tesi__valerio colamatteo_futures e forwards - strumenti di copertura dal rischio
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Università degli studi di Cassino facoltà di Economia
Corso di Laurea in Economia Aziendale
Insegnamento afferente: matematica finanziaria
Futures e Forwards:
strumenti di
copertura dal rischio.
Relatore: A cura di: Prof. VALERIO COLAMATTEO
SERGIO BIANCHI Matricola 0021786
S e s s i o n e d i L a u r e a – D i c e m b r e 2 0 1 0
A n n o a c c a d e m i c o 2 0 0 9 / 2 0 1 0
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Nella dinamica evolutiva dell’uomo, presente e passata, nella sua miopica azione di immanenza realizzativa, nel suo continuo intercedere edace verso l’assiduo compiacimento dei propri più sfrenati egocentrismi, da sempre motivo di assidua ricorrenza per l’agire umano è stato rappresentato dalla inspiegabilità degli eventi, dalla loro astratta sinallagmaticità e dalla ricerca di una loro concreta imputabilità che non fosse presuntiva, per l’appunto, di un razionalismo trascendente. Gloriosi passati o funesti archetipi di realtà senza tempo traggono o hanno tratto la loro potestà narrativa proprio nel loro inattendibile susseguirsi e negli sviluppi alogici che hanno avuto. E dunque, ancor oggi, gli interrogativi intergenerazionali più ricorrenti e probabilmente più insolubili restano inevitabilmente gli stessi: perché è successo? Come avrei potuto prevederlo? E soprattutto, come difendermi per il futuro? Lungi da me, chiaramente, porre in questo momento delle domande ancora senza risposta e tanto meno di cercare di darne io stesso delle valevoli, ma è proprio dietro l’inarrivabile soluzione di tali questioni che l’uomo ha saputo erigere la propria sfrontata difesa e dettare al ricorrere dei secoli la sinossi della propria trascendentalità computativa.
In questa trattazione si andranno, allora, ad esaminare alcune delle metodologie oggi perseguite per prevenire situazioni di rischio e conseguire il raggiungimento di uno status protettivo che possa garantire un’adeguata salvaguardia dei propri interessi e quindi delle proprie mire di rendimento. Si tratterà, nello specifico, di contratti derivati future e forward e del loro utilizzo come strumenti di copertura finanziaria.
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INDICE
Alcuni cenni introduttivi
Un’analisi retrograda: focus sugli aspetti preliminari della copertura………………………………………………………………………….11
PARTE PRIMA:
La formazione dei prezzi nei mercati reali dei beni e nei mercati finanziari: un’esigenza risalente. 1.1 – Il prezzo: stimatore senza tempo …………………………………………………...15
1.2 – Il problema delle asimmetrie ………………………………………………….........15
1. 3 – Il prezzo nei mercati reali e finanziari: differenze e affinità…………………….....16
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PARTE SECONDA:
Il pricing dei titoli future e forward.
2.1 – Prezzi future e forward……………………………………………………………..19
2.2 – Prezzi future e prezzi spot…………………………………………………………..21
2.3 – Prezzi future e forward: le condizioni di giusto prezzaggio………………………..22
2.4 – Fair price di titoli che non offrono redditi ...…………………………………….....22
2.5 – Le assunzioni del modello di non arbitraggio……………………………………...24
2.6 – I rischi concreti che si corrono……………………………………………………..26
2.7 – Il fair price di titoli che offrono redditi noti……………………………………….26
2.8 – l fair price di titoli con tasso di dividendo noto…………………………………....27
2.9 – Titoli su valute (currency future)…………………………………………………..27
PARTE TERZA:
Le” hedge strategie”s: rischi e certezze
3.1 – L’hedge perfetto……………………………………………………………………30
3.2 – Lo short hedge……………………………………………………………………...30
3.3 – Vantaggi e svantaggi, condizioni e presupposti……………………,...……………31
3.2 – Il long hedge: analogie e peculiarità con lo short hedge…………….……………..32
3.3 – Proprietà delle coperture…………………………………………..……………….33
3.4 – Le copertura perfette: una chimera per ogni hedger…....………….……………….34
3.5 – Il “Basis Risk”……………………………………………………………………...35
3.6 – La scelta del contratto………………………………………….…………………...38
3.7 – l problema della liquidità dei mercati……………………………………………....39
3.8 – Una problematica ricorrente: la scelta del sottostante….…………………………..40
3.9 – Il numero ottimale di contratti: l’hedge ratio…………….………………………...41
3.10 – IL significato statisti stico dell’hedge ratio…………….…………………………43
3.11 – Il modello di regressione lineare……………………….…………………………44
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3.12 – La funzione statistica dell’hedge ratio……………………………………………47
3.13 – La stima dei parametri dell’hedge ratio…………………………………………...48
3.14 – L’hedge ratio nella realtà: i limiti delle coperture reali…………………………...48
PARTE QUARTA:
Gli “Stock Index Futures”
4.1 – Cos’è uno stock index future………………………………………………………..51
4.2 – Un richiamo teorico fondamentale: ‘importanza del CAPM……………………….52
4.3 – Dal modello del CAPM alla copertura di portafogli……………………………….54
4.4 – Un’analisi introspettiva: la prevaricante efficienza del mercato…………………...57
4.5 – Analisi concreta delle coperture…………………………………………………....58
4.6 – Conclusioni………………………………………………………………………...60
Conclusioni finali………………………………………………………………….63
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Futures e Forwards:
strumenti di
copertura dal rischio.
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Alcuni cenni introduttivi.
Un’analisi retrograda: focus sugli aspetti preliminari
della copertura.
Prima di affrontare ciò che vuole essere la tematica di fondo di questa trattazione e cioè
l’utilizzo dei contratti future e forward come strumento di copertura dai rischi finanziari,
credo possa ritenersi opportuno soffermarsi su un aspetto estremamente critico, ma che per
altri versi potremmo definire quasi di “retropalco” rispetto a ciò che invece effettivamente
riguarda la spiccia operatività protezionistica dei suddetti strumenti. Ci si riferisce a quelle
attente operazioni di “price monitoring”, cioè di costante osservazione e controllo dei
prezzi sul mercato che, di fatto, oggi più che mai e in virtù della dimensione sempre
maggiore assunta dai mercati finanziari, costituiscono il preliminare d’obbligo per la
valutazione del proprio profilo di rischio in merito ad una data attività e dunque è solo in
diretta conseguenza di ciò che gli investitori, in virtù dei propri specifici obiettivi e delle
proprie contingenti necessità, maturano il proprio sentore e formano le loro aspettative
circa il futuro andamento del mercato. Perché la prima mossa da attuare per ogni
investitore, con riferimento ad una sua copertura dal rischio, è proprio quella di monitorare
i prezzi di mercato, andandone ad osservare in modo attento e peculiare il loro grado di
rispondenza con le con le proprie necessità di investimento. Il prezzo, quindi, unitamente
alle suddette azioni di monitoring, viene così ad acquisire un importante ruolo di
strumentalità per il conseguimento dei propri obiettivi di investimento e dunque, di
copertura.
Ed è quindi proprio dall’analisi specifica dei prezzi, cioè dal price monitoring, che origina
e si sviluppa ogni operazione di mercato e da cui gli investitori realizzano le loro personali
opportunità di guadagno, (anche, come si vedrà non meramente inteso in termini assoluti).
Per cui si avrà che non esiste solo un unico “giusto prezzo” per ogni agente, ma ognuno di
essi ne avrà, all’occorrenza, anche uno rispondente alle proprie esigenze e dunque più che
ad un “Fair Price”, cioè ad un giusto prezzo che sia oggettivo e quindi indistintamente tale
per tutti gli operatori, in questa trattazione ci si riferirà, in modo più o meno implicito, ad
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un proprio giusto prezzo, che sia individuale e cioè specifico delle proprie necessità e delle
proprie peculiarità strategiche di investimento e dunque, per tali aspetti, soggettivo.
Appare dunque evidente, alla luce di quanto sin ora esposto, come la stessa concezione di
rischio e quindi, di fatto, di una sua almeno preventiva e presuntiva copertura, venga così,
in primo luogo, ad essere insita nel prezzo stesso di un titolo future. Dunque l’indirizzo
concettuale di fondo verso cui orientare l’attenzione in merito alla copertura del rischio è
da rintracciarsi proprio nelle fasi congenite di tali contratti e dunque, ancora prima di poter
delineare qualsivoglia analisi di mercato e porre in essere le conseguenti strategie di
intervento nel conseguimento delle proprie finalità ultime (anche non necessariamente di
copertura), urge senza dubbio analizzare le logiche sottese al “giusto prezzo” di tali titoli,
assurgendo così tale aspetto ad elemento di primaria ed imprescindibile valutazione per
ogni operatore di mercato. Il giusto prezzo dei titoli è da riferirsi, infatti, come meglio si
vedrà tra poco, non unicamente alla categoria operativa degli arbitraggisti e
quindi non va unicamente inteso nel rispetto delle condizioni di non arbitraggio ma va
distintamente e opportunamente riferito anche agli altri operatori “tipo” del mercato quali
gli hedgers (a cui ci riferiremo in modo specifico ed approfondito nel corso di tutta la
trattazione) e gli speculatori. Anche per loro, infatti, l’analisi ispettiva dei prezzi di mercato
cui si accennava prima, costituisce motivo ricorrente di attenzione nonché inamovibile fase
propedeutica di messa in atto delle proprie manovre di investimento .
Alla luce di tutto ciò in questa trattazione verranno esaminati con particolare attenzione le
tematiche sottese alla definizione del “giusto prezzo” ma con riferimento, quest’ultimo,
anche alle varie e specifiche necessità di investimento dei singoli agenti.
La prima parte di questa trattazione sarà dedicata al richiamo di alcuni profili storici
(neoclassicismo) e all’accenno di alcune tematiche di indubbio interesse circa l’importanza
del fattore prezzo come elemento di stima del rischio. La seconda parte sarà invece
riservata come anticipato all’analisi concreta delle tecniche di pricing, con riferimento
esclusivo ai contratti future e forward. Da ultimo, nella terza parte, verranno finalmente
affrontate le modalità di copertura dai rischi (hedging) attraverso gli strumenti derivati
(anche qui limitatamente a future e forward). Da appendice a tutta la trattazione farà,
infine, un’ultima parte dedicata agli stock index future e alle loro modalità di utilizzo in
operazioni di copertura finanziaria.
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PARTE PRIMA:
La formazione dei prezzi nei mercati reali dei beni e nei
mercati finanziari: un’esigenza risalente.
1.1 Il prezzo: stimatore senza tempo. L’idea concettuale di riferimento in merito al rischio, insita nella psicologia dell’uomo, è
da sempre stata in larga parte associata unicamente al prezzo, generalmente erto,
quest’ultimo, come il discriminante principale nella fase di scelta di un prodotto, più di
ogni immaterialità valoriale o intangibilità utilitaristica creata da apposite politiche di
brandig o dall’utilizzo di altra qualsivoglia tecnica di marketing. Cercare di pagare il giusto
prezzo infatti è, nella finanza come nella vita quotidiana, una priorità quasi assoluta per
ciascuno di noi ed un prezzo alto è infatti indice sintomatico di una maggiore rischiosità
del prodotto stesso; rischiosità intesa con riferimento alla reale reperibilità di quell’utilità,
tangibile o meno, poi in esso effettivamente cercata e da esso richiesta. Dunque il rischio,
oggi come un tempo, rimane per gran parte insito nel valore nominale del prodotto e questo
fa si che il prezzo possa così essere indiscutibilmente considerato un suo stimatore
naturale.
