tesi rosani vighini biogas 2004
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Politecnico di Milano Sede di Cremona
Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio A..A.. 2003/2004
Tesi di Laurea: LA PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA
NELLE AZIENDE AGRICOLE
PER MEZZO DI REFLUI ZOOTECNICI E BIOMASSE
Candidati:
Rosani Fabio matr. 649643
Vighini Mauro matr. 647872
Relatore:
Prof.sa Malpei Francesca
INDICE INTRODUZIONE…………..…………..………………………………………………..pag. 3 1 QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO………………………………………pag. 5 1.1 LA NORMATIVA RIGUARDANTE GLI IMPIANTI DI DIGESTIONE ANAEROBICA………………………………………………………………...…….pag. 5 1.1.1 NORME AMBIENTALI……………………………………………..…….....pag. 5 1.1.2 NORME RIGUARDANTI LA PRODUZIONE DI ENERGIA…….………....pag. 7 1.1.3 TABELLA DELLE CONCESSIONI E DELLE AUTORIZZAZIONI……..….pag. 8 1.2 PREMESSA A CERTIFICATI VERDI E CERTIFICATI BIANCHI……..…….…..pag. 10 1.3 CERTIFICATI VERDI……………………………………………………….…....pag. 11 1.4 CERTIFICATI BIANCHI……………………………………………………..…..pag. 19 2 ANALISI GENERALE DEL PROCESSO DI DIGESTIONE ANAEROBICA…...pag. 23 2.1 CENNI STORICI SUL BIOGAS…………………………………………………..pag. 23 2.1.1 LE SCOPERTE…………………………………………...………………...pag. 23 2.2 IL PROCESSO DELLA FERMENTAZIONE……………………………………..pag. 24 2.2.1 LE DIFFERENTI FASI DELLA FERMENTAZIONE……………………....pag. 24
2.2.2 LE PRIME TRASFORMAZIONI (BIODEGRADABILI)………………..…..pag. 25 2.2.3 LA CONVERSIONE DEL METANO………………………………………..pag. 26 2.2.4 IL CONTROLLO DELLA FERMENTAZIONE……………………………..pag. 28 2.2.5 LA PRESENZA DEI BATTERI METANOGENI…………………………....pag. 33 2.3 CARATTERISTICHE DELLA MATERIA PRIMA………………………………..pag. 35 2.3.1 CONTROLLI DA EFFETTUARE SU UN LIQUAME DA DESTINARE A TRATTAMENTO ANAEROBICO…………………………………………..pag. 36 2.4 L’AVVENTO DELLE BIOMASSE PER LA PRODUZIONE DI BIOGAS………..pag. 40 2.4.1 INTRODUZIONE…………………………………………………………...pag. 40 2.4.2 ANALISI DELLE BIOMASSE……………………………………………....pag. 41 2.5 PROGETTO DI MASSIMA DI UN DIGESTORE ANAEROBICO…………….....pag. 44 2.6 LA COMPOSIZIONE DEL BIOGAS……………………………………………..pag. 46 2.6.1 CARATTERISTICHE CHIMICO-FISICHE DEI PRINCIPALI GAS……....pag. 46 2.6.2 LA DEPURAZIONE DEL BIOGAS………………………………………...pag. 50 2.7 I LIMITI E I PROBLEMI DEI COGENERATORI A BIOGAS…………………...pag. 52 3 LO SPANDIMENTO DEI FANGHI STABILIZZATI…………………..………....pag. 55 4 IMPIANTI DI DIGESTIONE ANAEROBICA…………..………………………...pag. 61 4.1 LA SITUAZIONE IN EUROPA…………………………………………………...pag. 61 4.2 LA SITUAZIONE IN ITALIA……………………………………………………...pag. 62
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4.3 PREMESSA PER GLI IMPIANTI VISIONATI………………………………….....pag. 63 4.4 IMPIANTO ADOTTATO NELL’AZ. AGRICOLA “S.EUROSIA”………………..pag. 64 4.4.1 CERTIFICAZIONI DI CUI E’ DOTATA…………………………………...pag. 65 4.4.2 TIPOLOGIA DI ALLEVAMENTO……………………………………….....pag. 68 4.4.3 COMMENTO DEI DATI DI PRODUZIONE…………………………….....pag. 73 4.4.4 SCHEMA DELL’ IMPIANTO………………………………..……………..pag. 79 4.4.5 STIMA DELLE PRODUZIONI TEORICHE PRESENTATE DAI PROGETTISTI DELL’IMPIANTO…………………………………………………………..pag. 85 4.4.6 POSSIBILE PRODUZIONE DA BIOMASSA………………..……………..pag. 89 4.4.7 STIMA DELLE PRODUZIONI TEORICHE DI BIOGAS ED ENERGIA ELETTRICA………………………………………………………………...pag. 91 4.4.8 LA CESSIONE DELL’ ENERGIA ELETTRICA…………………………....pag. 94 4.4.9 PREVISIONI PER IL FUTURO………………………………………….....pag. 96 4.5 IMPIANTO ADOTTATO NELL’AZ. AGRICOLA “LE BRUGNOLE”...…….......pag. 97 4.5.1 RILASCIO DELL’AUTORIZZAZIONE ALLO SPANDIMENTO L.R. 37/93 (P.U.A)……………………………………………………………………...pag. 98 4.5.2 TIPOLOGIA DI ALLEVAMENTO……………………………………….....pag. 98 4.5.3 SCHEMA DELL’IMPIANTO………………………………………….…....pag. 99 4.5.4 PROBLEMATICHE RISCONTRATE NELL’IMPIANTO………………....pag. 104 4.5.5 PRODUZIONI REALI DI ENERGIA ELETTRICA…………………….....pag. 106 4.5.6 IL PROBLEMA DELLA CESSIONE DELL’ ENERGIA ELETTRICA….....pag. 112 5 CONCLUSIONI…………….……………….……………………………………...pag. 113 5.1 CONFRONTO TRA LE PRODUZIONI AZIENDALI…………………………...pag. 113 5.2 OSSERVAZIONI GENERALI…………………………………………………....pag. 115 BIBLIOGRAFIA………..……………………………………………………………..pag. 117 RINGRAZIAMENTI………..………………………………………………………...pag. 119
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INTRODUZIONE
Da vari anni le iniziative volte alla produzione e al recupero energetico, hanno indirizzato il
proprio interesse verso le fonti rinnovabili. Diverse sono le metodologie sperimentate, da
quella eolica a quella solare, a quella geotermica. Nessuna di esse però ha fino ad ora trovato
ampia diffusione, tanto che il petrolio rappresenta ancora la riserva energetica maggiormente
utilizzata al mondo. Ciò, senza tenere in dovuta considerazione che, oltre ad essere il maggior
responsabile della produzione di gas serra, questa risorsa prima o poi andrà ad esaurirsi.
Lo stage che abbiamo svolto presso il dipartimento dell’Agenzia Regionale per la Protezione
dell’Ambiente (ARPA) della provincia di Cremona, è stato distribuito su un arco di 4 mesi, da
novembre 2003 a febbraio 2004. Il tema del nostro lavoro è stato lo studio della produzione
energetica da una particolare fonte rinnovabile, il biogas frutto della digestione anaerobica di
reflui zootecnici. Questa risorsa è utilizzata da una ventina d’anni con risultati altalenanti e
non ancora ben chiari su quello che realmente essa può dare. Negli ultimi anni però tale
settore si sta sempre più affacciando al mercato dell’energia, dopo un periodo di abbandono
dovuto a diversi insuccessi.
Il progetto affrontato ci è stato proposto da ARPA, che sente la necessità di approfondire
questo argomento in quanto organo tecnico di raccordo tra Comuni, Province, Regione e
imprese, per quanto riguarda le materie di tipo ambientale. Un progetto del dipartimento di
Cremona consiste sia nell’informare i vari soggetti sulle diverse possibilità di sviluppo
riguardante le nuove tecnologie, sia portare le aziende zootecniche della provincia di
Cremona su alti livelli di qualità ambientale.
La relazione è costituita da una prima parte riguardante un elenco delle norme da rispettare
per una corretta costruzione, manutenzione e controllo di un impianto di digestione
anaerobica, affiancate dalle autorizzazioni di cui si deve essere in possesso. Inoltre sono
evidenziate le possibilità di incentivazione fornite da enti pubblici e privati e le varie
opportunità di ricevere remunerazioni “extra” grazie a Certificati Verdi e Certificati Bianchi.
In seguito si passa alla spiegazione del processo di digestione anaerobica prevalentemente
basato sui reflui di tipo suinicolo. Diciamo “prevalentemente” perché, oltre a questi reflui, è
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possibile aggiungere altre sostanze che possono incrementare notevolmente le produzioni di
biogas e quindi di energia pulita. Queste sostanze, che possiamo chiamare “di aiuto” alla
produzione, analizzate in seguito, possono essere costituite dalle cosiddette biomasse, come
ad esempio sfalci di prato, scarti di barbabietole da zucchero e allo stesso insilato di mais
utilizzato per l’allevamento zootecnico. Si può anche ricorrere a coltivazioni destinate al solo
scopo di produrre biogas come può essere il sorgo.
Presentiamo quindi la situazione in Italia e all’estero. Nel nostro Paese per favorire il processo
di digestione anaerobica, la legge stabilisce che ci si debba fermare all’aggiunta di biomasse.
Diversamente avviene in altri Paesi europei, come ad esempio Germania ed Ungheria, dove,
oltre alle biomasse, si è già sperimentata con notevoli successi l’aggiunta di carne da scarto di
macello.
Inoltre, per avere un contatto diretto con questa realtà, ci siamo rivolti a due aziende agricole
della provincia di Cremona che hanno investito sulla produzione di energia elettrica tramite
digestione anaerobica. Di esse abbiamo analizzato le scelte tecnologiche e studiato le
produzioni realizzate o in previsione. Ci è stato concesso di far loro visita con la massima
disponibilità, oltre a fornirci i dati di interesse, ci hanno informati sulle loro esperienze
relative alla costruzione dell’impianto, alle problematiche affrontate, anche riguardo gli
investimenti fatti. Abbiamo scelto queste aziende in base alle diverse tecnologie adottate.
Nella prima, denominata “Le Brugnole”, nel 2002 è stato costruito un digestore entrato in
pieno esercizio solamente nel novembre 2003. Esso è stato progettato con caratteristiche di
tipo “semplificato ed economico”, ma con produzioni notevoli di biogas a fronte di un costo
di impianto conveniente. La seconda azienda agricola da noi visionata, denominata “S.
Eurosia”, rappresenta il futuro più prossimo di questo settore grazie alla costruzione di un
digestore anaerobico a più stadi, progettato per utilizzare anche biomasse. Questo impianto è
all’avanguardia in ogni sua caratteristica. Esso dovrebbe avere una capacità di produzione
notevolmente superiore alle altre tipologie di impianto, con conseguenti costi di impianto
maggiori, ma anche rendimenti e guadagni superiori.
L’elaborato si conclude con un confronto tra le due soluzioni tecnologiche da noi affrontate,
sia da un punto di vista impiantistico che di produzione, seguito da considerazioni legate alle
situazioni più idonee per optare sull’una o sull’altra tipologia.
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1 - QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO
1.1 A NORMATIVA RIGUARDANTE GLI IMPIANTI DI DIGESTIONE
ANAEROBICA
1.1.1 Norme ambientali
La tutela delle acque
- Direttiva 91/676/CEE. Relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento
provocato da nitrati provenienti da attività agricole. La stessa direttiva impone agli
Stati membri di individuare le zone vulnerabili, e di progettare e di attuare, in tali
porzioni di territorio, i necessari programmi d’azione per ridurre l’inquinamento idrico
provocato dai composti azotati.
- Decreto Legislativo 152/99. Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e
recepimento della Direttiva 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue
urbane, e della Direttiva 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque
dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole.
- Decreto Legislativo 258/00. Disposizioni correttive e integrative del Decreto
Legislativo 11 maggio 1999 n°152 in materia di tutela delle acque dall’inquinamento,
a norma dell’articolo 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998, n°128.
- Legge 5 gennaio 1994 n°36. Disposizioni in materia di risorse idriche. I punti di
principale interesse si ravvisano laddove è previsto l’obbiettivo di risparmio idrico
mediante la diffusione, nei settori industriale e agricolo, di opportuni metodi e
apparecchiature. Affinché le Regioni adottino programmi per l’attuazione del
risparmio idrico, sono previsti incentivi e agevolazioni per le imprese interessate a
impianti di riuso e di riciclo o che utilizzano acque reflue trattate. Ai fini
dell’attuazione del disposto di legge, pertanto, si possono configurare come forme di
riutilizzo anche i reflui suinicoli all’interno degli allevamenti, mediante ricircolo di
frazioni chiarificate per l’allontanamento delle deiezioni, seguito dal riuso a fini irrigui
di reflui zootecnici depurati.
- Legge 5 gennaio 1994 n°37. Norme per la tutela dell’ambiente delle aree demaniali
dei fiumi, dei torrenti, dei laghi e delle altre acque pubbliche. Il diritto di prelazione su
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tali aree non può essere esercitato dai soggetti frontisti (proprietari, usufruttuari
rivieraschi di corsi d’acqua) per i terreni richiesti in concessione da amministrazioni o
parchi, o interventi di tutela ambientale. Tale diritto può essere invece esercitato dai
soggetti titolari di programmi di cui ai regolamenti UE 2078/92 e 2080/92. Si ricorda
tuttavia che nelle aree limitrofe ai corsi d’acqua le legislazioni regionali prevedono in
genere il divieto dell’impiego di liquami zootecnici.
Utilizzo fanghi di depurazione in agricoltura
- Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n°99. Il provvedimento riguarda la protezione
dell’ ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in
agricoltura.Ad esso devono attenersi coloro i quali utilizzano i fanghi derivanti da un
processo di depurazione dei reflui zootecnici (allevatori o agricoltori cui vengono
conferiti i fanghi). Ai fini dello spandimento sul suolo dei fanghi di depurazione, il
soggetto utilizzatore deve ottenere l’autorizzazione dalla Regione e comunicare con
almeno dieci giorni di anticipo l’inizio delle attività alla Regione, alla Provincia, al
Comune nel quale si trovano i terreni.
- Decreto Legislativo 5 febbraio 1997 n°22 artt. n°31-33. Attuazione delle Direttive
91/156/CE sui rifiuti, 91/689/CE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e
sui rifiuti da imballaggio.
Inquinamento atmosferico
- Decreto del Presidente della Repubblica 203/88 e atti successivi. Norme in materia di
qualità dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti e di inquinamento prodotto
dagli impianti industriali. Dato che il DPR 203/88 riguarda “tutti gli impianti che
possono dar luogo ad emissioni in atmosfera”. La definizione di impianto che viene
data (“stabilimento o impianto fisso che serva per usi industriali o di pubblica utilità”)
potendo risultare non chiara, ha reso opportuno apportare definizioni più nette, al fine
di non far ritenere gli insediamenti zootecnici e le loro pertinenze esclusi dagli
obblighi dettati. Quindi con il DM 20 maggio 1991 vengono stabiliti i criteri per
l’elaborazione dei piani regionali per il risanamento e la tutela della qualità dell’aria,
fra le varie indicazioni metodologiche finalizzate alla definizione di criteri omogenei
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per la predisposizione di un nuovo inventario delle emissioni. Allegata ad esso è
fornita una tabella esemplificativa riportante un elenco di attività che producono
emissioni in atmosfera, fra le quali compaiono gli allevamenti zootecnici. Il decreto ha
pertanto finalità di pianificazione e non di fissazione di limiti.
- Deliberazione Giunta Regionale 19/01 n°VII-6501. Zonizzazione del territorio
regionale per il conseguimento degli obiettivi di qualità dell’aria, ambiente,
ottimizzazione e razionalizzazione della rete di monitoraggio, relativamente al
controllo dell’inquinamento da PM10. Sono fissati i limiti di emissione degli impianti
di produzione energia e il piano d’azione per il contenimento e la prevenzione degli
episodi acuti di inquinamento atmosferico.
1.1.2 Norme riguardanti la produzione di energia
- Legge 29 maggio 1982 n°308. Norme sul contenimento dei consumi energetici, lo
sviluppo delle fonti rinnovabili di energia e l’esercizio di centrali elettriche alimentate
con combustibili diversi dagli idrocarburi.
Legge energetica di incentivo
- Legge 9 gennaio 1991, n°10. Norme per l’attuazione del piano energetico nazionale
in materia di uso razionale dell’ energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle
fonti rinnovabili di energia (incentivo con un massimo 55% per i singoli e 65% per le
cooperative).
Leggi sull’autoproduzione di energia elettrica
- Legge 9 gennaio 1991, n°9. Norme per l’attuazione del nuovo piano energetico
nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e
geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali. Tutta la produzione di energia
elettrica che eccede l’eventuale quota consumata dallo stesso produttore dovrà
essere ceduta all'Enel. L'eccedenza di energia elettrica prodotta dagli impianti è
ceduta all'Enel e alle imprese produttrici e distributrici. I prezzi relativi alla cessione,
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alla produzione per conto dell'Enel, al vettoriamento ed i parametri relativi allo
scambio vengono definiti dal CIP entro centottanta giorni (…) ed aggiornati con
cadenza almeno biennale, assicurando prezzi e parametri incentivanti nel caso di
nuova produzione di energia elettrica ottenuta da fonti energetiche di cui al comma
1. Nel caso di impianti che utilizzano fonti energetiche assimilate a quelle
rinnovabili, il CIP definisce altresì le condizioni tecniche generali per l'assimilabilità.
- Provvedimento CIP n°6 del 29 aprile 1992. Prezzi dell’energia elettrica per conto
dell’ ENEL.
- Decreto Ministeriale 23 gennaio 1982. Modalità per la presentazione della denuncia,
per la determinazione del canone di abbonamento e per il rilascio del diritto di licenza,
relativa agli impianti di autoproduzione combinata di energia elettrica e calore.
- Direttiva 2001/77/CE. Promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità.
- DL 29 dicembre 2003. Attuazione della Direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione
dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno
dell’elettricità.
1.1.3 Tabella delle concessioni e autorizzazioni Lo scopo della scheda (Tab.1.1) riportata qui di seguito è quello di elencare le pratiche
necessarie, e i canali di reperimento, di finanziamenti per la realizzazione di una impianto di
biogas e di cogenerazione in un allevamento suinicolo. Il titolare di un impianto di biogas
dovrà ottemperare alle leggi e alle normative relative allo scarico dei liquami prodotti, sul
suolo o nelle acque.
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Tab.1.1 – Concessioni e autorizzazioni necessarie alla realizzazione di un impianto di biogas. Ente quale rivolgersi
Adempimento Oggetto dell’adempimento
Tempo necessario
(mesi)
Esito Note
COMUNE domanda Nuovo edificio o aumento
volumetria
2- 24 Rilascio del permesso di
costruire
DIA
REGIONE domanda Contributo in conto capitale (art. 8 e
10 L.10/91)
12 - 24 Provvedimento Regionale
Riferirsi alle leggi regionali
Min. Industria domanda Contributo in conto capitale (art. 8 e
12 L.10/91)
12 - 24 Decreto Min. Industria
L’esito della domanda è reso noto:entro 6 mesi (art. 12)entro 7 mesi (art. 11)
Denuncia
Nuovo impianto in pressione (D. lgs 30.6.82 n 390)
--- Certificato di omologazione
Denuncia Protezione contro scariche
atmosferiche
--- Certificato di omologazione
ISPESL
Denuncia Impianti di messa a terra (DM
15.10.93 n 519)
--- Certificato di omologazione
Solo nel caso di produzione di
vapore
Domanda Esame del progetto
1 - 2 Approvazione del progetto
VIGILI DEL FUOCO
Domanda Certificato prevenzione
incendi
1 - 2 Rilascio del certificato
---
Regione Min. Ambiente Sindaco
Domanda Inquinamento atmosferico
(DPR 203/88) e dgr 19/01
3 - 6 Provvedimento Regionale
Obbligo della fiaccola per gli
eccessi di biogas
--- --- Inquinamento acustico 447 LR
--- ---
MICA ENEL UTIF
Comunicazione +
dichiarazione giurata
Cogenerazione da fonte rinnovabile
(art. 22 L. 9/91;Del CIP 6/92, titolo II)
--- --- Dichiarazione giurata al MICA e alla CCSE di non
fruire di altri contributi
MICA ENEL UTIF
Comunicazione +
dichiarazione giurata
Cogenerazione da fonte rinnovabile
(art. 22 L. 9/91;Del CIP 6/92, titolo I)
2 Ministero Industria
determina indice
energetico Ien
Nel caso di assimilabilita è necessaria una dichiarazione
giurata al MICA. MICA comunica Ien a impresa e a
CCSE ENEL Allacciamento
Relazione Convenzione preliminare
Altri adempimenti
Cessione di energia elettrica
6 - 12 Stipula convenzione tra ENEL e
azienda richiedente
Stipula di altri contratti specifici. Altre pratiche c/o CIP Min industria
per prezzo di cessione
(eventuali) UTIF Denuncia Officina elettrica --- Compilazione
del verbale di verificazione
La licenza deve essere rinnovata ogni anno. Sono esenti gli impianti
con potenza elettrica <20KW
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1.2 PREMESSA A CERTIFICATI VERDI E CERTIFICATI BIANCHI
Il titolare di un’azienda zootecnica che voglia realizzare un impianto per la produzione di
biogas, deve avere innanzitutto le idee ben chiare per quanto riguarda la meta finale da
conseguire per non investire in un progetto inutile. Questa meta deve essere valutata tramite le
previsioni di tecnici progettisti in modo da poter decidere come utilizzare l’energia prodotta
fra tre possibilità: uso interno all’azienda, rivendita di tutta l’elettricità al gestore della rete,
consumo di parte dell’energia per l’azienda e vendita dell’esubero (quest’ultima soluzione
prende il nome di isola).
Nel caso in cui il proprietario voglia convogliare in rete, interamente o in parte, l’energia
prodotta dall’azienda, egli può ricavare introiti grazie alla vendita della stessa. Ciò può essere
ottenuto mediante il riconoscimento di Certificati Verdi e Certificati Bianchi da parte dal
Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN) per i primi e da parte dell’Autorità per
l'Energia Elettrica ed il Gas (AEEG) per i secondi.
Il Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN) è una società per azioni, istituita con
il decreto legislativo 79/99 del 16 marzo 1999 ed operativa dal 1° aprile del 2000 (D.M. 21
gennaio 2000), sorta nell'ambito della riorganizzazione del sistema elettrico. Le azioni della
società sono detenute dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, il quale esercita i diritti
dell’azionista d’intesa con il Ministero delle Attività Produttive, che ne definisce anche gli
indirizzi strategici ed operativi.
L’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (AEEG), è un’autorità indipendente, istituita con la
legge n°481 del 14 novembre 1995, con funzioni di regolazione e di controllo dei servizi
pubblici nei settori dell’energia elettrica e del gas, beni considerati di pubblica utilità e
l’accesso ai quali deve essere garantito a tutti gli utenti in condizioni non discriminatorie.
Queste due tipologie di certificati hanno parecchie caratteristiche in comune. L’aspetto
fondamentale comunque è che entrambi sono titoli creati per il libero mercato dell’energia
con l’obbiettivo di risparmio energetico e riduzione dei gas serra. La differenza sostanziale,
che deve essere sottolineata tra esse è che i Certificati Verdi si riferiscono all’energia ottenuta
da fonte rinnovabile, mentre i Certificati Bianchi si rivolgono all’energia risparmiata
mediante nuove tecnologie e accorgimenti tecnici.
Le nuove Leggi, specificate in seguito, obbligano i produttori/importatori che distribuiscono
energia elettrica nella rete nazionale a introdurre annualmente nella rete stessa una certa
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percentuale di energia proveniente da fonte rinnovabile e contemporaneamente di garantire
un’ulteriore percentuale di energia risparmiata sul totale di quella immessa. Queste due forme
di recupero energetico sono appunto legate alle due certificazioni citate in precedenza.
Con la privatizzazione della distribuzione dell’energia elettrica (inizialmente esclusiva
dell’ENEL) il proprietario che ha intenzione di immettere energia in rete, non si trova più di
fronte alla necessità di accettare il pagamento dell’energia stabilito da un unico Ente, ma ha la
possibilità, sia per i Certificati Verdi che per i Certificati Bianchi, di accedere a un vero e
proprio mercato, in cui la domanda dei vari distributori di energia si incontra con l’offerta dei
proprietari degli impianti. I pagamenti di entrambe queste Certificazioni varia a seconda del
distributore. In tal modo si viene a creare una libera concorrenza che permetterà ai proprietari
di scegliere chi pagherà maggiormente e/o offrirà maggiori garanzie e servizi, al fine di
ammortizzare le spese dell’impianto in tempi più brevi.
1.3 CERTIFICATI VERDI
Il concetto di Certificato Verde (abbreviato “CV”) è stato introdotto per la prima volta nella
legislazione italiana dal Decreto 11 novembre 1999, direttive per l'attuazione delle norme in
materia di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 11 del
Decreto Legislativo 16 marzo 1999 n°79. Quest’ultimo, noto come Decreto “Bersani”
(dall’allora Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato), è l’attuazione in Italia
della Direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica.
Il Decreto “Bersani” stabilisce l’obiettivo di incentivare (art.11, D.Lgs. 16 marzo 1999) l'uso
delle energie rinnovabili, il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni di anidride
carbonica e l'utilizzo delle risorse energetiche nazionali. A tal fine, a decorrere dall'anno
2001, gli importatori e i soggetti responsabili degli impianti che, in ciascun anno, importano
e/o producono energia elettrica da fonti non rinnovabili, hanno l'obbligo di immettere nel
sistema elettrico nazionale, nell'anno successivo, una quota di energia da fonte rinnovabile
pari al 2% dell’energia non rinnovabile importata e/o prodotta eccedente i 100 GWh nell’anno
di riferimento. Questi 100 GWh annuali sono un franco che esonera i piccoli produttori di
energia elettrica dall’obbligo sopra citato.
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Gli operatori soggetti possono adempiere all’obbligo di immissione di energia rinnovabile nel
sistema elettrico attraverso diverse modalità:
• producendo direttamente energia da fonte rinnovabile;
• acquistando un numero corrispondente di Certificati Verdi dal Gestore della Rete di
Trasmissione Nazionale (abbreviato GRTN);
• acquistando un numero corrispondente di Certificati Verdi da altri produttori mediante
contratti bilaterali o contrattazioni sul mercato elettrico.
I Certificati Verdi (art.5, D. 11 novembre 1999) sono titoli annuali attribuiti all’energia
elettrica prodotta da fonti rinnovabili utilizzando impianti entrati in esercizio dopo il 1 aprile
1999. Tali impianti potranno richiederli solo per i primi 8 anni di piena produzione.
I CV hanno un valore pari o multiplo di 100 MWh (0,1 GWh) e sono emessi dal gestore della
rete su comunicazione del produttore, in base alla produzione da fonte rinnovabile dell'anno
precedente. Tale domanda dovrà essere accompagnata da una copia della dichiarazione di
produzione di energia elettrica presentata all'Ufficio tecnico di finanza.
Il compito dei Certificati Verdi è quindi quello di incentivare la produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili mediante titoli negoziabili sul mercato elettrico, emessi e
verificati dal Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale.
Il loro rilascio deve essere preceduto da un controllo (art.7, D. 11 novembre 1999), da parte
del gestore della rete, atto ad accertare che gli impianti, in esercizio o in costruzione,
producano effettivamente energia da fonti rinnovabili. Inoltre dovrà essere verificata anche
l’attendibilità dei dati di produzione forniti.
