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Traumi psicologici nell'infanzia palestinese: il modello diintervento sociale
Facoltà di Sociologia
Corso di laurea in Politiche e Servizi Sociali
Cattedra di Valutazione delle politiche sociali
Candidata
Eleonora Pochi
n° matricola 1094487
Relatore Correlatore
Carmelo Bruni Alessandro Toni
A/A 2013/2014
Indice
Traumi psicologici nell'infanzia palestinese:
Il modello di intervento
Introduzione
1. L'Infanzia palestinese
1 .1 IL CONTESTO SOCIALE 7
1 .1.1 L'occupazione militare e l'embargo
1 .1.2 Crescere in un campo profughi
1 .1.3 Vivere nella striscia di Gaza
1 .2 I BAMBINI ARRESTATI E DETENUTI 15
1 .3 DISCRIMINAZIONI E VIOLENZE DA PARTE
DEI COLONI 23
1 .4 DEPORTAZIONE E DISTRUZIONE DELLE
ABITAZIONI 29
1 .5 LA VIOLENZA DOMESTICA 31
1 .6 CONSEGUENZE SULLA SALUTE MENTALE
DEI MINORI 32
1 .6.1 Il trauma della discriminazione e
dell'umiliazione
1 .6.2 Traumi che coinvolgono i genitori
1 .6.3 Essere testimoni di violenza estrema
1 .6.4 Il trauma della demolizione della propria casa
da parte dell'esercito
1 6.5 Il trauma derivante dall'arresto e dalla
detenzione
1 6.6 Traumi tipici della Striscia di Gaza
2 . Traumi da guerra nell'infanzia e
nell'adolescenza: il PTSD
2 .1 TRAUMI NEI BAMBINI 47
2 .1.1 La malattia e i disturbi mentali come stigma
sociale
2 .2 IL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA
STRESS (PTSD) 54
2 .2.1 Assessment e terapia di traumi nell'infanzia e
nell'adolescenza
2 .2.2 Alcuni strumenti per il rilevamento del PTSD
2 .2.3 La valutazione diagnostica
2 .2.4 Il trattamento
3 . Un quadro teorico applicato al caso
palestinese
3 .1 IL CONFLITTO TRA GRUPPI 89
3 .1.1 L'apporto della sociologia alla Nonviolenza:
Durkheim e Galtung
3 .1.2 Cenni sul conflitto israelo-palestinese
3 .2 L'AMBIENTE E IL BAMBINO 113
3 .2.1 Le forze ambientali e lo sviluppo del minore: la
teoria di campo di Lewin
3 .2.2 Stile di attaccamento e PTSD
3 .2.3 L'Ecologia dello sviluppo umano
4 . L'Intervento sociale in Palestina
4 .1 L'ASSISTENTE SOCIALE PALESTINESE 124
4 1.1 La formazione degli assistenti sociali
4 .1.2 Il ruolo delle Organizzazioni Non Governative
4 .2 PROTEZIONE DELL'INFANZIA IN
PALESTINA: IL MODELLO DI INTERVENTO
SOCIALE 132
4 .2.1 Intervento per bambini detenuti nelle carceri
israeliane ed ex-detenuti
4 .2.2 Intervento per bambini vittime della violenza
4 .2.2.1 Il caso di Gerusalemme Est
4 .2.2.2 Gli operatori sociali nelle scuole
4 .2.3 Interventi per bambini vittime della violenza
israeliana
4 .2.4 Interventi per orfani e bambini di strada
4 .2.5 Come arriva il singolo caso ai Servizi sociali?
4 .2.6 Distribuzione dei servizi per tipologia di
istituzione
4 .2.7 Distribuzione dei servizi in base alle regioni, ai
distretti e all'area geografica
4 .2.8 Risorse umane per la protezione dei bambini
4 .3 IL MODELLO DI INTERVENTO PER LA
SALUTE MENTALE DEI BAMBINI 164
4 .3.1 La salute mentale in Palestina
4 .3.2 Soddisfare le esigenze di salute mentale dei
palestinesi
5 . Considerazioni finali
5 .1 CRITICITA' DELL'INTERVENTO
SOCIALE 172
5 .2 CONCLUSIONI 183
5 .2.1 Una buona ecologia dello sviluppo umano
5 .2.2 L'importanza del supporto degli adulti nel
trattamento del trauma
5 .2.3 Riflessioni sul macrosistema: l'importanza della
Mediazione
Bibliografia 198
Introduzione
L'indagine svolta segue ad un esperienza diretta di
volontariato nei Territori Palestinesi Occupati vissuta
dopo diversi anni di attività giornalistica in merito,
assieme ad un crescente interesse e curiosità verso la
figura dell'assistente sociale in paesi “difficili”.
Nella prima parte il lavoro analizza i traumi da guerra
nell'infanzia e nell'adolescenza, con particolare
riferimento al Disturbo da stress post-traumatico.
Considera le conseguenze sulla crescita dei bambini
palestinesi dell'occupazione militare e delle pratiche
discriminatorie israeliane e si concentra sull'analisi del
modello di intervento sociale di assistenza.
Lo studio riguarda proprio i bambini poiché essi
rappresentano una potenziale ed efficace chiave di
volta per la risoluzione del conflitto arabo-israeliano,
che da oltre 60 anni, attraverso sistematiche violazioni
dei diritti umani, nega loro una crescita serena.
Essi si trovano ad affrontare quotidianamente la
violenza in tutte le sue forme e soprattutto all'interno
1
dei nuclei familiari, le violazioni dei diritti - anche
fondamentali -, il contatto con militari e check-point,
le restrizioni e limitazioni alla libertà di movimento,
gli attacchi militari, il carcere, la tortura.
Il quadro teorico di riferimento è costituito dai
contributi di Lewin e Bronfenbrenner, entrambi attenti
all'interazione tra il bambino e l'ambiente, quale
considerazione imprescindibile al fine di valutare lo
sviluppo dell'individuo. La psicologia sottolinea in
particolare quanto il supporto degli adulti nel
trattamento del trauma sia un fattore essenziale per
una corretta guarigione e crescita del minore. Ho fatto
riferimento anche al contributo della Sociologia
nell'ambito della Nonviolenza.
Il cuore dello studio è rappresentato da una
valutazione del modello di intervento sociale nei
Territori Palestinesi Occupati: i servizi sociali,
educativi e sanitari palestinesi si sono sviluppati negli
ultimi sessanta anni spesso come risposta e
tamponamento al conflitto, con l'enorme e grandioso
2
contributo del terzo settore e spesso sotto l'influenza
degli aiuti internazionali. Il Ministero degli affari
Sociali, così come il Ministero dei Detenuti ed ex-
detenuti cercano, attraverso la programmazione di
politiche mirate, di fornire l'adeguata assistenza ai
minori palestinesi. Gran parte degli assistenti sociali si
trova a ricoprire diversi ruoli, ad esempio svolgendo
servizi di counselling o effettuando indagini sui casi e
allontanando i bambini dalla famiglia, se ritengono
che sia a rischio. Nonostante il duro lavoro, la rete dei
Servizi sociali risulta non sufficiente a soddisfare la
richiesta di assistenza. D'altra parte, non vi è alcun
modo per garantire ai bambini la protezione dalla
violenza, in un contesto di occupazione militare,
altamente discriminatorio. La crescente ondata di
disturbi mentali, innescata in particolare con la
seconda Intifada e con i bombardamenti nella Striscia
di Gaza (2008 e 2012), richiede un maggiore sforzo
da parte dei responsabili politici e dei pianificatori
sanitari e sociali nell'adottare un approccio più attento
alle esigenze della salute della comunità. Il lavoro
3
mostra una valutazione del modello pubblico di
intervento sociale, analizzando le politiche sociali
indirizzate alla tutela dell'infanzia traumatizzata.
Conclude con un'analisi delle criticità e una riflessione
su una possibile ecologia dello sviluppo umano, che
permetta l'empowerment del popolo palestinese.
4
1. L'infanzia palestinese
“I miei pensieri finiscono quando sento le grida dei bambini
fuori che dicono: 'Scappate, dividetevi, bussate alle porte, le jeep
dell'esercito israeliano stanno attaccando'” (Sarwa, 15 anni)
I minori palestinesi costituiscono il 52% del totale
della popolazione. Essi sono molto spesso vittime di
abusi e violenze, non è concesso loro un sereno
processo di crescita a causa dell'occupazione militare
e dell'apartheid. Si trovano ad affrontare
quotidianamente la violenza in tutte le sue forme e
soprattutto all'interno dei nuclei familiari, le violazioni
dei diritti- anche fondamentali -, il contatto con
militari e check-point, le restrizioni e limitazioni alla
libertà di movimento, gli attacchi militari, il carcere, la
tortura.
5
Nel 31% (dati 2011) delle 1131 comunità della
Cisgiordania insegnanti e scolari devono attraversare
uno o più check-point per raggiungere la scuola. Si
tratta di oltre 2.500 bambini2.
Ulteriori difficoltà sono state evidenziate nell'Area C e
nel settore H2 di Hebron, sotto il completo controllo
israeliano. Qui i bambini devono quotidianamente
attendere a lungo per i controlli dell'esercito, che
perquisisce i loro zaini e pone loro molte domande.
Oltre ad essere una routine altamente discriminatoria,
è anche psicologicamente stressante per i minori.
I minori non hanno spazi e momenti per svagarsi. E
sono considerati come adulti in qualsiasi tipo di
relazione. I minori detenuti si trovano nelle carceri
degli adulti, non essendoci centri di detenzioni per
minori, e vengono trattati come tali.
1 Mappatura a cura di Save the Children UK, UNICEF, e MoE
inclusa in Save the Children, Fact Sheet, Children’s Right to
Education in Armed Conflict, Ottobre 2011.