1.2 Il problema delle asimmetrie. Va poi sottolineato come le inefficienze di mercato certamente non aiutino i consumatori
nelle loro scelte di acquisto, nel sacrificare parte della loro ricchezza, della loro
disponibilità monetaria, secondo i noti criteri di determinazione utilitaristica che appaiono
sospinti prettamente da un’analisi di tipo costo-qualità. È evidente come infatti la
perfezione neoclassica dei mercati si sia ormai definitivamente dileguata ed abbia dato vita
a nuovi scenari economici le cui condizioni di accesso e competitività appaiono oggi
profondamente alterate dalle asimmetrie, in primo luogo di natura informativa, che in esse
inevitabilmente vi si registrano.
Un’informazione di natura asimmetrica è un’informazione incompleta e imperfetta. La
perfezione va riferita al grado di diffusione dell’informazione tra i vari soggetti che
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partecipano al mercato, mentre la completezza attiene a quanto se ne sa relativamente ad
un mercato. Un’informazione completa1 dunque va a configurare un’utopica realtà in cui
tutti sanno tutto, e quindi un’informazione completa è anche perfetta. È immediato capire a
questo punto come la nostra realtà mercatistica non sia “completa” per quanto riguarda
questo aspetto, il che comporta una informazione non equamente distribuita tra i soggetti
che vi operano, a differenza del mercato neoclassico. Tale aspetto va a riflettersi
inevitabilmente sull’uguaglianza (oggi dicotomica) prezzo-qualità. E così il prezzo di un
bene viene ad essere non sempre esattamente pari alla sua specifica qualità intrinseca. E
questo deriva logicamente dal fatto che non si conoscono ad esempio tutti i processi
produttivi ed i materiali utilizzati nella realizzazione di un dato prodotto e dunque non si
riesce ad avere un riscontro empirico/informativo della effettiva valenza di ciò che si
compra (e si paga).
1.3 Il prezzo nei mercati reali e finanziari: differenze e affinità. Il prezzo è quindi il risultato ultimo del mercato, intendendo il mercato come la categoria
logica (poiché non sempre assimilabile ad un luogo fisico, si pensi ad esempio ai mercati
borsistici) in cui si incontrano domanda e offerta. Ed è tale contestualità d’incontro a far si
che venga assolta la condizione prima e inderogabile per la creazione e il mantenimento di
ogni sistema economico: la formazione di un prezzo non negativo per ogni bene scambiato.
Ma in questa definizione di mercato vanno ad essere ricompresi tutti i tipi di beni
scambiati, siano essi beni reali o finanziari. In questi termini, non vi è perciò differenza
alcuna tra un mercato reale ed un mercato nel quale vengono scambiati prodotti finanziari.
Ma i beni scambiati in un mercato reale e quelli scambiati in un mercato finanziario non
sono propriamente identici ed anzi tra i due si presentano notevoli differenze. Va però
evidenziato subito come in entrambi i casi l’azione di monitoring, intesa come azione di
valutazione del prezzo in base alle proprie aspettative e alle proprie necessità, avvenga in
condizioni di incertezza e come in realtà dietro la definizione reale del prezzo di un bene
ci sia di fatto una previsione del futuro che, in quanto tale, è soggettiva.
1) La “completezza” deve essere qui intesa in termini prettamente economici e
non finanziari. In finanza, infatti, la completezza del mercato fa riferimento alla
possibilità dei singoli agenti di poter replicare sul mercato qualsiasi portafoglio di
attività.
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Ma nel mercato dei beni reali tale previsione è fatta su un bene tangibile, cioè che si può
toccare e vedere e con una storia ben definita che facilita il nostro compito. Si pensi ad
esempio al prezzo di un quaderno: possiamo sbagliare completamente la previsione che tra
dieci mesi il nostro quaderno ci sarà indispensabile, ma siamo certi che, nell’immediato, il
quaderno resta un quaderno. L’utilità del quaderno sarà quasi immediata o comunque
facilmente prevedibile. Nel pricing di un quaderno si può dunque individuare una
componente previsionale in un ambiente non propriamente deterministico ma
semideterministico. Al contrario, per i prodotti finanziari non c’è alcuna tangibilità. In
linea decisamente teorica, il prezzo di una azione (o di qualunque altro strumento
finanziario) è la somma dei flussi di cassa futuri attualizzati al presente. Non siamo in
ambito semideterministico, bensì in ambito incerto e tutto il prezzo è frutto di una
previsione del futuro. Non c’è alcuna componente immediata, nessuna utilità certa. Il
quaderno di oggi sarà all’incirca uguale a quello comprato ieri da un altro venditore.
L’azione di oggi è unica e il suo passato tende a tradire le nostre previsioni, anche se, come
si vedrà, lo studio del passato è tutt’altro che inutile.
In queste poche righe si è voluto sottolineare, in modo deciso, quale sia il reale valore
informativo/analitico desumibile dal valore nominale di ogni attività o prodotto. Il prezzo
del quaderno ad esempio, con riferimento all’esempio sopraesposto, sintetizzerà, in modo
implicito, l’utilità attesa che il consumatore ad esso indissolubilmente associa e che si
aspetta poi di ricevere dal suo acquisto. La scelta di un bene piuttosto che di un altro
dunque, si realizza e si giustifica solo attraverso la proporzionalità tra i due elementi
(prezzo e utilità attesa), che però, inevitabilmente e per le ragioni sopraesposte, non sempre
trova una rispondenza piena ed assoluta con la realtà effettiva e quindi nell’utilità, a
consultivo, percepita. Ciò impone di considerare il prezzo come un mero elemento di stima
della qualità del prodotto e quindi del rischio insito nell’acquisto del prodotto stesso. Ad un
prezzo superiore corrisponderà perciò un rischio maggiore, perché maggiore è l’utilità
attesa ad esso direttamente e causalmente2 associata.
2) Causalmente perché l’acquisto di ogni prodotto presuppone, almeno in via
teorica, un’analisi incrociata tra le diverse alternative di scelta ed è dunque
astrattamente identificabile come la fase ultima di un processo procedurale di
selezione, del quale però non si vuole in questa sede argomentare.
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PARTE SECONDA
Il pricing dei titoli future e forward.
Analizziamo ora nel concreto gli aspetti riguardanti direttamente i contratti derivati e la
formazione del loro giusto prezzo, osservando poi quali implicazioni comporti un loro
errato prezzaggio e come, da ciò possano scaturire degli arbitraggi3. In questa sede si
tratteranno tali aspetti con riferimento unico ed esclusivo ai titoli forward e future.
Prima di procedere credo però che vadano fatte alcune ulteriori preliminari considerazioni
e vadano posti (e risolti) brevemente alcuni interrogativi. In particolare quale sia la
differenza tra un contratto future e un contratto forward e quale sia l’incidenza sul pricing
delle loro eventuali reciproche peculiarità.
2.1 Prezzi future e forward. Va detto subito che tra i due contratti non si riscontrano differenze particolarmente evidenti
e che esse sono molto spesso sufficientemente piccole da poter essere trascurate nonostante
la presenza di numerosi fattori che possono determinare degli scostamenti, quali ad
esempio le particolari condizioni praticate nei depositi di garanzia e la maggiore
possibilità di disinvestimento dei future oppure il rischio di inadempimento della
controparte insito nei forward. Detto ciò in questa trattazione non ci si soffermerà sulle
differenze di tipo tecnico-sostanziale tra i due contratti, ma ci si limiterà a delinearne il
profilo di parità formale che traspare da una loro definizione rigorosa. Ciò implicherà
l’assumere l’uguaglianza tra i due prezzi e l’utilizzo indistinto del simbolo F che
verrà così adottato indifferentemente per entrambi i contratti.
3) Quando si parla di arbitraggio si fa riferimento all’acquisto (vendita) di un
bene o di un’attività finanziaria e alla contestuale rivendita (riacquisto) dello stesso
su un altro mercato dove il prezzo è più alto (più basso). Ciò permette di ottenere un
profitto certo, ossia in assenza di rischio, dato dalla differenza tra i prezzi che si
determinano nei diversi mercati in cui uno stesso bene viene scambiato.
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Dunque entrambi si presentano come dei contratti di compravendita a termine con il quale
una controparte si impegna ad acquistare ( posizione lunga) alla scadenza contrattuale
prestabilita un sottostante dalla controparte (posizione corta) ad un prezzo prestabilito,
denominato prezzo di consegna o delivery price.
Essi, perciò, avranno anche lo stesso pay-off:
Andamento dei profitti e delle perdite per le posizioni long e short future rispetto all’andamento del prezzo
2.2 Prezzi future e prezzi spot. Qual è invece la relazione intercorrente tra prezzi future (e forward) e prezzi spot, cioè il
prezzo corrente? I due prezzi tendono ad avvicinarsi molto nel mese di consegna e ad
essere molto vicini tra di loro quando si avvicina il periodo di consegna. Ciò si spiega con
il principio di assenza di arbitraggio che, come si vedrà in seguito, è alla base della
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determinazione del prezzo di un titolo future. Ma consideriamo separatamente i due casi
possibili nel periodo di consegna osservando, per entrambi, i comportamenti tenuti, in via
tendenziale, dagli investitori.
Se il prezzo future (F) è minore del prezzo spot del sottostante (s), allora tutti saranno
razionalmente tentati a comprare future (in base alla relazione di non arbitraggio del prezzo
future che ora si vedrà) e la loro domanda crescente farà aumentare il costo degli stessi
future fino a che non si saranno annullate le opportunità di arbitraggio e non si sarà
ristabilita la parità tra F e s (perché a quel punto sarà indifferente comprare il future o il suo
sottostante direttamente sul mercato). Se invece si ha che F sia maggiore di s, allora la
situazione è esattamente speculare a quella descritta e si registrerà un calo della domanda
di future conseguente al tentativo di vendita degli investitori che riporterà in equilibrio i
due prezzi.
Quanto appena esposto è esemplificato dai seguenti grafici.
Nella figura “a” il prezzo future è al di sopra del prezzo spot, mentre nella figura “b” è la curva dei prezzi
spot ad essere sopra la curva dei prezzi future.
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2.3 future e forward: le condizioni di giusto prezzaggio. Ora, dopo aver esposto l’andamento tendenziale tenuto dai prezzi future e spot
all’avvicinarsi della scadenza contrattuale e le ragioni logiche che ci spingono a
considerarne la validità in modo quantomeno plausibile, definiamo ora, come premesso, gli
aspetti inerenti il giusto prezzaggio dei titoli future e forward (facendo indifferentemente
riferimento, da ora in poi e per i motivi suddetti, all’uno o all’altro). Urge, infatti, a questo
punto analizzare le “condizioni di partenza” per la stipula di ogni nuovo contratto future
che siano in grado di garantire una non iniqua partecipazione al rischio tra i soggetti
stipulanti.
Qual è dunque il reale valore economico-finanziario di un contratto future (o anche
forward) in riferimento all’epoca di stipula del contratto? Ci si chiede cioè quale sia il suo
valore attuale o il suo giusto prezzo (o fair price) che permette di ripartire in modo equo il
rischio della fruttuosità dell’investimento tra le controparti. 2.4 fair price di titoli4 che non offrono redditi. Dunque il prezzo future F(t) è quel prezzo di consegna del sottostante K che all’epoca di stipula (t) rende nullo il valore del contratto (f), per cui la condizione di non arbitraggio, è
rappresentata inderogabilmente dall’uguaglianza F(t) = K.
Ed allora esso risulta essere, con riferimento esclusivo per quei titoli che non rilasciano
dividendi o che non generano reddito, pari all’attuale valore di scambio del sottostante sul
mercato, cioè al suo valore corrente, capitalizzato, prendendo a riferimento il tasso privo di
rischio (r) ed ovviamente il regime finanziario della capitalizzazione composta, fino alla
scadenza contrattuale:
F(t) = S(t) er(T-t)
( con F(t) = K e f = 0 ) 4) Come si sarà intuito, in questa trattazione non ci si riferirà al prezzaggio di
future e forward su merci (commodity future), ma unicamente a quei contratti i cui
sottostanti sono rappresentati da attività finanziarie (financial future).
