trasposizione didattica del sapere musicale_de luca

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1 MARIA ROSA DE LUCA Università di Catania Un approccio didattico alla costruzione del sapere storico-musicale La riflessione sulla Didattica della Storia della musica di recente ha fatto propri gli esiti delle ricerche pedagogiche e didattiche generali che mettono in discussione l’efficacia di una didattica monodirezionale e cattedratica. Anche per la Storia della musica si rende necessario riformulare contenuti e metodi d’insegnamento, indirizzati verso l’apprendimento di competenze più che di nozioni, verso il controllo delle procedure e dei modelli di elaborazione delle conoscenze più che la loro acquisizione passiva, al fine di costruire un sapere significativo e duraturo. 1 Questo impianto pedagogico-didattico ha trovato un fondamento scientifico in campo musicologico, dove la riflessione sulla Didattica della Storia della musica è stata avviata sin dagli anni Settanta, in primis da due insigni studiosi tedeschi: Hans Heinrich Eggebrecht e Carl Dahlhaus. Se Eggebrecht ha additato la necessità che l’insegnamento della Storia della musica venga orientato in senso scientifico anche per i non specialisti, in vista di una formazione che renda l’allievo partecipe della processualità propria della scienza (Eggebrecht, 2005, pp. 231-237), Dahlhaus si è interrogato sugli scopi formativi della Storia della musica (Dahlhaus, 2005, pp. 219-230): essa contribuisce alla formazione di un’identità civile e culturale dello studente perché, in quanto disciplina storica, favorisce l’accesso ad una parte essenziale del patrimonio dell’umanità, fatto di opere musicali (ma anche di tecniche, di stili, di generi, di forme, ecc.). Ciò può avvenire solo se lo studente trasforma la cultura “vissuta” – assorbita dalla pratica della musica suonata o ascoltata – in una ricostruzione intellettuale che implica il lavoro critico. Grazie ad un’efficace didattica dell’ascolto, 2 l’opera musicale assurge a oggetto di studio e di riflessione. Muovendo da questa didattica o da quella dell’esecuzione 3 (intesa come ‘esercizio critico’ e alla prima strettamente correlata), si attua la ricostruzione intellettuale del brano, lungo un asse storico-contestuale che consente di collocarlo nella sua trama storica, nei suoi rapporti con il contesto; si riconosce così la musica come parte integrante e significativa della cultura e del suo sviluppo storico (Della Casa, 1985, pp. 109-116). 1 Cfr. A. Chegai e P. Russo (a cura di), La Didattica della storia della musica, relazione di base alle due tavole rotonde svolte in seno al XII Colloquio del “Saggiatore musicale” (Bologna, 23-26 nov. 2008), in «Il Saggiatore musicale», XV, 2008, n. 2; cfr. anche gli Atti del Convegno “La storia della musica: prospettive del secolo XXI” (Bologna, 17-18 nov. 2000), in «Il Saggiatore musicale», VIII, 2001, n. 1, pp. 7-169. 2 Mi riferisco qui alla didattica dell’ascolto come metodologia messa a fuoco da Giuseppina La Face Bianconi sul modello di comprensione musicale elaborato da Maurizio Della Casa: cfr. G. La Face (a cura di), La Didattica dell’ascolto, «Musica e Storia», XIV, 2006, n. 3 , pp. 493-733; e G. La Face (2005), passim. 3 Sulla didattica dell’esecuzione cfr. C. Cuomo, Didattica dell’ascolto e didattica della produzione musicale: ipotesi di continuità, in F. Comploi (a cura di), Musikerziehung. Erfahrungen und Reflexionen, Brixen, Weger, pp. 61-74; e C. Cuomo, L’esecuzione come esercizio critico, in «Pedagogia più Didattica», n. 3, ottobre 2008, pp. 129-134.