2 Save the Children, Save the Children in the Occupied
Palestinian Territory, Monitoring and Reporting Mechanism
2012–2013
6
1.1 Il contesto sociale
L'occupazione militare e l'embargo
La povertà è molto diffusa in Cisgiordania e
soprattutto nella Striscia di Gaza, che deve fare i conti
con l'embargo economico imposto da Israele.
Una famiglia su tre vive in condizione di povertà e
una su quattro varca la soglia della povertà assoluta3.
Ossia il 58% dei palestinesi vivono sotto la linea di
povertà4. Com'è noto, la povertà porta ad aumentare la
diffusione della criminalità, soprattutto tra i giovani.
Sono circa 600.000 i bambini che vivono in povertà.
La quasi totalità delle famiglie povere è concentrata
nella Striscia di Gaza, soprattutto nella “buffer zone”,
nei campi profughi, lungo il muro israeliano, nell'Area
C, a Gerusalemme Est. Tutte aree ad alto rischio.
Hanno enormi difficoltà ad accedere a servizi di base
come l'assistenza sanitaria, il sostegno sociale,
3 Dati Palestinian Central Bureau of Statistics, 2007.
4 Save The Children UK, Child Rights Fact Sheet, Occupied
Palestinian Territory. Ottobre 2007.
7
l'educazione e i servizi di protezione. L'Autorità
Palestinese incontra molte difficoltà nel garantire
alcuni importanti servizi a queste piccole comunità,
anche a causa dell'impossibilità di costruire
infrastrutture di base scaturita dal sistema dei permessi
a costruire governato totalmente dalle autorità
israeliane. Talvolta le famiglie non riescono a
soddisfare i bisogni di base dei loro bambini. 8 su 10
famiglie a Gaza sono attualmente dipendenti dagli
aiuti umanitari5. Occorre quindi porre l'attenzione
anche sui bambini ospitati nei campi profughi e quelli
che crescono nella Striscia di Gaza, contesti che
rappresentano le realtà più povere dei Territori
Palestinesi Occupati.
5 Palestinian National Authority, The Palestinian National
Authority Report on the Implementation of the Convention on
the Rights of the Child in the Occupied Palestinian Territory.
Dicembre 2010
8
Crescere in un campo profughi
Quasi un terzo dei profughi palestinesi registrati
dall'UNRWA, oltre 1.5 milioni di individui, vivono in
58 campi palestinesi riconosciuti in Giordania,
Libano, Siria, Striscia di Gaza e Cisgiordania,
compresa Gerusalemme Est. L'alta densità di
popolazione che caratterizza tutti i campi profughi
aggrava ancor più la precarietà nella quale si vive, a
causa di angustianti condizioni di vita, infrastrutture di
base inadeguate, strade e fognature fatiscenti.
I restanti due terzi dei profughi palestinesi registrati
vivono dentro o intorno alle città dei paesi ospitanti o,
come in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, spesso
nei dintorni dei campi ufficiali. Mentre la maggior
parte degli impianti dell'UNRWA, come scuole e
centri sanitari, si trovano nei campi profughi, un certo
numero sono al di fuori per assistere i profughi che
non hanno possibilità di accedere ai campi a causa del
sovraffollamento. Tutti i servizi dell'Agenzia
9
umanitaria sono comunque disponibili per tutti i
profughi palestinesi registrati, compresi quelli che non
vivono nei campi6.
Vivere nella Striscia di Gaza
Secondo stime FAO, l'81% della popolazione di Gaza
vive al di sotto della soglia di povertà, con un dollaro
al giorno. L'attacco militare israeliano del 2008/2009
nella Striscia di Gaza, noto come “Piombo Fuso”, ha
causato una strage. Un'operazione di guerra con l'uso
di armi proibite ha causato, dal 27 dicembre 2008 al
18 gennaio 2009, oltre 5.000 feriti, 1.400 morti, di cui
l'83% civili. Oltre 300 bambini sono stati uccisi dai
bombardamenti7. La quasi totalità della popolazione
della Striscia è rimasta profondamente traumatizzata
6 United Nations Relief and Works Agency for Palestine
Refugees in the Near East. <http://www.unrwa.org/palestine-
refugees>
7 OCHA, The Umanitarian Monitor – OPT, N. 3 Gennaio 2009.
10
dal pesante attacco dell'esercito israeliano, essendo
stati attaccati dal cielo, dalla terra e dal mare, senza
una via di fuga. L'impatto su una normale crescita
fisica è psicologica è forte. Inoltre, la Striscia è l'area
che registra la densità di popolazione più alta del
mondo, e il terrore dei civili è stato anche a causa
della chiusura dei loro confini, la Striscia è sigillata e
sottoposta ad embargo da Israele. Metalli e sostanze
cancerogene sono stati individuati nei tessuti di alcune
persone ferite durante le operazioni militari israeliane
del 2006 e del 2009. Hanno effetti tossici sulle
persone e danneggiano il feto o l’embrione nel caso di
donne incinte. Inoltre, una delle ricerche condotte
rileva la presenza di tossine nei crateri prodotti dai
bombardamenti israeliani a Gaza, indicando una
contaminazione del suolo che, associata alle precarie
condizioni di vita, in particolare nei campi profughi,
espone la popolazione al rischio di venire a contatto
con sostanze velenose8. Per i bambini della Striscia
8 De Giovannangeli U., La guerra di Gaza causa mutazioni
genetiche, L'Unità 14/05/2010.
<http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/335000/330958.xml?
11
esistono ben poche possibilità di elaborare i traumi
subiti. Ancora oggi vi sono delle azioni militari nella
Striscia, tra cui si ricorda l'operazione “Pillar of
Defense” del novembre del 2012, che ha, tra l'altro,
severamente danneggiato le infrastrutture del sistema
educativo e il relativo svolgimento della vita scolastica
dei bambini. 285 scuole sono state semidistrutte dai
bombardamenti, incluse le 64 dell'UNRWA. 25.000
bambini si sono ritrovati senza una scuola. Circa
462.000 minori palestinesi abbandonano la scuola
prima del termine del normale percorso educativo9.
key=gaza+mutazioni+genetiche&first=1&orderby=1>
9 UN, Annual Report of the Secretary-General on Children and
Armed Conflict, 2013.
12
Più di due terzi dei minori residenti nella Striscia ha
reazioni da trauma e alti livelli di stress post-
traumatico: di questi oltre il 16% è affetto da incubi, la
maggioranza dei quali (76,7%) causati da paura.
A causa dell'operazione militare israeliana del
novembre 2012, il 45,54% dei bambini del nord della
Striscia di Gaza risulterebbe affetto da PTSD (Post
Trauma Stress Disorder). In questo contesto, i gruppi
di popolazione più vulnerabili necessitano di supporto
13
Campo profughi di Jebaliya, 01 dicembre 2012
psicologico e psichiatrico specifico per il superamento
del trauma. Lo stato permanente di vulnerabilità e
marginalizzazione delle comunità beduine presenti
nell'area C, inoltre, alimenta un clima di insicurezza
nei più piccoli, che manifestano disturbi
comportamentali, aggressività, ansia e depressione.
14
1 .2 I bambini arrestati e detenuti
Una delle situazioni più atroci in cui un bambino
palestinese può ritrovarsi è l'arresto e la detenzione.
Secondo un rapporto del Comitato pubblico contro la
tortura in Israele, organizzazione israeliana per i diritti
umani, il governo israeliano avrebbe torturato i
bambini arrestati, tenendoli in gabbie all'aperto
durante l'inverno. I bambini sospettati di reati minori
sono stati sottoposti quindi ad un "ingabbiamento
pubblico", minacce e atti di violenza sessuale e a
processi militari senza rappresentanza10.
Il Public Defender's office(DOP) ha recentemente
pubblicato i dettagli di una visita particolarmente
scioccante dai suoi avvocati in un centro di
detenzione. "Durante la nostra visita, svoltasi durante
una violenta tempesta che ha colpito tutto Stato, gli
avvocati hanno incontrato i detenuti, che hanno
10 Whitnall A., Israel government 'tortures' children by keeping
them in cages, human rights group says, The Indipendent
01/01/2014
15
descritto loro un'immagine sconvolgente: nel bel
mezzo della notte decine di detenuti sono stati
trasferiti in gabbie di ferro esterne, costruite al di fuori
della struttura di transizione IPS a Ramla"11.
Il rapporto PCATI12 ha affermato: "La tortura è un
mezzo per attaccare i modi fondamentali di un
individuo di funzionamento psicologico e sociale",
come descritto nel protocollo di Istanbul. Inoltre, " la
tortura può influire direttamente e indirettamente su un
bambino. L'impatto può essere dovuto anche a causa
della tortura dei genitori o di familiari”.
Un metodo di tortura che viene utilizzato nelle
prigioni israeliane anche sui bambini è la "posizione
shabeh", per cui le braccia e le gambe sono distese, a
forma di croce, e gli arti sono immobilizzati da catene
molto strette che tagliano profondamente i polsi e le
caviglie della vittima. A volte i bambini sono tenuti
così per giorni, costretti a ritrovarsi addosso le loro
11 Ivi
12 Public Committee against torture in Israel, 31/12/2013
<http://www.stoptorture.org.il/en/node/1951>
16
feci e la loro urina13. Israele è l'unica nazione che
persegue in maniera sistematica i bambini in tribunali
militari, non fornendo loro le garanzie di base del
giusto processo. Circa 500-700 bambini palestinesi,
alcuni di appena 12 anni, vengono arrestati, detenuti e
perseguiti ogni anno. La maggioranza dei bambini
detenuti, appartengono ai distretti di Ramallah e
Nablus.
Secondo dati raccolti dall'International Defence for
Children- Palestine, la maggior parte dei bambini
detenuti palestinesi sono accusati di aver lanciato
pietre. Nel 74% dei casi i minori subiscono violenza
fisica durante l'arresto, il trasferimento o
l'interrogatorio. I bambini israeliani non entrano
assolutamente in contatto con il sistema della corte
militare.
