tommaso d'aquino - somma teologica - 15 ii, ii, 23-33. la carità

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15° Tappa...

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  • S. TOMMASO D'AQUINO

    LA SOMMA TEOLOGICA

    TRADUZIONE E COMMENTO

    A CURA DEI DOMENICANI ITALIANI TESTO LATINO DELL'EDIZIONE LEONINA

    xv LA CARIT

    {li-Il, qq. 23 - 33)

    CASA EDITRICE ADRIANO SALANI

  • Nihil obstat

    Fr. Ludovicus Merlioi O. P.

    Doctor S. Theologiae

    Fr. Albertus Boccanegra O. P.

    Lector et Doctor Philosophiae

    Imprimi potest

    Fr. Jnnocentius

  • LA CARITA {I~II. qq. 23 .. 33)

  • LA CARIT (11 ... 11, qq. 23 ... 33)

    TRADUZIONE, INTRODUZIONE E NOTE del P. Tito S. Centi O. P.

  • INTRODUZIONE

    I Sul dizionario della carit.

    1 - Ecco una parola stracarica di significato, che ha sentito forse pi di ogni altra il logorio dell'uso. Nell'uso toscano cor-rente il termine carit ridotto a significare una delle forme pi spicciole e sbrigative di esercitare uno dei suoi atti, che l'elemosina. Speriamo che il progressivo rimarginarsi della piaga della mendicit porti a una riabilitazione di questa voce, che insostituibile nel dizionario teologico, per indicare la re-gina di tutte le virt : l'amore soprannaturale verso Dio e l'amore del prossimo per amor di Dio.

    Il dizionario latino si era gi arricchito di questa voce prima della predicazione del Vangelo. Infatti, sebbene si sia insistito per lungo tempo sull'etimologia greca di questo nome, facen-dolo derivare da x_ocpLc; (grazia, benevolenza) e scrivendolo col Ch iniziale, assai pi fondata l'etimologia dall'aggettivo carus {prezioso, pregevole, raro).

    Il termine greco corrispondente invece &.yocttlJ, che un neo-logismo ellenista dal verbo &.yocttav, che significa accogliere amorevolmente. Il g:reco classico per indicare l'amore aveva altri termini, quali epooc; e cpL.toc. Ma nell'uso dell'epoca elle-nistica il primo era praticamente riservato ali 'amore sessuale. E in tal senso viene usato dalla Scrittura nella versione dei Set-tanta. Il secondo sta a indicare un amore, sia di ordine profano, che di carattere religioso. I Settanta lo usano in entrambi i si-gnificati. Nel Nuovo Testamento epoot;; non viene mai usato; men-tre il termine &y&.1t1J vi si riscontra ben 112 volte.

    Ma torniamo al termine latino Caritas, il quale con ogni pro-babilit indica nel suo significato etimologico quello che S. Tom-

  • 8 LA CARITA

    rnaso riscontrer essere iJ primo atto di questa virt: la dilectio, cio l'amore cosciente e volontario di chi si volge a una cosa o a una persona, scegliendola o accettandola deliberatamente (q. 27).

    Ludovico A. Muratori nella prefazione al suo trattato Delta Carit Cristiana in quantu essa arnure del prossno (Firenze. 1866), ci offre questa pagina vivacissima sulle variazioni morfologiche del termine che c" interessa: Bisogna anche soddisfare ad alcuni pochissimi, i quali.. .. troveranno qui scritto costantemente Caritas. e diranno-: ve' come co-stui non giunto peranche ad apprendere cosa significhi nel linguaggio Jatino la parola Caritas ? Lo sanno pur anche i novizi. delle scuole, che questa vuol dire Care sua; laddove il santo A more di Dio si ha da scri-vere Charitas. E per si meraviglieranno, e Dio sa se mi useranno molta carit per un fallo s grosso. Io potrei assai pi meravigliarmi di loro, perc.h pascano di s fatte bagatelle i propri elevati ingegni: n avrei uensato a far parola di questa inezia, se il rumore, che ho detto so-pra.starmi, non fosse gi succeduto, dappoich alcuni lessero scritta nella chiesa della Pomposa di Modena per ordine mio a lettere cubitali la parola Caritas senza I' H. Dico pertanto, non vietar io a chicchessia lo seri vere come loro par be110 questa parola ; ma dovcl'e eglno altres permettero a me i scriverla, come io credo, meglio di loro ; cio se-condo l'ortografia degli antichi scrittori della lingua latina, e dei pi accreditati fra i moderni. Imperocch egli vero, che nei secoli rozzi, caduta gi essa lingua latina, venne in pensiero ad alcuni di scrivere Charitas, per tirnore che comparendo essa scritta nella stessa maniera la Dilezione di Dio, e la Carestia, non ne avvenissero degli equivoci, r trovato quest'uso, l'approvarono frate Ambrosio da Calepio, il Nizolio, Roberto Stefano. ed altri valentuomini perch'essi non si misero ad esa-minare cotali minuzie. Ma altri pi attenti, e quegli specialmente, che han J>reso in questi due ultimi secoli a depurare l'ortograna latina, non si son gi creduti obbligati di stare a quest'uso. Ecco le ragioni loro. Primieramente non viene Caritas dal greco Charis, onde 1e s'abbia da consel'vare l'H, ma dal latino Carus, essendo la Prima sillaba di Char.i; breve, laddove la prima di Carus e Caritas lunga. E infatti la. parola Caru:;, o significasse cosa amata., o si adoperasse per indicure una cosa rara, e che costi molto, soleva scriversi dagli antichi senza I' H, sic-come apparisce dai vecchi marmi, dalle medaglie antiche, e da tanti manoscritti.. .. , ne' quali ancora troviamo Karus e Karissimus: segno evidente, che in questo vocabolo non entrava il Cht dei Greci, ma il e latino corrispondente al greco Kappa. Secondariamente non sussiste n timore d'equivoco alcuno, facendo la concatenazione dei sentimenti assai intendere anche oggid, quando si parli di carestia, oppure d'amor di Dio, siccome s'intende il caro degl' Italiani egualmente scritto, ben-ch abbia due significati diversi 11 (pp. 7-9}.

    2 - In italiano ci troviamo piuttosto in difficolt per espri-mere con un verbo solo il diligere, che il primo atto dell'amore di carit. Siamo costretti a ricorrere al generico amare; per-ch diligere nella sua forma semplice escluso dal dizionario dei prosatori moderni. Solo i poeti ormai se lo possono permet-tere nel suo significato originario. Prediligere invece, che in qualche modo lo ha soppiantato, implica una preferenza a fa-vore di una persona, la quale emerge cos da una pluralit di soggetti anch'essi amati ed amabili. Ma la dilectio caritatis non pu concepirsi in questo modo, data l'universalit di questa virt cristiana, nel suo atto printordiale che abbraccia necessa-riamente Dio e tutti coloro che amiamo in Dio.

  • INTHODUZIO.i\E 9

    Lo stesso si dica del termine predilezione. - questo uno di quei casi in cui l'opera del traduttore minaccia di trasformarsi in un tradimento.

    II Fonti del trattato.

    3 - T!'e sule sono le fonti veramente irnportanti delle undici questioni da noi presentate in questo volume: la Sacra Scrittura, s. Agostino e Aristotele. C' poi un compendio di testi patri-stici, che. senza mai essere espressamente citato, confluito per intero nel trattato tomistico. E ci non per l'astuzia del nostro Autore: il testo era cos famoso che nessuno avrebbe potuto nascondere il tesoro sfruttato. Si tratta delle distinzioni 23-29 del 3 Sent. di Pietro Lombardo.

    In quelle sentenze degli antichi Padri i teologi del secolo XIII avevano un primo abbozzo del trattato sulla carit. Ormai per era un'abitudine, un'usanza sfruttare l'opera dcl raccoglitore, senza citarlo. Ci si limitava a far suonare il suo nome quando si trattava di sottolinearne gli errori nelle poche illazioni personali meno felici.

    In un osservatore superficiale pu destare una certa meraviglia l'elenco presentato delle fonti principali. La meraviglia non ri-guarda certo la Sacra Scrittura, n S. Agostino, ma Aristotele. La presenza di un filosofo pagano in un tema cos squisitamente cristiano pu sembrare addirittura una profanazione. Eppure si deve proprio a questa profanazione , se la teologia cattolica riuscita ad acquisire saldamente una delle idee pi profonde sulla carit. S. Tommaso non ha esitato ad applicare alla ca-rit soprannaturale quanto Aristotele aveva detto a proposito dell 'arnicizia. Fin dal suo commento giovanile alle Sentenze egli mostra di aver cornprcso tutta la bellezza di questa arditissima applicazione, che oggi comunemente accettata e propugnata dai teologi e dai moralisti cristjani.

    E un vero peccato che sia tuttora inedita la reportatio del-l'Aquinate di un comrnento albertino sull'Etica a Nicornaco, che Guglielmo di Tocco giustamente cita tra le opere di S. Tom-maso. Forse in tal caso avrem1no avuto modo di vedere nella sua sorgente una delle idee pi originali di quel maestro ori-ginalissimo. 1

    1 Dobbiamo alla gentilezza del P. L. Bertrando Gillon. gi nostro l\faestro nella Pontificia Universit

  • 10 LA CARIT

    Tra le fonti n1inori enierge sopra ogni altra I 'omiletica di S. Gregorio J\tlagno, seguita alla distanza da quella di S. A1n-b1ogio e di S. Giovanni Crisostomo. Pi importanti sono i riferi-n1enti alle opere dello Pseudo-Dionigi, che vengono citate quasi se1npre a sostegno di una certa metafisica del bene e dell'amore. Anche in questo caso S. rrommaso rivela la sua altissima stima e perfetta conoscenza dcl Corpus nyonisianum.

    Gli altri autori sacri e profani sono presenti solo incidental-rr1ente. Cicerone~ nonostante il suo De Amicitia che una mo-nografia di a1gomento affine, citato una sola volta per sbaglio. Quasi la stessa sorte toccata a S. Bernardo e al suo opuscolo De diligendo Deo: viene citato una volta sola come Valerio 1\iassimo. Pi importanti sono invece le poche citazioni tratte daHe opere esegetiche di S. Girolamo, e gi raccolte nelle Sen-tenze da Pietro Lombardo.

    4 - Gli studi pi intcrossanti sulle fonti, oltre quelli volti ad illustrare il corn~etto aristotelco-tomistico di amicizia, potreb-bero essere quelli ielativi ai testi biblici pi importanti sul nostro argo1nento. B noto che le epistole di S. Paolo e il Vangelo di S. Giovanni sono stati oggetto di arr1pi commenti da parte di S. Tornmaso. Nel complesso risulta che l'Autore della Somma Teologica aveva la sicura padronanza linguistica e concettuale dei testi ehave reati\'i a1Ja carit.

    Per una ric.eica eon1pleta sulle fonti del trattato dovremmo in~ dagare anche su qneHo inunediate, che sono rimaste segrete. S. Tornmaso rnostru di essere a conoscenza delle controversie esistenti tra i teolo;i conte1n1)oranei; e ci presuppone un con-

    vasto commento 31\' f:'l!ca :Sieomac11ea. Perci in codesta citazione abbiamo la vernic:c albertirrn. t-j.:.,lJa " ;e1wrtatio" che !"Aquinate presentava come opera del sui) macsh'o.

    :\hmt10 pero Alhertv M:.t;;n;1 JH11ccde ~foggiarnlo un'erudizione filosofica, flo-l1gtcn e sto1'h'a d:i sb"1o1nnc, t1 ~uo discepolo mira all'essenziale, e mostra chlaralllcnte le :sue. JH'cnl11roazioul teologiche, che non lo abbandoneranno nep-pm:c flPl suo c0Huw~1n(1 ((t'ila m:ituri t, nonost.anle questa esplicita dichiara-zione: Deus non lu1het HPil'li::.nn civi!cm ad nos de qua bic loquimur, quia non commnnll'ti.t nobis !n oper1hus nostris, sed nos diligit amicitia bencvolen-Uae vel cal'it.a.lts, (le o;1m non est. hir, quacstio" (f. 159 vb, ad 1) (cfr. In Etntc., Ed. Marietti, Hlti9, nr1. 163~1. 1715, 1752, 1768, 1782).

