso, compie dei miracoli. Essi

inoltre vengono perdonati dei loro peccati dalla sua grande maestà, che dona loro tutto

ciò di cui hanno bisogno. Il diavolo, conclude, “n’a nulle puissance fur nous: & ne nous peut

faire de mal, Que s’ils avoient ceste croyance, qu’ils feroient come nous, que le diable ne leur pourroit

40Champlain S., Des sauvages ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la france nouvelle l’an mil six cens trois. Paris, 1603, pag.9 41 Ivi, pag.10

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23

plus faire de mal”42. Il discorso verte poi sulla cerimonie che i nativi facevano per pregare il

loro dio e, scoperto che non ne avevano alcuna, parlò di un selvaggio di nome Pilotoua,

che discorreva visibilmente con il demonio. Il capo disse loro che quando questi

comandava qualcosa essi dovevano obbedire prontamente. I sogni secondo gli indiani

sono il mezzo tramite i quali Dio rendeva manifesta la sua volontà, invece secondo

Champlain sono un messaggio seduttore del diavolo. Finita la disquisizione religiosa, egli

comincia una descrizione fisica dei selvaggi e delle loro donne. Essi sono descritti come

ben proporzionati, senza deformità e anche le donne sono ben formate. Come abiti

usano della pelle che copre alcune parti del corpo, tranne che d’inverno, quando sono

coperti dalle pellicce di vari animali. Durante questa stagione per spostarsi sono soliti

usare dei racchettoni che si legano ai piedi.

Per quanto riguarda il matrimonio invece accadeva che i futuri mariti facessero dei regali

alla famiglia della futura sposa : “quand une fille est en l’aage de 14 ou 15 ans, elle avra plusiers

ferviteurs & amys, & avra compagnie avec tous ceux que bon luy semblerà, puis au bout de quelque

cinq au six ans, elle prendra lequel il luy plaira pour son mary”43 e vivranno insieme fino alla fine

delle loro vite ma, se non avranno figli, l’ uomo potrà divorziare e prendere un'altra

donna. Ultimo argomento che tratta in questo capitolo sono le cerimonie che

avvengono dopo la morte. Questa popolazione scava una fossa dove vengono riposti

tutti i beni posseduti dal defunto, poi mettono il corpo e infine coprono di terra. Essi

credono nell’immortalità dell’anima e nella rinascita in un altro paese.

42Champlain S., Des sauvages ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la france nouvelle l’an mil six cens trois. Paris, 1603,pag.10-11 43 Ivi, pp.11-12

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24

Riviere de Saguenay e son origin44

L’undici giugno egli si trovava lungo il fiume Saguenay, il quale dice è “une belle riviere, &

a une profondeur incroyable”45. Tadaoussac si trova all’imbocco del fiume e tutte la terre che

egli vedeva lungo il suo percorso altro non sono che “montaignes de rochers la pluspart

couverts de bois […] ie n’ay point trouvé une lieuë de terre plaine ”46. Ci sono delle montagne di

sabbia, assolutamente inabitabili e poco frequentante anche dagli animali, tranne che per

“petits oyseaux qui sont comme rossignols, & airodelles, les quelles viennent in Esté”47. Di seguito la

spedizione si trovò ad affrontare numerose cascate, alla fine delle quali vi si trova un

lago, sulle cui rive “il y a des peuples qui sont cabanne”48, nativi provenienti dal nord che

commerciavano le pelli con i Montagnes, i quali, in cambio, davano loro merce avuta dai

francesi.

Partement de Tadousac pour aller au Sault, la description des isles

du Lieure, du Coudre, d’Orleans, & de pluisiers outré isles, & de

nostre arrive a Quebec49.

Il giorno diciotto giugno essi partirono da Tadousac per andare alle rapide di Lachine,

chiamate allora Sault Saint Louis. primo luogo degno di nota è l’isola di Lieure, distante

all’incirca sette leghe dal porto di partenza. Da qui la spedizione si diresse prima verso la

costa a nord. Vicino ad essa si trova l’isola di Coudre, la quale presenta dei boschi e una

piccola radura, ed essi passarono a nord. Gettarono poi l’ancora in un’ansa del fiume,

dove spesso si accampavano anche i nativi e lì furono costretti a sostare tre giorni a

causa del maltempo. Il giorno ventidue si mossero per raggiungere l’isola Orleans, verso

44Champlain S., Des sauvages ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la france nouvelle l’an mil six cens trois. Paris, 1603, pag.12 45 Ivi, pag.12 46 Ivi, pp.12-13 47 Ivi, pag.13 48 Ibidem 49 Ibidem

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25

sud. Lungo la rotta vi erano sia isolotti bassi e con vegetazione, sia scogli e rocce che

rendevano particolarmente difficile la navigazione, resa impervia anche dai banchi di

sabbia e dalle secche. Infine riuscirono ad arrivare al sito di Quebec, che si trova su uno

stretto del fiume Canada. In questo luogo egli descrive una montagna molto alta, la

quale si abbassa a mano a mano che si avvicina al fiume, ma presenta anche distese di

alberi, alcuni dei quali da frutto. La descrizione del futuro sito dell’ omonima città si

conclude con “ Il y a le long de la cost dudit Quebec des diamans dans des rochers d’ardoise, qui sont

milleurs que ceux d’Alançon”50.

De la pointe Saincte Croix, de la riviere de Bastican, des Rivieres,

rochers, isles, terres, arbres, fruicts, vignes &beaux pais, qui sont

depuis Quebec iusques a trios Rivieres51

Partiti da Quebec, il fiume tornò ad allargarsi e Il paesaggio diventò via via più dolce e

più bello, con alcuni piccoli fiumi, che “ ne sont point navigables, si ce n’est pour le Canos des

Sauvages”52. Il primo posto dove arrivarono è la punta di Saint Croix, a circa quindici

leghe da Quebec. A suo giudizio questa era una delle terre migliori che avesse mai

50Champlain S., Des sauvages ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la france nouvelle l’an mil six cens trois. Paris, 1603, pag.15 51 Ibidem 52

Ibidem

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26

incontrato, “ avec quatité de bois; mais fort peu de sapins e cyprez”53, e presentava anche

numerosi alberi da frutto tra i quali la vite, il pero e il nocciolo. Secondo lui “ toute ceste

terre est noire, sans aucun rochers, sinon qu il’y a grande quantité d’ardoise”54, queste terre, se ben

coltivate, daranno ottimi raccolti. Sulla costa nord c’è un fiume, chiamato Batiscan,

utilizzato a volte dagli algonchini, e un altro sempre sulla stessa costa che “ a trois lieuës

dudit saincte Croix sur le chamin de Quebec, qui est celle où fut Iacques Quartier au conmencement de

la descouverture qu’il en fit, & ne passa point plus autre”55. Il 24 ripartirono, ma causa delle

numerose rocce non poterono viaggiare di notte; tuttavia riuscirono comunque a

navigare nel centro del fiume senza problemi. Il paese era bello, piatto e con una grande

quantità di alberi, sulle isole si trovavano delle viti, e mollarono l’ancora alla sponda sud.

Passarono quindi vicino ad un’isola sulla riva nord dove si trovavano dei fiumi, alcuni

anche di grande capienza, in grado di essere navigati dai battelli; tutte le terre e le isole

dei dintorni erano ricche e piene di vegetazione. Alcuni di questi alberi sembravano noci,

ma erano senza frutti in quella stagione. Passate queste terre si trova l’isola di Saint Eloy

e un'altra piccola isola sulla costa Nord. La navigazione non è difficile, afferma, ma ci

sono dei punti che possono essere pericolosi. Ripartirono dalla costa nord, costeggiando

tutta la sponda nord fino a Trois Riviere, distante quindici leghe da Saint Croix. Ci sono

sei isole nel fiume tra queste due località, alcune molto piccole, alcune un po’ più grandi

e molto fertili. C’è un’ isola che guarda il passaggio del fiume San Lorenzo, ed è

giudicato un buon luogo per installare un centro abitato, anche perché è vicino a un

grande lago. Questo lago comunica con il fiume Saguenay, ed è da questa direzione che

sono arrivati molti indigeni presenti a Tadousac. Egli aggiunge poi che “ aussi que

l’habitation des trois Rivieres seroit un bien pour la liberté de quelques nations qui n’osent venir par la

53

Champlain S., Des sauvages, ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la France nouvelle l’an mil six cens trois, Paris, 1603, pp.15-16 54 Ivi, pag.16 55 Ibidem

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27

à cause desdits Irocois, leurs ennemis, qui tiennent toute la dite riviere de Canadas”56. Una volta

costruita essa potrebbe “rendre lesdits Irocois & autre Sauvages amis”57 in modo da favorire il

passaggio anche di persone non di quelle nazioni. Continuando poi il viaggio sul fiume

essi incontrarono numerosi problemi, tra cui forti correnti e delle cascate.

Longueuer, largeur, &profondeur d’un lac, & des rivieres qui entrent

dedans, des isles qui y sont, quelles terres l on void dans le païs, de la

riviere des Irocois, & de la fortresse des Sauvages qui leur font la

guerre.58

Il sabato seguente partirono da Trois Riviere, e gettarono l’ancora in un lago a quattro

leghe di distanza. Tutta la terra che attraversarono è bassa, è “tres-bonne & la plus plaisante

que nous eussions encores veüe, les bois y sont assez clairs”59. Il 29 entrarono in un altro lago alla

cui imboccatura, sulla costa sud, c’è un grande fiume che prosegue per molte leghe

nell’entro terra. Sulla costa nord invece la terra è alta, ma verso ovest si raddolcisce. Dal

lago, che ha numerosi e ottimi pesci, si spostarono poi verso un fiume alla cui entrata vi

sono trenta isole di piccole e medie dimensioni, tutte coperte di noci “ & crois que le noix

en sont bones à leur saisòn; i’è veis en quantité sous les arbres, qui estoient de deux façons, les unes

petites, & les autres longues”60. L’ultimo giorno di giugno iniziarono la navigazione lungo il

fiume degli Irochesi ( egli possiede ancora questo nome, ed è un immissario del fiume

Richelieu, che si getta nel lago Champlain), dove si trovavano le fortificazioni costruite

dagli indiani ai tempi della loro guerra. Esse consistevano in “ quantité de bastons fort

pressez les uns contre les autres, laquelle vient ioindre d’un costé sur la bord de la grand riviere, &

56, Champlain S., Des sauvages, ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la France nouvelle l’an mil six cens trois, Paris, 1603, pag.17-18 57 Ivi, pag.18 58 Ibidem 59 Ibidem 60 Ivi, pag.19

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l’autre sur le bord de la riviere des Irocois”61 dove si trovavano, pronte vicino all’acqua, le

canoe. Il viaggio lungo il fiume incontrò molte difficoltà a causa di forti correnti e non

era possibile trasportare la barca a terra. Si spostarono con delle scialuppe per cercare

una corrente migliore ma, non trovandola, furono costretti a ritornare alla loro barca. Il

fiume, largo circa tre-quattrocento passi, ha anche delle piccole isole, e tutte le terre

intorno erano coperte d’alberi, e il fiume scorre verso Sud-Est. I selvaggi dissero che a

quindici leghe di distanza c’è una cascata molto alta, e che per passarla si potevano

prendere le loro canoe per entrare dentro un lago, e da lì prendere un fiume in cui quelle

canoe potevano navigare e dopo aver affrontato un’altra cascata, si giungeva in un lago

su cui bordi sono accampati gli irochesi ( Il lago Champlain ).

Arrivee au saults, sa description, e ce qui s’y void de remarquable,

avec le rapport des Sauvages de la fin de la grande riviere62.

Partiti dal fiume irochese, costeggiarono la costa nord, caratterizzata da una forte

vegetazione e da buona terra da coltivare. Champlain si imbarcò poi su una canoa per

poter esplorare la costa sud, la quale ha “ vignes, noix, noizettes, & une maniere de fruicte qui

semble à des chastaignes, serises, chesnes, trembles, pible, houblon, fresne, erable, hestre, cyprez, sort peu

de pins e sapins”63. È una terra ricca di frutti in cui non mancava la selvaggina, come “

orignas, cerfs, biches,dains, ours, porc-epics, lapins, regnards, castors, loutres, rats, musquets”64. Nei

giorni seguenti continuarono la navigazione passando molte isole, tutte caratterizzate da

una fitta vegetazione, fino ad arrivare all’inizio della cascata. Essi costeggiarono un’isola

che si trovava ad un miglio da essa, e la navigazione fu ostacolata da rocce e da piccole

isole che affioravano sull’acqua. Inoltre la corrente iniziò ad essere molto forte e,

61 Champlain S., Des sauvages, ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la France nouvelle l’an mil six cens trois, Paris, 1603, pag.19 62 Ivi, pag.20 63 Ivi, pag.21 64 Ibidem

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nonostante siano a piena potenza di vento, non riuscirono ad avanzare e furono così

costretti a sostare vicino alla costa nord. A questo punto prepararono le scialuppe che

avevano predisposto per questa occasione. Champlain si imbarcò insieme a Gravè du

Pont e ad alcuni selvaggi, furono però costretti a scendere dopo trecento passi, infatti

delle rocce rendevano difficile la loro navigazione, mentre le canoe dei selvaggi

potevano navigare senza problemi. Passata la cascata, si ritrovarono in un lago che ha

molte isole, e ai lati di esso vi si trovano molte montagne con numerosi piccoli fiumi che

si immettono nel suddetto lago. Da qui partono anche due fiumi “l’une qui va au premier

lac de la riviere des Irocois, par où quelques –fois les Algoumequins leur vont faire la guerre”65, mentre

l'altro continua nell’entroterra. Sulla cascata egli disse anche che “ie ne veis un torrent d’eau

desborder avec une telle impetuosité comme il faict”66 anche se non è particolarmente alto,

l’acqua vi scende gradatamente ma con molta forza. Visti i problemi furono costretti a

scendere a terra, perché per le navi era impossibile andare avanti, infatti solo le canoe

potevano proseguire. Essi dunque si fermarono davanti alle rapide di Lachine, nello

stesso luogo in cui anche Cartier fu costretto a tornare indietro. Dopo questa prima

cascata ve ne sono altre dieci, di cui alcune molto difficili da passare soprattutto per le

loro grandi navi ma non per le canoe in quanto “avec les canots des Sauvages l’on peut aller

librement e promptement en toutes le terres, tant aux petit Riviers comme aux grandes”67. Il viaggio a

terra, fatto dopo essersi armati, procedette senza problemi, ma decisero comunque di

ritornare alla barca per poter interrogare i selvaggi sulla parte finale del fiume e da dove

esso prendeva la sua forza. Essi risposero che, passato il primo salto, dopo dieci o

quindici leghe con le loro canoe avrebbero deviato su un fiume che li avrebbe portati

dagli algonchini, dopodiché avrebbero dovuto passare altri cinque salti. Una volta

superati ci si imbatte in un lago, dal quale avrebbero imboccato un fiume, poi ancora un

65 Champlain S., Des sauvages, ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la France nouvelle l’an mil six cens trois, Paris, 1603, pag.22 66Ivi ,pag.23 67 Ibidem

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lago e altre cinque cascate, di cui alcune sarebbero stati costretti a farle a piedi;

comunque esse sono meno difficili rispetto a quelle dove si erano fermati loro. Alla fine

sarebbero arrivati ad un lago e, dopo aver fatto un pezzo a piedi, a causa di un'altra

cascata, sarebbero giunti ad un altro lago. Da qui potevano percorrere uno stretto

passaggio che li avrebbe portati ad un grande lago, di cui non si vedevano le coste, e

non ebbero il coraggio di riprendere la navigazione, “le Soleil se couche au Nort dudict lac”68

e l’acqua è come quella marina ( si tratta del mare dolce, il lago Huron ). Egli poi chiese

se ci fossero dei fiumi che scorrevano verso Gaschepay, al che essi risposero che c’è solo

un fiume che scorre in quella località, ma è vero che secondo loro ci sono dei fiumi che

vanno sia a sud che a nord ben dentro le terre, ma di questo Champlain dubita

fortemente.

Retour du Sault à Tadousac, avec la confrontation du rapport de

plusieurs Sauvages, touchant la lounger, & commencement de la

grande Riviere de Canadas: Du nombre de Saults & lacs qu’elle

traverse.69

Ripresero la navigazione il venerdì ritornando sul fiume irochese e il lunedì gettarono

l’ancora a Trois Rivieres. Il giorno successivo si trovarono a Quebec, per giungere poi

all’isola d’Orleans, dove incontrarono alcuni selvaggi. Essi decisero di interrogare alcuni

algonchini per vedere se confermassero, oppure no, quello che gli avevano già detto gli

altri, partendo dalla descrizione del fiume Canada. È così “ils dirent, comme ils l’ont figuré,

que passé le sault que nous avions veu, eviron deux ou trois lieues, il va une riviere en leur demeure, qui

est en la bande du Nort”70 e continuando il percorso, dopo aver passato un salto, e dopo

68Champlain S., Des sauvages, ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la France nouvelle l’an mil six cens trois, Paris, 1603, pag.25 69 Ibidem 70 Ivi, pag.26

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averne passati altri cinque nelle successive dieci leghe, entrarono in un fiume e poi

affrontano altri cinque salti, di cui alcuni sono costretti a farli a piedi, e dal primo

all’ultimo c’è una distanza di venticinque leghe. Giunsero poi ad un lago dove “ il y a un

une riviere qui va aux Algoumequins vers le nort”71 e un altro che invece va verso le terre degli

irochesi, e questo fiume è stato spesso teatro di guerre. Alla termine del lago c’è una

cascata e poi un altro grande lago, e alla sua fine un mare, di cui non si può vedere la

fine. Segue poi una considerazione sulle terre degli Algonchini e sul fatto che devono

essere belle e con temperature favorevoli all’agricoltura.

Il viaggio proseguì poi verso l’isola Coudre e in seguito arrivarono all’isola Lieure, dove

imbarcarono altri selvaggi, tra cui un giovane algonchino. Egli venne interrogato e disse

che, dopo la cascata, c’è un fiume che portava dagli Algonchini, e poi ci sono altri cinque

salti per arrivare poi ad un lago da cui poi bisogna affrontare altre cinque cascate,

distanti venticinque leghe la prima dall’ultima. Si arriva infine ad un grandissimo lago

d’acqua dolce ma, passata una grande isola, l’acqua inizia ad essere salata, come il mare.

Vi è presente anche una cascata che “peut contenir une lieue de large, d’ou il dessend une

grandissime courant d’eau dans ledit lac. Que passe ce sault, on ne voit plus de terre, ny d’un costè ne

d’autre”72. Alla sua entrata vi sono due fiumi: uno che va dagli Irochesi e uno dagli

algonchini. La terra degli Irochesi è montagnosa e piena di frutti, quella degli algonchini

è bassa e fertile. Chiese poi se sapessero della presenza di giacimenti minerari nella zona

ed essi risposero che “Il y a une nation, qu’on appelles les bons Irocois, qui viennent pour troquer

des marchandises, que les vaisseuax François donent aux Algoumequins, les quels disent qu’il y a à la

partie du Nort une mine de franc cuiure”73. Queste dichiarazioni confermarono quindi quelle

già avute in precedenza, senza aggiungere nulla di nuovo. Il venerdì furono di ritorno a

Tadousac.

71 Champlain S., Des sauvages, ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la France nouvelle l’an mil six cens trois, Paris, 1603, pag.26 72

Ibidem 73

Ivi, pag.27

Page 32: tesi di laurea magistrale 854999

32

Voyage de Tadousac en l’isle perçee, description de la baye des

Molues, de l’isle de bonne-adventure, de la baye des Chaleurs, de

plusieurs riviers, lacs, e pays où se trouve plusieurs sortes des mines74

Si reimbarcarono per andare a Gachepay, distante cento leghe. Il terzo giorno di viaggio

incontrarono un gruppo di selvaggi accampati sulla costa Sud, il cui capo si chiama

Armouchides, il quale è “l’un des plus aduisez & hardis qui soit entre les Sauvages”75 ed egli si

sta recando a Tadousac per commerciare le sue pelli. Il giorno 15 arrivarono a

destinazione: una baia che presenta alla sua entrata una larghezza di 4 leghe, e un fiume

che scorre per trenta leghe nell’entro terra. Un'altra baia che visitarono è la baia di

Molues, lunga tre leghe e larga tre alla sua entrata e da cui si arriva all’isola Perçee, che è

come una roccia, e a sud-est di questa, l’isola di Bonne adventure. Tutti questi luoghi

sono ricchi di pesce e, passata l’ultima isola, si arriva alla baia di Chaleurs, che va in

direzione Ovest-Sud Ovest, la cui entrata è larga 15 leghe. I selvaggi affermarono che sul

grande fiume Canada a circa sessanta leghe sulla costa sud, ce n’è uno più piccolo che va

a diciotto leghe dentro le terre, e per circa una lega trasportarono le loro canoe sulla

74Champlain S., Des sauvages, ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la France nouvelle l’an mil six cens trois, Paris, 1603,pag.28 75 Ivi,pag.29

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33

terra, per giungere alla detta baia. Continuando sulla costa si trovarono numerosi fiumi,

tra cui il Souricoa, vicino al quale il signore di Prevert scoprì una miniera di rame, e così

egli scrive: “Ils vont avec leurs canots dans ceste riviere deux ou trois iours, puis ils traversent quelques

deux ou trois lieues de terre, insques à la dite mine”76. Continuando verso est trovarono uno

stretto che misura due leghe di larghezza e venticinque di larghezza. Sulla costa est si

trova l’isola di San Lorenzo, dove è localizzato Cape Breton, e passata questa, si arriva

alle coste dell’Acadia, dove si trova un fiume che prosegue nell’entroterra per ottanta

leghe, e scorre vicino al lago degli Irochesi, utilizzato dai nativi per andare a far la guerra.

A questo punto egli asserisce che: “Ce seroit un grand bien qui pourroit trouver à la coste de la

Floride quelque passage qui allast donner proche du susdict grand lac”77 sia perché sarebbe un

viaggio più sicuro per le barche sia perché permetterebbe un grande risparmio di tempo.

Sempre su questo tema continua: “il y a des rivieres en la coste de la Floride que l’on n’a point

encore decouvertes, lesquelles vont dans les terres”78 dove il paese, per quanto fertile e con

temperature migliori rispetto al Canada, non potrà avere terre più uniche né migliori

della Nuova Francia. Conclude il capitolo parlando di un metallo somigliante all’argento,

che i selvaggi avrebbero visto vicino ad un lago raggiungibile dalla baia di Chaleurs.

Retour de l’isle Percee a Tadousac, avec la description des ances,

ports, riviers, isles, rochers, ponts, bayes, e basses, qui sont le long de

la coste du Nord79.

Partiti dall’isola Perçee il giorno diciannove, incontrarono una grande tempesta poco

distante da Cap l Evesque, che li costrinse a sostare per dieci giorni. Ripartiti

s’imbatterono in una nuova tormenta, per poi raggiungere la costa Nord il ventotto; da lì

76 Champlain S., Des sauvages, ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la France nouvelle l’an mil six cens trois, Paris, 1603, pag.29 77 Ivi, pag.30 78 Ibidem 79 Ivi, pag.31

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34

raggiunsero l’imbocco del fiume Sainct Marguerite, dove si trova una cascata che dà la

più grande quantità d’acqua al soprannominato fiume. Tutta la costa est è sabbiosa, non

utilizzabile per l’agricoltura, e così anche la costa Ovest. Da lì poi passarono vicino a un

fiume molto ampio, la cui entrata era però sbarrata da numerose rocce. Di seguito poi le

coste rimangono sempre sabbiose, e vennero osservati numerosi promontori. Da lì,

dopo 4 leghe, raggiunsero un’ansa sulla costa Ovest dove possono navigare numerosi

battelli, e sarebbe un ottimo porto, ma la presenza delle secche ne interdice l’uso. Nel

proseguire incontrarono poi un'altra baia da cui parte un canale, in cui si forma un ansa

da cui parte un grande fiume. A dieci leghe da questo luogo si trova una spiaggia che

potrebbe essere un porto ideale, vista anche la presenza di alcune isole dove i vascelli

potrebbero mettersi all’ancora. Da lì si può raggiungere il porto, in verità non molto

utilizzato a causa delle rocce e delle secche, di Lesquemin. Egli ci fornisce poi una

notizia interessante riferita alla zona di Lesquemin, infatti in un fiume poco lontano “

c’est le lieu où le Basques font la pesche des ballaines” 80. Il tredici agosto, infine, sono di ritorno

a Tadousac.

Les ceremonies que font les sauvages devant que d’aller a la guerre:

Des Sauvages Almouchicois, e de leur monstrueuse forme. Discours

du sieur de Prevert de Sainct Malo, sur la descouverture de la coste

d’Arcadie, quelles mines il y a, e de la bontè e fertilitè du pays81.

Ritornati al porto di Tadousac, incontrarono gli stessi selvaggi che avevano già visto sul

fiume irochese. I Montagnais avevano affrontato alcuni irochesi e ne avevano riportato

le teste in segno della loro vittoria mentre, su dieci uomini, uno solo dei loro era stato

ferito ad un braccio da una freccia. Il ferito “lequel songeant quelque chose, il falloit que tous les

80Champlain S., Des sauvages, ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la France nouvelle l’an mil six cens trois, Paris, 1603, pag.32 81Ivi, pag. 33

Page 35: tesi di laurea magistrale 854999

35

10 autre le meissent en execution pour le rendre content”82, e nel caso egli morisse, i parenti lo

avrebbero vendicato: il capo deve stare attento che questo non accada.