Dall'ultimo rapporto ONU sui diritti del fanciullo, il
13 Save The Children Sweden, One day in prison fells like a
year, 2003.
<http://mena.savethechildren.se/PageFiles/3731/One%20day
%20in%20Prison%20-%20English.pdf>
17
Comitato ha espresso “la sua profonda preoccupazione
per quanto concerne la presunta pratica della tortura e
dei maltrattamenti sui bambini palestinesi arrestati,
perseguiti e detenuti dall’esercito e dalla polizia, e per
il fallimento dello Stato nel porre fine a queste
pratiche nonostante le ripetute preoccupazioni
espresse al riguardo dai soggetti sottoscrittori del
trattato, dai detentori del mandato delle procedure
speciali e dalle agenzie delle Nazioni Unite.
Il Comitato sottolinea, con estrema preoccupazione,
che i bambini che vivono nei territori palestinesi
continuano ad essere arrestati sistematicamente nel
cuore della notte da soldati che danno indicazioni alla
famiglia urlando e trasportati bendati e con le mani
legate verso destinazioni ignote senza avere la
possibilità di salutare i genitori che raramente sanno
dove vengono portati i loro bambini; soggetti
sistematicamente a violenza fisica e verbale,
umiliazioni, segregazioni crudeli, chiusura di testa e
viso in un sacco, minacciati di morte, violenza fisica e
18
aggressione sessuale nel confronti loro o di membri
della loro famiglia, limitati nella possibilità di recarsi
in bagno, cibarsi e bere.
Questi crimini vengono perpetrati dal momento
dell’arresto, durante il trasferimento e l’interrogatorio,
al fine di ottenere una confessione ma anche su base
arbitraria come testimoniato da numerosi soldati
israeliani, nonché durante la detenzione preventiva. In
alcuni casi, sono inoltre tenuti in isolamento, a volte
per mesi”14.
Secondo le testimonianze giurate di tre adolescenti,
nel febbraio del 2013 “un soldato ha spento una
sigaretta sul labbro di un ragazzino, mentre un altro
bruciato il braccio di Hendi, sempre con una sigaretta.
E' stato inoltre negato l'accesso a cibo, acqua e servizi
igienici per un lungo periodo”15. I tre ragazzini erano
14 UN Committee on the Rights of the Child, Concluding
observations on the second to fourth periodicreports of
Israel, adopted by the Committee at its sixty-thirdsession. 14
June 2013.
15 Defence for Children International Palestine, Detention
Bulletin - Issue 47, Novembre 2013 <http://us6.campaign-
archive2.com/?u=2806abbe43&id=9824ac2dc5>
19
stati accusati di lancio di pietre. Anche la storia di
Nabil, è una delle tante:
“Prelevato nottetempo in casa per essere portato ad Asnar
II, costretto a giacere seminudo sulla spiaggia, sotto la
pioggia e al freddo, per un'ora e mezza, con gli occhi
bendati e le mani legate, poi sottoposto fino alle quattro del
mattino a un feroce interrogatorio, con percosse sui genitali
e su tutto il corpo e con la minaccia di essere rinchiuso con
cani feroci e serpenti; quindi nuovamente legato e bendato
e lasciato in piedi, senza cibo e senza acqua per tre giorni.
Era picchiato cinque volte al giorno. Se qualcuno vicino a
lui chiedeva dell'acqua, gliela portavano in una scarpa”16.
Negli ultimi dieci anni circa 7.000 bambini sono stati
arrestati, detenuti, perseguitati attraverso il sistema di
giustizia militare israeliano. Molti sono arrestati nel
cuore della notte, svegliati bruscamente dai soldati,
che sbattono violentemente le loro armi alla porta,
urlando al resto dei familiari di uscire dalla casa. Per
16 Testimonianza raccolta da Ahamad Baker, professore nel
Dipartimento di Psicologia dell'Università ebraica, in
Infanzia di Palestina. Salaam Ragazzi dell'Olivo, Brescia,
1993
20
molti bambini è un trauma profondo. Mobili e finestre
sono spesso sfondati, i soldati urlano insulti e minacce
mentre costringono i familiari del bambino ad uscire
di casa. I bambini vengono prelevati con la forza e
solitamente ai familiari viene detto solamente “è
ricercato. Viene con noi”. Pochi bambini e genitori
vengono informati sul perché dell'arresto, del luogo in
cui lo porteranno e per quanto tempo.
Nel tragitto verso il luogo in cui verranno interrogati,
ai bambini sono legate le mani e bendati gli occhi. I
bambini subiscono violenze, abusi, maltrattamenti. A
nessuno di loro viene data la possibilità di essere
accompagnato da un avvocato o da un familiare17.
Secondo la legislazione militare israeliana, un
bambino tra i 14 e 15 anni, può essere condannato a
venti anni di carcere per aver tirato un sasso contro un
carrarmato o qualsiasi altro veicolo. Il grafico che
segue rappresenta la distribuzione dei minori in
riferimento alla durata del periodo di detenzione
17 UNICEF, Children in Israeli Military Detention.
Gerusalemme, Febbraio 2013.
21
stabilito dalle sentenze. Secondo Defence for Children
Palestine il 90% dei minori palestinesi arrestati
subiscono torture.
22
1 .3 Discriminazioni e violenze da parte dei coloni
I minori palestinesi sono esposti inoltre alla violenza e
alle quotidiane discriminazioni da parte di gran parte
dei coloni israeliani che risiedono negli insediamenti.
L'espansione degli insediamenti continua senza sosta e
l'atteggiamento impunito e violento dei residenti
israeliani non sembra manifestare cambiamenti18. Gli
insediamenti rappresentano un importante ostacolo al
processo di pace. Una missione d'inchiesta del
Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite
intrapresa nel 2012 ha concluso che l'esistenza di
insediamenti illegali israeliani in Cisgiordania
rappresenta una violazione costante dei diritti dei
palestinesi, inclusi i diritti all'acqua, alla casa,
all'istruzione, ad una vita dignitosa. Nonché il diritto
all'autodeterminazione e alla non discriminazione, tra
gli altri.
18 UNRWA, Emergency Appeal Report, 2013.
<http://www.unrwa.org/userfiles/2013052621918.pdf>
23
Farahat, 9 anni, è solo un esempio degli innumerevoli
casi riscontrati: “Mentre guidavo l'asino della mia
famiglia in un cortile dietro casa mia – situata vicino
ad una stazione di polizia israeliana – 7 bambini si
sono avvicinati e mi hanno bloccato. Uno dei bambini
ha preso una pietra e l'ha puntata verso di me,
minacciando di colpirmi. Stava cercando di
intimidirmi. Da circa dieci metri di distanza ha tirato
la pietra verso di me e mi ha colpito sul naso e in
occhio. E' stato così doloroso che sono scoppiato in
lacrime e corso verso casa”. I sette bambini
aggressori, sono figli di coloni israeliani19. Farahat è
stato portato all'ospedale dai genitori, appena rientrato
a casa.
19 Defence for Children International Palestine, Case Summaries
2013. <http://www.dci-palestine.org/documents/case-
summaries-2013/#Farahat_R.>
24
Circa 1.000 coloni israeliani radicali di Yitzhar
terrorizzano 20.000 palestinesi dei villaggi circostanti
di Burin, Madama, Asira al-Qibliya, Urif, Einabus e
25
Farahat R. (9 anni) Aggredito il 20 ottobre 2013.
Località: Hebron
Huwara. "Più volte hanno raggiunto casa nostra -
racconta Um Majdi, di Asira al-Qibliya -. Alcuni di
loro tirano sassi contro di noi, altri appiccano incendi,
o slogan di odio che scrivono sui muri. Siamo in uno
stato psicologico di stress continuo"20.
Insediamenti come Yitzhar continuano ad espandersi
in tutta la Cisgiordania, con il sostegno del governo
israeliano. Ci sono circa 650.000 coloni vivono in
oltre 200 insediamenti in Cisgiordania e a
Gerusalemme Est.
Gli insediamenti hanno un profondo impatto sulla vita
dei palestinesi. Oltre alla perdita di terre sottratte
illegittimamente per gli insediamenti, la violenza dei
coloni, traducibile in pestaggi , sparatorie,
discriminazioni e distruzione delle proprietà sono un
evento comune nella vita dei palestinesi, compresi,
soprattutto, i bambini. I soldati israeliani spesso
20 Defence for Children International Palestine, Extremist
Israeli settlers of Yitzhar terrorize Palestinian villages.
23/12/2013. <http://www.dci-
palestine.org/documents/extremist-israeli-settlers-yitzhar-
terrorize-palestinian-villages>
26
chiudono un occhio di fronte simili accadimenti, e,
peggio, in alcuni casi partecipano attivamente agli
attacchi civili da parte dei coloni.
"A volte sogno che ci portano insieme ai bambini dei
vicini, ci sparano e ci gettano in una fossa”21 racconta
Roa'a Abu Majdi, 12 anni.
“Ogni momento, ogni ora sono carichi di ignoto. Un ignoto
che talvolta è un'angoscia, umiliazione, o paura, o
vergogna, o disperazione, o tutte queste cose insieme.
Disperazione, soprattutto: disperazione di sentirsi piccoli e
impotenti, mai completamente al sicuro, spesso alla mercé
di una violenza o di una cattiveria imprevedibili, o anche
soltanto nel mirino di un'ostilità, di un'incoscienza, di
un'indifferenza incontrollabili. Disperazione di non sentirsi
mai protetti, difesi quanto vorrebbero. Eppure, padri,
madri, nonni, sorelle, fratelli, zii, vicini di casa, insegnanti,
tutti fanno l'impossibile per tenerli al riparo, per assicurare
loro un minimo di vita 'normale'. Purtroppo, non è
sufficiente. Che cosa sarà di questi bambini per i quali
sparatorie, uccisioni, coprifuoco, demolizioni di case, lanci
21 Ivi
27
di gas lacrimogeni e tanti altri atti piccoli, o piccolissimi, di
quotidiana violenza, di quotidiana paura, di quotidiana
umiliazione e vergogna rappresentano l'unica realtà
conosciuta? Come diventeranno da grandi, quale genere di
persone saranno? Se lo domandano psicologi, educatori,
genitori, pedagogisti palestinesi, e con loro ce lo
domandiamo anche noi”22.