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Page 1: Trasposizione Didattica Del Sapere Musicale_De Luca

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MARIA ROSA DE LUCA Università di Catania Un approccio didattico alla costruzione del sapere storico-musicale

La riflessione sulla Didattica della Storia della musica di recente ha fatto propri gli esiti delle ricerche pedagogiche e didattiche generali che mettono in discussione l’efficacia di una didattica monodirezionale e cattedratica. Anche per la Storia della musica si rende necessario riformulare contenuti e metodi d’insegnamento, indirizzati verso l’apprendimento di competenze più che di nozioni, verso il controllo delle procedure e dei modelli di elaborazione delle conoscenze più che la loro acquisizione passiva, al fine di costruire un sapere significativo e duraturo.1

Questo impianto pedagogico-didattico ha trovato un fondamento scientifico in campo musicologico, dove la riflessione sulla Didattica della Storia della musica è stata avviata sin dagli anni Settanta, in primis da due insigni studiosi tedeschi: Hans Heinrich Eggebrecht e Carl Dahlhaus. Se Eggebrecht ha additato la necessità che l’insegnamento della Storia della musica venga orientato in senso scientifico anche per i non specialisti, in vista di una formazione che renda l’allievo partecipe della processualità propria della scienza (Eggebrecht, 2005, pp. 231-237), Dahlhaus si è interrogato sugli scopi formativi della Storia della musica (Dahlhaus, 2005, pp. 219-230): essa contribuisce alla formazione di un’identità civile e culturale dello studente perché, in quanto disciplina storica, favorisce l’accesso ad una parte essenziale del patrimonio dell’umanità, fatto di opere musicali (ma anche di tecniche, di stili, di generi, di forme, ecc.). Ciò può avvenire solo se lo studente trasforma la cultura “vissuta” – assorbita dalla pratica della musica suonata o ascoltata – in una ricostruzione intellettuale che implica il lavoro critico. Grazie ad un’efficace didattica dell’ascolto,2 l’opera musicale assurge a oggetto di studio e di riflessione. Muovendo da questa didattica o da quella dell’esecuzione3 (intesa come ‘esercizio critico’ e alla prima strettamente correlata), si attua la ricostruzione intellettuale del brano, lungo un asse storico-contestuale che consente di collocarlo nella sua trama storica, nei suoi rapporti con il contesto; si riconosce così la musica come parte integrante e significativa della cultura e del suo sviluppo storico (Della Casa, 1985, pp. 109-116).

1 Cfr. A. Chegai e P. Russo (a cura di), La Didattica della storia della musica, relazione di base alle due tavole rotonde svolte in seno al XII Colloquio del “Saggiatore musicale” (Bologna, 23-26 nov. 2008), in «Il Saggiatore musicale», XV, 2008, n. 2; cfr. anche gli Atti del Convegno “La storia della musica: prospettive del secolo XXI” (Bologna, 17-18 nov. 2000), in «Il Saggiatore musicale», VIII, 2001, n. 1, pp. 7-169.

2 Mi riferisco qui alla didattica dell’ascolto come metodologia messa a fuoco da Giuseppina La Face Bianconi sul modello di comprensione musicale elaborato da Maurizio Della Casa: cfr. G. La Face (a cura di), La Didattica dell’ascolto, «Musica e Storia», XIV, 2006, n. 3 , pp. 493-733; e G. La Face (2005), passim.

3 Sulla didattica dell’esecuzione cfr. C. Cuomo, Didattica dell’ascolto e didattica della produzione musicale: ipotesi di continuità, in F. Comploi (a cura di), Musikerziehung. Erfahrungen und Reflexionen, Brixen, Weger, pp. 61-74; e C. Cuomo, L’esecuzione come esercizio critico, in «Pedagogia più Didattica», n. 3, ottobre 2008, pp. 129-134.

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Pertanto, in sede didattica la Storia della musica non può ridursi alla semplice trasmissione di notizie su vicende musicali del passato cronologicamente ordinate ma, piuttosto, deve educare all’acquisizione del ‘senso storico’ nei confronti della musica, tanto nelle sue manifestazioni attuali quanto verso la musica d’arte del passato che, continuando a risuonare, appartiene anche al presente (Dahlhaus, 2005, p. 220).

Per individuare i problemi specifici della trasposizione didattica dei contenuti

storico-musicali bisogna partire dalle peculiarità della Storia della musica e della Storiografia musicale rispetto alla Storia e alla Storiografia generali.