Prima che i Montagnais partano per la guerra si tiene una grande cerimonia in un luogo

pubblico, dove essi sono abbigliati con le loro vesti più belle e davanti a loro sta il

Sagamo Begourat, il quale li condurrà in battaglia . Essi erano schierati con le loro armi

(archi e frecce, mazze e bastoni) e, mettendosi uno accanto all’altro, iniziarono a

gesticolare, a danzare e cominciarono il loro Tabagie. Le donne intanto “se despouillerent

toutes nues […] se meirent dedans leur canots ainsi nues en dansant, & puis elles se vindrent mettre à

l’eau en se battant à coups de leurs avirons”83 e si ritirarono poi nelle loro capanne, mentre gli

uomini partirono per la spedizione contro gli irochesi.

Il giorno sedici i francesi ripartirono per l’isola di Perçee, dove vi giunsero il diciotto, e

vi incontrarono il Signor di Prevert da Saint Malo, il quale aveva avuto problemi durante

il viaggio con i suoi selvaggi. Essi infatti avevano paura di imbattersi in una popolazione

a loro nemica, gli Armouchicois, uomini selvaggi “du tout monstrueux pour la forme”84. Essi

vengono descritti con una testa piccola, corpo tozzo, braccia minute, e gambe robuste e

lunghe: sono stanziati lungo le migliori coste dell’Arcadia. Il signor di Prevert assicurò

comunque di condurli alla detta miniera di rame, una montagna molto alta poco distante

dalla costa, se loro gli avessero mostrato dove si trovava. Viaggiando per altre quattro

leghe, si può trovare un'altra miniera e un piccolo fiume che porta a una montagna, dove

i nativi reperivano il materiale per fare i loro pigmenti. Dalla seconda miniera si arrivava

poi ad un’isola dove si trova un metallo che “est come brun obscur, le couppant il est blanc, dont

canciennement ils usoient pour leurs fleches, e cousteaux”85 che viene lavorato con delle pietre, al

che Champlain dice che non poteva essere il piombo, ma essi risposero che assomigliava

all’argento che l’esploratore aveva loro mostrato. Il signor di Prevert donò allora a loro

82 Champlain S., Des sauvages, ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la France nouvelle l’an mil six cens trois, Paris, 1603, pag.32 83 Ivi, pag.33 84 Ivi, pag.34 85 Ibidem

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36

“coins & cizeaux, & autres choses necessaires pour tirer de la dicte mine”86, cosa che avevano

promesso di fare per l’ anno successivo, e avrebbero donato tutto quello che avrebbero

trovato al sopracitato signore. Essi conoscono anche un'altra miniera, dove però non

hanno il coraggio di andare a causa dei loro nemici. Tutti questi luoghi si trovavano al

44° parallelo, vicino alle coste dell’Acadia. Questa miniera era localizzata in una specie di

baia, dove scorrevano tre fiumi che poi s’immettevano nella grande baia dell’isola di San

Giacomo. Altri due piccoli fiumi, e uno dei quali è quello su cui naviga Prevert, si

gettavano in questa baia. La miniera si trovava sulla costa nord di tale baia, con un buon

porto naturale e una piccola isola alla sua entrata con un fondo sabbioso. Da qui poi “il

y a quelque 60 ou 80 lieues par terre: Mais du costé de la mer, selon mon iugement, depuis la sortie de

l’isle de S.Laurens & terre ferme, il ne peut y avoir plus de 50 ou 60 lieues iusques a ladicte mine”87.

Il paese, conclude, è bello, piatto e pieno di foreste.

D’un monstre espouventable que les sauvages appellent gougou, e de

nostre bref e heureux retour en France88

Il capitolo numero 13, che porta il titolo scritto sopra, è l’ultimo, e parla delle ultime

cose accadute prima della loro partenza per la Francia.

Egli racconta di una cosa che gli avevano riferito i selvaggi, ovvero che in prossimità

della baia di Chaleurs, c’è un’isola dove vi abiterebbe un essere mostruoso. I nativi lo

chiamano Gougou e avrebbe sembianze femminili. Esso sarebbe incredibilmente forte,

e “ d’un telle grandeur, qu’ils me disoient que le bout des mats de nostre vaisseau ne luy fust pas venu

iusques à la ceinture”89. Il suo cibo preferito, continuò, sarebbero i selvaggi stessi, di cui ne

mangia grandi quantità: prima li prende, poi li mette in una grande tasca per poi

86 Champlain S., Des sauvages, ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la France nouvelle l’an mil six cens trois, Paris, 1603, pag.34 87 Ivi, pag.35 88 Ibidem 89 Ibidem

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37

mangiarseli. La tasca, dicono i nativi, “estoit si grande, qu il y eust peu mettre nostre vaisseau”90.

Questo mostro, tra l’altro, emetterebbe anche degli orribili suoni e già solo il parlarne

impaurì moltissimo gli indiani. Anche il signore di Prevert, tuttavia, affermò che, dopo

aver attraversato le miniere descritte nel capitolo precedente, passò molto vicino

all’isola, tanto che “luy & tous ceux de son vaisseau entendoient des sifflements etranges du bruit

qu’elle faisoit”91. I selvaggi che erano con lui si accasciarono a terra, affermando che si

trattava proprio della bestia. Tutti loro senza distinzione ne hanno una forte paura ma,

da quello che dicono, sembra quasi più una fiaba e conclude così la parte dedicata alla

bestia “mais ie tiens que ce soit la residence de quelque Diable qui les tourmente de la façon”92.

Prima di ripartire per Tadousac, per poi tornare in Francia, si assiste alla donazione, fatta

da parte di un Sagamo degli Algonchini di nome Bechourat, di un suo figlio a Gravè du

Pont. Anche una donna irochese venne presa dai francesi, mentre il Signore di Prevert

prese con sè quattro persone. Il ventiquattro agosto partirono da Gachepay insieme con

il sopra citato signore per finire poi così il viaggio e, con questo, la relazione ad esso

dedicata “Le 20 dudit mois nous arrivasmes par la grace de Dieu avec contentemet d’un chacun e

tousiours le vent favorable au port du Havre de Grace”93.

90 Champlain S., Des sauvages, ou, voyage de Samuel de Champlain, de Brouage, fait en la France nouvelle l’an mil six cens trois, Paris, 1603, pag.36 91 Ivi, pag. 36 92 Ibidem 93 Ibidem

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38

I viaggi di Champlain del 1615 e del 1618

Il secondo capitolo di questo mio elaborato tratta della terza relazione di viaggio scritta

da Champlain, nella quale descrive due viaggi, il primo avvenuto nel periodo che va dal

1615 al 1616, e il secondo ( all’interno del documento è presentato semplicemente come

una continuazione ) compiuto nel 1618.

Dal 1603 al 1614

A partire dal 1603 gli interessi principali dei francesi passarono dal fiume San Lorenzo

all’Acadia, dove essi speravano di trovare un passaggio verso la Cina. Nel novembre di

quell’anno Pierre Du Gua de Monts divenne il nuovo aggiudicatario della tratta e, nel

1604, si fece accompagnare da Champlain ( che non aveva ancora titoli ufficiali ma

funzioni di semplice geografo) in un nuovo viaggio in Acadia. Qui istituirono una

nuova abitazione in un’isola situata all’imbocco del Fiume Saint Croix. L’inverno fu però

molto duro “ de 79 que nous étions, il en mourut 35 et plus de 20 qui en furent bien près”94. Gua

de Monts decise allora di portare la colonia verso un altro luogo: nacque così Port Royal.

Dal momento che questi dovette tornare in Francia per difendere il suo monopolio, fu

Gravé du Pont a comandare la piccola colonia nell’inverno del 1605-1606. Nel 1606,

Jean de Biencourt de Poutrincourt venne nominato governatore di Port Royal, mentre

Du Gua de Mons divenne il governatore generale dell’Acadia. Tuttavia il clima troppo

freddo lo spinse a mandare Poutrincourt ad esplorare le coste dell’attuale Maine per

trovare un nuovo sito, ma non riuscì a scoprirlo. Nel 1607, allorché era pronto a partire

di nuovo fu bloccato dalla notizia della revoca da parte di Enrico IV del monopolio di

Du Guà de Mons , cedendo così alla pressione dei mercanti di Saint-Malò. Guà de Mons

riuscì comunque ad ottenere il prolungamento di un anno del suo monopolio, in cambio

della promessa “d’etablir un poste sur le Saint-Laurent et de poursuivre ses efforts de colonisation”95.

Port Royal rimase comunque in mano a Pourtincourt, il quale iniziò dal 1610 ( con il

permesso del papa ) a evangelizzare i Micmacs presenti nel territorio. La colonia iniziò

però presto ad andare in rovina, sia per i continui attacchi inglesi ( fu particolarmente

94H.P.Biggar; The works of Samuel de Champlain, Toronto, 1922-1936, pag. 304; citato in Havard G., Vidal C.; Histoire de l’Amerique française, Paris,2008, pag.75 95 Havard G., Vidal C., Histoire de l’Amerique française, Paris, 2014, pag.78

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39

disastroso quello del novembre 1613, condotto dal capitano Samuel Argall) sia perché

mancarono i sostegni economici in patria.

Sorte diversa ebbero invece i territori del fiume San Lorenzo. Gua de Monts, come già

accennavo sopra, aveva ricevuto il compito di fondare un posto commerciale lungo

questo fiume. Armò allora due navi e incaricò Champlain di creare uno stabilimento

commerciale a Quebec ( nome che in lingua micmacque significa “luogo dove il fiume si

restringe” ). I lavori per la costruzione di questo avamposto cominciarono il 3 luglio

1608, e consistevano nella costruzione di un magazzino e di tre corpi abitativi, il tutto

protetto da una palizzata e da un fossato. Questo fu l’inizio della storia di quella che poi

divenne la capitale amministrativa della Nuova Francia, ruolo che perse dal momento

della conquista da parte inglese nel 1759. Da quel momento in avanti, i francesi

iniziarono ad avere un ruolo sempre più attivo nel commercio delle pelli, e questo li

portò ad essere un nuovo elemento all’interno della geopolitica amerindiana. Questo li

portò a stringere alcune alleanze: inizialmente con i Montagnais e gli Algonchini e poi,

dal 1609, con gli Huroni, che erano stanziati sul bordo orientale del Lago Huron. In

quell’anno Champlain, insieme ad altri due compagni e a una sessantina circa di Huroni,

Montagnais e Algonchini, partecipò ad uno scontro contro gli Irochesi, e vinse grazie

all’apporto decisivo delle armi da fuoco. Un anno più tardi accompagnò ancora gli alleati

Huroni e Algonchini contro gli Irochesi, lungo le sponde del fiume Richelieu: ma nel

corso del combattimento fu gravemente ferito. In contemporanea a questi eventi

dovette anche fronteggiare i continui tentativi da parte dei mercanti francesi ( di Saint-

Malo, di Dieppe e di La Rochelle ) di togliere l’esclusiva commerciale a Gua de Monts,

ed inoltre fu vittima di un tentativo di omicidio, che si doveva perpetrare sempre per

motivi riguardanti il monopolio, architettato dai mercanti baschi a Tadoussac. Nel 1609

venne revocato al già citato Gua de Mons il monopolio: nel 1612 Luigi XIII ne conferì

uno nuovo al conte di Soissons, il quale nominò Champlain suo lieutenant. Il conte morì

un mese dopo la consegna del monopolio, il quale passò al Principe di Condé ( che ebbe

anche il titolo di vice-roi de la Nouvelle France ) e che confermò Champlain nelle sue

funzioni. Questi aveva fondato nel 1614 una compagnia di mercanti di Rouen e di Saint-

Malo che, in cambio della concessione dell’esclusiva, avrebbe dovuto portare in Canada

sei famiglie francesi all’anno. A questo punto iniziò il settimo viaggio di Champlain nella

Nuova Francia, di cui parlo nelle pagine seguenti.

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40

VOYAGE ET DESCOUVERTURES FAITES EN LA

NOUVELLE FRANCE, memorie del viaggio del 1615-1616

Come già avvenuto per la prima relazione, anche qui vi sono delle parti che non

riguardano la descrizione dei viaggi, ma che sono assai importanti per capirne le

motivazioni e la natura della fonte.

La dedica al Re

Il documento inizia con la dedica al re, a cui l’autore dedica questa sua opera, sperando

che possa trovarla più interessante delle precedenti. A differenza di quest’ultime (che egli

indica come utili ai marinai e ai naviganti, ma nulla più) qui vi potrà trovare notizie che

riguardano i selvaggi, con che mezzi e come combattono le loro guerre: tutto questo

serve, a suo dire, a soddisfare uno spirito curioso. L’idea che egli rilancia è questa: per

poter estendere il potere della religione cattolica in quei luoghi e alle genti di quelle

regioni, sarà possibile dopo che queste genti avranno avuto una lunga frequentazione

con popoli civilizzati; ed è necessario fare la carità verso questi popoli miserabili, e anche

sopportarli. Secondo lui ci sono dei mezzi per cui Dio riesce a farli avvicinare a sé. Sua

Maestà, continua,si può dire legittimo signore dei nostri lavori, ed egli lo ringrazia per la

protezione che ha accordato a lui e al gruppo di mercanti che rappresenta,

permettendogli di commerciare liberamente in alcune parti del paese; mentre accusa chi

non rispetta questa decisione del Re, facendo probabilmente riferimento a tutti quei

mercanti che erano contrari al suo monopolio e che avevano fatto e stavano facendo di

tutto per osteggiare il suo potere. Il passo successivo è assai importante, in quanto

Champlain spiega che uno dei desideri che portano avanti da più tempo è quello di poter

popolare quella terra di coloni per insegnare loro, con la conoscenza di Dio, la Gloria e i

Trionfi di Vostra Maestà e di fare in modo che essi possano scoprire di avere un cuore e

un coraggio Francese, e che il loro massimo onore sarà quello di servire il loro Re. A sua

Maestà il cielo donerà “ milles benediction”96 come ricompensa per tutte quelle anime che

egli donerà a Dio con la sua opera di Evangelizzazione e di Cristianizzazione. Egli infatti

gli scrive che era grande merito di sua Maestà “ d’avoir voulu embrasser avec tant d’autres

importans affaires le soing de celle-cy grandement negligée par cy-devant, estant une grace especialle de

96

Champlain S.; Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, Au Roy, pag.3.

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41

Dieu d’avoir voulu reserver sous vostre regne l’ouverture de la predication de son Evangille”97 a tutti

quei popoli che non ne avevano mai sentito parlare. Conclude questa sua dedica

dichiarandosi “Vostre tres-Humble, tres fidelle e obeissant. CHAMPLAIN”98.

A seguito di questa dedica a Luigi XIII scrive una piccola prefazione. In queste pagine

egli afferma di aver affrontato tutti i pericoli da lui descritti in questa e in altre memorie,

“Pour le service de mon Roy, et de ma patrie … comme il se peut assez recognoitre, tant par me

deportements du passé, que par le discours de mes voyages”99. Conclude poi dicendo che se Dio

benedirà il loro programma di scoperte e di evangelizzazione nonché di colonizzazione

del territorio, gliene renderà grazia. E per ultimo ringrazia il Re per la concessione del

monopolio, “ pour sa protection & assistance une continuation de prieres pour l’augmentation &

accroissement de son regne”100.

Nella pagina antecedente la relazione è riportato il nome dello stampatore che ha

ricevuto il privilegio del Re per poter stampare il libro, che sarà intitolato Les voyages &

descouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615 iusques à la fin de l’année 1618 par le

sieur de Champlain, Cappitaine ordinaire pour le Roy en la Mer du Ponant101. Lo stampatore in

questione è Claude Collette, che opera a Parigi, e sarà l’unico che potrà stamparlo. Tutti

coloro che non avranno il suo consenso a stamparlo, o che ne avranno stampato delle

loro copie prima del termine dei sei anni che decorrono dalla fine della stampa presso

Collette della medesima opera, andranno incontro a severe pene. Queste prevedono sia

“ confiscation des exemplaires”102 delle opere stampate, sia un ammenda di “ quatre cens

livre”103. Alla fine del testo viene inoltre chiaramente indicato che il privilegio deve essere

allegato al libro, non importa che sia all’inizio o alla fine. Esso si conclude con il luogo

in cui è stato donato, Parigi, e la data, ovvero le 18 iour de May, 1619104 ( l’anno è indicato

anche come il decimo anno di regno di Luigi XIII ).

97

Champlain S.; Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.4 98 Ibidem 99Ivi ; Preface 100 Ibidem 101 S.Champlain; Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618 ; Paris; 1619. 102 Ivi ; Privilege du Roy 103 Ibidem 104 Ibidem

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42

Voyage du Sieur de Champlain, en la nouvelle France, faict

en l’année, 1615105

La relazione, a differenza della prima, non si apre con l’inizio del viaggio, ma in un

periodo precedente, quando Champlain è ancora in Francia. Egli comincia dicendo che

la passione per le scoperte e i viaggi nella Nuova Francia lo ha reso sempre più

desideroso di scoprire nuove terre, con lo scopo di avere una conoscenza sempre più

precisa del territorio. Quest’ultima, ovviamente, non si ferma allo spazio geografico, ma

comprende anche i popoli che questi territori lo abitano, nei confronti dei quali il suo

grande obiettivo è la conversione alla religione cattolica. A questo progetto asserisce di

avervi lavorato per circa quindici anni senza mai raggiungere grandi risultati in quanto, a

suo dire, non era stato adeguatamente sostenuto in tale impresa. Tuttavia, asserisce, non

si arrenderà: dopo aver conosciuto e frequentato molteplici popoli selvaggi la cosa

migliore da fare è pazientare, aspettare che passino le difficoltà, fino a che sua Maestà

non riporterà l’ordine necessario. Fino a che questo non sarà assicurato, la cosa migliore

da fare sarà continuare le scoperte e continuare a frequentare questi popoli, sia per

stringere rapporti di amicizia sia per meglio imparare la loro lingua. Egli continua

dicendo che la relazione tratterà delle sue nuove scoperte. Ritorna però subito su uno

dei temi principali dei suoi progetti: la cristianizzazione dei popoli selvaggi. Afferma che

sarebbe stata una grande colpa lasciare queste nazioni nel loro attuale stato , ed è per

questo che bisognava prepararli alla gloria del Signore. Per questo si impegnò a cercare

un religioso che avesse la possibilità e la volontà di trasferirsi nella Nuova Francia per

adempiere a questo scopo. Per fare ciò aveva però bisogno di una dispensa che non era

in suo potere dare. In questo frangente gli venne utile l’amicizia del signor HoÜel ,

segretario generale del Re e “ Contrerouller General de Sallines de Brouage”106 uomo descritto

come molto devoto e pio. Egli infatti conosce dei buoni padri religiosi, dell’ordine dei

Recolletti, con i quali aveva grande familiarità. Hoüel credeva di poter facilmente

convincere due o tre religiosi a compiere questo santo viaggio. Tali padri risiedevano a

Xaintonge, da dove due di loro furono mandati a Parigi con una commissione, senza

però potere assoluto, rimettendo il più nelle mani del Nunzio apostolico ( che al tempo

era il fiorentino Roberto Ubaldini ). Essi erano molto convinti e insieme visitarono

l’ambasciatore del Papa, supplicandolo di interporre la sua autorità per poter avvallare il

progetto. Egli però comunicò che non aveva alcun potere per aiutarli, ed era al loro

105 Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619; Pag.1 106Ivi, pag.3

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43

Generale che dovevano rivolgersi. A quel punto iniziarono a sorgere dei problemi: essi

non volevano intraprendere il viaggio e temevano che il potere del padre Verger non

fosse autentico, così come la sua commissione: per questo motivo il tutto venne

rimandato all’anno successivo. In questo lasso di tempo Champlain mise a posto i suoi

affari, mentre i religiosi soggiornavano nel loro convento di Brouge. Qualche mese dopo

la situazione si sbloccò, infatti il reverendo padre provinciale dei recolletti, Padre

Chapouin, fu di ritorno a Parigi, dove ebbe un incontro con il Signor di Hoüel. Con lui

toccò diversi argomenti, tra cui il potere attribuito a Padre du Verger, e la missione che

egli aveva dato ai due preti: a proposito della quale egli ne lodò molto il progetto,

promettendogli che se ne sarebbe occupato personalmente. Promise inoltre che ne

avrebbe parlato con il Principe di Condè e con i Vescovi, riuniti a Parigi per il consiglio

di Stato. Essi furono assai contenti e assicurarono che avrebbero creato un piccolo

fondo per i quattro cardinali scelti. A questo punto Champlain stesso interagì con loro

per rendere più veloce l’affare facendo notare l’utilità del progetto, cercando di

smuoverli a donare e a convincere gli altri a far lo stesso, senza però costringere

nessuno. I soldi raccolti vennero da lui utilizzati per le cose necessarie ai religiosi e per la

loro dispensa; esse vennero poi mandate ad Honfleur per essere imbarcate. I religiosi

scelti per questa impresa furono infine Padre Denis, Padre Jean Delbeau, Padre Joseph

le Caron e infine Padre Pacifico du Plessis. Tutti vengono descritti come volenterosi di

partire, per vedere se possono contribuire a piantare lo stendardo della Santa Croce in

quelle terre selvagge.

A questo punto l’azione di Champlain si spostò verso Rouen, dove doveva incontrare gli

associati della sua compagnia e a loro parlò anche di questi religiosi, e della volontà del

Principe di Condè che questi affrontino il viaggio, e questi dissero che non avrebbero

fatto mancare il loro appoggio. Egli si rincontrò con i padri il 20 marzo, e da quella città

andarono a Honfleur, luogo della loro partenza. Essi vi soggiornarono qualche giorno,

giusto il tempo di fare imbarcare il necessario per un così lungo viaggio. Il tempo venne

anche impiegato da Champlain per un profondo esame di coscienza, per purificarsi e per

poter affrontare un così pericoloso tragitto . Esso venne fatto a bordo del vascello

dell’associazione di mercanti che lui rappresentava, il Saint Etienne, comandato dal

Signor Gravè du Pont. Il viaggio iniziò il 24 aprile e si concluse, senza particolari

problemi e senza che l’autore avesse ritenuto opportuno segnalare avvenimenti, un mese

dopo, quando il Vascello arrivò al porto di Tadoussac.

Page 44: tesi di laurea magistrale 854999

44

Da Tadoussac al grande incontro con i selvaggi a Sault Saint Louise

( le rapide di Lachine ).

Appena arrivati fecero subito preparare le barche per andare a Quebec, dove i francesi

avevano la loro abitazione, per poi raggiungere Sault Saint Luis, luogo in cui i selvaggi

erano riuniti per fare i loro commerci. Appena le barche furono pronte vi salirono a

bordo tranne Padre Joseph, il quale decise di andare direttamente a Saint Luis, e restarvi

per l’inverno presso i nativi per impararne la lingua e vedere se si poteva avere speranza

di convertirli.

Champlain era di stanza a Quebec, dove doveva dirigere i lavori per la costruzione di

una cappella e di alcuni edifici atti ad ospitare i religiosi. Partì da lì insieme al signor

Gravè du Pont e a Padre Dennis; gli altri religiosi rimasero invece a controllare il

procedere dei lavori. Lui e gli altri viaggiarono fino al Riviere des Praires ( così

ribattezzato dallo stesso Champlain ), cinque leghe sotto le rapide di Lachine. Questo

venne descritto come un grande fiume, ricco di belle isole e attorniato da un

lussureggiante paesaggio. Essi inoltre avevano la possibilità di osservare i popoli che

abitavano le sue sponde, descritti come “Hommes forts e robustes, qui montrent n’avoir l’espirit

tant sauvage”107. Nel proseguire il viaggio incontrano poi Padre Joseph, il quale stava

tornando a Quebec per poter prendere i paramenti sacri e tutte le cose che gli sarebbero

state necessarie per poter passare l’inverno con i nativi. Champlain però glielo

107Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.11

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45

sconsiglia, infatti dice: “Ce que ie ne trovuois a propos pour le temps, ains ie lui conseillois pour sa

commodité qu’il passast l’hyver en l’habitation seulement, &que le printemps venu, il pourroit faire le

voyage »108 dicendogli che sarebbe meglio passare l’inverno a Quebec. Il religioso,

tuttavia, non volle cambiare i suoi programmi, “ estant poussé du zele de Dieu”109,

promettendo che avrebbe fatto conoscere a questi popoli la salvezza. Quello che infine

egli disse è che doveva imparare la lingua, che gli servirà per conoscere le difficoltà a cui

andrà incontro e che egli “ s’asseuroit d’y resister, & de les supporter, & de s’accommoder à leurs

vivres & incommoditez fort bien, & alaigrement, moyennant la grace de Dieu”110, e che inoltre

rinuncerà alle comodità materiali per perseguire il suo compito. Champlain, a quel

punto, lo lasciò andare.

Dall’arrivo alle rapide di Lachine al viaggio al lago degli Attigouatan

(ora Baie Georgienne).

Giunti alla destinazione del loro viaggio essi incontrarono questi popoli selvaggi che li

accolsero festosamente, e che speravano molto in un loro intervento nella guerra contro

gli irochesi, e Champlain assicurò loro che li avrebbero assistiti. Il motivo è che i francesi

dovevono ingraziarsi questi popoli per farli avvicinare alla fede cattolica, e inoltre erano

indispensabili per continuare le scoperte, impresa che sarebbe altrimenti impossibile

senza il loro aiuto. I francesi li fecero radunare tutti per comunicare le loro volontà, e i

nativi promisero di fornire “ deux mil cinqcents honmes de guerre”111. Prese dunque queste

risoluzioni si separarono con l’intenzione di ritornare per eseguire quanto concordato.