Per gli impianti di nuova realizzazione insorge il problema di non avere dati di produzione a
disposizione. E’ necessario in tal caso attendere almeno un anno in modo da poter arrivare a
regime ed ottenere l’andamento della produzione di energia al variare delle stagioni. Si
potrebbe aggiungere che nella verifica della soglia minima di produzione (verificare se si va
al di sotto di un certo valore) se i dati dell’inverno, periodo più critico per la produzione di
biogas, non presentano punti critici o discontinuità elevate, la presentazione dei risultati
invernali potrebbe già essere sufficiente. Se invece si vuole avere a disposizione una visione
d’insieme, risulta necessaria la presentazione annuale, come minimo.
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Una volta superata la fase di accertamento e ottenuto il riconoscimento di idoneità
dell’impianto da parte del GRTN, il titolare dell’impianto potrà richiedere, sempre al GRTN,
l’emissione dei Certificati. La richiesta dei Certificati Verdi può essere di due tipi:
• richiesta a consuntivo: il titolare richiede al GRTN l’emissione dei Certificati Verdi
relativi alla produzione di energia elettrica verde nell’anno precedente;
• richiesta a preventivo: il titolare richiede al Gestore l’emissione di Certificati Verdi
relativi all’anno in corso o per il successivo su un quantitativo di energia
elettrica verde ancora da produrre, in base ad una produttività attesa.
Esiste la possibilità che l'impianto, per qualsiasi motivo, non produca effettivamente energia
in quantità pari o superiore al certificato. In tal caso il gestore della rete compensa la
differenza trattenendo Certificati Verdi di competenza del medesimo produttore relativi ad
eventuali altri impianti nel corso dello stesso anno. In mancanza di Certificati per l'anno di
riferimento, la compensazione può essere fatta anche per i due anni successivi.
Nel mercato dei Certificati Verdi, la domanda è costituita dalla quantità di energia da fonti
rinnovabili che i produttori e importatori sono obbligati a immettere annualmente in rete (pari
al 2% di quanto prodotto e/o importato da fonti convenzionali nell’anno precedente).
L’offerta , invece, è rappresentata sia dai Certificati Verdi emessi a favore di impianti privati
che hanno ottenuto la qualificazione dal Gestore della rete sia dai Certificati Verdi che il
GRTN stesso emette a proprio favore a fronte dell’energia prodotta dagli impianti in CIP
6/92. Su questi ultimi è d’obbligo una piccola digressione.
Prima dell’entrata in vigore dei Certificati Verdi, l’incentivazione dell’energia elettrica da
fonti rinnovabili era gestita mediante la CIP 6/92, abbreviazione del Provvedimento n°6 del
1992. La differenza sostanziale tra queste due forme di incentivi consiste nel fatto che i CIP
6/92 venivano assegnati solo in seguito a specifiche autorizzazioni e graduatorie, mentre i
Certificati Verdi sono rilasciati a chiunque ne faccia regolare domanda un volta che il GRTN
abbia verificato i requisiti richiesti dalla legge. Gli impianti ammessi nelle graduatorie del
CIP 6/92 non riceveranno i Certificati Verdi corrispondenti che saranno invece attribuiti al
Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN).
Il prezzo dei CV è determinato in funzione dell’incontro tra domanda e offerta (art.6, D. 11
novembre 1999). Per quanto riguarda i Certificati legati ad impianti in CIP 6/92, i Certificati
13
Verdi corrispondenti verranno immessi sul mercato dal GRTN che fisserà il loro valore in
base alla media delle quote di incentivo riconosciute, nel corso dell’anno precedente, ai
progetti in CIP 6/92.
Il prezzo di offerta dei Certificati Verdi 2002 del GRTN è stato pari a:
84,18 € / MWh al netto d’IVA (101,016 € IVA inclusa) pari a 8.418 € per Certificato Verde
L’obbligo di introdurre un esiguo 2% di energia da fonti rinnovabili, sembrerebbe solo un
compromesso per dimostrare sulla carta di aver rispettato l’impegno contratto attraverso il
Protocollo di Kyoto. Se proviamo invece a quantificare tale percentuale notiamo che l’energia
introdotta è di una certa consistenza. Ciò è facilmente verificabile grazie al fatto che il GRTN
ha registrato che nel corso del 2001 la produzione e l’importazione di energia da fonti non
rinnovabili autocertificata è stata di 167.565 GWh. Dato che l’obbligo di introdurre il 2% di
energia da fonti rinnovabili è riferito all’anno successivo (in questo caso il 2002) allora
ricaviamo che sarà necessario introdurre in rete un totale di circa 3.300 GWh nel corso del
2002. Il valore della domanda dei produttori/importatori, pari quindi a circa 3.300 GWh, non
è completamente bilanciata dall’offerta, stimata in circa 1.200 GWh. La domanda residuale di
conseguenza ammonta a 2.100 GWh corrispondenti a 21.000 Certificati Verdi che saranno
coperti dai Certificati Verdi emessi direttamente dal GRTN.
Deve essere sottolineato che questi obblighi sono entrati in vigore in modo effettivo solo dal
2001 e in questi ambiti risulta necessario avanzare a passi brevi, ma decisi. Questo giustifica
il fatto di fornire una percentuale obbligatoria “bassa” (attualmente del 2%), ma con la
certezza che nei prossimi anni essa sarà gradualmente aumentata per arrivare ad ottenere una
quantità di energia da fonti rinnovabili tale da poter coprire una porzione considerevole
rispetto a quella totale presente in rete. Di conferma è la previsione per il 2004 in cui si
prevede di innalzare la soglia al 2,25%.
Riportiamo qui di seguito una serie di tabelle estratte dal Bollettino Annuale 2002 emesso dal
GNTR. In esse sono riportate:
• in termini percentuali la provenienza e l’entità dell’energia distribuita nella rete
nazionale (Fig.1.2);
• gli impianti riconosciuti dal GRTN in esercizio e in progetto (Fig.1.3);
14
• la producibilità degli impianti in esercizio e in progetto (Fig.1.4).
Come si può osservare dai grafici sotto riportati (Fig.1.2), quasi l’87% del totale di energia
autocertificata è stata dichiarata dai Produttori, mentre gli Importatori, che rappresentano per
numero la categoria prevalente (53%), hanno complessivamente dichiarato una quota di circa il
13%. Una residua quota, inferiore all’unità, è stata indicata dai Produttori-Importatori..
Fig.1.2 – Provenienza ed entità dell’energia distribuita nella rete nazionale (fonte GRTN).
15
Fig.1.3 – Impianti riconosciuti dal GRTN in esercizio e in progetto (fonte GRTN).
16
Fig.1.4 – Producibilità degli impianti in esercizio e in progetto (fonte GRTN).
17
Le figure 1.3 e 1.4 non specificano se la produzione di energia da biogas avvenga da
digestione di reflui o da discariche. Spicca comunque che essa ricopre circa un quarto del
totale degli impianti che utilizzano fonti rinnovabili, con un ulteriore aumento a fronte degli
impianti in progetto.
Un valore inaspettato forse è dato dal fatto che pur contando solo il 22% degli impianti
qualificati in esercizio, la produzione di energia da biogas raggiunge quasi il 42% di quella
totale realizzata. Una tendenza simile è registrata anche per l’energia eolica su cui, come si
può vedere, si stanno affrontando i maggiori investimenti per la produzione futura (83,1%).
Un’inversione di tendenza si sta verificando per gli impianti idrici che pur rappresentando la
famiglia principale nella tipologia impiantistica in esercizio (66,5%), hanno una produzione
inferiore a quella proveniente da biogas (32,6%).
18
1.4 CERTIFICATI BIANCHI
Tra gli obbiettivi della Direttiva 96/92/CE, concernente norme comuni per il mercato interno
dell'energia elettrica, e di conseguenza per l’Italia del Decreto Legislativo 16 marzo 1999
n°79, attuazione della Direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno
dell'energia elettrica, noto come Decreto “Bersani”, oltre all’incentivazione all'uso delle
energie rinnovabili, è previsto anche il perseguimento del risparmio energetico. Per tale
motivo, a fianco dei Certificati Verdi, sono stati introdotti anche i Certificati Bianchi
(abbreviato “CB”). Per avviare questo tipo di certificazione, la Commissione europea si è
ispirata al sistema britannico per l’appunto dei "Certificati Bianchi", che funziona dal 1995,
sulla promozione dell'uso efficace dell'energia.
In Italia, i CB sono “Titoli di efficienza energetica” introdotti dal Decreto 24 aprile 2001,
efficienza e risparmio energetico negli usi finali (attuazione del Decreto “Bersani”). Il
Decreto del 24 aprile 2001 è composto da due Decreti “gemelli”, uno riferito al gas naturale e
l’altro all’energia elettrica.
Il motivo dell’introduzione dei Certificati Bianchi, risiede nell’intento di riuscire a
risparmiare a livello nazionale, e di conseguenza a livello comunitario, una determinata
quantità di energia. Sono stati definiti (art.3), sia per il gas naturale che per l’energia elettrica,
gli obbiettivi quantitativi nazionali di incremento dell’efficienza energetica, perseguiti
attraverso misure e interventi che comportano una riduzione dei consumi di energia primaria
secondo quantità minime e cadenze contenute nella seguente tabella (Tab.1.5).
Tab 1.5 – Obiettivi nazionali annuali di risparmio energetico
per i distributori di gas naturale per i distributori di energia elettrica
a) 0,10 Mtep/a, da conseguire nell'anno 2002 a) 0,10 Mtep/a, da conseguire nell'anno 2002
b) 0,40 Mtep/a, da conseguire nell'anno 2003 b) 0,50 Mtep/a, da conseguire nell'anno 2003
c) 0,70 Mtep/a, da conseguire nell'anno 2004 c) 0,90 Mtep/a, da conseguire nell'anno 2004
d) 1,00 Mtep/a, da conseguire nell'anno 2005 d) 1,20 Mtep/a, da conseguire nell'anno 2005
e) 1,30 Mtep/a, da conseguire nell'anno 2006 e) 1,60 Mtep/a, da conseguire nell'anno 2006
19
Per gli anni successivi al 2006, le soglie minime e le cadenze saranno fissate tramite
successivi decreti. Viene riportata inoltre (art.2) la conversione dei kWh in tep (Tonnellate
Equivalenti di Petrolio) effettuata utilizzando l'equivalenza 1 kWh = 0,22 x 10-3 tep, lasciando
all'Autorità per l'energia elettrica e il gas, a partire dall’anno 2003, il compito di aggiornare
eventualmente il fattore di conversione dei kWh in tep, sulla base dei miglioramenti di
efficienza conseguibili nelle tecnologie di generazione termoelettrica, al fine di promuovere
l'efficienza e la concorrenza.
Per raggiungere gli obbiettivi di risparmio energetico, lo Stato non può agire direttamente sul
consumatore finale, ma deve rivolgersi a coloro che distribuiscono l’energia in rete.
E’ stato fissato quindi l’obbligo (art.4) per i distributori di energia elettrica e gas naturale, con
bacini di utenza superiori ai 100.000 clienti finali alla data del 31 dicembre 2001, di effettuare
interventi di installazione di tecnologie per l’uso efficiente dell’energia presso gli utenti finali,
in modo da ottenere un prefissato risparmio di energia primaria nei cinque anni successivi al
Decreto (quinquennio inizio 2002 – fine 2006). Ogni singolo distributore deve provvedere a
coprire una quota degli obiettivi annuali sopra citati. Tale quota è determinata dal rapporto tra
l'energia elettrica distribuita dal medesimo distributore ai clienti finali connessi alla propria
rete (e da esso autocertificata) e l'energia elettrica complessivamente distribuita sul territorio
nazionale, determinata e comunicata annualmente dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas,
entrambe conteggiate nell'anno antecedente.
Tenuto conto degli indirizzi di programmazione energetico-ambientale regionale e locale, le
imprese di distribuzione soggette agli obblighi di cui al presente decreto formulano il piano
annuale delle iniziative volte a conseguire il raggiungimento degli obiettivi specifici ad essi
assegnati e lo trasmettono alle regioni o province autonome interessate.Il mezzo attraverso il
quale i distributori possono adempiere tale obbligo, è dato proprio dai Certificati Bianchi. Essi
sono legati a progetti di risparmio energetico seguiti dai distributori stessi che possono agire
attraverso le seguenti modalità (art.8):
• intervenire direttamente;
• avvalersi di società controllate;
• tramite società terze operanti nel settore dei servizi energetici, comprese le imprese
artigiane e loro forme consortili.
20
In linea teorica sono ammissibili tutte le tecnologie che comportino un risparmio di energia,
ma i Decreti riportano delle tabelle (contenute nell’Allegato A dello stesso Decreto) in cui
sono indicate le tipologie tipiche relative ai settori industriale e civile.
Come detto, ogni società di distribuzione provvede a coprire annualmente la sua quota
mediante riduzioni dei consumi di energia conseguite nell'ambito di un determinato progetto.
I risparmi energetici annuali (art.4) concorrono a saldare la quantità richiesta dallo Stato per
un periodo massimo di cinque anni. Terminato quindi tale periodo, le future riduzioni ottenute
dal progetto, non potranno più essere conteggiate. I distributori hanno inoltre l’obbligo di
conseguire almeno il 50% delle riduzioni dei consumi previsti attraverso azioni relative alla
loro area di attività primaria.
Non sono ammissibili (art.5) i progetti orientati al miglioramento dell'efficienza energetica
relativi agli impianti di generazione di energia elettrica. Per venire incontro ai distributori è
stato stabilito che essi possano richiedere all'Autorità per l'energia elettrica e il gas di
verificare preliminarmente la conformità di specifici progetti alle disposizioni dettate dal
decreto e delle linee guida di cui al comma 5. In particolare, per le attività di formazione,
informazione, promozione e sensibilizzazione degli utenti finali può essere richiesta la
validazione dei risultati afferenti specificatamente a tali attività.
I costi sostenuti dai distributori per la realizzazione dei progetti, (art.9) possono trovare
copertura, per la parte non coperta da altre risorse, sulle tariffe di fornitura del mercato dei
clienti vincolati e sulle tariffe per l'accesso e l'uso della rete del mercato dei clienti idonei,
secondo criteri stabiliti dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Tali criteri tengono conto
anche degli eventuali incrementi o diminuzioni di profitto o di perdita economica connessi
alla maggiore o minore vendita di energia elettrica conseguente alla realizzazione dei progetti.
Entro il 31 maggio di ciascun anno a decorrere dal 2003 (art.11), i distributori trasmettono
all'Autorità per l'energia elettrica e il gas i titoli di efficienza energetica relativi all'anno
precedente, dandone comunicazione al Ministero dell'industria, del commercio e
dell'artigianato, al Ministero dell'ambiente e alla regione o provincia autonoma competente
per territorio. L'Autorità per l'energia elettrica e il gas verifica che ciascun distributore
possegga titoli corrispondenti all'obiettivo annuo calcolato per ciascuno di essi. Se tutto risulta
in regola, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas emette a favore del distributore titoli annuali
di efficienza energetica, di valore pari alla riduzione dei consumi certificata.
21
In caso di inottemperanza (art. 11), l'Autorità per l'energia elettrica e il gas applica sanzioni
proporzionali e comunque superiori all'entità degli investimenti necessari a compensare le
inadempienze. L'Autorità stessa comunicherà poi tale inadempienza ai vari Ministeri
interessati. I proventi delle sanzioni confluiscono nel Fondo di cui all'articolo 110 della legge
23 dicembre 2000, n. 388, e sono utilizzati per il finanziamento di campagne di promozione,
informazione e sensibilizzazione ai fini dell'uso razionale dell'energia.
Nel caso in cui (art.10) il distributore decida di saldare la sua quota acquistando Certificati
Bianchi da esterni, il gestore del mercato, nell'ambito della gestione economica del mercato
elettrico, organizza, entro il 1° gennaio 2002, una sede per la contrattazione dei titoli di
efficienza energetica e predispone le regole di funzionamento del mercato d'intesa con
l'Autorità per l'energia elettrica e il gas. I titoli di efficienza energetica sono oggetto di
contrattazione tra le parti anche al di fuori della sede stessa.
L'Autorità per l'energia elettrica e il gas predispone e pubblica annualmente un rapporto
sull'attività eseguita e predispone eventuali proposte sulle modalità di conseguimento degli
obiettivi, di realizzazione ed esecuzione dei progetti per gli anni successivi.
22
2 - ANALISI GENERALE DEL PROCESSO DI DIGESTIONE
ANAEROBICA
2.1 CENNI STORICI SUL BIOGAS
2.1.1 Le scoperte
Il “gas delle paludi” fu scoperto da Shirley nel 1667, ma senza dubbio era conosciuto molto
bene in tempi remoti per la sua presenza nella decomposizione naturale dei vegetali. Già nel
1630 Van Helmont citava, tra quindici gas diversi, un gas infiammabile prodotto dalla
putrefazione e presente nei gas intestinali.
Fu nel 1776 che Volta riconobbe il metano (o formene) per la prima volta nel gas delle paludi.
Priestley citò questo gas combustibile nelle sue Osservazioni su gas infiammabile del 1790 e
Dalton ne tentò la prima formulazione chimica nel 1804.
Nel 1808, il chimico inglese H. Davy, studiando la fermentazione di una miscela d’acqua e di
letame, raccolse più di un litro di un gas composto principalmente da anidride carbonica
(60%) e da gas ricchi in carbonio (metano, per lo più) e in azoto. Ma Davy non era interessato
all’energia potenziale di questo gas, bensì alla ricerca di prodotti fertilizzanti. Sessant’anni
dopo, nel 1868, Reiset, dell’Accademia delle Scienze, segnalava la presenza del metano nei
mucchi di letame.
Nel febbraio del 1884, L. Pasteur, presentando all’Accademia delle Scienze i lavori di un suo
allievo, Ulysse Gayon, concludeva che questo tipo di fermentazione poteva essere una fonte
di energia per il riscaldamento e l’illuminazione. Gayon, nel marzo e nell’aprile del 1883,
aveva infatti ottenuto, presso la Società di scienze fisiche e naturali di Bordeaux, la
fermentazione anaerobica di una miscela di acqua e di letame a 35°C, producendo 100 litri di
gas per metro cubo di materia prima. Secondo Gayon, dei microbi anaerobici attaccavano la
cellulosa trasformando il letame fresco in letame grasso. Lo stesso anno a Gayon era
pervenuta una richiesta, dalla Compagnie des omnibus, sulla possibile produzione di gas dal
letame dei numerosi cavalli di sua proprietà, ma lui aveva declinato l’offerta poiché le
ricerche non erano ancora concluse.
23
Schloesing, nel 1890, fece fermentare in un forno a 52°C del letame e, per azione dei batteri
termofili, raccolse 27 litri di gas per chilogrammo di letame; le sua esperienze furono
condotte tra i 50 e i 55°C di temperatura.
Nel 1894 Omelianskij cercò di attaccare della carta di un brodo di coltura inseminato con
stallatico o fango di palude. Dopo 4-5 settimane ottenne sviluppo di metano o di idrogeno e
concluse che esistevano di due diversi fermenti. Il fermento metanogeno è distrutto a 75°C e
la migliore temperatura di fermentazione risulta essere 37°C.
Dehérain e Dupont, nel 1889, analizzano il gas proveniente dai mucchi di letame della Scuola
di agricoltura di Grignon, trovarono un gas composto in parti uguali da metano e anidride
carbonica, e annotarono che questo gas si trovava nella parte alta del mucchio, là dove la
temperatura variava tra i 25 e i 35°C. (Lagrange, 1981)
2.2. IL PROCESSO DELLA FERMENTAZIONE
Nel corso della fermentazione anaerobica, la trasformazione della materia organica in prodotti
chimici differenti avviene mediante degradazioni successive da parte di numerose specie
batteriche, da cui i termini “metano biologico”, “biometano”, “biogas”.
2.2.1. Le differenti fasi della fermentazione
Nel processo di fermentazione metanica si distinguono principalmente due fasi, differenti tra
loro in modo essenziale. La prima fase consiste in una liquefazione o massificazione, durante
la quale si verifica la trasformazione delle molecole dei composti organici in acidi grassi, in
sali o in gas. La seconda fase è la trasformazione di questi grassi, sali e gas, da parte di altri
tipi di batteri, in metano e altri gas.
L’alto potere di reazione dei batteri può essere in parte spiegato dalle loro minuscole
dimensioni e quindi da una superficie esterna proporzionalmente molto elevata. Nell’uomo,
mediamente, la superficie dell’epidermide è di 0,16 m2/kg, mentre nei batteri è di 62,5 m2/kg,
vale a dire 400 volte maggiore. I batteri attivi sono presenti in concentrazioni da 1 a 10
24
milioni per millilitro (oppure per cm3) e in proporzioni uguali tra batteri metanogeni e no.
(Lagrange, 1981)
2.2.2. Le prime trasformazioni (biodegradabili)
La sostanza organica è costituita da molecole diverse, composte principalmente da carbonio,
idrogeno, ossigeno. Vi sono tre tipi principali di molecole: le proteine, contenenti azoto, il cui
ruolo come enzimi è molto importante; i glucidi, che costituiscono la struttura della cellula e
funzionano come accumulatori di energia; e infine i lipidi, che accumulano esclusivamente
energia.
I batteri si nutrono decomponendo queste sostanze per poter crescere (ammoniaca,
amminoacidi dai lipidi, vitamine…) e soddisfare le loro necessità energetiche
(decomposizione dei glucidi e dei lipidi). Per essere in grado di svolgere queste attività, essi
utilizzano gli enzimi.
Le molecole naturali sono costituite da lunghe catene di molecole identiche che vengono
chiamate polimeri. I batteri non sono in grado di assorbire direttamente queste macromolecole
ed è solo dopo un primo attacco da parte degli enzimi che essi possono continuare a utilizzare
i frammenti, per costruire a loro volta molecole complesse.
Gli enzimi quindi hanno una funzione determinante e la dimensione dei pori nella sostanza
organica permetterà o meno ad essi di svolgere tale funzione.
Riassumiamo ora le fasi principali delle catene della fermentazione indicando per ogni fase i
microrganismi specifici che intervengono. Esse sono:
1) Distruzione dei corpi azotati (urea e proteine): in un ambiente soprattutto aerobico da
parte di microrganismi della putrefazione (muffe dei generi Penicillium, Aspergillus,
Rhizopus; batteri dei generi Bacillus, Pseudomonas, Proteus, Serratia e, in ambiente
strettamente anaerobico, Clostridium). Si forma ammoniaca (NH3), anidride carbonica
(CO2) e idrogeno (H2).
2) Degradazione della cellulosa (in mezzo aerobico o anaerobico): i microrganismi
pensano a una prima trasformazione in cellobiosio e successivamente in glucosio. In
questa fase intervengono numerosi microrganismi, tra i quali batteri (Bacterium,
25
Bacillus, Cellulomonas, Pseudomonas), muffe (Aspergillus, Penicillium,
Trichoderma…) e attinomiceti. Il glucosio viene decomposto in un numero molto alto
di costituenti. I batteri presenti in gran parte sono Clostridies. I prodotti che si
ottengono in questa fase sono alcoli, chetoni, acidi organici (soprattutto acidi grassi).
Gli acidi vengono poi neutralizzati e si formano dei sali che verranno successivamente
decomposti in anidride carbonica e metano. A titoloni esempio indichiamo lo schema per
l’acido acetico:
CH3COOH + NH3 CH3COONH4
acido acetico ammoniaca acetato d’ammonio
proveniente
dalla decomposizione
dei prodotti azotati
2.2.3. La conversione del metano
Gli acidi organici, o i sali, possono essere convertiti direttamente in metano. I batteri
metanogeni, che si trovano ovunque in sedimenti naturali, discariche controllate, rumine del
bestiame, acque di scarico ecc.., utilizzano esclusivamente acidi organici. Caratterizzati da
una crescita molto lenta e in un ambiente esclusivamente anaerobico, essi sono raggruppati
nei seguenti generi: Methanobacterium (ruminantium, mobilis, formicicum – cellula curva a
forma di vibrione con flagello), Methanobacillus (omelianskii – forma sporulata),
Methanococcus (vanneillii – cellulosa cocciforme, sferica, immobile), Methanosarcina
(barberi – cellula a sarcina).
La vitamina B12 o cobalammina è di estrema importanza nella formazione del metano. Al
centro della molecola della cobalammina, con un legame metallorganico frequente in natura,
si trova uno ione cobalto, di cui sono noti (e utilizzati nell’industria chimica) i poteri catalitici.
I batteri metanogeni possiedono enzimi (biocatalizzatori delle proteine) che utilizzano come
coenzima la vitamina B12. L’insieme +[Co]-enzima reagisce con un datore di un radicale
metile (ad esempio l’acido acetico), dando origine a un prodotto intermedio, la
26
metilcobalammina. Con una semplice riduzione il radicale metile può trasformarsi in metano
o associarsi al coenzima M e dare origine alla seguente reazione:
CH3 = radicale metile
[Co] = cobalammina o vitamina B12
ATP = adenosina trifosfato, vettore di energia
Coenzima M = 2-mercaptoetlsulfonato con formula HS-CH2SO3-
Non si conosce ancora se esista una reazione più importante o se esse siano associate ad altre
reazioni principali o secondarie.
I processi mediante i quali acidi, alcoli e sali possono essere trasformati in metano, sono due:
- per fermentazione acida (esempio: acido acetico)
CH3COOH CH4 + CO2
acido acetico metano anidride carbonica
- per riduzione con l’anidride carbonica (esempio: etanolo)
2CH3CH2OH + 14CO2 14CH4 + 2CH3COOH
alcool anidride carbonica metano acido acetico
I meccanismi di riduzione della CO2 in CH4 non sono ancora ben conosciuti, anche se studiosi
americani pensano che alla base del metano e dell’anidride carbonica vi sia l’ossido di
carbonio, CO, derivante dai gruppi carbossilici (-COOH) degli acidi grassi decomposti. Essi
riassumono il processo con le seguenti reazioni:
4CO + 4H2O 4CO2 + 4H2
CO2 + 4H2 CH4 + 2H20
27
4CO + 2H2O 3CO2 + CH4
Utilizzando del carbonio radioattivo (C14) in una soluzione, si è scoperto che quasi tutto il
carbonio (circa il 98%) marcato C14 si ritrovava nel metano e pochissimo nella biomassa o
negli acidi organici. Ogni fermentazione permette al microrganismo che la attua di recuperare
l’energia contenuta nel materiale di supporto (substrato) in modo che essa possa essere
utilizzata come energia da destinare alle sue funzioni vitali.
Sul finire del processo di metanazione la sostanza organica, essenzialmente composta da
cellulosa, risulta molto degradata in molecole piccole come CH4 e CO2 e i glucidi non
contribuiranno alla formazione delle cellule dell’humus qualora l’effluente venga usato come
fertilizzante.
In un sistema in equilibrio, le due fasi della fermentazione avvengono simultaneamente. Se
per una causa qualsiasi i batteri metaniferi sono assenti, il processo continuerà con la
liquefazione del materiale e si otterrà un fango nero e ripugnante caratteristico di una
fermentazione bloccata. Ciò avviene anche quando la fase di liquefazione procede più
velocemente della massificazione; l’accumulo di acidi inibisce la proliferazione del batterio
metanogeno e la fermentazione si blocca.