    Al f. 15.1 vb si legge: ".Afl sl:'i1tmnm icemlum quod eliam amatio vel amor tcii.m s~cunlum sirnp\inm molum m ronrlu1lit omn~a lwec et addit rectamationem non lat.entem ''

    }Jas.ter rnnfront

  • INTRODUZIONE 11

    tatto quotidiano, diretto o indiretto, con le opere dei maestri. Le controversie non mancavano. Pietro Lombardo, p. es., non era stato l'unico a sostenere che la carit si identifica addirittura con Io Spirito Santo (cfr. LANDGRAF A., Charit , in Dict. de Spirit., t. II, col. 573). L'Aquinate certo non ignorava i loro argomenti, come non ignorava quelli degli oppositori.

    Altra controversia che egli mostra di ben conoscere quella relativa alla possibilit por l'uorno di amare Dio pi di se stesso anche nell'ordine naturale. Ma non praticamente possibile determinare autori e testi che egli ha consultato sull'argomento. Lo stesso si dica per gli scontri polemici tra la concezione fi-sica,, e quella u estatica dell'amore. La prima era nata dalla celebre definizione agostiniana: Caritas est motus animi ad fruendum Deo propter ipsum et proximo propter Deum , da cui pare si possa dedurre che ogni nostro amore nasce necessa-riamente dalla nostra esigenza e dal nostro desiderio di perfe-zionamento soggettivo. La seconda invece affermata da coloro che trovano tale impostazione troppo egoistica, e concepisce l'amore di carit come del tutto distaccato dall'amore di con-cupiscenza che abbiamo per noi stessi. Come l'estasi, esso porta la creatura fuori di s, per tendere unicamente a Dio, amandolo per se stesso con purissimo affetto di benevolenza.

    S. Tommaso, senza impegnarsi espressamente nella contro-versia, mostra chiaramente di conoscerla. Ma nessuno potrebbe dirci, con i pochi elementi che abbiamo, quali siano state, tra i contemporanei in1med iati, le sue fonti d'informazione.

    III

    Integrazioni necessarie o possibili.

    5 - Abbiamo ripetuto ormai fino alla nausea, nelle nostre introduzioni ai volumi di questa edizione, che l'Autore nel compilare i singoli trattati non intende costruire delle mono-grafie teologiche; ma svolge sempre il suo tema limitandosi all'essenziale, per inserirlo - possibilmente senza ripetizioni -nella sintesi generale, che condiziona ognuna delle sue parti. Perci in una eventuale monografia tomistica sui vari argo-menti bisogna far confluire molti dati complementari dal re-sto dell'Opera. Vediamo dunque di raccogliere i presupposti e i corollari relativi alla carit dai trattati che la precedono o che la seguono.

    Dalla Prima Parte bisognerebbe estrarre i presupposti fonda-mentali che sono racchiusi nelle perfezioni divine, da cui sca-turisce il dono arcano della carit, specialmente la bont (qq. 5, 6), l'amore (q. 20) e la misericordia (q. 2f, aa. 3, 4). Il posto

  • 12 LA CARIT

    d'onore qui spetta alla misericordia, perch nelle condizioni attuali dell'umant U punto di partenza la miseria (cfr. 11-ll) q. 30, a. 4).

    La carit ci pone in un rapporto di tale intimit con Dio, da impegnarf'i diroUarnentr~ con le tre Persone Divine. Ma nel no-stro trattato l'Autore si limita ad accennare vagamente alla inabitaziorw della SS. Tlnit in noi. ~ i1er evidente cbe egli presuppone quanto aveva gi detto su tale argomento, e nel trattato della Trinit (l, q. 43, aa. 5-7), e in quello dell'uomo (I, q. 03), dove parla dell' imrnagine di Dio in noi. La vera e perfetta i1nmagine che la divinit mira a stampare in noi si attua nell\:sPrcizio delle virt teologali, e in modo specialissimo della caritfl, regina di tutte le virt. - Va inoltre ricordato che tra i nomi dello Spirito Santo e' anche Caritas; poich lo Spirito di Dio va concepito quale dono d'amore (l, q. 38, a. 2).

    Sui rappot'ti che intercorrono fra le tre virt teologali S. Tom-maso torna a dire qual che cosa anche nel trattato specifico

  • I~THODUZIO~E 13

    Noi qui aggiungiamo questa sola osservazione: r integrazione suddetta ricorre spontanea alla mente, se non perdiamo di vista i vari trattati connessi che l'Autore della Sornma pre-suppone.

    Anche dopo aver parlato di proposito sulla carit, S. Tom-maso sentir nel resto dell'Opera il bisogno di portare qualche ritocco. interessante, p. es., quanto egli dice nel trattato re-lativo agli stati di perfezione, non solo l dove espressamente parla della carit, come nella q. 184, aa. 1-3; ma anche nelle questioni dove indirettamente in discussione quale elemento determinante e supremo della perfezione cristiana. Cos nel trattato sui carismi (Il-Il, qq. 171-178), cos nella considera-zione delle varie forme di vita spirituale, caratterizzate dalle opere o daHa contemplazione (ibid., qq. 179-181).

    7 - A tutti questi elementi dobbiamo finalmente aggiungerne uno ancora pi importante: l'elemento cristologico. Tutti sanno che l'Aquinate considera la santa umanit di Cristo come la causa strumentale della nostra salvezza (cfr. 111, q. 8, a. 1; q. 62, a. 5) ; e parla di lui come Capo del Corpo Mistico. Ma non sempre si ha premura di trarre le conseguenze logiche da questi principii. Francesco Suarez giustamente osservava nel suo commento alla q. 8 della Tertia Pars: e< Se dovessimo trattare qui di tutti gli argomenti che si nascondono sotto la metafora del capo, bisognerebbe parlare di molte questioni gi studiate da S. Tomn1aso: perch questa immagine esprime in-nanzi tutto l'efficacia dell'influsso che egli esercita su tutti co-loro che sono come le parti, le cellule di un medesimo corpo mistico o sociale)) (tract. XVII, in q. 8, disp. 23).

    Ma se vogliamo una rnonografia esauriente sulla carit non possibile trascurare la cristologia: la carit, come la grazia, deriva in noi per ridondanza da Cristo. La communicatio di cui abbian10 parlato sopra, e che tra gli elementi costitutivi della carit, avviene solo in Cristo Ges>> (cfr. PLUS R., In Cristo Ges, Torino, 1950).

    8 - R stata una vera fortuna per un numero indefinito di anime che questa complessit del trattato sulla carit non sia stata ignorata da quel grande maestro di vita spirituale che fu S. Francesco di Sales. Egli mostra di conoscere a fondo il va-lore del trattato tomistico, di cui cos parla nella prefazione del suo incomparabile Teotimo: bello ci che scrivono della soavit della santa dilezione anime nutrite appunto in seno ad essa r Per questo, anche tra gli Scolastici, quelli che ne hanno parlato meglio e pi a lungo, si sono pure distinti maggior-mente nella piet. S. Tommaso ne ha fatto un trattato da pari ~~o ,, . (S. FRANCESCO DI SALES, Teotimo, ossia trattato dell'amor

    1 Dio, a cura di M. C. Borgogno, Alba, 19-14, p. 20). Non sarebbe difficile dimostrare le dipendenze del Santo ve-

  • LA CARIT

    scovo di Ginevra dalle pagine dell1Aquinate proprio nel Teo-timo, che giustaznente considerato l'opera sua principale e pi originale. Tale originalit rimane nonostante la dipendenza dalle fonti; perch egli mostra di sapersene servire da vero maestro. Ebbene, S. F~rancesco di Sales per la sua monografia sull'amor di Dio, pur rispettando l'ordine generale della Somma Teologica - teoria, pratica, con1andamenti - ha sentito il bi-sogno di rifarsi alla divisione delle nostre facolt appetitive, di cui S. Tom1naso ha parlato nella Prima Parte; di analizzare la passione dell'amore) come quegli aveva fatto nella Prima Secundae, pur integrandola lnag-istralmente con le caratteri-stiche proprie deB a carit.

    Continuando nel la comparazione un buon tomista pu tro-vare nel Teatirno tutta la ricchezza virtualmente racchiusa nelle poche questioni, in cui l'Autore della Somma Teologica ha voluto racchiudere il suo trattato. S. Francesco di Sales non affatto fuori terna quando parla dell'orazione, della con-templazione, o dei con~igl i evangelici : la sintesi tomistica lo autorizza piena1nente ; perch la carit offre in prospettiva tutti gli sviluppi della vita cristiana. cc La carit forma, motore e radice di tutte le virt n e dei loro atti (TJe Carit., a. 3).

    IV

    L'amicizia specifica della carit.

    9 - Abbiamo detto ne1le pagine procedenti che a S. Tommaso va attribuito il n1erito rli aver p1ocisato la natura della carit, presentandola carne an1 iciz1a dell'uomo con Dio. Ora, ci sono dei teologi i qua.1 i non si contentano di una qualifica generica come questa; perch l'amicizia pu essere di vari tipi. C' l'amicizia tra genitoii e figli, tra fratelli, tra colleghi di lavoro) di armi o di affari, e e' l'an1icizia tra sposi. Ognuna di queste amicizie ha una tonalit diversa. Qual' dunque il tipo che meglio corrispondo al no::;tro arnore soprannaturale verso Dio?

    Gli autori mistici non vanno molto per il sottiJe, e passano con disinvoltura da una descrizione della carit come amor filiale, a quella de.Ila carit come amore coniugale. Ma ci sono dei teologi ai quali non piacciono queste ambivalenze, e quindi si pronunziano in rnodo esclusivo per l'uno o per l'altro. Prima di prendere posizione in un p1oblema del genere un discepolo di S. Tommaso sottolineer in tutta la sua forza l'espressione del maestro: (( Caritas an1icitia quaedam est hominis ad Doum n. Questo non per concludere che si tratta di un'amicizia per modo di dire~ cio in senso i111proprio; n1a per sottolineare la singolarit di questo rapporto dell'anima con Dio: cc La ca-

  • I:"ITRODUZIONE 15

    rit cos bisognerebbe tradurre, una particolarissima amici~ia dell'uomo con Dio .

    L' iniziati va di stabil iro questo legame di amore non poteva certo partire dall'uomo: tutto si deve a un disegno dell'infinita misericordia di Dio. Ora, se vogliamo specificare la natura del legame cos stabilito, dobbiamo ricorrere necessariamente alla rivelazione divina, che ne mostra il carattere. - Per afferrare nei suoi termini pi universali l'espansione della carit, che abbraccia in un solo vincolo di amore uomini e angeli, S. Tom-maso parla della beatitudine eterna, cio della partecipazione di tutti gli esseri alla vita e alla felicit che Dio stesso (

  • 16 LA CARIT

    Tutti sanno che S. Paolo ha sviluppato arnpiamente questo concetto nella lettera agli Efesini; e l'Aquinate non manca di citarne le affermazioni pi importanti in questa stessa peri-cope: '' [Cristo si consegnato alla morte per la Chiesa sua sposa], per far comparire da vanti a s gloriosa la Chiesa, senza macchia, senza ruga o altra cosa siffatta, ma santa e immaco-lata (Efes. 5

    1 27). E nel breve suo commento osserva: Non

    era decoroso che uno sposo immacolato prendesse una sposa maculata. Ecco perch egli se la prepara senza macchia : qua nel tempo mediante la grazia, e nella eternit mediante la gloria (In Ephes., c. 5, lect. 8). ~la Cristo talora viene presentato come sposo anche delle

    singole anime, specialmente di quelle che a lui si consacrano con la castit perfetta. Baster citare in proposito lEnciclica di Pio XII dedicata all'argomento:

  • II\TH.ODUZIONE 17

    E il Dottore Angelico, parlando della carit stessa che si rivolge al prossimo, non esita ad affermal"e che (( una parte-cipazione della carit che Dio stesso u (cfr. q. 23, a. 2, ad i).

    V Ordine della carit: sublimazione degli affetti naturali (q. 26).

    12 - Gli esegeti si sbarazzano oggi con grande disinvoltura delle difficolt implicite in espressioni evangeliche come que-sta di S. Luca 11, 26: Se uno viene a 1ne e non odia il padre suo e la madre e la moglie e i figlioli o le sorelle e persino la sua stessa vita, non pu essere mio discepolo . La spiegazione semplice: si tratta di un ebraismo. Nel passato le cose non furono sempre cos chiare. E non mancarono degli asceti che po-sero l'accento su una vera opposizione tra l'amore di Dio e gli affetti del sangue e della benevolenza naturale. Altri poi insi-stevano nel riprovare ogni preferenza affettiva nell'amore verso il prossimo. Se si ama per il Signore pare cho non si debbano ammettere preferenze fondate su motivi umani, anche se per ne-cessit preferiamo di fatto nelle opere esterne i nostri congiunti.