Ma prima di intraprendere questo viaggio, che non avverrà prima di tre o quattro mesi,

Champlain si impose di tornare alla loro abitazione, per poter dare gli ordini richiesti

durante la sua assenza. Il giorno seguente egli era già di ritorno e durante il viaggio

incontrò Padre Joseph che tornavano a Quebec dopo aver celebrato la Santa Messa sulle

rive del Des Praires, e Champlain ci descrive la seguente scena: “devant tous ces peuples qui

estoient en admiration, de voir les ceremonies dont on usoit, & des ornements qui leur sembloient si

beaux, comme chose qu’ils n’avoient iamais veuë”112. Champlain arrivò a Quebec il giorno dopo

dove, per la prima volta, fu detta la messa da parte dei Padri Jean e Pacifique . Egli poi

ripartì con due uomini verso la riviere des Praires in data quattro luglio e, durante il loro

108 Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.11 109 Ivi, pag.12 110 Ibidem 111 Ivi, pag.14 112 Ivi, pag.15

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46

tragitto, l’otto luglio, incontrarono il Signor Gravè du Pont e Padre Denis, i quali gli

dissero che i selvaggi erano partiti assai arrabbiati, in quanto egli era arrivato in ritardo di

dieci giorni. Un'altra cosa poi li affligge: Padre Joseph, accompagnato da altri 12 francesi,

era partito con i Selvaggi per assisterli. Egli avrebbe dovuto predisporre tutte le cose per

il viaggio e doveva essere assistito da un numero di uomini maggiore rispetto a quello

che poteva permettersi. Tuttavia non si perse d’animo e continuò le sue scoperte: egli

quindi decise di continuare il viaggio con le canoe dei selvaggi. Il nove di luglio si

imbarcò con dieci selvaggi, e proseguirono lungo il fiume del San Lorenzo per circa sei

leghe e da li presero per il fiume des Praires, il quale confluisce nel San Lorenzo circa

cinque leghe più a monte delle rapide di Lachine. Superarono poi numerose cascatelle,

attraversarono un lago, passato il quale si raggiungeva il fiume che portava al paese degli

Algommequins. Arrivati al lago essi percorsero poi un fiume per circa 35 leghe in un

territorio montagnoso, desertico e poco abitato, se non da qualche famiglia di

algonchini che vivevano di caccia e pesca. Anche se il territorio non aveva nulla di

particolare, lungo le sue rive si poteva comunque trovare facilmente un piccolo e

gustoso frutto chiamato blues, e anche altri piccoli frutti in grande quantità. Lasciarono

poi il fiume, procedendo via terra, camminando sulle rive di numerosi laghi, fino a

quello di Nipisierinij ( ora lake Nipissing, si trova in Ontario ), dove i selvaggi rimisero le

canoe in acqua. E il 26, dopo aver percorso all’incirca 25 leghe sia via acqua che via

terra, arrivarono alle capanne dei selvaggi che “ils nous firent fort bonne reception, & estoient en

bon nombre”113, e presso di loro si fermarono una decina di giorni. Durante il loro

soggiorno i capi e gli anziani, come loro costume, offrirono ai francesi numerosi

banchetti, e li portarono a caccia. Egli riporta la seguente descrizione su queste genti: “

Ces dicts peuples estoient bien en nombre de sept a huict centames, qui se tiennent ordinairement sur le

lac”114. In questo lago sono presenti numerose isole; la costa nord è molto bella, con

numerosi fiumiciattoli che vi si gettano. I selvaggi erano soliti pescare pesce in un lago in

cui erano molto abbondanti e spesso, dopo averli presi, li facevano seccare. Da questo

lago essi imboccavano poi un fiume che li conduceva fino ai francesi, con i quali

commerciavano le pelli. Erano grandi cacciatori, in quanto il loro paese era abitato da

molta selvaggina. Champlain si fermò due giorni presso i Nipisierinij.

113Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.19 114 Ivi, pag.20

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47

Gli ottawa e il paese degli Attigouautan

Da lì poi raggiunse il lago Attigouatan, i cui dintorni vengono descritti come molto

brutti, con molte rocce, senza terre lavorabili, anche se sulle sponde del lago egli osserva

del grano d’India, ma in modestissima quantità. Ad un certo punto del viaggio i viveri

iniziarono a scarseggiare, in quanto i nativi che erano con loro non razionavano il cibo, e

furono quindi costretti a mangiare delle specie di zucche che trovavano sulle rive, e per

loro fortuna non mancano neanche i piccoli frutti di bosco. Durante il loro viaggio essi

incontrarono 300 uomini di un popolo chiamato “ les cheveux relevez”115, così chiamati per

le loro strane acconciature, simili a quelle dei cortigiani francesi, e si tratterebbe di

membri della tribù degli Ottawa. Champlain ne approfittò per fare la loro conoscenza e

stringere amicizie, per questo donò al loro capo un’ascia. Egli gli chiese una descrizione

del suo paese, e questi glielo disegnò con del carbone su una scorza d’albero. Essi, come

disse il capo, sono lì per un motivo particolare, ovvero : “qu’ils estoient venu en ce lieu pour

faire secherie de ce fruict appelè blues”116 che d’inverno era il loro unico nutrimento. Il giorno

dopo ripresero il loro viaggio lungo il lago Attigouautan, che egli stimava essere lungo

circa 400 leghe e largo 50, per questo lo rinominò il mare dolce ( oggi Lago Huron ). In

questo lago vi era una fauna abbondante, in particolare vi erano delle enormi trote, ma

anche grandi lucci e certi tipi di storione. La costa Nord del lago è descritta come piatta,

inabitata e coperta di boschi. Da lì poi, il primo giorno di agosto, raggiunsero il paese

degli Attigouautan, più precisamente il villaggio chiamato Otouacha. Champlain usò le

seguenti parole per descrivere ciò che vedeva: “un grand changement de païs, cestuy-cy estant

fort beau, &la plus grand partie deserté, accompagne de force collines, & des plusieres ruisseaux, qui

rendant ce terroir aggreable”117. Al contrario dei luoghi che avevano appena lasciato, quindi,

questo risultava di particolare bellezza. Il giorno dopo visitò il villaggio di Carmaron ,

distante una lega, dove furono molto bene accolti. Il capo chiese loro di rimanere per

qualche tempo, ma questi rifiutarono. In seguito furono al villaggio di Touaguainchain e

quello di Tequenonquiaye, e infine arrivarono a quello di Carhagouha. In questo

insediamento, cinto da alte palizzate, vi abitava Padre Joseph, il quale “le 12 iour d’aoust

celebra la saincte Messe, e y fut planté une Croix”118, vicino ad una casetta poco fuori dal

villaggio, che i selvaggi avevano costruito per l’occasione. Egli era lì anche per assistere

ai preparativi per la guerra che però andarono per le lunghe, tanto che decise di

115Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.21 116Ivi, pag.22 117Ivi, pag.24 118Ivi, pag.26

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48

andarsene a visitare il paese, per giungere alla fine a Cahiaguè, distante quattro leghe,

dove doveva tenersi l’incontro di tutta l’armata. Questo era il più grande villaggio di tutta

la regione, e contava circa duecento tende: qui vi erano riuniti gli uomini d’arme. Egli

usò queste parole per descrivere il loro paese: “ Tout ce pays ou ie fus par terre contient quelque

20 a 30 lieuës, & est tres-beau, soubs la hauteur de quarante quatre degrez & demy de latitude”119 e

vi si seminava il grano con altre erbe e verdure. Inoltre il paese “ est fort traversé de

ruisseaux”120 che vanno a finire nel lago e tutto questo favoriva la crescita di una grande

quantità di frutti selvatici, come piccole mele, fragole e prugne. Per quel che riguardava

gli alberi ve ne erano presenti di molteplici specie: pini, piccoli ciliegi, maraschi, querce,

olmi e faggi. Egli procede nella sua descrizione del paese dicendo che è molto abitato e

ritorna quindi su uno dei grandi temi della sua opera, la cristianizzazione dei selvaggi,

descrivendo così il loro modo di vivere : “Me representant que c’est grand dommage que tant de

pauvres creatures vivent, & meurent, sans avoir la cognoissance de Dieu, & mesmes sans aucune

Religion”121 e senza legge, né divina né umana. Quello che riuscì a constatare fu che essi

non credevano e non pregavano nessuna divinità; avevano degli strani riti per quel che

riguardava i malati, gli oracoli e i morti: vi sono tra di loro infatti, così asserisce

Champlain, dei personaggi simili agli incantatori medievali; tra questi popoli, continua,

essi non hanno poi molta credibilità.

La guerra contro gli Irochesi

Egli arrivò il 17 agosto a Cahiaguè, e venne accolto con molta allegria e riconoscenza dai

nativi, i quali non speravano più di vederlo arrivare. La spedizione subì però un grave

ritardo, tanto che si decise di rinviarla all’anno successivo. Tuttavia, alcuni alleati che

abitavano a tre giornate più a nord degli Enteuhonorons, i quali pure erano in guerra con

gli Irochesi, volevano comunque assisterli in questa spedizione con 500 uomini di guerra

e la loro volontà era di vedere e conoscere i francesi. Da questo incontro uscirono tutti

molto contenti: gli indiani in quanto avevano conosciuto e fatto amicizia con i francesi, e

questi per un ben valido motivo, che lo stesso Champlain ci indica: “ pour le desir que

i’avois de sçavoir de nouvelles de ce pays-la: qui n’est qu’ a sept iournèes, d‘ou les Flamens vont traiate

sur le quarantiesme degré”122 e questi selvaggi, assistiti dagli olandesi, facevano loro la guerra

e spesso li prendevano prigionieri, e li facevano atrocemente morire. I nativi in

119

Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.26 120 Ivi, pag.27 121 Ivi, pag.28 122 Ivi, pag.29

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49

questione, avendo catturato tre olandesi, li lasciarono poi liberi pensando che fossero

francesi. Veniva descritta come una nazione molto bellicosa, che prendeva i membri

della nazione degli Attigouotans, i quali non avevano che tre villaggi in mezzo a quelli

dei nemici. Essi non potevano chiedere soccorso ai loro amici, anche perché sarebbero

dovuti passare per il paese dei loro nemici.

Champlain arrivò poi al villaggio dove soggiornò qualche giorno, attendendo che i guerrieri dei

villaggi vicini venissero, per partire il più presto possibile. Essi partirono il primo di settembre,

costeggiarono un lago, dove vi si trovava una grande quantità di pesce. Vi è poi un altro lago ad

esso collegato, che scende nel più piccolo per un luogo dove i selvaggi avevano montato delle

palizzate che permettevano loro di catturare più facilmente il pesce. In questo luogo si

fermarono per attendere il resto dei guerrieri, ed allora decisero di mandare qualcuno del gruppo

ad avvertire della loro partenza quelli che sarebbero dovuti arrivare con i 500 uomini per

assisterli, alfine di trovarsi tutti insieme davanti al forte dei nemici. E così dodici nativi e un

francese decisero di fare questo viaggio in canoa. Champlain accordò al suo connazionale la

partenza, anche se il viaggio poteva risultare difficile in quanto essi sarebbero dovuti passare per

il centro del territorio nemico. Champlain partì l’otto, e il dieci ci fu una gran gelata. Fecero il

viaggio via lago per 5 o 6 leghe, per poi continuare via terra per circa 10 leghe, dopo di che

trovarono un altro lago, dal quale partiva un fiume che si immetteva direttamente nel lago

Entouhonorons ( lago Ontario ). Tutto il paesaggio viene descritto come molto bello. Erano

paesi poco abitati a causa dei continui attacchi dei nemici ma, un tempo, egli ci assicura che

doveva essere un luogo molto abitato. A questo punto inizia un’interessante descrizione sulla

caccia, riferita ad animali come cervi ed orsi. Per fare questa attività ci vogliono almeno “quatre

ou cinq cents Sauvages”123, i quali, armati di archi e frecce, camminano con ordine, facendo un gran

casino, per stanare gli animali. Essi fanno poi in modo che gli animali si trovino con il lago alle

spalle,così che accada quanto segue : “les chasseurs sont contraints de se jetter a l’eau, sinon qu’ils passent

à la mercy des fleches qui leurs sont tirees par les chasseurs”124 e a quel punto entrano in gioco quelli che

erano rimasti sulle canoe i quali, scesi a terra, finiscono la preda a colpi di spada. Ad una caccia

simile assistette anche Champlain in questa occasione, ma un incidente avvenne durante tale

attività. Uno dei nativi, infatti, venne ferito da un colpo di arma da fuoco. Scoppiò allora una

protesta presso i selvaggi, che costrinse i francesi a fare dei regali al ferito ( era una pratica

ricorrente per ripagare i torti presso quei popoli ), e nel caso che egli fosse morto questi regali

andavano fatti ai suoi parenti. In questo momento si trovavano all’altezza del 42 grado di

latitudine, all’imbocco del San Lorenzo, che però non percorsero, in quanto andavano a sud,

verso i loro nemici. A questo punto abbandonarono le canoe nei boschi, abbondanti lungo le

rive del fiume, continuando poi a piedi per quattro leghe lungo la spiaggia sabbiosa. Ecco la sua

123Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.33 124 Ivi, pag.34

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descrizione del luogo: “ un pays fort agreable,

rivieres qui se deschargent au susdit lac

incamminarono per un viaggio di 25

alcuni dei selvaggi mandati in avanscop

( per la precisione 4 donne, 3 ragazzi, 1 ragazza e 3 uomini ), i quali erano intenti a pescare al di

fuori dell’abitato nemico. Uno dei capi dei selvagg

alle donne catturate ma egli protestò, asserendo che esse sono senza difese e che meritavano di

essere trattate umanamente, che torturarle non è “

avessero fatto non avrebbe avuto

serà iugé provenir d’un courage vil &

trattavano allo stesso modo, se non peggio. Essi decisero di cambiare i loro intenti, rivolgendosi

agli uomini. Il giorno dopo, verso mezzogiorno, arriva

dove i selvaggi iniziarono delle brevi scaramucce. Questo arrecò

il piano originale prevedeva

avrebbe permesso ad alcuni archibugieri di sparare dal

i nemici ad uscire dalle loro gallerie;

questi uomini. Un altro elemento che verrà utilizzato dovrà essere il fuoco, da appiccare in

alcuni punti della palizzata, e

concordi sul piano: in meno di quattro

legna per bruciare le palizzate fu raccolta e posizionata. Si stavano a

uomini promessi dai loro alleati, ma ormai si dubitava che sarebbero arrivati, visto che non

erano venuti all’appuntamento. Essi si rit

espresse questo pensiero : “ iugeant de ma part

prejudiciable”128, chiese di attaccare senza perdere altro tempo. Per convincerli disse

125Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.32 126 Ivi, pag.37 127 Ibidem 128 Ivi, pag.40

50

un pays fort agreable, & beau, traversè de plusiers petites ruisseaux, & deux petits

chargent au susdit lac”125 e un grande numero di stagni, con grandi boschi. Si

no per un viaggio di 25-30 leghe, durato circa 4 giorni, fino al 9 otto

alcuni dei selvaggi mandati in avanscoperta sorpresero alcuni nemici che vennero fatti prigionieri

( per la precisione 4 donne, 3 ragazzi, 1 ragazza e 3 uomini ), i quali erano intenti a pescare al di

abitato nemico. Uno dei capi dei selvaggi alleati di Champlain voleva tagl

ma egli protestò, asserendo che esse sono senza difese e che meritavano di

essere trattate umanamente, che torturarle non è “l’acte d’un homme de guerre”126, e che se lo

avessero fatto non avrebbe avuto il coraggio di assisterli in guerra. Questo atto, continua lui “

urage vil & brutal”127 al che il capo gli rispose che anche i nemici li

no allo stesso modo, se non peggio. Essi decisero di cambiare i loro intenti, rivolgendosi

po, verso mezzogiorno, arrivarono davanti all’accampamento nemico,

dove i selvaggi iniziarono delle brevi scaramucce. Questo arrecò loro un grave danno

il piano originale prevedeva di attaccare il giorno seguente ma, per colpa dell’impazienza e d

scarsa disciplina dei selvaggi, fallì. Egli poi fu

costretto a compiere alcune manov

nonostante i pochi uomini che a

disposizione, ebbero successo grazie

agli archibugi, che instillarono una gran paura nel

nemico, e si ritirarono con un solo mo

Champlain fu molto adirato e propose loro una

tattica che, secondo lui, avrebbe dovuto

garantirgli la vittoria. Per prima cosa essi

avrebbero dovuto costruire un’impalcatura che

avrebbe permesso ad alcuni archibugieri di sparare dal di sopra delle palizzate, costringendo così

ire dalle loro gallerie; dovranno inoltre costruire alcune protezio

emento che verrà utilizzato dovrà essere il fuoco, da appiccare in

alizzata, e dovrà essere tenuto sotto tiro dagli archibugieri. I sel

concordi sul piano: in meno di quattro ore i lavori per costruire “ il cavaliere” furono eseguiti, e la

legna per bruciare le palizzate fu raccolta e posizionata. Si stavano ancora attendendo i 500

uomini promessi dai loro alleati, ma ormai si dubitava che sarebbero arrivati, visto che non

erano venuti all’appuntamento. Essi si ritenevano comunque in buon numero e Champlain, che

“ iugeant de ma part que la longueur en toutes affaires est tousiours

, chiese di attaccare senza perdere altro tempo. Per convincerli disse

Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année

ruisseaux, & deux petits

grande numero di stagni, con grandi boschi. Si

30 leghe, durato circa 4 giorni, fino al 9 ottobre, quando

che vennero fatti prigionieri

( per la precisione 4 donne, 3 ragazzi, 1 ragazza e 3 uomini ), i quali erano intenti a pescare al di

i alleati di Champlain voleva tagliare le dita

ma egli protestò, asserendo che esse sono senza difese e che meritavano di

, e che se lo

guerra. Questo atto, continua lui “

al che il capo gli rispose che anche i nemici li

no allo stesso modo, se non peggio. Essi decisero di cambiare i loro intenti, rivolgendosi

accampamento nemico,

loro un grave danno in quanto

per colpa dell’impazienza e della

dei selvaggi, fallì. Egli poi fu

manovre che,

aveva a

grazie sopratutto

agli archibugi, che instillarono una gran paura nel

ono con un solo morto.

e propose loro una

e, secondo lui, avrebbe dovuto

gli la vittoria. Per prima cosa essi

impalcatura che

di sopra delle palizzate, costringendo così

dovranno inoltre costruire alcune protezioni in legno per

emento che verrà utilizzato dovrà essere il fuoco, da appiccare in

dovrà essere tenuto sotto tiro dagli archibugieri. I selvaggi furono

” furono eseguiti, e la

ncora attendendo i 500

uomini promessi dai loro alleati, ma ormai si dubitava che sarebbero arrivati, visto che non

enevano comunque in buon numero e Champlain, che

eur en toutes affaires est tousiours

, chiese di attaccare senza perdere altro tempo. Per convincerli disse loro che i

Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année

Page 51: tesi di laurea magistrale 854999

51

nemici avevano riconosciuto la loro forza e che erano corsi ai ripari per meglio difendere il

villaggio: questo era cinto da quattro palizzate formate da grossi tronchi intrecciati tra di loro, ed

essi erano lunghi trenta piedi, mentre le gallerie erano dei parapetti ricoperti da due strati di

legna. Il villaggio, tra le altre cose, si trovava vicino ad uno stagno dove potevano procurarsi

l’acqua necessaria a spegnere l’incendio. I francesi e i loro alleati iniziarono trasportando “ il

cavaliere” fino alle palizzate, dove vi fecero montare tre archibugieri che si potevano mettere ben

al riparo da frecce e pietre. Tuttavia il nemico non risparmiò frecce e pietre anche se ad un certo

punto “la moltitude infinie des coups d’harquebuse les contraignent de desloger”129. Tutto procedeva

secondo i piani se non che, ad un certo punto, mentre “il cavaliere” veniva trasportato verso le

assi di protezione, i selvaggi che dovevano accendere il fuoco lo abbandonarono e si misero ad

urlare e a tirare frecce ai nemici. Quando poi si decisero ad accenderlo il vento aveva già

cambiato direzione; inoltre la legna portata per alimentarlo non era sufficiente, quindi esso non

fece grandi danni. A questo punto nacquero numerose incomprensioni tra i selvaggi, cosa che

afflisse molto Champlain: “ce qui m’affligeoit fort, i’avois beau crier à leurs oreilles & leur remonstrer au

mieux qu’il me estoit possible le danger ou ils se mettoient par leur mouvaise intelligence”130 ma nonostante il

suo sforzo essi non riuscirono a capire più nulla a causa del rumore. Egli si risolse quindi a

muoversi con gli altri francesi, per sparare ai nemici che avrebbero scoperto. Nel mentre,

approfittando della confusione, i nemici erano riusciti ad approvvigionarsi d’acqua e a scaricarla

sul fuoco sotto le loro palizzate. Essi poi continuavano a tirare frecce, tanto che tre di quelli che

stavano sul cavaliere vennero uccisi e molti vennero feriti. Il combattimento durò tre ore e,

allorché tre dei loro capi furono feriti, tra i nativi iniziò a circolare l’idea di ritirarsi senza più

combattere, senza più attendere i 500 uomini di rinforzo che non sarebbero mai arrivati. La

ritirata fu molto disordinata, anche perché i capi non dimostrarono alcuna autorità. I francesi, da

parte loro, fecero ritorno al loro forte dove Champlain fu curato dalle ferite alla gamba e alle

ginocchia, causate da due frecce che lo avevano colpito durante lo scontro. Dopo essere stato

curato, partecipò ad un’assemblea dove, con le giuste parole, protestò molto per il disordine che

i nativi avevano tenuto durante la battaglia lamentando che, per colpa di questo fatto, molti di

loro ed egli stesso, erano rimasti feriti. Quest’ultimi, aggiunse, saranno un gran peso

durante la loro ritirata. Egli poi consigliò loro di fare quanto segue: “bien qu’ils attendroient

encores quatre iours les cinq cents homme qui debouient venir”131, ed essendo arrivati, riprovare

una seconda volta contro i loro nemici. Il giorno dopo ci fu un grande vento che rese

molto favorevole l’appiccare il fuoco alle palizzate nemiche ma, i selvaggi, nonostante gli

inviti di Champlain, non fecero nulla in questo senso, in quanto avevano paura di

rimanere feriti. Essi rimasero accampati fino al sedici e in quel tempo ci furono solo

129 Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619,pag.41 130 Ivi, pag.42 131Ivi,pag.44

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brevi scaramucce con i nemici. Spesso, tuttavia, furono gli archibugieri francesi a

permettere ai loro alleati di mettersi in salvo. Attesero vanamente ancora i 500 uomini e,

visto che non arrivavano, decisero di andarsene, costruendo i trasporti per i feriti che

venivano spostati nelle seguente condizioni : “qui sont mis là dedans, entassez en un monceau,

pliez & garrotez de telle façon, qu’il est impossible de se mouvoir, moins qu’un petit enfant en son

maillot”132. Anche Champlain venne trasportato in questo modo per qualche giorno e ne

soffrì moltissimo, tanto che pur di non soffrire oltre, si fece forza e si mise in piedi da

solo. I nemici cercarono di infastidire la retroguardia, ma si ritirarono ben presto. Egli

lodò questa loro ritirata, e ce ne spiega il motivo: “ ils font leur retraicte fort seurement, mettans

tous le blessez, & le vieux, au milieu d’eux”133 e marciarono in maniera ordinata fino a che

non furono fuori dal territorio nemico. La ritirata si protrasse per circa 20 leghe,

arrecando molti fastidi sia ai feriti sia a quelli che dovevano trasportarli. Il 18 nevicò

molto forte e questo creò loro parecchi problemi, tuttavia essi arrivarono comunque al

lago degli Entouhonoros, dove avevano lasciato le loro canoe. Champlain, il cui

desiderio di tornare all’abitazione dei francesi era molto forte, venne accompagnato da

quattro volontari. Ciononostante venne trovata nemmeno una canoa libera, e questo lo

amareggiò molto, in quanto : “ils m’avoient promis de me remener, & conduire à notre habitation

, apres leur guerre”134. Egli si convinse dopo qualche giorno che i nativi miravano a farli

rimanere nel loro paese per motivi di sicurezza, avendo paura dei loro nemici. Il giorno

28 fu pieno di grandi preparativi, infatti “ chacun commença a preparer”135, chi per la caccia al

cervo o all’orso o al castoro, oppure alla pesca; altri invece si ritirarono verso i loro

villaggi. Champlain alloggiò presso Darontal,

uno dei principali capi il quale, però, era

comunque impegnato nella caccia al cervo.

Iniziarono quindi un viaggio che li portò ad

attraversare il lago, e da lì seguirono un fiume

per una dozzina di leghe, poi trasportarono le

canoe via terra per mezza lega, e infine furono

di nuovo in un lago, attorno al quale vennero

cacciati un gran numero di volatili e, secondo i nativi, dovevano trovarsi un gran numero

di cervi. A quel punto costruirono delle capanne con delle assi di legno e con del

132Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.46 133 Ivi, pag.47 134 Ivi, pag.48 135 Ibidem

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53

muschio per tappare le fessure in cui entrava l’aria, e queste le costruirono dentro una

radura nel bosco. Vicino ad esse essi costruirono un recinto di forma triangolare, chiuso

su due lati e aperto sul terzo, costituiti da palizzate lunghe cento passi su ambo i lati.

All’estremità del triangolo vi era un’apertura di cinque piedi, per la quale i cervi

sarebbero dovuti entrare. Tutto questo venne preparato da alcuni di loro mentre altri

andavano a pescare. Il giorno prestabilito essi partirono prima dell’alba per arrivare a

circa mezza lega prima della trappola, ben distanti tra di loro e tutti muniti di bastoni,

che venivano picchiati l’uno sull’altro, e camminarono così fino a quando arrivano alla

trappola. A quel punto “ les cerfs oyant ce bruyt s’enfuyent ent devant eux, iusques à ce qu’ils

arrivent au clos ou les sauvages les pressent d’aller”136 e scorrendo lungo i lati della trappola,

dove ai lati erano presenti numerosi cacciatori che continuarono a scagliare su di loro le

frecce e a spaventarli con versi di lupo, fino a costringerli ad entrare dentro il recinto

oltre alla piccola apertura, dove erano facili prede per i loro colpi. La caccia durò in

totale trentotto giorni e fruttò ottanta cervi, di cui usavano il grasso nella stessa maniera

in cui i francesi usavano il burro, mentre il lardo lo portarono a casa. Essi hanno anche

altri modi ingegnosi di cacciare il cervo. È durante questa caccia che Champlain si perse.