Si nota quindi come le condizioni di vita dei microrganismi debbano essere mantenute sotto
controllo sino al totale ottenimento dello scopo prefisso, vale a dire produzione di biogas o
distruzione di rifiuti. E’ necessario quindi che certi parametri fondamentali per la vita del
microrganismo siano mantenuti nel tempo. (Lagrange, 1981)
2.2.4 Il controllo della fermentazione
Il numero, i tipi e le specie di microrganismi che determinano le reazioni di fermentazione
sono selezionati dalle condizioni sperimentali che vengono loro imposte, secondo il principio:
una specie si sviluppa per selezione naturale, adattamento non genetico, in risposta a una
modifica dell’habitat o all’introduzione di nuovi tipi di alimenti a base di carbonio. Perciò
tutte le molecole dei composti organici saranno distrutte da una o più specie di microrganismi
a seconda delle circostanze.
28
Le varie popolazioni batteriche presenti hanno alimentazioni differenti tra loro: i batteri che
producono acidi, eliminando l’ossigeno, forniscono il nutrimento per i produttori di metano e
l’azione dei loro enzimi sulle proteine e sugli amminoacidi libera sali d’ammonio, unica e
accettabile fonte di azoto per i batteri metanogeni. A loro volta, sebbene incapaci di vivere
senza i batteri produttori di acidi, i batteri metanogeni eliminano gli acidi, per loro tossici,
convertendoli in gas. Se questa conversione non avvenisse, anche i batteri acidi non
potrebbero sopravvivere. Il risultato è che all’interno del digestore si crea una popolazione in
equilibrio basata su una reazione di interdipendenza (simbiosi) tra i due tipi di batteri. In
generale i batteri acidi sono molto più resistenti e capaci di sopportare bruschi cambiamenti
nelle condizioni di vita. (Lagrange, 1981)
La temperatura
L’attività enzimatica dei batteri dipende strettamente dalla temperatura. Se essa aumenta,
anche la cinetica del processo anaerobico aumenta, e viceversa. Al di sotto di 10°C l’attività
dei batteri risulta debole, mentre sopra i 65°C essi sono distrutti.
L’intervallo di temperatura (tra circa 10 e 65°C) entro cui i processi batterici sono favoriti, è
composto da due stadi che prendono i nomi di campo mesofilo (tra circa 20 e 40°C) e campo
termofilo (tra circa 40 e 60°C). Per completezza, tra i 10 e 20°C il campo è chiamato
psicrofilo.
29
Fig. 2.1 – Tempo di residenza in funzione della temperatura.
Essendo l’attività batterica più intensa a determinate temperature, è facile comprendere come
la medesima massa verrà digerita in tempi più brevi se la fermentazione sarà più intensa.
Per determinare la temperatura di lavoro di un digestore sarà sufficiente realizzare un
compromesso tra la produzione giornaliera di gas, il grado di fermentazione della materia
prima e il tempo di ritenzione. E’ possibile trarre vantaggio dalla variazione di una di queste
voci per favorire le altre, ad esempio si può ridurre il tempo di ritenzione aumentando la
temperatura.
In un clima temperato, la realizzazione di un buon isolamento e di un sistema di
riscaldamento è largamente giustificata dalla maggior produzione di gas. Talvolta, però,
conviene mantenere una temperatura relativamente bassa piuttosto che sperimentare una
temperatura alta e non poterla mantenere poi per tutto il tempo occorrente alla fermentazione.
Va notato infatti che un cambiamento nella temperatura superiore a 2°C giornalieri può essere
fatale per i batteri metanogeni.
30
Il pH
Il potenziale idrogeno o pH di una soluzione, definito con un numero che va da 0 a 14, indica
la basicità o l’acidità del mezzo. Da 0 a 7 il mezzo è acido, vale a dire ricco in ioni H+, da 7 a
14 è basico o alcalino, vale a dire ricco in ioni OH-, quando invece il valore è pari a 7, il
mezzo è neutro.
In ambiente acido l’attività enzimatica dei batteri è bloccata. La formazione di un ambiente
acido è dovuta soprattutto all’accumulo di acidi organici e si nota per la presenza di odore di
burro rancido (acido butirrico). In ambiente eccessivamente alcalino (basico), la
fermentazione produce idrogeno solfato (H2S) e idrogeno (H2). La digestione può avvenire
quindi entro valori limitati del pH: 6,6-7,6 con un optimum tra 7-7,2, sino a un limite di 7,7-
8,5 in presenza di materiale molto acido. Sotto il valore di 6,2 l’acidità aumenterà
rapidamente bloccando la fermentazione.
La prima indicazione di un cattivo equilibrio all’interno del digestore è data dalla rapida
concentrazione di acidi volatili che inibiscono i batteri metanogeni. Altri segnali di allarme
sono la produzione di gas che diviene bruscamente irregolare, la variazione della percentuale
nel gas di anidride carbonica e, nei sistemi continui, l’incremento delle cariche inquinanti
nell’effluente. Qualora il digestore non sia più regolato, occorre mantenere a tutti i costi il pH
a 7, determinare le cause della variazione, ristabilire l’equilibrio e attendere l’autoregolazione
che indica un ritorno alla normalità.
Chimicamente, l’equilibrio del pH dipende dalla concentrazione degli ioni bicarbonato, a loro
volta condizionati dalla concentrazione di anidride carbonica:
pH = K [H2CO3] [HCO3
-]
in cui K = costante di ionizzazione dell’acido carbonico
[H2CO3] = concentrazione dell’acido carbonico, direttamente proporzionale alla percentuale
della CO2 presente nel gas del digestore
[HCO3-] = concentrazione dello ione bicarbonato che costituisce una parte dell’alcalinità
totale
31
Va sottolineato che l’alcalinità da bicarbonato (2500-5000 mg/l di [HCO3-]) produce un
effetto tampone così che, pur con grandi variazioni nella concentrazione di acidi volatili, il pH
rimane praticamente costante. In questo modo si può lavorare con maggior sicurezza e si ha
più tempo per intervenire qualora sorgano problemi.
Col procedere della fermentazione, l’ambiente tende a divenire basico per la formazione di
ammoniaca (NH3). Essa, essendo solubilissima in acqua, forma idrato ammonico (NH4OH),
base che neutralizza gli acidi presenti. In un digestore continuo a volte questa reazione è
sufficiente affinché l’eccesso di acido venga automaticamente riassorbito. Occorre però fare
attenzione in quanto un’eccessiva concentrazione di ammoniaca, e quindi un pH elevato, sono
tossici per i batteri metanogeni. Si può anche aggiungere della calce, se il pH scende su valori
di 6,5-6,6. La calce reagisce con l’anidride carbonica formando il bicarbonato di calcio:
Ca(OH)2 + 2CO2 Ca(HCO3)2
calce anidride bicarbonato di calcio
carbonica
che è limitatamente solubile. A partire da 500-1000 mg/l l’aggiunta di calce dà invece origine
al carbonato di calcio:
Ca(OH)2 + 2CO2 CaCO3 + H2O calce anidride bicarbonato acqua
carbonica di calcio
che è insolubile e precipita sul fondo del digestore. Ciò è un inconveniente, inoltre non
reagisce con gli altri acidi volatili e l’attività biologica riprende, aumenta la concentrazione di
anidride carbonica e il pH scende ancora sotto il valore 7.
La calce risulta efficace solo se utilizzata per valori inferiori al 6,5. Nel caso avessimo valori
prossimi al 7, come 6,7-6,8 l’aggiunta risulta inutile. In sostituzione ad essa, si può utilizzare
bicarbonato di sodio, più costoso, ma più efficace perché non precipita e sino a concentrazioni
di 5000-6000 mg/l non è tossico. Alcuni consigliano l’uso dell’ammoniaca commerciale o del
fosfato ammonico per neutralizzare l’acidità.
32
Se l’ambiente è troppo basico (pH elevato), si può aggiungere acido formico o acido nitrico
(tre quarti di litro per metro cubo di digestore per abbassare il pH di un’unità). Non si deve
utilizzare acido solforico poiché si avrebbe produzione di idrogeno solforato.
Se si vuol procedere all’inoculo di un digestore occorre utilizzare fermenti che non
contengano più del 2 per mille di acidi volatili, onde evitare un probabile blocco dei batteri
metanogeni. (Lagrange, 1981)
2.2.5 La presenza dei batteri metanogeni
Da quanto detto in precedenza, è evidente che tale presenza è la condizione essenziale, poiché
le trasformazioni della cellulosa e del glucosio e la susseguente metanizzazione sono opera di
questi microrganismi. Ricerche microbiologiche hanno cercato di ottenere un ceppo batterico
unico per aumentare il rendimento della fermentazione. L’esperienza ha tuttavia provato che
un unico ceppo non è capace di realizzare la fermentazione metanica, bensì soltanto l’insieme
dei batteri citati in precedenza. Una buona fermentazione richiede un inoculo iniziale con
buon vecchio letame, fanghi di fognature, o, secondo il metodo indiano, facendo fermentare
sotto terra escrementi di vacca. Qualunque sia il metodo, la massa deve avere un odore di
stalla e non di burro rancido.
La presenza di batteri metanogeni nelle deiezioni animali può far partire un digestore senza
inoculo, ma a volte bisogna attendere mesi affinché la produzione di gas sia sufficiente,
soprattutto a basse temperature.
Azoto, fosforo e altri elementi necessari ai batteri
Il mantenimento di una crescita biologica ottimale è necessario affinché il processo di
fermentazione avvenga in modo soddisfacente. Le condizioni ottimali esigono la presenza di
sostanze nelle cui molecole siano presenti atomi di calcio, magnesio, potassio, ferro, zinco e
altri oligoelementi. Essi saranno presenti in quantità proporzionate a seconda dello scopo da
raggiungere, ma va precisato che comunque in dosi massicce essi possono risultare tossici.
Le principali sostanze organiche necessarie per la digestione sono a base di carbonio, azoto,
fosforo e zolfo.
33
Il carbonio (C): Non è certo questo l’elemento che manca nei liquami. Nella biosfera la
sostanza organica è costituita per il 50% da cellulosa. I microrganismi, presenti all’interno del
digestore, utilizzano la cellulosa solo per mezzo dei loro enzimi, che la trasformano in
glucosio solubile e in cellobiosio. Questi ultimi, a loro volta, vengono assorbiti attraverso le
membrane cellulari dai microrganismi stessi. Il compito degli enzimi consiste nel digerire la
cellulosa rompendo le fibrille, trasformando la struttura cristallina in una massa amorfa e
rompendo infine le molecole stesse. Poiché la cellulosa viene digerita dagli erbivori (come i
bovini) e di conseguenza, il letame di questi animali, povero di cellulosa, fornirà meno biogas
di altre deiezioni prodotte da animali onnivori (come i suini) o dalle biomasse stesse.
L’ azoto (N): Tutti gli organismi hanno bisogno di azoto per formare le proteine. Se non vi è
azoto sufficiente, il batterio non potrà utilizzare tutto il carbonio presente e il processo avrà
una resa molto bassa. L’azoto si libererà e si accumulerà sotto forma di ammoniaca che, in
certe condizioni è tossica. Il rapporto tra carbonio e azoto, detto rapporto C/N, è un dato
importante e non deve superare il valore di 35 con un optimum di 30. Al di sotto, la
produzione di gas sarà più lenta e l’effluente avrà un maggior valore come fertilizzante, ma
sarà inquinante se lo si immette nell’ambiente senza precauzioni. Con un rapporto molto
basso bisogna poi controllare che la quantità di ammoniaca resti entro i limiti di tossicità.
La tabella qui di seguito permette di effettuare il calcolo del rapporto C/N in funzione della
quantità di materia prima, calcolata in peso di sostanza secca.
Tab.2.2 – Rapporto C/N in funzione della materia prima.
C/N C/N Rifiuti animali Vegetali Urina 0,8 Erba 12 Sangue 3-4 Fieno 19 Farina d'ossa 3,5 Trifoglio 27 Residui secchi di pesce 5,1 Erba medica 16-20 Residui da carne 5 Residui di cavoli 12 Siero di latte 30-40 Residui di pomodori 12 Escrementi Alghe 19 Bovini 25 Cipolle 15 Cavallo 25 Foglie di patata 25 Maiale 20 Paglia di grano 128-150
34
Montone 22 Paglia di avena 48 Animali da cortile 15 Senape 26 Uomo 6-10 Segatura 200-500 Fanghi di fognatura Farina di soia 5 attivati 6 Farine di semi di cotone 5 freschi 11 Farina di gusci di arachidi 36 Letame bovino 30
Le cifre indicate vanno prese con precauzione poiché, in alcuni composti, i batteri non
consumano interamente l’azoto e il carbonio presenti.
Il fosforo (P): I batteri hanno altresì bisogno di fosforo, nella proporzione di un quinto delle
necessità di azoto. Un eccesso di fosforo non ha importanza, ma un difetto impedirà una
corretta fermentazione. Il rapporto ottimale tra carbonio e fosforo è pari a 150 (C/P = 150).
Il fosforo si trova sotto forma di sale minerale nei fosfati naturali derivanti da cadaveri di
animali preistorici, nel guano (escrementi di uccelli) e nei residui di pesce. Per fermentazione
esso si trasforma in parte in idrogeno fosforato.
Lo zolfo (S): Per i batteri anaerobici lo zolfo è necessario quasi quanto il fosforo. E’
necessario però evitare che ve ne sia troppo poiché potrebbero svilupparsi batteri riduttori dei
solfati, che lo trasformerebbero in idrogeno solforato, gas nocivo, maleodorante e pericoloso.
(Lagrange, 1981)
2.3 CARATTERISTICHE DELLA MATERIA PRIMA
Per il buon funzionamento di un digestore, è necessario garantire sia la giusta quantità che la
buona qualità della materia prima che lo alimenta. Il termine materia prima non indica solo i
reflui di origine zootecnica immessi, ma anche la loro miscela con biomasse atte ad
incrementare la resa di biogas. La digestione anaerobica, oltre a garantire la stabilizzazione
dei fanghi, ha come obiettivo quello di produrre biogas e da questo energia sia elettrica che
termica. E’ naturale quindi che, come in ogni altro processo di produzione, debbano essere
garantite le condizioni ottimali, al fine di massimizzare i prodotti.
35
Tali condizioni consistono innanzitutto nell’avere a disposizione reflui zootecnici e biomasse
di qualità. Sarà quindi da preferire la materia prima che fornisce il maggior contributo in
termini di prodotti nutritivi (in pratica il rapporto C/N), migliori caratteristiche fisiche,
assenza di elementi tossici, ecc.
Definiamo ora alcuni parametri fondamentali di una sostanza digeribile, quali il grado di
umidità, il tasso di sostanza organica e il residuo fisso.
Grado di umidità: E’ la percentuale d’acqua nella sostanza organica e dipende dall’origine e
dall’età della tipologia di refluo trattato. Essa si determina calcolando la differenza tra il peso
di sostanza fresca e il peso di un’uguale quantità riscaldata a 100°C per alcune ore, rapportato
a cento. Il raggiungimento di una temperatura di 100°C è legata proprio alla necessità di far
evaporare l’acqua contenuta nel liquame. Ovviamente, il valore complementare fornirà il
totale di sostanza secca o solidi totali (ST).
Percentuale di sostanza organica (SO) e di solidi volatili (SV): Rappresentano una frazione
della sostanza secca costituita in prevalenza dalla sostanza organica; vengono determinati
analiticamente come perdita all’incenerimento, ovvero come differenza tra sostanza secca e
residuo fisso (ceneri).
Sostanza secca o solidi totali: è la sostanza residua dopo l’essicazione. Nei reflui zootecnici
viene determinata analiticamente per essiccazione in stufa a 105°C fino a peso costante.
Solidi inorganici o residuo fisso: Rappresenta il peso del materiale che rimane dopo la
calcinazione a 550°C. Esso indica la quantità di sostanze inorganiche che rimarranno nel
digestore perché inattaccabili dai batteri. (G. Bianucci e E. Ribaldone Bianucci, 2001; S.
Piccinini, 1996)
2.3.1 Controlli da effettuare su un liquame da destinare a trattamento anaerobico
Il controllo della qualità della materia prima è un passo importante. Esso permette infatti di
verificare se l’alimento possiede le caratteristiche necessarie a poter essere facilmente digerito
36
dai batteri presenti. Eventuali carenze di alcune sostanze possono provocare un rallentamento
dell’attività batterica con conseguenti ripercussioni sulla produzione di biogas. Per avere una
visione completa della qualità della materia prima, e per apportare opportune correzioni, è
necessario quindi misurare regolarmente alcuni parametri principali, quali:
- portata giornaliera di liquami prodotti;
- concentrazione di Solidi Totali, Solidi Volatili, COD, Ntot, N-NH4;
- rapporto SV/ST;
- quantità di COD;
- rapporto Ntot/ N-NH4.
I valori ricavati mediante queste misurazioni dovranno ricadere all’interno di intervalli
predefiniti per garantire le condizioni operative di progetto e di regolare funzionamento
dell’impianto. Per esempio il rapporto SV/ST dovrà essere prossimo a 0,7-0,8, la quantità di
COD all’incirca di 500 g/100 kg di peso vivo e il rapporto Ntot/ N-NH4 tra 1,7 e 2. Valori che
si discostano nettamente da quelli di riferimento sono segno di un liquame invecchiato nel
quale, a causa delle fermentazioni avvenute in stalla, una parte più o meno consistente della
sostanza organica trasformabile in biogas è andata distrutta.
Oltre ad assicurarsi a monte che i reflui, ed eventuali biomasse, trattati abbiano le
caratteristiche desiderate, è necessario verificare che all’interno del digestore si crei un
ambiente che favorisca al meglio l’attività batterica, non solo legata alla qualità della materia
prima. A tal fine, alcuni parametri di semplice rilevamento vanno tenuti periodicamente sotto
controllo, in particolare se si verificano cali di produzione del gas. I parametri da monitorare
sono:
- la portata di alimentazione;
- la consistenza del patrimonio zootecnico, al fine di stimare il carico organico (kg
COD/giorno) in arrivo all’impianto;
- il pH interno al digestore;
- la temperatura interna al digestore;
- l’acidità volatile interna al reattore;
- l’alcalinità interna al reattore;
- la produzione giornaliera di biogas;
37
- la qualità del gas.
(G. Bianucci e E. Ribaldone Bianucci, 2001) I valori di riferimento assunti da questi ultimi parametri sono trattati dettagliatamente nel paragrafo 2.2 e seguenti. Tab.2.4 - Composti in grado di modificare la produzione di gas di un digestore e loro concentrazioni limite. (F. Malpei e A. Rozzi, 2002).
Composto Concentrazione nel fango in digestione espressa in % di sostanza
secca
Effetti sul processo
Cianuri (kCN) < 0,004
0,004 ÷ 0,01 > 0,012
Non dannoso Ridotto sviluppo del biogas Arresto del digestore
Fenolo < 0,1
0,1 ÷ 0,4 > 0,4
Non dannoso Ridotto sviluppo di biogas Arresto del digestore
Detergenti < 0,6
0,6 ÷ 0,8 > 2,4
Non dannoso Ridotto sviluppo di biogas Arresto del digestore
Rame < 0,1
0,4 ÷ 0,6
> 1
Non dannoso Riduzione dal 10% al 60% della produzione di biogas Arresto del digestore
Cromo < 0,1 X 0,5
> 1,0
Non dannoso Riduzione del 50% della produzione di biogas Arresto del digestore
Nichel < 0,1 X 0,3
> 1,0
Non dannoso Riduzione del 40% della produzione di biogas Arresto del digestore
Tab.2.5 – Sostanze tossiche per la digestione anaerobica. (F. Malpei e A. Rozzi, 2002).
Composto Concentrazione nel liquame (mg/l)
Concentrazione nel fango (mg/l)
Acriolinite - 5 Benzolo - 50 -20
Tetracloruro di carbonio - 10 Cloroformio - 0,1 Cloroetilene - > 1 Diclorofenolo 1 -
Dimetilformammide > 400 - Esacloricloesano - 48
Acido nitrilacetico - > 90 Pentaclorofenolo 0,4 - Tetracloroetilene - > 60
Toluolo - 430 - 860
38
Etanotricloro - 60 Tricloromonofluorometano 0,7 -
Triclorofluoroetano - 5 Tab.2.6 - Concentrazioni alle quali inizia una riduzione della produzione di gas ed un disturbo nella digestione del fango (F. Malpei e A. Rozzi, 2002).
39
Una volta terminato il processo di digestione, la materia prima esce dalle vasche con
caratteristiche differenti da quelle possedute in ingresso. Tale modifica è dovuta alla
stabilizzazione subita all’interno del digestore e la sua entità testimonia l’efficacia della
digestione. Modifiche nette dei reflui in uscita indicano che il processo avviene in modo
completo. In caso contrario alcuni parametri sono al di fuori dei valori ottimali o alcune fasi
non avvengono completamente, quindi è necessario un controllo e correggere gli errori per
ottenere una buona digestione.
Qui si seguito mostriamo le caratteristiche di un refluo digerito (Tab.2.3), la cui qualità è
appurata anche visivamente e olfattivamente. Tab.2.3 – Caratteristiche del refluo digerito. (G. Bianucci e E. Ribaldone Bianucci, 2001)
Caratteristiche Fango ben digerito Fango mal digerito
Colore
Odore
Liquido galleggiante nel 2°stadio
Biogas (litri/abitante giorno)
pH
Potenziale redox (mV)
Alcalinità al metilarancio (mg/l di CaCO3)
Acidi volatili (mg/l di CH3COOH)
Nero
Di terriccio
Quasi limpido
Più di 24
7-8
Da – 510 a – 540
Più di 2000
Meno di 1500
Bruno o grigio
Di fogna
Molto torbido
Meno di 18
Meno di 6
Oltre – 480
Meno di 1000
Più di 2500
2.4 L’AVVENTO DELLE BIOMASSE PER LA PRODUZIONE DI BIOGAS
2.4.1 Introduzione
La recente crisi del petrolio e il continuo innalzamento dei prezzi dell’energia incrementa la
necessità di scoprire nuove tecnologie per utilizzare le risorse rinnovabili. La bioenergia sarà
l’energia rinnovabile più significativa negli anni futuri fino a quando altre risorse come quella
solare, eolica o dell’idrogeno non portino a risultati più significativi. La conversione biologica
della biomassa in metano ha avuto molte attenzioni negli ultimi anni. A differenza dell’Italia,
dove la digestione anaerobica si è sempre basata su liquami civili o zootecnici, all’estero
l’attenzione è stata rivolta alla digestione delle biomasse principalmente e di eventuali
aggiunte di reflui. In tal merito, alcuni studi scientifici stranieri hanno posto la loro attenzione
40
su questo settore ed in particolare su circa un centinaio di tipologie di biomasse, dalla frutta
alla verdura fino alle alghe marine. Sono state analizzate diverse categorie di biomasse per
valutare le loro capacità di produrre metano attraverso i parametri principali quali solidi
volatili, tempo di ritenzione, produzione di metano, ecc.
2.4.2 Analisi delle biomasse
La nostra attenzione si è posta sulle biomasse di tipologia “terrestre”, vale a dire quelle
prodotte dalla terra. Esse sono caratterizzate da un’alta umidità, circa l’80%, e un totale di
SV > 95%. Questi rifiuti hanno un'alta biodegradabilità ed una buona produzione di metano in
seguito alla loro digestione anaerobica, come testimoniano i risultati ottenuti analizzando i
substrati misti o ricchi di carboidrati come la polpa di mela.
Per citare alcuni esempi, le bucce di piselli e gli scarti delle carote hanno un buon rendimento
in termini di produzione di metano, peggio invece sono le bucce degli asparagi,
probabilmente a causa della loro particolare struttura leggermente legnosa, o gli scarti della
pesca poiché causavano un inadeguato livello di alcalinità che compromette la loro
digestione. Sono state fatte anche analisi sulla digestione delle banane con frutto, stelo e
foglie danneggiate dal vento fornendo risultati sorprendenti 0,53 m3/kg SV con un tempo di
ritenzione piuttosto basso Tr = 20 giorni. Inoltre si è riscontrato che, per quanto riguarda la
singola buccia della banana, l’eccessivo sminuzzamento non apportava aumenti rilevanti nelle
produzioni di biogas.
Anche gli scarti della barbabietola sono stati analizzati ottenendo i risultati massimi nei casi in
cui erano trattati con un 1% di NaOH. L’analisi dei rifiuti del pomodoro singolo ha portato ad
una produzione del biogas di 0,42 Nm3/kg SV con un tempo di ritenzione di 24 giorni . Altri
elementi invece raggiungevano il massimo se mescolati insieme al liquame del bestiame
come, per esempio, il midollo del cocco con una mistura di 3:2, vale a dire tre parti di midollo
di cocco e due parti di liquame, portando la produzione del metano all’interno del biogas ad
una percentuale dell’80-85% contro la media attesa del 70%.
Chiaramente, non si potrà mai avere una disponibilità di una particolare biomassa durante
tutto l’arco dell’anno, per tale motivo si è cercato di analizzare anche diverse miscele di
biomasse differenti. Alcuni studiosi hanno analizzato una digestione mista di frutta e verdura
con l’aggiunta di liquame ibrido. La loro conseguente miscelazione, in condizioni mesofile,
denotavano risultati rilevanti raggiungendo una produzione di biogas di 0,51 Nm3/kg SV
41
(solitamente 0,3-0,4 Nm3/kg SV). Per ovviare il problema della produzione stagionale, per
alcuni vegetali si sono analizzate le produzioni di biogas sia da biomassa fresca che da
biomassa insilata. Lo studio ha riscontrato che la produzione di biogas mediante l’aggiunta di
materiale fresco è di poco superiore rispetto a quella raggiunta con il solo insilato. Ciò ci
permette, accoppiando un silos ad un digestore, di avere a disposizione una particolare
biomassa durante tutto il corso dell’anno.
E’ stato appurato che la produzione di biogas era più rilevante nelle foglie delle piante che
nello stelo, ciò causato probabilmente dalla leggera legnosità di quest’ultimo. Sono state
condotte analisi sulla produzione di biogas a partire dalle foglie della gliricidia, una volta
utilizzate per la concimazione. I risultati ottenuti non erano esaltanti, pari infatti a 0,18
Nm3/kg SV (normalmente 0,3-0,4 Nm3/kg SV) accompagnata inoltre dalla necessità di
triturare le foglie fino a 0,4 mm, operazione non richiesta per altre piante le cui foglie possono
essere utilizzate anche intere. Oltretutto alcune foglie, tipo quelle della calotropis, fornivano
una produzione di metano molto bassa a causa, si presume, di una tossina presente in queste
ultime che impedisce il processo. Anche nella produzione di biogas con l’addizione di foglie è
emerso che la miscelazione con liquame porta ad una produzione maggiore rispetto
all’utilizzo del solo liquame.
In letteratura è stato dimostrato che la canna da zucchero, il tappeto erboso, il mais, il sorgo
zuccherino, la paglia di riso, la paglia di miglio e i cereali in generale, hanno una produzione
di circa 0,3 Nm3/kg SV. Per quanto riguarda lo specifico, il sorgo zuccherino possiede i valori
più alti di produzione raggiungendo 0,4 Nm3/kg SV. E’ comunque da tener ben presente che
le diverse parti della pianta, l’età, la frequenza di mietitura influiscono considerevolmente
sulla produzione di metano a causa della struttura della pianta che si fa sempre più legnosa
con l’avanzare della maturazione.
