testa - la natura del riconoscimento

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Testa. I., La natura del riconoscimento. Riconoscimento naturale e ontologia sociale nello Hegel di Jena, Mimesis, Milano, 2010, pp. 499 , ISBN 8857500969 Il lavoro di Italo Testa, La natura del riconoscimento. Riconoscimento naturale e ontologia sociale in Hegel, si presenta come il frutto maturo di un costante e prolungato confronto con il tema del riconoscimento: il libro coincide infatti con un ampio progetto di rilettura della filosofia hegeliana precedente la redazione della Fenomenologia alla luce di questo stesso concetto, nella convinzione che se "esiste una teoria complessiva del riconoscimento: la filosofia di Hegel è tale teoria" (p. 12). In questo senso si tratta di una lettura "forte", ovvero di una lettura che attraversa non solo cronologicamente, ma anche tematicamente l'intera parabola giovanile hegeliana, facendo della nozione di riconoscimento il concetto chiave non solo della teoria sociale e politica di Hegel, ma anche della sua epistemologia e della sua ontologia (p. 14). La vocazione onnicomprensiva e totalizzante della ricostruzione corrisponde del resto al preciso intento di smarcarsi rispetto a quelle teorie contemporanee del riconoscimento che commettono l'errore di bootstrapping, "con cui inizierebbe dal nulla il mondo sociale normativamente articolato" (p. 14), presupponendo l'intersoggettività senza spiegarla (p. 19). Di contro alle teorie che tendono a tematizzare il riconoscimento come un fenomeno eminentemente spirituale e pratico (ad es. Habermas, Honneth, ma anche Pippin e Pinkard), Testa sottolinea e ne mette in luce in modo complementare la dimensione teoretico-epistemologica (Parte prima) e naturale (Parte seconda), quali condizioni di possibilità e complemento di una sua tematizzazione a livello socio-politico (Parte terza). Se è vero, dunque, che per Hegel natura e spirito, teoria e prassi, si fondano sulla struttura logico- ontologica della ragione, solo una ragione riconoscitiva può dar conto delle reciproche relazioni fra questi termini senza incorrere nelle aporie dello scetticismo. Affrontando così il problema dello scetticismo (cap. 1), Testa si dedica a dimostrare come la ragione che possibilita e struttura l'attività cognitiva si caratterizzi come razionalità riconoscitiva, la quale "fornisce in Hegel una risposta unitaria al triplice problema scettico dell'accessibilità del mondo esterno, delle altre menti e della propria mente: l'evoluzione della capacità di riconoscimento istituisce unitariamente la possibilità del riferimento a sé, del riferimento ad altri e del riferimento oggettivo" (p. 38). In questo modo, senza ricadere in un nuovo fondazionalismo ma non rinunciando alla pretesa di una

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Page 1: TESTA - La Natura Del Riconoscimento

Testa. I., La natura del riconoscimento. Riconoscimento naturale e ontologia sociale nello Hegel di Jena, Mimesis, Milano, 2010, pp. 499 , ISBN 8857500969

Il lavoro di Italo Testa, La natura del riconoscimento. Riconoscimento naturale e ontologia sociale

in Hegel, si presenta come il frutto maturo di un costante e prolungato confronto con il tema del

riconoscimento: il libro coincide infatti con un ampio progetto di rilettura della filosofia hegeliana

precedente la redazione della Fenomenologia alla luce di questo stesso concetto, nella convinzione

che se "esiste una teoria complessiva del riconoscimento: la filosofia di Hegel è tale teoria" (p. 12).

In questo senso si tratta di una lettura "forte", ovvero di una lettura che attraversa non solo

cronologicamente, ma anche tematicamente l'intera parabola giovanile hegeliana, facendo della

nozione di riconoscimento il concetto chiave non solo della teoria sociale e politica di Hegel, ma

anche della sua epistemologia e della sua ontologia (p. 14).

La vocazione onnicomprensiva e totalizzante della ricostruzione corrisponde del resto al preciso

intento di smarcarsi rispetto a quelle teorie contemporanee del riconoscimento che commettono

l'errore di bootstrapping, "con cui inizierebbe dal nulla il mondo sociale normativamente articolato"

(p. 14), presupponendo l'intersoggettività senza spiegarla (p. 19). Di contro alle teorie che tendono

a tematizzare il riconoscimento come un fenomeno eminentemente spirituale e pratico (ad es.

Habermas, Honneth, ma anche Pippin e Pinkard), Testa sottolinea e ne mette in luce in modo

complementare la dimensione teoretico-epistemologica (Parte prima) e naturale (Parte seconda),

quali condizioni di possibilità e complemento di una sua tematizzazione a livello socio-politico

(Parte terza).

Se è vero, dunque, che per Hegel natura e spirito, teoria e prassi, si fondano sulla struttura logico-

ontologica della ragione, solo una ragione riconoscitiva può dar conto delle reciproche relazioni fra

questi termini senza incorrere nelle aporie dello scetticismo.