Egli, infatti, si mise a seguire un uccello a suo dire simile ad un parrocchetto e, dal

momento che lo perse di vista, si accorse di essersi allontanato di molto. Quando tornò

alla trappola non vi trovò nessuno, si decise perciò di muoversi da lì e “ ie me treuvay égaré

parmy les forests, allant tantost d’un costé, tantost d’un autre, sans me pouvuoir recognoitre”137 e si

trovò a passare la notte sotto un grande albero. Il giorno dopo riuscì a trovare un

piccolo stagno dove uccise tre o quattro uccelli, e per tutto il giorno e per alcuni

seguenti, trovò sempre cattivo tempo; inoltre soffrì parecchio la fame. Egli allora si

rivolse a Dio, e ci trascrive questa parole : “e prier Dieu qu’il me donnast l’espirit, & le courage,

de pouvuoir supporter patiemment mon infortune”138 e se lui doveva continuare ad essere

abbandonato in quella foresta, senza consiglio nessuna consolazione che fosse la bontà e

la misericordia divina. Alla fine però egli non si perse d’animo e si rimise in cammino,

nella speranza di ritrovare i suoi compagni: all’inizio però non trovò altro che le tracce di

alcuni animali selvatici, e fu costretto a passare un'altra notte da solo. Oltre a questo, si

accorse di non aver portato con sé la sua piccola meridiana, che gli avrebbe permesso di

orientarsi più facilmente. Il giorno dopo trovò dei ruscelletti, che secondo lui si

dovevano buttare necessariamente nel fiume, sulle cui rive dovevano essere ancora

136 Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619,pp.50-51 137 Ivi, pag.52 138 Ivi, pag.53

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accampati i suoi cacciatori. Seguendone il corso trovò un piccolo lago, da lì seguì poi un

ruscello più grande, e lo seguì fino a che non trovò una cascata. In quel punto egli scorse

un piccolo sentiero, che era quello che i selvaggi utilizzavano per trasportare le loro

canoe. Trascorsa ancora una notte all’aria aperta, il giorno dopo egli riconobbe il fumo

dei cacciatori e raggiunse ben presto il loro accampamento. Questo suo smarrimento

avrebbe potuto causare anche incidenti diplomatici tra i francesi e i nativi, infatti essi gli

dissero che“si tu ne fusse venu, & que nous n’eussions peu te trouver, nous ne serions plus allez aux

française”139 in quanto avevano paura che i francesi potessero accusarli di averlo lasciato

morire. Per questo lo pregarono di portarsi sempre la sua meridiana e gli diedero uno dei

loro affinché potesse fargli da guida. A questo punto egli introduce una loro singolare

superstizione riguardante la cottura della carne dei cervi che avevano ucciso nella caccia

sopradescritta. Secondo loro, infatti, se del grasso fosse colato sul fuoco mentre la carne

arrostiva o se vi fosse stato gettato qualche osso, essi non avrebbero più preso cervi, e

così lo pregarono di non cucinare più in quella maniera. Egli li accontentò, ma solo per

non scandalizzarli ulteriormente, tuttavia continuò ad usare questo metodo di nascosto.

Il giorno diciannove ripartirono: i selvaggi si caricarono di cento libbre ciascuno ed egli

ne portò venti, cosa che però lo affaticò molto, ed ogni tanto furono costretti ad

aiutarlo. Il viaggio fu reso difficile sia dal terreno sia dal disgelo, in quanto non potevano

più passare sugli specchi d’acqua ghiacciati, ma erano costretti a fare un ampio giro.

Arrivarono al villaggio degli Algonchini quattro giorni dopo, e da lì decise di raggiungere

padre Joseph, e cercò di visitare i popoli che non gli era stato possibile conoscere a

causa della guerra. Partito il quattordici gennaio, incontrò padre Joseph il giorno dopo “

en sa petite maisonette ou il s’estoit retiré”140 e vi rimase alcuni giorni e decisero di visitare

insieme la nazione dei Petun . Partirono dunque insieme il 15 febbraio e vi giunsero due

giorni dopo, visitando numerosi villaggi, i cui abitanti promisero di venire in buon

numero presso l’abitazione dei francesi. In ogni villaggio ebbero un’ottima accoglienza,

con banchetti e con molte persone che accorsero da ogni parte per vederli. Questo

popolo viveva come gli Attignouaatitans, avevano gli stessi costumi, e “sont proches de la

nation neutre, qui est puissante, qui tient une grande estendue de pays”141. Nei giorni seguenti

visitarono anche la nazione dei “ cheveux relevez”, i quali furono ben contenti di rivederli,

e promisero di venire a trovarli nella loro abitazione. Egli poi ci descrive la loro

organizzazione politica: essi erano molto numerosi, ed erano divisi tra più capi che

139Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619; pag.55 140 Ivi, pag.58 141 Ivi, pag.59

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comandavano nelle rispettive contee. Erano grandi cacciatori, pescatori e guerrieri e

facevano spesso lunghi viaggi per poter commerciare. Champlain si esprime così a loro

riguardo “ ce sont les plus propres Sauvages que i’aye veu en leurs mesnages, & qui travaillent le plus

industrieusement aux façons de nates, qui sont leurs tapie de Turquie”142. Egli poi descrive il loro

modo di vestirsi: gli uomini erano di fatto scoperti, se non fosse stato per un drappo di

pelle che li ricopriva come un mantello; le donne invece erano molto più coperte. A

circa due giorni di viaggio da loro vi era un'altra nazione di selvaggi, chiamata “la nation

neutre”, che si trovava sulla costa sud e contava circa 4.000 uomini di guerra. Essi

abitavano verso la parte occidentale del lago Entouhonorons, in un territorio grande circa

dalle 80 alle 100 leghe. Essi aiutavano spesso i Cheveux relevez contro i loro nemici, ma

vivevano in pace con gli Irochesi. Egli si ripropose di andare a visitarli ma ne venne

dissuaso, in quanto questi erano ancora in collera poiché l’anno precedente, durante la

guerra degli Enteouhonorons, uno di loro era stato ucciso da uno dei francesi e, visto che

essi praticavano la vendetta sul gruppo e non sulla singola persona, gli sconsigliarono

caldamente di andarvi. Decisero così di tornare per il medesimo cammino dal quale

erano venuti.

Dispute tra alleati

Durante il viaggio, che sarebbe dovuto proseguire grazie all’aiuto della gente dei

Pisierinij, fu raggiunto da una notizia che proveniva dal grande villaggio degli

Algomenquins, dove si trovava il capitano Yroquet. Accadde infatti che “ ceux de la nation

des Atignouaatitans avroient mis & deposé entre ses mains un prisonnier de nation ennemie”143,

sperando che egli lo punisse con la giusta vendetta ma, al contrario, lo aveva reso libero

e lo aveva impiegato come cacciatore. Gli Atignouaatitans, in collera con lui, lo fecero

uccidere davanti a tutti i capi della nazione Algomenquins; i quali, indignati da tale atto e

pieni di astio, uccisero sul posto l’esecutore dell’omicidio. L’uccisione di quest’uomo

offese gli Atignouaatitans, che presero le armi e andarono verso le tende degli

Algommequins: essi passavano l’inverno vicino al loro villaggio. Durante questa

dimostrazione di violenza il Capitano Yroquet venne ferito da alcuni colpi di freccia, e

tutto questo accadde senza che per loro fosse stato possibile difendersi , in quanto erano

molto inferiori di numero. Tuttavia essi non furono abbandonati ed era necessario

ritrovare la pace: contrattarono di donare agli Atignouaatitans cento beccacce, che erano

142

Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.60 143 Ivi, pag.62

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considerate di grande valore tra di loro e altri oggetti, tra cui delle asce e due donne,

come ricompensa dell’omicidio. Questa notizia afflisse molto Champlain, il quale fu

molto sollecitato ad andare al grande villaggio da alcuni selvaggi che aveva incontrato: i

quali gli dissero che, in caso non fosse venuto, nessuno di loro sarebbe tornato dai

francesi in quanto sarebbero stati in guerra con gli Algommequins. Egli tornò, passando

comunque dai Pisirinins per sapere quando sarebbero stati pronti per fare il viaggio verso

nord e lì apprese che il capitano Yroquet lo stava cercando, pregandolo che venissero

all’abitazione dei francesi per vedere l’accordo che ci sarebbe stato tra di loro e gli

Atignouaatitans. Egli aveva dunque richiesto che venisse rimandato il viaggio al Nord e, a

causa di questo, aveva fatto dei doni. Champlain tornò verso il loro villaggio il 15

febbraio e, per prima cosa, mandò i suoi interpreti dagli Algomenquins per sapere che cosa

fosse accaduto. Passarono due giorni per conoscere entrambe le versioni: poi, con i capi

del luogo, se ne andò verso gli Algomenquins, i cui capi si trovavano in una capanna e che

“lesquels tous ensamble apres quelques discours demeurent d’accord de venir, & avoir aggreable tout ce

qu’on diroit”144 come arbitri su questo soggetto, e quello che egli proporrà verrà eseguito.

Iniziò poi a raccogliere le varie testimonianze e arrivò alla conclusione che tutti volevano

la pace. Lui disse allora che “le meilleur estoit de pacifier le tout, & demeurer amis”145 e restare

quindi uniti e concordi per resistere più facilmente ai loro nemici. Partendo dal loro

villaggio li supplicò di non chiamarlo più a riguardo di questa faccenda, se non avessero

avuto intenzione di seguire il suo consiglio. Egli sapeva bene che, se non avesse preso lui

le decisioni, questi popoli avrebbero smesso di vivere in amicizia, essendo convinti tutti

e due di avere ragione sul caso in questione. Ci furono poi molti discorsi su questo caso,

e lui venne chiamato per esprimere la sua opinione ed essi rimettevano tutto alla sua

volontà, “comme à leur pere”146, tutto sarebbe stato rimesso alla sua discrezione e, in

futuro, avrebbe potuto disporre di loro come meglio voleva. Egli fece dire dai suoi

interpreti che era molto contento di vederli così inclini a seguire il suo consiglio, e loro

risposero che “il ne seroit que pour le bien & utilité des peuples”147. A questo punto arrivò

un’altra cattiva notizia, ovvero la morte di un membro della loro tribù: questo fatto

avrebbe potuto scatenare guerre tra di loro. Tutto ciò avrebbe potuto portare al

deterioramento dei loro rapporti, privando così i francesi del loro aiuto, della loro

amicizia e della loro frequentazione. Egli disse dunque loro che “ ces façons de faire, entre

144Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.66 145 Ibidem 146 Ivi, pag.67 147 Ivi, pag.68

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deux nations, amis, & freres, comme ils se disoient, estoit indigne entre des hommes raisonnables”148 e

inoltre era meglio per loro far fronte ai nemici, i quali facilmente avrebbero potuto

invadere il loro paese e che non si poteva, “que pour la mort d’un homme ils en mettoient dix

mille en danger de mourir”149. Poi, come Champlain osservò, bisognava considerare il fatto

che con quella morte non si voleva, e non si doveva, cominciare una guerra. A

quest’uomo, ricordiamolo, gli Algommequins avevano donato la libertà e lo trattavano

come uno di loro e andarono in collera per quello che era successo, per il fatto che fosse

stato ucciso nelle loro capanne. Essi desideravano la morte dell’assassino, cosa che aveva

ben meritato. E per dimostrare agli Attigouautan che gli Algommequins non lo amavano

poi più di tanto, “ ils l’avoient mangè”150, cosa che egli condannò come indegna per un

essere umano. Essi lo avevano donato in sacrificio: d’altra parte avevano ricompensato

quella morte con dei grandi regali e due prigioniere. Agli Attigouautan disse che “ se

gouverner plus modestement en leurs déportemens envers les Algommequis, qui sont de leurs amis”151 e

che gli avevano promesso di fare tutte le cose concordate, poi chiese ad entrambi i

popoli di dimenticarsi quello che era successo e di restare buoni amici. Egli poi spiegò

che i francesi avrebbe continuato ad amarli e ad assisterli come già avevano fatto in

passato e, se tuttavia essi non fossero stati contenti del suo consiglio, disse loro che “ se

trouver le plus grand nombre d’entr eux qu’ils pourroient a notre habitation, où devant tous les

Cappitaines des vaisseaux on confirmeroit d’avantage ceste amitié”. Essi dissero allora che aveva

ben parlato e che avrebbero seguito i suoi consigli; a quel punto tornarono nelle loro

capanne, tranne gli Algommequins, che si ritirarono presso i loro villaggi ( cosa che

Champlain ritenne essere una dimostrazione della loro scontentezza ).

Egli iniziò a questo punto una sua personale considerazione sul paese dei suoi alleati

nativi. Queste contrade erano lunghe circa 450 leghe e larghe dalle 80 alle100 e si

trovano da sotto il 41 di latitudine fino al 49 grado. Questa terra consisteva, come ci dice

Champlain, in una grande isola circondata dal San Lorenzo. Sulla costa Nord di quel

gran fiume che va verso l’occidente ( il San Lorenzo ) per circa 100 leghe in direzione

del paese degli Attigouautans, vi sono grandi montagne, e vi era molta cacciagione e vi si

poteva pescare in maniera abbondante. Tutti i fiumi di queste zone si immettono dentro

il San Lorenzo, e questa terra presentava sia foreste di aceri sia zone prive di

vegetazione. I paesi a Nord del fiume presentavano invece un ambiente roccioso dove i

148 Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.68 149 Ivi, pag.69 150 Ivi, pag.71 151 Ibidem

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selvaggi che vi abitavano erano nomadi, non lavoravano la terra ed erano principalmente

cacciatori. Anche i fiumi di quella zona si immettevano nel San Lorenzo e tutti questi

territori si trovano sotto il 49 grado di latitudine e come larghezza, da est a ovest, di circa

600 leghe di longitudine. Tutte queste conoscenze che lui ha erano dovute, oltre che ai

suoi viaggi ,ai discorsi che egli faceva con i membri delle varie tribù che incontrava.

Verso occidente si trova anche un lago chiamato il mare dolce ( quindi si tratterebbe del

lago Huron ), con circa 400 leghe di lunghezza. Non si avevano poi molte conoscenze

per quel che riguarda i territori ad occidente del gran lago, in quanto i nativi alleati dei

francesi erano in guerra con quelli di quelle zone. Tuttavia alcuni prigionieri di quei

popoli testimoniarono che vi erano delle persone “ semblable à nous en blancheur”152 e dai

capelli biondi, i quali dicevano di essere come i francesi. Champlain riteneva importante

sapere la verità su questo fatto, ma per fare ciò sarebbe stato necessario avere

l’assistenza dei popoli che abitano in mezzo tra di loro e questi popoli, cosa che lui si

augura possa avvenire per poter migliorare la loro conoscenza del territorio. I territori a

sud del grande fiume sono decisamente più popolati, e tra i vari popoli vi è spesso la

guerra ed anche da un punto di vista climatico è ben differente, essendo molto più

temperato. Le coste occidentali sono invece assai meglio conosciute, trattandosi di

luoghi come il Labrador e Terranova, regioni di cui aveva già abbondantemente parlato

nelle sue precedenti opere.

Gli Attigouautan

Passa poi a descrivere il territorio degli Attigouautan, che si trovava sotto il 44 grado e

mezzo di latitudine, ed è lungo circa 230 leghe verso occidente e 10 di latitudine. In

questo spazio si contavano 18 villaggi, di cui 6 fortificati da una tripla muraglia di legno.

Per ovviare al fatto che i loro nemici avrebbero potuto appiccare il fuoco a queste

palizzate, essi costruirono delle gallerie dov’era possibile trovare dell’acqua che poteva

permettere loro di estinguere il fuoco. Secondo le sue stime, questi villaggi sarebbero

stati abitati da circa 2.000 uomini di guerra e, se si aggiungono i civili, si poteva arrivare

a 30.000 unità. Egli descrive poi il modo di vivere di questa gente, che abitava in

capanne ricoperte da cortecce d’alberi, al cui centro vi era un’apertura e a cui lati vi

erano delle specie di stalle dove essi dormivano durante l’estate, mentre in inverno erano

soliti riposare su delle stuoie vicino al fuoco, “pour estre plus chaudemet que sur le haut de

152Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.76

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l’establie”153, e per alimentarlo facevano molta provvista di legna. Ai lati delle capanne vi

erano poi degli spazi per conservare il grano d’India. Per quanto riguarda il vestiario

invece dice che “ il y à des bois qui sont sospendu, ou ils mettent leurs habits”154. In queste

capanne potevano esserci anche 12 fuochi per 24 gruppi domestici: il fumo poteva

arrecare loro grandi disturbi alla vista, tanto che giunti in età avanzata era facile che

diventassero ciechi. Ogni 10, 20 o 30 anni essi spostavano il loro villaggio, in una

distanza che poteva andare dalle 2 alle 50 leghe. Egli descrive così il loro modo di vivere

“ Leur vie est miserable au regard de la nostre, mais heureuse entr’eux qui n’en ont pas gousté de

meillure, croyant qu’il ne s’en trouvè pas de plus excellente”155. Essi mangiavano principalmente il

grano d’India, il quale poteva essere cucinato in diversi modi: potevano farne del pane

dopo averlo pestato in dei mortai di legno, per poi farlo bollire insieme a lamponi o a

carne di cervo. Quando è ben caldo lo raffreddano e lo fanno poi cuocere sotto le ceneri

e, una volta pronte, le lavano e spesso ne fanno più di una che avvolgono dentro foglie

di grano. Essi poi preparano anche il Migan, la cui procedura di preparazione è la

seguente: prendono del grano pestato e ne mettono due o tre manciate dentro una

pentola di terra piena d’acqua, dopo di che lo mescolano fino alla bollitura; in seguito vi

aggiungono del pesce intero, anche se questo, secondo lui, non dà un buon sapore a

meno che il pesce non sia particolarmente buono. Alla fine si presenta con un colorito

chiaro e viene diviso tra tutti i commensali. Un altro modo per prepararlo è grigliare del

grano nuovo con del pesce, mentre un terzo modo è di grigliarlo sotto la cenere, per poi

pestarlo e ridurlo in farina: diventa così molto utile durante i viaggi. Per quanto riguarda

il pesce e la carne, essi li tagliano in grandi pezzi e poi li fanno bollire. Ad un certo punto

con un cucchiaio iniziano a raccogliere il grasso, in seguito vi mettono la farina e

mescolano fino a che non è pronta. Alla fine, durante i banchetti, spartiscono il grasso

un po’per ciascuno. Un altro modo ancora per cucinare il grano è di prenderne delle

spighe, metterle in acqua sotto la melma, far riposare per tre mesi e, quando lo giudicano

marcito, lo tolgono da lì e lo cucinano con la carne e con il pesce. Champlain in quel

periodo digiunò per la quaresima per tentare di dare il buon esempio, ma “ c’estoit perdre

temps: qu’ils engraissent aussi des Ours”156. Egli poi considerò che se questo popolo avesse

iniziato ad allevare del bestiame lo avrebbe trattato molto bene, dopo che i francesi

avessero loro mostrato il modo di allevarlo e di nutrirlo: questa cosa avrebbe migliorato

153Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.78 154 Ibidem 155 Ivi, pag.79 156 Ivi, pag.83

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assai la loro vita miserabile. Per quel che riguardava il vestiario, usavano le pelli di diversi

animali sia cacciate sia ottenute tramite commercio. Indossavano spesso delle braghe di

pelle di cervo, le scarpe invece potevano essere fatte di pelle di Castoro; mentre per la

parte superiore utilizzavano due maniche collegate nella parte posteriore da una corda,

ma le usavano principalmente durante i loro viaggi. Erano inoltre soliti dipingersi il viso

di nero o di rosso, e spesso si ungevano i capelli con del grasso d’orso. Per quanto

riguardava le donne, erano scoperte dalla vita in su e dalle cosce in giù e indossavano

spesso collane o catenelle e anche bracciali; i capelli erano spesso acconciati con fasce di

pelle di anguilla, e spesso danzavano così ornate.

Descrive il fisico di questi popoli come ben proporzionato: gli uomini erano robusti e

forti, le donne erano ben fatte. Esse avevano un fisico robusto anche perché dovevano

gestire tutti gli affari di casa, tra i quali “ sement le bled d’Inde, font la provision de bois pou

l’hiver, e tillent la chanvre, & la fillent, dont du fillet ils font la rets à pescher”157 e poi si dovevano

occupare della raccolta del grano, di preparare da mangiare e di seguire con i bagagli i

loro mariti quando questi erano in viaggio. Gli uomini erano principalmente cacciatori e

pescatori: era loro compito costruire le capanne e andare a fare la guerra. Erano inoltre

responsabili dei commerci con le altre nazioni e al loro ritorno si organizzavano grandi

festini. Egli spiega poi quali erano le usanze riguardo al matrimonio presso questo

popolo: quando le ragazze erano in un’età compresa tra gli 11 e i 15 anni avevano degli

amanti, i quali, dopo un po’di tempo le chiedevano in sposa ai genitori ( benché esse “ ne

prennent pas leur consentement”158 ). Essi poi presentavano alle ragazze alcuni doni e, se ella

li trovava di suo gusto, avrebbe dormito con lui per tre o quattro notti, quando

potevano cogliere il frutto dei propri affetti. Nel caso essi non fossero riusciti ad

accordarsi, egli sarebbe rimasto comunque ingaggiato per le sue collane, fino a che non

si convinto a ricercare un’altra donna, e lei un altro amante, fino a che non si avrà un

buon riscontro. Molti di loro passavano in questo modo la giovinezza. Quando esse poi

rimanevano incinta i vecchi mariti facevano ritorno, tutti dimostrando amore, amicizia e

la paternità; alla fine sarà lei a decidere chi l’avrà come donna e a questo punto andranno

ad abitare senza più lasciarsi. Questa usanza implica anche che i bambini non

erediteranno mai i beni del padre, al quale succedevano invece i figli delle loro sorelle.

Per quanto riguardava la vita dei loro bambini, invece, durante il giorno venivano messi

su un asse di legno, e li vestivano con delle pelli, lasciando aperto solo un buco per i loro

157Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.88 158 Ivi, pag.89

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bisogni se era un maschio; se invece si trattava di una bambina le mettevano una foglia

tra le cosce, per fare in modo che lo sporco fuoriuscisse. Solitamente ponevano sotto di

loro dei piumini, e coprivano l’asse con lo stesso materiale. La notte invece il bambino

dormiva tutto nudo tra il padre e la madre. Champlain considerava i loro bambini “fort

libertins entre ces nations”159 e i genitori “les flattent trop, ne les chastient point du tout”160 e questi,

a suo giudizio, crescevano male, con modi violenti nei confronti dei genitori. Per quel

che riguardava le leggi egli scrive che “ ie n’ay point veu que ils en ayent”161, tanto che tra di

loro non esisteva alcun castigo, se non per vendetta o per rendere il male per il male,

cosa che spesso arrivava a scatenare delle guerre. Per quel che riguarda la religione essi

non avevano alcuna divinità, bensì avevano rispetto del diavolo: la qual cosa faceva

nascere molti dubbi, e il motivo è presto spiegato. Egli infatti asserisce che “ soubs ce mot

qui il prononçent, sont entendus diverses significations, & comprend en soy plusiers choses”162 di modo

che non si poteva dire se era veramente il diavolo o un’altra cosa. A questo punto ci

introduce la figura dell’Oqui ( che presso gli Algommequins si chiama Manitons ), colui

che si occupava di preparare le medicine e di predire il futuro e “au rest toutes abusions &

illusions du Diable, pour les tromper & deçevoir”163. Essi persuadevano i loro malati ad

organizzare dei banchetti per essere guariti più in fretta e vi partecipavano prendendosi

la parte più gustosa, ne facevano organizzare molti per farli guarire più velocemente. Ed

ecco che egli prende spunto da questa figura per affrontare l’Evangelizzazione di queste

genti: scrive infatti che “e subject de croire leur reduction en la coignassance de Dieu plus facille, si

leur pays estoit habitué de personnes qui prissent la peine, e le soing de leur enseigner”164 però, d’altra

parte, non si potevano inviare dei religiosi se non si disponeva delle persone che

potevano assisterli e, inoltre, sarebbe stato prima necessario sopprimere i loro falsi

costumi ed essere certi della loro volontà di diventare cristiani. Anche il buon esempio,

dice, potrà smuoverli e convincerli a seguire la retta via. Su questi argomenti sia lui che

Padre Ioseph li avevano spesso intrattenuti e nei loro consigli essi spesso rispondevano

che “tu dis choses qui passe nostre espirit”165 e che sarebbe stato più facile per loro vedere

come i francesi vivevano con le loro mogli e bambini, come cercano Dio e come

lavorano la terra, come obbediscono alle loro leggi e come nutrono gli animali, o come i

francesi fabbricano tutto quello che essi vedono nelle loro mani. E se non fosse stato 159 Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.92 160 Ibidem 161 Ivi, pag.93 162 Ibidem 163 Ivi, pag.94 164Ivi, pp. 94-95 165 Ibidem

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ancora possibile per loro comprendere, affermarono che “ tu prendras nos enfans, qui seront

comme les tiens” i quali, crescendo, sceglieranno una vita come quella dei francesi, che è

meno miserabile della loro. Ecco allora che egli invoca l’azione del Re per soccorrere

queste persone, poiché egli solo poteva compiere questa grande opera, ovvero l’avanzare

della religione cattolica in un territorio selvaggio. Tutti questi popoli, secondo il suo

parere, non desideravano altro che essere pienamente istruiti: toccherà allora a chi di

dovere, i religiosi, compiere quest’opera, “ car un iour ils respondront devant Dieu de la perte de

tant d’ames qu’ils laissent perir par leur negligence e avarice”166. Egli, per quel che può fare,

assicura di mettere sempre grande zelo per l’avanzamento della gloria di Dio e per

l’onore del suo Re. Per quel che riguardava i malati presso questa nazione, essi

seguivano un preciso cerimoniale. Il

malato doveva far chiamare l’Oqui, il

quale lo avrebbe visitato per farsi

un’idea del male di cui egli soffriva.