    S. Tommaso respinge energicamente questo 1nodo di pen-sare (q. 26, aa. 6-8) per due motivi. Primo, perch e< la grazia non mira a distruggere, ma a perfezionare la natura>) ; e in se-condo luogo, perch l'ordine dell'agire presuppone sempre l'or-dine del volere. E se nell'azione siamo tenuti a delle preferenze, chiaro che vi siamo tenuti anc11e nell'amare. "E la ragione questa, che essendo principii dell'amore Dio e chi ama, neces-sariamente l'affetto cresce secondo la maggiore vicinanza a uno di questi due principii: sopra infatti abbiamo detto che dovo si trova un principio si riscontra un ordine in rapporto a tale principio (a. 6). Egli anche qui rivola il suo genio, che por-tato a cogliere nella realt pi le armonie che i contrasti.

    Ma non basta appellarsi a questi principii generali: bisogna spiegare come la carit possa essere rafforzata dagli affetti na-turali, senza degenerare in naturalismo. La spiegazione sgorga spontanea dal fatto che la carit la forrna di tutte le virt e di tutti i loro atti. Ora, raffetto verso le persone a noi legate dai vincoli del sangue o dalla beneficenza dettato dallo virt dc1la Piet, e della gratitudine. ({ Poich il bene su cui si fonda ogni altra amicizia onesta ordinato al bene su cui si fonda la ca-rit, quest'ultima viene a comandare gli atti di qualsiasi altra amicizia: come l'arte che ha per oggetto il fine comanda alle arti [minori] che si interessano dei mezzi. E cos lo stesso amore per gli altri perch consanguinei, o parenti o concittadini, op-pure perch congiunti con qualsiasi altro legame ordinabile al fine della carit, pu essere comandato dalla carit. E quindi

  • 18 LA CAHIT

    unendo atti cliciti ed atti in1peratit veniamo ad amare 1n pi modi con la carit i nostri congiunti pi stretti (a. 7).

    VI

    Carit cristiana o giustizia sociale?

    13 - Un trattato medievale sulle opere caritative pu dare fa-cilmente l'impressione di un documento storico, senza nessun valore per la nostra societ conte1nporanea. Anche nella Som-nia Teologica la questione pi irr1portante in proposito porta un titolo che urta la nostra sensibilit sociale: ) (Matt. 26 1 11).

    14 - un fatto comunque che oggi si compreso meglio un dovere sociale anche sul piano puramente naturale, e viene spontaneo domandarsi se la carit cristiana non debba essere sostituita dalla solidariet, dal ta giustizia sociale e dalla filan-tropia. nota la drastica affer1nazione di Proudhon:

  • INTRODUZIONE 19

    Ma se togliamo di mezzo la carit cristiana, per tenere in-sieme i tessuti della societ bisogner ricorrere alla filantropia. Ma in questa vaga affermazione di solidariet riscontriamo pri-ma di tutto una deficienza di ordine nozionale. Non si hanno idee n precise n universalmente valide sul valore dell'uomo come tale, cio sul valore intrinseco della vita umana. L'appar-tenenza alla medesima specie non sar mai in grado di giusti-ficare, p. es., il rispetto per la vita dei minorati, che sembra es-sere un valore negativo, un dono indesiderabile.

    D'altra parte la solidariet che si esplica mediante organi statali, per non ridursi a un soccorso anonimo e quindi inu-mano, ha bisogno di essere vivificata da un sentimento di fra-terna partecipazione, che soltanto la virt nella sua pienezza capace di suscitare e di sorreggere.

    E inutile dire che la carit cos brutalmente respinta dal ma-terialismo contemporaneo non che una degenerazione della carit cristiana. Essa viene confusa con un sottoprodotto, un ripiego, un surrogato della giustizia. Essa invece deve essere concepita come l'animatrice e il sostegno di tutte le virt, giu-stizia compresa (cfr. 3 Sent., d. 27, q. 2, a. 4, qc. 3). Ora, evi-dente che quando affiorano nei rapporti sociali dei vincoli ben definiti in riferimento a inoppugnabili diritti, la carit spinge all'adempimento di precisi doveri di giustizia. Ma quando tali vincoli non emergono, e si forma come un vuoto legale tra l'al-trui indigenza e i doveri di chi pu ancora soccorrere, la carit colma codesto vuoto, senza soluzione di continuit.

    Per intendersi: l'operaio che percepisce una paga appena suf-ficiente per il bisogno familiare, non certo tenuto per giustizia a prestare un gratuito servizio all'infelice vicino di casa che stenta nella miseria, sia pure per colpa di una societ non an-cora perfettamente allineata con la giustizia. Codesto operaio potrebbe essere tentato di limitarsi a protestare contro la so-ciet; ma se cristiano, non esiter a fare intanto quello che in suo potere. Egli compir cos un atto di carit: un dovere di un ordine superiore a quello di giustizia.

    15 - Il metodo cristiano di cc pronto soccorso, alla prova dei fatti, si dimostrato ben pi efficace di violente riforme sociali. Esso certamente ha asciugato pi lacrime di tutti i moti rivolu-zionari, che spesso, col pretesto di cambiare la societ con me-todi violenti, hanno accresciuto gli affanni e le ingiustizie. ~opo tutto, dicevamo, si deve al sentimento cristiano la crea-zione di quel senso di solidariet umana e di giustizia sociale che oggi largamente diffuso nel mondo. Le menti pi aperte ayev:_ano gi intuito da secoli che l'esistenza di gravi sperequa-z1on1 nella societ erano da attribuirsi a una lesione della giu-stizia. Le espressioni pi drastiche dei Santi Padri a favore del-l'elemosina ( cfr. q. 32) non possono ave re altro significato.

  • 20 LA CARITA

    Del resto baster ricordare quanto scrisse l' Harnack sul va-lore sociale della carit. cristiana: mediante la carit l' Evan-gelo divenne un messaggio sociale. Quella parola che, pene-trando nella pi intima essenza dell'uomo, lo distaccava dal mondo per congiungerlo col suo Dio, fu altres parola di soli-dariet e di fratellanza .... La sua tendenza sociale non un feno-1neno accidentale nella sua storia, rna un elemento essenziale della sua natura (1\1 issiorie e P1opagazionc del Cristianesimo nei primi tre secoli, Torino, 1906, p. 112).

    Mentre per i Padri insistono a ricordare ai ricchi il dovere di soccorrere i bisognosi, senza distinguere tra giustizia e carit, nella Somma Teologica la distinzione si profila gi in maniera inequivocabile. Si legga in proposito la questione 32, a. 5, ad 2, sul modo d'intendere il diritto di propriet: I beni che uno riceve da Dio appartengono a ciascuno quanto alla propriet; ma quanto all'uso non devono essere soltanto suoi, bens anche degli altri, che possono essere sostentati da quanto egli ha in sovrappi. ~ un testo fondamentale per afferrare il pensiero di S. Tom-

    maso sul valore della ricchezza, assieme a quell'altro passo:

  • INTRODUZIONE 21

    beralit deriva dal fatto che il donatore affetto in una data maniera verso il danaro, in modo cio da non bramarlo o da non amarlo; ed per questo che egli lo elargisce, quando ne-cessario, non solo agli amici, ma anche agli estranei. Ecco per-ch il suo dare non appartiene alla carit, bens alla giustizia~ che chiamata a regolare i beni esterni (q. 117, a. 5, ad 3).

    facile rilevare da questi e da altri testi consimili, che l'Au-tore mira a una giustizia sociale attraverso un delicatissimo equilibrio morale dei singoli cittadini. E dobbiamo francamente riconoscere che nel suo pensiero le funzioni sociali dello stato sono quasi inesistenti, come nella situazione di fatto in cui egli viveva. giusto quindi attendersi da una societ meglio orga-nizzata un contributo pi rilevante per sanare penosi squilibri. Ma sarebbe un,illusione sperare tutto dall'organizzazione sta-tale, che d'altra parte non pu essere efficiente, senza un'ade-guata educazione morale dei singoli. Sarebbe poi addirittura mostruoso attendere la giustizia sociale dallo scatenamento de-gli opposti egoismi. Quando l'uomo si lascia sedurre cos dal richiamo deHa foresta e applica la legge della jungla, si cancel-lano le vestigia della carit cristiana, e alla solidariet umana si sostituisce la f rrrea disciplina, tornando, se occorre, al1a cru-delt del mondo pagano.

    cc Negli ultimi giorni n, scriveva S. Paolo con accento profe-tico, verranno dei tempi difficili; perch gli uomini saranno egoisti, avidi di danaro, vantatori, superbi, maldicenti, ribelli ai genitori, ingrati, irreligiosi, disamorati, sleali, calunniatori, intemperanti, crudeli, senz'amor di bene, traditori, temerari, gonfi di orgoglio, amanti del piacere pi che di Dio>> (2 Tim. 3, 1-4). Nel commentare questa pericope S. Tommaso si sente in do-vere di appellarsi alle parole evangeliche relative anch'esse agli ultimi tempi: cc Per il moltiplicarsi delle iniquit si raffredd()ril la carit di molti (Matt. 24, 12). In quel tempo verranno meno maggiormente la fede e la carit, perch esse saran pi lontane dal Cristo .... Radice di ogni iniquit l'amor proprio. "Due amori hanno costruito due citt'' [direbbe S. Agostino] .... E da questa radire nascono le diverse specie di iniquit)) (In 2 ad Tim,., c. 3, lect. 1).

    Perch dunque non scenda cos presto la notte sul mondo indispensabile farsi apostoli della carit cristiana, cio del-l'amore di Dio fino al di sprezzo di s , che costruisce la cele-ste Gerusalen1me. La cosa pi urgente per il bene di tutti su-scitare nelle anime un po' di amor di Dio. Valga a questo scopo anche la nostra mod()sta fatira di divulgatori della Somma Teo-logica.

    P. TITO S. CENTI

  • LA CARIT (qq. 23-33}

    CONTENUTO DEL PRESE~TE VOLUME

    / n in se stessa: \ 1) nella sua natura (q. 23)

    t 2) in rapporto al soggetto (q. 24) I

    \ 1) le persone da amare con amore di carit (q. 25)

    II) il suo oggetto:

    t 2) l'ordine della carit (q. 26)

    1) atto principale: la dilezione {q. 27)

    III) i suoi atti: I I

    2) atti ed effetti successivi:

    IV) vizi opposti (vol. XVI) I

    \ V) e precetti relativi alla carit {vol. XVI}

    , A)

    I interni:

    '

    I \ B) esterni:

    ' a; gioia ( c1. 28) " b) pace (q. 2U)

    f e) misericordia (q. 30)

    \ a) beneficenza { q. 31)

    ) b) elemosina (q. 32)

    ( e) correzione fraterna (q. 33)

  • AVVERTENZE

    1. Nel testo italiano sono stati eliminati i richiami e le indica-zioni delle opere citate, perch figurano a fronte nel testo latino.

    Dove l'intelligibilit della frase lo richiedeva stato inserito qual-che termine o qualche espressione tra [ ] , per facilitare la compren-sione del testo senza ricorrere a perifrasi.

    Nella punteggiatura si segue ordinariamente il latino, per dare agio al lettore di controllare la. traduzione e di consultare il testo originale.

    I richiami delle note sono tutti nel testo italiano, esse per conti-nuano anche sotto il testo latino e talvolta nelle pagine seguenti.

    2. Il testo critico latino dell'Edizione Leonina riprodotto con la pi scrupolosa fedelt. La sola enumerazione degli articoli all' ini-zio della Quaestio stata fatta senza capoversi.

    Manca per, nella nostra edizione, l'apparato critico. Le sole va-rianti di un certo interesse vengono prese in considerazione nelle note.

    Le citazioni, o i dati complementari delle citazioni, che l' Ed. Leo-nina riporta in margine, sono state inserite nel testo tra [ ]. Sol-tanto i versetti della Sacra Scrittura - in corsivo - figurano senza altri contrassegni.

    Le citazioni e i luoghi paralleli sono semplificati con criteri tecnici moderni.

    Le Opere dei SS. Padri sono citate secondo le diciture pi comuni: per non infarcire troppo il testo di elementi estranei, abbiamo tra-scurato i titoli e le enumerazioni meno usuali. Dove i richiami sono vere correzioni del testo della Sornma, vengono riportati in nota.