Alcuni studiosi non si sono basati solamente sullo studio della digestione anaerobica di piante
provenienti dalla superficie terrestre, ma hanno voluto sperimentare la digestione su alghe
acquatiche riscontrando dati molto incoraggianti. Infatti, sono state ottenute produzioni di
metano maggiori rispetto a quelle ottenute con biomasse di tipologia “terrestre”. Il merito di
tali risultati è da attribuire alla tipologia di raccolto tridimensionale ed alla proprietà delle
alghe di non avere la complessità del legno e quindi di non richiedere nessun tipo di
pretrattamento. E’ necessario spiegare che cosa si intende con “raccolto tridimensionale”.
Generalmente i redimenti delle biomasse, come il mais ad esempio, è riferito su unità di
superficie, dato che si conoscono altezza media raggiunta dalla pianta e numero su m2. Per le
alghe invece il discorso è differente. A parità di superficie e numero di piante, le alghe sono in
42
grado di raggiungere altezze superiori rispetto ai vegetali terrestri, grazie alla minore
influenza della forza di gravità in ambiente acquatico. Ciò comporta una maggiore
disponibilità di biomassa che, unita al fatto di non avere la complessità del legno, permette di
ottenere quantitativi maggiori di biogas.
Nella tabella seguente (Tab.2.7) sono state evidenziate le biomasse con la maggior produzione
di metano, estratte da campione di circa un centinaio di biomasse. Quelle riportate sono
quindi le piante che risultano più idonee ad essere utilizzate nella digestione anaerobica. Va
ricordato che nella scelta dei vegetali da aggiungere è necessario ragionare anche in termini di
economicità del processo. (V. Nallathambi Gunaseelan, 1997)
Tab.2.7 – Biomasse con alto rendimento di metano.
Biomassa CH4 (m3/kg SV)
Frutti vegetali e foglie 1. banana frutto e foglie 0,529 2. FVSW* 0.510 3. foglie ipomea 0,429 4. scarti di patate 0,426 5. foglie 0,423 6. scarti di pomodori 0,420 7. scarti di carote 0,417 8. buccia di banana 0,409
Piantagioni 1. sorgo zuccherino 0,420 2. paglia di miglio 0,390 3. paglia di frumento 0,383 4. paglia di riso 0,367 5. insilato di mais 0,360 6. prato erboso 0,342
Biomassa legnosa 1. ipomea con 40 d pre incubazione in acqua 0,426
particelle da o,4mm 0,361 2. legno di poplar 0,330
Erbaccia 1. ageratum parzialmente decomposta 0,241 2. parthenium trattata con NaOH 0,236 3. lontana trattata con NaOH + liquame di bestiame 0,236
Biomasse marine 1. Ulva 0,480 2. Ulva (con N in deficit) 0,330 3. Macrocystis pyrifera 0,310
*FVSW = frutta vegetali e foglie
43
2.5 PROGETTO DI MASSIMA DI UN DIGESTORE ANAEROBICO
Uno dei punti fondamentali della progettazione di un impianto di digestione, è il
dimensionamento delle vasche. Le due variabili che caratterizzano tale progettazione sono, da
una parte, il volume dei reflui entranti e, dall’altra, il loro tempo di residenza all’interno del
digestore.
Il nocciolo delle questione risiede nel calcolo del volume del digestore, determinato in
funzione delle due variabili sopra citate seguendo due metodi differenti.
Il primo metodo prevede di ricavare le dimensioni in funzione della portata giornaliera di
reflui. Essa è ricavata moltiplicando l’ammontare del peso vivo totale aziendale, espresso in
quintali, per la quantità media di reflui prodotta al giorno da un quintale di peso vivo. Il
primo valore è ricavato dal prodotto del numero di suini presenti in azienda per il loro peso
medio. La quantità media di reflui prodotta al giorno invece varia a seconda della tipologia di
allevamento. Il prodotto di sopra citato fornirà la portata di reflui entrante nel digestore. Essa
sarà successivamente moltiplicata, come mostrato nella formula seguente, per il tempo di
residenza necessario affinché tutta la massa organica, o comunque la quasi totalità, possa
essere degradata.
V1 = Q * Tr
V1 : volume totale di reflui determinato con il primo metodo [m3];
Q: portata dei reflui in ingresso nel digestore [m3/d];
Tr: tempo di residenza [d].
Il secondo metodo prevede invece di ottenere il volume di progetto a partire dal carico
organico alimentato. Esso è dato dalla produzione giornaliera di COD del singolo suino
moltiplicata per i suini presenti in azienda. Il carico organico alimentato sarà diviso per il
carico volumetrico di sostanza organica che rappresenta la capacità del digestore di degradare
la sostanza organica per unità di volume. Per quanto riguarda questo parametro è importante
analizzare se il digestore opera in condizioni riscaldate (mesofile, 30-35°C) o in condizioni di
temperatura ambiente (15-20°C). In caso di condizioni mesofile, il carico volumetrico di
sostanza organica si aggira attorno a 3-4 kg COD/m3dig d (S. Piccinini). Se il digestore lavora
44
a temperatura ambiente il valore invece si abbasserà a circa 1,5-2 kg COD/m3dig d (S.
Piccinini).
V2 = C org. alim / Cv
V2: volume calcolato mediante il secondo metodo [m3];
C org.alim: carico organico alimentato [kg COD/d];
Cv: carico volumetrico [kg COD/m3dig d].
Una volta ricavati i volumi secondo i due metodi, è necessario confrontarli per scegliere la
soluzione che sia in grado di verificarli entrambi. Tale soluzione in poche parole consiste
nello scegliere il valore più grande tra i due in esame. Se dal confronto risulta che essi si
discostano parecchio l’uno dall’altro, è opportuno avvicinare i due risultati per garantire il
miglior funzionamento dell’impianto. Va ricordato infatti che, all’interno di un digestore, i
batteri devono essere alimentati nella giusta misura, sia intermini di quantità che di qualità
della materia prima. Reflui in quantità insufficiente oppure con carico organico troppo elevato
o, al contrario, troppo basso potrebbero influire negativamente sulla vita stessa dei batteri e di
conseguenza sulla produzione di metano.
Per chiarire meglio queste operazioni, riassumiamo qui di seguito i passaggi svolti per il
dimensionamento di massima del digestore dell’azienda agricola “S. Eurosia”, il cui impianto
sarà trattato più dettagliatamente nei capitoli successivi.
Innanzitutto ricaviamo i dati opportuni per il dimensionamento:
- Tempo di residenza: Tr = 30 d (fornito dai progettisti dell’impianto);
- Peso vivo medio: Pv = 100 kg/suino;
- N° capi: n = 6000 (registri dell’allevamento);
- Portata specifica media giornaliera: Qs = 10 l/100 kg pv d (L. R. 37/93);
- Portata media giornaliera: Q = 60 m3/d (fornito dai progettisti dell’impianto);
- Carico volumetrico di sostanza organica: Cv = 3-4 kg COD/m3dig d (S. Piccinini,
1996);
- Capacità specifica di produzione di sostanza organica: Cs = 500 gCOD/100 kg pv (S.
Piccinini, 1996).
45
Seguendo il primo metodo di dimensionamento citato, il risultato del prodotto tra la portata
media giornaliera (Q = 60 m3/d) per il tempo di residenza (30 d), fornisce un volume V1=1800
m3.
Il secondo metodo prevede invece di ricavare inizialmente il carico organico alimentato,
moltiplicando i 500 gCOD/100 kg di peso vivo al giorno per il peso vivo totale aziendale
(peso vivo medio Pv = 100 kg/suino per numero di capi n = 6000). Il prodotto finale fornisce
3000 kg COD/d. Quest’ultimo valore, a sua volta, è diviso per il carico volumetrico di
sostanza organica (assunto pari a 3 Kg COD/m3dig d) ricavando un volume del digestore
V2=1000 m3.
Riassumendo, i volumi calcolati sono pari a V1 = 1800 m3 e V2 = 1000 m3. Essi si discostano
nettamente l’uno dall’altro e, affinché possano essere entrambi verificati, è necessario
assumere il volume di progetto che li contenga tutti e due, quindi il volume V1 = 1800 m3.
Deve essere sottolineato che lo scostamento tra V1 e V2 potrebbe comportare mancanza di
sostanza organica. Per risolvere il problema, indipendentemente dai valori di questo esempio,
si potrebbe agire in due modi differenti. Il primo consiste nel modificare il tempo di
residenza. Diminuendo o aumentando tale parametro di qualche giorno infatti, si potrà ridurre
o aumentare il volume di progetto e accostare maggiormente i due volumi di verifica V1 e V2.
Il secondo modo consiste nell’agire sul carico organico alimentato. Infatti, si potrà integrare il
refluo, povero di sostanza organica, aggiungendo altra sostanza organica proveniente da
opportune biomasse in modo che i batteri possano essere riforniti sufficientemente di materia
da degradare.
2.6 LA COMPOSIZIONE DEL BIOGAS DELLE VARIABILI LEGATE AL PROCESSO FERMENTATIVO
2.6.1 Caratteristiche chimico-fisiche dei principali gas
Come l’aria, il biogas è composto da un certo numero di gas, le cui proporzioni variano in
funzione di come procede la fermentazione, del tipo di digestore utilizzato ed anche del tempo
(da un giorno all’altro). Abbiamo già citato, oltre al metano ovviamente, l’anidride carbonica,
l’idrogeno solforato e l’ammoniaca. Vediamo ora alcune delle principali caratteristiche
chimico-fisiche di questi e di altri componenti del biogas, allo scopo di poterne meglio
definire le possibilità di accumulo e di utilizzazione.
46
Il metano (CH4)
E’ il più semplice derivato idrogenato del carbonio e appartiene al gruppo di idrocarburi a
formula generale CnH2n+2 .
Il metano è un gas leggero (densità = 0,55) che non si accumula al suolo, come il propano o il
butano ed è perciò soggetto a minori rischi di esplosione. Può essere liquefatto, sia per
raffreddamento a –165°C o per compressione a 400 atm. Ciò facilita il trasporto, anche se
queste operazioni non sono ovviamente a portata del proprietario di un digestore. A
temperatura ambiente, il metano è gassoso, incolore, inodore, trasparente, non tossico.
Tralasciamo tutta la chimica del metano, vale a dire le sostituzioni degli atomi di idrogeno,
basta ricordare che questo composto è alla base di una serie importantissima di prodotti
chimici.
Il metano brucia con una fiamma poco luminosa e molto calda, secondo una reazione che si
può così trascrivere:
CH4 + 2O2 CO2 + 2H2O + 212 Kcal
La quantità di calore, 212 Kcal per mole bruciata, è notevole e corrisponde a 12.500 Kcal al
chilogrammo o 9.000 Kcal al normal metro cubo. Una caratteristica di cui bisogna tener conto
è che il metano si infiamma a 715°C quando è miscelato con 5-14 volte il suo volume d’aria.
Tutti questi dati sono necessari per determinare le caratteristiche ottimali della combustione
del biogas. A questo proposito, si ricordi, e ciò vale quindi anche per il biogas, che un volume
di metano miscelato con due volumi di ossigeno o dieci volumi d’aria (ricordando che
l’ossigeno occupa circa il 21% di un volume d’aria), esplode violentemente al contatto di una
scintilla o di una fiamma. Pertanto, è necessario controllare accuratamente sia la costruzione
sia la gestione dei digestori soprattutto nelle parti in cui si può accumulare aria oltre al biogas.
Il metano è poco solubile in acqua (34 cm3/l a 20 °C) e ciò permette di separarlo dall’anidride
carbonica mediante gorgogliamento in acqua, essendo quest’ultimo gas molto più solubile.
47
Fig.2.8 – Potenziale esplosività delle miscele aria/metano/anidride carbonica a certe
condizioni di miscelazione.
L’anidride carbonica (CO2)
E’ un gas incolore, inodore, insapore, presente nell’aria in proporzioni variabili. E’ più
pesante dell’aria e del metano infatti essa raggiunge un valore di 1,97 g/l. Ad una temperatura
di -80°C e una atmosfera, solidifica, è molto stabile e a circa 2.500 °C si scinde in CO e O2.
La percentuale di anidride carbonica nel biogas varia a seconda delle reazioni batteriche, della
temperatura, del materiale utilizzato, della tecnica di digestione.
La presenza di CO2, pur non impedendo la combustione del biogas, ne danneggia la qualità
con rendimenti inferiori.
48
Ossido di carbonio (CO)
Gas incolore, inodore, insipido, di peso molecolare pari a 28,01 g. E’ estremamente
pericoloso, mortale, se contenuto nell’aria in percentuale superiore o pari all’uno per cento.
Fortunatamente nel biogas a differenza del gas di città, ove è presente in percentuale superiore
al 20%, non raggiunge tassi pericolosi. E’ combustibile e a seconda delle condizioni di
reazione può dare origine a differenti prodotti: anidride carbonica, acido formico, ecc.
Azoto (N)
Gas incolore, inodore, insapore, presente nell’atmosfera in percentuale pari al 78%. Una mole
di azoto pesa 14,008 g. Ad una temperatura di –196°C liquefa. Una presenza eccessiva nel
biogas sta a significare che la fermentazione avviene in presenza di ossigeno o, se il digestore
funziona in depressione, che vi è una grossa perdita nell’impianto. Essendo incombustibile,
solo ad alta temperatura reagisce con l’ossigeno, formando ossidi di azoto, irritanti e
inquinanti come quelli da traffico veicolare e da riscaldamento a gasolio.
Ammoniaca (NH3)
E’ un gas incolore, di odore pungente, incombustibile, di massa molecolare pari a 17 g e con
densità pari a 0,77 g/l. E’ estremamente solubile in acqua, con la quale si lega formando
idrato ammonico (NH4OH). Le soluzioni commerciali contengono circa 10 moli per litro, ma
in un litro d’acqua si possono disciogliere sino a 1.000 l di gas. L’idrato ammonico reagisce
con l’acido carbonico formando carbonato ammonico, prodotto di alto valore fertilizzante.
Dati questi presupposti è difficile trovare ammoniaca libera nel biogas. Se ve ne è traccia,
significa che la fermentazione è ancora nello stato aerobico.
Idrogeno (H)
E’ il primo elemento della tavola periodica, di massa pari a 1 g per mole. E’ un gas incolore,
inodore, insapore. E’ il più leggero tra i gas e si combina con l’ossigeno formando acqua.
Brucia facilmente. La sua presenza denota una fermentazione non stabilizzata e non ancora
perfettamente a regime. Non pone in ogni caso problemi a meno di casi estremi a percentuali
tali da innescare esplosioni.
49
Idrogeno solforato (H2S)
E’ un gas incolore, ma di odore nauseabondo. Si trova spesso in natura mescolato al gas
naturale ed è una delle principali fonti di zolfo per l’industria. Brucia formando un altro gas,
l’anidride solforosa e in particolari condizioni l’anidride solforica, che dà origine all’acido
solforico, sostanza estremamente corrosiva. In fase psicrofila, e con certi tipi di sostanze
utilizzate per la fermentazione, si può registrare in un digestore un’elevata produzione di
idrogeno solforato. Quest’ultimo è perfettamente combustibile, ma è necessario fare molta
attenzione perché possono insorgere consistenti fenomeni di corrosione dovuti all’acido
solforico formatosi come prodotto di combustione. (Lagrange, 1981)
Tab.2.9 - Sostanze che compongono il biogas e loro rispettive percentuali di presenza.
Gas Simbolo Percentuale
Metano CH4 50-80%
Anidride carbonica CO2 15-40%
Idrogeno H2 1-10%
Ossigeno O2 0,1-1%
Ossido di carbonio CO2 0-0,1%
Azoto N2 0,5-10%
Gas diversi H2S, NH3,CnH2n 1-5%
Vapor d'acqua H2O variabile
2.6.2 La depurazione del biogas
Come detto in precedenza, il biogas è una miscela di vari tipi di gas. Alcuni di questi sono
incombustibili o con proprietà ossidanti e di conseguenza risulta consigliabile la loro
eliminazione. Accenneremo ora ai tre principali gas che si possono eliminare senza troppa
difficoltà.
50
Il vapor d’acqua
L’eliminazione dell’acqua, risulta necessaria soprattutto quando si desidera comprimere il
biogas perché, durante la compressione e l’espansione, il vapor d’acqua condensa rendendo
quindi necessario svuotare di frequente l’impianto.
Il mezzo più semplice per eliminare il vapor d’acqua è quello di farlo condensare. Un
gasometro dipinto con colori chiari esternamente e scuri internamente irraggerà al massimo
durante la notte, mentre si riscalderà poco durante il giorno. L’acqua, una volta condensata,
solubilizza anche una certa quantità di anidride carbonica. Si dovrà però far attenzione
affinché la condensa in inverno non geli.
Una migliore condensazione del vapore si ottiene facendo passare il biogas in “punti freddi”
come acque sorgive, cantine, frigoriferi ecc. o raffreddandolo con mezzi chimici.
L’anidride carbonica (CO2)
Questo gas non impedisce la combustione del biogas, ma potrebbe essere opportuno
eliminarlo soprattutto per diminuire i volumi di stoccaggio.
Il metodo più semplice è quello del lavaggio con acqua, essendo l’anidride carbonica molto
solubile in acqua, mentre il metano lo è meno.
L’idrogeno solforato (H2S)
La combustione dell’idrogeno solforato sviluppa acido solforico che è corrosivo. Poiché la
sua presenza è nociva alla fermentazione, è bene cercare di eliminarlo a monte con un
controllo del pH e un apporto equilibrato di sostanza organica. La sua successiva eliminazione
dal biogas avviene per passaggio del gas su limatura o su paglia di ferro e meglio su ossido di
ferro. Questi materiali possono essere poi rigenerati per esposizione all’aria. Un buon
materiale filtrante è pure il carbone attivo.
Il lavaggio con acqua evita un’ulteriore depurazione poiché l’idrogeno solforato è ancora più
solubile in acqua della CO2. (Lagrange, 1981)
51
2.7 I LIMITI E I PROBLEMI DEI COGENERATORI A BIOGAS
Il compito dei cogeneratori (motori) consiste nel produrre energia elettrica, ed eventualmente
energia termica, utilizzando come combustibile il biogas prodotto durante la digestione
anaerobica. Oltre a ricoprire un ruolo fondamentale nel processo, essi rappresentano anche un
punto critico che, a lungo termine, può influire pesantemente sui costi di gestione
dell’impianto. Per evitare questi inconvenienti, è opportuno quindi prestare particolari
attenzioni.
La produzione di energia in impianti zootecnici, non è paragonabile di certo a quella di
impianti destinati esclusivamente alla produzione energetica, come centrali idroelettriche e
termoelettriche. Ciò è testimoniato, nei casi da noi visionati, dall’utilizzo di motori con taglie
di potenza mediamente inferiori, come ordine di grandezza, a 100 kW elettrici con punte che
potrebbero raggiungere i 200-250 kW. Questi limiti derivano da due considerazioni
fondamentali:
- i consumi energetici delle aziende zootecniche sono limitati e non richiedono elevati
impieghi di potenza;
- pur entrando in un’ottica di massimizzazione dei vantaggi offerti dalla legge 10/91
(immissione in rete di tutta l’energia elettrica producibile con biogas a circa 0,14
€/kWh), la taglia delle macchine è limitata dalla disponibilità di combustibile.
Da un punto di vista applicativo, il biogas non deve essere confuso con una semplice miscela
metano-anidride carbonica. I potenziali fattori di disturbo per l’utilizzazione nei motori sono i
seguenti:
- vapore acqueo: è dannoso non particolarmente durante il funzionamento, ma a motore
fermo. Le eventuali condense, infatti, assorbono gli elementi corrosivi a base di zolfo
e ammoniaca contenuti nel gas stesso e, successivamente, vanno ad intaccare tutte le
superfici sulle quali si depositano, oltre che inquinare il lubrificante. Il problema,
quindi, risulta tanto più grave quanto più la macchina è soggetta a cicli di spegnimento
e accensione. Per ridurre l’inconveniente si adottano accorgimenti che favoriscono la
formazione di condensa prima che il gas arrivi al motore quali, ad esempio, un
pozzetto di raccolta posto lungo la tubazione che, normalmente, separa il cogeneratore
dal punto di produzione del gas (di solito almeno 50-100 metri), oppure un piccolo
gasometro intermedio, o un piccolo impianto frigorifero. Con tali accorgimenti,
inoltre, si ottiene anche l’eliminazione di buona parte degli altri inquinanti. In questi
52
casi (pozzetto, gasometro intermedio e frigorifero) è preferibile installare gruppi con
un sistema temporizzato che, prima dell’arresto della macchina o dell’esaurimento del
gas, alimenti il gruppo di cogenerazione con altro combustibile (metano o gpl) per un
minuto circa;
- composti a base di zolfo: sono sempre pericolosi perché intaccano il rame contenuto
nei cuscinetti a strisciamento e nelle guide a valvole dei motori. Le conseguenze sono
sempre gravi. Tradizionalmente, si ricorre a desolforatori che, viste le modeste
dimensioni degli impianti, devono essere forzatamente semplici per limitare i costi.
Ciò lascia poco agio a soluzioni efficienti e, soprattutto, caratterizzate da prestazioni
sufficientemente costanti nel tempo. Di fatto, viene quasi sempre proposto un letto di
limatura di ferro. Si ritiene tuttavia che la strada più conveniente sia quella di agire a
monte evitando componenti del motore a base di rame, impiegando lubrificanti ad
elevato TBN (Total Basic Number, parametro proporzionale alla capacità di assorbire
e neutralizzare le sostanze estranee) e rinunciando a qualsiasi intervento di
depurazione;
- particolati: sono costituiti da tutti gli elementi, di natura organica e inorganica,
trascinati dal gas. Non rappresentano un problema rilevante se si consegue una
efficace rimozione del vapore acqueo;
- variabilità del contenuto di metano: va a influire sulla carburazione della macchina e,
quindi, sulla sua regolarità di lavoro;
- variabilità della pressione: il problema viene risolto permettendo il funzionamento del
cogeneratore quando i valori manometrici si mantengono nei limiti di tolleranza. In
pratica, ciò riguarda solo il minimo, in quanto pressioni eccessive possono essere
agevolmente controllate con apposito riduttore.
Riassumendo, i cogeneratori da destinare all’azienda zootecnica devono essere di taglia
ridotta e idonee alle caratteristiche chimico-fisiche del biogas che, come visto, comporta una
serie di accorgimenti operativi.
La maggioranza dei cogeneratori presenti sul mercato presentano, in linea generale, strutture e
caratteristiche tecniche piuttosto simili. Essi sono derivati da gruppi elettrogeni, con la
semplice aggiunta di scambiatori di calore e di necessari controlli complementari. Il mercato
permette parecchie combinazioni di queste componenti soggette a continui miglioramenti
tecnologici. Le potenze sono quasi sempre superiori ai 100 kW.
Il discorso è diverso per le piccole unità appositamente concepite per la cogenerazione
diffusa, che risultano interessanti per l’azienda per due aspetti. Il primo è relativo alle taglie di
53
potenza, che devono essere congruenti con la potenziale produzione di biogas. Il secondo
riguarda i ridotti problemi di installazione (le macchine sono già complete, non richiedono
basamenti e presentano collegamenti elettrici e termici semplificati).
Come in altre attività, risulta di fondamentale importanza lo svolgimento di un corretto
programma di manutenzione periodica da parte di ditte specializzate.
Concludiamo il discorso con una breve constatazione su quanto concerne l’aspetto economico
dell’opera. Come ci hanno fatto presente i tecnici e i progettisti degli impianti da noi visitati, è
necessario valutare ogni impianto come una realizzazione a sé stante. Quindi con costi di
progettazione e messa in opera di volta in volta differenti e comparabili solo per casi identici.
Per quanto abbiamo potuto constatare, si può considerare un investimento complessivo
variabile da 1.000 a 1.300 €/kW elettrico installato, considerando i soli interventi elettrici e
impiantistici. (S. Piccinini, 1996)
54
3 - LO SPANDIMENTO DEI FANGHI STABILIZZATI
Lo spandimento dei liquami è una voce molto importante nell’ambito delle autorizzazioni
necessarie per una buona gestione di un’azienda zootecnica. In generale possiamo dire che la
Regione Lombardia classifica i comuni in due categorie, “vulnerabile” e “non vulnerabile”, al
fine di fissare limiti differenti a seconda della quantità di liquami che possono essere
distribuiti per ogni ettaro di terreno dell’azienda. In base a questi limiti, l’azienda potrà
conoscere il numero massimo di capi allevabili e sapere se sarà necessaria la presentazione di
P.U.A. o P.U.A.s.
La normativa che entra nel merito di tale argomento è la Legge Regionale n°37 del 15
dicembre 1993 che applica una suddivisione dei comuni della Regione Lombardia (art.2) a
seconda del carico zootecnico che li caratterizza. Quest’ultimo, considerato a livello
comunale, fornisce una informazione sintetica sul potenziale grado di rischio ambientale
rappresentato dal complesso degli animali presenti. Ai fini del presente regolamento tutti i
comuni lombardi (elenco dei comuni - allegato n. 1 della L.R. 37/93) vengono classificati e
definiti:
• ad alto carico zootecnico i comuni con un carico di peso vivo allevato uguale o
superiore a 1,5 tonnellate per ettaro di S.A.U. comunale,
• a basso carico zootecnico i comuni con peso vivo allevato inferiore a 1,5 tonnellate
per ettaro di S.A.U. comunale.
Per tenere conto delle possibili variazioni, nel tempo, dei carichi zootecnici comunali è
prevista, ogni quattro anni, a cura del Settore Agricoltura e Foreste una verifica di detti carichi
utilizzando la correlazione tra i dati del censimento I.S.T.A.T. ed i dati raccolti con GIARA
37; con conseguente aggiornamento degli elenchi sopra definiti e rilascio, ove necessario,
della nuova autorizzazione.
I suoli lombardi sono divisi in vulnerabili e non vulnerabili sulla base delle indicazioni
contenute nella direttiva n. 12 del 15 aprile 1996 dell’autorità di bacino del fiume Po, in linea
con la direttiva 91/676 C.E.E. La classificazione del territorio comunale in “vulnerabile” e
“non vulnerabile” è stata fatta utilizzando le informazioni inerenti la sensibilità del suolo
fornite dall’E.R.S.A.L. e dalle province utilizzando il criterio della prevalenza.
55
La classificazione in zone “vulnerabili” e “non vulnerabili” tiene conto anche dei territori dei
comuni in deroga per la quantità dei nitrati nell’acqua potabile e dei territori di quelli il cui
substrato podologico li rende a rischio di inquinamento da nitrati.
Il piano di utilizzazione agronomica dei reflui zootecnici (P.U.A.-P.U.A.s., art.3) è il
documento indicante i criteri che l’agricoltore intende seguire per impiegare in forma
agronomicamente corretta i reflui. Detto piano deve consentire la valutazione della modalità
di utilizzo dei reflui ed il controllo delle stesse tenuto conto della specie allevata. In
particolare:
• I produttori le cui aziende ricadano nei comuni classificati come “vulnerabili”
sono tenuti alla presentazione del P.U.A.
• I produttori le cui aziende ricadano nei comuni classificati come “non
vulnerabili” sono tenuti:
a) nei comuni a basso carico zootecnico, alla presentazione del P.U.A.
se il carico dell’allevamento è uguale o maggiore di 3,0 tonnellate per
ettaro di S.A.U. aziendale
per gli allevamenti il cui carico risulti inferiore verrà presentato il
P.U.A.s.
b) nei comuni ad alto carico zootecnico, alla presentazione del P.U.A. se
il carico dell’allevamento è uguale o maggiore di 2,0 tonnellate per
ettaro di S.A.U. aziendale;
per gli allevamenti il cui carico risulti inferiore verrà presentato il
P.U.A.s.