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Quantunque il prezzo di un titolo future si discosti da tale valore, ad uno dei soggetti operatori sarà infatti consentito mettere in atto un arbitraggio comprando o vendendo allo
scoperto il titolo per poi rispettivamente rivenderlo o riacquistarlo sfruttando direttamente
le imprecisioni di mercato, a seconda che F(t) sia maggiore o minore di K.
Consideriamo ad esempio un contratto future con scadenza tra 4 mesi su un titolo sul quale
non verranno pagati dividendi la cui valutazione corrente F(t) sia superiore di 2€ al prezzo
spot del sottostante, che viene scambiato sul mercato a 48€, e risulta essere pari, per
l’appunto, a 50€. Sia inoltre il tasso r pari al 3%. Ad un arbitraggista, in questo caso,
basterebbe comprare il sottostante direttamente dal mercato prendendo soldi a prestito al
tasso del 3% e poi acquisire una posizione corta sul future con scadenza tra 4 mesi (T - t),
cosicché da riuscire a bloccare un profitto certo al termine dei prossimi 4 mesi che sia pari
proprio a F(t) - S(t) e r(T-t) e cioè pari a 50 - 48e (0,03x4/12) = 1.52€.
In modo del tutto speculare si riesce ad ottenere un guadagno sicuro anche qualora sia
F(t) < S(t) e r(T-t). Basti quindi considerare, ad esempio, un prezzo future pari a 46€ contro
la sua valutazione spot sul mercato che invece rimane attestata sui 48€. In tal caso
l’arbitraggista venderà allo scoperto il sottostante e investirà il ricavato al 4% per 4 mesi
così da poter per assumere da subito una posizione lunga sul relativo future (a 4 mesi) e
poter così a scadenza chiudere la sua posizione allo scoperto, realizzando nello specifico
un guadagno pari a 48 - 46e 0,03(4/12) e quindi pari a 1,53€. Dall’esempio si evince come di
fatto l’unico prezzo che non generi arbitraggio sia 48€ e cioè pari a S(t) e r(T-t).
2.5 Le assunzioni del modello di non arbitraggio. E’ evidente però come di fatto si stiano comunque sottintendendo delle particolari
condizioni valide per tutti i partecipanti al mercato ed in particolare come non si stiano
considerando gli effetti generati da quattro distinte condizioni di accesso e regolamento del
mercato stesso.
In particolare:
●1) L’esistenza dei costi di transazione; ● 2) La possibilità per tutti di prendere e concedere a prestito denaro in ogni momento e alle stesse condizioni ( tasso r )
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●3) La presenza sul mercato di un unico tasso di interesse risk-free, cioè privo di rischio ● 4) La capacità concreta degli operatori di sfruttare le opportunità che il mercato offre loro in modo pieno e puntuale.
1) Va detto innanzitutto dell’assenza dei costi di transazione nelle operazioni di
compravendita, con cui invece nel mercato reale molti investitori sono costretti a fare i
conti e del fatto di come in molti casi la loro presenza infici il possibile operato degli
arbitraggisti, proprio perché essi vedrebbero i loro profitti venire per gran parte
“risucchiati” da tali costi accessori che incidono dunque negativamente sulla concreta
redditività degli arbitraggi e quindi, indirettamente, anche sul loro verificarsi.
2) L’altra condizione implicita nelle eguaglianze sopra esposte attiene al fatto che ai
partecipanti al mercato è concesso dare e prendere a prestito denaro sempre allo stesso
tasso di interesse privo di rischio r.
3) La terza supposizione è posta in stretta simmetria con la precedente e merita dunque di
essere approfondita. Con riguardo esclusivo al tasso r, in particolare, urge soffermarsi su
alcuni aspetti legati alla sua unicità sul mercato.
Innanzitutto il fatto che il tasso risk-free sia lo stesso per tutti costituisce, nel concreto,
solo la conseguenza ultima ed immediata di un’ulteriore ipotesi circa i criteri e le
determinanti di scelta degli operatori. Alla base della sua univocità determinativa, infatti,
vige un presupposto comportamentale da parte degli stessi operatori di mercato. Si
presuppone, infatti, che essi agiscano, nel compimento dei loro interessi e nel
conseguimento dei loro obiettivi, spinti da una logica operativa dettata da criteri di rigorosa
razionalità che permette loro di scegliere unanimemente il titolo che a parità di rischiosità,
offre il rendimento più alto. L’unicità del titolo e quindi l’unicità del tasso r vengono così
decretate dalla unidirezionalità degli operatori di individuare le condizioni migliori di
scelta in riferimento al quel tasso di interesse da associare a titoli o comunque ad
investimenti formalmente privi di rischio. Ed è proprio in riferimento a quest’ultimo
aspetto che viene chiamata in causa una ulteriore implicazione logica nella definizione
formale e sostanziale del titolo risk-free, cioè del titolo privo di rischio. Va infatti
considerato come, di fatto, trascendendo da ogni presupposto teorico, non vi sia (e non vi
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possa essere) riscontro empirico alcuno sull’effettività sostanziale di un investimento
totalmente privo di rischio (almeno in termini assoluti); anche se poi convenzionalmente si
fa riferimento, quando si parla di investimenti risk-free, ai titoli di stato.
4) L’ultima assunzione riguarda infine la capacità concreta da parte di tutti gli investitori di
riuscire a sfruttare correttamente le opportunità di arbitraggio loro palesatesi. Capacità da
intendersi in primo luogo con riferimento all’individuazione, in tempi celeri,
dell’asimmetria di mercato e, in secondo luogo, con riferimento alla conseguente
attuazione di una corretta strategia che permetta il raggiungimento di un profitto certo.
Capacità queste che il modello considera implicite in tutti gli operatori ed è questa
probabilmente l’assunzione di fondo più veritiera tra quelle esaminate sino ad ora.
Va poi considerato come, in realtà, il fatto che tali operatori siano in grado di sfruttare le
opportunità di arbitraggio non appena esse si manifestino viene ad essere assurta come
garanzia certa delle opportunità, assai ridotte, di compiere arbitraggi, in quanto esse
andrebbero a sparire nello stesso istante in cui si presentano.
2.6 I rischi concreti che si corrono. In ogni caso, anche trascendendo dall’ultima assunzione e quindi a prescindere dalle reali
capacità operative degli agenti di sfruttare a proprio vantaggio le inefficienze di mercato,
appare allo stesso modo immediato come poi tali asimmetrie informative vadano
inevitabilmente a favorire una controparte (e a sfavorirne un’altra), attraverso
essenzialmente una non equa ripartizione del rischio tra gli operatori, che va a determinare
una maggiore “resistenza alla perdita” da parte dell’investimento o una più elevata
redditività dell’operazione per la controparte che ha acquisito la posizione contrattuale di
vantaggio (lunga o corta).
Quindi il mero non rispetto della condizione di uguaglianza non determina
automaticamente di per sé la realizzazione di un profitto certo ma, come mostrato anche
dagli esempi in precedenza e da quanto appena esposto, il suo conseguimento è comunque
subordinato alla capacità dell’operatore di individuare tale “disaggio” strutturale dei titoli
e comportarsi di conseguenza attuando, come si è visto, le opportune operazioni di
compravendita. Dovrebbe ora apparire evidente l’importanza di un giusto pricing, qui
inteso in termini di giusto prezzo oggettivo, nella definizione della propria posizione di
rischio cui si faceva riferimento nella parte iniziale di questa trattazione. Ogni qualvolta un
operatore si impegna a versare o ricevere un delivery price K che sia superiore o inferiore a
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quello di non arbitraggio, egli sta in quel momento accrescendo la propria esposizione al
rischio, che risulterà così tanto più grande quanto maggiore è la distanza tra il K
dell’operazione che si sta considerando e il K* di non arbitraggio e questo condurrà
necessariamente l’operatore in questione al conseguimento di un profitto o di una perdita
che siano rispettivamente inferiori o superiori a quanto dovuto.
2.7 Il fair price di titoli che offrono redditi noti. Andiamo ora a considerare il prezzo di un titolo future scritto su un sottostante che offra
dei redditi nel tempo. Si parla però di redditi che siano comunque già determinati (cioè
noti) o comunque determinabili ex-ante e dunque ne deriva una complicazione logico-
concettuale minima dovuta al fatto che ora il valore corrente del sottostante deve essere
opportunamente “scisso” della sua componente reddituale, calcolata come il valore attuale
( I ) del rendimento garantito alla scadenza del contratto, prima di essere capitalizzata in T
(ovviamente sempre al tasso privo di rischio). Dunque si riesce a rimanere nella stessa
simmetria concettuale di quanto esposto sino ad ora per titoli con sottostanti non generatori
di reddito, ed allora avremo:
F(t ) = [S(t) - I] er(T - t) ( con F(t) = K e f = 0 )
2.8 Il fair price di titoli con tasso di dividendo noto. Analogamente vediamo cosa accade nel caso in cui avessimo a che fare con un sottostante
il cui reddito generato in (T - t) sia non già noto (o determinato) ma quandunque
determinabile e cioè nel caso in cui disponessimo per l’appunto non del flusso di reddito
generato nell’intervallo temporale considerato ma del suo tasso di dividendo o “dividend
yield” (q) di un determinato titolo azionario. In tal caso l’azione di “scissione” dal valore
corrente del sottostante (in questo caso un’azione) cui si faceva prima riferimento viene ad
essere attuata, non potendo chiaramente sottrarre il flusso reddituale attualizzato in t,
apportando una riduzione al tasso di capitalizzazione r pari proprio a q, e dunque si avrà:
F(t) = S(t) e(r - q)(T - t) ( con F(t) = K e f = 0 )
.
25
2.9 Titoli su valute (currency future). Vengono prezzati in modo del tutto analogo ai titoli con dividend yield noto. Le uniche
differenze vengono infatti ad essere individuate unicamente nell’adozione di una diversa
terminologia, cosicché indicando:
● Con S il prezzo spot unitario della valuta estera;
● Con rf il tasso di interesse estero risk-free;
Si avrà:
F(t) = S(t) e(r - rf)(T - t)
.
26
.
27
PARTE TERZA
Le “Hedge Strategies” : rischi e certezze.
Veniamo ora ad analizzare nel concreto le modalità di copertura.
Prima di tutto credo sia necessario andare a definire la figura dell’hedger, cioè di colui che
utilizza i mercati con lo scopo di ridurre le esposizioni ad alcuni suoi specifici rischi, quali
ad esempio il prezzo di una data merce o un tasso di cambio. In questa parte della
trattazione andremo poi unicamente ad affrontare le cosiddette strategie “hedge e forget”
(letteralmente copriti e dimentica). Trattasi di strategie di copertura statiche che una volta
poste in essere non sono più soggette ad aggiustamenti, a differenza delle strategie di
copertura dinamiche (hedging dinamico) in cui la copertura viene costantemente
monitorata ed aggiustata di frequente.
3.1 L’hedge perfetto. Iniziamo dicendo che l’obiettivo ultimo di ogni hedger, va detto, consisterebbe nel
realizzare un cosidetto “hedge perfetto”, cioè un’operazione di copertura che sia totale, che
vada cioè ad eliminare completamente il rischio. Ma questa, per i motivi che vedremo,
resta poi nella realtà un’aspettativa abbastanza utopica, che molto difficilmente si realizza.
Due sono in particolare le azioni di copertura attuabili mediante future: long hedge
(copertura lunga) e short hedge (copertura corta).