  • QUESTIONE 23

    La carit in se stessa.

    Passiamo ora a trattare della carit. Priino, parleremo direltu-n1ente della carit; secondo 1 del dono della sapienza che le cor-risponde. Sul primo terr1a tratteremo cinque argomenti: primo, della carit stessa; secondo, del suo oggetto; terzo, dei suoi atti; quartot dei vizi contrari; quinto, dei precetti che ad essa si ri-feriscono. Sul primo argorne.nto svolgeremo due questioni: la prima riguardante la carit in se stessa; la seconda riguardante la carit in rapporto al soggetto. 1

    Nella prima questione ahhiamo otto quesiti: 1. Se la carit sia un'amicizia; 2. Se sia qualche cosa di creato nell'anima; 3. Se sia una virt; 4. Se sia una virt speciale; 5. Se sia una virt unica; 6. Se sia la pi grande delle virt; 7. Se possa esserci una vera virt senza di essa; 8. Se sia forma delle virt. 2

    AHTlCOLO 1 Se la carit sia un'amicizia. 3

    SEMBRA che Ia carit non sin un'amicizia. Infatti: 1. Come dice il Filosofo, H niente tanto proprio degli am1c1

    quanto il vivere insieme,,, 1\.fa Ja carit lega l'uomo con Dio e con gli angeli, u che sono fuori del consorzio umano n, secondo l' espres~ sione di Daniele. Quindi la carit non un'amicizia.

    2. L'arnicizia, come insegna AriBtotele, non si concepisce senza rispondenza di amore. Ora1 la carit si ha persino verso i nemici, secondo le parole evangeliche: a Amate i vostri nemici n. Dunque la carit non amicizia.

    3. Secondo il Filosofo, tre sono le specie dell'amicizia, e cio: u dl piacere n, cc di utilit H e H di onest. Ma la carit non un'amicizia di utilit o di pfacere; infatti S. Girolamo scrive: (( L 1 affetto che ci lega e che ci unisce in Cristo non suggerito dai

    1 r..o svolgimento identico a quello dei trattati relativi alle altre virt teo-logali. secondo il programma frn;.;ato nel prolo;o della Serumta secundae. I pro-Memi per hanno qui uno sviluppo autonomo ; e. data I' importanza del trat-tato. raggiungeranno una mole di ben 24 qnestioni per complessivi 143 articoli. NeUa nostra edizione saremo costretti a rimandare al volume successivo la seconda parte, quella riguardan~e i peceat.1 contro la carit, nonch i precetti e il dono annesso della sapienza (qq. 34-~6}.

    :

  • QUAESTIO 23

    De caritate secundum se l n octo articulos divisa.

    Co:\SEQl'E.xn:H considerunum est de curilate. Et 11riluo, de psa caritaLe; secundo, de dono sapientiae ei correspondente [q. 45]. Circa primum consideranda sunt quinque: prirno, de ipsa caritate; secundo, de obiecto caritatis [ q. 25); tertio, de actibus eius [ q. 27] ; quarto, de vitiis oppositis [ q. 34] ; quinto, de praeceptis ad hoc pertinentibus [q. 44]. Circa primum est duplex consideratio: prima quidem de ipsa caritate secundum se; secunda de caritate per comparationem ad subiectum [q. 24].

    Circa primum quaeruntur octo. Primo: utrum caritas sit ami-citia. Secundo: utrum sit aliquid creatum in anima. Terlio: utrum sit virtus. Quarto: utrum sit virtus specialis. Quinto: utrum sit una virtus. Sexto: utrum sit 1naxima virtutum. Septimo: utrum sine ea possit esse aliqua vera virtus. Octavo: utrum sit forma virtutum.

    ARTICULUS 1 U trum caritas sit amicitia.

    1-11, q. 65, a. 5; 3 Sent .. d. 27, q. 2, a. 1.

    Ao PRIMliM src PRoCEDITUR. Videtur quod caritas non sit arnicitia. u Nihil enirn est ita proprium a1nicitiae sicut convivere amico n; ut Philosophus dicit, in 8 Ethic. [c. 5, lect. 5]. Sed caritas est ho-minis ad Deum et ad angelos,

  • 26 LA SO~f.MA f.E(JLOGlCA, 11-II, q. 23, a. 1

    vantaggi dei beni di fa igHa., dalla presenza dei corpi, oppure dalla adulazione subdol ., ma dal timore di Dio e dallo studio della sacra Scrittura>>. f neppure. un'amicizia basata sull'one~ st: poich con la carit amiamo anche i peccatori; mentre l'ami-cizia di onest riguard soltanto le persone virtuose, come nota Aristotele. 1 Perci la ca il non un'amicizia.

    IN CONTRARIO: "Kel Va gelo si legge: u Io non vi chiamo pi servi, ma amici)). 2 Or , queste Tlarole furono dette soltanto a n10tivo de!Ja carit. Dun 1ue la cHrit un'amicizia.

    RISPON'DO: Come inseg a. il .Filosofo, non un amore qualsiasi, nla solo quello accomp guatn dalla benevolenza ha. natura di amicizia: quando, cio, rniamo uno cos da volergli del bene. Se invece non vogliarno de hene aHe cose amate, ma il loro stesso bene 1o vogliamo a noi, ome quHndo amiamo il vino, o altre cose del genere, non si ha u amore di arnicizia, ma di concupiscenza. Infatti ridicolo dire e e uno ha amicizia per il vino, o per il cavallo. Anzi, per l'am "izia non basta neppure la benevolenza, ma si richiede l'amore s arnbievo.le: poich un amico amico per l'amico. E tale mutua cnevoleuza fondala su qualche comu-nanza. 3

    Ora, essendoci una erta cmnunanza dell'uorno con Dio, in quanto questi ci rende partecipi della sua beatitudine, neces-sario che su questo scarr bi.o si fondi un'amicizia. E di questa com-partecipazione cos pari S. Paolo:

  • LA CARIT IN SE STESSA 27

    glutino copulata, quam non utilitas rei familiaris, non praesentia tantum corporum, non subdola et palpans adulatio, sed Dei timor et divinarum Scripturarum studia conciliant )). Similiter etiam non est amicitia honesti: quia caritate diligirnus eliam peccatores; amicitia vero honesti non est nisi ad virtuosos, ut dicitur in 8 Ethic. [c. 4, lect. 4]. Ergo caritas non est amicitia.

    SED CONTRA EST quod Ioan. 15, 15 dicitur: Iam non dicam vos servos, sed amicos meos n. Sed hoc non dicebatur eh; nisi ratione caritatis. Ergo caritas est amicitia.

    RESPONDEO DICENDUM quod, secundum Philosopbum, in 8 Ethic. [c. 2, lect. 2] non quilibet amor habet rationem amicitiae, sed amor qui est cum benevolentia: quando scilicet sic amamus aliquem ut ei bonum velimus. Si autem rebus amatis non bonu1n velimus, sed ipsum eorum bonum veliinus nobis, sicut dicimur amare vinum aut equum aut ali quid huius1nodi, non est amor amicitiae, sed cuiusdarn concupiscentiae: ridiculum enim est dicere quod aliquis babeat amicitiam ad vinum vcl ad equum. Sed nec benevolentia sufficit ad rationem amicitiae, sed requiritur qu aedarn mutua amatio: quia amicus est a1nico amicus. Ta1is auten1 mutua bene-volentia fundatur super a1iqua communicatione.

    Cum igitur sit aliqua communicatio hominis ad Deum secundum quod nobis suam beatitudinem communicat, super hac communica-tione oportet aUqua1n amicitiam iundari. De qua quidem commu-nicatione dicitur I ad Cor. 1, 9: u Fidelis Deus, per quern vocati estis in societatem Filii eius 1>. Amor autem super hac comn1uni-catione fundatur est caritas. Unde manifestum est quod caritas amicitia quaedam est hominis ad Deum.

    AD PRIMUM ERGO DICE"SDUM quod duplex est hominis vita. Una quidem exterior secundum naturam sensibilem et corporalem: et secundum hanc vitam non est nobis communicatio vel conversatio cum Deo et angelis. Alia a.utem est vita hominis spiritualis se-cundum mentem. Et secundum hanc vitam est nobis conversatio et cum Deo et cutn angelis. In praesenti quidem statu imperfecte: unde dicitur Philipp. 3, 20: cc Nostra conversatio in caelis est: Sed ista conversatio perficietur in patria, quando e< servi eius serw vient Deo et videbunt faciem eius n, .ut dicitur A poc. ult., 3, 4. Et ideo hic est caritas imperfecta, sed pcrficietur in patria.

    An SECUNIHJM DICENDUM quod amicitia se extendit ad aliquem du-pJiciter. Uno modo, respectu sui ipsius: et sic amicitia nunquam est nisi ad amicum. Alio modo se cxtendit ad aliquem respectu al-

    Pure Si possono riscontrare in tutte le unirne in grazia. Sul modo d' intendere il te1zo elemento costitutivo, cio la communtcatio, si sviluppata una polemica tra tomisti nei primi decenni del nostro secolo. Eccone una eoncisa relazione. li termine comuritcax.lone va preso qui nel significato attivo i donazione o scambio e non solo in senso formale, cio come si dicono comunicare due specie che appartengono al medesimo genere. Cos lo intese il p. Tlt. coconnicz nel suo articolo "La Charit d'aprs s. Th01nas " in liev. Tlwm., rno6, pp. 6 ss. nel re( sto questo il senso genuino del testo a1istotelico eia cui l'Aquinate dipene cfr. a Eth:tc., c. 111, 1161, b 11). Al ('Ontmrio il P. Keller e R. Egenter insistono

    f.er il ~lgnlficato 11 formale ll, pereh secondo loro la convivenza,, presnppone amlr.izta gi costituita, e quindi basata su una somiglianza. E facile per ri-

    splziondere che codesta somiglianza una predisposizione soltanto ,.emota all'ami-. (e a, rendendola possibile; ma non pu corto costituirla. Il P. Gillon giustamente

    1 Vedi Introd.) sostiene che i dlle elementi della communtcatto, emersi dalla po-em.tca, devono concepirsi non come incompatibili, ma come integranti e com-

    l>le:mentarl (.cfr. GILLON L. B.,

  • 28 LA SOMMA TEOLOGICA, II-Il, q. 23, aa. 1-2

    sona: come quando, per l'atnicizia che uno nutre verso un amico, ama tutti coloro che gli appartengono, siano essi figli, servi, o in altro modo a lui uniti-. E l'amore pu essere cosi grande da abbrac-ciare per 1' amico quelli che gli appa1tengono, anche se ci offen-dono e ci odiano. Ed cos che l'amicizia della carit si estende anche ai nernici, i quali sono amati da noi per carit in ordine a Dio, che l'oggetto principale di questa amicizia.

    3. L'anddzia basata sull'onest principalrueutc non ha di rnira. che la persona virtuosa: ma in vista di essa sono amati tutti coloro che le appartengono, anche se n(4ll sono virtuosi. Ed cos che la carit, la quale in somrno grado amicizia basata sull'onest, si estende anche ai peccatol'i che amiamo con carit per amore di Uio.

    AHTICOLO 2

    Se la carit sia qualche cosa di creato nell'anima. 1

    SEMBRA che la carit non sia qualche cosa di creato nelPanima. Infatti:

    1. S. Agostino afferma: . Ma il moto del-1 'animo qualche cosa di creato nell'anima. Dunque anche la ca-rit qualche cosa di creato nell'anima.

    RISPONDO: Il Maestro de1le Senten:.e esamina queslo problema nel primo libro, e afferma che la carit non qualche cosa di creato nell'anima, ma lo Spirito Santo medesimo che abita in essa. Per egli non intende dire che il moto del nostro amore verso Dio sia lo Spirito Santo ; ma che questo moto di amore pro-

    1 "L'articolo occasionato dall'opinione del Maestro delle Sentenze, il quale diceva che la carit abituale Io Spirto Santo stesso, rhe abita nell'anima, per muoverla immediatamente all'atto dell'amore, uon gi mediante l'abito virtuoso. come avviene negli atti delle altre virt. Ed era spinto a simile affer-mazione dall'eccellenza della carit.. (GAi:RlGOU-LAORANOE R., O. P., De Virtuti bus Theologtcts. Torino, 1949, p. 392).