Affrontando così il problema dello scetticismo (cap. 1), Testa si dedica a dimostrare come la ragione

che possibilita e struttura l'attività cognitiva si caratterizzi come razionalità riconoscitiva, la quale

"fornisce in Hegel una risposta unitaria al triplice problema scettico dell'accessibilità del mondo

esterno, delle altre menti e della propria mente: l'evoluzione della capacità di riconoscimento

istituisce unitariamente la possibilità del riferimento a sé, del riferimento ad altri e del riferimento

oggettivo" (p. 38).

In questo modo, senza ricadere in un nuovo fondazionalismo ma non rinunciando alla pretesa di una

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giustificazione argomentativa sulla base di un modello olistico (pp. 56-57), Testa vede nella sfera

epistemica del riconoscimento il modello di una razionalità che supera ogni teoria

rappresentazionalista dogmatica o scettica, così come ogni dualismo fra soggettività ed oggettività,

sensibilità e intelletto, autocoscienza empirica e trascendentale, individuo e comunità.

La struttura riconoscitiva del conoscere, proprio per il suo carattere ontologico e non

soggettivistico, non emerge quindi solo a partire dalle individualità coscienti e dalle pratiche

intersoggettive, ma si radica nella stessa natura fisica e organica (cap. 4). Di nuovo, contro le

unilateralità di una riduzione spiritualistica del riconoscimento, Testa argomenta in favore di una

sua naturalizzazione, sostenendo che "il meccanismo riconoscitivo del trovare se stesso nell'altro ha

[...] la sua base evolutiva nell'appetito sessuale. Qui il meccanismo cognitivo di identificazione si

intreccia con la struttura pratico-assiologica dell'attribuzione di valore erotico" (p. 199).

Già dunque nella relazione sessuale animale è attiva una dinamica riconoscitiva pre-coscienziale e

pre-linguistica, che si pone come condizione di possibilità tanto della coscienza quanto del

linguaggio: tanto l'uno, quanto l'altra, non rappresentano dunque una rottura o un salto rispetto alla

sfera naturale, bensì una nuova riconfigurazione, ad un livello "evolutivo" più alto, di quella

razionalità riconoscitiva che già si incarna nel mondo animale sottoforma di riconoscimento erotico

e che nel mondo umano passa attraverso l'educazione e la formazione (Bildung) del figlio. Così, "la

coscienza è innanzitutto un nuovo livello del vivente [...]. Il divenire della coscienza a partire

dall'autorganizzazione del vivente è perciò anche la prospettiva dalla quale Hegel traccia

l'evoluzione naturale delle forme spirituali" (p. 235).

E' solo dunque a partire dal riconoscimento naturale ed organico che si può sviluppare, "come un

nuovo livello di complessità" (p. 240), la coscienza individuale umana come luogo del "sapere

autocosciente mediato linguisticamente" (ibid.). Il punto di vista della coscienza non viene così

assolutizzato, la coscienza non si rivela una struttura monologica e autocentrica originaria o

trascendentale. In quanto "medio di medi" (p. 247), essa viene analizzata piuttosto in qualità di

luogo della mediazione dialettica fra riconoscimento naturale e riconoscimento spirituale, fra realtà

naturale e realtà sociale: "Con ciò Hegel rafforza ulteriormente la sua concezione dell'essenziale

socialità dell'autoconoscienza e della ragione e nello stesso tempo chiarisce che tale socialità ha una

matrice naturale – emerge dall'interazione animale, in cui continua a radicarsi, ed è la forma di vita

naturale propria della comunità umana – e assume quindi consistenza oggettiva

istituzionalizzandosi nelle forme politiche di una comunità statale" (p. 253).

Tale mediazione assume così le forme del processo teoretico (memoria, linguaggio, intelletto), nel

quale Testa legge la trasformazione in senso olistico-linguistico dell'intelletto kantiano come

superamento dell'aporia fra realismo ed idealismo, senza che ciò implichi una dissoluzione della

determinatezza naturale ad un livello semantico (pp. 206 e ss., p. 268, p. 295).

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In particolare, è proprio la de-trascendentalizzazione e riconduzione della funzione sintetica

dell'intelletto a razionalità linguisticamente e socialmente articolata a rappresentare, in quanto

"relazione pratica al mondo", il presupposto dell'autoriferimento individuale cosciente tematizzato

all'interno del processo pratico: "L'universalità della coscienza si realizza quindi proprio sul piano

riconoscitivo. Intuendo di essere tale solo in quanto riconosciuta, la coscienza singola empirica

intuisce di dipendere dalle altre coscienze e comprende che proprio in questo vincolo consiste la sua

razionalità" (p. 296).

Qui il riconoscimento entra in gioco quale riconoscimento diadico fra coscienze che ottengono così

la propria reciproca individualità; al tempo stesso tale riconscimento "orizzontale" dischiude la

dimensione autenticamente etico-sociale dello spirito come "prodotto" espressivo delle interazioni

individuali (p. 300) e sempre in continuità rispetto alla dimensione naturale degli individui: "Il

concetto di «spirito [Geist]», in tal senso, non consiste così in una supermente individuale, una

nuova realtà ontologica soprannaturale che fluttua al di sopra delle nostre teste: esso sta ad indicare

invece la specifica configurazione riconoscitiva che le relazioni naturali e sociali assumono

istituzionalizzandosi nella comunità umana" (p. 296).