Le principali azioni violente degli abitanti delle colonie
verso la popolazione palestinese sono: la distruzione
delle grotte; il danneggiamento dei raccolti attraverso lo
spargimento di sostanze tossiche; l'arresto delle attività
agricole attraverso l'uso di armi da fuoco; il furto di
greggi e dei raccolti; l'avvelenamento delle cisterne
d'acqua e dei pascoli; i pestaggi di uomini, donne e
bambini; le minacce di morte; lo sbarramento delle vie di
comunicazione.
22 tratto da Musu M. e Polito E., I bambini dell'Intifada, Editori
Riuniti, Roma, 1991.
28
1 .4 Deportazione e distruzione delle abitazioni
Nel 2012 c'è stato un aumento delle demolizioni a
Gerusalemme Est (64 casi), e del tasso di spostamento
delle famiglie a causa di demolizioni o sfratti forzati e
illegali (815 sono stati gli sfollati in Area C, senza
contare le comunità beduine). Il 2012 ha visto anche
un aumento di quattro volte del numero di nuovi
insediamenti israeliani nella Cisgiordania, 6.672
rispetto a 1.607 nel 201123.
La distruzione dell'abitazione è una delle cose che
sconvolge maggiormente i più piccoli, perché non ne
capiscono il senso e perché mina una base
fondamentale della loro sicurezza. I bambini che
hanno veduto crollare i muri della loro casa sotto l'urto
dei bulldozer o per esplosione, sembrano cambiare
d'improvviso carattere, da aggressivi diventano timidi
e viceversa. Ovviamente, queste sono solo le
23 UNRWA, Emergency Appeal Report, 2013.
<http://www.unrwa.org/userfiles/2013052621918.pdf>
29
manifestazioni esterne del loro malessere.
“Essere cacciati dalla propria casa o assistere alla
demolizione ordinata dalle autorità israeliane, incide
significativamente in maniera negativa su una serie di
indicatori di salute mentale, tra cui il ritiro, disturbi
somatici, depressione o ansia, difficoltà sociali, alti
tassi di devianza, disturbi ossessivo-compulsivi e
pensieri psicotici, difficoltà di concentrazione,
delinquenza e comportamenti violenti"24.
Nella prima metà del 2013, secondo Peace Now e il
Central Bureau of Statistics di Israele, si sono
costruite illegalmente 1.708 unità abitative di
insediamento, un incremento del 70% rispetto allo
stesso periodo dell'anno precedente.
24 Save the Children UK, Broken Homes:Addressing the Impact
of House Demolitions on Palestinian Children & Families.
Aprile 2009.
<http://www.savethechildren.org.uk/sites/default/files/docs/Broke
n_Homes_English_low_res.pdf>
30
1 .5 La violenza domestica
Anche all'interno delle loro comunità e delle loro case
i minori palestinesi sono esposti alla violenza.
Secondo una ricerca condotta dal PCBS nel 2007, le
aree rurali presentano una percentuale di violenza
domestica sui minori del 56%, seguito dal 50% nei
centri urbani e un 47% nei campi profughi25. La
violenza è intesa come strumento per controllare ed
educare i bambini. Proprio come lo era in Italia, è
parte del metodo di educazione di gran parte dei
genitori palestinesi. Molti specialisti infantili
affermano che l'alto tasso di violenza domestica è una
conseguenza diretta della violenza sofferta a causa
dell'occupazione israeliana e delle correlate restrizioni,
pratiche razziste, attacchi militari, incursioni, arresti.
Questi eventi “hanno avuto drammatiche conseguenze
nella tradizionale unità familiare delle famiglie estese,
che ha da sempre rappresentato il più efficace
25 Save The Children UK, Child Rights Fact Sheet, Occupied
Palestinian Territory, Ottobre 2007.
31
meccanismo di coping per bambini e adulti26.
1 .6 Conseguenze sulla salute mentale dei minori
Il trauma della discriminazione e dell'umiliazione
Gli effetti prodotti dall'interazione del trauma
psicologico e PTSD con razzismo e discriminazione
sono complessi. Tenendo presente che il popolo
palestinese è sotto scacco di una pluriennale apartheid,
razzismo e discriminazione possono essere:
a) un fattore di rischio per l'esposizione a stress
traumatici
b) un elemento in grado di aggravare l'impatto di
traumi psicologici e di amplificare il rischio di PTSD
o di altri disturbi post-traumatici
26 Save The Children, Defence for Children International, Child
Rights Situation Analysis, Dicembre 2008.
32
c) una fonte diretta di trauma psicologico27.
L'Università di Birzeit, in collaborazione con la
Quenn's University, ha pubblicato una ricerca che
dimostra come l'umiliazione indotta dal conflitto
costituisca un evento traumatico indipendente, con
ripercussioni sulla salute di chi la subisce e a
prescindere dall'esposizione ad altri eventi violenti e/o
traumatici. “L'umiliazione intenzionale, oltre ad essere
una profonda violazione della dignità e dei diritti
umani, è una tattica di guerra rilevante. Una persona
che è vittima di umiliazione cronica, ha tre volte di più
la probabilità di avere disturbi mentali”. Sulla base dei
risultati ottenuti, si è proposto l'inserimento
dell'umiliazione tra gli indicatori dello stato di salute
mentale, nelle ricerche che indagano le conseguenze
della guerra e dei conflitti sulla salute delle
popolazioni.
Bambini e adolescenti affrontano un evento stressante
27 Frueh C., Grubaugh A., Elhai J., Ford J., Disturbo Post
Traumatico Da Stress. Diagnosi e trattamento,
FerrariSinibaldi, Milano, 2013.
33
con la propria soggettività, che dipende dall'età, dalle
esperienze passate, dalla presenza di adeguate figure
adulte di riferimento, del supporto sociale e dai fattori
ambientali. Le reazioni individuali sono il risultato
dell'interazione dinamica tra fattori appartenenti a
diversi livelli: biologico, psicologico,
sociale(familiare, amicale), e ambientale(politico,
educativo, economico, contesto di guerra)28.
Traumi che coinvolgono i genitori
La morte di un genitore o di un familiare è
un'esperienza vissuta da un numero considerevole di
bambini palestinesi. Solitamente la morte è attribuibile
all'uccisione diretta dovuta al fuoco dell'artiglieria o a
cause simili. E' noto che la morte violenta di una
persona cui il bambino è legato, genera nel minore
uno stress grave e delle reazioni depressive.
28 Caffo E., Emergenza nell'infanzia e nell'adolescenza.
Interventi psicoterapeutici e di comunità, MCGraw-Hill,
Milano, 2003.
34
Anche lunghi periodi di separazione dai genitori, in
contesti di violenza, è un'esperienza molto dolorosa
per i bambini, specialmente per i più piccoli (2-5
anni). La principale ragione di queste separazioni
riportata da buona parte dei bambini palestinesi è la
detenzione di uno dei genitori.
Essere testimoni di violenza estrema
Assistere ad un attacco militare, al bombardamento di
aree urbane, cercare di rifugiarsi dal fuoco
dell'esercito nelle vicinanze delle abitazioni e delle
scuole, o tra la folla durante una manifestazione
pacifica, i rastrellamenti nelle abitazioni e nei villaggi
da parte delle forze armate israeliane, sono
avvenimenti ordinari nella vita di gran parte dei
bambini palestinesi. Gli effetti di tale violenza
incrementano il livello d'ansia dei bambini, alcuni di
35
essi sviluppano varie fobie e reazioni di panico29.
Molti minori palestinesi assistono all'intimidazione,
alla morte o all'arresto di qualcuno che è loro caro.
Altri vedono persone gravemente ferite da armi o
percosse. Spesso i genitori non sono a conoscenza di
ciò di cui i loro bambini son stati testimoni. Talvolta i
bambini più grandi, nell'intento di proteggere i loro
genitori, non condividono con loro lo shock subito.
Tali situazioni innescano forti sentimenti di paura,
sfiducia e rabbia. Secondo testimonianze dirette30, in
seguito ad un irruzione notturna dei soldati israeliani
in casa, una bambina di sei anni ha sviluppato una
sindrome acuta di stress post traumatico, con frequenti
attacchi epilettici e gravi difficoltà di apprendimento. I
militari hanno preso la piccola, alzandola e gettandola
con forza in terra, per farla smettere di piangere.
L'impatto sul pavimento, le ha causato seri danni
29 Macksound M., I bambini e lo stress da guerra. Come
affrontarlo? Manuale per genitori e insegnanti,. Edizioni
Scientifiche Ma.Gi, Roma, 1993.
30 Testimonianza raccolta sul campo da un ragazzo proveniente
dalla Striscia di Gaza
36
celebrali.
Il trauma della demolizione della propria casa, da
parte dell'esercito
Come affermato dal più noto psichiatra palestinese, El
Sarraj, “la casa non è suolo un rifugio, è il cuore della
vita familiare. La distruzione della propria causa non è
solo un danno materiale, è un trauma connesso all'aver
perso un forte punto di riferimento e all'essere un
profugo”31.