  • LA CAHIT.\ IN SE STESSA 29

    terius personae: sicut, si aliquis habet amicitiam ad aliquem ho-minern, ratione eius diligit ornnes ad i1lum hominern pertinentes, sive filios sivc servos sive qualitercumque ei attinentes. Et tanta potest esse dilectio amici quod proptm arnicu1n arnantur hi qui ad ipsum pertinent etia1n si nos offendani ve} odiant. Et hoc modo amicitia caritatis se extendit etiam ad inhnicos, quos diligiinuA ex caritate in ordine ad Deun1, ad quern principaliter hahetur ami-dtja caritat.is.

    AD TERTl L:l\f DIC:F.::'\DU:\I quod amicitia honesti nou hahetur nisi ad virtuosum scut ad principalern personam: sed cius intuitu d li-guntur ad eurn attinentes etiarn si non sint virtuosi. Et hoc rnodo cartas, quae maxhne est amicitia honcsti, se extendit ad pecca-tores, qnos cx caritate diligimns propter Deum.

    AHTICULCS 2

    Utrum caritas sit aJiquid creatum in anima.

    I Sent., d. ti, q. 1, a. 1 ; De Virtut., q, 2, a. 1.

    AD SECl:NDLY SIC PROCEDIT"LR. Videiur quod caritas non sit aliquid creaturn in anirna. Dicit enirn Augustinus, in 8 De Trin. [c. 7]: u Qui proxinrnm diligit, consequens est ut ipsan1 dilectionem di-ligat. Dens autern dilect io est. Conscquens est ergo ut praecipuc Deum diligat n. Et in 45 De Trin. l c. 17] dicit: (( Ita dictum est, Deus caritas est, sicut dictrnn est, Deus spirit us est n. Ergo caritas non est aliquid creaturn in anima, scd est ipse Deus.

    2. PnAETl~REA, D~us est spiritualitcr vita animae, sicut anima vita corporis: sccundurn illud Deut. 30, 20: u Ipse est vita tua >1. Sed anima vivificat corpus per seipsam. Ergo Deus vivificat animam per seipsum. Vivifcat nutem eam per caritatern: secundum illud i loan. 3, 44: (( Nos scimus quonian translati sumus de morte ad vitam, quoniam diJigimus fra.trcs . Ergo Deus est ipsa caritas.

    3. PRAETEREA, nihil creatum est inflnit.ae virtutis, sed magis ornnis creatura est vanit as. Carilas autern non est vanitas, sed magis vanitati repugnat: et est nfnitae virtutis, quia animarn hon1inis ad bonurn infinitum perducit. Ergo caritas non est aliquid crea-tum in anima.

    SED CONTRA EST quod Augustinus dicit, in 3 De Doct. Christ. [c. 10] : . Sed motus animi est aliquid creaturn in anima. Ergo et caritas est aliquid creatu1n in anirnn.

    IlESPONDEO 01c:~DC:\f quod Magister perscrutatur hanc quaestio-nem in 17 dist. I lih. Sent., et ponit qnod caritas non est aliquid creatum in anirna, sed est ipse Spi ritns Sanctus mentem inhahi-tans. Kec est sua intentio quod iste inott1s dilectionis quo Deun1 diligirnus sit ipse Spiritus Sanctus: sed quod iste motus dilectionis

    F A questa opinione ciel Lombardo :;i avvicina stranamente il Dorks J. (cfr. t~ de Dieu pour grdce, Parigi, 1!H8). il quale ritiene che come nell'atto della.

    v~swne il Verbo o~tttu isce il tcm1nc oggettivo; rosi Io Spirito nell'atto di ca-rit costituisce (lireltamentc il termine immanente. Solo a questa condiziom. cio~ che Dio sia in noi la -res amorts, si potrebbe avere la presenza ivina nelle amme.

  • LA SOMMA TEOLOGICA, Il-Il, q. 23, a. 2

    v ene dallo Spirito Santo, senza il soccorso di un abito, come in-v ce avviene per gli altri atti virtuosi prodotti dallo Spirito Santo

    ediante gli abiti delle virt, p. es., mediante la speranza, la f de, o qualsiasi altra virt. E diceva questo per l'eccellenza della e rit.

    Se uno per considera bene la cosa, questo risulta a detrimento d Ila carit. Infatti il 1noto della carit non deriva dallo Spirito S nto in modo che Ja mente umana non sia principio di codesto 1 oto, corne quando un corpo subisc~ il rnoto di un rnotore esterno. P ich questo sarebbe contro la natura dell'atto volontario, il q ale esige di avere in se stesso il proprio principio, come sopra a biamo detto. Perci ne seguirebbe che amare non sarebbe un a to volontario. Il che assurdo: dal momento che l'amore per s stesso un atto della volont. -- Cos pure non si pu affermare c e lo Spirito Santo muove la volont ad amare co1ne uno stru-

    ento, il quale pur essendo principio dell'atto, non ha in s la c pacit di agire o di non agire. In tal caso si eliminerebbe la v lontariet, e si escluderebbe il rnerito: mentre sopra abbiamo d mostrato che l'amore di carit la radice del merito. - Ma ne-c ssario che la volont sia mossa dallo Spirito Santo in 1naniera d essere essa stessa 1 a causa di codesto atto.

    Ora, nessun atto pu essere prodotto perfettamente da una po-t nza attiva, se, mediante una forma che ne divenga principio ope-r tivo, non diventi un atto connaturale. Ecco perch Dio, che

    uove tutti gli esseri al loro fne~ ha posto in ciascuno di essi d Ile forme che danno loro l'inclinazione verso i fini da 1 ui pre-s abiliti: ed in questo senso che Dio, a detta della Scrittura, ((di-s one tutto con soavit n. Ora, evidente che l'atto della carit sor-p ssa la natura della potenza volitiva. Perci se alla potenza na-t rale non si aggiunge una forn1a che la pieghi all'atto del-l'amore, codesto atto rimane pi imperfetto degli atti naturali, e de-g i atti delle altre virt: e tale atto non sar n facile, n piacevole.

    ra, questo falso; poich nessuna virt ha tanta inclinazione a proprio atto quanto la carit, e nessuna opera con tanto godi-1 ento. Perci l'atto della carit richiede, pi di ogni altro, che e ista in noi una forma aggiunta alla potenza naturale, che la p eghi all'atto della carit, e che la faccia agire con prontezza e c n gioia. 1

    SOLUZIONE DELLE Dll"FICOLT: 1. L'essenza divina per se stessa e rit, come sapienza e bont. Perci come si pu dire che noi s amo buoni della bont che Dio, e sapienti della sapienza che Dio, perch la bont che ci rende formalmente buoni una par-t cipazione del1a bont divina, e la sapienza che ci rende formal-

    ente sapienti una partecipazione della divina sapienza; cosi carit con la quale fonnalmente amiamo il prossimo una par-

    t cipazione della carit divina. E questo modo di parlare abi-t 1ale presso i platonici, alle cui dottrine si era formato S. Agostino.

    a alcuni non riflettendo a questo, dalle sue parole presero occa-s one di sbagliare.

    2. Dio, come causa efficiente, vita dell,anin1a mediante la ca-

    1

  • LA CAIUTA lN SE STESSA 31

    est a Spiritu Sancto non 111cdiante aliquo habHu, sicut a Spiritu sancto sunt alii actus virtuosi mediantibus hahitibus aliarum vir-t.utum, puta habitu spei aut fldei aut a1icuius alterius virtutis. Et hoc dicebat propter excellentiam caritatis.

    Sed si quis recte consideret, hoc magis redundat in caritatis de-trimentum. ~on enirn 1notus caritatis ita procedit a Spiritu Sancto movente hu1nanam mentem quod hu1nana mens sit mot.a tantum et nullo modo sit principium huius motus, sicut cum aliquod cor-pus movetur ab aliquo exteriori rnovente. Hoc cnin1 est contra ra-tionem voluntarii, cuius oportet. principium in ipso esse, sicut su-pra [I-II, q. 6, a. 1] dicturn est. Unde sequeretur quod diligere non esset voluntarium. Quod implicat contradictionem: cum amor de sui ratione imporiet quod sit actus voluntatis. - Sirniliter etiarr1 non potest dici quod sic moveat Spiritus Sanctus voluntatem ad actum diligendi sicut movetur instrurnentum, quod etsi sit princi-pium actus, non tamen est in ipso agere vel non agere. Sic eniin etiam t.olleretur ratio voluntarii, et excludereiur ratio meriti: cum tamen supra [I-II, q. 114, a. 4] habitum sit quod dilectio caritatis est radix 1nerendi. - Sed oportet quod sic voluntas moveatur a Spiritu Sancto ad diligendum quod etiam ipsa sit efficiens hunc actum.

    Nullus autem actus pcrfccte producitur ab aliqua potentia activa nisi sit ei connaturalis per aliquarn forrnan1 quae sit principium actionis. Unde Deus, qui mnnia movet ad debitos fines, singulis rebus indidit formas per quas inclinantur ad fines sibi praestitu-tos a Deo; et secundurn hoc 11 disponit omnia suaviter , ut dicitur Sap. 8, I. Manifesturn est autem quod actus caritatis excedit na-turam potentiae volunlatis. Nisi ergo aliqua forma superadderetur naturali potentiae per quam inclinaretur ad dilectionis actum, secundum hoc esset acius iste imperfectior actibus naturalibus et actibus aliarum virtuturn: ncc esset facilis et delectabilis. Quod patet esse falsum: quia nulla virtus habet tantam inclinatione1n ad suum actum sicut caritas, nec aliqua ita delectabiliter operatur. Unde maxime necesse est quod ad actum caritatis existat in nobis aliqua habitualis forma superaddita potentiae naturali, inclinans ipsam ad caritatis actum, et faciens eam prompte et delectabiliter op erari.

    AD PRlMUM ERGO DICENDUM quod ipsa essentia divina caritas est, sicut et sapientia est, et sicut bonitas est.. Unde sicut dicimur boni bonitate quae Deus est, et sapientes sapientia quae Deus est, quia bonitas qua formalitec boni su mus est partici patio quaedam di~ vinae bonitatis, et sapienlia qua formaliter sapientes sumus est participatio quaedam divinae sapientiae; ita etiam caritas qua formaliter diligimus proxinmm est quaedarn participatio divinae caritatis. Hic eniin modus loquendi consuetus est apud Platonicos, quorum doctrinis Augustinus fuit hnbutus. Quod quidam non ad-vertentes ex verbis eius sumpserunt occasione1n errandi.

    An SECUNDl:'M DICENDl;M quod Deus est vita effcctive et animae per

    le cose aue loro operazioni. alle quali pero esse sono inclinate dalle proprie forme. E proprio per questo

  • ~~2 LA SOM.'.\fA TEOLOGICA, II-Ii, q. 23, aa. 2-:3

    rit,. e del corpo mediante l'anima: rna come causa formale vita dell'anima la carit, e vita del corpo l'anirna. Perci da questo si pu concludere che la carit si unisce immediatamente all'anima, come l'anima si unisce al corpo.

    3. La carit opera come forma. :\;fa l'efficacia di una forma di-pende dalla virt della causa agente che produce la forma. Perci se la carit non vanit, ma prouce un effetto infinito, unendo l 'an1ma con Dio mediante la gu.stHcazione, ci dimostra l'infinit della virL di Dio, che la produce.

    AHTICOLO 3

    Se Ja carit sia una virt. 1

    SEMBRA che la carit non sia una virt. Infatti: 1. La carit una specie d'amicizia. Ora, l'amicizia dai filosofi

    non. enumerata tra le virt, coin' evidente nell'Etica Nic01na-chea: poich non risulta n tra le \'irt morali, n tra quelle in-tellettuali. Perci neppure la carit una virt.

    2. Come dice Aristotele, la virt l'estrema capacit di una potenza. Ma l'ultima capacit non la carit, bensl la gioia e la pace. Dunque non la carit, ina la gioia e la pace sono virt.

    3. Qualsiasi virt un abito accientale. Ora, la carit non un abito accidentale: essendo essa pi nobile dell'anima. E si sa che nessun accidente pi nobile dcl proprio subietto.

    IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: e< La carit una virt, che ci u.nisce a Dio, e con la quale Io amiamo, quando il nostro af-fetto assolutamente retto n.