3.2 Lo short hedge. L’attuazione di uno short hedge sottintende la disponibilità di una determinata attività, di
un dato asset, che ci si propone di voler vendere in futuro. Il bisogno di copertura, a tal
riguardo, va individuato nella volontà dell’operatore di voler “congelare” per il futuro le
condizioni di mercato attuali che si registrano sul mercato dei future. Quindi tale copertura
opera contro il rischio di mercato legato alla eventuale riduzione di prezzo dell’attività in
questione. In tal caso si assume una posizione corta su un future scritto sulla medesima
attività che si è interessato a vendere in futuro e così facendo, ad un eventuale riduzione di
.
28
prezzo dell’attività seguirà un guadagno perfettamente correlato ad essa che permetterà di
fatto all’operatore di assorbire qualsiasi variazione negativa di prezzo (cioè in ribasso) si
verificherà sul mercato. Facciamo un esempio:
Una società K stipula, in data corrente, un contratto per vendere 1∙000∙000
barili di petrolio fra tre mesi, pattuendo però che il prezzo di vendita sia pari al prezzo spot osservato sul mercato fra trenta giorni (in data T). Tale società si trova così nella situazione di poter guadagnare 10.000 € per ogni centesimo di aumento del prezzo del petrolio nei prossimi trenta giorni o di poterne perdere altrettanti fino all’epoca T. Oggi il prezzo del petrolio è di 78 € per barile, mentre il prezzo future per un barile di petrolio con consegna in T è di 75 €. La
società k può quindi coprirsi vendendo 1∙000∙000 contratti future entro
Settembre, bloccando così il prezzo a 75 €. Se alla scadenza T il prezzo spot di un barile di petrolio sarà di 72 € allora la società K, avrà incassato solo
7∙2000∙000 € dalla vendita dei barili, ma ben 7∙5000∙000 dalla consegna dei
future, lucrando così la differenza (3∙000∙000) e realizzando un ricavo totale
medio di 75 € per barile.
3.3 Vantaggi e svantaggi, condizioni e presupposti. Ora però, prima di andare oltre e prendere in considerazione anche esempi “meno perfetti”
di copertura, urge soffermarsi sull’analisi di alcune specifiche fattispecie che meglio
consentono di individuare il raggio di azione di tali strumenti e le logiche ad essi sottese.
Va sottolineato sin da ora infatti, come tali tecniche di copertura non siano poi del tutto
garanti di quella lauta vantaggiosità a cui si allude astrattamente nell’esempio e di come,
dal loro utilizzo, non principii il raggiungimento incondizionato di un guadagno (seppure
inteso in termini relativi, cioè di non perdita). Esse infatti vanno ad apportare
concretamente un vantaggio all’investitore solo quando si realizza l’evento stesso per il
quale ci si è protetti. In altri termini l’utilizzo di uno short hedge presuppone che
l’investitore non abbia alcun interesse nel conseguimento di un guadagno assoluto, cioè di
un profitto, ma ne abbia invece molto nel voler conservare le circostanze di mercato
correnti riscontrate sul mercato dei contratti future. Questo perché un investitore che si
.
29
copre dal rischio va inevitabilmente a coprirsi anche dal “non rischio”, cioè dal verificarsi
di un’eventualità a lui favorevole e quindi va a pregiudicarsi preventivamente la possibilità
di conseguire un guadagno. Quindi tali azioni vengono ad essere mosse da una logica
prettamente prudenziale, il cui utilizzo razionale trova giustificazione solo nella necessità
di vendita in futuro di un determinato asset di portafoglio.
Tornando infatti all’esempio precedente:
Se il prezzo per ogni barile di petrolio in data 30 Settembre fosse stato di 80 €, la società K non avrebbe avvertito alcun beneficio dalla salita del prezzo del petrolio ed avrebbe ugualmente conseguito un ricavo totale unitario di 75 € per ciascun barile.
3.4 Il long hedge: analogie e peculiarità. Del tutto speculare è invece la situazione per ciò che riguarda l’attuazione di un long
hedge.
Un long hedge, cioè una strategia lunga di copertura dal rischio, viene attuata per ovviare a
future imprevedibili oscillazioni di prezzo del mercato con riferimento ad una determinata
attività di cui si intende disporre in un futuro prossimo e ben determinato; ed è dunque
proprio nell‘esigenza di assicurarsi tale disponibilità che vanno individuate le logiche
causali sottostanti l’attuazione di un long hedge e che inducono un operatore a muovere
dalla propria accertata condizione di rischio. Trattasi dunque, in questo caso, di un’azione
non di vendita ma di acquisto e, con riferimento preminente al profilo di marginalità
assicurato da tale manovra, continuano a valere, come anticipato, le stesse condizioni di
unilateralità marginale già prospettate ed analizzate per lo short hedge. Ci si vuole riferire
cioè a come anche suddetta azione sia esclusivamente volta alla mera copertura del rischio
e comporti, di fatto, la totale preventiva estromissione di ogni profilo di guadagno. Tali
coperture infatti se da un lato consentono una immunizzazione contro il rischio di un
aumento/riduzione di prezzo, dall’altro vanno paradossalmente a generare ulteriori rischi
per gli operatori che le attuano, perché questi ultimi, seppur, come detto, perfettamente
insensibili ad ogni oscillazione di prezzo che possa essere considerata negativa, vedranno
indirettamente accollarsi i rischi inerenti invece ad oscillazioni di prezzo positive (cioè
favorevoli), perché tali profitti verrebbero ad essere compensati dalla perdita sulla
posizione assunta sui future.
.
30
3.5 proprietà delle coperture. Veniamo ora alla completa definizione di un aspetto già parzialmente esposto nelle righe
precedenti.
Più dettagliatamente, la rinuncia ad ogni profilo di rischio cui si accennava prima, è in
realtà totale solo se si assume la perfetta corrispondenza tra i prezzi spot e i prezzi future al
tempo t di esperimento dell’azione di copertura. È evidente, infatti, come qualora si
riscontrino sul mercato delle incongruenze tra i due prezzi, attuando un’operazione di
copertura con titoli future, si perverrà comunque ad un preventivo conseguimento o di una
perdita o di un guadagno rispetto al valore corrente dell’attività, giacché tali azioni
permettono, il congelamento delle condizioni attuali di mercato, ma con riferimento non ai
prezzi spot ma ai prezzi future (all’epoca iniziale t). Per una maggiore chiarezza di quanto
appena esposto si ipotizzi che, al momento di effettuare uno short hedge, si riscontrino sul
mercato dei prezzi future inferiori ai rispettivi prezzi spot, e quindi, fatte le dovute
assunzioni5, un tendenza ribassista, da parte del mercato stesso, in merito all’attività da cui
ci si intende proteggere. In tal caso l’operatore, attuando lo short hedge, riuscirà certamente
ad assicurarsi contro cali di prezzo ulteriori ed imprevisti6 ma,
5) Si sta assumendo (e si assumerà) che i prezzi future rappresentino il valore
atteso del futuro prezzo spot. In realtà oggi una evidenza empirica assoluta di ciò non
c’è. Va detto però che facendo riferimento al modello del C.A.P.M. e assumendone la sua
perfetta validità, sarebbe possibile dimostrare come la relazione tra prezzo future e
il valore atteso del futuro prezzo spot dipenda dal fatto che il prezzo sia correlato
positivamente o negativamente con il rendimento del mercato e che dunque solo in
assenza di rischio sistematico, cioè con correlazione nulla, si avrebbe la
corrispondenza tra prezzo future e valore atteso del prezzo spot. Ma tutto questo va
oltre le finalità e le aspettative contenutistiche di tale trattazione, per cui, da ora
in avanti, se ne assumerà, solo in via presuntiva, una loro rispondenza concreta nella
realtà. 6) L’ “Ulteriore ed imprevisto” è riferito al fatto che, essendo i prezzi future
una proiezione dei futuri prezzi spot, essi vanno già ad integrare quello che è
l’andamento atteso dei prezzi e quindi quello che è il rischio atteso per una
determinata attività. Perciò in tal senso le azioni di copertura degli operatori (short
e long hedge) sono rivolte alla controllabilità non del rischio atteso, ma di quello
inatteso, cioè non sintetizzato dai prezzi future.
.
31
d’altro canto, egli, accetterà di subire a priori una perdita in base al prezzo corrente del
sottostante che sarà pari alla differenza tra il prezzo spot e il prezzo future all’epoca di
riferimento t.
Viceversa, invece, in presenza di aspettative rialziste da parte del mercato. In questo caso
infatti il porre in essere una azione di copertura permetterà il conseguimento certo di un
profilo di guadagno rispetto al prezzo spot corrente.
Le considerazioni appena fatte valgono, ovviamente, per entrambe le azioni di copertura,
cioè sia per gli short hedge che per i long hedge.
3.5 Le coperture perfette: una chimera per ogni hedger. Ad ogni modo i future, ed è questa comunque la loro finalità preminente, consentono di
gestire in maniera efficiente i rischi legati all’andamento del sottostante e rappresentano
una sorta di polizza “assicurativa” contro di essi. Ad esempio, l’acquisto dei titoli di stato è
soggetto ad un rischio specifico, connesso all’andamento dei tassi di interesse, la
compravendita in valute integra il rischio di cambio e quella in azioni invece implica il
pericolo di variazioni di prezzo contrarie all’operazione eseguita: tutti questi rischi possono
in definitiva essere efficacemente coperti mediante l’uso di future. Tuttavia, come detto,
sono molto rare le cosiddette coperture perfette (perfect hedge), vale a dire posizioni di
hedging che eliminano completamente il rischio. I principali motivi di ciò vanno ricercati
in quello che è poi l’effettivo ambito operativo di tali manovre.
Sino ad ora infatti ci si è occupati di coperture che erano per così dire quasi troppo perfette
per essere vere. L’hedger, ad esempio, era in grado di identificare la data precisa in cui
l’attività sarebbe stata acquistata o venduta.
Nella pratica reale invece le operazioni di copertura non sono così semplici. Ed i motivi,
essenzialmente, sono i seguenti:
● La durata della copertura è diversa dalla scadenza naturale del future e perciò
l’operazione di copertura può richiedere che il contratto future venga chiuso prima della
sua scadenza.
● La merce o l’attività finanziaria da coprire non coincide con l’attività sottostante al
future, perché molte volte non sono disponibili sul mercato dei future che siano scritti su
.
32
quella stessa attività
● Non si conosce esattamente la data di acquisto o di vendita dell’attività da proteggere
3.6 Il “Basis Risk”. L’esistenza di questi problemi va a generare in un’operazione di copertura il cosiddetto
rischio base o basis risk.
Il rischio base è dato dalla differenza, in una data epoca k, tra il prezzo spot dell’attività da
proteggere (S) e il prezzo future del sottostante (F):
Base = S - F
Dall’equazione deriva chiaramente come il rischio base sia nullo (o comunque sia lecito
aspettarsi che sia tale7) alla scadenza del future solo quando il prezzo del bene sottostante e
quello del future coincidono. Circostanza, quest’ultima, che si verifica generalmente
qualora l’attività da coprire sia la stessa di quella che costituisce il sottostante del future.
Mentre prima della scadenza la base sarà positiva (quando il prezzo spot supera il prezzo
future) o negativa (quando il prezzo spot è inferiore al prezzo future). È dunque
l’oscillazione dei due prezzi a far variare il rischio base, come mostra il grafico sottostante.
Un suo aumento poi, che si verifica quando le variazioni positive di S sono superiori alle
analoghe oscillazioni di F è chiamato rafforzamento della base, mentre, al verificarsi del
caso opposto, abbiamo un indebolimento della base.
7) posta la perfetta corrispondenza con la realtà della proxy di mercato espressa
dagli stessi future, il che comporta che la base sarà perfettamente nulla alla
scadenza del contratto future.
.