Considerando solo Gerusalemme Est, circa 200 mila
coloni israeliani hanno preso forzatamente il posto dei
residenti palestinesi. Secondo il Committee Against
House Demolitions(ICAHD) per i palestinesi ottenere
permessi per costruire su terreni di loro proprietà è
quasi impossibile. Il 94% delle richieste di permesso
presentate da palestinesi sono rifiutate dalle autorità
israeliane, tanto a Gerusalemme Est quanto in tutta
l'Area C. Da gennaio ad aprile 2013, l'UNRWA ha
31 Humanitarian Practice Network, Humanitarian Exchange, N
28, Novembre 2004 pp.28
37
riferito che oltre 90 persone, tra cui 49 bambini, sono
state sfollate dalle loro case a Gerusalemme Est. I
minori vittime di questo processo illegale, stanno
mostrando allarmanti sintomi di ansia e depressione,
che sfociano nel disturbo da stress post-traumatico.
“I bambini che hanno assistito alla demolizione della
propria casa presentano un netto peggioramento su
una serie considerevole di indicatori della salute
mentale, tra cui il ritiro, disturbi somatici, depressione
e ansia, difficoltà nelle relazioni interpersonali,
delusione cronica, atteggiamenti ossessivo-
compulsivi, difficoltà di concentrazione, devianza e
comportamenti violenti. Quando arriva un ordine di
demolizione e di evacuazione della casa, un bambino,
mentre va a scuola non sa se al suo ritorno troverà
ancora intatta la sua casa, non sapendo il giorno in cui
arriveranno i soldati accompagnati da bulldozer. E' un
costante stato di stress” fa notare Anan Srour,
psicologo clinico ed educativo al Palestinian
Counseling Center. “Una situazione simile ha
implicazioni su tutte le funzioni quotidiane del minore
38
e i genitori non hanno l'energia e la forza psicologica
per rispondere alle esigenze del figlio”32. L'aiuto delle
Nazioni Unite alle famiglie le cui case vengono
illegalmente demolite, garantisce una continuità
almeno alla vita scolastica dei bambini.
“Le Nazioni Unite aiutano i poveri – dice Imran -, le
persone le cui vite sono state distrutte. Io non voglio
essere identificato come tale”. Il momento della
demolizione per molti bambini è altamente
traumatico: “Ricordo i soldati che ridevano e mi
prendevano in giro perché piangevo. Provavo ad
andare verso casa, ma mi bloccavano. Mi sveglio in
piena notte in preda al panico, con questa scena in
testa” conclude Imran33. Le famiglie le cui case
vengono demolite, sono costrette a riversarsi in campi
profughi. A causa di questi spostamenti forzati e
32 Al Monitor, Palestinian Children Traumatized After House
Demolitions, 05 Febbraio 2013 <http://www.al-
monitor.com/pulse/originals/2013/06/palestinian-children-
trauma-house-demolitions.html>
33 Save the Children UK, Broken Homes: Addressing the Impact
of House Demolitions on Palestinian Children & Families,
Aprile 2009.
39
improvvisi, alcuni bambini diventano molto
vulnerabili e insicuri e sviluppano gravi reazioni
d'ansia, comprendenti ansie di separazione, disturbi
psicosomatici e, come Imran, disturbi del sonno.
Alcuni diventano tristi e nostalgici e rimpiangono la
loro vecchia casa. Altri rifiutano il nuovo ambiente e
diventano aggressivi34.
Trauma dell'arresto e della detenzione
Dalla seconda Intifada, più di settemila bambini sono
stati detenuti nelle carceri israeliane.
Durante il periodo di detenzione i bambini
interrompono improvvisamente la loro routine
quotidiana, lontano dalla loro famiglia.
L'esperienza della detenzione comporta un susseguirsi
di violenza, sia fisica che psicologica, compresa la
34 Macksound M., I bambini e lo stress da guerra. Come
affrontarlo? Manuale per genitori e insegnanti, Edizioni
Scientifiche Ma.Gi, Roma, 1993.
40
tortura. I bambini passano il periodo di detenzione in
deplorevoli condizioni. L'esperienza traumatica della
reclusione influisce profondamente sul benessere
psicosociale del minore e si manifesta nello sviluppo
di livelli diversi di difficoltà nelle relazioni e in base
all'età e al sesso. Molti bambini subiscono abusi
sessuali che non hanno il coraggio di raccontare a
nessuno, quando vengono rilasciati, a causa di un
profondo senso di vergogna. Alcuni hanno accettato di
diventare collaboratori delle autorità militari israeliane
pur di non far sapere alle persone della propria
famiglia e del proprio villaggio che sono stati abusato.
Nella logica della violenza militare in carcere, l'abuso
sessuale è quindi usato come mezzo per costringere i
minori a collaborare35. La quasi totalità dei bambini,
quando escono dal carcere manifestano isolamento e
ritiro sociale, sentendosi diversi dai loro amici. I
sintomi più comuni sono la paura di affrontare la
35 Save The Children Sweden, One day in prison feels like a
year. 2003
<http://mena.savethechildren.se/PageFiles/3731/One%20day
%20in%20Prison%20-%20English.pdf>
41
società, ansia e tensione, difficoltà di concentrazione,
difficoltà a comunicare con la famiglia e gli amici e a
reintegrarsi nel contesto scolastico, o lavorativo. A
fronte del tragico aumento del numero di bambini
bambini arrestati e detenuti, alcune associazioni di
professionisti hanno elaborato programmi di
riabilitazione post-trauma per il recupero psicosociale,
di cui si parlerà nel prossimo capitolo.
Traumi tipici nella Striscia di Gaza
“Ascoltano la radio, guardano la TV, vedono cadaveri,
sentono le bombe, il rumore assordante dei vetri delle
finestre che scoppiano, ascoltano storie di guerra.
Sono terrorizzati”.36
C'è stato un tragico deterioramento del benessere
psicofisico dei bambini dopo l'attacco militare
36 Eyad Sarraj, esperto di salute mentale e fondatore del Gaza
Community Mental Helt Programme.
42
israeliano del 2008, Piombo Fuso, e quello del
novembre 2012. Secondo ricerche condotte da Sarraj,
la quasi totalità dei 950.000 bambini gazawi soffre di
sintomi psicologici e comportamentali propri del
PTSD, tra cui aggressività, depressione, enuresi,
flashback e un attaccamento psicotico alla madre o ad
un familiare. Il costante stato di conflitto, fa si che i
bambini siano profondamente e cronicamente
traumatizzati perché non riescono a risolvere il loro
trauma. Proprio per questo, secondo l'Oxfam
International(OI) “è molto difficile parlare di PTSD
quando il trauma continua a ripetersi e a mantenere
livelli di stress ricorrenti”.
Alcuni abitanti di Gaza, benché siano membri di una
società notoriamente conservatrice, stanno
cominciando a rifiutare la stigma legata alla malattia
mentale37.
37 Cunningham E., Growing up in Gaza, Global Post Gaza, 27
Novembre 2012.
<http://www.globalpost.com/dispatch/news/regions/middle-
east/israel-and-palestine/121126/gaza-children-toll-ptsd-
trauma-israel-strikes-conflict>
43
Fatima Qortoum nel 2008 aveva 9 anni. Ha visto
schizzare il cervello di suo fratello, a causa delle
schegge di una bomba e quattro anni più tardi, nel
bombardamento del 2012, l'altro fratello di sei anni è
rimasto ferito ai polmoni e alla spina dorsale. Ad oggi,
Fatima soffre di PTSD.
Uomini e adolescenti maschi, spesso faticano a
chiedere un supporto psicologico e d'altra parte, la
comunità non è sempre pronta ad accettare o fornire il
supporto adeguato al trauma.
“Non avevamo paura. Siamo abituati a tutto questo.
Mio padre ci disse in casa: 'Gli israeliani stanno
cercando di terrorizzarci, ma noi abbiamo la nostra
resistenza che li spaventa” ha raccontato Mohamed
Shokri, 12 anni.
“Ai bambini di Gaza è stata negata un'infanzia
normale a causa della insicurezza e instabilità del loro
ambiente. E non temporaneamente. Una cultura di
violenza e di morte pervade nella loro mente,
rendendoli più aggressivi e arrabbiati” fa notare Ayesh
44
Samour, direttore dell'ospedale psichiatrico di Gaza,
che insieme a quello di Betlemme è l'unico in tutto il
territorio palestinese38.
38 IRIN(Humanitarian news and analysis), OPT: Psycological
trauma, nightmares stalk Gaza children. Gaza 02 Febbraio
2010 <http://www.irinnews.org/report/87954/opt-
psychological-trauma-nightmares-stalk-gaza-children>
45
46
Un bambino di 11 anni disegna l'arresto del padre (Fonte: I
bambini e lo stress da guerra, Unicef)
Un bambino di 10 anni, obbligato ad assistere ad atti di violenza
estrema (Fonte: I bambini e lo stress da guerra, Unicef)
2. Traumi da guerra nell'infanzia e nell'adolescenza
“L’emozione del dolore cessa di essere sofferenza non appena
abbiamo una chiara e precisa immagine di essa”
Victor Frankl
2 .1 Traumi nei bambini
Con l'avanzare dei secoli le popolazioni civili sono
diventate sempre più palesemente il bersaglio favorito
delle guerre. Le vittime civili costituivano circa il 50%
delle perdite umane complessive nella Prima Guerra
Mondiale, il 66% nella Seconda Guerra Mondiale, il
90% nelle guerre odierne. Nel decennio 1985-1995 si
calcola che siano stati uccisi in guerra due milioni di
bambini. Un numero non ben quantificato, nell'ordine
47
di decine di milioni, sono stati i casi di gravi traumi
psicologici nelle fasi dell'infanzia e dell'adolescenza39.
Il trauma psicologico da guerra non è una malattia. E'
una reazione normale ad un evento improvviso che
minaccia l'esistenza, e distrugge la vita fisica, mentale,
spirituale e sociale. In generale per “trauma” si intende
“un'esperienza personale e diretta di un evento che causa o
può comportare morte o lesioni gravi, o altre minacce
all'integrità fisica; o la presenza di un evento che comporta
morte, lesioni o altre minacce all'integrità fisica di un'altra
persona; o il venire a conoscenza della morte o lesioni
riportate da un membro della famiglia o da altra persona
con cui il soggetto è in stretta relazione”40.