Il carico massimo dei reflui zootecnici (art.4) applicabile ai suoli adibiti all’uso agricolo in
termini di azoto totale per ettaro e per anno è di 340 kg. Per le aree classificate come
“vulnerabili”, i limiti massimi di azoto per ettaro e per anno sono fissati a 170 kg, elevabile a
210 kg per i primi quattro anni di applicazioni della L.R. 37/93 (quindi fino al 1997). Tali
valori devono essere intesi come valori medi aziendali e al netto delle perdite di stoccaggio e
di distribuzione in campo. Qualora sussistano particolari esigenze colturali, e nel caso di
doppia coltura ad elevato assorbimento di azoto, i suddetti limiti per le aree vulnerabili
possono essere superati, purché rispettino il limite massimo annuale per ettaro di 340 kg.
I titolari di allevamenti che utilizzano, per lo spandimento dei liquami, anche terreni in
concessione, sono comunque tenuti alla presentazione del P.U.A. Ai fini del presente
56
regolamento per S.A.U. aziendale deve intendersi quella riferita ai terreni condotti
direttamente dal dichiarante a titolo di proprietà, affitto, enfiteusi, comodato ecc..
I titolari degli allevamenti di consistenza inferiore a 8 tonnellate per bovini, suini ed ovini e a
3 tonnellate per gli avicunicoli, che producano reflui, sono sottoposti soltanto all’obbligo di
comunicazione al sindaco. Non sono soggetti ad autorizzazione né a comunicazione i piccoli
allevamenti di tipo familiare.
La distribuzione dei liquami sui suoli agricoli è ammessa unicamente sui terreni registrati in
un P.U.A.- P.U.A.s. autorizzati, che ne garantisca l’uso ai fini agronomici e tenga conto delle
caratteristiche dei suoli e delle esigenze delle colture.
Nei suoli destinati a set-aside (a riposo) non è ammesso lo spandimento di liquame e di
letame.
I terreni agricoli adibiti allo spandimento dovranno essere disponibili per proprietà, affitto o
per accordi specifici che saranno dichiarati, con atti notori del concedente.
Sia per gli allevamenti già esistenti che per quelli ancora da realizzare (art.7), è necessario
adeguare le vasche di stoccaggio ai bisogni dell’azienda al fine di rispettare la vulnerabilità
del terreno ed evitare problemi legati a scarichi non autorizzati.
Oltre ad essere definite le caratteristiche costruttive (artt.7-8) che è necessario osservare per
una corretta progettazione delle vasche, sono anche indicati anche i requisiti che devono
essere rispettati dai reflui stessi e dal posizionamento delle fosse che li contengono. E’
espressamente citato (art.7) che lo stoccaggio dei liquami o delle acque di lavaggio destinati
all’utilizzazione agronomica deve essere effettuato in contenitori, la cui capacità complessiva
rapportata alla potenzialità massima dell’allevamento, e tenendo conto dell’ordinamento
colturale, non può essere inferiore a 180 giorni, ad eccezione degli allevamenti bovini da latte
per i quali è richiesto uno stoccaggio non inferiore a 120 giorni. Il dimensionamento degli
stoccaggi viene determinato attraverso la valutazione dei fabbisogni delle colture e dei periodi
e volumi previsti per la distribuzione dei reflui. Il dimensionamento (per quanto riguarda la
capacità) delle opere per lo stoccaggio dei reflui zootecnici deve essere effettuato dallo stesso
professionista incaricato di redigere il P.U.A. Ciò per tenere conto delle reali esigenze
agronomiche dell’azienda.
Lo spandimento, inteso come azione, deve avvenire nel rispetto di alcune regole (art.9).
Innanzitutto è vietato lo spandimento di liquami durante la pioggia e per almeno un giorno
dopo la pioggia stessa, nonché sul terreno saturo d’acqua, gelato o ricoperto di neve. Lo
spandimento è comunque vietato nel periodo tra il 1° dicembre e il 28 febbraio. Il Sindaco,
qualora ricorrano particolari condizioni meteorologiche favorevoli, può con propria
57
ordinanza, attualmente previo parere di ARPA e provincia (basato sul Bollettino Meteo
emesso quotidianamente dall’E.R.S.A.F.), derogare su tale periodo fino a un massimo di venti
giorni continuativi. In più lo spandimento è vietato nei terreni posti a meno di 200 metri dai
punti di captazione di pubblico acquedotto.
Il titolare dell’attività (art.10) deve tenere un registro di carico e scarico, vidimato dal comune
in cui il titolare trasportatore ha sede legale, contenente gli estremi relativi alla data, alla
provenienza, alla quantità di ogni singolo trasporto, ai terreni luogo di spandimento.
L’approvazione del piano rimarrà valida fino a quando rimangono inalterate le condizioni
considerate per la formulazione del parere. Qualora intervengano sostanziali modifiche
relative a tipologia e dimensione dell’allevamento, superficie disponibile, rotazione colturale
e calendario di distribuzione, dovrà essere richiesta una nuova autorizzazione.
Fig.3.1 - Distribuzione del carico zootecnico a livello comunale (Suini).
58
Fig.3.2 - Distribuzione del carico zootecnico a livello comunale (Bovini e Suini).
Fig.3.3 - Distribuzione del carico di azoto di provenienza zootecnica (Suini) a livello comunale.
59
Fig.3.4 - Distribuzione del carico di azoto di provenienza zootecnica (Bovini e Suini) a
livello comunale.
60
4 - IMPIANTI DI DIGESTIONE ANAEROBICA
4.1 LA SITUAZIONE IN EUROPA
Per capire meglio la realtà che ci circonda, occorre innanzitutto rivolgere lo sguardo verso gli
altri Paesi dell’Unione Europea, descritta da un articolo apparso su una rivista del settore (S.
Piccinini, 2003).
In Europa la diffusione della digestione anaerobica è iniziata nel settore della stabilizzazione
dei fanghi di depurazione (si stimano circa 1.600 digestori operativi fino ad ora in Europa).
Attualmente la digestione anaerobica è considerata una delle tecnologie migliori per il
trattamento delle acque reflue industriali ad alto carico organico; già nel 1994 erano operativi
circa 400 impianti di biogas industriali e centralizzati.
Numerosi sono anche i digestori anaerobici operanti su liquami zootecnici con stime attuali
pari a più di 1.500 impianti, di cui circa 100 in Italia, operativi nei Paesi della Comunità
europea, in particolare in Germania, Italia, Danimarca, Austria e Svezia.
La potenzialità di trattamento annuale è superiore a 5,5 milioni di tonnellate (circa 1/5 è
costituita da frazione organica di R.U. e/o residui organici industriali; il resto sono
essenzialmente liquami zootecnici) e possono produrre circa 1.000 MWh per anno di energia
elettrica. La capacità di trattamento di frazioni organiche solide (esclusi i fanghi di
depurazione) è cresciuta negli ultimi dieci anni da 122.000 t/anno a circa 1,1 milioni di t/anno.
La maggior parte degli impianti sono stati costruiti in Germania (53), Danimarca (21),
Svizzera (11) e Svezia (10).
Per il 2001 si può stimare che la produzione di biogas nei Paesi dell’Unione europea sia stata
pari a circa 29,2 milioni di MWh.
La biomassa prodotta annualmente nei Paesi dell’Unione europea ammonta a circa 1.200
milioni di tonnellate, di cui circa il 90% è costituito da deiezioni animali e il resto da rifiuti
organici urbani e industriali. L’energia potenzialmente recuperabile annualmente dalla
biomassa avviabile a digestione anaerobica nei 15 Paesi dell’Unione europea è di circa 209
milioni di MWh.
Per l’Italia, in una recente pubblicazione è stata stimata una produzione di biogas nel 2001 di
145 ktep (circa 1,7 milioni di MWh), dei quali oltre un terzo è attribuibile al recupero di
biogas dalle discariche per i rifiuti urbani.
61
Sempre lo stesso autore, ma su un'altra rivista aggiunge che, (S. Piccinini, 2002), fuori
dall’Italia gli esempi non mancano: in Austria, a nord-ovest di Vienna, c’è un’azienda
agricola non zootecnica che, oltre a circa 1.000 metri cubi di liquame suino di allevamenti
vicini, tratta 5 mila tonnellate all’anno di scarti organici domestici del vicino abitato e quelli
raccolti nel locale mercato ortofrutticolo. L’agricoltore viene pagato dalla collettività fino a
0,04 euro/chilogrammo per ritirare gli scarti; dalla digestione anaerobica degli scarti organici
ottiene un fertilizzante liquido di qualità, con buon tenore di azoto, da utilizzare in campagna.
Inoltre, produce l’energia che serve per la gestione dell’impianto di digestione anaerobica e
per la sua azienda, e vende l’elettricità eccedente all’ente nazionale elettrico per 0,13
euro/kWh. Altri esempi simili esistono in Germania, dove ci sono numerosi impianti di biogas
(oltre 1.000) in aziende zootecniche, le quali insieme ai liquami trattano anche altri scarti
organici. In Danimarca e Germania, ancora, sono già funzionanti oltre 50 impianti consortili
di digestione anaerobica, dove viene effettuata la co-digestione di vari tipi di biomasse, tra le
quali la frazione organica dei rifiuti urbani e pure liquami zootecnici. In Danimarca, in
particolare, sono attualmente funzionanti 21 impianti centralizzati di co-digestione che
trattano annualmente circa un milione di tonnellate di liquami zootecnici e 325 mila tonnellate
di residui organici agroindustriali e frazioni organiche derivanti dalla raccolta differenziata dei
rifiuti urbani.
Come si può osservare dagli articoli riportati sopra, la produzione di biogas da reflui
zootecnici in Europa è già ben avviata e prevede più soluzioni impiantistiche per la digestione
anaerobica non solo di un unico tipo di refluo, ed inoltre con la possibilità di aggiungervi
scarti organici che aumentano la produttività dell’impianto stesso.
4.2 LA SITUAZIONE IN ITALIA
Lasciando l’ambito europeo, la realtà per quanto riguarda il nostro Paese ci rifacciamo viene
mostrata da un articolo apparso su una rivista del settore (S. Piccinini, 2003).
In Italia, alla fine degli anni ottanta, si è andata diffondendo una nuova generazione di
impianti di biogas semplificati e a basso costo, realizzati sovrapponendo una copertura di
materiale plastico a una vasca di stoccaggio dei liquami. Questi impianti vengono realizzati
non solo allo scopo di recuperare energia, ma anche di controllare gli odori e di stabilizzare i
liquami. Da un censimento del 1997, si sa che circa quaranta di questi impianti erano già
62
operativi. Circa altri 30 impianti sono stati realizzati dal 1999 al 2002. Queste unità operano
“a freddo” o a temperatura più o meno controllata.
Nel 1999, 72 impianti di biogas funzionavano con liquami zootecnici in Italia. Cinque di
questi sono centralizzati e 67 sono aziendali. La quasi totalità degli impianti è localizzata nelle
regioni del nord (39 in Lombardia, 7 in Emilia-Romagna, 12 in Trentino-Alto Adige). La
maggior parte degli impianti opera con liquame suino; solamente 12 impianti aziendali, tutti
localizzati nella provincia di Bolzano, e due centralizzati trattano liquame bovino. Sono
ancora pochi gli impianti che trattano miscele di più reflui, non solo zootecnici.
Tra gli impianti aziendali prevalgono quelli di tipo semplificato e a basso costo, realizzati
sovrapponendo una copertura di materiale plastico a una vasca o laguna di stoccaggio dei
liquami.
Relativamente all’uso del biogas, la cogenerazione (produzione combinata di calore ed
energia elettrica) è prevalente. Infatti, in tutti gli impianti centralizzati e in 40 impianti
aziendali sono installati cogeneratori; in 21 impianti, in genere annessi a caseifici per la
produzione di grana padano o parmigiano-reggiano, il biogas viene bruciato direttamente in
caldaia.
4.3 PREMESSA PER GLI IMPIANTI VISIONATI
Per comprendere meglio la realtà dell’argomento affrontato, abbiamo analizzato due aziende
del settore agricolo-zootecnico aventi entrambe un allevamento suinicolo di dimensioni
simili, ma con impianti di digestione anaerobica estremamente diversi.
La scelta è ricaduta su due particolari aziende poiché gli impianti adottati presentano uno
l’evoluzione tecnologica in materia di produzione energetica per mezzo di reflui zootecnici e
biomasse aggiunte; l’altro la base e la semplicità di un impianto di tipo economico, fino ad
ora realizzato nel nostro Paese, rivisto e rimodernato per quanto riguarda le caratteristiche
negative che avevano contraddistinto questa tipologia di impianti. Abbiamo voluto
evidenziare le caratteristiche principali del primo impianto descritto poiché, come affermano i
progettisti stessi, “si tratta di una struttura tecnologica di prima costruzione in Italia. Essa,
dicono i progettisti, può arrivare a trattare reflui zootecnici con aggiunta di biomasse sia in
condizione mesofila che in condizione termofila riuscendo a portare il contenuto del digestore
ad una temperatura prossima a 55°C e quindi prossima alla pastorizzazione. All’estero questa
63
tipologia di impianto è già in funzione con risultati molto soddisfacenti, trattando anche scarti
di carne da macello poiché lo stato di termofilia permette di abbattere i batteri patogeni”.
4.4 IMPIANTO ADOTTATO NELL’AZ. AGRICOLA “S. EUROSIA”
Fig.4.1 – Ingresso dell’azienda agricola “S. Eurosia”.
L’impianto in oggetto è situato nel comune di Formigara (CR) a qualche chilometro dal
centro abitato. L’allevamento suinicolo è nato nel 2000, ma al tempo, non era ancora stata
prevista la costruzione di un impianto di digestione anaerobica. In un primo momento infatti
l’azienda conduceva lo stoccaggio dei liquami in modo tradizionale, mediante vasche di
raccolta che dei liquami che convogliavano i reflui alle vasche di stoccaggio mediante
tubazioni.
Per quanto riguarda il costo dell’impianto è opportuno fornire delle specifiche poiché
l’azienda, insieme ad un'altra azienda lombarda, sono riuscite ad ottenere il finanziamento
massimo consentito della legge 10/91 “norme per l’attuazione del piano energetico nazionale
in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e sviluppo delle fonti
rinnovabili di energia”. L’attenzione e la tempestività del proprietario sono state premiate con
l’ottenimento di un contributo pari al 55%, che ammonta a 244.000 € dato che il costo totale
dell’impianto è di 444.000 €.
64
4.4.1 Certificazioni di cui è dotato
L’impianto è in possesso delle necessarie autorizzazioni all’installazione ed all’esercizio di un impianto per la
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, rilasciate da:
- Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato n°20 del 07/03/2000, ai sensi dell’art.4 del
D.P.R. 11/02/1998, n°53. E’ stabilito che entro 60 giorni dal ricevimento dei pareri o dalle determinazioni
assunte nella conferenza dei servizi secondo la disciplina di cui all’art.3, il Ministro dell’industria, del
commercio e dell’artigianato adotta, con proprio decreto, il provvedimento con cui rilascia o nega
l’autorizzazione) e dell’art.17 del D.P.R. 24/05/1988 n°203.
- Regione Lombardia – D. G. Tutela Ambientale – Decreto n°72 del 04/01/2000, ai sensi dell’art.17 del
D.P.R. 24/05/1988 n°203.
- Provincia di Cremona – Ambiente Ecologia – Decreto n°167 del 16/08/2001, installazione nuovo modulo
per la produzione di energia elettrica, ai sensi dell’art.17 del D.P.R. n°203 del 24/05/1988. L’art.17
stabilisce che l’art.16 del D.P.R. n°203 del 24/05/1988, non si applica alle centrali termoelettriche e alle
raffinerie di oli minerali. Le autorizzazioni di competenza del ministro dell’industria, del commercio e
dell’artigianato, previste dalle disposizioni vigenti per la costruzione e l’esercizio degli impianti di cui al
comma 1, sono rilasciate previo parere favorevole dei ministri dell’ambiente e della sanità, sentita la
regione interessata. Dopo l’approvazione del piano energetico nazionale, per le centrali di nuova
installazione saranno applicate, anche in deroga alle disposizioni del presente decreto, le procedure
definite nell’ambito del piano medesimo. Il parere di cui al comma 2 è comunicato alla regione e al
sindaco del comune interessato. Le misure previste dall’art.8, comma 3 secondo periodo, e dell’art.10
sono adottate, a seguito di rapporto della regione, dal ministro dell’Industria, del Commercio e
dell’Artigianato, in conformità alla proposta del ministro dell’ambiente, di concerto con il ministro della
sanità. Con la procedura prevista dal comma 4 sono adottati i provvedimenti previsti dall’art.13, commi 1,
2 e 4).
Rilascio dell’autorizzazione allo spandimento LR 37/93 (PUA)
L’azienda, denominata “S. Eurosia”, è ubicata nel comune di Formigara in provincia di
Cremona. I suoli di proprietà della stessa azienda sono siti in più comuni che oltre a quello di
Formigara annoverano Pizzighettone, Castelleone, Montodine, Ripalta Arpina.
Dai sopralluoghi effettuati dai tecnici dell’ARPA risulta che l’azienda è destinata
all’allevamento di suini da ingrasso per un totale di circa 6.000 capi corrispondenti a circa 500
tonnellate di peso vivo complessivo e producenti circa 22.612 m3 di liquame prodotto
annualmente.
65
Le fosse di stoccaggio del liquame presenti al momento della valutazione, effettuata il
26/09/2002, sono 3 esterne parzialmente interrate e senza copertura, della capacità
complessiva di 8.080 m3. In progetto vi è una quarta fossa di stoccaggio con le stesse
caratteristiche delle precedenti della capacità di 3700 m3. Come abbiamo potuto verificare
dalle nostre, anche il vascone in progetto è stato realizzato.
Dal catasto terreni risulta che la S.A.U. aziendale è composta da 85,27 ha in affitto e 76,34 ha
in convenzione per un totale di 161,61 ha di terreni a disposizione.
La rotazione colturale praticata è mais da granella e il carico di azoto gravante sui suoli
disponibili è pari a 217 kg/ha.
Seguiamo ora passo a passo le procedure, dettate dalla L.R. 37/1993, per risalire alla necessità
di presentazione di P.U.A. o P.U.A.s.:
Scelta - classificazione tra “Vulnerabilità” o “Non vulnerabilità”: dall’allegato n. 2, che
contiene i comuni della Regione Lombardia dichiarati “vulnerabili”, risultano assenti tutti i
comuni di interesse. Di conseguenza essi sono da considerare tutti “non vulnerabili”.
Comuni “Non vulnerabili”, scelta - ad alto o a basso carico zootecnico: la “non
vulnerabilità” comporta, secondo tale Legge, l’individuazione del comune in esame tra le due
categorie previste dall’allegato n.1 della L.R. 37/93, vale a dire tra alto carico zootecnico e
basso carico zootecnico.
Scorrendo l’elenco in questione ritroviamo Formigara, Castelleone, Montodine, Ripalta
Arpina tra i comuni a basso carico zootecnico, mentre Pizzighettone tra i comuni ad alto
carico zootecnico.
Comuni ad alto e a basso carico zootecnico, scelta tra P.U.A. o P.U.A.S.: la scelta tra i due
nasce dal valore assunto dal rapporto tra le tonnellate di peso vivo allevato e la S.A.U. a
disposizione dell’azienda. In questo caso il rapporto tra 500 t di peso vivo e 161,61 ha di
S.A.U. risulta essere pari a 3,09 t/ha.
Per i comuni ad alto carico zootecnico:
carico dell’allevamento > di 2,0 t/ha presentazione del P.U.A.
carico dell’allevamento < di 2,0 t/ha presentazione del P.U.A.s.
66
Il comune di Pizzighettone, dato che il carico dell’allevamento risulta essere di 3,09 t/ha,
sarebbe soggetto a P.U.A.
Per i comuni a basso carico zootecnico:
carico dell’allevamento > di 3,0 t/ha presentazione del P.U.A.
carico dell’allevamento < di 3,0 t/ha presentazione del P.U.A.s.
I comuni di Formigara, Castelleone, Montodine, Ripalta Arpina, dato che carico
dell’allevamento risulta essere di 3,09 t/ha, sarebbero soggetti a P.U.A..
In generale quindi, tenendo conto di tutti i comuni, risulta comunque necessario il P.U.A.
Precedentemente era stato specificato che il carico di azoto gravante sui suoli disponibili è
pari a 217 kg/ha all’anno. I suoli utilizzati dall’azienda sono dichiarati “non vulnerabili”, il
carico di azoto ammesso è di 340 kg/ha all’anno. Dato che il carico di azoto dell’azienda è di
217 kg/ha all’anno, tale limite di legge risulta rispettato.
Conclusioni degli esaminatori dell’ARPA:
- Viste le idonee caratteristiche dell’allevamento;
- Valutata la non vulnerabilità dei suoli a ricevere i reflui zootecnici;
- Considerato che gli stoccaggi dei reflui presenti e in progetto garantiscono un’autonomia di
almeno 180 giorni per la maturazione dei liquami;
- Accertato che le strutture indicate come in progetto sono state realizzate ed hanno adeguato
gli stoccaggi alle esigenze aziendali;
- Vista la relazione tecnica allegata (P.U.A.) redatta tramite software GIARA 37 versione 3 da
Rinaldi Carlo – Agrotecnico;
- Valutata la compatibilità dei metodi di distribuzione dei reflui;
- Vista la L.R. 37/93 e suo Regolamento Attuativo;
- Vista la direttiva dell’autorità di Bacino del fiume Po;
- Visti gli artt. 38 e 62 del decreto legislativo 152/99 e successive modificazioni ed
integrazioni;
- Visto il carico azotato aziendale gravante sui suoli disponibili di 217 kg/ha ogni anno;
- Visto il carico di peso vivo allevato gravante sui suoli disponibili di 3,09 t/ha.
Si esprime parere favorevole al piano di utilizzo agronomico presentato dall’azienda agricola
AGROSOCIETA’ di Rinaldi A. P. C. s.s., ai fini dell’applicazione dei reflui prodotti sui suoli
67
nei Formigara, Pizzighettone, Castelleone, Montodine, Ripalta Arpina, relativamente al
quantitativo di reflui previsto nella ripartizione del P.U.A. presentato, corrispondenti al carico
ed al numero di capi citati in premessa.
4.4.2 Tipologia di allevamento
L’azienda è costituita da un allevamento di circa 6.000 suini a cui si aggiunge un piccolo
allevamento di vacche da carne. L’allevamento suinicolo è, per quanto abbiamo potuto
appurare, all’avanguardia in tutte le sue caratteristiche tecnologiche sia nella preparazione dei
mangimi che nell’alimentazione dei suini.
Fig.4.2 – Box di suini e paddok con bovini.
Per quanto concerne l’approvvigionamento delle
silos principali cilindrici contenenti insilato di ma
le restanti materie prime come crusca, orzo e pre
Cafarri e la Progeo, specializzate nella produzion
Il meccanismo di preparazione delle miscele è c
un ufficio adiacente l’allevamento, l’addetto ins
percentuali delle varie componenti del pasto, s
anche del veterinario.
L’elaboratore comunica con i silos che, in base a
varie materie. Ogni componente del pasto viene s
di raccolta collegata a una pesa elettronica che h
siano state rilasciate le quantità stabilite.
68
scorte alimentari, sono stati predisposti due
is e ulteriori nove silos in cui sono contenute
parati già pronti acquistati da due aziende, la
e di mangimi complementari.
ompletamente automatizzato. Dall’interno di
erisce, o modifica, nell’apposito computer le
tabilite in base al parere dell’allevatore ed
i comandi ricevuti, permettono l’uscita delle
caricata dal silos all’interno di una tubazione
a il compito di verificare che effettivamente
F
m
L
d
p
v
ig.4.3 – Panoramica dei silos presenti in azienda (a sinistra). Pesa per il dosaggio delle
aterie prime delle ricette (a destra).
a tubazione di raccolta convoglia il tutto verso una vasca di miscelazione in cui, ancor prima
ell’arrivo di questi alimenti, è già stata introdotta una certa quantità d’acqua sempre
reimpostata dall’allevatore. A questo punto, acqua e mangimi vengono miscelati e il tutto
iene inviato ai singoli box dove gli animali possono nutrirsi.
69
Fig.4.4 – Fase di preparazione delle ricette.
Ogni singolo silo è monitorato in modo tale da poter avere sempre sotto controllo la riserva a
disposizione ancor prima del completo esaurimento. Proprio per scongiurare tale situazione,
che provoca inconvenienti e danni economici, l’allevatore può impostare a piacimento la
soglia minima al di sotto della quale il computer invia un avviso di prossimo esaurimento
delle scorte.
Risulta naturale chiedersi che cosa possa accadere nell’eventualità di un guasto al computer, a
causa della quale l’allevatore, impossibilitato ad agire manualmente, non potrà far fronte alle
operazioni di preparazione e distribuzione dei pasti. Per tale evenienza è stato aggiunto nello
stesso ufficio un computer di riserva collegato in rete con il computer principale. Il
responsabile potrà, nell’immediato, collegarsi ad Internet con il computer di riserva e
contattare i fornitori dell’elaboratore in panne che invieranno i comandi necessari dalla loro
sede per far proseguire nel frattempo le varie operazioni. Sempre tramite Internet essi
tenteranno di risolvere i problemi che hanno portato all’inconveniente e, se i tentativi non
andranno a buon fine, i fornitori giungeranno in azienda e sostituiranno il computer guasto
con un rimpiazzo fino a quando il problema non sarà individuato e risolto.
L’allevatore ci ha fatto presente che nei tre anni di vita dell’azienda, il guasto del computer
principale si è verificato solamente una volta ed è stato risolto via Internet. Non ci sono stati
70
grandi inconvenienti grazie anche al fatto che tale problema non si è presentato di domenica,
giorno molto critico a causa dell’ovvia mancanza di personale che possa controllare.
Ciclo di vita dell’allevamento
Nell’azienda in esame, i suini arrivano a circa 3 mesi di vita con un peso che risulta variabile
in funzione della provenienza e dell’offerta di mercato. Infatti il peso medio dei suini in
ingresso è passato da circa 38 kg di media tra gennaio 2003 e ottobre 2003, a circa 50 kg di
media tra novembre 2003 e febbraio 2004. Il motivo di questo salto di categoria risiede in una
differente tendenza da parte dell’offerta che preferisce fornire capi non più come magroncelli,
ma già come magroni. A nostro avviso questo tipo di offerta risulta in parte vantaggiosa
grazie alla diminuzione dei tempi necessari all’ingrasso e alla maggior robustezza dei suini,
ma presenta l’inconveniente di non seguire la dieta del suino per un buon periodo di tempo e
ciò può andare a discapito delle caratteristiche della carne se si punta verso una produzione di
qualità.
Il periodo di permanenza dei capi in allevamento risulta di circa 180 giorni (circa 6 mesi) che
possono essere aumentati in funzione di ritardi di crescita causati, ad esempio, da periodi di
malattia. Se tutto procede secondo i tempi previsti, i suini lasceranno l’azienda a circa 9 mesi
di vita fino al raggiungimento del peso di circa 160 kg.