    RSPONDo: Gli atti umaui sono buoni in quanto sono regolati dalla debita regola o 1nisura: perci la vi1t un1ana, principio di tutti gli atti buoni, consiste nell'adeguarsi alla regola degli atti umani. E questa, come abbiamo detto, duplice, e cio: la ragione umana, e Dio stesso. Perci, con1e \e virt morali, secondo Ari-stotele, si definiscono qualit conformi alla retta ragione))' cos costituisce la virt il raggiungimm1to di Dio, secondo le spiegazioni date a proposito della fede e della speranza. Ora, siccome la ca-rit raggiunge Dio, perch a Dio ci unisce, secondo le parole ri ferite di S. Agostino; ne segue. che la carit una virt.

    SOLIJZIO~E DELLE DIFFICOJJT: 1. n Filosofo non nega che l'amici-zia sia una virt, ma dice soltanto che u una virt, oppure che unita alla virt n. Infatti si potrebbe affermare che una virt morale relativa alle operazioni che riguardano gli altri, per sotto un aspetto diverso dalla giustizia. Infatti la giustizia s'interessa di codeste operazioni sotto l'aspetto del debito legale; invece l'ami-cizia se ne interessa sotto l'aspetto di debito amichevole e mo-rale, o piuttosto sotto l'aspetto di beneficio gratuito, come afferma Aristotele nell'Etica. 2

    1 Nei luoghi paralleli citati nei testo la Uno a fronte, gli editori leonini usano citare la questione disputata De Caritate :;otto la denominazione unica De Vtr-tuttlms, come q. 2. I nostri Jettori sono avvertiti che si tratta della stessa que-stione, la quale nelle edizioni lJi 1ec?nti presentata come questione distinta.

  • LA CAIUT IN SE STESSA

    caritatem et corporis per animam: se formaJiler caritas est vita animae, sicut et anima corporis. Unde per hoc potest concludi quod, sicut anima immediate unitur corpori, ita caritas animae.

    An TERTIUM mc~DlJM quod caritas operatur formaliter. Efficacia autem formac est secundum virtutem agentis qui inducit formam. Et ideo quod caritas non est vanitas, sed f acit eff ectum infinitum dum coniungit animam Deo iustificando ipsam, hoc demonstrat infinitatem virtutis divinae, quae est caritatis auctor.

    AHTICULUS 3

    Utrum caritas sit virtus .

    . 'l Seul., d. 27, cc. 2. a. 2 ; De Ytrtut .. q. 2, a. 2.

    An TKRTI{jM sic PnocEmTUR. Vietur quod caritas non sit virtus. Caritas enim est amicitia quacdam. Sed amicitia a philosophis non poni tur virtus, ut in libro 8 Ethic. [c. 1, lect. 1] patet: neque enim connumeratur inter virtutcs morales neque inter intellectuales. Ergo etiam neque caritas est virtus.

    2. PRAETEREA, u virtus est ultimun1 potentiae ))' ut dicitur in 1 De Caelo [c. 11, lect. 25]. Sed caritas non est ultimum; sed magis gaudium et pax. Ergo videtur quo caritas non sit virtus; sed 1na-gis gaudium et pax.

    3. PRAF;TEREA, omnis virtus est quidam habitus accidentalis. Sed caritas non est habitus accidentalis: cum sit nobilior ipsa anima; nullum autem accidens est nobilius subiecto. Ergo caritas non est virtus.

    SED CONTRA EST quod Augustinus dicit, in libro De 1lf oribus Eccles. [c. 11]: cc Caritas est virtus quae, cum nostra rectissima affcctio est, coniungH nos Deo, qua eum iligimus .

    RESPONDEO DICENDU M quod humani actus bonitatem habent secun-dum quod regulantur debita regula et mensura : et ideo humana virtus, quae est principium omnium bonorum actuum hominis, con-sistit in attingendo regularn humanorum actuum. Quae quidem est duplex, ut supra [ q. 17, a. 1] dictum est: scilicet humana ratio, et ipse Deus. Unde sicut virtus moralis defnitur per hoc quod est secundu1n rationem rectam )>, ut patet in 2 Ethic. [c. 6, lect. 7], ita etiam attingere Deum constituit rationem virtutis: sicut etiam supra [q. 4, a. 5; q. 17, a. 1] dictum est de fide et spe. Unde, cum caritaa attingit Deum, quia coniungit nos Deo, ut patet per aucto-ritatem Augustini inductam [in arg. S. c.]; consequens est ca-ritatem esse virtutem.

    AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod Philosophus in 8 Ethic. non ne-gat amicitiam esse virtutem, sed dicit quod est u virtus vel cum virtute n. Posset enim dici quod est virtus moralis circa operatio-nes quae sunt ad alium, sub alia tamen ratione quam iustitia. Nam iustitia est circa operationes quae sunt ad alium sub ra-tione debiti legalis: ainicitia autem sub ratione cuiusdam debiti amicabilis et moralis, vel magis sub ratione beneficii gratuiti, ut patet per Philosophum, in 8 Ethic. [c. 13, lect. 13].

    ~ Sulla divisione del debito, vedi infra q, so. a. 1 ; q. 102, a. 2, ad 2.

  • 31.. LA SOMMA TEOLOGICA, Il-II, q. 23, aa. 3~4

    Tuttavia si pu dire che l'amicizia non una virt distinta per se stessa dalle altre. Essa infatti non lodevole ed onesta che in base all'oggetto, cio in quanto si fonda sull'onest della virt. E ci evidente dal fatto che non tutte le amicizie sono oneste e lo-devoli, co1ne chiaro nelle amicizie basate sul piacere o sull'utile. Perci un'amicizia virtuosa pi che una virt un corollario delle virt. - l\1a questo non il caso della carit, la quale si fonda principnlrnentc non sulla virt dell'uomo, ma sulla bont di Dio. 1

    2. Appartiene alla medesirna facolt amare una persona e godere di essa: poich la gioia, come abbiamo detto nel 1 rattato delle pas-sioni, segue l'amore. Perci pi giusto considerare virt l'amore che la gioia, la quale un effetto di esso. - D'altra parte l'estrenia capacit di cui si parla nella definizione della virt non ultima emne l'effetto rispetto alla potenza, fall'abito e all'atto], ma piut-tosto l'ultimo lirnite nell'ordine degli effetti, come cento libbre ri-spetto a sessanta.

    3. Ogni accidente per il modo di essere inferiore alla sostanza: poich la sostanza un ente per s, 1nentre l'accidente esiste in un'altra entit. Invece per la natura della specie l'accidente in-feriore al subietto, se causato dai principii di esso, come un ef-fetto rneno nobile del1a sua causa. Ora, l'accidente che cau-sato dalla partecipazione di una natura superiore pi nobile del soggetto, essendo un riflesso della natura superiore: come la luce rispetto a un corpo diafano. E in questo senso la carit supe-Iiore all'anima, essendo una partecipazione dello Spirito Santo.

    ARTICOLO 4

    Se la carit sia una speciale virt.

    S1t:MBRA che la carit non sfa, una speciale virt. Infatti: 1. S. Girolarno ha scritto : Per restringere in poche parole la

    definizione della virt, dir che la virt la carit con la quale si ama Dio e il prossimo. E S. Agostino afferma, che u la virt rordine della carit)}, Ora, nella definizione della virt in ge-nere non deve trovarsi nessuna virt speciale. Dunque la carit non una speciale virt.

    2. Una virt speciale non pu estendersi agli atti di tutte le virt. 1\fa la carit si estende agli atti di tutte le virt, secondo le pa-role di S. Paolo: ((La carit paziente, benigna, ecc. . Inoltre essa si estende a tutte le opere dell'uorno, poich l'Apostolo ag-giunge: u Tutte le vostre azioni si facciano nella carit n. Perci la carit non una speciale virt.

    3. I precetti della legge corrispondono agli atti delle vir1 . Ora, S. Agostino insegna, che (( un precetto generale, "Amerai,, ; com' una proibizione genera.le, "Non desiderare,,. Dunque la carit una virt generale.

    i L'Autore spiega meglio altrove il suo pensiero in questi termini: "L'ami-cizia non va annornrata tra l~ virt., ma un corollario di esse; poich per iJ fatto stesso che uno virtuoso ed ama il bene, deriva dall'inclinazione stessa delle virt l'amore per le persone consimili, cio virtuose, nelle quali e' 11

  • LA CARIT IN SE STESSA 35

    Potest tamen dici quod non est virtus per se ab aliis disUncta. Non enim habet ratione1n laudabilis et honesti nisi ex obiecto, se-cundum scilicet quod fundatur super honestate virtutum: quod patet ex hoc quod non quaclibet amicitia habet ratione1n lauda-bilis et honesti, sicut patet in amicitia delectahilis et utilis. Unde amicitia virtuosa magis est aliquid consequens ad virtutes quarn sit virtus. - Nec est simile de caritate, quae non fundatur princi-paliter super virtute hurr1ana, sed super honitate divina.

    AD SECCNDl:M DICENDUM quod eiusdem vil'tutis est diligcre aliquem et gaudere de illo: nam gaudium amorem consequitur, ut supra [I-II, q. 25, a. 2] habitum est, cum de passionibus ageretur. Et ideo magis ponitur virtus amor quam gaudium, quod est amoris effectus. - Ultimum autem quod ponitur in ratione virtutis non importat ordinem effectus: sed magis ordinem superexcessus cuiusdarn, si-cut centum librae excedunt sexaginta.

    An TERTHJM DICENDUM quod omne accidens secundum suum esse est inferius substantia: quia substantia est ens per se, accidens autem in alio. Sed secundum rationem suae speciei, accidens qui-dem quod causatur ex principiis subiecti est indignius subiecto, sicut effectus causa. Accidens autem quod causatur ex participa-tione alicuius superioris naturae est dignius subiecto, inquantum est similitudo superioris naturae: sicut lux diaphano. Et hoc modo caritas est dignior anima, inquantum est participatio quaedam Spiritus Sancti.

    AHTlCULUS 4

    Utrum caritas sit virtus specialis.

    3 Sent., d. 27, q. 2, a. 4, qc. 2: De M(,1lo, q. 8, a. 2; q. u, a. 2; De Vtrtut., q. 2, a. 5.

    An QUARTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod caritas non sit virtus specialis. Dicit enim Hieronymus [ cfr. A VG., epist. 167, cc. 4, 5] : u Ut breviter omnem virtutis definitionem complectar, virtus est caritas, qua diligitur Deus et proximus n. Et Augustinus dicit, in libro De Moribus Eccles. [ 15 De Civ. Dei, c. 22], quod cc virtus est ordo amoris ,,, Sed nulla virtus specialis ponitur in definitione vir-tutis communis. Ergo caritas non est specialis virtus.

    2. PRAETEREA, ilJud quod se extendit ad opera omnium virtutum non potest esse specialis virtus. Sed caritas se extendit ad opera omnium virtutum: secundurn ili ud I atl Cor. 13, 4: Caritas pa-tiens est, benigna est, etc. )). Extendit etiam se ad omnia opera hu-mana: secundum illud I ad Cor. ult., 14: Omnia opera vestra in caritate fiant . Ergo c.rll'itas non est specialis virtus.

    3. PRAEn:REA, praecepta legis respondent actibus virtutum. Scd Augustinus, in libro De Perf ect. llurn. lust. [c. 51, dicit quod (( gc>-neralis iussio est, "Diliges"; et generalis prohihitio, "Non concu-pisces" n. Ergo caritas est generalis virtus .

    .Predominio del bene. L'amicizia invece \erso Uio, in quanto beato e autore della beatitudine, deve necessariamente essere presupposta alle virt1 che ad essa di-spongono. Perci, non essendo corollario delle altro virt, ma loro prmequisito. evidente che essa essenzialmente una virt" (De carttate, a. 2, ad 8).

  • 36 LA SOL\-L\IA TEOLOGICA, II-II, q. 23, aa. 4-5

    IN CONTRARIO: Nessuna entit generica ammessa nell'enumera-zione di entita spec.ifirhe. l\la 1a carit enumerata tra le virt specifiche, cio accant.o alla fede e alla speranza, secondo quel pusso paolino:

  • LA CARIT I:N SE STESSA 37

    SED co~TRA, nullum generale connurneratur speciali. Sed caritas connun1eratur specialibus virtutibus, scilicct fidei et spei: secun dum illud 1 ad Cor. 13, 13:

  • 38 LA SOl\U\fA TEOI .. OGlCA, II-11, q. 23, aa. 5-6

    carit. 1\f a la fede virt unica per 1 'unit della verit divina, secondo l'affennazione di S. Paolo: Una la fede n. Dunque an-che la carit una virt uniea, per I 'unit della bont divina. H1sPo~DO: La carit, come abhiarno detto, un'amicizia del-

    l'uomo con Dio. ~bbe.ne, nell'amicizia. si riscontrano diverse spe-cie. Prirna di tutto in base alla diversit dei fini: e in tal senso abuiaino tre specie di amicizhl, e cio le amicizie basate sull'utile, sul }Jia.etrc f'~ mll'ottt:st. In SCt)lldn luogo in base alla diversit di compartretpazioni su cui si fonda l' ainicizia: l'amicizia dei consanguinei) J>. es., dstinta da quella dei concittadini e dei compagni di via:gio, come nota Aristotele. - Ora, la carit non pu esse1e snddivisa in nessuno dei modi indicati. Infatti il suo fine unico, vale a dire 1a bonUt divina. Ed unica la comparteci-Jlazione della beatitudine eterna, su cui si fonda questa amicizia. Perci rin1an.e che la carit in iuodo assoluto un'unica virt, senza pluraHt di specie.