In àmbito storiografico-musicale la ricerca ha da tempo messo in evidenza le differenze tra la Storia della musica e la Storia generale. Soprattutto gli studi di tradizione tedesca hanno sottolineato la particolare natura della Storia della musica che in quanto “storia di un’arte” necessita di un doppio confronto con i propri oggetti: in primo luogo, perché questa disciplina è caratterizzata dalla «presenzialità estetica» (Dahlhaus, 1980, p. 4 e sg) di molte se non tutte le opere di cui descrive la connessione storica (nel senso che esse appartengono tuttora al nostro presente estetico, attraverso la riproposizione concertistica e discografica). Per tale ragione, la categoria centrale della Storia della musica è il concetto di ‘opera’ (opus, Werk), non già (come nella storia politica o civile) quello di ‘evento’.4

4 Va peraltro osservato che non si può certo dismettere del tutto la nozione di ‘evento’, giacché essa esiste in storia della musica come in qualsiasi altra storia. A questo proposito va ricordato quanto argomenta F. Alberto Gallo nell’introduzione all’antologia critica Musica e storia tra Medio Evo e Età moderna (Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 9-12), là dove perora la causa del concetto di ‘evento’ – in particolare per l’età medievale e rinascimentale – in opposizione a quello di ‘opus’, che tende a prevalere nell’età moderna e contemporanea (cfr. anche F. A. Gallo, Musica e storia del Medioevo, «Musica e Storia», I, 1993, pp. 23-28). Non si tratta certo di effettuare una scelta di campo (che sarebbe ideologica). La tesi di Dahlhaus (l’oggetto primario della storia della musica è l’opera d’arte) e quella di Gallo (l’oggetto primario della storia della musica è l’evento musicale) rispondono infatti anche ad intenti polemici assai specifici, ancorché impliciti, e vanno dunque relativizzate. Bersaglio implicito nella tesi di Dahlhaus è il ‘rifiuto della storia’ che montava nelle cerchie intellettuali negli USA e in Europa negli anni del ’68 e che andava di pari passo col rifiuto dell’‘arte borghese’; l’opera d’arte musicale, in quanto oggetto intrinsecamente storico ed eminentemente estetico, risultava quanto mai vulnerabile all’attacco nihilistico di questa polemica generazionale; pertanto la difesa a oltranza della ‘storia dell’arte musicale’ come ‘storia di opere d’arte musicali’ da parte di Dahlhaus rispondeva a un’esigenza di ‘salvaguardia’ del pensiero intellettuale. Bersaglio implicito nella tesi di Gallo è invece la concezione della storia della musica di matrice idealistica (come storia di capolavori artistici) che, durata molto a lungo (soprattutto in ambito accademico), ha oggettivamente declassato il medioevo al rango di un prodromo. Dissipati i pretesti polemici, oggi siamo in condizione di riconoscere che, se si contestualizzano storicamente i due approcci, nessuno di essi esaurisce lo spettro delle possibilità (e delle domande) che la storia della musica offre (e pone) allo storico. Costui, come ogni storico, rivolge il proprio sguardo al passato: e in esso incontra sia opere d’arte musicali (con la loro persistente componente estetica) sia eventi musicali (consegnati a una documentazione che va ricostruita e contestualizzata): e ciò vale per ogni epoca, per ogni cultura. Si tratterà dunque di una relazione dialettica, che gli impone di contemplare e contemperare entrambi i concetti, in una relazione di volta in volta mutevole. (Desidero ringraziare Lorenzo Bianconi per l’aiuto e i suggerimenti offerti nella stesura di questa parte del contributo.)

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Di conseguenza, la Storiografia musicale si differenzia dalla Storiografia generale perché i suoi oggetti, in quanto estetici, «sono un pezzo del presente, e solo in un secondo luogo costituiscono fonti del passato» (ibidem, p. 5).

Sul piano dei contenuti in sede didattica tutto questo pone problemi circa la loro selezione: essi devono essere «esteticamente ed epistemologicamente rilevanti», cioè tali da promuovere lo sviluppo della mente e della persona (La Face, 2005a, p. 41). È questa una scelta dalla quale non si può prescindere, in un momento storico-culturale connotato dall’illimitata disponibilità di musiche diverse, e in un contesto intellettuale e massmediatico che tollera o addirittura favorisce l’indistinzione dei generi, rinunciando a fornire indicazioni circa le priorità estetico-culturali e circa la valenza formativa (Bianconi, 2008). Da qui la centralità della questione del canone, un repertorio di autori e di opere ai quali si riconoscono valori e significati musicali particolarmente elevati.5