Come specificato nel DSM stesso, questa definizione
assume connotazioni specifiche nel caso si tratti di un
bambino o di un adolescente.
Alcune reazioni al trauma variano in base all'età. I
39 UNICEF, I bambini della guerra, n 3/Collana Temi. Comitato
Italiano per l'UNICEF, 2000.
40 American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical
Manual of Mental Disorders IV, 1999.
48
bambini fino ai cinque anni, sono di solito terrorizzati
di essere separati dai genitori, piangono, urlano,
tremano, restano immobili oppure non riescono a stare
fermi, tendono ad aggrapparsi alle persone più vicine.
Spesso assumono comportamenti regressivi, come
l'enuresi e/o la paura del buio. In questa fascia d'età i
piccoli sono altamente influenzati dalle reazioni dei
genitori all'evento traumatico.
I bambini dai sei agli undici anni possono manifestare
ritiro in loro stessi, comportamento indisciplinato e/o
difficoltà di attenzione e concentrazione. Possono
manifestare incubi, disturbi del sonno, paure
irrazionali, irritabilità, rifiuto di andare a scuola,
scoppi di ira, comportamenti violenti, dolori fisici
anche in assenza di un disturbo organico, problemi nel
rendimento scolastico. Altri disturbi ricorrenti sono
ansia, senso di colpa, depressione, apatia.
Gli adolescenti, dai dodici ai diciassette anni, possono
riportare reazioni simili agli adulti, compresi
flashback, incubi, ritiro emotivo, abuso di sostanze,
depressione, evitamento di ogni stimolo collegato al
49
trauma, comportamento antisociale. Generalmente
manifestano isolamento, lamentele fisiche, pensieri
suicidi, rifiuto della scuola, disturbi del sonno, stato
confusionario41.
Le possibilità di coping di un soggetto in età evolutiva
sono ridotte rispetto a quelle di un adulto “sano”, a
causa di una maturità non ancora pienamente
raggiunta. Pertanto, l'intervento di soccorso o la
terapia in genere devono essere modulati sugli
specifici bisogni e competenze del soggetto42.
L'evento-guerra, ovviamente, è il più traumatico per il
bambino. Tutto il sistema sensoriale è allertato e viene
colpito profondamente: essere testimoni di massacri,
bombardamenti, invasioni militari; vedere soldati,
armi, spari, persone uccise; sentire le urla dei feriti,
sono tutte sensazioni sensoriali che si imprimono in
maniera indelebile nella memoria. Da simili eventi
scaturiscono emozioni forti come la paura, il dolore, la
41 Caffo E., Emergenza nell'infanzia e nell'adolescenza.
Interventi psicoterapeutici e di comunità, MCGraw-Hill,
Milano, 2003.
42 Ivi
50
collera, il senso di impotenza, talvolta il senso di colpa
per essere sopravvissuti. I disturbi relativi alla salute
mentale nell'infanzia e nell'adolescenza sono,
purtroppo, molto più frequenti di quanto si pensi e
secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità,
nell'anno 2020, i disturbi neuropsichiatrici infantili
cresceranno proporzionalmente in ordine superiore al
50% a livello mondiale, divenendo una delle cinque
principali cause di malattia, morte e disabilità nei
bambini43.
La gravità del trauma è condizionata da sette fattori: la
violenza improvvisa di un evento traumatico, l'essere
vicini all'evento, la durata dell'evento, la ripetizione
dell'evento, il grado di brutalità, la conoscenza delle
vittime, la conoscenza degli assassini. Lo stress e lo
shock possono arrivare a turbare aree interiori che
contengono, per lo più, rappresentazioni emotive non
sempre facilmente verbalizzabili o non verbalizzate.
L'evitamento o, al contrario, la ripetizione ossessiva di
ricordi o comportamenti riguardanti il trauma,
43 Ivi
51
sembrano essere due polarità frequenti nella sindrome
PTSD e, in generale, in tutti i disturbi post-
traumatici44.
La malattia e i disturbi mentali come stigma sociale
Come in gran parte del Medio Oriente, la cultura
palestinese ha le sue spiegazioni tradizionali per i
disturbi mentali. La convinzione comune è che la
malattia mentale è riconducibile al volere di forze
soprannaturali. Questa concezione ha radici religiose e
non può essere spiegata in termini psicologici o
psichiatrici.
In molti Paesi in via di sviluppo, inclusa la Palestina, i
disturbi mentali sono spesso fonte di paura. In alcuni
casi, questo porta la società al rifiuto dei malati
mentali, perché la malattia comporta uno stigma. Per
questa ragione i pazienti tendono a presentare stress
44 Sgarro M., Post Traumatic Stress Disorder. Aspetti clinici e
psicoterapie, Edizioni Kappa, Roma, 1997.
52
emotivo o psicologico in forma di sintomi fisici come
mal di testa, coliche e/o mal di schiena. Questa
situazione porta a una notevole sottovalutazione della
malattia mentale. Gli operatori sanitari hanno solo di
recente iniziato a riconoscere l'origine politica e
ambientale delle malattie mentali.
53
2 .2 Il Disturbo post-traumatico da stress(PTSD)
Un minore che ha vissuto una grave esperienza
traumatica può presentare disturbi anche dopo il
periodo che la letteratura definisce consono alla
autoguarigione.
I primi studi che hanno portato alla nozione di
Disturbo post-traumatico da stress sono stati compiuti
negli anni '70, a partire dalle indagini sui reduci dalla
guerra del Vietnam; hanno interessato dapprima la
psichiatria dell'adulto e, solo successivamente, si sono
estesi all'infanzia e all'adolescenza, in relazione sia
all'esposizione ad eventi catastrofici - guerre, calamità
naturali -, sia ad esperienze di maltrattamento, intra ed
extra-familiari. Il termine Post Traumatic Stress
Disorder è stato introdotto dal DSM III, inserito nel
novero di Disturbi d'Ansia. Questo genere di disturbi è
stato progressivamente allontanato dall'ambito
“nevrotico”, fino a confluire nell'ambito del modello
54
generale dello stress, sia acuto che cronico45.
Alla luce di quanto stabilito dal DSM IV, se i sintomi
persistono per almeno due settimane, ma non più di
quattro, si può considerare la diagnosi di Disturbo
Acuto da Stress(ADS). Se i sintomi lamentati, sempre
correlati a rivivere un evento altamente traumatico,
perdurano per almeno quattro settimane, si può
considerare l'opportunità di una diagnosi di Disturbo
Post-Traumatico da Stress(PTSD).
I sintomi tipici del PTSD possono essere classificati in
tre categorie: intrusione, evitamento, attivazione.
- Intrusione. Ossia la tendenza a rivivere
continuamente l'evento traumatico a livello
cognitivo, ripensare continuamente all'evento;
emotivo, sentire che da un momento all'altro
l'evento possa ripetersi; percettivo, rintracciare
stimoli che ricordano l'evento in molti
momenti della giornata. Un bambino può
raccontare continuamente la sua esperienza
45 Sgarro M., Post Traumatic Stress Disorder. Aspetti clinici e
psicoterapie, Edizioni Kappa, Roma, 1997.
55
traumatica, avere incubi e ripetere quanto
vissuto nel gioco. L'intrusione è caratterizzata
da flashback continui fatti di suoni, immagini,
odori. Questo disturbo si manifesta
specialmente prima di andare a dormire o
quando il bambino non è occupato.
L'intrusione provoca incubi notturni, difficoltà
di concentrazione, anoressia e disturbi
alimentari, sintomi regressivi, sintomi
dissociativi. Ad esempio, a sei mesi dall'evento
traumatico un bambino continuava a strofinarsi
il naso. La madre lo riteneva un tic, mentre in
realtà il piccolo continuava a sentire l'odore dei
cadaveri46.
- Evitamento. Tendenza al continuo evitamento
di persone, luoghi, pensieri, circostanze e
attività che ricordano il trauma. L'evitamento
può essere passivo o attivo. L'ottundimento
può essere considerato uno stato lieve di
46 Musu M. e Polito E., I bambini dell'Intifada. Editori Riuniti,
Roma, 1991.
56
dissociazione e non è facile da rintracciare in
un bambino. Alcuni possono essere incapaci di
ricordare alcuni aspetti dell'evento, possono
isolarsi e/o non interessarsi ad attività che in
passato erano significative. Il bambino può
avvertire una sensazione di vuoto interiore. E'
pervaso dall'apatia, si sente privo di sentimenti
e incapace di essere felice. Può manifestare
rallentamento motorio, stanchezza cronica e
distaccamento dal proprio gruppo dei pari e da
qualsiasi attività ludica47. L'evitamento è
riconducibile a amnesie psicogene, fobie,
isolamento sociale. Il bambino cerca di evitare
qualsiasi cosa che gli ricorda l'evento
traumatico o di sopprimere del tutto il ricordo.
In questo ultimo caso la guarigione è più
difficile.
- Attivazione. E' clinicamente definita
“arousal” e comprende l'insonnia, l'irritabilità,
47 Ferrari A.- Scalettari L., I bambini nella guerra. Le storie, le
stragi, i traumi, il recupero, EMI, Bologna, 1996.
57
scoppi d'ira, difficoltà di concentrazione,
ipervigilanza, disturbi del sonno. L'arousal
rappresenta i sintomi più semplici da rilevare48.
Rappresenta uno stato perenne di tensione
spiegato dalla paura che l'evento traumatico
potrebbe ripetersi all'improvviso e porta alla
riduzione delle difese immunitarie e ad
irritabilità, ansietà, aggressività, disturbi del
sonno, iperattività motoria.