    SoLCZIOi\'E DELI.E DIFFJ.COLT: 1. I./ argomento sarebbe valido, se Dio e il prossimo fossero ugualmente oggetto della carit. Ma que-sto non vel'o: poich Dio ne l'oggetto principale, mentre il JJrossimo arnato per anior di Dio.

    2. Con la carit Dio ai.nato pe.r se stesso. Perci la carit con-sidera una sola ragione principale nell'amore, e cio la bont di Dio, che s'identifica con la sua natura, secondo l'espressione dei Salnd: I( Ce1ebraie il Signore, perch egli buono. 1\fentre le altre ragioni che indicano, oppure obbligano ad arnarlo, sono se-condarie e Jipendono dalla prirna. 1

    3. l.e aruicizie u1nane di cui parla il Filosofo hanno fini e par-tecipadoni diverse. :.\la questo non avviene nella carit, come ab-biamo visto. Perci H r)aragone non regge.

    AHTICtJLO G

    Se la carit sia la pi nobile delle virt.

    s~:~rnRA che In carit non sia bL pi nobile delle viril1. Infatti: 1. Le virt, come le operazioni, che appartengono a una facolt

    superiore, son.o anh 'esse~ suverior. Ma l'intelletto superiore ala volont> essendone la guida. Dunque la fede, cbe si trova nell' in-telletto, pi nobile della cnrlLt eh.e risiede nelln volont.

    2. La cosa di eui un'altra si serve per operal'e a questa infr-riore: iJ dipendente) p. es., col quale i1 padrone cornpie un'im-J>resa, inferiore n I fHHit\HH. Ora,

  • LA CAIUT IN SE STESSA 39

    ftdes est una virtus, propter nni1atern divinac veritatis: secundurn illud Ad Ephes. 4, 5: ((Una fides n. Ergo etiam caritas est una virtus, propter unitatem divinae bonitatis.

    RESPONDEO DICENDUM quod caritas, sicut dicturn est [a. 1], est quaedam amicitia hominis ad Deum. Diversae autem amicitiarum species accipiuntur quidern uno rnodo sccundum diversitatem fi-nis: et secundum hoc dicuntur tres species amicitiae, scilicet ami-citia utUis, delectabilis et honesti. Alio modo, secundum diversi-tatem conuuunica.tionurn in quibus a1nicitiae fnna11tur: sicut aloia species amicitiae est consanguineorum, et alia concivium aut pe-regrinantium, quarum una fundatur suver communicatione na-turali, aliae super c01nrnunicatione civili vel peregrinationis ; ut patet per Philosophurn, in 8 Ethic. [c. 12, Iect. 12] - Neutro autem istorum modorum caritas potest dividi in plura. Nam caritatis finis est unus, scilicet divina bonitas. Est etiam et una communi-catio beatitudinis aeternae, super quam haec amicitia fundatur. Unde relinquitur quod caritas est shnpliciter una virtus, non di-stincta in plures species.

    An PRIMUM ERGO IlJCENDUM quod ratio illa directe procederet si Deus et proximus ex aequo essent caritatis obiecta. Hoc autem non est verum: sed Deus est principale obiectum caritatis, proximus autem ex caritate diligitur propter Deum.

    An SECLNDUM DICK\THJM quod caritate diligtur Deus propter seip-sum. Unde una sola ratio diligendi principaliter attenditur a ca-ritate, scilicei divina bonitas, quae est eius substantia: secundurn illud Psalm. [105, I]: '' Confitemini Domino, quoniam bonus. Aliae autem rationes ad diligendum inducentes, vel debitum di-lectionis facicntes, sunt secundariae et consequentes ex prima.

    An TERTn;M DICENDUM quod amicitiae humanae, de qua Philoso-phus loquitur, est diversus finis et diversa communicatio. Quod in caritate locum non habet, ut dictum est [in corp.]. Et ideo non est similis ratio.

    AHTIClJLUS 6

    Utrum caritas sit excellentissima virtutum.

    1-11, q. 66, a. 6; infra, q. 30, a. 4; Ad Coloss., c. 3, lect. 3.

    An SEXTUM sic PROCEDlTUR. Videtur quod caritas non sit excellen-tissiina virtutum. Ali ioris enfrn potentiae altior est virtus, sicut et altior operatio. Sed intellcctus est altior voluntate, et dirigit ipsam. Ergo fides, quae est in intellectu, est excellentior caritate, quae est in voluntatc.

    2. PRAETEREA, ilJud per quod aliud opcratur, videtur eo esse in-ferius: sicut minister, per que1n dominus aliquid operatur, est inferior domino. Sed e< fides per dilectionem operatur n, ut habetur Ad Gal. 5, 6. Ergo fides est excellentior caritate.

    3. PRAETEREA, illud quod se habet ex additione ad aliud, videtur esse perfectius. Sed spcs videtur se habere ex additione ad carita-

    quale amiamo Dio per ~e stesso, nondi noi stessi e il prossimo per amore di Dio. Nella seconda parte della questione si parler dei rapporti con le altre Virt.

  • 40 LA S01lMA Tl~OLOGlCA, ll-Il, q. 23, a. 6

    tatti l'oggetto della cadr il herH.\ uwnlre l'oggetto della speranza il bene arduo. Dunque la $peranza pi nobile della carit.

    Is coNTHARio: Sta scritto: f( La pi grande di esse la carit. HISPONDO: f~ necessario che le virt U1nane, principio degli atti

    buoni, consistano nell 'n.deguazione alla regola degli atti umani, poich la bont di codcsl i atti si misura dalla loro conformit alla regola. stabilita. Sopra per abbiamo detto che esistono due re~ gole de:li atti l.llnani, eirn~ In ragiouc u1nano e Dio. Ma Dio Ja 1uil.na rego1a, da cui deve essere regolata la stessa ragione u111ana. E.eco pel'ch le virt teologali, che consistono nell'adeguarsi a questa prima regola, avendo esse Dio per oggetto, sono superiori atle virt n1orali e intellettuali, che consistono nell'adeguarsi alla ragione umana. Perci ne.ces8ario che tra le stesse virt teolo-gali sia pi nobile quella che rneglio raggiunge Dio. D'altra parte [ noto che] i mezzi diretti sono superiori a quelli indiretti. Ora, la fede e la speranza raggiungono Dio in quanto causa in noi ]a conoscenza deHa verit e H conseguirnento deHa beatitudine: in~ vece I a cnril raggiunge Dio come in se stesso, non in quanto causa di qualche beneficio per noi. Perci la carit pi nobile della fede e delJa speranza; e quindi di tutte le altre virt. Al pari cio della prudenza, la quale, adeguandosi direttamente alla ra-gione~ SUJleriore alle altre ,irt morali, che si adeguano a11a ra-gione in quanto da essa viene stabilito il giusto mezzo negli atti e nelle passioni urna.ne.

    Sor.tz10J\E DEI.u; rHF.FICOI.TA: 1. L'operazione intellettiva si com-pie portando l'ogge.tto nell' intelligenza: perci la nobilt dell'ope-razione intellettiva si misura dal grado d.ell' intelligenza. Invece l'operazione dellii volont, e di qualsiasi potenza appetitiva, si compie 1nediante un'inclinazione verso la cosa che ne come il termine. Perci la nob]Jt di un'operazione appetitiva si misura in base alla cosa che ne l'oggetto. Ora, le cose che sono al disotto dell'anirna si tr1)vano in maniera pi nobile nel1'anima che in se si esse, poich ogni cosa si adegun al nwdo di esistere del soggetto in cui si trova, con1e insegna il De Cansis: mentre le cose supe-1iori sono in maniera fii nobile in se stesse che nell'anirna. Ecco nerch pi nobie la conoscenza. che l'amore delle cose a noi inferiori: e per questo il Filosofo nell'Etica ha preferito le virt intellettuali a quelle morali. ~In trattandosi di cose superiori a noi, l'amore, e speciahnente l'amore di Dio, va preferito alla co-noscenza.. Perci la carit pi nobile della fede. 1

    2. La fede non opera nied.iflnte la carit, come se si trattasse di uno strumento, cio come fa il padrone col servo; ma usandone come della propria formo .. Perci l'argomento non regge.

    3. L'identico bene ogg-etto deHa carit e della speranza: ma mentre 1 a carit dice unione con codesto bene, la speranza im-plica una certa lontananza da esso. Ecco perch la carit non lo riguarda. quale bene arduo, come fa la speranza: poich ci che unito non ha pi l'asr>etto di cosa ardua. Ma da ci si ricava che la carit pili perfetta delJn speranza.

    i Qui i commentatori n~rn st conlerHano della chiara soluzione dell'Auto1c. ma pongono il prolJiema 1adir.ale dei rapporti tra intelletto e volont. Vlenc ver l'orrasione menata in rampo ogni manifestazione c\ell~ due potenze, rorn-presa la visione beatifica. R1guardo a quest'ultima abbiamo due opposte op-llioni. Gaetano, Bafiez. e Giovanni da s. Tommaso affermano che in patria

  • LA CAIUT IN SE STESSA 41

    tem: nam caritatis obiectun1 est bonum, spei autem obieclum est bonum arduurn. Ergo spcs est excellentior caritate.

    SED CONTRA EST quod dicitur I ad Cor. 13, 13: u Maior horum est caritas .

    RESPONDEO DICENDUM quod, cum bonum in hurnanis actibus atten-datur secundun1 quod regulantur debita regula, necesse est quod virtus humana, quae est principiurn bonorurn actuum, consistat in attingendo humanorurn actuum regularn. Est autern duplex re-gula hurnanorum actuum, ut supra la. 3; q. 17, a. lj dicturn est, scilicet ratio humana et Deus: sed Deus est prima regula, a qua etiam humana ratio regulanda est. Et ideo virtutes theologicae, quae consistunt in attingendo illam regulam primam, eo quod earum obiectum est Deus, excellentiores sunt virtutibus moralibus vel intellectualibus, quae consistunt in attingendo rationem hu-rnanam. Propter quod oportet quod etiam inter ipsas virtutes theo-Jogicas illa sit potior quae magis Deum attingit. Sempcr autem id quod est per se rnagis est eo quod est per aliud. Fides autem et spes attingunt quidern Dcum secundurn quod ex ipso provenit no-bis vel cognitio veri vel adeptio boni: sed caritas attingit ipsun1 Deum ut in ipso sistat, non ut ex eo aliquid nobis proveniat. Et ideo caritas est excellentior fide et spe; et per consequens omnibus aliis virtutibus. Sicut etiam prudentia, quae attingit rationem se-cundum se, est excellentior quarn aliae virtutes rnorales, quae at-tingunt rationem secundum quod ex ea medium constituitur in operationibus vel passionibus humanis.

    An PRIMCM ERGo DICENDl~M quod opcratio intellectus completur se-cundurn quod inteJlectum est in intelligente: et ideo nobilitas operationis intellectualis altenditur secundu1n mcnsuram intel-lectus. Operatio autem voluntats, et cuiuslibet virtutis appetitivae, perficitur in inclinatione appetentis ad rem sicut ad terminurn. Ideo dignitas operationis appetitivae aitenditur secundurn re1n quae est obiectum operationis. Ea autem quae sunt infra anirnam nobiliori 1nodo sunt in anima quarn in seipsis, quia unu1nquodque est in aliquo per modurn eius in quo est, ut habetur in libro De Causis [prop. 12]: quae vero sunt supra animam nobiliori modo sunt in seipsis quaru sint in anima. Et ideo eorurn quae sunt infra nos nobHior est cognitio quarn dilectio: propter quod Philosophus, in IO Ethic. [cc. 7, 8; lectt. 10, 11, 12] praetulit virtutes intellectua-les moralibus. Se

  • 42 LA 8(J:M.~JA TEULUGICA, 11-Il, q. 23, a. 7

    AHTICOl .. O 7

    Se possano esserci \'ere Yiri senza la carit. 1

    8E:\WHA d1e JlOSsa es~;;.