I suini sono nutriti secondo una precisa dieta che varia a seconda di intervalli di peso
predefiniti. Sono presenti 5 tipologie di diete principali: tra 35 e 50 kg, tra 50 e 80 kg, tra 80 e
130 kg e tra 130 e 160 kg. Le varie ricette non sono sempre uguali, ma vengono differenziate
in base al peso di ingresso dei capi in azienda, allo stato di salute dei capi e in funzione della
stagione.
Riportiamo qui di seguito (Tab.4.5 ) ricette standard a cui, di volta in volta, vengono apportate
leggere modifiche in base ai fattori sopra citati. Dai vari rapporti “secco-bagnato” contenuti in
queste ricette, abbiamo ricavato anche i consumi teorici di acqua presentati più avanti.
Tab.4.5 – Principali ricette utilizzate in azienda per fascia di peso.
ricetta per capi dai 35 ai 50 kg 55% nucleo 930 rapporto ' secco:bagnato ' 10:36 15% orzo presenza sostanza secca 21,50% 30% farina di mais costo al kg 1,307 € ricetta per capi dai 50 ai 80 kg
71
50% nucleo 930 rapporto ' secco:bagnato ' 10:35 25% orzo presenza sostanza secca 22% 25% farina di mais costo al kg 1,302 € ricetta per capi dagli 80 ai 130 kg 40% nucleo 931 rapporto ' secco:bagnato ' 10:33 10% orzo presenza sostanza secca 23% 50% Farina di mais costo al kg 1,242 € ricetta per capi dai 130 ai 160 kg 35% nucleo 931 rapporto ' secco:bagnato ' 10:33 10% orzo presenza sostanza secca 23% 55% farina di mais costo al kg 1,242 € ricetta per capi dai 130 ai 160 kg 14% nucleo 914 rapporto ' secco:bagnato ' 10:33 15% orzo presenza sostanza secca 23% 60% farina di mais costo al kg 1,282 € 11% crusca ricetta per capi malati 50% nucleo contenuto nel silo 2 rapporto ' secco:bagnato ' 10:40 10% orzo presenza sostanza secca 20% 40% farina di mais costo al kg 1,363 €
Problemi sanitari dell’allevamento
La malattia rappresenta forse la principale fonte di problemi in un allevamento suinicolo. Essa
si può presentare sotto diverse forme che vanno dai casi di influenza ai casi di dissenteria,
problema quest’ultimo di notevole entità a causa della forte presenza di liquidi
nell’alimentazione del suino (si parla di circa 7-8 litri di acqua ingeriti al giorno).
In caso di malattia è ovviamente necessario sottoporre i suini a cure mediche mediante
somministrazione di farmaci. La presenza di antibiotici nelle deiezioni è un fattore che
influenza la qualità dei liquami stessi e, nel caso di immissione nel digestore, gli antibiotici
vanno ad intaccare anche la flora batterica presente nelle vasche con conseguente diminuzione
(e a volte interruzione) della produzione di biogas.
Da studi condotti dai progettisti dell’impianto è emerso che la presenza di antibiotici nelle
deiezioni si protrae per circa 2-3 giorni dopo la cessazione delle cure stesse. Ciò implica che
per tutto questo periodo di tempo, i liquami prodotti dai suini infetti siano dannosi per i batteri
del digestore, che morirebbero nel caso di contatto con gli antibiotici. Nella progettazione
dell’impianto è prevista la necessità di far fronte a questa situazione (per nulla remota) e,
72
grazie a vasche di raccolta suddivise per settori, è possibile bypassare le deiezioni provenienti
da box in cui sono presenti capi sottoposti ad antibiotici. In tale modo i liquami “intaccati”
non saranno convogliati verso il digestore e non sarà compromessa la produzione di biogas.
E’ da sottolineare però l’aspetto tecnico della presenza di vasche di raccolta suddivise per
settori. In questo modo infatti il quantitativo di deiezioni bypassate è limitato solo a quelle
contenenti antibiotici e grazie a questo accorgimento il digestore potrà comunque funzionare.
Se infatti non ci fosse stata questa suddivisione e ci fossimo trovati di fronte alla presenza di
un’unica vasca di raccolta, tutte le deiezioni, sia buone che cattive, si sarebbero mescolate
rendendo il totale inutilizzabile con conseguente necessità di interrompere il funzionamento
dell’impianto per non compromettere la salute della flora batterica. Ciò avrebbe comportato
un danno economico ripetuto ogni qualvolta si fosse verificata la necessità di cure con farmaci
(e come già detto non è remota). Nel caso in cui l’allevamento fosse già ben avviato e ci fosse
un’unica vasca di raccolta, al di là delle spese necessarie a realizzare i muretti di separazione,
sarebbe stato necessario spostare o diminuire la presenza di suini nelle allevamento per
permettere i lavori (spostamento o diminuzione dei suini, sollevamento di parte del grigliato,
costruzione del muretto di separazione, attesa, riposizionamento del grigliato e reiterazione di
tutte queste azioni per il settore successivo). Naturalmente in entrambe le soluzioni, condotte
necessariamente su lunghi tempi, si parla di agire su migliaia di capi e ciò provoca un danno
economico di notevole entità.
4.4.3 Commento dei dati di produzione
Dati: morti, scarti, entrate e uscite
La mancanza di dati reali sulla produzione di biogas e di energia elettrica ha reso necessario
procedere con una stima di previsione su tali informazioni.
La raccolta dati è stata effettuata presso l’azienda “S. Eurosia” visionando i registri delle
entrate e delle uscite, delle morti e degli scarti. Con entrata si intende l’arrivo di un certo
numero di suini per dare inizio a una nuova linea di produzione. Con uscita si intende il
licenziamento dei suini rimasti nella linea una volta arrivati al peso stabilito dall’allevatore.
Le morti e gli scarti costituiscono i fattori che vanno a depurare il numero dei suini in entrata
al fine di determinare il numero di suini in uscita. In particolare con il termine scarti si
indicano quei capi che devono essere allontanati dal gruppo a causa di svariati motivi. Un
suino può essere scartato come conseguenza a lividi sul corpo, che pregiudicano la qualità
73
della carne, causati da violenti scontri e zuffe con altri capi, o a causa del distacco parziale o
totale della coda dell’animale, che determinerà l’insorgere di infezioni, a seguito di morsi da
parte di altri suini, o essere dovuto all’uscita di parte dell’intestino che porterebbe ad una
sicura uccisione del suino da parte dei compagni stessi.
Deve essere sottolineato che se da una parte sono presenti cartelle che contengono fatture
sulle entrate e sulle uscite che rappresentano in modo accurato l’attività aziendale, dall’altra
non vi sono dei veri e propri registri destinati esclusivamente alle morti e agli scarti
all’interno di ogni linea e quindi dell’allevamento. Questi dati sono annotati temporaneamente
fino a quando la linea non si ferma con l’uscita dei capi, momento in cui i fogli che
descrivono le informazioni vengono cestinati e quindi perduti definitivamente. Proprio per
questi motivi i dati a nostra disposizione partono da ottobre 2003. Un’altra precisazione deve
essere fatta per chiarire come abbiamo ottenuto i valori di presenze mensili. E’ ovvio che, in
ogni mese, ciascuna linea registra morti e scarti (ogni allevamento è suddiviso in più linee o
reparti che ospitano suini). Morti e scarti avvengono naturalmente in giorni diversi, ma, data
la loro distribuzione su tutto il mese, per semplificare i calcoli abbiamo deciso di posticiparli
tutti alla sua fine. Lo stesso ragionamento è stato applicato anche per le entrate e per le uscite
anche se non avvengono ovviamente con la stessa regolarità e frequenza di morti e scarti. In
questo modo abbiamo ottenuto mensilmente il numero massimo di presenze nell’allevamento.
Esso è stato quindi diviso per il numero totale mensile, via via, di morti, di scarti e della
somma dei due, ricavando l’incidenza delle morti, degli scarti e della somma dei due nei
confronti del numero di suini presenti. Non abbiamo proceduto con l’anticipo di morti, scarti,
entrate e uscite in quanto in questo modo avremmo calcolato l’incidenza mensile come
rapporto tra i suini eliminati e un totale di presenze già depurato da essi, arrivando quindi a un
risultato errato.
74
andamento mensile suini presenti e suini eliminati
5848 5857 5842 5846 5783
134 100 55 73 530
1000
2000
3000
4000
5000
6000
7000
ott-03 nov-03 dic-03 gen-04 feb-04
capi
di s
uini
suini presentisuini eliminati
Fig.4.6 – Andamento mensile dei suini presenti e dei suini eliminati in azienda.
incidenda percentuale mensile dei suini eliminati sul parco totale
2,29
1,71
0,94
1,25
0,92
0,00
0,50
1,00
1,50
2,00
2,50
3,00
3,50
4,00
ott-03 nov-03 dic-03 gen-04 feb-04
valo
re m
ensi
le p
erce
ntua
le (%
)
percentuale mensile
Fig.4.7 – Andamento dell’incidenza percentuale dei suini eliminati sul totale delle presenze
mensili.
75
Dati: consumo dell’acqua
Un fattore molto importante per quanto riguarda i costi che un allevamento deve affrontare è
quella del consumo di acqua. In esso non ricade solo l’acqua utilizzata per la pulizia dei box,
ma anche e soprattutto quella adibita all’alimentazione stessa dei suini. Questa voce risulta di
notevole peso quando si trasporta su tutto l’anno la quantità d’acqua usata come componente
di un singolo pasto per ogni suino.
In base alle percentuali di sostanza secca riportate nelle ricette adottate per le varie fasce di
peso dei capi allevati, è stata determinata l’acqua che teoricamente ogni capo consuma al
giorno.
Tab.4.8 – Consumo idrico medio giornaliero per suino.
Volume di acqua [m3/giorno] 0,0075 Volume di acqua [l/giorno] 7,5
Questa quantità è consumata dal suino in tre pasti giornalieri (a metà mattina, nel primo
pomeriggio e alla sera), per cui ogni pasto contiene 2,5 l/g per capo.
Anche in questo caso abbiamo determinato le presenze mensili riferite alla fine del mese in
modo da calcolare i consumi teorici totali. Considerando come presenti in allevamento anche i
suini eliminati (morti e scarti) nel corso del mese, da una parte sovrastimiamo i consumi, ma
dall’altra conosciamo il tetto massimo di utilizzo idrico al di sopra del quale non si va.
Tab.4.9 – Quantitativi mensili in m3 e litri di massimo consumo idrico.
mese ott-2003 nov-2003 dic-2003 gen-2004 feb-2004 capi presenti a inizio mese 5.848 5.857 5.842 5.846 5.783 quantità [m3/mese] 1.362 1.320 1.361 1.361 1.260 quantità [l/mese] 1.362.000 1.320.000 1.361.000 1.361.000 1.260.000
76
massimo consumo mensile di acqua
1362 1320 1361 13611260
0
200
400
600
800
1000
1200
1400
1600
ott-03 nov-03 dic-03 gen-04 feb-04
quan
tità
di a
cqua
util
izza
ta [m
3 /mes
e]
Fig.4.10 – Andamento mensile di massimo consumo idrico.
Il grafico mostra che i consumi di acqua si attestano su valori massimi attorno a 1.350 m3 al
mese, anche se a febbraio la quantità si discosta di circa 90 m3 dalla media avuta tra ottobre
2003 e gennaio 2004.
Dati: produzione teorica di reflui, biogas ed energia elettrica
Il progetto presentato per la realizzazione dell’impianto, presenta due vasche gemelle di
digestione anaerobica con volume pari a 1.750 m3 per vasca. Per verificare la correttezza del
dimensionamento, viene calcolata la produzione teorica mensile di reflui realizzati
dall’allevamento. Tale valore è mensile poiché i progettisti hanno stabilito un tempo di
ritenzione dei reflui pari a 30 giorni. A differenza dei casi precedenti, la produzione è stata
determinata sia nei valori massimi che nei minimi raggiunti. I primi sono stati ottenuti
considerando il numero minimo di suini presenti mensilmente, mentre i secondi considerando
il numero massimo di suini presenti mensilmente. Nella conduzione dei calcoli, ogni suino è
considerato con peso medio pari a 90 kg ed un fattore di produzione di reflui di 11 litri su
quintale di peso vivo. Quest’ultimo valore, relativo ad allevamento su fessurato totale (il caso
dell’azienda), è stato ricavato dalla tabella allegata alla L.R. 37/93 (norme per il trattamento,
la maturazione e l’utilizzo dei reflui zootecnici) che riporta valori di produzione di reflui
77
riferiti alla tipologia di allevamento e tipo di stalla. I grafici e le tabelle relativi alla stima di
produzione di reflui sono mostrati qui di seguito.
Tab.4.11 - Quantitativi mensili di disponibilità minima di reflui.
produzioni minime di reflui mese ott-03 nov-03 dic-03 gen-04 feb-04
presenti fine mese 5.714 5.757 5.787 5.773 5.730 peso medio [kg] 90 90 90 90 90
totale peso vivo [kg] 514.260 518.130 520.830 519.570 515.700totale peso vivo [q] 5.143 5.181 5.208 5.196 5.157
produzione reflui [l/q] 11 11 11 11 11 produzione totale reflui [l] 56.569 56.994 57.291 57.153 56.727
produzione totale reflui [m3/d] 56,6 57,0 57,3 57,2 56,7 produzione totale reflui [m3/mese] 1.754 1.710 1.719 1.715 1.702
produzioni massime di reflui
mese ott-03 nov-03 dic-03 gen-04 feb-04 presenti inizio mese 5.848 5.857 5.842 5.846 5.783
peso medio [kg] 90 90 90 90 90 totale peso vivo [kg] 526.320 527.130 525.780 526.140 520.470totale peso vivo [q] 5.263 5.271 5.258 5.261 5.205
produzione reflui [l/q] 11 11 11 11 11 produzione totale reflui [l] 57.895 57.984 57.836 57.875 57.252
produzione totale reflui [m3/d] 57,9 58,0 57,8 57,9 57,3 produzione totale reflui [m3/mese] 1.795 1.740 1.735 1.736 1.718
78
disponibilità mensile messima e minima di reflui
1754 1710 1719 1715 17021795 1740 1735 1736 1718
0
250
500
750
1000
1250
1500
1750
2000
2250
ott-03 nov-03 dic-03 gen-04 feb-04
quan
tità
di re
flui [
m3 /m
ese]
produzione minimaproduzione massima
Fig.4.12 – Andamento mensile della disponibilità minima di reflui.
L’andamento della produzione si aggira intorno a 1.750 m3/mese e per quanto riguarda la
differenza tra il minimo e il massimo di ogni mese, essa non supera i 50 m3/mese nel caso
peggiore.
4.4.4 Schema dell’impianto
Per descrivere l’impianto, iniziamo il percorso a partire dal punto in cui avviene la produzione
dei reflui da convogliare verso i digestori. Le stalle sono suddivise in box, come mostrato
nella figura seguente (Fig.4.13).
79
Fig.4.13 – Sezione stalla per allevamento suini.
Box per box, mediante stabulazione su griglia, i liquami derivanti dall’allevamento si
accumulano in vasche di ricezione sottostanti. Tramite canalizzazioni secondarie con sezione
crescente, i reflui sono fatti uscire dalle stalle per essere raccolte in canalizzazioni principali
interrate che circondano lo stesso edificio. Il punto di ingresso delle singole canalizzazioni
secondarie in quelle principali, prima della costruzione dell’impianto, era dotato di una paratia
in acciaio inossidabile con maniglia ad apertura manuale. Esse sono aperte solo nel momento
in cui si vuole mandare il refluo all’interno della pre-vasca e tutto ciò avviene per caduta
libera.
E’ stato previsto, da progetto, di agganciare le suddette paratie con un pistone idraulico
comandato da un quadro elettrico. Le paratie da modificare sono in tutto 16, ma due di esse
presentano un inconveniente legato al fatto che esse sono posizionate in corrispondenza a
porte di uscita dai capannoni. Per esse si è deciso realizzare un meccanismo che permetta un
movimento a ventaglio. Così facendo il pistone sollevatore, invece di lavorare in modo
verticale davanti alle porte, comportando un pericolo per gli addetti, lavora alla loro destra in
posizione orizzontale senza causare intralci.
Questa struttura pneumatica, alimentata da un compressore, permette innanzitutto di avere il
liquame disponibile in qualsiasi momento senza perdere le sue caratteristiche. Inoltre permette
di tener separati i liquami “inquinati” (vale a dire derivanti da maiali sottoposti ad antibiotici
o comunque liquami contenenti sostanze nocive per i batteri anaerobi) da quelli utilizzabili
80
per la digestione anaerobica. Per rendere possibile questa separazione, è prevista la
realizzazione di un muro che dividerà la pre-vasca in due parti. Dopo questa premessa,
riprendiamo il percorso e diciamo che a questo punto i liquami possono prendere due vie
differenti: quelli inquinati finiscono nella prima parte della pre vasca dove una pompa
convoglia i liquami nelle vasche di stoccaggio all’interno delle quali subiranno il trattamento
tradizionale. I liquami atti alla digestione anaerobica invece finiscono nella seconda parte
della pre-vasca, insieme alle biomasse (opportunamente triturate) e a circa 100 quintali a
settimana di reflui di vacche da carne. Una pompa miscelatrice spinge il tutto nel digestore
primario attraverso una condotta principale. La miscela potrà essere variata per quanto
riguarda i quantitativi delle componenti, a seconda di come si comportano i rendimenti di
biogas del processo anaerobico.
kW 15
Fig.4.14 - Pre-vasca con pompa di sollevamento esistente e pompa di miscelazione e
sollevamento in progetto (fornita dai progettisti dell’impianto).
Al fine di garantire al meglio la completezza della digestione, i fanghi passano dal primo al
secondo digestore per mezzo di collettore in modo da raccogliere una quantità ulteriore di
biogas.
81
Fig.4.15 – Tubazione di collegamento fra digestore primario e secondario.
Questo collettore è costituito da una doppia entrata nel digestore secondario, una posizionata
allo stesso livello dell’uscita dal primario, l’altra a circa due metri più in alto. Terminata la
permanenza nella seconda vasca, i reflui digeriti sono indirizzati, tramite tubazioni, verso le
vasche di stoccaggio dove sono accumulati e lasciati maturare per un ulteriore lasso di tempo.
Fig.4.16 – Vasche di stoccaggio dei liquami.
82
I due digestori, che operano in serie, hanno un volume lordo di 1.890 m3 cadauno e un volume
di processo di circa 1.750m3. Essi sono costruiti interamente in cemento armato posato e
dotati di una copertura esterna di lana di roccia per coibentare al massimo tutto il sistema.
Fig.4.17 – Fase di realizzazione dei digestori.
Ognuna delle due strutture è circondata da 18 anelli interni da 25 mm in PVC che, percorsi
da acqua calda fornita dalla caldaia, avranno il compito di mantenere la temperatura adatta
all’interno dei digestori. Parliamo di una temperatura che nella media è compresa tra 30-35°C
se si vuole lavorare in mesofilia, di 50-55°C se si vuole lavorare in termofilia. All’interno dei
digestori si creeranno le caratteristiche essenziali per una corretta digestione anaerobica vale a
dire, un corretto pH, una corretta temperatura, ecc. Per tener controllati questi parametri, sulla
copertura dei digestori sarà installata un’apposita strumentazione.
All’interno del digestore primario sono presenti due miscelatori da 11 kW cadauno mentre nel
secondario ne è presente solo uno da 15 kW. Essi avranno il compito di tener completamente
miscelato il contenuto dei digestori tenendo ben frantumata la crosta che potrebbe andare a
crearsi sopra il liquame, impedendo l’emanazione del gas.
83
kW 11 kW 11
Fig.4.18 – Sezione di massima della singola vasca di digestione anaerobica (fornita dai
progettisti dell’impianto).
All’interno dei digestori, per effetto dei batteri anaerobi, si produce il biogas. Esso, dopo
essere desolforizzato mediante condensazione, viene inviato allo stoccaggio del gas. Lo
stoccaggio del biogas è effettuato tramite un gasometro posizionato su una piattaforma in
calcestruzzo a fianco dei digestori. La sua struttura portante reticolare è in acciaio-carbonio
del peso di circa 5.000 kg ed occupa un’area di 144 m2 (12 m per 12 m). Successivamente il
gas entra in un regolatore di portata e di pressione che invia il gas al gruppo di cogenerazione
con una portata di 100 m3/h e 450 mmH2O di pressione passando per una elettrovalvola di
blocco su linea. L’elettrovalvola, a riarmo manuale, è posta all’esterno del locale di
cogenerazione. Essa è asservita ad un rilevatore di fughe di gas che, nel caso rilevi delle
perdite, fa scattare l’elettrovalvola, impedendo quindi l’ingresso del gas ai gruppi di
cogenerazione.
84
Fig.4.19 – Schema del gruppo di cogenerazione (fornita dai progettisti dell’impianto).
A questo punto ci troviamo all’interno della struttura di cogenerazione. Essa accoglie due
gruppi da 100 kW cadauno, ma è previsto un loro funzionamento a 80 kW. Essi sono collegati
al gas carburante tramite uno stabilizzatore. I due motori sono allacciati ad una linea di
raffreddamento a liquido, che viene ulteriormente riscaldata tramite uno scambiatore di calore
a contatto con i tubi dei fumi di scarico in uscita. Il liquido refrigerante andrà quindi in circolo
in tubazioni che corrono lungo il perimetro interno delle vasche dell’impianto per portare il
loro contenuto alla temperatura desiderata. E’ previsto inoltre che il riscaldamento delle
vasche sia assistito da una caldaia opzionale da 37.500 kcal.
4.4.5 Stima delle produzioni teoriche presentate dai progettisti dell’impianto
I progettisti dell’impianto ci hanno fornito un calcolo di previsione teorica della possibile
produzione dell’impianto in oggetto. I calcoli sono previsti sulle produzioni teoriche di suini
da ingrasso, come fonte principale della produzione, sulle vacche da carne presenti anch’esse
nell’azienda, ma in percentuale ridotta rispetto ai suini ed un eventuale produzione da parte di
scrofe future.
Comunque daremo maggiore importanza alla produzione dei suini da ingrasso poiché fonte
della parte predominante dei reflui presenti nell’azienda.
85
Tab.4.20 – Foglio di calcolo fornito dai progettisti dell’impianto (fornito dai progettisti
dell’impianto).
Allevamento suini
Rinaldi
unità ingrasso vacche scrofe 1 n° capi n° 6.000 150 500 2 peso vivo kg 90 450 250 3 peso vivo
totale kg 540.000 67.500 125.000
4,1 carico specifico
gSV/kg pesovivo
8,5 10 5,4
4,2 carico specifico
gSV/kg pesovivo
5,4 8,1 8,5
5,1 solidi volatili
gSV/d 4.590.000 675.000 675.000
5,2 solidi volatili
kgSV/d 4.590 675 675
6 produz. Specifica di biogas
6,1 a freddo m3/kgSV - - -
6,2 a freddo m3/kgSV - - -
6,3 a caldo m3/kgSV 0,44 0,37 0,44 7 produz. Teorica
biogas
7,1 a freddo m3/d - - -
7,2 a freddo m3/d - - -
7,3 a caldo m3/d 2.019,60 249,8 297 8 portata
giorno spec.
l/d 10 50 10
8,1 portata giorno
l/d 60.000 7.500 5.000
8,2 portata giorno
m3/d 60 7,5 5
8,3 portata mungitura specifica
l/q pesovivo
- - -
portata totale
m3/d - - -
portata scarichi
60 7,5 5
9 tempo ritenzione
giorni 30 periodo 2 30 30
10 volume m3/d 1.800 TOTALE 225 150
86
vasca
10a volume effettivo con std 1.870 considerando un delta per franco
-
10b diam. int.vasca
m 24,54 svil.circ.= 77,1 - -
11 potere calorifico
biogas
kcal 5.130 sono due vasche I° e II°
5.130 5.130
12 calorie disponibili
kcal/d
12,1 a freddo kcal/d - - -
12,2 a caldo kcal/d 10.360.548 1.281.217 1.523.61012,3 a freddo kcal/d min - - -
13,1 potenza elettrica
disponibile
% 0,32 0,32 0,32
13,2 potenza elettrica
disponibile
kcal/d
13,2,1 a freddo kcal/d - - -
13,2,2 a caldo kcal/d 3.315.375 409.989,60 487.555,20 a freddo min - - -
13,2,3 a freddo kWh/d - - -
13,2,4 a caldo kWh/d 3.855,10 476,7 566,9 a freddo min - - -
14 tempo utilizzo
h/d 24 1 1 24 24
14,1 a freddo G.E.
kW - - -
14,2 a caldo G.E.
kW 160,6 3.855,10 3.855,10 19,9 23,6
14,3 a freddo G.E.
kW min - - -
La tabella di produzione teorica di energia elettrica ci è stata fornita dai progettisti
dell’impianto. Essa è organizzata nel seguente modo. E’ stata condotta una stima di circa
6.000 suini da ingrasso presenti in azienda aventi un peso medio di 90 kg. Il prodotto di questi
due valori ha fornito l’ammontare del peso vivo aziendale, pari a 540.000 kg. Tale quantità è
stata moltiplicata per un coefficiente di 5,4 gSV/kg peso vivo fornendo 4.590 kgSV/kg peso
vivo a loro volta moltiplicati per un coefficiente di produzione di biogas di 0,44 m3/kgSV. Dai
calcoli risulta che la produzione totale in metri cubi di biogas è di 2.019 m3.
87
Successivamente è stata analizzata la quantità di reflui forniti dai suini per poter stimare
l’ampiezza del digestore. La stima di produzione di reflui giornalieri per singolo suino
ammonta a 10 l/d che, per i 6.000 capi presenti, realizza una portata giornaliera su tutto
l’allevamento di 60 m3/d. Quest’ultima applicata a un tempo di ritenzione di 30 giorni
fornisce il volume totale del digestore pari a 1.800 m3.
Proseguendo, è stata eseguita una stima delle potenzialità energetiche previste. Utilizzando un
potere calorifico di 5.130 kcal/m3 di biogas ed una efficienza elettrica dei generatori del 32%
si ricava una produzione di energia elettrica giornaliera di 3.855 kWh.
Come detto in precedenza i dati ci sono stati forniti dall’azienda costruttrice dell’impianto.
Essa ci ha inoltre confermato che i deficit di produzione del liquame suinicolo sarà colmato
con l’aggiunta di biomasse, la cui percentuale sul volume totale del digestore e composizione,
non ci sono state fornite per segreti professionale. Le stime condotte parallelamente da noi, ci
hanno portato a supporre ad una possibile stima superiore per quanto riguarda la produzione
di biogas. Ciò è stato verificato da alcuni conti mostrati nella tabella che segue.
Tab.4.21 – Verifica dei valori contenuti nel foglio di calcolo fornitoci dai progettisti
dell’impianto.