33
Quanto detto è osservabile nel seguente grafico:
t1 t2
Variazione della base nel tempo tra le due epoche successive t1 e t2.
Fino ad ora ci siamo limitati ad affrontare l’argomento eludendo del tutto l’impatto del
rischio base sulla determinazione del profilo di perdita o di guadagno finale, perché si è
considerata, al momento, come del tutto irrilevante la differenza tra prezzo spot e prezzo
future nella fase di acquisto/vendita dell’attività, assumendo implicitamente che tale
momento fosse sempre avvenuto nel mese di consegna del contratto future, il che ne
giustifica, in base al principio di non arbitraggio prima esposto, la loro notevole vicinanza
e quindi una distanza tra i due prezzi tale da poter essere considerata irrilevante. Più
realisticamente però, è opportuno andare a considerare l’effetto prodotto dal ricorrere di
tali circostanze ed il peso in termini di modificazione del proprio profilo di redditività che
tale distonia temporale, tra i due momenti logici sopra espressi, viene inevitabilmente a
generare.
Per una migliore comprensione di quanto appena detto, si consideri un esempio. Si
supponga, per l’appunto, che il prezzo spot e il prezzo future all’epoca iniziale t1 (in cui si
inizia la copertura) siano pari rispettivamente a 30 € e a 25€, mentre all’epoca finale t2
.
34
(cioè all’epoca di chiusura della copertura) abbiano entrambi subito un ribasso e ora
quotino rispettivamente 25€ e a 24€. Avremo perciò dei rischi base in corrispondenza delle
due epoche che saranno pari a:
b1 = S(t1 ) - F(t1) = 5 e b2 = S(t2) – F(t2) = 1
Considerando una posizione corta assunta dall’hedger all’epoca t1 in virtù della necessità
prossima di vendere l’attività al tempo t2, ai avrà che il prezzo di vendita effettivamente
incassato, tenendo conto del rischio base, è pari a:
S(t1) + F(t1) – F(t2) = 25 + 25 – 24 = 26
Il rischio base deriva dunque dall’incertezza circa il valore della base nel giorno in cui i
contratti vengono chiusi. Essendo noto il valore di F1 infatti, se anche b2 fosse noto allora
la copertura sarebbe perfetta. Il rischio dell’operazione è infatti incentrato sull’incertezza
associata a b2, cioè sull’incertezza circa il valore (non più nullo) del future ed il suo prezzo
corrente al tempo della consegna, che potrebbe perciò essere maggiore o minore del prezzo
del future alla sua scadenza naturale, come cioè da accordo tra le parti e che risulta
chiaramente noto. In tal caso, con riferimento all’esempio appena esposto, l’operatore
consegue un profitto da tale rischio, cioè il rischio base dell’operazione fa maturare nei
suoi confronti un aumento addizionale della redditività dell’operazione rispetto a quella
che avrebbe conseguito in presenza di una copertura perfetta. In tal caso, infatti, si sarebbe
garantito ex-ante un prezzo di vendita pari a F(t1), mentre nell’esempio riesce a trarre
dall’operazione un prezzo effettivamente incassato che, tenendo conto del profitto
risultante dalla posizione in future, è pari a F(t1) + b(t2), cioè come già detto pari al prezzo
future in t1 aumentato della componente reddituale addizionale generata dal fattore di
rischio che si sta analizzando. Il rischio in tal caso porta quindi al verificarsi di uno
scostamento favorevole dal risultato preventivato ex-ante. In generale però, riguardo al
fattore tempo, è possibile affermare che il rischio base è legato al tempo in maniera
direttamente proporzionale: maggiore è la distanza temporale tra la scadenza della
copertura e la data di scadenza del future, più grande è il rischio base.
.
35
3.7 La scelta del contratto. Alla luce di quanto appena scritto consideriamo quello che potremo certamente definire a
questo punto come uno dei fattori chiave nella costituzione del rischio di base: la scelta del
mese di consegna del future.
Fino ad ora si è affrontato tale aspetto nei vari esempi illustrati nelle pagine precedenti
assumendo implicitamente che la scelta migliore fosse quella di scegliere il future con
consegna prevista nello stesso mese di scadenza della copertura, qualora questo fosse stato
possibile ovviamente. In realtà questa non è sempre la scelta migliore. Nel mese di
consegna del contratto future infatti, come sappiamo, i prezzi tendono ad essere fortemente
irregolari perché tutti cercheranno di chiudere le loro posizioni prima della scadenza e di
conseguire un ricavo il più alto possibile. Oltre ciò va poi considerato il rischio ulteriore
che viene a crearsi per chi ha attuato una copertura lunga. Quest’ultimo infatti corre il
rischio di vedersi consegnare l’attività sottostante se mantiene il contratto durante il mese
di consegna. Allora si è soliti procedere alla scelta del mese di consegna del future
indirizzandosi su contratti che prevedano una scadenza comunque prossima rispetto alle
proprie esigenze di compravendita e quindi di copertura ma assicurandosi che sia più
lontano nel tempo e dunque tendenzialmente si va a scegliere il contratto derivato con
scadenza nel mese successivo a quello in cui l’operatore deve effettuare la vendita o
l’acquisto dell’attività per la quale intende proteggersi.
3.8 Il problema della liquidità dei mercati. A ben vedere va considerato un ulteriore fattore di imperfezione nelle coperture: la
liquidità dei mercati. Essa, infatti, nel lungo periodo potrebbe non essere sufficiente per
coprire appieno le proprie esigenze di hedging, tanto da rendere non più attuabile un’unica
operazione di copertura. Si seziona allora l’intervallo temporale della propria copertura,
scomponendolo in una successione di sottointervalli contigui e andando così ad orientare il
timing della propria azione sul breve termine, in cui la liquidità dei mercati risulta essere
notoriamente maggiore.
Nel momento dunque in cui si considera l’ulteriore variabile della “liquidità dei mercati”
nel lungo periodo, è del tutto legittimo ipotizzare che la data di scadenza della copertura,
dettata dalle proprie individuali esigenze di compravendita, potrebbe risultare successiva
rispetto alle date di consegna di tutti i contratti future che potrebbero essere utilizzati sino
ad allora. In tal caso, si ricorre ad una apposita tecnica denominata “roll the hedge
forward“ che permette all’operatore di effettuare le proprie coperture utilizzando sempre il
.
36
contratto con scadenza più vicina con l’intento di assumere poi le stesse posizioni in un
altro contratto con scadenza più lontana nel tempo nel momento in cui dovrà chiuderlo
perché arrivato alla sua data di scadenza. L’operatore andrà così ad effettuare un roll over
tra i vari contratti future chiudendo la propria posizione e riaprendone subito un’altra
identica ma con scadenza più lontana nel tempo sino al raggiungimento della data di
chiusura della propria copertura, che viene così, di fatto, ad essere chiusa e riaperta svariate
volte fino a scadenza. Un esempio può chiarire questa tecnica.
Si supponga che nel mese di Dicembre 2010 una società venda una certa quantità di merce
e la consegna sia prevista nel mese di Maggio 2012. Si supponga inoltre che nel mercato
siano trattati contratti future che possono essere usati per la copertura del rischio derivante
dalla vendita della merce in questione ma che, ad esempio, solo sui contratti con scadenza
a sei mesi ci sia liquidità sufficiente per le esigenze della società. In tal caso si
assumeranno dapprima delle posizioni corte su dei contratti in scadenza nel Giugno 2011 e
poi si provvederà, in seguito, a rinnovare di continuo la propria esposizione sui future,
sempre con cadenze semestrali, fino al Giugno del 2012, cioè un mese dopo la data di
consegna della merce venduta. Per cui nel Giugno 2011 verrà chiusa la posizione corta sui
future e ne verrà contestualmente aperta una nuova con scadenza nel Dicembre 2011 che
verrà a sua volta sostituita da un’ultima short selling con scadenza Giugno 2012.
3.9 Una problematica ricorrente: la scelta del sottostante. Ora vedremo cosa accade invece quando l’hedger si ritrova a dover coprire un rischio
generato dalla compravendita di un’attività diversa da quella del sottostante sul quale è
scritto il future. Circostanza, questa, molto ricorrente nella realtà.
In tal caso si genererà un’ulteriore componente di rischio base che, addizionata a quella già
presa in considerazione nell’esempio precedente, fa si che, con riferimento ad una
operazione di copertura lunga, il prezzo che l’operatore si assicura di pagare sia pari a:
F1 + (S2* - F2) + (S2 - S2
*)
In questo caso il rischio base va dunque a comporsi di due componenti distinte:
● La prima componente (S2* - F2) è relativa all’eventualità appena affrontata della durata
della copertura diversa dalla scadenza naturale del future ed è il rischio base complessivo
.
37
che si avrebbe qualora l’attività da coprire fosse uguale a quella sottostante ed è dunque
pari a F1 - F2 , cioè il rischio base considerato nell’esempio precedente.
● La componente addizionale di rischio base che deriva dalla differenza delle due attività,
è invece rappresentata da (S2 - S2*), cioè dalla differenza tra il prezzo di vendita dell’attività
da proteggere e il prezzo di vendita dell’attività sottostante del future.
In merito a quest’ultimo punto va detto che, nel momento in cui si deve coprire un rischio
finanziario sorto dalla compravendita di un sottostante su cui non sia disponibile un
contratto future, inevitabilmente si pone il problema della scelta del giusto sottostante.
Occorre allora individuare il contratto attraverso delle analisi di tipo statistico. In
particolare, il “giusto”, è da riferirsi, come del resto l’obiettivo sotteso a tale analisi,
all’individuazione di quel derivato che abbia la più alta correlazione con il bene sul quale
si desidera effettuare la copertura così da replicare, nel modo più fedele possibile,
l’andamento tenuto da tale attività minimizzando, in tal senso, quella componente
addizionale di rischio base generata dalla differenza di comportamento, sui rispettivi
mercati, delle due attività.
3.9 Il numero ottimale di contratti: “l’hedge ratio”. Nel momento in cui si effettuano delle analisi di correlazione, cioè degli studi sul legame
esistente fra l’andamento dei prezzi di due o più attività e quindi, con riferimento alla
nostra trattazione, tra la quotazione del future e quella della merce da coprire, urge
considerare alcuni aspetti in merito al numero dei contratti da acquistare/vendere ai fini
della copertura.
Occorre infatti ricordare come il contratto future, per le sue caratteristiche, possa differire
dall’attività sottostante, anche e soprattutto nella dinamica dei prezzi. La migliore
copertura non si ottiene andando a negoziare dei future in uno stretto parallelismo
quantitativo con le attività da comprare/vendere. In altri termini, a volte, può non essere
sufficiente considerare lo stesso identico numero di contratti future rispetto al numero di
attività o alla quantità di merce che si vuole proteggere. Occorre invece individuare il
numero di contratti necessari all’immunizzazione del rischio attraverso un suo attento
processo di determinazione che permetta di verificare l’effettiva capacità di copertura di
ogni contratto, in modo da poterne così dedurre il loro numero ottimale. Il numero ottimale
.
38
di contratti future viene determinato, servendosi dell’approccio media-varianza, attraverso
il rapporto di copertura ideale, cioè il cosiddetto hedge ratio.