Una volta che lo avrà visitato, farà

chiamare un gran numero di persone,

tra le quali ci saranno alcune vecchie

che avranno la testa coperta da

pellicce d’orso e che entreranno

danzando dentro la capanna del

malato, al fianco del quale vi saranno

altre tre o quattro anziane. Se il

paziente fosse guarito avrebbe

organizzato dei banchetti con il cibo

donato da parenti e amici per

l’occasione; mentre se la persona fosse risultata gravemente ammalata, le anziane si

sarebbero levate con tutti i regali. Esse si mettevano poi a cantare a turno, ed avrebbero

smesso fino a che tutti i regali non sarebbero stati fatti; a quel punto iniziavano a cantare

tutte in coro, battendo dei bastoni su delle cortecce di albero secche. Tutte le donne del

villaggio si mettevano ai lati della capanna, mentre le vecchie camminavano davanti a

loro: in testa alla fila stavano quelle vestite con le pelli d’orso. Durante questo ballo

erano spesso raggiunte da dei ragazzi che danzavano con loro, ed esse “prendront le

166Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.96

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mallade pour dancer”167 e, conclude Champlain, si può solo immaginare il dolore che

poteva provare questa persona. Tutto questo, come già detto sopra, veniva eseguito per

ordine dell’Oqui, il quale, per colpa delle sue “ congiure” perdeva l’uso della ragione.

Durante questo stato egli faceva cose terribili come “ jettant le feu par la cabanne d’un costé

& d’autre”168 o “ mangeant des charbons ardans”169 e quando era in questo stato essi lo

chiamavano il Diable Oqui, in quanto, secondo loro, ne era posseduto. Quelle che

avevano avuto più paura durante tutto questo tempo erano le persone che abitavano

nella capanna del posseduto, poiché avevano paura che venisse loro bruciata la casa,

vista la furia di queste persone che li portava a prendere tutto quello che trovavano e a

scaraventarlo ovunque. La sua furia passava con il sonno e grazie ad una sudata, che era

il rimedio più utilizzato tra di loro per rimanere in salute. Allo stesso tempo arrivavano

tre o quattro persone che erano state malate e che furono guarite, e avranno tra di loro

un felice incontro ma, ammonisce Champlain, “leur confirme leur fauce creance, pour estre

persuadez qu’ils sont guaris par le moyen de ces cerimonies”170 e non considerano che per due che

ne guariscono, dieci ne muoiono. Anche le donne erano soggette a questi attacchi di

furia, ma non facevano un gran male, e l’Oqui ordinava loro di bere una certa acqua e di

fare dei banchetti e, una volta che questo sarà stato fatto, sarebbero tornati tutti nelle

loro capanne. L’Oqui sarebbe poi tornato a visitarla con in mano una tartaruga secca e

cantando con molti altri chiamati apposta per l’occasione, e le ordinerà di fare altri

banchetti. Egli avrebbe anche organizzato delle mascherate simili a quelle di carnevale, e

così conciati si sarebbero recati a cantare presso il letto della malata; sarebbero poi

andati in giro per il villaggio, mentre altri preparavano il banchetto. Tutte queste persone

vivevano di quello che riuscivano a procacciarsi, lavorando la terra con grande pena in

quanto “ pour n’avoir des instruments propres pour ce faire”171: dovevano prima potare i rami

degli alberi, poi pulire la terra tra questi e infine seminare il grano d’India. Erano le

donne a fare molti di questi lavori e, tra i mesi di Marzo e Aprile, facevano le scorte di

legna per l’inverno. La forma di governo che utilizzavano era la seguente: “les anciens &

principaux s’assemblent en conseil”172, dove decidevano tutte le cose riguardanti il villaggio e

si decideva per numero di voci o per il parere di qualcuno particolarmente ben

considerato. In particolare questa persona era pregata di dare il suo parere sulle cose

167 Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.99 168 Ivi, pag.100 169 Ibidem 170 Ivi, pag.102 171 Ivi; pag.103 172 Ivi, pag.104

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dette, ed era quindi evidente che essi “ n’ont point de chefs particulier qui commandent

absolument”173 ma nominavano i più valorosi e i più anziani come loro Capitani. È

evidente che essi non avevano leggi assolute, e quindi non infliggevano punizioni. Se

qualcuno dei membri dell’assemblea si offriva per fare qualcosa di buono per la

comunità, doveva essere giudicato se era in grado di fare quanto aveva proposto, cosa

che doveva dimostrare con belle e buone parole e doveva poi persuaderli di essere

l’uomo giusto e ne avrà dell’onore alla fine della sua opera. Per quel che riguardava

l’organizzazione della guerra, alcuni anziani “vont aux Villages circonvoisins faire entendre leur

volonté (…) pour les obbliger d’aller, e les accompagner à leur dicts guerre”174 e avevano dei compiti

simili a quelli dei generali d’armata francesi: se avessero fatto bene le loro cose ne

avrebbero avuto molto onore, altrimenti disonore. Essi tenevano anche delle riunioni

dove vi erano presenti pure gli ambasciatori delle loro varie “province”, e si trovavano in

un villaggio scelto apposta per l’occasione. Qui si tenevano delle feste della durata delle

loro assemblee, dove si scambiavano regali e si concordavano alleanze. Al termine si

ritiravano ciascuno nelle proprie zone.

Per quel che riguardava la sepoltura dei morti, “ils prennent le coprs du decede, l’envelopent de

forrures, le couvrent d’escorces d’arbres fort proprement”175, poi lo elevavano su quattro pilastri,

sopra i quali costruivano una capanna della lunghezza del corpo. In seguito a fianco dei

pilastri mettevano della terra, per paura che questi cedessero. Tuttavia i corpi non

restavano sepolti in quel luogo per lungo tempo: dopo alcuni anni quelli del villaggio

tenevano un’assemblea per designare il posto dove sarebbe stato possibile fare tutte le

cerimonie. Una volta deciso, i parenti e gli amici tornavano al loro villaggio, prendevano

e pulivano le ossa del defunto, poi le mettevano insieme a tutte le loro collane, pelli, asce

e a tutte le cose che stimavano essere di un certo valore. Portavano anche del cibo, con

il quale erano soliti fare dei banchetti che potevano durare anche dieci giorni; in quel

lasso di tempo anche le persone delle altre nazioni possono parteciparvi e, grazie a

queste cerimonie, potevano contrarre nuove alleanze “disans que les os de leurs parents, &

amis, sont pour estre mis tous ensamble”176, così come si è uniti in vita si sarebbe rimasti uniti

anche in morte. Alla fine essi scavavano un grande fossato per riporvi le ossa tutte

assieme, oltre agli oggetti precedentemente citati; poi coprivano tutto di terra e vi

appoggiavano sopra dei pilastri di legno. Per quello che riguardava l’anima, “alcun d’eux

173 Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.103 174 Ivi, pag.106 175 Ivi, pag.107 176 Ivi, pag.108

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croyent l’immortalitè des ames, autre partie en doubtent, & neantmois ils ne s’en esloingent pas trop

loing”177, assicurandogli che dopo morti si sarebbero innalzati in cielo come i corvi.

Durante l’inverno essi erano soliti fare grandi feste, dove erano invitate persone da tutti i

villaggi e si poteva arrivare ad avere anche 500 persone. A queste feste si mascheravano

e andavano in giro per le capanne a chiedere dei regali e, se le persone a cui chiedevano

li possedevano, gliene facevano dono liberamente. Queste persone potevano andare in

giro a domandare quante volte volessero e nello stesso tempo cantavano e lodavano i

loro donatori: tutto ciò poteva durare anche una settimana. In questo periodo le donne

svolgevano comunque i loro lavori, tra cui filare e pilare la farina che sarebbe servita per

i viaggi dei loro mariti. Per quanto riguardava questi viaggi, era il consiglio che decideva

quante persone lasciare andare e che cosa esse potevano portare con sé. Gli uomini

invece, durante l’inverno, erano soliti andare a pescare. Essi “font plusiers trous en ronde sur

la glace”178, poi iniziavano a mettere le loro reti, alle quali avevano attaccato delle pertiche

di legno che infilavano sotto il ghiaccio, ad un’estremità delle quali era legata la rete. Poi

lasciavano cadere la rete sul fondo e infine la ritiravano su a forza di braccia.

La fine del viaggio

Il ventidue aprile Champlain decise di ritornare presso l’abitazione dei francesi e il

viaggio, che durò circa 40 giorni, fu scandito da grandi battute di caccia e da abbondanti

pescate. Arrivarono verso la fine di giugno a Sault Saint Louis ( le rapide di Lachine ) e

qui vi incontrarono il Signor du Pont, “ qui estoit venu de France, avec deux vaisseaux, qui

desesperoient presque de me revoir, pour les mouvaises nouvelles qu’il avoit entenduës des Sauvages,

sçavoir quei’estoit mort”179. Avendo visto che anche tutti i religiosi erano in buona salute,

Champlain si dispose a partire da questo luogo per raggiungere la loro abitazione a

Quebec, dove arrivò l’undici luglio. Qui, insieme con i padri religiosi, rese grazie a Dio

per “le remerciant du soing qu’il avoit eu de nous conserver, e preserver, de tant de perils e dangers, ou

nous estions trouvè”180. Egli aveva portato con sé un nativo di nome D’arontal, il quale

ammirava sia il loro modo di vivere materiale sia spirituale e li stimava più felici rispetto

ai loro. Anche D’arontal era concorde nel pensare che quello che non fosse riuscito ad

apprendere con i discorsi lo avrebbe appreso meglio guardando e osservando. I loro

177Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.109 178 Ivi, pag.112 179 Ivi, pag.114 180 Ivi, pag.115

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figli, continua, avranno la possibilità di imparare e di vivere come i francesi: per fare in

modo che tutto questo avvenga sarà però necessario costruire un secondo forte, che

renderà la via più sicura dagli attacchi dei loro nemici. Champlain lo rassicurò,

dicendogli che ciò si sarebbe presto fatto e esso sarà stato costruito e i selvaggi loro

alleati potranno andare a vivere presso di loro come fratelli. Egli congedò allora

D’Arontal, il quale era atteso a Sault Saint Louis dai suoi compagni.

Dopo che il suo ospite fu partito, Champlain decise di dedicarsi ad alcuni lavori atti a

ingrandire e rendere più fruibile il loro forte. Tutti i lavori vennero eseguiti con “ de

chaux, & sable, y en ayant trouvé de tres bonne, en un lieu proche de ladite habitaion”181, cosa che

risultò molto comoda e vantaggiosa. I padri religiosi gli comunicarono allora la notizia di

voler tornare in Francia per poter rendere testimonianza della loro esperienza e per

rendere noto che vi è viva speranza di poter convertire i popoli di queste terre che

“n’attendoient autre secours que l’assistance des bons peres Religieux, pour etre convertis, e amenez, a

nostre foy, e Religion Cattolique”182. Durante la sua permanenza fece anche raccogliere del

grano e, a testimonianza del fatto che coltivavano una buona terra, ci informa che tutte

le piante da loro coltivate sono molto rigogliose. Partendo essi lasciarono Padre Pacifico

e Padre Jean ad attendere il ritorno di Padre Joseph, che era previsto per l’anno venturo.

Essi si imbarcarono il venti e il ventitré arrivarono a Tadoussac, dove il signor du Pont

era già pronto a salpare. Da questo porto essi ripartirono il tre agosto, per arrivare a

Honfleur il 16 settembre 1616. Conclude la sua memoria ringraziando Dio per averlo

conservato in salute fino all’arrivo in Patria e conclude tornando sul tema della

cristianizzazione dei nativi americani, dicendo che dovrebbe essere compito del re, ed un

suo grande onore guidare i popoli selvaggi verso la conoscenza di Dio.

Continuation de voyages et decouverturs faictes en la

nouvelle france par ledits Sieur De Champlain Cappitaine

pour le Roy en la Marine du Ponant l’an 1618183.

Alla fine della relazione del suo settimo viaggio nella Nuova Francia Champlain vi allega

quella del nono. Tra questi due viaggi ne compì uno, l’ottavo, durato poco più di un

mese. Nel febbraio del 1618 scrisse due memorie, una indirizzata alla corte dei conti e

l’altra alla corte del Re: sembra avanzare un vero e proprio programma di

181

Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.117 182 Ibidem 183Ivi, pag.120

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67

colonizzazione. In queste memorie egli afferma chiaramente che, attraverso il San

Lorenzo, si potrà “parvenir facilment au Royaume de la Chine et Indes Orientales, d’ou l’on tirerait

de grandes richesses”184. Quebec, grazie alla sua fortunata posizione, sarebbe un ottimo

punto dove poter situare la dogana. Egli vorrebbe dunque creare una grande colonia

commerciale, la cui economia non si sarebbe fondata soltanto sul commercio delle

pellicce, ma anche sulla pesca, sull’agricoltura e sui prodotti che si possono ricavare dalla

foresta. In queste memorie ritorna anche sul tema della cristianizzazione degli indigeni

(su cui insiste molto in alcuni punti dei suoi resoconti di viaggio da me trattati) per il

quale prevedeva l’invio di quindici padri recolletti. Inoltre questo suo programma

prevedeva l’invio di trecento famiglie di coloni per popolare la colonia e, per difenderle,

di trecento soldati. Nel marzo del 1618 parte per il suo nono viaggio nella Nuova

Francia.

La memoria di questo nuovo viaggio in Canada è fatta stampare insieme a quella del

viaggio del 1615-1616, e il suo titolo è quello del presente sottocapitolo. Il 25 marzo

parte da Parigi per recarsi ad Honfleur, “havre ordinaire de nostre embarquement”185, dove ad

attenderlo c’era il Signor du Pont, insieme al quale si trovava un altro Gentil-homme, il

signore de La Mothe, “ lequel avroit des auparavant fait voyage avec les Iesuistes aux lieu de la

Cadye”186 ma qui fu fatto prigioniero dagli inglesi che lo portarono prima in Virginia (“

lieu de leur habitation”187) e poi a Londra, da dove poi fece ritorno in Francia.

La partenza avvenne in data 24 maggio 1618, giornata in cui il vento era particolarmente

favorevole, ma cambiò pochi giorni dopo, ed ebbero sempre un gran vento contrario.

Nulla di particolarmente importante accadde durante il viaggio ed arrivarono a Tadoussac

il giorno di San Giovanni ( il 24 giugno ). Ad attenderli vi trovarono un piccolo vascello

partito tre settimane prima di loro, comandato dal Signor Des Chesnes, il quale però era

già ripartito per recarsi prima a Quebec, e da lì doveva recarsi a trois Riviere. Egli

doveva trovarsi là sia per poter contrattare le pelli con i nativi ma, soprattutto, per

giudicare un caso di cronaca nera che aveva visto come vittime due francesi. A

Champlain l’equipaggio del vascello raccontò che gli omicidi erano “deux meschants garçons

sauvages, Montaigners”188. Tutto questo era accaduto nel 1614 e per due anni erano stati

creduti annegati. Egli ci descrive allora come andarono le cose, utilizzando le non molte

testimonianze (di cui la gran parte si fondava principalmente su supposizioni e non su

184 Havard G., Vidal C.; Histoire de l’Amerique française;Paris, 2014 pag.84 185Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.120 186 Ibidem 187 Ibidem 188 Ivi, pp.122-123

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fatti realmente accaduti) che gli vengono rese al riguardo.

Uno di questi assassini era solito frequentare l’abitazione dei francesi, dove “ recevoit mille

courtoises, & gratiffications” 189anche dal Signor du Parc, che comandava allora a Quebec.

Non si sa se per gelosia o per qualche altro motivo una delle due vittime, che di mestiere

faceva il fabbro ferraio, lo picchiò brutalmente, incitando i suoi compagni a fare

altrettanto. Questo fu dunque il motivo scatenante l’omicidio e nel mentre egli lo

progettava si comportò sempre in maniera irreprensibile. E “ quelque temps apres le dit

Serruier, & un Mathelot, appellé Charles Piller, de l’isle de Re, se deliberent d’aller à la chasse”190 e

come luogo scelsero alcune piccole isole vicino al Cap de Tourment, dove vi era molta

selvaggina (distante circa sette leghe da Quebec ). La partenza venne scoperta dal

giovane selvaggio il quale, con un compagno, si mise a seguire i due. Essi “ espirent ou le

dict serruier, e son compagnon, iroient coucher, affin de leur surprendre”191. La mattina dopo, giunti

alla capanna, vi si gettarono dentro, ma vi trovarono solo il fabbro che si preparava per

raggiungere il suo compagno, uscito alle prime luci del mattino. Essi non fecero capire

subito le loro cattive intenzioni ma, appena ebbe abbassato la guardia, gli diedero dei

terribili colpi di mazza sulla testa. Sempre più stordito, cadde per terra, fino a che “ avec

un cousteau luy en donna trois, ou quattre, coups de dans le ventre, e le tua ainsi miserablement”192.

Per quanto riguarda il marinaio, che si trovava già fuori a cacciare, lo volevano uccidere

non per odio, “ mais a fin de n’estre decouvertes, ny accusez par luy”193. Andarono a cercarlo e

lo trovarono grazie al rumore di uno sparo. Quando lo videro gli furono subito addosso

per non dargli il tempo di ricaricare, e gli tirarono delle frecce per poi finirlo a coltellate.

A questo punto essi “ emportent le corps avec l’autre, & les lierent ensamble”194 e “il leur

attacherent quantité de pierres, & cailloux, avec leurs armes, habits, affin de n’estre descouvertes”195. I

corpi furono portati fino al centro del fiume e da lì gettati affinché calassero sul fondo.

Ad un certo punto però le corde si ruppero e i corpi furono gettati sulla riva, lontano

dall’acqua. Vennero infine ritrovati a circa venti passi dalla riva, e “n’ayans plus que les os

tous décharnez, comme une carcasse”196. I cadaveri, per quanto fossero in questo stato,

presentavano chiari segni di violenza sulla testa, cosa che fece insospettire i francesi su

chi fosse il colpevole: fino a che non fossero tornati i vascelli, fu dato ordine di stare in

189Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pp.123-124 190 Ivi, pag.124 191 Ivi, pag.125 192 Ivi, pag.126 193 Ibidem 194 Ibidem 195 Ivi, pag.126-127 196 Ivi, pag.127

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guardia nei confronti dei selvaggi.

I nativi, avendo percepito il rancore verso di loro, si ritirarono dall’abitazione dei

francesi, per paura che essi esercitassero la vendetta su di loro. Per questa paura molti di

loro tornarono molto tempo dopo. Essi però, “voyant privez de nostre conversation, & bon

accueil”197 mandarono un ambasciatore, un membro della loro tribù che i francesi

avevano chiamato Fertiere. Questi porse loro le scuse della sua tribù riguardanti

l’assassinio, il che significava che essi protestavano di non avervi mai né partecipato né

aderito; inoltre si rendevano disponibili a consegnare ai francesi i due assassini, sempre

che essi “n’avoient aggreable pour reparation & recompensé de morts, quelques honnests presesns”198.

Quindi pregarono i francesi di non uccidere i colpevoli e di dimenticare il tutto. Tuttavia

i padri religiosi gli comunicarono che essi li consideravano loro complici, e con questa

decisione rimandarono Ferriere dai suoi compagni: egli riferì ciò a questi ultimi che non

compresero la giustizia dei francesi, perché “forme de Iustice à eux forte estrange, & assez

difficille, d’autant qu’ils n’ont point de iustice establie entr’eux, sinon la vengeance ou la recompense par

presens.”199 Essendosi riuniti in assemblea per discutere tutto questo, fecero chiamare i

due colpevoli, descrivendo loro il male che sarebbe derivato dal loro atto. La cosa,

dissero, poteva causare una lunga guerra con i francesi ( la cui cosa sarebbe stata

dannosissima per i questi ultimi ), ma alla fine optarono per la pace. Proprio per questo

chiesero ai due colpevoli se volessero seguirli dai francesi che, assicurarono loro quelli

dell’assemblea, li avrebbero perdonati. Allora uno dei due venne convinto e “ s’accordent

de suivre cét advis, suivant lequel, à sçavoir l’un de eux qui se prepara, & accomoda, d’habits, &

d’ornements à luy possible, comme s’il eust estè invité d’aller aux nopces”200, e fu accompagnato al

forte, mentre il secondo non si presentò. Tuttavia, appena questi furono entrati,

l’abitazione venne circondata dai loro compagni, tanto che i francesi furono costretti a

levare il ponte levatoio e a mettersi sulla difensiva. Il motivo per cui essi si erano

schierati fuori, secondo Champlain, è che “ils se doubtoient qu’on voulust faire iustice actuelle du

coulpable, qui si librement s’estoit exposé a nostre mercy”201, ma per quelli che erano andati con

loro e che si sentivano minacciati. I religiosi iniziarono allora a parlare riguardo l’amicizia

che i francesi da anni provavano per loro, e di tutta l’assistenza che Champlain gli aveva

assicurato durante le varie guerre (a volte con suo grande pericolo). Tutto questo veniva

197Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.129 198 Ibidem 199 Ivi, pag.130 200 Ivi, pag.131 201 Ivi, pag.132

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fatto in quanto i francesi erano “poussez d’une amitié, & bonne volonté envers eux”202, avendo

compassione di tutte le difficoltà che i loro nemici facevano loro sopportare. Essi

parlarono poi al padre di uno dei due colpevoli dicendogli che per riparare a ciò che egli

aveva commesso suo figlio avrebbe meritato la morte, ma che i francesi non puniscono

chi non ha colpe e non odiano gli altri. All’accusa che essi fossero a conoscenza di

questo crimine, risposero che sapevano del misfatto, ma che lo avevano saputo dopo

che questo era accaduto e che avevano taciuto per non rovinare i buoni rapporti con i

francesi. Egli disse che il figlio si era liberamente presentato a loro per ricevere la grazia

e non per essere punito. Chiese comunque che essi se lo tenessero, in quanto “ il ne vaut

rien … c’est un ieune fol e inconsiderè” 203e ha commesso quel crimine spinto da qualche

vendetta: i francesi potranno farne quello che vogliono in quanto sia lui sia il figlio sono

in loro potere. A quel punto il figlio iniziò a parlare, descrivendo il come e il perché di

quello che ha fatto ( io l’ho già riportato sopra, seguendo l’ordine di Champlain). Dopo

che ebbe finito e che ebbe ammesso le sue colpe chiese una morte rapida e senza tante

cerimonie. I padri risposero allora che ciò non era un loro costume e che bisognava

decidere con tutti quelli dell’abitazione. In tutto questo bisognava muoversi con molta

destrezza, sia per il pericolo di una vendetta da parte dei selvaggi che stavano fuori, sia

perché “ le commerce pourroit estré alterè, &le service du Roy retardé”204 a causa dei problemi che

sarebbero sorti con i nativi. Era quindi necessario accontentarsi di quanto gli indiani

avevano proposto, sia per quello che riguardava il padre sia per quello che riguardava il

figlio criminale. Quest’ultimo aveva già offerto la sua vita, invece il padre si offrì di

venire tutte le volte che verrà chiamato. Agli altri invece sarà necessario dire “ par forme

d’excuse… que puisque le criminel avoit asseuré par affirmation pubblique, que tous les autres

Sauvages n’estoient en rien adherans ny coulpables de ce faict”205 e che non ne sapevano nulla

prima che questo fosse fatto. Egli dovrà, come suo padre, essere al servizio dei francesi

ai quali aveva donato la propria vita. Dall’altre parte però, fu deciso che essi “ laisseroient

quelques-uns des de leurs enfans par form d’hostage”206 ai quali i religiosi insegneranno a leggere

e a scrivere, e li alleveranno come dei bambini francesi. In breve tempo questi bambini

impararono l’alfabeto, e la cosa fece pensare a Champlain che essi avevano le stesse

possibilità di apprendere degli altri bambini.

Alla fine i vascelli arrivarono e partirono verso Tadoussac , da dove poi Champlain,

202 Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.133 203Ivi ; pag.134 204Ivi; pag.136 205 Ivi, pp.136-137 206 Ibidem

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Gravè du Pont e il signore de la Mothe ripartirono con una barca di piccolo cabotaggio

in direzione di Quebec, dove arrivarono il 27 giugno. Qui trovarono tutti gli abitanti in

ottima salute, e lo stesso giorno Gravè du Pont decise di partire per Trois Riviere, dove i

mercanti erano soliti commerciare le pelli, e dove già si trovava il signore des Chesnes.

Champlain rimase invece qualche giorno in più a Quebec per sovraintendere ad alcuni

lavori che richiedevano la sua presenza. Egli inoltre visitò le terre coltivate nei dintorni e

le trovò assai rigogliose. La terra, dice, “ de soy est naturellement bonne, & fertile en toute sorte

de biens”207 e se ben coltivata avrebbe reso certamente dei profitti.

Egli poi si imbarcò su un vascello che da Tadoussac, per ordine del Signor Gravè du

Pont, andava a Trois Riviere, soprattutto per incontrare le tribù di nativi che là si

recavano per commerciare. Durante il tragitto però, precisamente davanti all’isola Santa

Croce, dove incontrarono una scialuppa con a bordo alcuni uomini di Gravè du Pont.