Uno studio sui sopravvissuti alle persecuzioni naziste,
condotto da Krystal49, evidenzia la connessione tra il
trauma psichico con la frequente difficoltà
nell'espressione e nella tolleranza degli affetti:
“Come la maggior parte dei pazienti psicosomatici,
anche questi soggetti soffrono di alessitimia,
l'incapacità di identificare o verbalizzare stati affettivi.
48 Caffo E., Emergenza nell'infanzia e nell'adolescenza.
Interventi psicoterapeutici e di comunità, MCGraw-Hill,
Milano, 2003.
49 Krystal H., Massive psychic trauma, International
Universities Press, New York, 1968.
58
Un trauma psichico dell'infanzia porta ad un arresto
dello sviluppo affettivo, mentre un trauma in età
adulta porta ad una regressione dello sviluppo
affettivo. In entrambi i casi il risultato finale è che i
sopravvissuti a un trauma non possono usare gli affetti
come segnali. Qualunque potente emozione viene
vista come una minaccia del ritorno del trauma
originario, pertanto questi pazienti somatizzano gli
affetti oppure li curano abusando nell'assunzione di
farmaci50”.
La severità della sintomatologia post-traumatica
sembra essere molto spesso correlata, nei bambini
piccoli, a uno scarso adattamento dei genitori e/o della
famiglia. La risposta del bambino al trauma è tanto più
complicata quanto più i genitori – in particolare la
madre – presentino disturbi psicologici o la loro
reazione all'evento traumatico sia particolarmente
stressante. D'altra parte, quindi, i genitori possono
rappresentare un variabile moderatrice, positiva, degli
50 Sgarro M., Post Traumatic Stress Disorder. Aspetti clinici e
psicoterapie. Edizioni Kappa. Roma 1997
59
effetti del trauma; aiutando il bambino a comprendere
quanto accaduto, recuperare il senso di sicurezza e
controllo, contenere l'ansia, sostenendolo con amore e
pazienza, incoraggiandolo. In genere, adulti empatici
possono aiutare i bambini a svolgere una serie di
funzioni adattive, poiché essi non hanno ancora
raggiunto il pieno sviluppo di alcune capacità
cognitive ed emozionali.
Secondo due studi, entrambi svolti su 1000 minori, i
bambini ebrei israeliani, molti dei quali sono stati
esposti alla violenza della società in cui vivono ma che
non sono stati allontanati dalle loro case, mostrano una
prevalenza dell'8% per il PTSD51. Una prevalenza
molto più alta, del 34%, è stata stimata tra i bambini
palestinesi, molti dei quali rifugiati52.
Perché si abbia una diagnosi di PTSD deve essersi
51 Pat-Horenczyk R., Abramovitz R., Peled O., Brom D., Daie
A., Adolescent exposure to recurrent terrorism in Israel: post
traumatic distress and functional impairment. American
Journal of Orthopsychiatry, n. 77, 2007.
52 Khamis V., Post-traumatic stress disorder among school age
palestinian children, Child Abuse and Neglect. 29- 2005
60
verificata una esperienza che implichi la minaccia alla
vita o all'integrità fisica, propria o altrui, e a cui il
soggetto risponda con paura intensa, impotenza,
comportamento disorganizzato o agitazione53.
Le reazioni di bambini e adolescenti ad eventi ad un
trauma variano in base all'età, alle caratteristiche di
personalità, a seconda del grado di percezione della
realtà da parte del soggetto. In generale, i sintomi
caratteristici che risultano dall'esposizione ad un
trauma estremo, includono il continuo rivivere
l'evento traumatico, l'evitamento persistente degli
stimoli associati con il trauma, l'ottundimento della
reattività generale e sintomi constanti di aumento
dell'arousal. Il disturbo può risultare particolarmente
grave e prolungato quando l'evento stressante è ideato
dall'uomo54.
53 Telefono Azzurro, Vittime Silenziose. I bambini e gli
adolescenti di fronte alla guerra, al terrorismo e ad altri
eventi traumatici.
54 Sgarro M., Post Traumatic Stress Disorder. Aspetti clinici e
psicoterapie, Edizioni Kappa, Roma, 1997.
61
Per esempio, evitare il ricordo di esperienze
traumatiche può essere considerata una buona
strategia per farvi fronte, ma può anche rappresentare
un sollievo temporaneo che contribuisce a rendere
cronico il senso di paura e a tramutare una normale
reazione ad un evento traumatico in PTSD.
L'esposizione a fattori di stress traumatico può
comportare alterazioni fondamentali nel corpo e nella
mente dei bambini e in base all'esordio e la durata dei
62
(Telefono Azzurro, Vittime Silenziose)
sintomi, si possono distinguere tre forme di PTSD:
acuta, quando la durata dei sintomi è inferiore ai tre
mesi; cronica, secondo la quale i sintomi durano 3
mesi o più; ad esordio tardivo, quando sono trascorsi
almeno sei mesi tra l'evento e l'esordio dei sintomi55.
Gli effetti medici a lungo termine di uno stress
straordinario non sono stati ancora definitivamente
provati, ma ci sono prove di alte frequenze di malattie
cardiovascolari e di ulcere nei soggetti traumatizzati.
Il PTSD è spesso accompagnato da altri disturbi:
sintomi depressivi, tendenza al suicidio, attacchi di
panico, personalità borderline, disturbi
dell'alimentazione e di somatizzazione, episodi
dissociativi.
Nel nuovo DMS è stato inserito un nuovo sottotipo di
PTSD dedicato esclusivamente ai bambini in età
prescolare, fino ai sei anni, il Post-Traumatic Stress
Disorder in Preschool children56.
Un elemento caratterizzante sarà l’inclusione del
55 Ivi
56 APA, <http://www.dsm5.org>
63
criterio relativo al disagio clinicamente significativo o
alle menomazioni nei rapporti con i genitori, fratelli o
coetanei e altri caregiver e di disagio in ambiente
scolastico, poiché nell’età in questione, il
funzionamento sociale del soggetto risiede nel
contesto familiare e nelle relazioni con altri caregiver.
La ricerca, ancora non del tutto avanzata in
quest'ambito, ha evidenziato tra i tratti di personalità
che caratterizzano bambini e adolescenti traumatizzati,
una scarsa reattività alle situazioni di pericolo, una
costante assenza di paura e una tendenza all'eroismo.
A volte il trauma, secondo Janoff-Bulman, può
incidere sulla convinzione di essere invulnerabili,
riscontrabile nell'adolescenza57.
In una situazione post-traumatica, alcuni aspetti
ambientali, o psicosociali e relazionali, possono
svolgere un ruolo di aiuto psicologico e per
l'adattamento (al contrario, se presenti in maniera
57 Caffo E., Emergenza nell'infanzia e nell'adolescenza.
Interventi psicoterapeutici e di comunità. MCGraw-Hill,
Milano 2003
64
negativa, possono considerarsi elementi di
vulnerabilità, nonché fattori di rischio). Tra di essi
spicca il sostegno sociale, cioè un aiuto psicologico,
materiale, informativo e cognitivo che il bambino può
avere in uno specifico momento della sua vita o al
momento del bisogno. Un adeguato sostegno quasi
sempre ammortizza l'impatto degli stressor e della
gravità dei sintomi58.
58 Flannery R.B., Social support and psycological trauma: a
methodological review, Journal of Traumatic Stress, N 3,
1990.
65
Assessment e terapia di traumi nell'infanzia e
nell'adolescenza
E' di fondamentale importanza la scelta dei criteri di
valutazione clinica, ma non solo, relativi alle
condizioni post-traumatiche. Nel 1998 l’American
Academy of Child and Adolescent Psychiatry ha
proposto una serie di misure pratiche per
l’accertamento e il trattamento dei bambini e degli
adolescenti con PTSD. Le linee guida contenute nel
documento consistono in:
- intervista con i genitori o i caregiver;
- ottenere il racconto dell’evento traumatico al fine di
classificare tale evento come stressor “estremo” ed
ottenere una “storia del trauma (o dei traumi)”
indispensabile per una corretta diagnosi;
- ottenere informazioni rispetto a eventuali stressor
precedenti, concomitanti o più recenti nella vita del
bambino;
- valutare la presenza di sintomi elencati nel DSM-IV
66
per il PTSD attraverso gli strumenti previsti;
- ottenere informazioni rispetto ad eventuali sintomi
concomitanti, prestando particolare attenzione ai
disturbi ad elevata comorbilità con il PTSD;
- ottenere informazioni rispetto all’esordio dei sintomi
in relazione agli eventi traumatici identificati;
- ottenere informazioni rispetto alla reazione emotiva
dei genitori all’evento traumatico;
- ottenere informazioni sull’anamnesi psichiatrica e
medica del bambino;
- ottenere informazioni rispetto alla storia evolutiva
del bambino, in particolare sulla sua reazione ai
normali stressor (come la nascita di un fratellino,
l’inizio della scuola etc.) e sul livello del
funzionamento del bambino prima dell’evento
traumatico;
- ottenere informazioni sulla carriera scolastica del
bambino, soprattutto su eventuali cambiamenti del
comportamento a scuola, del livello di concentrazione,
del livello di attività, e del rendimento a partire dallo
stressor traumatico;
67
- ottenere informazioni sulla storia familiare e
sull’anamnesi medico/psichiatrica dei membri della
famiglia”59.
Nella fase di assessment, ossia per l'accertamento del
trauma, è preferibile avvalersi di strumenti e di
protocolli diagnostici standardizzati.
Alcuni strumenti per il rilevamento del PTSD
Per bambini e adolescenti possono essere utilizzati la
PTSD Scale della Child Behavior Check List(CBCL),
di Achenbach (1991), che prende in considerazione i
punteggi di alcune sottoscale “internalizzanti” (ritiro,
ansia/depressione) ed “esternalizzanti” (problemi di
attenzione) e dei “problemi di pensiero”.