Finora, di fatto, si è sempre assunto un rapporto di copertura pari ad 1. Il rapporto di
copertura è il rapporto tra la dimensione della posizione in future e la dimensione
dell’esposizione che va a minimizzare la varianza della posizione dell’hedger. Per cui, con
riferimento ad un esempio precedente, avere un rapporto di copertura dal rischio pari ad 1
significa, alla luce dei 1000 barili di petrolio che la società K venderà tra tre mesi,
assumere una posizione corta su altrettanti contratti future (1000), ovviamente scritti sullo
stesso sottostante. Quindi in tutti gli esempi trattati non si è minimamente tenuto conto di
fattori quali la correlazione tra le variazioni dei prezzi o della varianza degli stessi, cioè del
massimo scostamento previsto dal loro valore atteso. Fattori questi da tenere invece in
grande considerazione quando si desidera minimizzare il rischio. Ogni hedger è ben
consapevole infatti di come un rapporto di copertura pari ad 1 non sia sempre la soluzione
ideale per realizzare un buon hedging finanziario. Occorre dunque ricavare, in via
generale, un tasso di copertura ideale che tenga conto del peso di tali fattori e della loro
aleatorietà e che possa peraltro essere utilizzato con riferimento ad ogni specifica
fattispecie. Per far ciò andiamo a considerare astrattamente un’azione corta di copertura
per la vendita di Kn unità di un determinato asset in portafoglio, per la realizzazione della
quale si vendono all’epoca corrente t un numero Kf di contratti future tale da ottenere una
copertura dal rischio di ribasso del sottostante e dunque un rapporto di copertura h , pari a:
Ora indichiamo con M l’importo complessivamente realizzato al netto del risultato
conseguito sulla posizione assunta nei future e con St ed ST i prezzi spot all’epoca t e
all’epoca T, nonché con i simboli Ft ed FT i prezzi future osservati alle rispettive epoche di
appartenenza.
Avremo dunque:
M = S2Kf - (F2 - F1) Kn
.
39
Ovvero
M = S1Kf + (S2 - S1)Kf - (F - F)Kn
Ossia, ponendo Kn=hKf :
M = S1Kf + (ΔS)(k ) - (ΔF)(hKf) M = S1Kf + (Kf)(ΔS - hΔF)
(Con ΔS = S2 - S1 e ΔF = F2 - F1)
A questo punto poiché S1 e F1 sono chiaramente già noti all’epoca t, risulta che la
varianza (σ) di M viene ad essere minimizzata se si minimizza la varianza di (ΔS - hΔF),
che risulta essere per l’appunto:
σ2s + h2σ2
f - 2hρσsσf
Ovvero:
(hσf - ρσs)2 + σ2s - ρ2σ2
s
A questo punto, poiché né il secondo termine né il terzo termine dipende da h, per
minimizzare la varianza basta azzerare il primo termine, cosicchè risulti:
(hσf - ρσs) 2 = 0 quando h = ρ(
)
Dunque, si ricava che il rapporto ideale di copertura h che permette di ottenere una
copertura ottimale dal rischio di ribasso del sottostante, é proprio pari a:
h* = ρ ( )
.
40
Si dimostra così che l’hedge ratio è pari all’indice di correlazione tra la variazione del
prezzo spot e la variazione del prezzo future (ρ) in un intervallo temporale pari alla durata
della copertura, ponderato per il rapporto tra le deviazioni standard delle variazioni dei due
prezzi.
4.10 Il significato statistico dell’hedge ratio. A questo punto però prima di procedere, credo possa ritenersi importante, per una
maggiore completezza espositiva, soffermarsi sulle profonde implicazioni statistiche
contenute nella relazione, appena ricavata, dell’hedge ratio, cioè del rapporto di copertura.
Implicazioni, queste, che ruotano fortemente attorno al concetto di regressione lineare.
Nelle righe seguenti si esporrà sommariamente il modello di regressione lineare, così da
avere una più ampia veduta degli scenari direttamente connessi alla copertura finanziaria
che, va sottolineato, resta comunque il baricentro tematico/disciplinare della presente
trattazione.
4.11 Il modello di regressione lineare. Iniziamo allora col dire che il modello di regressione lineare è volto essenzialmente alla
ricerca di una dipendenza (di carattere lineare appunto) tra “solo”8 due variabili
quantitative che siano legate tra di loro da una relazione di tipo statistico o, in via
eccezionale, da una relazione funzionale. Si richiede dunque la presenza di una variabile
dipendente e di una variabile indipendente. Nella realtà l’osservazione di una perfetta
relazione di tipo funzionale tra due variabili non è però ipotizzabile, perché la complessità
della vita reale fa sì che tali variabili vengano sempre influenzate da altri fattori, essi stessi
variabili, che non permettono, in nessun caso, la vigenza di una relazione matematica tra le
due variabili.
Alla luce di ciò dunque, per lo studio e l’analisi dei fenomeni empirici, è opportuno
considerare una relazione più complessa di quella funzionale che prende il nome di
8) Il modello di regressione lineare semplice, infatti, in quanto semplice, si
propone l’analisi relazionale di solo due variabili casuali, una dipendente e una
indipendente, a differenza invece di altri modelli che vanno ad analizzare le
relazioni, non necessariamente lineari, tra una variabile indipendente e due o più
variabili dipendenti, risultando così notevolmente più complessi.
.
41
“relazione statistica”. Una relazione statistica considera non solo il contributo della
variabile indipendente X, cioè f (X), al valore della variabile Y, ma anche il contributo di
tutti gli altri fattori, non osservati, in grado di influenzare la stessa variabile Y,
rappresentato da Ɛ .
Si avrà dunque:
Y = f (X) + Ɛ
“ Ɛ ” è una variabile casuale per la quale si assume valore medio nullo per ogni valore di x
e che sintetizza, rappresenta, tutto il nostro “non sapere” rispetto alla vera relazione
esistente tra X e Y. Essa è così giustificativa della differenza tra il valore osservato di Y
per un dato valore di X e il valore medio corrispondente f (X).
Dunque Ɛ è l’errore del diverso valore di f (X) restituito da Y per ogni X.
Nel modello lineare semplice dunque si assume la linearità della funzione di regressione,
che sarà perciò del tipo:
f (X) = β0 + β1Xi
dove β0 e β1 sono valori incogniti da stimare e corrispondono rispettivamente all’intercetta
e al coefficiente angolare della retta di regressione e sono detti per l’appunto coefficenti di
regressione.
Mentre, trattandosi di relazioni statistiche si avrà che la funzione tra le due
variabili X e Y sarà invece del tipo:
Yi = β0 + β1Xi + Ɛi
( con 1 ≤ i ≤ n )
La tecnica della regressione permette, alla luce delle considerazioni fatte sin ora, di
minimizzare il peso della variabile Ɛi attraverso una approssimazione dei valori stimati ai
valori osservati ed occorre allora, per far ciò, che venga individuata una retta in grado di
restituire per ogni X un valore di Y che sia quanto più possibile vicino ai valori osservati.
.
42
Tale retta è la seguente:
Yi^ =β0
^+β1^Xi
( Dove β0^e β1^ sono le stime dei coefficenti di regressione. ) 4.11 La funzione statistica dell’hedge ratio. Quanto detto ci permette di capire la funzione statistica assolta dall’hedge ratio.
Esso, infatti, rappresenta il β1^della retta di regressione e cioè uno dei coefficienti stimati
della retta di regressione o meglio, il coefficiente angolare della retta che esprime la
regressione lineare tra le variabili ΔS e ΔF. È dunque immediato capire come, assumendo
l’ipotesi di una perfetta correlazione sia in senso qualitativo che quantitativo (ρ = +1),
unitamente all’ulteriore ipotesi di una assoluta parità tra le deviazioni standard delle due
variabili in questione, ΔS (variabile dipendente) e ΔF (variabile indipendente), si ottenga
un rapporto di copertura ottimale pari ad uno (h1 = ٭). In questo caso, infatti, il prezzo
future rispecchia perfettamente il prezzo spot. Il discorso è invece differente se si considera
ad esempio un ρ = 1 ma un σf = 2σs. In tal caso si avrà un rapporto di copertura ottimale
pari non ad uno ma a ½, cioè un h* = 0,5. Ma a ben vedere si tratta anche in questo caso di
un risultato ovvio dato che la variabilità del prezzo future è doppia rispetto a quella del
prezzo spot.
Quanto appena detto risulta osservabile anche dal grafico seguente.
Regressione della variazione del prezzo spot ΔS sulla variazione del prezzo future ΔF
.
43
4.12 La stima dei parametri dell’hedge ratio. Per ciò che concerne la stima dei parametri ρ, σs e σf per la determinazione del rapporto di
copertura ottimale (o detto anche a varianza minima), ci limiteremo solo ad evidenziare
alcuni elementi di rilievo.
In particolare, com’è ovvio che sia, la loro stima viene effettuata in base all’osservazione
delle serie storiche di ΔS e ΔF, andando così a considerare il passato come una
proiezione affidabile e concreta del futuro e riponendo, in tal senso, grandi aspettative nella
ricorsività futura degli eventi. Si vanno così a considerare degli intervalli temporali per
l’osservazione delle serie storiche delle variazioni dei prezzi che siano uguali a
all’intervallo di tempo per il quale ci si vuole proteggere, anche se, va detto, qualora si
avessero delle esigenze di protezione per periodi di tempo particolarmente lunghi, allora
potrebbe risultare conveniente l’andare a considerare nel tempo passato degli intervalli
temporali di durata minore in modo da riuscire così ad osservare un campione di dati
maggiore ed avere dei migliori riscontri probabilistici, che altrimenti non si otterrebbero
avendo a disposizione un numero di osservazioni notevolmente ridotto.
4.13 L’hedge ratio nella realtà: i limiti delle coperture reali. Un ultimo elemento di rilievo viene infine ad essere rappresentato dall'interpretazione
pratica non sempre di facile lettura dell’informazione restituita dal rapporto di copertura a
varianza minima. Difficilmente infatti esso restituirà un numero intero. Ciò significa che,
ad esempio, un h* pari a 0,86 imporrebbe nella realtà la compravendita di un numero di
contratti future il cui valore nominale complessivo sia pari all’86% del valore delle attività
da coprire ma, come è facilmente intuibile, sul mercato non sarà sempre possibile dotarsi
della quantità esatta di contratti derivati in grado di coprire in modo specifico ed esaustivo
tale rapporto in ogni circostanza, semplicemente perché non è possibile reperirne sul
mercato delle quantità infinitamente divisibili e dunque si dovrà necessariamente
comprare/vendere un numero intero di contratti e ciò, inevitabilmente, comporterà una
copertura comunque non ottimale, non perfetta.
Dovrebbero così apparire chiare, a questo punto, le reali motivazioni di quanto esposto
inizialmente e cioè di come, all’infuori della pratica dottrinale ed accademica, il
conseguimento di un “perfect hedge”, ovvero di una copertura perfetta, sia realisticamente
di assai difficile realizzazione. Tutto ciò che può fare un hedger allora, è cercare di
minimizzare il più possibile il rischio base della propria copertura nella finalità ultima,
.
44
questa sì meno utopica, di ottenere un’approssimazione quanto più fedele possibile della
copertura ottimale.
Le considerazioni appena esposte non vengono chiaramente ad essere in alcun modo
inficiate o invalidate nemmeno dalla possibilità di andare a definire, per
mezzo dell’informazione desunta dall’hedge ratio, il numero (teorico9) di contratti ottimali
attraverso l’osservanza di questa semplice relazione:
N*=h*Ka/Qf
Dove:
- Ka come la quantità in termini unitari di merce o di attività finanziarie da
proteggere
- Qf come la dimensione di un singolo contratto future espressa in termini unitari
- N* come il numero ottimale di contratti future da utilizzare per una copertura
ottimale
- h* come il rapporto ottimale di copertura o hedge ratio
9) Si tratta a ben vedere, anche questo, di un riscontro quantitativo-numerico
che trova piena valenza solo in ambito didattico. Per esso infatti continuano a valere
le considerazioni esposte sulla “prestanza empirica” dell’hedge ratio, com’è tra l’altro
evidente che debba essere, vista la diretta causalità determinativa tra le due
relazioni (N* ed h*), che vengono infatti ad essere determinate l’una attraverso
l’altra. Per cui avremo, come per l’hedge ratio, un numero ottimale di contratti che non
sarà sempre perfettamente utilizzabile nelle proprie azioni di copertura ma lo si
dovrà, in taluni casi, arrotondare per eccesso o per difetto. Il numero di contratti
future da utilizzare infatti dovrà necessariamente essere intero.