Essi comunicarono a Champlain che erano “venu un grand nombre de Sauvages, à desseing

d’aller a faire la guerre”208. Udita questa notizia, egli si imbarcò su un naviglio più veloce, ed

arrivarono il 7 luglio. Fu accolto da questi selvaggi con grande affetto e gioia, ed assicura

che anche per lui fu assai bello rivederli. Il giorno seguente essi tennero un consiglio per

sapere se i francesi li avrebbero assistiti o meno negli eventi bellici. Egli rispose che non

mancava loro né la volontà né il coraggio, ma il ricordo di quello che era successo l’anno

prima (il mancato arrivo di uomini con conseguente ritirata senza aver raggiunto gli

scopi prefissati) impediva loro di aiutarli. Quando poi parlò dell’omicidio sopra

menzionato, essi “sortans de leur conseil comme en choler”209 e si offrirono di andare ad

uccidere i due criminali, se i francesi lo avessero consentito. Essi tuttavia non

acconsentirono, e decisero di rimandare all’anno seguente i loro progetti, obbligandoli

così a venire in buon numero mentre egli “suppliserois le Roy de nous favoriser d’hommes, de

moyens, & commoditez, pour les assister”210. I nativi non ebbero nulla da obiettare e furono

contenti, e ci furono così alcuni giorni di festa.

A questo punto egli si confrontò con Gravè du Pont sull’assassinio, spiegandogli il suo

punto di vista. Da una parte secondo lui c’era il rischio che essi li accusassero di

mancanza di coraggio: questa cosa li porterà a fare progetti sempre più criminali e si

potranno vantare con le altre nazioni native che uccidere un francese non era una cosa

poi tanto grave. Ma d’altra parte, agendo in una maniera a loro contraria, si metteranno a

207 Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.140 208Ivi, pag.141 209Ivi; pag.143 210Ibidem

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rischio le vite di tutti i francesi, anche degli esploratori e di tutti quei mercanti che

trafficano nel commercio delle pelli. Alla fine, la cosa più conveniente da fare sarà “de

couller ceste affaire à l’amiable”211.

Tra gli uomini presenti vi era anche Estienne Brulè, colui il quale doveva portare con sé i

cinquecento Entouhonorons di Carontuan nella guerra di cui accennavo sopra, di cui ho

parlato nel primo sottocapitolo di questo mio secondo capitolo. Egli era stato scelto per

questa missione in quanto frequentava quei popoli già da otto anni, sia “ pour voir le

pays”212, sia per “apprendre son langue et façons de vivre”213. Egli gli domandò per quale motivo

non fosse arrivato con i rinforzi, e Brulè cominciò il racconto delle difficoltà che

incontrò dopo che si fu congedato da lui. Egli viaggiava accompagnato da dodici

selvaggi che dovevano fargli da scorta e per indicargli la via più sicura, in quanto per

arrivare alla sua destinazione doveva passare per il territorio nemico. Essi tuttavia ne

incontrarono alcuni, e due di loro furono presi come prigionieri e portati fino a

Carontuan, dove gli abitanti li accolsero con gioia. Qualche giorno passò, ed egli

comunicò il motivo del suo viaggio, ed essi si riunirono in consiglio. “Le conseil tenu, & la

resolution prise de les envoyer”214 essi ordinarono di armarsi e di prepararsi a partire, per

ricongiungersi con Champlain e gli altri alleati che si trovavano accampati dinnanzi al

villaggio nemico. Essi però si mossero molto più lentamente del previsto, tanto che

Brulè “ leur rappresentant que s’ils tardoient d’avantage, ils nous trouveroient plus audict lieu”215, e

arrivarono quando oramai Champlain aveva già abbandonato il luogo. Essi ritornarono

quindi al detto villaggio dove Brulè fu costretto a passare l’inverno. Egli utilizzò questo

tempo per scoprire meglio il paese e visitare le contrade vicine: per compiere il suo

viaggio seguì il corso di un fiume che sfociava sulle coste della Florida, sulle cui rive

abitavano popolazioni assai forti e bellicose. E seguendo questo fiume si arriva fino al

mare, tanto da giungere nella zona controllata dagli olandesi. In questo punto

Champlain fa infatti riferimento ad alcune popolazioni indigene che avevano conosciuto

i fiamminghi e che si lamentavano molto di come loro li trattavano. Tornò poi a

Carantouan, dove trovò alcuni nativi disposti ad accompagnarlo nel viaggio di ritorno.

Lungo il loro cammino, però, incontrarono un gran numero di nemici, “ qui chargerent

ledict brulé, & ses compagnons”216 tanto che questi furono costretti a dividersi, e Brulè finì

211Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.145 212 Ibidem 213 Ibidem 214 Ivi, pag.147 215 Ivi, pag.148 216Ivi, pag.150

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73

per perdersi, allontanatosi troppo dai suoi compagni. Per qualche giorno vagò nei boschi

fino a che, lungo un sentiero che aveva trovato, incontrò tre selvaggi che stavano

tornando al loro villaggio. Dopo un iniziale spavento, “ils eurent comme une pitié &

compassion de luy”217 e lo portarono al loro villaggio. Dopo che egli vi ebbe soggiornato,

un gran numero di persone venne per vederlo, per vedere un Adoresetouy (essi

chiamavano così i francesi, e il termine significa gente di Ferro). Ad un certo punto

venne portato nella capanna di uno dei capi per essere interrogato su chi fosse, da dove

venisse e per quale motivo si fosse perso. Gli venne anche chiesto se fosse un francese e

a questa domanda egli rispose che “ il estoit d’une autre nation meilleure, qui ne desiroient que

d’avoir leur cognoissance, & amitié”218. Essi però non credettero a questa risposta e gli furono

addosso e, mentre lottava disperatamente, uno dei selvaggi notò un piccolo Agnus Dei

che Brulè teneva appeso al collo. Questi gli domandò cosa fosse e provò a prenderlo, e

allora Brulè disse che se glielo avesse tolto e poi lo avesse fatto morire, sarebbe morto

tra i più atroci dolori. Questi tuttavia non si fermò e tentò di toglierglielo, mentre i suoi

compagni avevano creduto alle parole del Brulè. In quel preciso istante, tuttavia, il

tempo cambiò “ le Ciel, qui de serain & beau qu’il estoit, se changea subitement en obscurité, &

chargè de grosses e espoisses nuées, se terminerent en tonnerres”219 e questo fece dimenticare a loro

tutte le nefandezze che volevano fare a Brulé. Essi lo abbandonarono ma senza slegarlo,

in quanto non osavano più avvicinarsi a lui. Egli fece loro capire che Dio era arrabbiato

in quanto lo avevano maltrattato senza nessun motivo. Si decisero quindi a slegarlo e,

dopo averlo curato e nutrito, fecero molte feste in sue onore e infine egli decise di

tornarsene verso l’abitazione dei francesi. Lasciandoli promise loro che li avrebbe fatti

diventare buoni amici dei francesi e per questo disse che sarebbe tornato il più presto

possibile. Ritornando egli passò per molti luoghi per cui Champlain era già passato come

il mare dolce (lago Huron), che egli navigò per dieci giorni vicino alla costa nord. Alla

fine della sua descrizione egli lo incoraggiò a continuare nelle sue esplorazioni,

dicendogli che il suo lavoro sarebbe stato premiato una volta che egli sarà tornato dalla

Francia, sia con dei riconoscimenti per lui sia con degli uomini “pour assister les sauvages ses

amis, en leurs guerres, comme par le passé”220.

Chiusa questa parte della sua relazione, egli ne inizia un’altra. In queste pagine egli parla

della sua opera e di come, durante i suoi viaggi, si fosse imbattuto in popolazioni

217 Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.151 218 Ivi, pag.152 219 Ivi, pp.152-153 220Ivi; pag.155

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sconosciute che, grazie a lui, sono diventate amiche dei francesi con i quali adesso

commerciavano le loro pelli. Nuove nazioni di Selvaggi vengono scoperte, e queste

verranno onorate dai francesi da gratificazioni e da regali, donati dai mercanti; questi

nativi, da parte loro, prometteranno “ de venir, & vivre a l’advenir en amitié les uns e les

autres”221. A queste popolazioni i francesi non avrebbero mai fatto mancare il loro

appoggio in guerra. Finita la tratta, essi si congedarono e partirono da Trois Riviere il 14

luglio.

Essi raggiunsero Quebec dove le navi scaricarono le merci avanzate dalla tratta e da qui

queste ripartirono alla volta di Tadoussac, da dove Grave du Pont doveva ritornare a

Quebec con “ les vivres, & choses necessaires pour la norriture & entretement de ceux qui devoient

hiverener & demurer”222. Champlain decise invece di rimanervi qualche giorno, per iniziare

alcuni lavori necessari di fortificazione e riparazione. Partendo prese congedo dai padri

religiosi e dal signore de la Mothe, dicendo loro che era speranzoso di tornare con un

buon numero di famiglie per poter così popolare il paese. Il 26 luglio si imbarcò con i

Padri Pacifico e Pol, i quali sarebbero ritornati per poter rendere testimonianza di quello

che avevano visto. Arrivati a Tadoussac si reimbarcarono per arrivare in Francia e

partirono in data 30 luglio 1618. Il loro viaggio fu favorito da un buon vento e furono di

ritorno a Honfleur il 28 agosto di quell’anno.

221Champlain S., Voyages et decouvertures faites en la nouvelle France, depuis l’année 1615. Iusques à la fin de l’année 1618., Paris, 1619, pag.156 222 Ivi, pag.157

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L’Acadia alla fine del XVII secolo

Nell’ultimo capitolo di questo mio lavoro affronto la memoria di un viaggio effettuato in

una regione assai diversa dalla precedente, l’Acadia, e in un periodo molto più tardo,

ovvero il 1699.

L’Acadie dagli anni ‘20 alla fine del 1600.

Gli anni Venti furono un periodo assai duro e difficile per gli Accadiani. Nel 1623

Charles de Biencourt, figlio di quel Poutrincourt da me già nominato in precedenza, e

che aveva ereditato i suoi beni nella colonia, morì. Sei anni dopo uno scozzese, Sir

William Alexander, ottenne una carta dal suo Re che gli permetteva di stabilire una

“nouvelle ecosse” in quelle terre. Egli costruì così due insediamenti: il primo a Cap Breton,

il secondo vicino a Port Royal. Questi territori ritornarono francesi tre anni dopo,

quando re Carlo I d’Inghilterra firmò

il trattato di Saint-Germain-en-Laye

che ne sancì il ritorno alla Francia. In

quello stesso anno venne nominato

governatore dell’isola Isaac de

Razilly, il quale ebbe una grande

influenza sulla politica coloniale del

cardinale Richelieu. Il nuovo

governatore arrivò con trecento uomini e gettò l’ancora a La Hève, sulla costa sud della

penisola. Il sito era ottimo per

la pesca e grazie all’aiuto di

Nicolas Denys ( un suo

luogotenente ) riuscì a stabilire

un centro per la pesca a Port

Rossignol. La tratta delle

pellicce e la pesca del

merluzzo erano le sole attività

che potevano attirare gli

interessi e i benefici della corte. Egli provò a costruire una colonia la cui economia fosse

fondata sull’agricoltura: tuttavia questo progetto non venne mai realizzato, in quanto

morì pochi anni dopo, nel 1635. In seguito alla sua morte la colonia venne divisa da una

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doppia amministrazione: da una parte Charles Menou d’Aulnay, cugino di Razilly,

signore di La Hève e di Port Royal; ad opporglisi vi era Charles de Saint-étienne de la

Tour, proprietario del Cap de Sable e dei fiumi Saint-Jean e Pentagouet. Le tensioni tra

di loro sfociarono presto in una guerra civile. Nel 1639 d’Aulnay ricevette il titolo di

luogotenente generale, fatto che isolò ulteriormente De la Tour. Questi si vede costretto

allora a rivolgersi al suo potente vicino, la colonia inglese del Massachusetts; egli perse

comunque tutti i suoi forti e fu costretto a scappare a Quebec nel 1646. Quattro anni

più tardi morì Charles d’Aulny. A quel punto gli inglesi armarono una spedizione che,

condotta da Robert Sedgwick, conquistò Port Royal e i luoghi principali della Colonia.

Questa rimase inglese fino al 1667, quando il trattato di Breda la riconsegnò alla Francia:

i francesi però non rioccuparono la colonia fino al 1670. Da quel momento in poi

l’Acadia sarà sempre al centro dei conflitti franco-inglesi in terra nordamericana. Questi

conflitti nacquero in Europa e si ripercossero sulla geopolitica del continente

nordamericano. Questo è il caso della guerra della Lega di Augusta: durante questo

conflitto i coloni inglesi la conquistarono nuovamente. Alla fine della guerra il trattato di

Rijswijk la riconsegnò alla Francia.

Du Voyage de Port Royale de L’Acadie

La relazione è il resoconto scritto del viaggio compiuto da Diéreville in Acadia nel 1699.

Essa presenta, nei confronti delle precedenti relazioni da me descritte, molte differenze,

che saranno chiarite nel corso del capitolo. Anche quest’opera presenta alcune parti che

ante cedono la relazione.

La dedica a Michel de Begon

La prima di queste è la lettera con cui egli dedica la sua relazione a Michel de Begon, il

quale era “conseiller du Roy en ses conseils. Intendant de justice, police, finances en la generalitè de La

Rochelle”223. Il motivo della dedica fu che lo stesso Begon gli chiese la relazione: in verità

egli la chiese in versi, ma la relazione presenta sia parti in prosa che rimate. Diereville gli

descrive le difficili condizioni del mare durante il viaggio di partenza, dovute

principalmente alla grande furia dei venti. Il viaggio durò cinquantaquattro giorni, alla

fine dei quali egli riuscì a sbarcare a Port Royale, in Acadia. Ci dice poi che l’idea del

paese che si era fatta era assai diversa, e per questo ha ritenuto opportuno fare una

223

Diereville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, Epitre, pag.1

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77

“veritable description”224. Egli vi rimase un anno, che giudica essere un tempo più che

sufficiente per conoscere i luoghi e i costumi delle persone che li abitano. Ritornò poi,

per sua grande felicità, con una nave della Corona: infatti il viaggio d’andata, fatto a

bordo di una nave mercantile, fu per lui particolarmente traumatico. Egli continua

dicendo che Port Royal “méritoit par sa situation d’être le lieu du Fort”225. Era poi contento

che la Corona, la quale sembrava aver letto le sue memorie, avesse iniziato a lavorare per

“l’etablissement de ce Pays Sauvage”226. Diereville descrive poi la sorpresa che molte persone

ebbero nell’apprendere che era scritta in versi. Queste, afferma, ritengono quel tipo di

stile più adatto a raccontare favole o cose non vere. Egli si sentì allora costretto a

modificare in parte il suo progetto, aggiungendo parti in prosa alle originali in versi. Lo

supplicava di non riceverla meno favorevolmente. Dice poi che Monsieur Begon non

dovrà aver problemi a credere in quello che vi era scritto, in quanto “tout le monde sçait

qu’on n’ose imposer quand on parle à une Persone de vötre caractere, instruite des manieres de toutes les

Nations, qui sçait parfaitement toutes choses, & dont le mérite est si generalement connu.”227 Egli

conclude dicendo che sarebbe sua grande gioia sapere che la sua umile opera risiede tra

quelle dei grandi uomini nel gabinetto di Monsieur Begon.

Permission du Roy

Il permesso del re, in questo caso di Luigi XIV, accorda a Jean-Baptiste Besogne,

“Imprimeur Libraire à Roüen”228 il permesso di stampare un libro intitolato Relation en prose

& en vers du voyage du port royal de l’acadie, ou de la Nouvelle France. Egli potrà stamparlo nella

maniera che gli sembrerà più opportuna, e per quattro anni sarà l’unico a poterlo

vendere. Nello stesso periodo di tempo è severamente vietato importare copie di questo

libro pubblicate in altri paesi. La stampa del libro deve infatti essere fatta “dans nôtre

Royaume & non ailleurs”229, in buona carta e in buoni caratteri, e due copie saranno

destinate alla Biblioteca Pubblica e una a quella del castello del Louvre. Tutto questo

venne sancito a Versailles il 26 novembre dell’anno 1707.

Relation du voyage de Port Royal de L’Acadie

Diéreville si trovava già a La Rochelle, in attesa che si alzasse il vento giusto per partire.

224

Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, Epitre, pag.3 225 Ivi, pag.5 226 Ibidem 227 Ivi, pp.6-7 228 Ivi, Permission du Roy, pag.1 229 Ibidem

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78

La nave si trovava nella rada, a circa 10 leghe dalle città. La narrazione del viaggio parte

dall’incidente occorsogli nel momento in cui provò ad imbarcarsi. Questo vento arrivò,

a parere del capitano, il 20 agosto 1699. Egli fece allora chiamare Diereville, il quale si

fece trovare alla Diga della città, dove lo attendeva la scialuppa. Quando furono a un

quarto di lega dalla barca il capitano decise di levare l’ancora, e questa decisione provocò

non pochi problemi a quelli della scialuppa. Tra le due imbarcazioni infatti “Les vagues qui

se formoient entre luy & la Chaloupe, nous en écartoient sans cesse quand nous étions prêts de

l’accrocher”230. Il capitano, sapendo che egli non era un uomo di mare, ordinò ai marinai

della scialuppa di aiutarlo con ogni mezzo, e intanto gli lanciò una corda. Quando

Diereville la prese “la serrant bien fort de peur qu’elle ne m’échapât”231, montò sul bordo della

scialuppa, ma in quel momento arrivò un’onda che lo sbalzò. Egli rimase per aria appeso

alla corda, fin quando non trovò un appiglio e riuscì a salire sulla nave. Una volta portati

in salvo anche gli altri uomini della scialuppa, il capitano decise di salpare. Il forte vento

contrario non permise però di superare il pertugio di Antiochia, e furono così costretti a

tornare indietro. Il giorno seguente il tempo migliorò ed egli riporta che “ nous allâmes

plus loin que nous n’avions fait la veille en toute la journée, & nous perdimes bien-tôt la terre de

vûë”232. La stessa notte il tempo però peggiorò, ci fu un forte vento e mare grosso. A

causa di questo vento forte un vascello rischiò di scontrarsi contro la barca, ma il

capitano “ fort habile homme”233 riuscì ad evitare lo scontro. Il vento, elemento mutevole,

cambiò a loro favore per tutta quella giornata, che fu di grande lavoro per tutti i marinai.

A questo tempo molto favorevole seguirono però alcuni giorni di grande calma. Nei

giorni seguenti il vento tornò di nuovo a essere a loro favorevole. Egli inizia qui una

delle sue prime disquisizioni sul tema culinario, che sarà uno degli argomenti principali

della sua opera. Egli scrive infatti di un tipo di pesce, il tonno bianco ( Germon in

francese ): ha un gusto favoloso, simile a quello del salmone, ma è più grosso di questi e

le sue pinne sono più lunghe. Considera il fatto che trovare questi piaceri in mare sia

anche una forma di ricompensa per i marinai, “trouvent quelquefois sur la Mer de quoy se

consoler des peines qu’elle leur donne”234. Il vento tornò però ad essere molto forte, anche se

non fu a loro contrario. Essi passarono una terribile notte. Egli, già impaurito dal mare

in tempesta, si spaventò ancora di più quando gli dissero che stavano attraversando una

zona spesso battuta dai pirati. Ma era più che altro il mare a impaurirlo, tanto che non

230, Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.2 231 Ivi, pag.3 232 Ivi, pag.5 233 Ivi, pag.6 234 Ivi, pag.10

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79

mangiò né bevve nulla per un giorno intero. Asserisce poi che questi cambiamenti del

mare influiscono anche sul comportamento dei pesci. Verso la sera il tempo tornò ad

essere di nuovo clemente, ma cambiò nuovamente il giorno dopo. La sera essi scorsero

una barca che “venoit à toutes voiles sur nous le vent en poupe”235 e pensarono si trattasse di

pirati ma si rivelò un “Terreneuvier qui s’en retournoit en Gascoigne”236. Il mare, che era stato

tranquillo tutto il giorno, tornò ad essere burrascoso durante la notte e così continuo

anche il giorno dopo. A causa di ciò egli rimase nel suo letto malato, senza riuscire a

mangiare. Il fatto che un simile viaggio fosse una novità per lui può emergere anche dal

continuo stupore che prova nei confronti dei marinai e del loro coraggio. Le vele erano

tutte chiuse e i marinai non erano occupati a far alcuna manovra. Essi passavano il loro

tempo ridendo e scherzando, senza preoccuparsi eccessivamente dei pericoli che

potevano correre. Vengono quindi descritti come “trop heureux dans le rude métier qu’ils

font”237. Di notte lavoravano su turni: quando quelli del primo giro lavoravano, gli altri

riposavano, e viceversa. Di umore completamente diverso era invece il nostro narratore:

dalle sue righe trapela molta insofferenza, molta paura. Egli inoltre cadde malato per 5 o

6 giorni, ebbe infatti “mauvais sang”238, che secondo lui era dovuto al fatto che non era

mai andato per mare. I giorni si susseguirono, alcuni tempestosi ed altri caratterizzati da

calma piatta. Tutto questo portò la nave ad andare fuori rotta e il capitano dovette

faticare non poco per trovarla. I marinai decisero, durante un giorno di calma piatta, di

far frustare un mozzo. Era loro credenza che “le vent ne deviendroit point bon, qu’on n’eût

donné le foüet à un Mousse”239. Venne allora preso un mozzo che aveva rubato delle cose ad

uno di loro e venne frustato ripetutamente. Per smettere questa tortura egli doveva

chiamare il vento giusto per la nave. Il vento da loro voluto, proveniente da Nord Est,

arrivò in effetti poco tempo dopo che questo poveretto ebbe ricevuto le frustate. Essi

vogarono allora per due giorni con un ottimo vento e con un mare abbastanza

tranquillo. Pochi giorni dopo un piccolo Cul Bianco di terra si posò sulla nave, ed egli lo

prese come un segnale che la terra era vicina. Essi provarono allora a gettare la sonda,

pensando di essere arrivati al Banc Jacquet, ma questa rivelò loro che non erano in quel

luogo. Erano tuttavia sicuri di essere sulla rotta dei grandi banchi dove si pesca il

merluzzo, e dopo tre giorni “on jetta la sonde, mais avec aussi peu de success qu’auparavant”240.

Anche nei giorni successivi questa non trovò altro che acqua. A quel punto divenne

235Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.17 236 Ibidem 237 Ivi, pag.20 238 Ivi, pag.22 239 Ivi, pag.26 240 Ivi, pag.30

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evidente che la rotta era sbagliata o era stata perduta: allora un vento impetuoso e

l’ennesima giornata di calma bloccarono ancora la nave. Un vento furioso, che durò due

giorni, fu accompagnato da una pioggia incessante. In questo punto egli ritorna ad

affrontare il tema culinario, lamentandosi che quando il mare è mosso non è possibile

mettere la marmitta sul fuoco e si è quindi costretti a mangiare dei biscotti. Il continuo

cambio dei venti e la loro mancanza non gli permettevano di fare grandi movimenti. Un

grave incidente accadde in quei giorni alla barca, essa infatti iniziò ad imbarcare acqua, e

nessuno riuscì a capire da dove questa entrasse. Il capitano “descendit dans le fond de calle,/

pour voir d’où venoit ce terrible accident”241, ma non riuscì a trovare il danno. Venne allora

chiamato il carpentiere, il quale costruì una specie di palchetto fluttuante alla destra della

stiva, lì dove stava il problema. Si fece poi calare, e notò un’asse che aveva perso i suoi

chiodi; egli allora l’aggiustò alla meglio. Tuttavia il buco era troppo grande e doveva

essere costruita una placca di piombo per riempirlo. La nave venne allora messa su un

fianco, mentre alcuni uomini creavano la placca di piombo con le indicazioni di costui.

Una volta finita venne legata all’estremità di una corda, ma si accorsero che quest’uomo,

da solo, non poteva fare molto. Un marinaio venne allora mandato ad aiutarlo e il lavoro

fu finito in due ore: questo accadde in data 25 settembre. Dopo quattro giorni essi

furono finalmente arrivati al banco, dove i marinai tennero una cerimonia per quelli tra

loro che non vi erano mai stati, una sorta di battesimo a cui anche Diereville partecipa.

In quel punto la sonda tirò su sabbia bianca come il sale. Essi provarono a pescare, sia

durante la notte che durante il giorno, ma non pescarono alcunché. Provarono a rifare la

stessa cosa il giorno dopo: questa volta presero un gran numero di pesci chiamati

Flûtans, e il nostro li descrive come “La tête en est grasse, douillette & trés-excellent [… ]les

yeux qui sont aussi gros que le poing sont encore admirables”242. Egli pensava di trovare un mare

molto mosso sul grande banco: era infatti convinto che per superare questa montagna le

onde dovevano sprigionare una grande forza. Usciti dal banco provarono più volte a

gettar la sonda, con risultati contrastanti. Dopo due giorni una grande nebbia ricoprì la

nave, ma alla fine “ le Soleil les chassa par sa vivre clarté,/ Et nous vîmes bien-tôt sur un borde

écarté/ Les Sauvages Côteaux de la Nouvelle France”243. A quel punto però un vento

impetuoso impedì loro di avvicinarsi alla terra. Il giorno seguente, grazie ad un colpo di

vento, essi si avvicinarono in maniera sensibile a dieci bastimenti inglesi che erano

impegnati a pescare lungo la riva. Arrivarono di fronte al porto di Sainte Helene, e da lì

241Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.36 242 Ivi, pag.42 243 Ivi, pag.48

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riuscirono poi a gettare l’ancora a Chibouten in Acadia: il suo viaggio era finito.