  • LA CARITA IN SE STESSA 43

    ARTICULUS 7 Utrum sine caritate possit esse aliqua vera virtus.

    r-IT. q. 65, aa. 2, 4 ~ 3 Sent., d. '17, q. 2, a. 11, qc. 3, a 2.

    AD SEPTIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod sine caritate possit esse aliqua vera virtus. Virtutis enim propriu1n est bonurn actun1 producere. Sed illi qui non habent caritatem faciunt aliquos bonos actus: puta dum nudurn vestiunt, famelicum pascunt et simHia operantur. Ergo sine caritate potest esse aliqua vera virtus.

    2. PRAETEREA, caritas non potest esse sine fide: procedit enirn u ex fide non ficta u, ut Apostolus dicit, I Tim. 1, 5. Sed in infidelibus potest esse vera castitas, dum concupiscentias cohihent; et vera iustitia, dum recte iudicant. Ergo vera virtus potest esse sine ca-ritate.

    2. PRAETEREA, scientia et ars quaedam virtutes sunt, ut patet in (j Ethic. [cc. 2, 3; lectt. 2, 3]. Sed huiusmodi inveniuntur in homi-nius peccatoribus non habentibus caritatem. Ergo vera virtus po-test esse sine caritate.

    SED CONTRA EST quod Apostolus dicit, f ad Cor. 13', 8: ((Si distri-buero in cibos pauperum omnes f acultates meas, et si tradidero corpus meum ita ut ardeam, caritatem autem non habeam, nihil mihi prodest . Sed virtus vera multum prodest: secundurn illud Sap. 8, 7: u Sobrietatem et iustitiam docet, prudentiarn et virtu-tem, quibus in vita nihil est utilius hominibus . Ergo sine caritatc vera virtus esse non potest.

    RESPONDEO DICENDUM quod virtus ordinatur ad bonum, ut supra [l-11, q. 55, a. 4) habitum est. Bonum autem principaliter est flnis: nam ea quae sunt ad finem non dicuntur bona nisi in ordine ad finem. Sicut ergo duplex est finis, unus ultimus et alius proximus, ita etiam est duplex bonum: unum quidem u\timum, et aliud proximum et particulare. Ultimum quidem et principale bonum hominis est Dei fruitio. secundum illud Psalm, [72, 28]:

  • LA SOl\1MA TEOLOGICA, Il-II, q. 23, aa. 7-8

    Per se codesto bene particolare non vero bene, ma apparente, la virt ad esso correlaliva non sar una vera virt, ma una imma-girrnzione di essa: 11 non una vera virt, p. es., come scrive S. Agostino, ((la prudenza. degli avari, con la quale essi studiano i vari sisteu1i di guadagno; e non vera la loro giustizia, con la quale si disinteressano delle cose altrui per paura di gravi danni; non vera la loro temJH:ranza, con 1a quale reprimono l'appetito della disprudiosa h.t8~.mdn; e non ( vr.ra lr;, loro fortrzzn., ron la quale, n detta di Orazio, "jrer rn.a1e, per monti e per fuoco fuggono la po-vert., )). - Se invece rodesto bene particolare un vero bene, conw, p. es., la s:-tlvezza dello stato~ si avr una vera virt, ma imperfetta, se non viene indirizzata al bene perfetto e finale. Ecco perch assolu-htment.e IHJ rlando non pu esserci vera virt senza la carit.

    So1.rzrn~r~ l1ELLE DIFFrCOLT: 1. L'atto di chi privo della carit pu essere di due specie. Priino, l'atto pu essere compiuto proprio in quanto uno prvo di carit: p. es., quando agisce in ordine a, d che lo yiriva della carit. lJn tale atto sempre cattivo: l'atto dell' incn~dulo, p. e8., in quanto incredulo, sempre peccato, come insegna S. Agostino ; anche se v~ste gl' ignudi, o fa qualsiasi altra cosa del genere, ordinandola alla propria incredulit. - Secondo, ratto pu essere con1pi11t.o da. chi ( privo di carit non in quanto su-bisce questa priva1..ione 1 1na in quanto possiede un dono di Dio, come la fede, la speranza, o anche un bene di natura, che il peccato non distrugge totahnente, corne sopra abbiamo notato. E da questo lato possiLUe un atto buono nel suo genere: per non pu es~ sere perfett.arnente. buono, mancando il debito ordine all'ultimo fine.

    2. Poich il fine sta aHe azioni da compiere, co1ne i primi prin-cipi.i stanno nelle scienze specula.tive, allo stesso modo che non pu t:S;';Cl' vera la seicuz.n, se n1anca la giusta nozione del primo prin-cipio indimostrabile; cosi non puli eRser vera Ja giustizia, o la ca-stit, se rnanca l'or(line al fine ultimo, prodotto dalla carit, per qurrnto uno sia J1m1 o:rdlnato in lutto il resto.

    :1. Le SC'ienze r, Je arti di suo dicono ordine a un bene particolare, e non al fine ulthno d(lla vita UnHna, come le virt morali, che rendono l'nomo buono in 8enso assoluto, come ahhiamo spiegato in precf:dcnzn. Perci il pa rag-on e non regge.

    A.HTIC:OLO 8 Se la carit sia forma delle altre virt.

    SKl\rnR:\ che la carit non sia forma delle altre virt. Infatti: 1. Per ogni co8n la fon11n o ese1nplare, o essenziale. Ora, la

    carit non forma esemplare delle altre virt: perch allora tulle le alt1e vittti avreh!1ero lFt ~U

  • LA CARIT IN SE STESSA 45

    Sed si illud particulare bonum non sit verum bonum, sed appa-rens virtus etiam quae est in ordine ad hoc bonum non erit vera virtt.i.s sed falsa similitudo virtutis: sicut non est vera virtus ' . . avarorum prudentia, qua excogitant diversa genera lucellorum; et avarorum iustitia, qua gravium damnoru1n metu contemnunt aliena; et avarorum temperantia, qua luxuriae, quoniam sumptuosa est cohibent appetitum; et avarorum fortitudo, qua, ut ait Hora-tiu~ [-I Epist., epist. 1, v. 45], "per mare pauperiem fugiunt, per saxa, per ignes ", ut Augustinus dicit, in 4 lib. Contra lulian. [c. 3] - Si vero illud bonum particulare sit verum bonum, puta conservatio civitatis vel aliquid huiusmodi, erit quidem vera vir-tus, sed imperf ecla, nisi ref eratur ad finale et perf ectum bonum. Et secundum hoc simpliciter vera virtus sine caritate esse non potest.

    An PRI:MUM ERGO DICEXDrM quod actus alicuius caritate carentis potest esse duplex. Unus quidern secundum hoc quod caritate ca-ret: utpote cum facit aliquid in ordine ad id per quod caret cari-tate. Et talis actus semper est malus: sicut Augustinus dicit, in 4 Contra lulian. [loco cit. ], quod actus infidelis, inquantum est infidelis, semper est peccatu1n; etiam si nudum operiat vel quid-quid ali ud huiusmodi f aciat, ordinans ad fnem suae infdelitatis. -Alius autem potest esse actus carentis caritate non secundum id quod caritate caret, sed secundum quod habet aliquod aliud do-num Dei, vel fi.dem vel spem, vel etiam naturae bonum, quod non totum per peccatum tollitur, ut supra [ q. 10, a. 4; 1-II, q. 85, a. 21 dictum est. Et secundum hoc sine caritate potest quidem esse ali-quis actus bonus ex suo genere : non tamen perf ecte bonus, qui a deest debita ordinatio ad ultimum finem.

    AD SECUNDUM DICENDDM quod, cum fnis se habeat in agibilibus sicut principium in speculativis, sicut non potest esse simpliciter vera scientia si desit rccta aestimatio de primo et indemonstrabili principio; ita non potest esse simpliciter vera iustitia aut vera castitas si desit ordinatio debita ad fnem, quae est per caritatem, quantumcumque aliquis se recte circa alia habeat.

    An TERTHJM DICE~DlTM quod scientia et ars de sui rationc impor-tant ordinem ad aliquod particulare bonum, non autem ultimum fnem humanae vitae, sicut virtutes rnorales, quae simpliciter fa-~iunt horninem bonurn, ut supra [I-Il, q. 56, a. 3] dictum est. Et ideo non est similis ratio.

    AHTICULUS 8 Utrum earitas sit forma virtutum.

    ! Sent., d. 26, a. 4, ad 5; .'J, d. 23, q. 3, a. 1, qc. 1; d. 27, q. 2, a. 4, qc. 3; De VeTit., q. 14, a. 5; De Malo, q. 8, a. 2; De Ytrtut., q. 2. a. 3 .

    . AD OCTAVUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod caritas non sit forma V1rt~tu.m. Forma enim alicui us rei vel est exemplaris, vel est es~ se~tiahs. Sed caritas non est forma exemplaris virtutum aliarum : qu1a sic oporteret quod aliae virtutes essent eiusdem speciei cum

    tlcolare, non indispensailc l'ordine toologalc. A fortiori va negata la carit nene virt apparenti.

  • 46 LA 80.'.VJI\

    essenziale: prch altrhnenli la caiit non si distinguerebbe da esse. Perci in nessun nwdo forma delle altre virt.

    2. La carit rispetto alle altre virt viene paragonata alla radice e al fondamento, secondo I 1espressone paolina: Radicati e fon-dati nella carit .l>. !\.1H Jn radice e il fondamento non hanno natura di forrna, bens di rnateria: essendo le prime parti nella produzione di una cosa. Dunque la carit non forrna delle altre virt.

    3. Con1c insegna Aristutrlr, forma.1 fine e causa efficiente non s' ide.ntHicHno. Ora, hr. carit viene considerata fine e inare dellP virt. Quindi non eve dirsi forma di esse.

    IN co~TRARIO: S. A1nhrogio 1 afferma che la carit forma delle al. tre virt.

    !1ISPON1>0: In n1oraJe Ja forrna di un atto si desume principalmente dal fine: poich il principio degli atti 1norali la volont, la quale trova nel fine il proprio oggetto r, in qualche modo la forma. Ora, la forma di un atto J)roporzionata alla forma. di chi opera. Perci necessario che IieJle azioni morali ci che d ad esse l'ordine al fine dia anche la forma. ~la da quanto abbiamo detto sopra evi-dente che la carit ordina gli atti di tutte le altre virt all'ultimo fine. E in tal n1odo d 1a forma agli atti di tul te le altre virt. Ecco perch si dice che essa forrna delle altre virt : infatti le vir1 si considerano tali in ordiue ad atti cosi informati 2

    SoLrzrnNi;; DELLE mFFICOLT: 1. Si dice che la carit forma delle alt re viri non in n:i.aniera essen?.ia1e od esemplare, ma piuttosto in maniera efficiente: cio in quanto irnprime la forma a tutte nel rnodo indicato.

    2. La carit viene paragonata al fondamento e Hlla radice, perch da essa vengono sostenute e nutrite tutte le altre virt: non gi in quanto Je fondamenta e Je 1aici hanno l'aspetto di causa materiale.

    3. Si dice che la ca.rit. il fine delle altre virt, perch le indirizza tutte nl suo proprio fine. E si dice madre delle altre virt, perch, come una madre concevisce da altri, dal desiderio dell'ultimo fine la cart eoncepisre gli atti delle aHre virt.

    i L'autore citato non S. Ambro!2:io. i::ome si credeva nel medioevo, ma un ignoto scriUore dt'llo :o.tf's'.'o secolo, il flUnle fere nn r.ommento alle Epistole di S. Paolo. che ~ torse il -pi importa.nte. tra quelli di lingna latina. Da Erasmo in poi ep:li viPno ctentrn111H1to Aml1ro11faslct o pseudo-Ambrogio.

    2 Quesl 'otdine al fi1i.:; ultimo cho I:.i carit comunica alle aure vi1t non

  • LA CARIT I~ SE STESSA 4

    ipsa. Similiter etiam non est forma essentialis aliarum virtutum: quia non distingueretur ab aliis. Ergo nullo modo est forma vir-tutum.

    2. PRAETEHEA, caritas comparatur ad alia.s virtutes ut radix et fundarnentu