Sul piano metodologico, la Didattica della Storia della musica fa propri i principi del

lavoro specialistico al fine d’insegnare le procedure della ricerca storica. Tali procedure si avvalgono del metodo cosiddetto «circolare» o «elicoidale» con cui si cerca nel passato la risposta a domande che sorgono nel presente; di seguito si riformulano le domande grazie al confronto con le fonti e i dati storici per puntare alla ‘comprensione’ che è un’operazione ermeneutica (in tedesco Verstehen), nel senso del «comprendere indagando» (Droysen, 1994, p. 102; anche Dahlhaus, 1980, p. 5). Per educare al Verstehen può essere utile una modalità laboratoriale con cui il docente guida gli allievi a ‘costruire la storia’. Nel laboratorio gli allievi imparano la metodologia della ricerca: in che modo si trovano le fonti, si confrontano i documenti, si accertano e si ordinano i concetti, si ponderano6 i termini delle controversie musicali ed estetiche del passato e del presente.

Come si può interrogare il testo musicale al fine di ricostruire il ‘senso storico’ dell’opera? È necessario selezionare una singola conoscenza storica da porre come se fosse la risposta ad una domanda, cioè ad un problema. Provo a fare un esempio su Children at Play di Bartók.7 Si guideranno gli allievi secondo una procedura che, anche se in forma approssimativa, seguirà quella della ricerca storica. Partiamo dunque da quest’ultima.

Schematizzando, lo storico specialista articola il processo d’indagine almeno in sette fasi per giungere alla ‘comprensione’:

1) ricerca delle fonti; 2) indagine documentaria;

5 Sulla questione del canone cfr.: R. Di Benedetto, Canone enigmatico, in «Il Saggiatore musicale», VIII, 2005, pp. 99-102; M. Giani, Canone retrogrado, in G. La Face Bianconi, F. Frabboni (a cura di), Educazione musicale e Formazione, Milano, FrancoAngeli, 2008, pp. 200-209; A. Serravezza, L’educazione estetica alla musica, ibidem, pp. 121-139.

6 Questo concetto è ripreso da Eggebrecht che lo intende come operazione cognitiva fondamentale nel processo educativo alla ricerca storica: l’insegnante deve educare gli alunni a «ponderare» (cioè a valutare con giudizio intellettuale) gli esiti dell’indagine. In tal modo li rende «partecipi della processualità propria della scienza» (H.H Eggebrecht, La scienza come insegnamento, in «Il Saggiatore musicale», XII, 2005, p. 233).

7 A quanto segue, in sede didattica potremmo far precedere una fase di lavoro finalizzata alla comprensione musicale, analogamente a quanto riferito in Cuomo alle pp. di questa rivista.

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3) analisi dell’opera; 4) interpretazione di fonti e documenti; 5) problematizzazione dei dati rilevati; 6) correlazione dei risultati con l’analisi dell’opera; 7) contestualizzazione.

Una trasposizione efficace di questo metodo, opportunamente semplificato per ragioni legate alle età degli allievi e ai tempi disponibili, potrebbe essere così tripartita:

1) indagine su fonti e documenti; 2) analisi dell’opera; 3) problematizzazione e contestualizzazione dei dati. Si tratta di tre fasi che in linea di massima vanno considerate consequenziali, ma che

nella concreta prassi didattica possono anche parzialmente intersecarsi. 1) INDAGINE SU FONTI E DOCUMENTI

Per educare ad una corretta indagine sulle fonti, secondo il tempo che si ha a disposizione, il lavoro può essere realizzato a diversi livelli di approfondimento e di rigore, ma tenendo ben presente che il processo di ‘costruzione della storia’ ha inizio con il reperimento, il vaglio e la classificazione delle fonti. Bisognerà anzitutto avviare gli studenti alla formazione di un corretto concetto di ‘fonte’, alla sua funzione, al suo esatto impiego. In altri termini, si metterà in evidenza come le fonti stiano all’origine dell’indagine storica. Esse sono tracce del passato che assumono lo status di fonti nel momento in cui lo storico, interrogandole, vi attinge delle informazioni. La relazione che sussiste fra queste e l’oggetto della ricerca determina la specificità delle fonti: dirette o indirette. Sono dirette le fonti che si contraddistinguono per una stretta attinenza con l’oggetto dell’indagine, anche di tipo cronologico, cioè che mettono a diretto contatto col passato. Sono fonti indirette quelle che, rispetto all’indagine, si basano su ricostruzioni e interpretazioni compiute da altri.