L’arrivo in Acadia

Il luogo in cui erano arrivati è descritto con queste parole : “Ce havre est de grande étenduë

[…]Nous vîmes sur ses bords une Habitation/ Pour faire sécher la Moruë”244. Questa abitazione,

usata principalmente per la pesca al merluzzo, risultava tuttavia disabitata. È a questo

punto che incontrò per la prima volta gli amerindiani: non parlava la loro lingua e non

poteva quindi capire i loro discorsi e li definisce come “fort doux”245. Essi si erano messi

sulla difensiva in quanto avevano udito uno sparo, effettuato dallo stesso Diereville.

Appena saputo che erano francesi essi abbassarono le armi. Il giorno dopo, a bordo di

una canoa, visitarono la barca dei francesi. Diereville, che come detto prima non riusciva

a comunicare con loro, offrì loro una cena di “Viande & en Poisson”246 e fece loro bere

dell’eau de vie. Essi colpirono il nostro narratore in quanto, prima di mettersi a tavola,

erano soliti fare le loro preghiere e il

segno della croce: erano infatti stati

battezzati. Egli decise allora di recarsi

alla tomba del missionario che aveva

compiuto questa santa opera. Alla fine

donò loro delle munizioni per poter

cacciare la selvaggina, sperando che gli

avrebbero portato i frutti della loro

caccia. Quel giorno però il vento cambiò, divenne loro favorevole, ed essi iniziarono

quindi a navigare lungo la costa. Arrivò così, dopo altri giorni difficili a causa di un forte

vento contrario, a Port Royal. Il viaggio era durato cinquantaquattro giorni. Tuttavia al

loro arrivo furono bloccati da un Dragone, una nave reale che doveva portare le

provviste di guerra a Plaisance, e ai forti del fiume Saint Jacques. L’equipaggio di questa

nave era stato messo in allarme dai selvaggi che un “ Forban alloit & venoit sur la Côte”247.

Essi avevano quindi scambiato la nave di Diereville per quella di un corsaro. Capendo

allora il pericolo di essere colpiti dalle cannonate, il capitano decise di salire a bordo e di

“ calmer dans leur cœurs”248. Intanto, vedendo la scena, gli abitanti avevano iniziato a

portare nel bosco tutto quello che avevano di valore; una volta compreso che si trattava

244Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.50 245 Ivi, pag.52 246 Ivi, pag.53 247 Ivi, pag.57 248Ivi, pag.59

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di altri francesi riportarono tutto indietro con delle carrette. Egli ci descrive allora il

territorio di Port Royal che “peut avoir une demi-lieuë de long, & presque autant de large”249. Le

case erano estremamente povere e malconce. La chiesa era stata costruita come le altre

case, tanto che la scambiò per un fienile. Entratovi per pregare fece conoscenza con il

curato, il quale “ il me fit l’honneur de me presenter de l’Eau-benite”250. Questo religioso gli

diede un’impressione di forte bontà e di grande zelo nei confronti dei suoi parrocchiani.

Egli inoltre era il Gran Vicario del vescovo di Quebec; fu lui a mostrare a Diereville il

suo futuro alloggio, che altro non era che la vecchia chiesa. Questo edificio era

composto da tre piani: una cantina nel piano interrato, tre stanze al piano terra e una al

piano superiore. Nei giorni seguenti egli si rese meglio conto della situazione geografica

del luogo, caratterizzato da molti boschi e da grandi fiumi. In particolare due di questi

circondano quasi completamente il territorio: il primo è il “ riviere Dauphins” il quale

proviene da 8 leghe a nord di Port Royal, e lungo le sue sponde vi erano case, e il suo

corso era abitato fino all’isle aux Chevres. Dopo di questa il fiume forma un bacino che

sfocia fino al mare. Egli dice che per difenderlo si potrebbe “Deux Redoutes à chaque côtè

du Passage en pourroient défendre l’entrée qui n’a pas plus de cent-cinquante pas de large.”251 Il

secondo fiume, assai più piccolo, è il riviere du Moulin, lungo non più di una lega, e si

immette dentro quello già descritto sopra. È così chiamato in quanto lungo il suo corso

vi erano effettivamente presenti tre mulini, con altrettante abitazioni. Conclude questa

breve descrizione parlando dell’agricoltura del luogo ( argomento sul quale ritornerà più

diffusamente in seguito). Egli infatti dice che il terreno “produit toutes sortes de Legumes &

assez de Fruits, du Bled suffisament”252 e vi era inoltre presente numerosa cacciagione e

grandi quantità di pesce.

Accadde in quei giorni un grave incidente che lo preoccupò molto: un vento fortissimo

si mise infatti a soffiare, tanto che si verificò un gravissimo incidente tra due navi

ancorate al porto. Una di queste, nella quale vi era ancora della mercanzia destinata ad

essere immagazzinata, colò a picco insieme a tutto il suo carico.

Relation des maniers tant des habitans que des Sauvages de la

nouvelle France

Dopo aver descritto gli accidenti e i pericoli trovati lungo la traversata, Diereville si

sofferma a descrivere la terra in cui è arrivato. Qui, afferma, vi sono tre sole Habitasions: 249 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.60 250 Ivi, pag.61 251 Ivi, pag.63 252 Ivi, pag.64

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la già citata Port Royal, les Mines e Beaubassins. Les Mines, che non visitò mai, sa per

certo che “fournissent plus de Bled que tout le reste du Pays”253, e qui gli abitanti di Port Royal

avevano mandato i loro figli, con la specifica missione di ripopolare il paese.

Beaubassins era la meno popolata e quella che produceva meno risorse.

Il clima è descritto come quasi uguale a quello francese, se non che d’inverno nevicava

molto di più, e la neve non si scioglieva prima di sette o otto mesi. Nella parte in versi

che segue questa descrizione egli rimarca come gli abitanti siano comunque di buon

umore durante questo periodo, ma si rammarica di come questo paese “pourroit être un

Pays de Cocagne,/ S’il avoit seulement en Côteau de Champagne,/ il seroit le meilleur de tous”254.

Tuttavia, per quel che riguardava gli alcolici, essi non producevano altro che un tipo di

birra ottenuta dalla sommità dei pini. Per ottenerla si doveva fare una forte decozione

che poi veniva messa dentro una botte con del lievito e della Melassa. In due o tre giorni

esse erano tutte fermentate, e alla fine si otteneva un liquore di un colore molto chiaro.

La bevanda più bevuta rimaneva sempre l’acqua. Di seguito egli ci informa che il paese

non era colpito dalle imposte e questo portava gli abitanti a lavorare solo per il loro

sostentamento. Tra queste famiglie ve ne erano anche di molto numerose: egli riporta il

caso di due famiglie con 18 e 22 bambini. Nella parte in versi, riguardo ciò, egli scrive

che “Le Noble dans sa Couche, ou plûtôt sa/Cabanne,/Pour étendre sa race admet la Païsanne”255 ,

e “Une Fille de qualité,/ plûtôt que de rester Vestale,/ Avec un Roturier perdre sa dignité”256. È

quindi inevitabile che ogni famiglia abbia almeno cinque o sei figli, che rappresentavano

una grande ricchezza. Essi infatti raggiungevano un’età adatta al lavoro abbastanza

presto, ed erano quindi di grande aiuto, compiendo giornate lavorative anche di

venticinque o trenta terreni produttivi. Le terre che essi chiamavano “alte” erano le più

faticose da preparare alle colture: non lo erano soltanto per la grande fatica nel dissodare

il terreno ma anche perché non vi era sufficiente fertilizzante per aiutare queste colture a

crescere. Per avere il mais sono quindi necessari dei lavori di prosciugazione delle terre

basse, sorta di acquitrini che quando il mare è in piena si riempiono d’acqua. La

difficoltà qui stava nel fermare l’acqua del mare prima che vi entrasse. Gli abitanti

avevano costruito “des puissantes Digues qu’ils appellent des Aboteaux”257. Per costruirle

piantavano cinque o sei file di grossi alberi dove il mare incontrava l’acquitrino e dentro

ogni fila poggiavano altri alberi per il lungo, e il tutto veniva poi ricoperto da della terra

253 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1780, pag.70 254 Ivi, pag.71 255 Ivi, pag.75 256 Ibidem 257 Ivi,pag.77

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battuta. Al centro vi mettevano un’asse che permettesse all’acqua degli stagni di uscire

quando vi era bassa marea. Un lavoro del genere era molto faticoso e poteva richiedere

anche due giornate, ma la terra era assai più fertile. Egli narra poi un interessante

episodio che, secondo lui, dimostrava la grande operosità di queste genti. Essi “n’avoient

de leur vie vû construire ny Barque, ny Chaloupe”258 e non avevano mai pescato il merluzzo,

tuttavia Diereville chiese loro lo stesso di andare a pescare. Essi costruirono allora una

barca “fort bien”259 e iniziarono a prendere il pesce con l’intenzione di guadagnarne del

profitto, ed egli si ritrovò a prendere il pesce che essi pescavano. Le scialuppe vennero

costruite all’inizio dell’inverno e già in primavera la pesca era un’attività molto diffusa. Il

pesce veniva depositato in alcuni magazzini che lo stesso Diereville concesse a loro.

Questa attività permetteva ad ogni membro della famiglia di parteciparvi e ciò

permetteva loro di migliorare le misere condizioni di vita. La pesca fu così proficua che

Diereville ricevette il titolo “ Pere des Pêcheurs”260 ( egli indica un totale di 30.000 pesci

pescati e salati). Qui il merluzzo, a differenza di altri luoghi, non veniva seccato. Come

qualità, lui dice, è peggiore di quello del grande banco di Terranova. Concludendo

questo discorso egli scrive che “J’eus de ces Habitans pendant six mois plus de Poisson qu’une

ancienne & illustre Compagnie établie dans ces lieux pour la pêche sedentarie, n’en a pû tirer en vingt

ans”261.

Il successivo passo in versi è particolarmente interessante in quanto descrive la

situazione storica dell’Acadia. Come ho già spiegato sopra in essa si trovavano anche dei

possedimenti inglesi, ed era inoltre assai vicina alle coste del Massachusetts. Ecco allora

che “Cent fois la Nouvelle Angleterre/la plus voisine de leur terre,/A voulu les soûmettre & ranger

sous sa loy”262 e dovettero subire tutti i soprusi tipici di una guerra, in un momento in cui

la Francia non poteva fare nulla per aiutarli. Essi non si arresero comunque agli inglesi, e

quando questi conquistarono il paese non riuscirono comunque mai ad ingraziarsi la

popolazione locale.

Egli introduce allora una parte riguardante l’attività commerciale: dice che in un paese

così grande come la nuova francia il commercio dovrebbe essere aperto a tutti. Fa il

paragone con la Nuova Inghilterra che, a suo dire, commercerebbe con tutto il mondo.

Il commercio, che poteva contare sui prodotti del luogo come il pesce o il legname,

avrebbe potuto portare grande prosperità, sia alla Francia che alla Nuova Francia.

258 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.79 259 Ibidem 260 Ivi, pag.80 261 Ivi, pag.81 262 Ibidem

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Questo commercio avrebbe potuto “ruïner le riche & grand Commerce,/ Qu’avec tant de

succès l’Anglois voisin exerce”263. Non è comunque un argomento di suo interesse, in quanto

riguardava principalmente i ministri e la politica, però “ les Acadiens […] Exigeroieut d’eux

les moyens/ De se tirer de leur misere”264.

Dopo il commercio egli parla dell’agricoltura. Qui il grano si seminava all’inizio della

primavera e veniva raccolto alla fine dell’estate. In Francia invece lo si seminava in

Ottobre e lo si raccoglieva nell’Agosto successivo. Il mais invece non passerebbe

l’inverno, essendo troppo freddo e duro. Anche la caccia d’inverno rendeva assai poco.

Nel mese di Gennaio si potevano però facilmente cacciare le foche. Egli ci descrive

allora come avviene questa particolare caccia: i cacciatori, armati con bastoni, si

disponevano tutti attorno alla grande roccia piatta dove le foche mettevano al mondo il

loro piccoli. Essi iniziavano quindi ad avvicinarsi facendo un gran rumore che metteva

in allarme gli animali, i quali fuggivano verso il mare. Essi riuscivano comunque a

colpirli durante la fuga e in un’ora potevano essere uccise anche 500 bestie. Gli adulti di

questo animale potevano raggiungere la dimensione di un piccolo bufalo, mentre i

piccoli potevano essere grandi come dei vitelli. Per colpa delle loro grosse fattezze “ne

font que roûler, ne pouvant courir sur leurs pieds qui sont fort courts, & faits en nageoires”265. Di

questi animali si possono usare varie parti: il grasso viene utilizzato come un olio da

bruciare, mentre lavorando la pelle era possibile ottenere delle scarpe, utilizzate sia dagli

Acadiani che dagli Indiani. La carne tuttavia non è molto buona, infatti egli scrive che :

“ceux qui aiment le goût sauvagin en peuvent manger, mais c’est un fort méchant ragoût, quelque fausse

qu’on y fasse”266.

La cucina in Acadia

Inizia ora una delle parti più note e interessanti dell’opera di Diereville. Egli comincia

infatti un’interessante descrizione delle usanze culinarie degli acadiani. Parla per prima

cosa della carne che essi mangiano. La loro preferita e senza dubbio il lardo che “ils en

mangent deux fois par jour”267 e il loro preferito è quello di coniglio o della pernice. Su

questo volatile egli afferma che “ Les Perdrix me sembloient d’un fumet admirable [… ]Je les

trouvois enfin bien meilleures qu’en France”268. Cacciarle non era affatto difficile per i

cacciatori: esse infatti si appollaiavano sugli alberi in gran numero, sbattendo fortemente 263 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouenm 1708, pag.85 264 Ivi, pag.86 265 Ivi, pag.89 266

Ibidem 267 Ivi, pag.90 268 Ibidem

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le ali. Questo rumore attirava allora i cacciatori, i quali potevano sparare comodamente a

molte di loro; esse infatti non scappavano sentendo il rumore degli spari. L’unico

problema riguardo a questi uccelli è che d’inverno non mangiano altro “que les bourgeon

des arbres”269 e quindi diventavano più magre e senza gusto.

Altri tipi di carne spesso presenti sulle loro tavole erano il bue e il montone, mentre

erano completamente assenti le carni di agnello e del vitello. L’animale che essi

prediligevano di più era però il maiale, infatti “la chair de cochon étant leur favorite”270.

Questi animali venivano inoltre nutriti con la carne di montone. Nel periodo estivo i

maiali venivano liberati in certe isole del fiume Saint Jean, dove “les Chênes & les Hêtres y

étant communs”271 e così potevano nutrirsi liberamente, almeno fino al tardo autunno. Per

quanto riguardava i loro piccoli, essi mangiavano principalmente i frutti degli alberi

sopra citati. Una volta ingrassati per bene venivano uccisi e messi sotto sale, e questo

spesso accadeva al principio dell’inverno. Egli li consigliava caldamente, dicendo che “il

faut aller là pour en manger de lait tant ils sont délicats”272. Anche il manzo veniva salato dopo

essere stato ucciso e tagliato a pezzettoni, e questo accadeva sempre all’inizio

dell’inverno. È una carne da lui definita meravigliosa, che però non è sempre disponibile

fresca. Anche loro erano liberi come i maiali di andare a brucare in giro tutta l’erba che

volevano. Egli rimarcò poi che a Quebec, che si trova geograficamente più a Nord di

Port Royal, non lo salavano, ma lo conservavano con il ghiaccio.

Altra tipologia di cibo assai presente sulle loro tavole era la selvaggina, principalmente

oca e otarda. Per poterle cacciare essi utilizzavano dei cani da caccia, che riuscissero ad

attirare la selvaggina fino al luogo dove si trovava il cacciatore, il quale poi le avrebbe

uccise assai facilmente. Questo tipo di caccia si poteva fare in primavera o in Autunno,

ma non “dans l’Hyver & l’Eté on n’en trouve point, le grand froid luy fait abandonner ces lieux[…]

il n’y sçavroit trouver dequoy vivre, & dés que les chaleurs commencent, il va faire ses petits ailleurs”273.

Questa attività riguardava principalmente le oche. Per cacciare le otarde la cosa migliore

da fare era aspettare la loro migrazione, quindi i mesi di novembre e di maggio. Egli le

descrive come “sont bon & […]aussi grosses que des Cignes”274.

Parlando delle uova, le più comuni erano quella di otarda, cigno ed oca. Durante la

stagione degli amori questi animali erano soliti deporre le uova in un’isola lì vicino,

chiamato appunto Isles aux Oyseaux. Una volta saputo della loro deposizione, gli

269 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.92 270 Ivi, pag.95 271 Ivi, pag.97 272 Ibidem 273 Ibidem 274 Ivi, pag.104

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uomini si recavano in gruppo a cercarle. Gli uccelli si spaventavano e si alzavano in volo

in gran numero, che “par leur multitude innombrable une nuée si épaisse, que le jour en est obscurci

sur toute l’Isle”275. Durante queste battute avrebbero potuto anche uccidere gli uccelli

adulti, ma si occupavano solo di prendere le uova e portarle alla loro abitazione.

Un discorso a parte merita invece il pesce che essi pescavano nell’acqua dolce. Per

poterli prendere piazzavano dei Nageans, ovvero un gruppo di pali attaccati l’uno

all’altro, nel punto in cui i fiumi arrivavano al mare. Con l’alta marea i pesci riuscivano

facilmente a passare sopra questo ostacolo per andare nella zona degli acquitrini. Tra i

vari pesci che si potevano prendere con questo sistema vi erano la platessa, il gasparot e

il maccarello. Anche i pesci del genere delle Alosa erano ben presenti sulle loro tavole,

ma il nostro, che aveva visto uno dei suoi aiutanti vomitare sangue appena dopo averne

mangiato uno, non lo apprezzò più di tanto. Per quel che riguardava invece la trota e il

salmone afferma: “ mais je n’en vis jamais griller une dale au Port Royale. Dans un Voyage que je

fis au fort de la Riviere Saint Jean[…] j’en mangeai tant que j’en fus bien-tôt dégoûté”276.

Riguardo alle verdure, quelle più importanti erano le rape e i cavoli. Per quanto

riguardava i cavoli essi li lasciavano nei campi, facendo così in modo che la neve li

conservasse. Per quanto riguarda le rape, esse sono “beaucoup meilleurs qu’en France”277.

Questi due ortaggi venivano sempre cucinati insieme: i coloni ne facevano poi una

zuppa, con l’aggiunta di molto lardo.

Essi avevano diversi tipi di frutta, tra cui diverse varietà di mela che conservavano e che

mangiavano principalmente in inverno. Altri frutti che essi gradivano molto sono quelli

tipici del bosco, come le more e i lamponi. Le fragole le mangiavano “le plaisir de les

pouvoir manger avec un Sucre que le Pays produit.”278 Questo zucchero si otteneva dalle piante

del sicomoro ( che è il nome in cui in Nord America si identifica il platano occidentale),

dal quale si poteva ottenere uno zucchero dal colore rosso, giudicato assai buono.

HISTOIRE DES SOUVAGES

Inizia questo nuovo capitolo della sua opera parlando della caccia, vista come principale,

se non unica, attività di sostentamento dei popoli nativi di quella zona dell’Acadia.

Secondo Diereville essi potevano resistere anche otto giorni senza mangiare, anche se

ciò significava che la caccia era andata male.

Egli comincia spiegando come funziona la caccia presso di loro raccontando un

275 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.114 276 Ivi, pag.106 277 Ivi, pag.96 278 Ivi, pag.109

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episodio che lo sorprese molto. Uno di questi Indiani era a caccia con i suoi compagni,

armato di fucile. Ad un certo punto, mentre camminavano su un lago ghiacciato, egli

sentì l’odore di un orso. Essi riuscirono a trovarne la tana e a circondarlo prima che

questi potesse fuggire o attaccarli. Lo uccisero con un colpo di fucile, gli levarono la

pelle e infine ne mangiarono la carne. Diereville descrive allora il letargo dell’orso con

queste parole “cet animal se bâtit une loge dans terre, & la couvre de plusieurs branches de

Sapin[…] pour n’être pas incomodé de la neige jusqu’au Printemps”279.

Un altro animale a cui essi davano spesso la caccia era l’alce. Per quanto fosse meno

pericolosa rispetto alla caccia all’orso, quest’attività richiedeva un grande sforzo da parte

dei cacciatori. In inverno, quando “La neige a par endroits quatre à cinq pieds/ de haut”280 e i

cacciatori erano costretti a seguirle utilizzando delle racchette per i piedi. La caccia finiva

quando per l’animale “la force défaut. / Quand elle est toute dissipée”281. Infine i cacciatori

uccidevano gli animali a colpi di fucile o di coltello. Essi erano soliti mangiarne la carne

fresca o ben affumicata; anche il muso e la lingua venivano mangiati ed egli li considera

assai buoni. Per Diereville questo animale è grosso come un mulo, e “qui porte un grand

bois sur sa tête”282 che tuttavia non serve a difenderlo dai cacciatori. La pelle veniva invece

venduta dagli indiani ai francesi, che sapevano come usarla.

Ultimo animale di taglia grande di cui egli parla è il Caribou, il quale però non dava ai

selvaggi più di tanta pena per catturarlo.

Egli inizia poi una descrizione dei mammiferi di piccola taglia presenti sul territorio.

Il primo che egli illustra è lo scoiattolo volante. Questo animale colpisce la sua curiosità

in quanto “Qui volent sans avoir des aîles”283. Loro infatti utilizzano due membrane larghe e

piatte, e questa pelle li sostiene mentre planano nell’aria, dove possono raggiungere

anche i trenta passi di distanza. Essi sono assai diversi dagli scoiattoli europei, non solo

per questa loro tipicità, ma anche per il colore: sono infatti bianchi sul ventre e grigi sul

dorso.

Dopo aver parlato di quest’animale, inizia una lunga dissertazione sul castoro. Inizia

dicendo che se essi fiutano i cacciatori sono ben rapidi a nascondersi. Gli indiani

possono aspettare anche molto tempo, ma questi non ricompariranno. Quello che fa

difetto ai castori è la vista, in quanto “mais ils ne voyent[…] que de côté, & ils ont les yeux fort

279 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.121 280 Ivi, pag.124 281 Ibidem 282 Ivi, pag.125 283 Ivi, pag.127

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petits”284. Questo implica che essi spesso si trovino davanti ai cacciatori senza

accorgersene. Se si sparava loro quando sono sui bordi dell’acqua c’era il rischio di

vederseli facilmente sfuggire o di farne andare a fondo il corpo. La maniera più sicura

per catturarli era usare delle trappole. Essi usavano come esca alcuni pezzi di corteccia di

Pioppo tremulo, “qu’ils aiment plus que toutes choses”285. Queste trappole avevano anche il

grande vantaggio di essere facili da preparare e non implicavano dispendio di polvere da

sparo o di piombo. Nel periodo invernale i cacciatori potevano utilizzare la seguente

tecnica per cacciarli: quando il lago ghiacciava si recavano presso le loro capanne e le

distruggevano a colpi di ascia. I castori, costretti a fuggire, si nascondevano ai bordi del

lago, tra ghiaccio e terra. A quel punto i cacciatori liberavano i cani, che “ils ont si bon

nez,[…]& ils en marquent les endroits en s’y arrêtant”286. I cacciatori iniziavano allora a

spaccare il ghiaccio; una volta trovato l’animale lo uccidevano a colpi di ascia. Dopo aver

descritto come avviene la caccia contro di loro, ci descrive il modo con cui i Castori

costruiscono le loro capanne. Queste vengono edificate nel periodo degli amori, ovvero

nel momento in cui si accoppiano e stanno per avere i loro piccoli. Per costruirle usano

alberi di varie dimensioni che abbattono con i loro incisivi, mettendosi tutti attorno

all’albero che intendono utilizzare. Essi lo fanno poi cadere nella direzione che è a loro

più comoda per poi trasportarlo fino al luogo in cui intendono costruire la loro capanna.

Per portarlo essi se lo caricano sul dorso, e qui dimostrano una forza eccezionale, in

quanto questi tronchi possono essere grossi come due uomini, o anche di più. Per

caricarseli “ils prennent les arbres par un bout avec leurs dents, tournant la tête vers l’épaule qui porte,

ils les levent, & font passer leur corps par-dessous pour les soûtenir”287. La terra, che essi

utilizzano nella costruzione delle tane, viene tenuta dalle zampe anteriori, mentre

camminano su quelle posteriori. La prima di queste tane la costruiscono sopra degli

alberi piantati come pali. La terra funziona come pavimento per la capanna, la quale ha

due buchi ai bordi che permettono loro di entrarne e di uscirne. Su questo fondo

costruiscono poi una piccola cupola di pari larghezza, alta dai tre ai quattro piedi. I loro

piccoli vi nasceranno in primavera e qui vi rimarranno fino a quando i genitori non li

scacceranno, il che accade nella stagione degli amori.

In estate,“Quand les grandes chaleurs de l’Eté font abaisser l’eau des Lacs & des Riviers où sont

leurs cabannes”288 utilizzano un metodo ingegnoso per ovviare a questo problema. Essi

284 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.128 285

Ibidem 286 Ivi, pag.129 287 Ivi, pp. 130-131 288 Ivi, pag.132

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costruiscono infatti delle dighe per impedire all’acqua di fuoriuscire: in questo modo

essa rimane all’altezza del buco d’entrata della tana. Essi sono soliti abbattere gli alberi

da utilizzare in questa opera durante la notte, sotto la guida di un castoro più vecchio.

Egli la considera un’opera sorprendente, di cui sarebbe stato assai difficile descriverne la

struttura. Queste dighe possono essere costruite su fiumi anche molto grandi e

rappresentavano un grande ostacolo per le canoe dei nativi, tanto che per distruggerle

essi dovevano “Mettre leurs haches en usage”289 e il lavoro poteva durare anche un paio di

giorni. Quando poi l’inverno si avvicina essi fanno una grande scorta di legname, loro

unico cibo, e sono soliti metterlo dentro la loro capanna, per non dovere uscire a

cercarlo.