.
45
.
46
Parte QUARTA
Gli “Stock Index Futures”.
Restano ora da definire gli aspetti riguardanti la copertura dal rischio attraverso gli “Stock
Index Future10 ”, ossia attraverso dei contratti future scritti su indici azionari. Questi ultimi,
infatti, possono essere efficacemente adoperati in operazioni di copertura di portafogli
azionari attraverso delle loro opportune azioni di compravendita. Nelle prossime pagine si
vedrà in che modo.
4.1 Cos’è uno stock index future. Uno stock index future è un contratto che obbliga il possessore a comprare o vendere ad
una data scadenza un indice di borsa ad un prezzo prefissato. Il suo funzionamento è quindi
del tutto simile a quello di ogni altro contratto a termine e quindi di ogni altro titolo
derivato. In questo caso però il sottostante è rappresentato dall’indice azionario S(t) che
genera un tasso di dividendo pari alla combinazione lineare dei dividend yeald dei singoli
titoli azionari (che si presumono essere noti). Questo ci impone di considerare un indice
azionario alla stregua di un titolo con tasso di dividendo noto e quindi ci porta alla
definizione di un suo prezzo di non arbitraggio che sia perfettamente analogo a quello in
precedenza esposto, ossia:
F(t) = S(t) e(r - q)(T - t) ( con F(t) = K e f = 0 )
10) Gli stock index futures, insieme ai “currency futures” e agli “interest
rate futures”, sono dei contratti derivati scritti unicamente su dei sottostanti
rappresentati da strumenti finanziari e, per questo, vengono ad essere comunemente
ricompresi sotto l’espressione “Financial Futures”.
.
47
4.2 Un richiamo teorico fondamentale: l’importanza del C.A.P.M. Come si diceva appena qualche riga orsono, tali contratti possono essere utilizzati per
proteggere i portafogli di azioni semplicemente realizzando con essi delle operazioni di
trading che ci permettano di minimizzare i rischi specifici legati alla costituzione del nostro
portafoglio e quindi quella componente di rischio slegata dall’andamento del mercato. Tali
aspetti di natura prettamente teorica, una cui analisi attenta ed esaustiva verrà per larga
parte declinata da questa trattazione a favore di una sua migliore comprensione, vengono
mutuati dal C.A.P.M., acronimo di Capital Asset Pricing Money, ossia un modello di
prezzaggio dei titoli in condizione di equilibrio del mercato, che traendo le proprie radici
tecnico-concettuali dall’approccio media-varianza introdotto da Markovitz attorno alla
seconda metà del ventesimo secolo, permette di effettuare un’analisi esplicativa tra rischio
e rendimento, andando così a misurare nello specifico la remunerazione conseguita a fronte
del rischio assunto e permettendo quindi una valutazione del prezzo del titolo in questione.
Una delle maggiori conclusioni raggiunte dal CAPM è certamente quella riguardante, in
termini di rappresentanza proporzionale, la relazione tra il rendimento di un portafoglio di
titoli e quello del mercato, compiutamente descritta nel modello dal parametro β. Esso
infatti rappresenta il fattore di proporzionalità tra il tasso di rendimento atteso in eccesso
del mercato e quello di un dato titolo o portafoglio, come mostra la seguente formula:
ɱi = ɱf + (ɱm - ɱf )β
Con β =
Dalla relazione si evince chiaramente come il β venga ad assumere notevole rilevanza nella
realizzazione di ogni profilo di perdita o di guadagno relativamente ad un dato portafoglio
su cui si è deciso di investire (ɱi). Esso infatti va ad amplificare o ad indebolire il maggior
rendimento del mercato (ɱm) rispetto a quello del titolo risk-free (ɱf) e quindi, tale
parametro, viene così ad essere inteso come un indice sintomatico della propria strategia di
investimento e del proprio personale sentore circa l’andamento, di per se incerto, del
mercato. L’investitore infatti, scegliendo in modo opportuno il β del proprio portafoglio,
può di fatto riuscire a governare nel tempo le oscillazioni negative di rendimento che si
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48
realizzano sul mercato rispetto a quelle del proprio portafoglio. Scegliendo un β che sia
compreso tra zero ed uno (0 ˂ β ˂ 1), infatti, ci si sta di fatto parzialmente coprendo da cali
di mercato, ma si sta invero rinunciando anche a rialzi inattesi di mercato che ovviamente
avrebbero, di riflesso e a fronte di un β ≥ 1, garantito una marginalità ulteriore al proprio
portafoglio poiché, com’è chiaro, ad essi direttamente e causalmente correlati. Dunque il β
rappresenta il coefficiente angolare dell’equazione sopraesposta che mette in relazione tra
loro il rendimento di mercato e quello del proprio portafoglio. Quanto detto viene, qui di
seguito, esplicitato graficamente.
ɱp M ɱm
ɱf
0 0,5 1 β
Nel grafico si fa riferimento ad un portafoglio di titoli (ɱi) con un β pari ad uno, cioè si fa riferimento ad un
portafoglio che abbia un andamento perfettamente analogo a quello del portafoglio di mercato (M) o, più
astrattamente, al portafoglio di mercato stesso.
.
49
4.3 Dal modello del CAPM alla copertura di portafogli. Fatto un breve richiamo del CAPM veniamo ora all’analisi concreta delle coperture
mediante l’utilizzo di future su indici azionari.
Nota, a questo punto, la relazione che lega il prezzo future al tasso di dividendo dell’indice,
è opportuno andare ora a considerare anche la relazione intercorrente con il tasso di
rendimento dell’indice sottostante e cioè con il rendimento complessivo del mercato (ρ)
con riferimento ad una generica epoca τ intercorrente tra le epoche iniziali e finali (T - t).
Si avrà allora che combinando tali relazioni12, si ottiene:
● S(τ) = S(t) e(ρ-q)(T-t)
● F(t) = S(t) e(r-q)(T-t) F(τ) = F(t) e(ρ-r)(τ-t)
● F(τ) = S(τ) e(r-q)(T-τ)
Ovvero:
Log = (ρ-r)(τ-t)
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L’ultima relazione in grassetto ci permette di eguagliare il tasso di variazione logaritmica
del prezzo future al rendimento in eccesso dell’indice rispetto al tasso risk-free e quindi,
servendosi delle relazioni sul CAPM prima esposte, di poter controllare la nostra
esposizione al rischio attraverso la compravendita di future su indici azionari. È certamente
evidente come infatti, per le due seguenti relazioni, il parametro β rappresenti l’unico12
elemento di dissomiglianza, (poiché banalmente ɱm = ρ e ɱf = r).
ɱɱii -- ɱɱff == ((ɱɱmm -- ɱɱff))ββ
lloogg FF((ττ))//FF((tt))==((ρρ--rr))((ττ--tt))
11) Va sottolineato come non sia nelle finalità ultime di questa trattazione
l’andare a soffermarsi approfonditamente nella dimostrazione pratica delle suddette
relazioni matematiche e, perciò, ci si limiterà a considerarne la validità empirica e
la corretta funzionalità operativa in modo aprioristico e presuntivo, senza cioè
mostrarne, secondo una successione ordinata e progressiva, le fasi procedurali per la
loro determinazione.
12) E’altresì vero che nella seconda equazione compare anche una componente
temporale (τ- t) che invece non viene rilevata nella prima equazione. La ragione
consiste semplicemente nel fatto che, essendo il CAPM un modello di prezzaggio dei
titoli che opera unicamente in un contesto uniperiodale, l’intervallo di riferimento
(τ- t) cui si riferirebbe l’equazione sarebbe così in ogni caso sempre trascurabile,
poiché pari a (1-0).
.
51
Cosicché, risulta: ɱp – r = β ( ρ – r )
Ossia, graficamente:
(ɱp-r) β=0
0 (ρ – r)
Il β, come mostra il grafico, rappresenta dunque l’inclinazione della semiretta che descrive sul piano
cartesiano l’andamento relazionale tra i due extrarendimenti, ossia tra (ρ - r) e (ɱp - r). Un β pari a zero si
avrebbe così al regredire della semiretta sino a sovrapporla all’asse delle ascisse.
E dunque, osservando con attenzione l’equazione cui si riferisce il grafico soprastante e
alla luce delle conclusioni tratte dal CAPM, risulta evidente come sia possibile, a questo
punto, agendo sul fattore β, ridurre la propria esposizione al rischio in modo da correlare
perfettamente il rendimento del proprio portafoglio a quello di mercato. Un β pari a zero,
infatti, permette di rendere il proprio portafoglio completamente insensibile all’andamento
.
52
del mercato e quindi di coprirsi in maniera totale da dei suoi eventuali ribassi; ed è dunque
solo nella ferma convinzione di un loro prossimo verificarsi che verrà ad essere conseguito
dal singolo investitore, con le modalità che tra poco si vedranno, un β perfettamente nullo.
Viceversa, invece, un investitore che intende amplificare l’andamento del mercato perché
ne prevede nell’immediato una sostanziale crescita e ne auspica il concreto verificarsi
nell’intenzionalità esclusiva di acquisire, su di esso, delle posizioni fortemente speculative,
andrà ad aumentare il β del portafoglio (e non a ridurlo), propendendo, in particolare, per
l’acquisizione di un β che sia maggiore di uno, ossia per un β ˃ 1.
È dunque evidente come, in realtà, anche in tali suddette azioni, il β venga ad essere
fortemente rappresentativo delle proprie volontà di investimento e quindi delle proprie
aspettative circa l’andamento, nell’immediato, del mercato. Fino ad ora ci si è soffermati
però solo su due precise eventualità e cioè su delle aspettative da parte dell’investitore che
siano ribassiste o rialziste 4.4 Un’analisi introspettiva: la prevaricante efficienza del mercato. Un profilo molto interessante di analisi attiene invece le ragioni sottese alla scelta di
adottare un β di portafoglio che sia perfettamente pari ad uno, il che comporta, come
intuibile, il raggiungimento di una totale e reiterata replica dei risultati, positivi o negativi,
conseguiti nel tempo dal mercato. Ciò consente quindi di minimizzare quella parte di
rischio specifico generato unicamente dalle proprie scelte di mercato e cioè quella parte di
rischio legata alla soggettività dell’investimento. Ma quali logiche di operatività spingono
un investitore a muovere dalle proprie idee di investimento per “affidarsi” al rendimento
del mercato nel suo complesso?
Il decidere preventivamente di equiparare il rendimento del proprio portafoglio di azioni a
quello del mercato significa, di fatto, accantonare ogni velleità di superamento dello stesso,
confidando, con totale rassegnata passività, nell’ineluttabile consapevolezza di una
prevaricante efficienza del mercato sulle proprie capacità previsionali di investimento.
In altri termini si sta dicendo che un β pari ad uno viene ad essere giustificato nella sua
concreta attuazione da parte di un investitore razionale, unicamente nel momento in cui
questi confidi ciecamente nei meccanismi di mercato e ne riconosca, in esso, un efficacia
predittiva di circostanze future e quindi una capacità di controllo proattivo e di governo
delle dinamiche evolutive dell’ambiente macroeconomico di riferimento, che siano
indiscutibilmente superiori alle proprie e che vadano a riflettersi, nel concreto, in una
.