Nel caso dell’indagine in questione, l’insegnante potrà prendere spunto dal metodo compositivo bartókiano, un metodo fortemente sistematico, caratterizzato non solo da una precisa “catena di fonti musicali” (schizzo iniziale, appunti frammentari, abbozzo completo, copia finale manoscritta, copie di mano estranea, bozza di stampa, stampa definitiva) ma anche da una buona parte di saggi critici (pubblicati da Bartók in varie sedi editoriali) e da un ricchissimo epistolario (Somfai, 1981 e Somfai, 1996). Pertanto, si può disporre di un numero abbastanza rilevante di fonti dirette, sia di natura musicale che di tipo documentario (saggi critici e lettere); abbiamo, altresì, anche fonti indirette per via del fatto che molti studiosi (in primis Kodály) hanno scritto su Bartók quando egli era in vita.8

Quali fonti scegliere?

L’insegnante compie la ricerca della fonti sulla base di un sapere esperto (savoir savant) posseduto che andrà interpretato (savoir à enseigner) in vista degli obiettivi da conseguire.

8 Per una bibliografia commentata su Bartók cfr. E. Antokoletz, Béla Bartók. A Guide to Research,

New York-London, Garland, 1997.

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La scelta delle fonti deve essere coerente con il programma di ricerca; affinché siano didatticamente utili esse andranno selezionate in funzione delle «operazioni cognitive che permettono, delle concettualizzazioni che favoriscono e delle problematizzazioni che inducono» (Rosso, 2006, p. 115). Le fonti che suggerisco in questo percorso didattico sono tutte dirette. La ragione di questa scelta è innanzitutto funzionale alla ricerca in atto, in secondo luogo mi permette di privilegiare un aspetto formativo per i discenti: la consapevolezza del rapporto diretto fra fonti e conoscenza del passato. Qui di seguito ne fornisco l’elenco. (a) La partitura a stampa del brano Children at Play, tratto dalla raccolta For Children, vol. 1, Boosey & Hawkes, 1946:9 si tratta dell’edizione a stampa autorizzata da Bartók a seguito del lavoro di revisione compiuto su Gyermekeknek (Per bambini), un ciclo pianistico di brevi composizioni, composto fra il 1908 e il 1909 e costituito da 85 pezzi, suddivisi in quattro volumi, di cui i primi due basati sull’elaborazione di melodie popolari ungheresi, gli altri due su melodie slovacche. (b) L’Autobiografia pubblicata da Bartók nel 1918 sul giornale pedagogico «Musikpädagogische Zeitung» (Bartók, 1931, pp. 41-47): riporta il racconto diretto sulle prime fasi della sua attività di compositore, ricercatore e didatta. (c) Un saggio critico dal titolo L’importanza della musica popolare, scritto e pubblicato da Bartók sulla rivista «Új Idok» nel 1931 (Bartók, 1931, pp. 96-100 ): permette di conoscere le modalità di elaborazione del materiale melodico popolare da parte del compositore. (d) Il testo della seconda conferenza tenuta dal compositore ungherese alla Harvard University di Cambridge, Massachusetts, nel 1943 (Bartók, 1981, pp. 62-93).10 È fonte coeva al lavoro di revisione su Gyermekeknek (poi For Children), nonché una delle sue ultime testimonianze. Nel corso di questa, egli spiega come la pentatonia stia alla base del canto popolare ungherese.

Una volta prescelte, l’insegnante presenta le fonti agli studenti, classificandole; in tal

modo indirizza gli allievi verso il ‘potenziale informativo’ della documentazione. Sarà bene fornire prima alcuni cenni di orientamento su Bartók (riferimenti biografici, contesto di produzione delle sue opere, cornice storica nella quale egli si trovò ad operare)11 per comporre il quadro storiografico a cui ancorare il lavoro d’indagine.

Aggiungo che, per quanto tutti i documenti selezionati siano di dimensioni abbastanza ridotte, al fine di facilitare la lettura si potrà predisporre una selezione delle parti più significative.