I selvaggi erano soliti cacciare anche altri animali, a parte quelli sopra descritti, tra cui:

lontra, ghiottone, martora, gatto selvatico, volpe, lince e topo muschiato. Per tutti loro,

durante la stagione invernale, costruivano delle trappole; solo ogni tanto sparavano alla

lontra, ma non lo facevano spesso, in quanto non sempre avevano disponibilità di

polvere da sparo (donata dai francesi in cambio delle pelli).

Usi e costumi dei nativi

Dopo aver parlato a lungo dei vari animali presenti nel territorio, e le tecniche con cui

venivano cacciati, il nostro autore si sofferma sugli usi e i costumi degli Indiani. Il primo

tema che affronta è il matrimonio. Quando un giovane era innamorato di una ragazza, si

recava a trovare il padre e lui diceva che “je voudrois bién entrer dans ta famille”290. Se egli era

un buon cacciatore riceveva probabilmente risposta positiva. Egli si dovrà comunque

impegnare a dare, per un tempo più o meno lungo, la sua cacciagione alla famiglia della

sposa. Se però la donna aveva più di un pretendente, sceglieva tra chi le faceva i regali

più belli, che consistevano quasi unicamente in pellicce. Una volta scelto lo sposo, la

cerimonia di matrimonio era assai semplice e senza particolari riti, il padre soltanto dirà :

“Suis-ce garçon, c’est ton Mary”291. Dopo la cerimonia gli sposi erano soliti passare alcuni

giorni nella foresta, ritornando poi qualche giorno dopo con selvaggina e pesce, con cui

festeggiavano le nozze insieme alla gente del loro villaggio. Quella sera il padre della

sposa era tenuto a spiegare la sua scelta, alla quale tutti i presenti applaudivano. La cosa

assai interessante, che ci ricollega al processo di evangelizzazione dei selvaggi, è che

spesso si sposavano anche in Chiesa. Essi infatti, anche se si erano già sposati presso il

289 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.134 290 Ivi, pag.137 291 Ibidem

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loro popolo, venivano a “recevoir Sacrement du Curè de Port Royal”292. Durante queste

cerimonie il curato, che non conosceva la lingua degli sposi, usava come interprete uno

dei suoi parrocchiani. Egli dunque traduceva quello che le due parti dicevano, ed era lui

a pronunciare in francese il giuramento di matrimonio da parte dei due sposi.

Quando una donna era incinta, lasciava il villaggio insieme ad un’altra donna e rimaneva

nella foresta fino a quando non nasceva il bambino. Come primo cibo il neonato

mangiava olio di pesce o del grasso fuso di qualche animale. In seguito bevevano il latte

delle loro madri, fino a che non erano in grado di nutrirsi come gli altri. Per quel che

riguardava il vestiario, essi li ricoprivano di pelli di volpe o di piume di oca, applicando

sul di dietro del muschio, “pour l’empêcher de gâter de si beaux langes”293. Come culla essi

usavano “une espece de boete plate sans dessus”, di cui l’asse di fondo aveva due ganci in

basso, mentre sul lato in alto essi applicavano un piccolo pezzo di legno, che

trasbordava di quattro o cinque pollici. A questo pezzo essi attaccavano della pelle che

serviva loro come una bretella, e così facendo potevano portare in giro il bambino. Se

uno dei membri entrando nella capanna si fosse messo a giocare con il neonato, avrebbe

ricevuto un regalo da parte del padre e della madre, “pour reconnoître les marques d’amitié”294.

Egli ne avrebbe ricevuto un altro nel caso in cui il bambino gli avesse pisciato addosso

mentre lo teneva. Essi erano poi soliti fare grandi festini quando al bimbo spuntava il

primo dente e, un pochino più adulto, per i primi animali che uccideva. Per festeggiare

quest’ultima occasione, essi chiamavano tutti i selvaggi della contrada a festeggiare con

loro e nel mentre affumicavano la selvaggina per conservarla meglio. Durante la

cerimonia si assisteva ad un fatto assai curioso; “les parens du jeune Chasseur & luy-même ne

goûtent point de ce Gibier”295, ma la dividevano tra tutto il resto della compagnia. Alla fine

della festa tutto il cibo che egli aveva catturato era stato donato agli altri, “pour faire voir

son adresse & son courage”296. Sarà dimostrando queste doti, e se riuscirà a dimostrarsi abile

cacciatore, che riuscirà a scalare le posizioni sociali nella sua tribù. Presso questi popoli

infatti non esistevano diritti di nascita, ma esisteva solo il merito individuale.

Diereville ebbe la possibilità di conoscere uno dei loro capi, Sagaino, un giorno che

questi si presentò al forte del fiume Saint Jean per ricevere alcuni regali che gli erano

arrivati dalla Francia. Il forte altro non consisteva che in quattro bastioni con sei grossi

cannoni ciascuno. La sera stessa del loro arrivo, il governatore generale d’Acadia,

292 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.139 293 Ivi, pag.143 294 Ivi, pag.144 295 Ivi, pag.146 296 Ivi,pag.147

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Monsieur le Chevalier de Villebon, morì.

Il capo “ étoit le petit fils d’un Sauvage ennobli par Henri IV”297 in quanto aveva scacciato gli

inglesi dalle sue terre. Egli non mostrava nessuna differenza rispetto agli altri, tanto da

fare scrivere a Diereville che “tout son merite fût dans son cœur ou dans sa tête”298. Egli ci

descrive così la scena: appena arrivato al forte il Capo omaggiò gentilmente l’ufficiale

francese, mentre i suoi compagni si sistemavano tutt’intorno alla sala dove li stavano

ricevendo. Ad un certo punto uno di loro si staccò dal gruppo e raggiunse Diereville e

salutandolo rispettosamente lo chiamò molte volte fratello. Egli ne fu all’inizio assai

sorpreso, ma poi “je reconnus qu’il étoit un de ceux que j’avois regalez à Chiboüetou, & à qui

j’avois donné de la plombe”299. La donna di uno dei principali ufficiali, inteso quello che

l’uomo stava dicendo, chiese in lingua nativa dove avesse già incontrato Diereville. Il

nativo raccontò allora del loro incontro e come egli era tornato indietro con della

cacciagione per donargliela, ma la cosa non gli fu possibile in quanto era già partito;

dopo aver raccontato tutto questo se ne tornò dai suoi compagni. I francesi donarono

loro delle pipe e del tabacco. Ad uno del seguito del capo toccò l’onore di prendere una

di queste pipe, caricarla e accenderla per darla poi a lui. Questi la fumò fino a quando

non finì il tabacco: al termine la ridiede a colui che gliela aveva data, affinché potesse

ricaricargliela. Tutta questa cerimonia non era che un preludio al banchetto, che essi

erano soliti preparare con prugne secche, piselli e farina. Essi li cuocevano tutti insieme

senza salarli, in acqua di mare o di fiume. Il tutto fu servito dentro piatti di stagno e il

capo, per rimarcare il suo ruolo, “prit les premiers morceaux”300. Essi non rimasero

comunque per molto tempo al forte, infatti ripartirono dopo pochi giorni.

Dopo aver descritto il banchetto che essi avevano fatto al forte ci parla di quelli che i

nativi erano soliti fare tra di loro. In questo genere di feste essi mangiavano spesso il

Cane, considerato di gran qualità. Se si voleva rendere giusto onore ad un capo, a lui sarà

donato il pezzo più buono. Egli ne è inorridito, definisce il cane “pauvre animal est la triste

victime”301, ed è una cosa assai cattiva, in quanto quest’animale gli era assai utile durante la

caccia. Per quanto riguarda il bere non hanno che della semplice acqua. Egli depreca gli

effetti che l’alcool avea su di loro, e reputa il gran bene che essi non ne abbiano, in

quanto lo prendevano unicamente dai francesi quando si incontravano per fare i loro

297 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.126 298 Ivi, pag.149 299 Ibidem 300 Ivi, pag.152 301 Ivi, pag.152

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commerci. I missionari stessi “d’un peché si grand leur ont fait voir/l’horreur”302.

Egli parla poi delle loro guerre: sia di quelle che essi combattevano tra alleati della

Francia contro quelli alleati degli inglesi, ma anche di quelle che si ebbero tra gli

appartenenti alla stessa nazione. Una volta che essi saranno stati offesi in qualche modo

dagli inglesi, il Sagino riunirà i suoi guerrieri per far loro un discorso. Questo inizia

solitamente dichiarando la “ gloire du Roy”303 e facendo loro vedere come “estans nez les

Sujets de la France” e che essi dovevano prenderne le difese. Egli doveva allora inspirare

questo nobile disegno a quelli che gli erano sottoposti: questi, come segno del loro

consenso, si mettevano in atteggiamento da battaglia uno contro l’altro. Egli introduce

ora la figura dello Jungleur ( che in francese significa giullare). Quando questi selvaggi

avevano il sospetto che una guerra stesse arrivando si recavano da lui per esserne

informati, ed essere così eventualmente pronti a respingere i loro nemici. Essi, che

Diereville definisce demon, vivevano in mezzo al bosco e avevano la funzione degli

oracoli. Per invocarlo i selvaggi dovevano riunirsi dentro il bosco dove costui abitava.

Egli apparirà allora facendo delle contorsioni e “des grimaces horribles,/ Enfin elles sont si

terribiles, Que le Demon luy-même en devroit avoir peur.”304 Dal momento che egli inizierà a

predicare tutta la truppa lo ascolterà, senza dubitare minimamente delle sue parole.

Diereville, che afferma di non credere a queste superstizioni, ci racconta però un

episodio che ebbe come protagonista proprio uno di questi personaggi. Era successo

che un nobiluomo francese aveva un fratello che aveva fatto un viaggio per mare e che

tardava tornare: egli aveva paura che fosse naufragato. Volendo togliersi il dubbio su

questa atroce questione, decise di consultare l’oracolo. La cosa fu facile da organizzare:

“il trouva de ces bonnes Gens/ Disposez à le satisfaire/ Dans ses desirs impatiens”305. Il Jungler

non poté però soddisfare la sua richiesta in quanto, diavolo qual’era, non poteva parlare

ad un battezzato. Egli allora decise di ritirarsi, lasciando solo le persone che lo avevano

accompagnato ad interrogare l’oracolo. Quest’ultimo disse loro che suo fratello sarebbe

tornato dopo tre giorni: e questo effettivamente accadde.

Per quanto riguarda la loro fede religiosa, essi credevano nel dio sole, chiamato

Nichekaminou e in un demone chiamato Mendon. Essi avevano degli stregoni, che

riempiono di glorie ed onori, e ai quali essi donavano i cibi migliori quando erano riuniti

in un banchetto. Parlando dei riti di sepoltura, essi erano soliti mettere “Chien vif, Hache,

302 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.156 303 Ivi, pag.157 304 Ivi, pag.159 305 Ivi, pag.161

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Fusil, Maïs, Pipe, Petun, /Chaudiere, Poudre, Plomb, Canot & Couverture”306 con il morto, in

quanto credevano che egli avrebbe compiuto un lungo viaggio. Essi avevano poi il

seguente costume: se un padre oramai anziano ed incapace di cacciare perdeva suo figlio

mentre questi era in guerra, i suoi amici sarebbero andati nel paese dove era morto il suo

ragazzo, e ne avrebbero rapito uno della nazione nemica. Allora accadeva che egli lo

avrebbe adottato e “Le jeune Homme consent à cette adoption,/ Il l’assùre par sa parole,/ Qui

vaut le jeu chez cette Nation,/ Et son faux Pere se console / De la mort de son vray Garçon”307.

Per quanto riguarda il loro vestiario, essi si coprivano di pelli o di vestiti che i francesi

davano loro in cambio di queste. Tra uomini e donne non si aveva molta differenza se

non nella lunghezza: quelli degli uomini erano più corti per permettere loro di cacciare

più agevolmente. D’estate i ragazzi non indossavano altro che una specie di camicia e

“une ceinture à laquelle est attaché un morceau d’étoffe ou de peau, pour couvrir les parties que la

pudeur empêche de montrer”308. Non erano soliti indossare calzature, ma ne avevano di un

tipo fatto di stoffa con cuciture esterne. Le scarpe potevano essere fatte con la pelle di

alce o di lupo marino, e Diereville le definisce assai comode.

Per l’abbellimento del corpo, erano soliti adornare i loro capelli con delle piccole perle,

che potevano scendere fino all’orecchio. Essi avevano disgusto di ungerli con grasso

d’animale o olio di pesce; queste sostanze le usavano però in maniera abbondante per il

viso. Un altro ornamento che poi alcuni di essi presentavano sulla pelle o sul viso erano

delle incisioni create con un ago. Oltre a questo essi utilizzavano della polvere da sparo

per ottenerle. Queste incisioni potevano essere fatte di diversi colori e rappresentare

qualsiasi cosa e non se ne andavano mai via.

Essi avevano poi un’insolita maniera di scriversi: utilizzavano dei piccoli pezzi di legno

sistemati in maniera diversa a seconda del messaggio che volevano comunicare, e li

inviavano poi al destinatario. Per suddividere lo scorrere del tempo non utilizzavano i

mesi e gli anni, ma “les nuits, ou par les évenemens considerables qui arrivent dans leur cours”309.

Erano poi nomadi, ovvero rimanevano in un posto fino a che trovavano la cacciagione

con cui sfamarsi e quando questa finiva cambiavano luogo.

Egli poi ne lodava le voci melodiose, che sentì più di una volta durante la santa messa

alla chiesa di Port Royal. Le voci delle loro donne erano “si touchantes, que je croyois entendre

les Anges”310 e con quelle degli uomini, con le quali formavano una fantastica armonia.

306 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708,pag.163 307 Ivi, pag.168 308 Ivi, pag.172 309 Ivi,pag.178 310 Ivi, pag.179

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Essi cantavano gli inni sacri nella loro lingua nativa, e questo era dovuto al grande sforzo

dei padri missionari che li avevano tradotti. Egli ha invece tutt’altra opinione delle loro

danze. I danzatori erano soliti muoversi assai delicatamente e rapidamente, mentre

alcuni loro compagni tenevano loro il tempo con delle grida o tambureggiando con dei

pezzi di legno.

Diereville, dopo questa descrizione, parla di una dote che per lui è assai spiccata in loro:

essi non solo erano in grado di riconoscere l’odore di un animale mentre erano a caccia,

o di riconoscere le persone dagli odori, ma erano anche capaci di fiutare l’alcool. Egli

racconta a proposito questo episodio: un francese che risiedeva a Port Royal ne aveva

una piccola quantità che custodiva gelosamente. Un selvaggio, stanco e affamato, si

fermò per chiedergli “un coup de cette Liqueur qu’il ménageoit si bien”311. Egli disse che non

ne aveva, ma l’indiano ne aveva ormai sentito l’odore: l’abitante fu allora costretto a

dargliene un po’, chiedendo in cambio che non divulgasse il segreto presso i suoi

compagni. Il nativo gli rispose che sarebbe stato inutile, perché ne avrebbero sentito

l’odore.

Riguardo alla cura delle malattie, essi conoscevano varie tecniche per curarsi. Quando

erano assai affaticati o stanchi avevano vari modi per recuperare. Il primo consisteva

nello scavare un buco della loro lunghezza, che guarnivano ai due lati con delle rocce,

poi mettevano dei rami di pino sul fondo, vi mettevano il malato e infine lo ricoprivano

con altri rami di pino. Tutto questo veniva poi scaldato per fare in modo che il malato

sudasse. Questi buchi erano infine costruiti “ sur le bord d’un Lac, ou d’une Riviere”312, per

fare in modo che il malato vi ci si potesse gettare dentro. Il commento di Diereville su

questo metodo è assai drastico; “Quelle maniere! Si nous nous exposions de même à des contraires

si opposez, nous en mourrions, & par là il se guérissent sur le champ”313. Egli invece apprezza

molto il metodo con cui essi curavano le loro ferite. Per curare le ferite utilizzavano

infatti la terebentina, una resina che potevano trovare assai facilmente sotto la corteccia

dei Pecci. Se invece si rompevano qualche arto, “ils remettent les os au niveau”314. Per fare

questo utilizzavano degli impacchi di muschio e la sopra citata terebentina, poi vi

appoggiavano sopra un pezzo di legno di betulla, che riuscivano facilmente a modellare

per coprire l’arto in questione. Per tenere il tutto unito prendevano poi delle scorze di

albero più sottile con cui otteevano delle bende. Il malato veniva quindi appoggiato “un

311 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.182 312 Ivi, pag.184 313 Ibidem 314 Ivi,pag185

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tas de mousse”315. Se il malato si trovava invece da solo, doveva comunicare la sua

posizione con “coups de Fusil[…]ou il feroit de la fumée s’il n’avoit point d’arme, signaux

ordinaires parmy eux”316. Quando i suoi compagni arrivavano gli costruivano tutto intorno

una capanna. Per erigerla piantavano in circolo quindici picchetti, alti una tesa e mazza (

la tesa è una vecchia unità di misura, una tesa corrispondeva a circa sei piedi francesi ) e

le cui estremità si ricongiungevano in una punta. Essi poi venivano coperti con “branches

de Sapin, & de grands morceaux d’écorce du même bois, on de Bouleau, quelquefois de peaux”317 e

lasciavano solo un buco aperto per entrare. Al suo interno vi era sempre un piccolo

fuoco acceso nel centro. Durante la sua guarigione i suoi compagni si occupavano della

caccia, fino a che egli non era guarito. A proposito di questo egli racconta un fatto: un

uomo stava viaggiando con il suo cane da Quebec a Port Royal, quando si ferì. Egli

riuscì a scrivere comunque un messaggio dove indicava la sua posizione, e il suo cane lo

portò fino a Quebec. L’animale riuscì a trovare la strada per Quebec, e da li partì un

gruppo in soccorso del ferito. Essi riuscirono a trovarlo grazie alla guida del cane, e gli

portarono un gran conforto. Essi “cabanna dans ces lieux”318 e andavano a cacciare per il

malato. Infine egli guarì felicemente e “Avec ses Compagnons il vint tant bien/ que mal/

Raconter sa triste avanture/ A ses Amis du Port Royal”319.

Anche per l’epilessia essi conoscevano una cura. Uno dei soldati del forte del fiume

Saint Jean, ci fa sapere Diereville, ne soffriva da tempo. Una donna indiana, che aveva

visto quest’uomo durante uno dei suoi attacchi, si recò nel bosco per cercare il giusto

rimedio alla sua malattia. Ella tornò con “ deux prises grosses comme deux Féves d’une racine de

plante ratissée”320 e ne fece prendere una al malato dopo uno dei suoi attacchi. Il malato,

dopo alcuni giorni di riposo, fu prontamente guarito e il suo male non si ripresentò più.

Diereville si rammarica di non essere stato presente a quell’avvenimento, perché “j’avrois

aporté de l’Acadie un remede qui m’avroit été en France aussi avantageux qu’utile au Public”321.

Se per tutta la sua opera egli non li chiama che selvaggi, alla fine ci fornisce una lista di

tutte le popolazioni presenti in Acadia. I primi che nomina sono i Miquemaques (mick-

mack), che abitavano nei dintorni di Port Royal e lungo il fiume Saint Jean. Anche i

Maricites risiedevano in queste zone. Lungo il fiume Saint George, che fa da confine tra

Nuova Francia e Nuova Inghilterra, vi erano i kanibas e gli Abenaki. Verso il Quebec

315 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.185 316 Ibidem 317 Ivi, pp.185-186 318 Ivi, pag.189 319 Ivi, pag.190 320 Ivi, pag.191 321 Ivi, pag.193

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abitavano invece gli Huroni, gli Algonchini, gli Irochesi, i Saguenets e i Socokis. A Nord

si potevano trovare gli Eschimesi, i Christinaux, i Sauteurs, i Savanois, i Plas-cotez e gli

Assenciboils.

Tra tutti questi popoli i più bellicosi erano senza dubbio gli Algonchini. Essi erano

sempre in guerra con i loro più acerrimi nemici, gli Irochesi. Questi due popoli avevano

due stili di vita assai diversi. Gli Algonchini erano nomadi e non coltivavano la terra,

asserendo che questi lavori “n’appartiennent qu’à des Ames basses & serviles”322 e che i grandi

guerrieri dovevano vivere con quello che cacciavano. Gli Irochesi per contro lavoravano

la loro terra, ricavandone Mais e legumi. Essi vivevano dentro grandi villaggi fortificati,

soprattutto per difendersi dagli attacchi provenienti dal Quebec. Egli conclude dicendo

di loro che essi torturavano in maniera bestiale i loro nemici, ma d’altro canto “Nous ne

les traitons pas avec moins de rigueur quand ils tombent entre nos mains, mais ils ont bien plus de

courage à suporter tout le mal qu’on leur fait”323.

Dopo gli Irochesi descrive gli Otauis, “bons amis de la France”324. Essi non vivevano che di

carne che mangiavano in grandissima quantità, al contrario dei loro vicini, i Sauteurs, che

mangivano solo pesce, pescato dal lago Erie. Secondo Diereville questa alimentazione

leggera consentiva ai Sauteurs di essere ottimi corridori, e di avere una grande resistenza

fisica. Essi non conoscevano l’uso delle armi da fuoco, ma erano ottimi arcieri.

Gli Eschimesi, al contrario di tutti gli altri popoli, non cuocevano la carne. Secondo una

credenza francese, questi selvaggi sarebbero stati creati dai “premiers Basques qui se sont

perdus à la Pêche de la Balaine”325, e il motivo di questa idea è che gli eschimesi quando

parlavano non facevano altro che farfugliare, esattamente come i baschi.

Queste sono le ultime cose che egli scrive, infatti ci informa poi del suo ormai prossimo

ritorno in patria. Egli scrive queste parole alla fine della sua opera : “Qu’étale dans ces lieux

l’Auteur de la/ Nature;/ Tout est rare, tout est nouveau,/ Quelle diversité de fleurs & de verdure,/

On ne peut rien voir de plus beau,/ Mille plantes, divines Herbes,/ Que la terre y produit sous les

Sapins/ superbs,/ Et que pour la santé des homme Dieu créa / Ne se trouvent point dans nos terres,/

il faut aller les cercher là/ Les Bois de l’Acadie en sont les seules/ serres./ J’etois chargé du soin

glorieux d’en cüeillir/ Pour le Jardin Royal du plus grand des Monarques/ Et j’ay sçu donner quelques

marques/ Du plaisir que j’ay pris à pouvoir l’embellir”326.

322 Diéreville D.,Relation du voyage du Port Royal de l’Acadie, ou de la Nouvelle France, Rouen, 1708, pag.197 323 Ivi, pag.198 324 Ivi, pag.200 325 Ivi, pag.204 326 Ivi, pag.206

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Conclusione

Per concludere questa mia dissertazione sulla Nuova Francia desidero dare alcune

considerazioni sui documenti da me trattati nei capitoli precedenti.

La prima relazione che ho affrontato tratta del primo periodo della colonizzazione

francese. Questo si può notare dal fatto che i francesi non hanno un ruolo attivo

all’interno della geo-politica del nuovo continente. Essi si limitano infatti si limitano a

commerciare le pelli con i loro alleati nativi, ma di più non fanno. Anche per quanto

riguarda la conversione di queste genti alla religione cattolica non vengono ancora fatti

tentativi seri in questa direzione. Infine è importante ricordare che si tratta del primo

viaggio di Champlain in quei territori, e in questa spedizione egli ha il ruolo di

cartografo, ed è quindi senza alcun potere politico.

La seconda relazione di Champlain, per quanto distante solo dieci anni dalla prima, parla

già parte di un periodo successivo. In questa possiamo vedere come i francesi inizino ad

agire in maniera decisamente più attiva nei confronti delle popolazioni amerindiane. Essi

iniziano a partecipare ai loro consigli, scendono sul sentiero di guerra con i loro alleati,

dirimono le controversie tra le varie nazioni loro amiche e gestiscono la giustizia.

Possiamo poi vedere come anche l’obiettivo della cristianizzazione di queste genti venga

perseguito in maniera più decisa. Abbiamo visto come lo stesso Champlain si fosse

applicato in questo senso. Egli fatti non soltanto portò con se dei religiosi perché

compissero la loro missione, ma si impegnò in prima persona affinchè questo viaggio

fosse loro reso possibile. Questi padri Recolletti poi, una volta giunti in Nuova Francia,

vanno a vivere presso le popolazioni in cui vogliono compiere la loro santa opera.

L’opera di Diéreville è assai diversa, e per varie ragioni. Essa appartiene ad un periodo

assai più tardo, a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo. È assai più vicina alla fine

dell’esperienza francese in Nord America che non agli inizi ( l’Acadia venne conquistata

in maniera definitiva dagli inglesi nel 1713, quindi solo tredici anni dopo l’esperienza da

lui fatta in quelle terre e a solo cinque anni dall’effettiva pubblicazione della sua opera ).

Il percorso storico di questa particolare zona era stato poi assai diverso dal resto della

Nuova Francia, come da me già illustrato nei capitoli precedenti. Possiamo anche notare

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qui i primi effetti dell’opera dei missionari: i nativi non solo vengono battezzati, ma si

sposano con rito religioso e pregano e cantano alla santa messa nella loro lingua madre.

Tuttavia non tutti sono ancora stati converititi, e chi lo è stato spesso affianca

semplicemente la nuova fede con quella vecchia. È importante infine ricordare che egli

non aveva alcun ruolo politico nella colonia. Egli era un uomo di scienza, un botanico

per la precione ( è autore di un famoso erbolario ), ed era stato mandato in quelle terre

da Luigi XIV per poter raccogliere semi e piante da riportare poi in Francia.

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