53
determinazione esatta dei prezzi. Diventa così quasi impossibile, per un investitore
individuale, credere fermamente di poter fare meglio del mercato perché, proprio in diretta
conseguenza della sua prevaricante efficienza, si sta implicitamente assumendo che i prezzi
vadano a raccogliere già al loro interno tutta l’informazione disponibile e rilevante,
lasciando così, assai realisticamente, poco spazio all’individualità, all’interpretazione e
all’intuito di ogni singolo investitore che dunque si vede costretto ad azzerare il proprio β
per non incorrere in perdite finanziarie che siano sistematiche quanto inevitabili.
4.5 Analisi concreta delle coperture. Si è fino adesso affrontato il tema in questione della copertura mediante future su indici
azionari soffermandosi unicamente sull’importanza, in tal senso fondamentale, di ridurre il
più possibile il fattore β in modo da potersi proteggere dai ribassi, anche consistenti, del
mercato, ma non ci si è invece soffermati sulle effettive modalità attuative di riduzione (o
di incremento) del β. Va detto subito che il conseguimento di un qualsivoglia valore di tale
fattore è ottenibile attraverso l’osservazione di una specifica relazione che consente ad ogni
investitore di desumere il numero esatto di contratti future da vendere o da acquistare per il
raggiungimento del valore di β cercato. Tale formula è la seguente:
N*(t) = (β – β*) (
)
La relazione mostra dunque come sia possibile determinare il numero di contratti future da
vendere (o da acquistare) per il raggiungimento del β di portafoglio che si desidera (β*)
tenendo conto unitamente di fattori quali il valore del proprio portafoglio (S) e il e quello
del sottostante (S) all’epoca di riferimento t.
Tale relazione poi, al ricorrere di un β obiettivo (β*) pari a zero, degenera nella seguente:
N*(t) = β ( )
Dunque le formule appena descritte mostrano in definitiva come sia possibile apportare
degli aggiustamenti anche sensibili alle proprie strategie di portafogli azionari
semplicemente operando con delle azioni di compravendita con dei contratti future scritti
.
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sulle quelle medesime attività finanziarie. Seguirà, così, che in presenza di aspettative
ribassiste da parte del mercato un investitore che vorrà, in tale circostanza, ridurre il più
possibile il β del proprio portafoglio, lo farà determinando, attraverso le equazioni
suddette, il numero esatto di contratti future da vendere, in modo da fissare subito il
delivery price da incassare a scadenza dove, al comprovare della tendenza ribassista
auspicata dall’investitore in questione, seguirà immediatamente un guadagno derivante
dalla differenza dei due prezzi, cioè dalla differenza tra il prezzo di vendita future che
rimane notoriamente bloccato fino alla scadenza naturale del contratto e il prezzo cash
dell’attività sottostante che invece è andato diminuendo nel corso del tempo.
Viceversa, l’investitore con delle aspettative rialziste del mercato procederà
immediatamente ad innalzare il fattore β e, per farlo, comprerà sul mercato un numero N*
di contratti future in modo da assicurarsene una sicura acquisizione a scadenza per un
prezzo prefissato e che, al verificarsi delle aspettative rialziste sulle relative attività
sottostanti, dovrebbe così permettere il conseguimento di una plusvalenza che sia
direttamente proporzionale alla distanza, registrata a scadenza, tra prezzo future e prezzo
spot.
Oltre a quanto appena scritto, dalle relazioni in questione si evince poi come, all’aumentare
o al diminuire del valore del sottostante, diminuiscano rispettivamente il numero di
contratti da vendere o da comprare. Ma questo è, in definitiva, un risultato alquanto
prevedibile poiché, considerando ad esempio la fattispecie operativa di riduzione del
fattore β, appare senza dubbio immediato come, all’apprezzarsi del valore del sottostante
( Ft nell’equazione), si riduca proporzionalmente il numero di contratti future da vendere
(N*), poiché ciò comporta, di fatto, un incremento dei delivery price da incassare a
scadenza e che, all’effettivo verificarsi della situazione presagita, danno luogo ad un
margine di guadagno sempre più ampio al crescere, ad oggi, del valore del sottostante o ad
una sua riduzione a scadenza. Tutto ciò concorre quindi ad operare una riduzione
automatica del rischio derivante da una possibile perdita del mercato a consultivo che
perciò, di riflesso, si traduce in una minore esigenza di copertura e quindi in un numero
minore di contratti future da vendere. Del tutto speculare è la situazione di chi invece ha
necessità di aumentare il β del proprio portafoglio.
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55
4.6 Conclusioni. In definitiva, dunque, le due formule in questione ci permettono di andare a modificare
ripetutamente le nostre posizioni di rischio, permettendoci, inoltre, di assumere nei
confronti del nostro portafoglio e quindi nei confronti del mercato stesso con il quale esso,
come noto dalle conclusioni del CAPM, risulta per una parte indissolubilmente correlato,
delle posizioni che siano fortemente speculative o altresì di mera copertura. L’assunzione
di tali posizioni però, risulta in realtà conseguibile con modalità differenti rispetto a quanto
accadeva nel modello del CAPM. Non si richiedono infatti delle operazioni di modifica
qualitativa del proprio portafoglio ma la rettifica del fattore β, secondo le proprie esigenze
di investimento e le proprie percezioni sull’andamento prossimo del mercato nonché,
quindi, la sua anche ripetuta attestazione, in ogni momento, sui livelli preferiti da ogni
singolo investitore, risulta essere unicamente subordinata a delle modifiche del proprio
portafoglio di natura strettamente qualitativa. In altri termini, l’utilizzo delle relazioni note
fa si che sia possibile, nel concreto, l’andare a modificare le proprie posizioni di rischio
attraverso delle mere azioni di trading e cioè unicamente comprando e vendendo delle date
quantità di titoli future e non modificando quindi in alcun modo la composizione
strettamente qualitativa del proprio portafoglio.
Non si necessita perciò di andare ad effettuare azione alcuna di sostituzione dei titoli, ma
gli obiettivi preposti di una propria copertura dal rischio circa l’intercorrere aleatorio del
mercato, viene ad essere compiutamente raggiunto semplicemente muovendo delle
opportune quantità di contratti future, ossia con delle azioni di trading su di essi.
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56
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57
Conclusioni finali.
Si è giunti all’epilogo di questa trattazione.
Si è voluto, nell’intenzionalità cognitiva che ha mosso la stesura di questa trattazione,
andare a comporre, pagina dopo pagina, un quadro sintetico ed esaustivo di alcune
specificità operative proprie del mondo, sempre più convulso, della finanza e dell’asset
management offrendo, nello specifico, una visione d’insieme sintetica ed essenziale delle
dinamiche tecnico – gestionali sottese al conseguimento dei propri obiettivi di
investimento, qui largamente (e notoriamente) intesi come meri obiettivi di copertura dal
rischio di mercato.
Trascendendo da ogni proposito di esposizione autocritica della presente opera, nelle
finalità ultime di chi ha realizzato tale trattazione vi era la ferma volontà di riuscire ad
esplicitare, con toni dissertatori, quanto di effettivamente valevole vi fosse, nella pratica,
diffusa ai più, dell’hedging finanziario13. Con l’auspicio sincero che il lettore possa aver
trovato, da tale lettura, quegli elementi cercati di analisi tecnico – disciplinare per la
definizione concreta di un profilo di veduta tematico che possa ritenersi fondato e
ragionevole urge, ora, andare a stilare un quadro riassuntivo finale rispetto a quanto sinora
13) Qui limitatamente inteso attraverso l’utilizzo esclusivo di contratti derivati
future e quindi eludendo del tutto il raggiungimento degli obiettivi, sopra richiamati,
di hedging finanziario attraverso i contratti derivati d’opzione.
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espresso sulle coperture finanziarie procedendo, da subito, con termini di estrema
chiarezza esplicativa, ad una definizione formale della figura dell’hedger finanziario che,
anche alla luce di quanto sinora esposto, possa ritenersi d’immediata condivisione per i
più.
L’hedger è dunque, in definitiva, colui il quale, come sua unica finalità, intenda proteggere
il valore di una sua posizione da variazioni indesiderate dei prezzi di mercato attraverso
l’utilizzo degli strumenti derivati così da riuscire, per l’appunto, a neutralizzare
l’andamento avverso del mercato bilanciando le perdite/guadagni sulla posizione da
coprire con i guadagni/perdite sul mercato dei derivati.
Va ricordato, però, come in realtà nel corso di tutta la trattazione si sia in più occasioni
argomentato sull’effettivo costo-opportunità di tali manovre e di come esse possano, in via
generale, risultare, a consultivo, per certi versi “sconvenenti”. Esse, infatti, trascendendo
dalle logiche operative e di utilità notoriamente proprie di ogni hedger, tendono ad essere
fortemente ridimensionate dalla realtà evolutiva del mercato riscontrabile, a consultivo,
dall’investitore. L’effettiva proficuità delle manovre di future hedging risulta essere, come
in precedenza esposto, del tutto subordinato al reale ricorrere delle condizioni di rischio
presupposte ed è dunque solo al puntuale verificarsi di tali circostanze di sfavore che un
investitore riesce a trarre un’effettiva (nonché comprovata) utilità dall’aver posto in essere
tali manovre. Ciò inevitabilmente implica un contrappeso utilitaristico che viene ad essere
insito nelle dinamiche di rendimento di tali strumenti, il che contribuisce a rivederne al
ribasso le stime di una loro proficua messa in opera in virtù dell’esamina, appena espressa,
circa l’effettiva efficacia delle loro coperture.
Tutto ciò ci porta dunque ad individuare, nell’operatività funzionale di tali strumenti quel
profilo, già vagamente richiamato, di ineludibilità esecutiva di tali coperture, che va
inevitabilmente a riflettersi sull’andamento reddituale generato dalle operazioni in
questione.
L’investitore, infatti, nell’azzerare la sua esposizione verso il downside risk14 viene, come
noto, a trovarsi allo stesso tempo estromesso da ogni profilo di guadagno legato al non
verificarsi delle circostanze di sfavore temute e quindi, altresì, a variazioni positive delle
variabili oggetto della copertura da parte dell’investitore. In altri termini l’immunizzazione
14) Da intendersi come variazione negativa delle variabili oggetto di copertura.
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59
cercata dall’investitore, contrariamente alle sue necessità, viene ad essere completa e
quindi inclusiva anche di quell’upside risk altrimenti15, dallo stesso, ipotizzato. Per tali
ragioni l’utilizzo indiscriminato di tali manovre da parte di operatori finanziari che non
condividano appieno quelle logiche di investimento, in precedenza richiamate, proprie di
ogni hedger ma, all’occorrenza, ricerchino nella copertura solo una valido strumento di
“risk-shifting”, ossia di trasferimento a terzi del rischio, può, in tali circostanze, rivelarsi
contro-produttivo rispetto alle proprie finalità di profitto.
Quanto detto, infatti, permette di evidenziare tutti quegli aspetti di tacita rilevanza che se
non ben percepiti e adeguatamente comunicati all’investitore possono far accrescere la
rischiosità dell’operazione anziché ridurla. E ciò, inevitabilmente, si traduce in un surplus
di potenziale (quanto addizionale) gravosità per la redditività dell’operazione stessa.
Nel concludere questa trattazione, l’auspicio, di assoluta preminenza da parte di chi scrive,
è che quanto sin qui argomentato possa dimostrarsi, oltre che di rigorosa puntualità
espositiva anche, ad ogni modo, pienamente esplicativo delle peculiarità tecniche e
funzionali di tali coperture finanziarie, così da far sì che le tematiche qui espresse vengano
comprese e condivise, con lauta plausibilità, da tutti coloro che possano voler riporre, nella
lettura attenta di tale opera, un interesse e una premura considerevoli, nonché, di ugual
grado, da chiunque possa voler ricercare, in queste pagine, solo una definizione veloce e
volutamente censoria dei temi espressi nel corso della presente.
15) Ossia in assenza di coperture con titoli derivati future
.
60
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61
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