9 BB 53 nel Béla Bartók Thematic Catalogue.

10 Bartók avrebbe dovuto svolgere otto conferenze alla Harvard University ma ne realizzò soltanto tre, di una quarta lasciò il testo manoscritto.

11 Indico qui di seguito alcuni testi, scelti in base a criteri puramente quantitativi, utili all’insegnante nella fase di orientamento: V. Lampert - L. Somfai - E.W. White - J. Noble, Bartók, Stravinsky, Milano, Ricordi, 1980; A. Castronuovo, Bartók. Studio biografico e stilistico. Catalogo ragionato delle opere, Gioiosa, Sannicandro, 1995; P. Laki, Bartók and His World, Princeton, Princeton University Press, 1995.

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Date le fonti, ha inizio l’indagine articolata in due momenti: interrogazione e rilevamento dati.

Interrogazione - Questa è una parte importante della ricerca storica: l’insegnante deve

educare a interrogare la fonte e a rilevare i dati; per far ciò, ha bisogno di selezionare una singola conoscenza sulla quale costruirà una consegna di lavoro. Per esempio: potrà dividere la classe in gruppi, affidare a ciascun gruppo l’analisi di una fonte e svolgere l’interrogazione del documento con una domanda ampia, strutturata per parole-chiave e uguale per tutti, oppure con una griglia di domande più dettagliate appositamente predisposta.

Rilevamento – In questa fase gli studenti cercano le risposte alle domande poste in precedenza, quindi astraggono e generalizzano le informazioni rilevate. Sono tutte operazioni cognitive fondamentali che rendono lo studente parte attiva nel processo di costruzione della conoscenza. Ad esempio, sulla base delle fonti prescelte, le operazioni di rilevamento potrebbero condurre alle seguenti inferenze: - Dai cenni di orientamento oppure dalla fase di didattica dell’esecuzione in continuità con l’ascolto12 gli alunni recepiscono che alla base di Children at Play (fonte a) vi è una melodia popolare ungherese. - Dalla lettura dell’Autobiografia (fonte b) possono rilevare che Bartók nacque nel 1881 a Nagyszentmiklós (località situata nel Distretto di Torontál, allora facente parte dell’Ungheria, oggi Sînnicolau Mare in Romania); allo studio della composizione fece seguire, nel 1905, una ricerca finalizzata allo studio della musica contadina ungherese - fino allora «praticamente sconosciuta» - e svolta insieme a Zoltán Kodály (Bartók, 1977, pp. 44); entrambi circoscrissero l’indagine dapprima al territorio magiaro, successivamente la estesero alle zone linguistiche slovacche e rumene (a quel tempo tutte incluse nell’impero austro-ungarico). Affrontarono lo studio della musica contadina con metodo «scientifico». La scoperta delle leggi della musica popolare ungherese condusse Bartók «all’emancipazione dallo schematismo dei sistemi allora in uso, basati esclusivamente sui modi maggiore e minore». Analizzando questo repertorio, egli si accorse che la gran parte del patrimonio melodico raccolto si basava su modi ecclesiastici antichi o su modi greci antichi o addirittura su modi ancora più primitivi (pentatonici). Inoltre, tutto questo materiale musicale gli suggeriva «formule ritmiche più libere e più varie» (ibidem, p. 44). Bartók svolse questo lavoro d’indagine in parallelo ad un’azione pedagogico-didattica, come insegnante di pianoforte, nella Reale Accademia Musicale Ungherese di Budapest. - Dall’articolo L’importanza della musica popolare (fonte c) gli alunni possono apprendere il modo in cui Bartók rielabora il materiale musicale di origine popolare. Si tratta di un processo di ‘reinvenzione’ compiuto a partire dallo studio delle peculiarità, cioè dallo «specifico carattere»13 della melodia popolare, al fine di preservarne la «tipica fisionomia» (Bartók, 1977, p. 96).