Allevamento suini unità ingrasso 10 tempo
ritenzione giorni 30
1 n° capi n° 6.000 11 volume vasca
m3/d 1.800
2 peso vivo
kg 90 11a volume effettivo con std
1.870
3 peso vivo totale
kg 540.000 11b diam. Int.vasca
m 24,54
4 COD specifico
g COD/ 100 kg
pesovivo
500 12 potere calorifico bio gas
kcal 5.130
4 COD tot kg 2.700 12 a caldo kcal/d 4.847.850
5 produz. specifica biogas
12 a freddo kcal/d min
-
6 a caldo m3/kg COD
0,35 13 potenza elettrica
disponibile
% 0,32
7 produz. Teorica biogas
13 a caldo kcal/d 1.551.312
8 a caldo m3/d 945 13 a caldo kWh/d 1.803,85
88
9 portata giorno spec.
l/d 10 14 tempo utilizzo
h/d 24
9 portata giorno
l/d 60.000 14 a caldo G.E.
kW 75,16
9 portata giorno
m3/d 60
portata scarichi
60
Nella tabella sopra riportata, è stata calcolata la produzione di biogas, in condizioni mesofile,
non più basandosi sulla quantità di solidi volatili presenti in una certa quantità di refluo, ma
sul carico di COD. Quest’ultimo è stato supposto pari a 500 g/100 kg di peso vivo al giorno
ed abbiamo considerato inoltre un fattore di conversione da COD a produzione di biogas del
35%. Effettuando i calcoli opportuni è risultato che la produzione di biogas ammonta a 945
m3/d, pari a circa la metà rispetto a quella determinata in precedenza. Se manteniamo poi
costante la produzione specifica di reflui, rimarrà costante anche il volume della vasca.
Dai calcoli quindi, risulta necessario colmare un disavanzo di produzione di circa 1.000 m3 di
biogas (2.019 m3/d stimata dai progettisti meno 945 m3/d ricavata da noi). Dato che
nell’impianto è prevista l’aggiunta di biomasse, abbiamo cercato di raggiungere le produzioni
stimate dei tecnici con biomasse opportune presenti nel nostro territorio servendoci di dati di
produzione ricavati in letteratura.
4.4.6 Possibile produzione da biomassa
Come detto in precedenza, le produzioni stimate dai progettisti sono determinate tenendo
conto della presenza di biomasse. Quantità e composizione non sono a nostra disposizione a
causa del segreto professionale, ma abbiamo tentato di risalire a tali valori.
I dati in nostro possesso evidenziano un disavanzo energetico da realizzare con l’aggiunta di
biomasse, di circa 1.000 m3 di biogas. E’ noto che nel nostro territorio le coltivazioni sono
prevalentemente destinate alla produzione di mais. Per questo motivo e per semplicità,
assumiamo tale coltura come biomassa esclusivamente utilizzata per il digestore. Di seguito è
riportata la tabella contenente sia le caratteristiche del mais (come quantità, umidità relativa,
89
presenza solidi volatili, ecc..) che i risultati finali del calcolo (quali fabbisogno annuale di
biomassa e terreno equivalente).
Tab.4.22 – Determinazione della quantità di insilato di mais necessaria a raggiungere le
produzioni di biogas desiderate.
unità totali 1 biogas da
produrre m3 1.000
2 umidità insilato
mais
% 65
3 solidi volatili
% 90
4,1 produzione specifica
CH4
m3/ kgSV d
0,36
4,2 CH4 presente
nel biogas
% 70
5 biogas da 1 t di
insilato mais
m3 113,4
6 tonnellate di insilato in aggiunta
t 9
terreno per la produzione
7 tonnellata su ettaro
t/ha 70
8 fabbisogno annuale
t 3.219
9 terreno agricolo adibito
ha 46
Il calcolo evidenzia il fatto che è necessaria una occupazione di terreno agricolo per almeno
46 ha, perciò una quantità non indifferente ma è sempre bene tenere in considerazione che
stiamo trattando il gambo e le foglie della pianta del grano turco, tralasciando il frutto cioè il
mais che sarà soggetto a normale vendita.
Andiamo ora a stimare un calcolo utilizzando come materia prima il sorgo zuccherino il quale
ha capacità maggiori di produzione di CH4.
90
Tab.4.23 – Determinazione della quantità di sorgo zuccherino necessaria a raggiungere le
produzioni di biogas desiderate.
unità totali 1 biogas da
produrre m3 1.000
2 umidità sorgo
% 72
3 solidi volatili
% 90
4,1 produzione specifica
CH4
m3/ kgSV d
0,42
4,2 CH4 presente
nel biogas
% 70
5 biogas da 1 t di
insilato mais
m3 105,84
6 tonnellate di insilato in aggiunta
t 9
terreno per la produzione
7 tonnellata su ettaro
t/ha 120
8 fabbisogno annuale
t 3.449
9 terreno agricolo
addebitato
ha 29
E’ interessante notare come la produzione specifica del di biogas per tonnellata di sorgo
rispetto all’insilato di mais non cambia, a causa del bilanciamento da parte della maggiore
umidità del sorgo e la minore produzione specifica di CH4 nell’insilato. Ma la produzione di
sorgo in termini di tonnellate su ettaro è praticamente raddoppiata andando quindi a
dimezzarmi la superficie agricola da utilizzare per la produzione.
4.4.7 Stima delle produzioni teoriche di biogas ed energia elettrica
Precedentemente, con lo scopo di verificare le stime forniteci, abbiamo determinato la
produzione giornaliera di biogas ed energia elettrica. Questi dati forniscono da una parte una
91
rapida lettura delle potenzialità aziendali, ma non tengono effettivamente conto della
variabilità delle presenze aziendali e delle disponibilità produttive a disposizione
mensilmente. Abbiamo ritenuto opportuno ed interessante stimare queste voci anche per
rendere i calcoli maggiormente affidabili e renderli raffrontabili con le produzioni registrate
con la seconda azienda da noi studiata.
L’impianto dell’azienda “S. Eurosia” è attualmente ancora in via di realizzazione, ciò ci ha
obbligati a effettuare una previsione della produzione teorica mensile di biogas ed energia
elettrica. Il calcolo di tali valori è stato condotto a partire dal numero minimo di suini presenti
in azienda ogni mese, al fine di definire una soglia minima assicurata di produzione. Il
numero di capi è stato moltiplicato per il peso vivo medio, considerato di 90 kg per capo,
ottenendo il peso vivo totale, poi convertito da chilogrammi a quintali. Il peso vivo totale è
stato moltiplicato per un fattore di conversione di 0,5 kg di COD prodotti ogni 100 kg di peso
vivo, ricavando il COD totale prodotto mensilmente. Infine dal prodotto della quantità di
COD per la percentuale di biogas, pari al 35%, abbiamo calcolato la produzione minima
mensile di biogas. Siamo quindi passati alla determinazione dell’energia elettrica prodotta a
partire dalle quantità di biogas. Esse sono state moltiplicate per il fattore di conversione, pari
a 5.130 kcal/m3 di biogas, in modo da passare da m3 di biogas alle kcal totali. Queste ultime
sono state moltiplicate per il rendimento dei motori utilizzati, pari al 32%, fornendo le kcal
effettive che, a loro volta, divise per il fattore di conversione per passare da kcal a kWh, pari a
860 kcal/kWh, ci hanno permesso di arrivare alla produzione di energia elettrica.
Deve essere precisato che i dati ottenuti sono quelli minimi stimati senza considerare
l’aggiunta di biomassa. Come evidenziato dalla tabella fornita dai progettisti dell’impianto, le
biomasse portano i quantitativi di elettricità e biogas a livelli notevoli (si stima circa il triplo
rispetto ai soli reflui). Al fine di rendere maggiormente confrontabili i valori da noi calcolati e
quelli forniti dai progettisti abbiamo deciso di assumere il peso vivo per suino, il potere
calorifico e il rendimento dei motori uguali a quelli utilizzati dai tecnici dell’impianto. Per
quanto riguarda la percentuale di biogas su kg di COD e la quantità di COD su quintale di
peso vivo abbiamo fatto riferimento ai valori presenti dal C.R.P.A. (Sergio Piccinini, 1996).
Tab.4.24 - Quantitativi mensili di produzione minima di biogas ed energia elettrica senza
considerare le biomasse.
mese ott-03 nov-03 dic-03 gen-04 feb-04 presenti inizio mese 5.714 5.757 5.787 5.773 5.730
peso medio [kg] 90 90 90 90 90 totale peso vivo [kg] 514.260 518.130 520.830 519.570 515.700
92
totale peso vivo [q] 5.143 5.181 5.208 5.196 5.157 percentuale di biogas 0,35 0,35 0,35 0,35 0,35
cod totale 79.710,3 77.719,5 80.728,65 80.533,35 74.776,5 produzione teorica di biogas [m3] 27.899 27.202 28.255 28.187 26.172
coeff. di conversione Kcal/m3 5.130 5.130 5.130 5.130 5.130 produzione kcal totali 143.119.844139.545.362144.948.291144.597.630 134.261.206
rendimento motori 0,32 0,32 0,32 0,32 0,32 produzione kcal effettive 45.798.350 44.654.516 46.383.453 46.271.242 42.963.586
coeff. di conversione kcal/kWh 860 860 860 860 860 produzione di energia [KWh] 53.254 51.924 53.934 53.804 49.958
produzione mensile teorica di biogas
27899 27202 28255 2818726172
0
5000
10000
15000
20000
25000
30000
35000
ott-03 nov-03 dic-03 gen-04 feb-04
quan
tità
di e
nerg
ia e
lettr
ica
[m3 /m
ese]
Fig.4.25 – Andamento mensile della produzione minima di biogas.
93
produzione mensile teorica di energia elettrica
53254 51924 53934 5380449958
0
10000
20000
30000
40000
50000
60000
ott-03 nov-03 dic-03 gen-04 feb-04
quan
tità
di e
nerg
ia e
lettr
ica
[kW
h/m
ese]
Fig.4.26 – Andamento mensile della produzione minima di energia elettrica.
I grafici, oltre a un inevitabile andamento identico, mostrano che la produzione prevista di
biogas si aggira sui 28.000 m3/mese, mentre quella di energia elettrica intorno a 53.000
kWh/mese.
4.4.8 La cessione dell’energia elettrica
Per quanto riguarda la cessione dell’energia elettrica sorgono diverse problematiche,
soprattutto di carattere burocratico. In un primo momento, ad inizio progetto, la strategia
dell’azienda consisteva nel cedere tutta la corrente elettrica prodotta al gestore della rete. Tale
energia sarebbe stata soggetta a tariffe concordate tra proprietario dell’impianto e gestore
della rete. Per quanto riguardava l’energia consumata dall’azienda stessa, questa sarebbe stata
riacquistata dalla rete a tariffe agevolate, minori di quelle offerte al pubblico. Tale strategia,
comportava naturalmente un utile aziendale dato dal ricavo dell’energia elettrica ceduta al
gestore meno quella utilizzata dall’azienda.
Questo non è il miglior modo di agire, per questo motivo, ora è stato stabilito di utilizzare la
corrente prodotta dai motori dell’impianto direttamente all’interno dell’azienda (essa è
comunque una piccola frazione di quella totale). Tale tipo di soluzione prende il nome di
94
consumo in isola. La quantità di energia in esubero sarà acquistata dal gestore della rete ad un
prezzo variabile a seconda del periodo dell’anno e delle fasce orarie in cui l’energia elettrica è
erogata. Per quanto riguarda l’azienda in esame, non abbiamo a disposizione prezzi di
riferimento per ogni fascia oraria. Il rappresentante del distributore della rete ha fornito un
valore medio tra le fasce attorno a 0,067 €/kWh. In linea di principio la quantità prodotta in
inverno verrà pagata maggiormente rispetto a quella prodotta in estate, anche per tener conto
delle minori produzioni invernali. In più non devono essere tralasciate le entrate legate ai
certificati verdi già presentati in precedenza.
Ulteriori introiti, possono essere ottenuti con i Certificati Bianchi, che ricordiamo legati al
riparami energetico e al miglioramento dei rendimenti. Ciò è applicabile all’impianto poiché
il digestore utilizza solo una minima parte del calore prodotto per riscaldare le vasche e la
rimanente sarebbe dispersa sotto forma di acqua calda. Questi miglioramenti, come detto nel
capitolo dedicato ai Certificati Bianchi, devono essere studiati tra distributore della rete e
proprietario.
A questo punto, sarebbe interessante studiare l’effettivo peso delle entrate legate alla
produzione di energia da fonti rinnovabili, sia tramite certificazioni che compravendita con i
distributori della rete. Per chiarire meglio il concetto, qui di seguito, è valutata l’entità di
queste voci e il loro peso per l’azienda.
Innanzitutto, è necessario determinare la potenzialità energetica dell’impianto. Al fine di una
visione più verosimile della situazione, i calcoli sono stati condotti in base al valore di
produzione giornaliera fornita dai progettisti dell’impianto, considerato pari a 3.855 kWh/d
(Tab.4.20). Tale valore è stato utilizzato per ottenere la produzione annuale, moltiplicando la
produzione giornaliera per 365 d/anno. Il risultato (di circa 1.400.000 kWh/anno) deve essere
poi moltiplicato per il valore dei Certificati Verdi. Come detto in precedenza, esiste un vero e
proprio mercato dei Certificati Verdi, mediante il quale, proprietario e distributore della rete, i
prezzi per unità di corrente vengono stabiliti mediante compravendita. L’impianto in
questione non produce ancora energia, per cui queste operazioni non sono ancora state
intavolate. Per ovviare il problema, per il valore di queste certificazioni si considera il prezzo
di offerta dei Certificati Verdi 2002 presentato dal GRTN che stabilisce 84,15 €/MWh, pari a
circa 0,085 €/kWh. Il prodotto della potenzialità energetica annuale per il valore medio dei
Certificati Verdi offre un introito di quasi 120.000 €/anno.
L’impianto è stato progettato con l’obiettivo di cedere energia in rete. Per cui, oltre alle
entrate appena presentate, esiste la possibilità di cedere l’energia prodotta in eccedenza
95
rispetto a quella consumata in isola dall’azienda stessa. Il distributore della rete si impegnerà
a ritirare l’energia pagandola un prezzo medio, tra quello estivo ed quello invernale, pari a
0,067 €/kWh.
In base alle informazioni fornite dal proprietario, la quantità di energia necessaria all’azienda
si aggira sui 195.000 kWh/anno. Dato che la produzione risulta pari a circa 1.400.000
kWh/anno, l’energia in eccesso che viene ceduta ammonta di conseguenza a circa 1.205.000
kWh/anno.
Tab.4.27– Entrate aziendali tramite Certificati Verdi e rivendita all’esterno. Produzione di energia 1.400.000 kWh/anno Prezzo Certificati Verdi 0,085 €/kWh Totale entrate da Certificati Verdi 118.500 €/anno Quantità di corrente ceduta in rete 1.205.000 kWh/anno Prezzo medio proposto dal distributore 0,0675 €/kWh Totale di cessione energia 81.000 €/anno Totale entrate 199.500 €/anno
Il costo dell’impianto, di 445.000 €, è soggetto per il 55% a contributi in base alla Legge
10/91. L’esborso del proprietario quindi è di 244.000 € e secondo i calcoli riportati in tabella,
risulta evidente che nell’arco di due anni l’azienda riuscirà ampiamente ad ammortizzare
l’impianto e riportare ulteriori guadagni negli anni successivi. Ricordiamo che in ogni caso i
Certificati Verdi sono applicabili all’impianto solo per i primi 8 anni di piena produzione.
4.4.9 Previsioni per il futuro
Grazie alle remunerazioni offerte dai Certificati Bianchi, il proprietario dell’azienda si trova
di fronte alla possibilità di intraprendere nuove iniziative per sfruttare l’energia risparmiata.
Abbiamo avuto la fortuna di poter assistere a questa prima fase preliminare di valutazione e
presentazione delle possibilità realizzative, al fine di risparmio energetico, tra distributore
della rete e proprietario dell’azienda.
Proprio per sfruttare il calore in eccesso non utilizzato, sono state fatte alcune ipotesi per il
futuro. Innanzitutto è già in previsione, la costruzione di una scrofaia in modo da convertire
l’azienda da semplice allevamento da ingrasso a ciclo chiuso. Con questo termine si intende
96
un allevamento che, sempre allevando suini da ingrasso, provvede al ricambio con nuovi capi
non più acquistandoli dall’esterno, ma producendoli per mezzo di scrofe.
Il calore in eccesso quindi sarebbe convogliato per il riscaldamento della stalla adibita alla
gestazione, dove è necessario mantenere una temperatura idonea a garantire le migliori
condizioni per scrofe e suinetti (si parla di 22-23°C per la gestazione contro i 18-19°C per i
suini da ingrasso). Anche in questo caso va sottolineato che si registrerebbero esuberi di
calore.
Altre ipotesi fatte proponevano la costruzione di alcune serre per la coltivazione di primizie o
addirittura un impianto di teleriscaldamento. Quest’ultimo però comporterebbe costi elevati
legati alla realizzazione della rete di trasporto dell’acqua calda verso il centro abitato, per la
necessità di garantire una coibentazione per eliminare le dissipazioni di calore. Questa idea
inoltre non è supportabile per il fatto che il paese di Formigara è situato ad alcuni chilometri
di distanza si avrebbero dispersioni di calore troppo elevate che non renderebbero il progetto
economicamente praticabile.
4.5 IMPIANTO ADOTTATO NELL’AZ. AGRICOLA “LE BRUGNOLE”
L’azienda studiata, denominata “Le Brugnole”, è situata nel comune di Trigolo (CR) a poche
centinaia di metri dal centro abitato. Essa è in funzione da circa sedici anni, quindi ben
avviata, e è stato scelto negli ultimi anni di costruire un impianto di digestione anaerobica per
ridurre i costi da imputare ai consumi energetici.
La scelta della tipologia di impianto è ricaduta su una struttura di tipo “economico” con
notevoli semplificazioni, ma allo stesso tempo capace di fornire, come si è visto anche in
inverno, un quantitativo sufficiente di energia elettrica per soddisfare il fabbisogno giornaliero
aziendale.
I costi legati alla realizzazione completa dell’impianto ammontano a circa 180000 €. Deve
essere sottolineato che, a differenza dell’azienda precedente, questa non ha ricevuto alcun
contributo di costruzione, o per mancata conoscenza della legge 10/91, o più semplicemente
per mancata richiesta.
97
4.5.1 Rilascio dell’autorizzazione allo spandimento LR 37/93 (P.U.A.)
I suoli di proprietà della stessa azienda sono siti in più comuni che oltre a quello di Trigolo
annoverano Fiesco e Salvirola, sempre in provincia di Cremona.
Dal catasto terreni risulta che la S.A.U. aziendale è composta da 89,62 ha in proprietà e 44,7
ha in affitto per un totale di 134,32 ha di terreni a disposizione.
Al momento la presentazione del P.U.A è stata sospesa a causa di una modifica della struttura
aziendale in seguito all’eliminazione dell’allevamento di manze da latte.
Seguiamo ora passo a passo le procedure, dettate dalla L.R. 37/1993, per risalire alla necessità
di presentazione di P.U.A. o P.U.A.S.:
Scelta - classificazione tra “Vulnerabilità” o “Non vulnerabilità”: nell’allegato n. 2, che
contiene i comuni della Regione Lombardia dichiarati “Vulnerabili”, è presente il comune di
Trigolo come anche nei comuni dichiarati ad alto carico zootecnico.
Comuni “Vulnerabili”: come stabilito dalla Legge Regionale n.° 37/93, tutti i comuni
classificati come “Vulnerabili” dall’allegato n. 2 sono tenuti alla presentazione del P.U.A.,
quindi anche l’azienda in esame.
Si esprime parere favorevole al piano di utilizzo agronomico presentato dall’azienda agricola
AGROSOCIETA’ di Rinaldi A. P. C. s.s., ai fini dell’applicazione dei reflui prodotti sui suoli
nei Formigara, Pizzighettone, Castelleone, Montodine, Ripalta Arpina, relativamente al
quantitativo di reflui previsto nella ripartizione del P.U.A. presentato, corrispondenti al carico
ed al numero di capi citati in premessa.
4.5.2 Tipologia di allevamento
L’allevamento è a ciclo chiuso ed è costituito da circa 7.400 quintali di peso vivo
corrispondenti a circa 7.000 capi con peso medio di 90 kg. L’alimentazione è fornita ai suini
per mezzo di una strumentazione automatizzata acquisita nel 1989 alla quale sono state
apportati mano a mano i miglioramenti tecnologici per portarla al passo con i tempi. Per
quanto riguarda la preparazione delle miscele secche se ne occupa direttamente il proprietario
98
tramite elaboratore. Partendo dalle materie prime e miscelandole nelle opportune dosi, si
ottengono le ricette opportune per ciascuna fascia di peso che sono accumulandole all’interno
di silos. Al momento della distribuzione dei pasti, il computer principale richiama i preparati
contenuti nei silos aggiungendo in parti prestabilite acqua o siero. Successivamente, il tutto
viene miscelato all’interno di due vasche ed inviato ai box dei suini.
4.4.3 Schema dell’impianto
Come detto in precedenza l’azienda ha deciso di munirsi di un impianto di digestione
anaerobica di tipo semplificato, anche per una preventiva stabilizzazione dei reflui. Esso è
costituito da due vasche da 24 metri per 8 metri, coperte da teli gonfiabili sotto la spinta del
biogas accumulato.
E’ importante notare che il refluo dei suini impiega circa sette giorni per arrivare alle vasche,
ciò non influisce positivamente sulla qualità delle deiezioni. Questo problema comporta che il
rotovaglio, posto a monte delle tubazioni che convogliano i reflui alle vasche, si sporchi
maggiormente con conseguente otturazione delle maglie. A sua volta questo provoca la
perdita di buona parte della sostanza liquida che quindi non carica le vasche. Per migliorare la
produzione di biogas, sarebbe più conveniente quindi che il liquame arrivi alle vasche in un
minor tempo al fine di eliminare il problema iniziale di formazione di sostanze fibrose che dà
origine a tutti gli altri. Questo problema, a parere dei tecnici che si occupano dell’impianto, lo
si può imputare sia al tempo di arrivo delle sostanze, di una settimana circa, sia alla qualità
del refluo di questa azienda dovuto, si suppone, al tipo di alimentazione.
Sono state ipotizzate alcune soluzioni per risolvere la situazione. Una di esse consiste
nell’aggiunta di un secondo rotovaglio avente una maglia meno fitta (passando dalla maglia
attuale di 1 mm a 1,5 mm) e posto al di sotto di quello presente. Un’altra soluzione è quella di
sostituire il rotovaglio direttamente con una coclea che dà la possibilità di spremere
maggiormente il refluo, sfruttandone in questo modo tutte le caratteristiche liquide.
Presentiamo quindi il percorso dei liquami. Essi, prodotti nei box, sono inviati all’esterno
dove è posta una pompa che, attraverso una breve tubazione, porta i reflui ad un’altezza di
circa 4 metri. La tubazione stessa scarica sul rotovaglio il contenuto che viene raccolto e
trasportato, tramite una tubazione aerea, verso digestori di tipo plug flow.
99
Fig.4.28 – Zona di vagliatura dei reflui pe
sinistra).. Rotovaglio con maglia di 1,5 mm
Essi hanno un ingresso alla testa della vasc
questo punto i liquami seguono un percor
vasche per circa venti giorni, rilasciando u
cento della potenzialità effettiva dei liquam
Fig.4.29 – Refluo digerito in uscita dai dige
r mezzo di un rotovaglio con maglia di 1 mm (a
da sostituire a quello in uso fino ad ora (a destra)
a primaria per permettere l’ingresso dei reflui. A
so obbligato che consente loro di risiedere nelle
na quantità di gas uguale a circa il cinquanta per
i stessi.
stori anaerobici.
100
Infine i reflui escono dalle vasche e, tramite uno stramazzo, cadono all’interno di una vasca di
stoccaggio dove sarà completata la stabilizzazione grazie a un riposo di ulteriori 120 giorni.
Fig.4.30 – Vasche di stoccaggio per la completa stabilizzazione del refluo.
All’interno delle vasche munite di percorso, viene prodotto il biogas. Esso, composto da
diverse sostanze già citate in precedenza, si accumula al di sopra della vasche gonfiando le
coperture di cui sono dotate. Ciascuna vasca è sormontata da una copertura costituita da teli
anticorrosivi e coibentati.
Fig.4.30 – Teli per la copertura delle vasche e per il trattenimento del biogas.
101
L’impianto prevede che la vasca primaria sia munita di un doppio strato, mentre la seconda di
uno solo. Questa differenza è dovuta al fatto che i due teli della vasca primaria hanno
funzione di regolazione della quantità di biogas. Quello inferiore contiene il biogas prodotto
mentre quello superiore, nell’intercapedine con quello inferiore, contiene anidride carbonica
che permette di tenere il sistema in pressione per mezzo di un compressore posizionato
all’esterno. Nell’intercapedine tra i due palloni, dove è contenuta la CO2 di regolazione della
pressione, è presente un interruttore che permette di far azionare il compressore quando si ha
una presenza di gas al di sotto della soglia minima. Questo interruttore è costituito
essenzialmente da due fili uno più corto dell’altro. Quando il “pallone” inferiore si abbassa
(c’è poco biogas) a tal punto da tirare il filo di collegamento più lungo, il compressore viene
azionato e inizia a immette CO2. Quando invece il “pallone” inferiore si alza (c’è tanto
biogas) a tal punto da allentare il filo di collegamento più corto, una valvola inizia a sottrarre
CO2 dall’intercapedine. Come si può capire è un sistema semplice, ma molto efficace.
Fig.4.32 – Sezione della vasca di digestione sormontata dai teloni di raccolta del biogas.
102
A questo punto il biogas è fatto fuoriuscire dai digestori per effetto della pressione interna e
inviato al generatore. Prima di raggiungerlo, il biogas dovrà attraversare una valvola di
regolazione della portata e due filtri.
Fig.4.33 – Filtri per la depurazione del biogas (a sinistra). Strumento per il controllo della
pressione in millimetri di colonna d’acqua (a destra).
Il primo contiene ghiaia avente la funzione di eliminare le eventuali parti più grossolane
contenute nel biogas, mentre il secondo contiene delle candele deumidificatrici che hanno il
compito di desolforizzare il più possibile il biogas. Prima di arrivare al generatore il biogas
dovrà ancora percorrere una valvola di controllo che è in grado di chiudersi in seguito a
qualsiasi tipo di problema al sistema di generazione di corrente. Ora il biogas è libero di
alimentare, come combustibile, il generatore (un motore diesel da 55 kW) producendo
corrente.
103
Fig.4.34 – Generatore di corrente della potenza di 55 kW.
Il liquido utilizzato per il raffreddamento delle parti meccaniche del motore viene riscaldato
ulteriormente, attraversano uno scambiatore di calore, anche dai gas di scarico emessi dal
motore. Il liquido refrigerante viene quindi messo in circolo per mezzo di serpentine che
circondano le vasche e hanno il compito di riscaldare il liquame contenuto all’interno dei
digestori stessi. Mano a mano che il liquido percorre il tratto di serpentine, esso passa da una
temperatura di partenza di circa 60°C ad una di circa 20°C con cui tornerà al motore.
L’energia elettrica prodotta viene inviate dai motori ad una capannina contenente il quadro
elettrico collegato alla rete del gestore col metodo del “parallelo rete” in media tensione.
Per concludere diciamo che l’impianto eroga una quantità di corrente tale da fornire tutta
l’azienda comprese le abitazioni della stessa, senza dover più ricevere corrente dal gestore.
Inoltre si è notato un surplus di biogas prodotto già nel periodo invernale. Ciò potrebbe
giustificare l’idea di aggiungere un altro generatore in supporto a quello già esistente per
sfruttare a pieno la capacità di produzione.