In questo modo, "la nozione di «Anerkennung» viene ora ad interessare non più soltanto interazioni

diadiche tra individui, bensì anche relazioni triadiche in cui il rapporto io-tu è mediato dal 'noi' della

comunità e dalle sue espressioni istituzionalizzate (p. 393).

Si è così giunti finalmente al livello in cui riconoscimento, consenso e capacità normativa si

fondono a livello di consenso universale, in cui significato e norma vengono a intrecciarsi

indissolubilmente (p. 414), cosicché "se la natura del significato è modellata su quella delle norme,

la comprensione del significato consisterà allora nel riconoscimento della validità di norme" (pp.

414-415).

Anche le manifestazioni dello spirito assoluto sono considerate così da Testa come espressione della

comunità riconoscitiva eticamente e politicamente organizzata, scongiurando l'interpretazione di

una lettura habermasiana di uno spirito assoluto monologico che revoca l'intersoggettività

riconoscitiva delle forme di intenzionalità condivisa (p. 439).

I meriti del libro sono evidenti, e si lasciano ravvisare sotto diversi punti di vista, rendendo il testo

un riferimento importante per gli studi hegeliani e non solo.

Da un lato l'autore si sofferma ampiamente sui testi, fornendo una lettura puntuale e un ampio

commentario ragionato a luoghi della produzione jenese meno frequentati rispetto alle più note

opere hegeliane; di grande interesse e ricchezza è anche la ricostruzione storico-filologica degli usi

del termine Anerkennung e di termini affini quali Rekognition o Wiederkennung a cavallo fra

tradizione filosofica e giuridica fra XVIII e XIX secolo (cap. 2), che abbraccia diversi pensatori

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(fra cui Fichte, Goethe, Adelung, Campe, Krug, Kant, Baumgarten, Wolff, Aristotele, Hartley,

Stuart, Priestley, Condillac, Bonnet...) e individua in Platner un riferimento di particolare

importanza per la connessione di dimensione epistemologica, autoidentificativa e intersoggettiva

del riconoscimento.

Dall'altro il lavoro non risulta mai esclusivamente incentrato o sbilanciato sulla filologia, ma indica,

con originalità e acume argomentativo, la prospettiva hegeliana come la possibile soluzione

sistematica ad una vasta costellazione di questioni che interessano il dibattito contemporaneo (pp.

14-15), riuscendo ad articolare parallelamente la ricostruzione sistematica della nozione di

riconoscimento e lo sviluppo cronologico del pensiero hegeliano.

E senza dubbio è questo l'aspetto più interessante e degno di nota: ovvero il tentativo di

riarticolazione coerente di una grande serie di problemi (il dibattito fra idealismo e realismo, fra

dogmatismo e scetticismo, contrattualismo e anticontrattualismo, naturalismo e antinaturalismo,

etc.) alla luce di un unico concetto chiave, cercando di risolvere le questioni a partire da una

ricostruzione al contempo storico-genetica e sistematica del pensiero hegeliano.

L'analisi di Testa è dunque rigorosa, coerente e persuasiva. Nel suo tentativo di ampliare in senso

epistemologico-naturalistico la nozione di riconoscimento si annidano tuttavia alcune difficoltà, che

seppure in modo appena abbozzato, vorrei qui accennare. In particolar modo vorrei segnalare una

questione centrale che a mio avviso risulta controversa: può una lettura pluridimensionale della

nozione hegeliana di riconoscimento mediare fra determinatezza naturale, esterna e oggettiva dei

contenuti epistemici da un lato e olismo semantico dall'altro (senza cadere in un uso meramente

analogico del termine)? Da un lato Testa riconosce come "Hegel [...] sembra ritenere che le

relazioni olistiche siano condizioni necessarie ma non sufficienti per l'individuazione del contenuto

concettuale (p. 268), ammettendo la necessità di un riferimento oggettivo reale, dall'altro sembra

identificare a-problematicamente l'universalità soggetto-oggettiva sovraindividuale della comunità

parlante riconoscitiva e autocoscente con la soggetto-oggettività pre- o sottocoscienziale della

determinatezza del contenuto (p. 279), irriducibile all'opacità atomica di un mero dato.

Questa ambiguità fra realismo empirico e pragmatismo linguistico è senz'altro rintracciabile nei

testi hegeliani, ma mi pare arricchire e riarticolare il dibattito attuale piuttosto che fornire soluzioni.

In altre parole: se, mcdowellianamente, "i concetti sono sempre aperti alle cose, nella misura in cui

l'essere cosa delle cose è articolabile e identificabile solo entro lo spazio della concettualità" (p.

341)", come dev'essere concepito il ruolo di controllo del mondo esterno, affinché – nonostante la

tesi centrale del libro di una continuità fra prima e seconda natura, fra oggettività e soggettività –

l'elemento linguistico-normativo del riconoscimento non si scolli nuovamente dalla prima natura?