12 A questo proposito cfr. Cuomo, pp. ????????

13 Indicato da Bartók col termine Geist = spirito.

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Egli pose questo processo alla base del proprio linguaggio musicale, secondo l’esigenza, chiaramente espressa nell’articolo, di «affondare la propria arte nella musica popolare del proprio paese» (ibidem, p. 99). - Il testo della II conferenza alla Harvard University (fonte d) mette in luce i presupposti fondamentali della ricerca etnomusicologica di Bartók: rintracciare, custodire e tramandare le vere radici musicali del popolo ungherese. Le considerazioni esposte dal compositore vanno collocate entro una cornice storica che, negli anni 1943-45, registra lo smembramento dell’Ungheria a seguito del secondo conflitto mondiale. Nel corso di questa lezione, egli esemplifica in modo preciso «come il più vecchio materiale ungherese» risieda nella scala pentatonica, una scala a cinque toni «senza semitoni» (Bartók, 1981, pp. 69-71).

A questo punto gli studenti hanno ricavato diversi dati ma l’insegnante focalizzerà

l’attenzione su alcuni più che su altri, ovvero su quegli aspetti che avrà deciso di evidenziare nell’analisi dell’opera e per i quali rinvio qui all’elenco della fase 2.

2) ANALISI DELL’OPERA Intendo l’analisi dell’opera come fase di didattica dell’ascolto, cioè come trasposizione

didattica nel corso della quale l’insegnante induce ad un ascolto “riflessivo e consapevole” vòlto a cogliere le strutture del brano musicale. Peraltro, poiché in questa sede propongo un percorso didattico che da un lato vale come esempio di trasposizione storico-musicale e dall’altro presuppone la continuità, ovvero l’integrazione con la didattica dell’ascolto, per quest’ultima rimando allo specifico esempio di percorso riportato nell’articolo precedente. In questa esemplificazione sono emerse le salienze ritmico-articolatorie e fraseologiche che determinano il ‘senso musicale’ di Children at Play.14 È rispetto a tali salienze che dall’indagine delle fonti ricavo i seguenti dati:

fonte a) si tratta di una composizione basata su una melodia popolare; fonte b) il repertorio musicale popolare suggerisce a Bartók «formule ritmiche più libere

e più varie»; fonte c) Bartók manifesta la volontà di preservare la «tipica fisionomia» della melodia

popolare originaria; fonte d) la musica popolare ungherese si basa sulla pentatonia.

3) PROBLEMATIZZAZIONE e CONTESTUALIZZAZIONE DEI DATI

Lo storico non si limita a rilevare i dati dalle fonti, ma li interpreta. Interpretare vuol

dire problematizzare. E ogni interpretazione comporta una problematizzazione. L’insegnante potrà svolgere la fase di problematizzazione in diversi modi: una lezione dialogata in cui allievi e docente si confrontano, fino a prove più strutturate come il questionario o l’elaborato scritto.

Il lavoro sarà finalizzato alla problematizzazione degli elementi emersi dall’elaborazione cognitiva del materiale melodico (struttura melodica del brano, nuclei pentatonici, profilo ritmico) e di quanto evinto dall’indagine sulle fonti documentarie (ricerca

14 Cfr. Cuomo,

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etnomusicologica effettuata da Bartók; elaborazione di un proprio linguaggio musicale a partire dalla conoscenza delle ‘peculiarità’ del canto popolare ungherese; trasmissione dello ‘spirito’ del canto popolare mediante la trasfusione delle sue componenti melodiche, ritmiche, armoniche nel ‘nuovo’ prodotto).

Per esempio: si potrà chiedere agli studenti se, sulla base dell’indagine compiuta, sia possibile ricondurre la raccolta For Children alla ricerca etnomusicologica di Bartók negli anni 1907-08, o chi siano i destinatari di questa raccolta.

Si aiuteranno gli alunni sia a correlare i dati, sia a trovare soluzione alle domande attraverso la consultazione di materiale bibliografico (fonti indirette); così si educano gli alunni a reticolarizzare le informazioni acquisite nel corso della ricerca, per una definitiva sistematizzazione delle loro conoscenze. L’obiettivo principe sarà di ricostruire il ‘senso storico’ dell’opera, per collocarla nella sua trama storica, nei suoi rapporti con il contesto.

La prima raccolta, Gyermekeknek (Per bambini), andrà riferita all’attività didattica iniziata da Bartók nel 1907 quando, ventiseienne, fu nominato docente di pianoforte presso l’Accademia Nazionale di Musica a Budapest. L’elaborazione di melodie popolari originali – raccolte sul campo durante una ricerca intrapresa insieme a Zoltán Kodály nel 1905 – venne dal compositore finalizzata alla creazione di un ciclo pianistico per principianti.15 Si tratta di trascrizioni molto poco elaborate con chiare finalità didattiche.