4.5.4 Problematiche riscontrate nell’impianto
Le problematiche riscontrate in questa tipologia di impianto sono diverse. Oltre a quella
legata alla qualità dei reflui e del loro tempo di arrivo alle vasche, descritta in precedenza, un
altro inconveniente si verifica proprio all’interno di quest’ultime. In esse infatti arrivano i
104
reflui provenienti da tutte le stalle dell’allevamento, indistintamente che gli animali ivi
contenuti siano trattati con antibiotici o medicinali vari. Questi ultimi lasciano all’interno dei
reflui sostanze che potrebbero andare ad intaccare i vari batteri anaerobi presenti nei digestori
causandone anche la morte e di conseguenza un mal funzionamento, più o meno marcato, del
digestore. Questo comporta rendimenti inferiori a quelli standard ed anche il rischio di un
blocco totale. Come nel caso dell’azienda “S. Eurosia”, sarebbe opportuno poter convogliare i
reflui infetti in altre vasche di stoccaggio bypassando i digestori. Ma, dato che le stalle non
sono state progettate tenendo conto di questa possibilità, anche questo andrebbe ancora una
volta ad impattare su costi non sostenibili per un impianto di queste proporzioni.
Molto importanti sono le coperture delle vasche infatti, in questa azienda, ancor prima
dell’attivazione del generatore si è dovuto provvedere alla sostituzione di uno dei teli a
contatto con il biogas, dopo circa tre mesi dall’inizio dei primi test di produzione. Il motivo di
tale sostituzione è da imputare al fatto che si era creata una reazione, tra telo e biogas, che
causava lacerazioni all’interno del telo stesso. Si è potuto individuare e porre rimedio
rapidamente a questo fenomeno poiché il telo, da un colore inizialmente grigio, era diventato
giallo. Questo rende perfettamente l’idea di come il biogas possa essere una sostanza
particolarmente corrosiva e pericolosa.
Altro punto rilevante è che in questi impianti medio piccoli la strumentazione di controllo non
è particolarmente all’avanguardia per un discorso prettamente economico. Non è quindi
possibile conoscere in tempo reale le caratteristiche dell’ambiente all’interno dei digestori in
termini di temperatura e pH.
Inoltre, la “pulitura” del biogas per mezzo dei filtri rappresenta una certa difficoltà. Questi
ultimi, a causa sempre di un problema economico, non si possono definire come i migliori
presenti sul mercato. I filtri, pur svolgendo il loro dovere, restituiscono un gas ancora
piuttosto impuro, come ci è stato anche riferito dai tecnici. Di conseguenza, il gas in entrata
nel generatore sarà solo parzialmente depurato. Sapendo che il problema principale deriva
dalla condensazione dell’umidità contenuta nel gas allo spegnimento del motore stesso, è
molto probabile che in un prossimo futuro si presenteranno problemi di corrosione alle parti
meccaniche del generatore. Per ovviare questo problema si potrebbe far funzionare per alcuni
minuti il generatore con del metano civile, ma ciò comporta ulteriori spese di allaccio non
previste dal progetto principale.
Un ulteriore problema che coinvolge il biogas, è legato al suo smaltimento. Nel caso in cui la
produzione di biogas raggiunga valori per i quali il volume di raccolta messo a disposizione
dai teloni non sia più sufficiente, è necessario sbarazzarsi del biogas in eccesso. La Legge,
105
secondo il D.G.R. 19/2001, rende obbligatorio che tali sfiati siano condotti bruciando il
biogas in torcia al fine di non immettere in atmosfera biogas (e quindi metano). Ciò infatti
inquinerebbe l’aria in quanto il CH4 e la CO2 sono, come noto, gas che contribuiscono
all’effetto serra. L’impianto però è sprovvisto di tale torcia e di conseguenza il biogas viene
direttamente sfiatato in atmosfera, comportando i danni sopra citati.
Fig.4.35 – Sfiato in atmosfera del biogas in eccesso.
E’ necessario quindi provvedere al più presto l’aggiunta di tale componente per rendere
l’impianto a norma di legge ed impedire ulteriori rilasci che potrebbero essere evitati con
questo semplice accorgimento.
Per quanto riguarda il riscaldamento delle vasche e successivo raffreddamento del generatore
si presenta qualche piccolo problema di temperatura in ingresso del liquido. Quest’ultimo,
durante l’estate, durante il percorso potrebbe non raffreddarsi adeguatamente e quindi
potrebbe creare problemi di surriscaldamento. Per evitare questo inconveniente è stato
aggiunto un tubo di raffreddamento forzato, utilizzato solo durante l’estate, con il compito di
portare il liquido di raffreddamento a temperature adeguate.
4.5.5 Produzioni reali di energia elettrica
L’impianto dell’azienda agricola “Le Brugnole” è stato realizzato in base ai cosiddetti
impianti “semplificati ed economici”, ad esso però sono stati apportati miglioramenti in base
alle conoscenze degli ultimi anni. I dati che abbiamo raccolto, recandoci regolarmente in
106
azienda, sono stati registrati dal proprietario stesso a partire dal 31/10/2003, data di entrata a
regime del digestore, mediante moduli prestampati forniti dai costruttori dell’impianto. Questi
moduli suddividono le informazioni di interesse in base alle ore di funzionamento giornaliere
e alle quantità di energia elettrica prodotta, sia come dati parziali (giornalieri) che come dati
progressivi. Essi tuttavia non forniscono le effettive produzioni di biogas realizzate
dall’impianto, utilizzate solo in parte per ricavare energia elettrica. Ogni giorno infatti, il
motore funziona solo per un certo numero di ore e di conseguenza, tutto il biogas prodotto al
di fuori di queste ore di funzionamento, come precisato in precedenza, viene sfiatato
all’esterno e quindi perso. Proprio per questo motivo non siamo in grado di ricavare il biogas
totale, ma solo quello bruciato, a partire dalle produzioni di energia elettrica registrate. Qui di
seguito riportiamo il grafico che sintetizza le registrazioni effettuate dal proprietario.
andamento della produzione giornaliera di energia elettrica
0
200
400
600
800
1000
1200
31/1
0/20
0307
/11/
2003
14/1
1/20
0321
/11/
2003
28/1
1/20
0305
/12/
2003
12/1
2/20
0319
/12/
2003
26/1
2/20
0302
/01/
2004
09/0
1/20
0416
/01/
2004
23/0
1/20
0430
/01/
2004
06/0
2/20
0413
/02/
2004
20/0
2/20
0427
/02/
2004
quan
tità
di e
nerg
ia [k
Wh/
d]
Fig.4.36 – Andamento della produzione media giornaliera di energia elettrica.
Ciò che del grafico risulta più interessante è il costante aumento che si verifica passando
attraverso i mesi invernali. Sarebbe naturale pensare che invece, nei mesi invernali, la
produzione sia caratterizzata da un progressivo calo. Esso è causato dalle temperature vicine
allo zero che comportano una maggiore dissipazione di calore dell’impianto. Questo
andamento crescente, evidente nei mesi di novembre e dicembre, potrebbe quindi essere la
conseguenza del raggiungimento del pieno regime, che permette maggiori produzioni ogni
107
giorno. Con il mese di gennaio la produzione mediamente si stabilizza e potrebbe essere
attribuita al raggiungimento del pieno regime combinato all’inevitabile diminuzione delle
produzioni dovuta alle temperature invernali. In febbraio, la maggior parte del mese è
caratterizzata da un progressivo calo, forse causato dalle temperature particolarmente rigide
del periodo, che porta le produzioni di energia elettrica sui livelli registrati a novembre.
Ritornando all’ipotesi fatta in precedenza, risulterebbe opportuna una sua verifica alla luce dei
quantitativi di energia elettrica registrati nell’inverno 2004-2005 per appurare se
effettivamente l’andamento crescente iniziale nell’inverno 2003-2004 è proprio da imputare al
rodaggio dell’impianto.
Tra i dati raccolti in azienda, sono fornite anche le ore di funzionamento giornaliere dei
motori. Grazie a queste informazioni, è possibile calcolare anche le produzioni medie orarie,
giorno per giorno, anche come inizio di verifica delle ipotesi sopra citate di rodaggio.
Dividendo appunto le produzioni totali giornaliere per le ore di funzionamento dello stesso
giorno, si possono ricavare le produzioni medie orarie che descrivono il comportamento
dell’impianto in base alla singola ora di funzionamento, indipendentemente dall’entrata a
pieno regime. Il grafico seguente mostra, giorno per giorno, l’andamento della produzione
media oraria di energia elettrica (Fig.4.37).
andamento giornaliero della produzione media oraria di energia elettrica
0
10
20
30
40
50
60
31/1
0/20
0307
/11/
2003
14/1
1/20
0321
/11/
2003
28/1
1/20
0305
/12/
2003
12/1
2/20
0319
/12/
2003
26/1
2/20
0302
/01/
2004
09/0
1/20
0416
/01/
2004
23/0
1/20
0430
/01/
2004
06/0
2/20
0413
/02/
2004
20/0
2/20
0427
/02/
2004
quan
tità
di e
nerg
ia e
lettr
ica
[KW
h]
Fig.4.37 – Andamento giornaliero della produzione media oraria di energia elettrica.
108
Come si può notare, la parte preponderante della produzione media oraria di energia elettrica
si sviluppa entro un range compreso tra 30 e 50 kWh. L’andamento è caratterizzato da valori
più elevati, compresi nella metà superiore del range (40-50 kWh), per buona parte di
novembre. Successivamente i valori cominciano a diminuire in modo costante con il passare
dall’autunno all’inverno, per poi attestarsi su valori medi compresi nella parte inferiore del
range (30-40 kWh). Anche i valori massimi e minimi di produzione seguano l’andamento
sopra descritto, inoltre lo scostamento tra picchi e depressioni dei dati risulta più marcato per
novembre, mentre comincia ad assottigliarsi con il procedere dall’autunno all’inverno, per
attestarsi su differenze minori a gennaio. Il mese di febbraio denota una progressiva
diminuzioni delle produzioni, probabilmente da imputare alle temperature particolarmente
rigide, tanto da raggiungere valori nettamente al di sotto del range, sopra citato, compreso tra
30 e 50 kWh.
Da questa prima analisi sembrerebbero confermate le ipotesi riguardanti le produzioni
giornaliere totali, il cui andamento in aumento a inizio inverno potrebbe proprio essere
causato dall’entrata a regime dell’impianto.
Dall’aggregazione delle registrazioni giornaliere si possono determinare le produzioni mensili
di energia elettrica, come mostrato nella tabella e nel grafico seguenti.
Tab.4.38 - Quantitativi mensili di produzione di energia elettrica.
mese ott-2003 nov-2003 dic-2003 gen-2004 feb-2004produzione energia elettrica [kWh] 420 13020 21190 23033 11263
109
produzione mensile di energia elettrica
13020
21190
23033
11263
0
5000
10000
15000
20000
25000
nov-03 dic-03 gen-04 feb-04
quan
tità
di e
nerg
ia e
lettr
ica
[kW
h/m
ese]
Fig.4.39 – Andamento mensile della produzione di energia elettrica.
Deve essere precisato che non è stato inserito in entrambi i grafici la produzione del mese di
ottobre in quanto, di tale mese, abbiamo a disposizione solo il dato del 31/10/2003, quindi
insignificante rispetto alle altre produzioni mensili. Dai valori, spicca l’aumento costante delle
produzioni mensili che passano da circa 13.000 kWh in novembre a 23.000 kWh a gennaio. Il
loro aumento, in controtendenza all’ipotesi di diminuzione di produzione dovuta alle
temperature più rigide, potrebbe essere attribuito al raggiungimento del pieno regime da parte
dell’impianto. Quest’ultimo, legato alle temperature del mese potrebbero poi giustificare
l’evidente calo di febbraio in cui i kWh prodotti sono addirittura inferiori a quelli avuti in
novembre.
Pur essendo in possesso dei dati relativi ai soli mesi invernali, un’analisi interessante potrebbe
essere la stima di previsione di produttività dell’impianto per il futuro a partire dalle
produzioni giornaliere. Dato che l’inverno, a causa delle sue basse temperature, risulta essere
il periodo più critico per l’attività batterica, una previsione redatta su questi dati, anche se non
rispecchia l’effettiva potenzialità del digestore, può fornire una base di produttività minima
che viene garantita per tutto l’anno.
I risultati (Tab.4.40) esprimono la produzione di energia elettrica giornaliera, annuale e su
tonnellata di peso vivo. Dalla semplice media delle produzioni giornaliere è stata ricavata la
110
produzione stimata giornaliera. Quest’ultima è stata moltiplicata per 365 giorni all’anno
fornendo una previsione annuale della produzione. Infine la produzione annuale è stata divisa
per le tonnellate di peso vivo allevato, ritenuto costante tutto l’anno, in azienda ottenendo la
produzione su tonnellata di peso vivo all’anno.
Tab.4.40 – Stima del quantitativo di produzione di energia elettrica giornaliero e annuo.
energia elettrica unità 620 kWh/giorno
226000 kWh/anno
In base alle informazioni fornite dal proprietario, la quantità di energia necessaria all’azienda
si aggira sui 225.000 kWh/anno. Sapendo che la produzione di energia annuale, stimata in
base ai mesi invernali, ammonta a circa 226.000 kWh/anno, ricaviamo che l’energia in
eccesso ceduta in rete, ammonta a circa 1.000 kWh/anno. Tale quantitativo, frutto della stima
invernale, aumenterà sicuramente nel mesi più caldi, come detto in precedenza. Sta di fatto
che non arriverà comunque a rappresentare la maggior fonte di guadagni.
Tab.4.41– Entrate aziendali tramite Certificati Verdi. Produzione di energia 226.000 kWh/anno Prezzo Certificati Verdi 0,085 €/kWh Totale entrate da Certificati Verdi 19.000 €/anno
Il costo dell’impianto ammonta a circa 180.000 €, ma l’azienda non ha ricevuto contributi. I
Certificati Verdi sono applicabili all’impianto solo per i primi 8 anni di piena produzione,
fornendo introiti all’azienda per 152.000 €, dal prodotto tra le entrate legate ai CV (19.000
€/anno) per gli 8 anni di validità. La fetta rimanente potrà essere ammortizzata mediante il
basso quantitativo di energia, favorito dai mesi estivi, prodotto durante l’anno. A differenza
quindi di quanto avviene nell’azienda “S. Eurosia”, nei primi 8 anni di funzionamento a pieno
regime, il tempo sarà appena sufficiente ad arrivare all’annullamento delle spese. Dopo tale
periodo, infatti, non potranno più essere richiesti CV.
111
4.5.6 Il problema della cessione dell’energia elettrica
L’allaccio alla rete elettrica rappresenta uno dei punti fondamentali per completare il progetto
di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Il generatore produce corrente a media
tensione che viene inviata ad una cabina di trasferimento all’interno dell’azienda. In essa è
stato creato un collegamento con l’ente gestore di tipo “parallelo rete”. Così facendo, per
l’azienda è sempre garantita la corrente necessaria al suo funzionamento sia che il suo
generatore funzioni (si consuma parte dell’energia prodotta) sia che il generatore non funzioni
(l’energia è presa dalla rete fissa).
Come già riportato in precedenza, si è notato che il digestore in queste fasi iniziali ha un
surplus di produzione di biogas che permetterebbe, con l’aggiunta di un motore in supporto a
quello oggi esistente, potrebbero essere sfruttata in modo da raggiungere rese superiori. Nel
progetto iniziale era già stato predisposto tutto per l’aggiunta di un altro generatore con una
potenza leggermente inferiore rispetto al primo. Con il lavoro di due motori affiancati,
avremmo avuto a disposizione un quantitativo di energia prodotta dall’impianto nettamente
superiore a quella necessaria all’uso interno dell’azienda. Per questo motivo, sarebbe
necessario porsi di fronte al problema di un allaccio con la rete per cedere il surplus al gestore
della rete fissa, dietro congruo pagamento. Le cose però nella pratica non sono così semplici.
La corrente da inviare alla rete non è sempre la stessa dato che l’azienda ne utilizza una
quantità differente tra le ore diurne e le ore notturne La disponibilità di cessione risulta
naturalmente superiore di notte, quando il gestore della rete ne ha meno bisogno. Esso non è
lo stesso a cui è soggetta l’azienda “S. Eurosia” e non permette un consumo di energia in
isola, come invece è concesso a quest’ultima. Il gestore della rete, differente per l’azienda “Le
Brugnole”, vorrebbe avere a disposizione un quantitativo di energia costante, nelle possibilità
dell’impianto, senza avere differenza tra il giorno e la notte. In più, l’azienda aveva
inizialmente stipulato un contratto di auto consumo senza prevedere la cessione in rete
dell’energia in esubero. Ciò ha provocato l’insorgere di alcune problematiche di carattere
burocratico che impediscono all’azienda di portare avanti il suo nuovo progetto. Nel
frattempo essa si è messa in contatto con il GRTN per il riconoscimento dei “certificati verdi”
applicabili all’impianto. Con essi, oltre ad ottener entrate sicure, si tenta di favorire
l’allacciamento con la rete fissa facendo leva sull’obbligo da parte dell’ente gestore di
provvedere a ritirare l’energia disponibile prodotta da fonte rinnovabili.
112
5 - CONCLUSIONI
5.1 CONFRONTO TRA LE PRODUZIONI AZIENDALI
Dopo aver analizzato singolarmente ognuna delle due aziende visionate, passiamo ora ad un
loro confronto. Come fatto presente in precedenza, le due tipologie di impianto sono
differenti. Ricordiamo brevemente che l’azienda “S. Eurosia” è un impianto a più stadi,
l’azienda “Le Brugnole” invece è un impianto che si avvicina maggiormente alla tipologia
plug flow.
L’unico mezzo di paragone tra di esse, è dato dalla produzione di energia elettrica, in funzione
dei soli reflui. Non consideriamo le biomasse per l’azienda “S. Eurosia” poiché non ne
conosciamo il rendimento nelle vere e proprie condizioni di funzionamento dell’impianto, ma
solo quello stimato dai progettisti. Non possiamo inoltre confrontare le produzioni di biogas
in quanto, come detto in precedenza, l’azienda “Le Brugnole” fornisce solo le produzioni di
energia elettrica che sono legate al biogas utilizzato dal motore (bruciato come carburante) e
non al biogas totale prodotto, che in parte viene perso.
Tab.5.1 - Confronto delle produzioni mensili di energia elettrica delle aziende.
azienda nov-2003 dic-2003 gen-2004 feb-2004 az. "Le Brugnole" 13.020 21.190 23.033 11.263 az. "S. Eurosia" 51.924 53.934 53.804 49.958
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confronto delle produzioni mensili di energia elettrica delle aziende
13020
21190 23033
11263
51924 53934 5380449958
0
10000
20000
30000
40000
50000
60000
nov-03 dic-03 gen-04 feb-04
quan
tità
di e
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lettr
ica
[kW
h/m
ese]
Az. "LeBrugnole"Az. "S. Eurosia"
Fig.5.2 – Confronto delle produzioni mensili di energia elettrica delle aziende.
Dal confronto (Tab.5.1 e Fig.5.2 ) risulta evidente la superiorità dell’impianto dell’azienda
“S. Eurosia”, ma è necessario fare alcune precisazioni. Innanzitutto, le produzioni energetiche
dell’azienda “Le Brugnole” sono dati reali. In questi primi mesi di produzione, i motori non
sono sempre stati in funzione 24 ore su 24 e quindi una certa quantità di biogas, a volte anche
notevole, non è stata utilizzata ed è andata persa. I dati di produzione energetica dell’azienda
“S. Eurosia” oltre ad essere di previsione, dato che l’impianto deve ancor essere terminato,
sono ricavati considerando che tutto il biogas prodotto sia anche completamente bruciato dai
motori per produrre energia. Un’altra differenza consiste nel fatto che i digestori dell’azienda
“S. Eurosia” sono riscaldati, a differenza di quelli di “Le Brugnole”. Questo comporta una
minore sensibilità alle temperature invernali per la prima azienda e quindi produzioni
maggiori.
Dal punto di vista delle aziende, la produzione di energia elettrica da biogas, proveniente dalla
digestione anaerobica di reflui zootecnici, rappresenta una scelta di notevole interesse. Da una
parte è favorita la stabilizzazione del refluo che dovrà essere successivamente distribuito sui
terreni di pertinenza dell’azienda. Ciò garantisce maggior sicurezza ad eventuali controlli sul
corretto spandimento dei liquami. In più, apre la strada a nuovi introiti, non ottenuti in
precedenza a causa della mancata raccolta del biogas.
114
L’impianto adottato per l’azienda “Le Brugnole” risulta, come descritto in precedenza, più
idoneo a soddisfare l’obiettivo di autoconsumo, al fine di abbattere i costi energetici aziendali.
I livelli raggiunti, anche solo nel periodo invernale, sono infatti sufficienti alle necessità
aziendali. Sicuramente nel periodo estivo la produzione di energia sarà maggiore, grazie alle
temperature più elevate che favoriscono l’attività batterica, ma i ricavi legati a un’eventuale
vendita dell’energia in esubero non rappresenta la fetta preponderante delle entrate.
Nel caso in cui invece l’obiettivo sia proprio quello di puntare a ottenere elevati guadagni
dalla rivendita di energia elettrica, l’impianto più indicato è invece quello dell’azienda “S.
Eurosia”. Esso infatti riesce, almeno sperimentalmente, a raggiungere produzioni di notevole
entità in parte da destinare ai fabbisogni interni. Deve essere inoltre ricordato che i grafici
presentati sono legati alle produzioni derivate dai soli reflui zootecnici. Essa quindi subirà
notevoli miglioramenti con l’aggiunta, prevista nell’azienda “S. Eurosia”, di biomasse,
limitando ulteriormente l’incidenza dei consumi interni sul totale prodotto.
5.2 OSSERVAZIONI GENERALI
In Italia la produzione di energia elettrica ha sempre rappresentato un problema. Storica infatti
è la nostra dipendenza da Paesi produttori come Francia e Svizzera, ai quali ci rivolgiamo per
sopperire al disavanzo tra il nostro fabbisogno nazionale e la nostra capacità produttiva
interna. Questa dipendenza però, oltre ad assumere una voce importante nelle uscite dalle
casse dello Stato, comporta anche disagi come è avvenuto nell’agosto 2003, quando si
verificò il più grande blackout energetico del nostro Paese, a causa di un incidente negli
impianti svizzeri nostri fornitori.
Di fronte a questo, sfruttare ogni risorsa disponibile per la produzione interna di energia
rappresenta la soluzione più logica. Tanto più se questa energia può essere ricavata da
sostanze disponibili e facilmente accessibili quali i reflui zootecnici e le biomasse.
Gli allevamenti, sia suinicoli che ovicoli ad esempio, richiedono un notevole quantitativo di
energia a causa del riscaldamento delle stalle nel periodo invernale e del condizionamento
durante il periodo estivo. Ricavare quindi energia dalla digestione dei reflui zootecnici, a
nostro avviso, rappresenta un notevole passo in avanti. Infatti, su scala locale, come visto per
l’azienda “Le Brugnole”, questa soluzione risulta vincente. Tenendo solo conto del periodo
invernale, i fabbisogni energetici aziendali sono già completamente soddisfatti dalle
produzioni dell’impianto. In questo modo la richiesta energetica gravante sulla rete locale
115
viene sgravata di un buon quantitativo di energia. Se poi pensiamo di estendere questa
soluzione a livello nazionale, risulta lampante il peso che può raggiungere questo
sfruttamento. Considerando anche solo piccoli impianti come quello dell’azienda “Le
Brugnole”, in inverno la richiesta energetica nazionale risulterebbe sollevata di una buona
parte della domanda. In estate poi, grazie alle maggiori produzioni favorite dalle temperature
più elevate, non solo sarebbe ridotta la domanda, ma verrebbe incrementata la produzione
interna con conseguente assottigliamento dell’importazione dall’estero. Ulteriori benefici
derivano dalla diffusione di impianti come quello dell’azienda “S. Eurosia” dove, grazie
all’azione combinata di reflui e biomasse, si possono raggiungere produzioni molto elevate
aumentando ancor più la produzione interna nazionale.
Grazie poi ad impianti come quello dell’azienda “S. Eurosia” la grande disponibilità
energetica potrebbe anche essere utilizzata per soddisfare direttamente le richieste da parte dei
centri abitati limitrofi. Ciò potrebbe essere applicato in presenza di territori con buona
presenza di allevamenti e distribuzione della popolazione in piccoli centri e nuclei abitati.
Quindi da una parte dovrà essere presente una sufficiente produzione di energia e dall’altra un
numero ristretto di abitanti. In questo modo si potrà avere una certa indipendenza
intercomunale nella distribuzione energetica, limitando gli effetti di eventuali incidenti che
interessino la rete nazionale.
116
BIBLIOGRAFIA
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a cura del C.R.P.A. (Centro Ricerca Produzioni Animatali) di Reggio Emilia 1996.
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PRODUCTION –– Departement of zoology, PSG College of Arts and Science – accepted 31
march 1997.
Lozzo Attestino - PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA DA FONTI RINNOVABILI –- 18
marzo 2003.
Giovanni Biannucci Esther Ribaldone Biannucci - IMPIANTI DI DEPURAZIONE DELLE
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AA. VV. - “Nuovo Colombo – MANUALE DELL’INGEGNERE”, ottantaduesima edizione,
Editore Ulrico Hoepli, 1990.
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Articolo di Sergio Piccinini tratto da 'Il Sole 24 ore - i supplementi " ENERGIA DA FONTI
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Articolo a cura di Sergio Piccinini, tratto dal numero di novembre 2002 della rivista C.R.P.A.
(Centro Ricerca Produzioni Animatali) di Reggio Emilia.
Malpei Francesca, Rozzi Alberto, “Risultati e prospettive di applicazione di reattori MBR in
campo agro-industriale”, DIIAR, Politecnico di Milano, 2002.
Rozzi Alberto, “Digestione anaerobica dei rifiuti”, Dicembre 2000.
117
Energia elettrica da fonti rinnovabili – Bollettino dell’anno 2002 emesso da GRTN.
DIRETTIVA 96/92/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 19
dicembre 1996 concernente norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica.
COMITATO INTERMINISTERIALE DEI PREZZI DELIBERAZIONE 29 aprile 1992 Prezzi
dell'energia elettrica relativi a cessione, vettoriamento e produzione per conto dell'Enel,
parametri relativi allo scambio e condizioni tecniche generali per l'assimilabilita' a
fonte rinnovabile. (Provvedimento n. 6/1992).
Decreto Legislativo 16 marzo 1999, n. 79: Attuazione della direttiva 96/92/CE recante
norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, noto come Decreto
“Bersani”.
Legge 9 gennaio 1991, n°9: Norme per l’attuazione del nuovo piano energetico nazionale.
Legge 9 gennaio 1991, n°10: Norme per l’attuazione del piano energetico nazionale in materia di
uso razionale dell’ energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia.
Decreto 11 novembre 1999: Direttive per l'attuazione delle norme in materia di energia
elettrica da fonti rinnovabili di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 11 del decreto legislativo 16
marzo 1999, n° 79.
Decreto 24 aprile 2001: Efficienza e risparmio energetico negli usi finali - Il Ministro
dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato di concerto con il Ministro dell'Ambiente.
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RINGRAZIAMENTI
Gli autori di questo elaborato finale di Laurea ringraziano sentitamente, oltre al tutor
universitario (relatore), prof.sa Malpei Francesca, e al tutor aziendale, dott. Loda Alessandro:
• Rinaldi Carlo, proprietario dell’azienda agricola “S. Eurosia”;
• Geom. Mazzucchelli Enrico e dott. Marzona Maurizio della Liquitech S.r.l, progettisti
dell’impianto installato nell’azienda “S. Eurosia”
• Spoldi Giacomo, proprietario dell’azienda agricola “Le Brugnole”.
Un ringraziamento particolare merita infine Rossetti Renato di ARPA del Dipartimento di
Cremona.
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