In una lettera del 20 gennaio 1932 egli scriverà a proposito dei brani di Gyermekeknek: «sono stati composti allo stesso scopo dei Duetti per violino: perché gli alunni possano nei primi anni di studio avere a loro disposizione alcuni pezzi concertistici in cui la semplicità senza ricercatezza della musica popolare vada congiunta con le particolarità ritmiche e melodiche di essa» (Suchoff, 1981, p. VII).

Negli anni 1943-45, stabilitosi negli Stati Uniti, egli revisionò l’opera (eliminò alcuni brani e assemblò il tutto in due volumi anziché in quattro) per l’editore Boosey & Hawkes che la pubblicò col titolo For Children.

Durante le lezioni-concerto americane Bartók eseguì spesso brani tratti dalla raccolta. Nel farlo, sottolineava sempre la loro funzione didattica, indicando quali pezzi potevano essere più adatti per allievi del primo o del secondo corso e quali per quelli del terzo o quarto corso di pianoforte.

In questa fase di comprensione allargata (La Face, 2003 e La Face 2005a)16 l’insegnante

guiderà gli studenti ad evidenziare le componenti essenziali del lavoro di Bartók musicista-ricercatore-didatta. Lo stretto legame che unisce queste componenti costituisce una ‘cifra’ della sua opera, ed è esemplificativo del suo stile: attraverso l’assimilazione

15 Nel primo volume confluì materiale musicale raccolto da Bartók durante i soggiorni nelle zone di Tolna, Békés o Csík (anni 1906-07) e da una raccolta di canti popolari curata da Áron Kiss; nel secondo volume egli sfruttò melodie popolari raccolte nelle zone di Zala e Kolozs (anni 1908-09) e altre contenute in un’antologia di Béla Vikár; nei due volumi relativi ai canti slovacchi utilizzò registrazioni effettuate nelle zona di Gemerská (1906) e di Nitrianska (1907-1908). Per lo studio completo delle 85 fonti melodiche di Gyermekeknek, cfr.: Lampert V. (2005) e anche Lampert V. (1982).

16 Con questo termine Giuseppina La Face intende la reticolarizzazione delle conoscenze, cioè quella fase del processo di comprensione durante la quale s’inserisce l’‘oggetto’ musicale studiato in una rete cognitiva e culturale più ampia, al fine di ricostruirne il senso profondo (il contesto, le implicazioni filosofiche, ecc).

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della musica popolare ungherese egli elabora un nuovo lessico ritmico e melodico. Il patrimonio musicale popolare, con la sua segreta struttura “modale” (cioè non nei soliti modi maggiore e minore, ma nella molteplicità dei vecchi “modi” gregoriani e bizantini), fornisce a Bartók gli strumenti per una nuova grammatica e una nuova sintassi musicale.

Non sarà completa questa parte se l’insegnante non guiderà alla conoscenza del «potenziale di futuro» racchiuso nell’opera d’arte bartókiana, collocandola nella prospettiva del «futuro passato» (Koselleck, 1979). In questo caso andrà còlta la compenetrazione profonda tra l’approccio propriamente estetico-creativo, etico-politico e etnomusicologico al canto popolare da parte di Bartók. Essa sta alla base di un progetto educativo “interculturale” che nell’abolizione delle chiusure etnocentriche e nel richiamo al dato identitario si protende verso un’educazione alla tolleranza e al dialogo (Pozzi, 2008, p. 216).

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ABSTRACT Il presente contributo affronta aspetti riguardanti la metodologia e le procedure della Didattica della Storia della musica. Esso è strutturato in due parti: nella prima s’indagano i presupposti funzionali della Didattica della Storia della musica; nella seconda si propone un esempio di trasposizione didattica, a partire da For Children di Béla Bartók, finalizzato all’apprendimento di conoscenze storico-musicale e che presuppone la continuità, ovvero l’integrazione, con la didattica dell’ascolto.

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This paper deals with aspects concerning the methodology of the Didactics of History of Music. The first part introduces some functional requirements of the subjects; the second one focuses on an example of a learning unit, based on For Children by Béla Bartók, which aims to extend the historical-musical knowledge, supported also by a listening didactic approach.