Il Child Post Traumatic Stress Reaction Index
59 Società Italiana di Neuropsichiatria dell'infanzia e
dell'adolescenza(SINPIA), Gruppo di lavoro sugli abusi in
età evolutiva, Linee guida in tema di abuso su minori,
Febbraio 2007
68
(Fredrich e Pynoos, 1988); il Children’s Post-
Traumatic Stress Disorder Inventory di Saigh (1989);
l’Impact of Events Scale(IES) di Horowitz, Wilner e
Alvarez (1979); il Trauma Symptom Checklist for
Children(Briere John, 1996) strumento che consente di
rilevare la presenza di diversi disturbi legati allo stress
post-traumatico.
- Child Post Traumatic Stress Reaction Index(PTSD-
RI)
Il CSPR è utilizzato per misurare la severità dello
stress post-trauma nei bambini tra gli 8 e i 18 anni. E'
un'intervista strutturata e self-report di 20 item
composta da una scala di frequenza che va da “mai” a
“la maggior parte del tempo”. Nell'ultimo decennio,
molti studi stanno cercando un buon modo di adattare
questo questionario il più possibile vicino alla
situazione dei bambini palestinesi. “The effects of
chronic traumatic experience on Palestinian children
69
in the Gaza Strip”60 è uno studio svolto da un team di
ricerca della University of Hertfordshire, con la
collaborazione di 17 ricercatori palestinesi ed egiziani.
Lo studio è stato svolto su 400 bambini della Striscia
di Gaza, di età compresa tra i 10 e i 18 anni, e
strutturato in due fasi. Nella prima sono stati
somministrati quattro questionari, alcuni creati
appositamente per rispecchiare al meglio le
circostanze locali, altri standard. Ai bambini sono stati
somministrati dei questionari basati sul Gaza
Traumatic Event Checklist(di cui sopra) e il Traumatic
Questionnaire Scale(Qouta e El-Serraj, 2004) relativo
alla difficoltà dell'evento vissuto o ad eventi a cui il
bambino ha assistito direttamente o per sentito dire.
60 University of Hertfordshire, 2006
70
- Gaza Traumatic Event Checklist
La checklist è stata elaborata dal dipartimento di
ricerca del Gaza Community Mental Healt Program ed
era composta da 12 item rappresentanti gli eventi
tramatici ai quali un bambino poteva essere esposto.
La checklist può essere completata da bambini dai 6 ai
ai 16 anni e le risposte devono collocarsi
esclusivamente tra “Si” e “No”.
Uno studio condotto dal dipartimento di Psicologia
71
(Gaza Traumatic Event Checklist. Abu Hein, Qouta, El Sarraj. 1993)
dell'Università di Granada e il Centro de Investigaciòn
Mente, Cerebro y Comportamiento, ha evidenziato
come i bambini che crescono nello stesso contesto
culturale ma in situazioni diverse, sono esposti ad
eventi traumatici differenti, con una frequenza e un
impatto diversi. Il target dello studio “Symptoms of
PTSD among Children living in war zones in same
cultural context and different situations”61 è
rappresentato da 381 bambini in età scolare –
maggiori di 6 anni - di Hebron, città emblema del
conflitto. Dal 1997 la città è stata divisa in due aree:
H1, sotto il controllo palestinese, e H2 sotto il
controllo militare isrealiano (nonostante
l'amministrazione sia palestinese) e in cui abitano oltre
35 mila palestinesi e 500 coloni. Il cuore della città è
stato trasformato in un insediamento israeliano. Per
valutare la presenza di sintomi PTSD sono stati
utilizzati anche in questo caso i questionari Gaza
Traumatic Event Checklist e il Child Post Traumatic
Stress Reaction Index. Dalla ricerca risulta che il
61 Journal of Muslim Mental Health, N 7, Issue 2, 2013
72
77,4% dei bambini che vivono in Hebron presentano
sintomi di PTSD, moderati e anche severi. Il 20,5%
soffre di PTSD cronico. Risulta evidente la necessità
d'intervento.
La valutazione diagnostica
Soprattutto in contesti come quello dei Territori
Palestinesi Occupati è senz'altro necessaria una
standardizzazione degli interventi diagnostici e
terapeutici più efficaci nei casi di trauma dell'infanzia,
adattando però le modalità di combinazione degli
interventi ai singoli casi e alle risorse disponibili. La
gestione del trauma infantile richiede l'attivazione di
una grande macchina organizzativa. Non si tratta
esclusivamente di garantire terapia psicologica, ma di
assicurare un servizio di rete al quale concorrono più
professionisti. Ovviamente, data la complessità dei
traumi presenti nell'infanzia e nell'adolescenza
73
palestinese, bisogna considerare l'urgenza
dell'intervento, ossia se sia urgente o programmabile.
Il lavoro di rete è una scommessa auspicabile, nonché
assolutamente necessario, per il futuro dei bambini e
ragazzi che si trovano ad affrontare situazioni come
quelle descritte nel precedente capitolo. Un intervento
multidimensionale, che può essere realizzato
esclusivamente attraverso una formazione integrata di
tutte le figure professionali coinvolte, compresi gli
insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado. Anche i
genitori dovrebbero essere coinvolti in momenti di
formazione, poiché insieme agli insegnanti
costituiscono una grande, se non la più grande, risorsa
per un bambino, interponendosi come mediatori nelle
sue interazioni con un ambiente che può esacerbare i
disturbi appena sorti e prevenendo, quindi, il
consolidamento dei sintomi. Il lavoro di rete è il più
grande fattore di prevenzione delle conseguenze a
medio e lungo termine, nonché degli impatti a breve
termine62.
62 Caffo E., Emergenza nell'infanzia e nell'adolescenza.
74
E' proprio l'ampia variabilità dei singoli casi rispetto
all'offerta di configurazioni medico-psicologiche e
sociali, che rende una standardizzazione degli
interventi, diagnostico e terapeutico, molto complessa.
Tuttavia, l'esperienza clinica conferma che il lavoro
svolto da un équipe multidisciplinare, in cui
interagiscono in modo sinergico diverse figure
professionali, è la chiave di volta per un risultato
efficace63.
La fase diagnostica dovrebbe prevedere una diagnosi
integrata: medica, psicologico-psichiatrica, sociale.
Secondo la Società Italiana di Neuropsichiatria
dell'infanzia e dell'adolescenza, la diagnosi medica
comprende:
- anamnesi.
- esame obiettivo: visita pediatrica con particolare
attenzione allo stato nutrizionale, all'accrescimento,
Interventi psicoterapeutici e di comunità, MCGraw-Hill,
Milano, 2003.
63 Forresi B., Scrimin S., Caffo E., Primo soccorso psicologico:
guida all'operatività sul campo, Guerini e Associati, 2010.
75
nei casi di incuria, alle lesioni fisiche recenti e
pregresse, in caso di maltrattamento fisico, e
valutazione ginecologica riguardante soprattutto l'area
genitale e anale, nel caso di abuso sessuale;
prevedendo eventuali consulenze delle specialità
pediatriche.
- documentazione fotografica delle lesioni, se presenti.
L'esame fisico del bambino deve essere condotto
nell'ottica di un equilibrio tra esigenze di non
omissione e, nel contempo, di non invasività e
riservatezza per il minore e per i familiari.
La diagnosi psicologico-psichiatrica presuppone la
costruzione di una relazione significativa all'interno
della quale si sviluppino:
- anamnesi psicologica, con particolare attenzione ai
segni clinici più ricorrenti nei bambini nelle diverse
fasce d'età.
- assessment individuale del bambino comprendente
colloqui clinici, somministrazione di test proiettivi,
protocolli diagnostici standardizzati (compresa la
76
valutazione dei pattern di attaccamento: Strange
Situation, Strange Situation modificata, Separation
Anxiety Test).
- osservazione del gioco, individuale e in gruppo, di
bambini e osservazione della relazione con i genitori.
L’assessment familiare comprende una serie di
incontri con tutti i membri conviventi. Risulta
opportuno prendere in considerazione:
- la struttura organizzativa familiare;
- le risorse familiari, con particolare attenzione a
quelle relative alle capacità protettive;
- le psicopatologie individuali degli adulti membri del
nucleo familiare;
- le convinzioni e percezioni presenti nei vari membri
della famiglia.
Nonostante la letteratura riporti un insieme di
strumenti per l'accertamento del PTSD, non esiste
attualmente uno strumento universalmente accettato in
grado di fornire una diagnosi precisa o di permettere
77
un attento monitoraggio.
Il rischio di non riuscire a diagnosticare il disturbo,
soprattutto quando si trattano bambini in età
prescolare, è rappresentato dal fatto che spesso i
genitori tendono a sminuire i sintomi del PTSD del
figlio. Gli insegnanti, di frequente, neanche se ne
accorgono. Alcuni clinici ritengono che “la maggior
parte dei bambini non siano in grado di riportare le
loro reazioni psicologiche dopo il trauma, salvo che
non siano poste loro domande specifiche sui vari
aspetti del trauma”64.
La diagnosi sociale, ossia l'indagine psicosociale, è
finalizzata a:
- verificare le condizioni di vita del bambino nella
famiglia e nel contesto;
- verificare la presenza di indicatori di rischio
psicosociale;
- contattare i Servizi che possono fornire indicazioni
64 Caffo E., Emergenza nell'infanzia e nell'adolescenza.
Interventi psicoterapeutici e di comunità, MCGraw-Hill,
Milano, 2003.
78
sul bambino e/o sulla sua famiglia (Servizi di Salute
Mentale per età evolutiva e adulta, Volontariato
sociale, Strutture ospedaliere, ecc.);
La valutazione complessiva, che nasce da tutte e tre le
aree (medica, psicologica, sociale) permette di
raccogliere degli elementi da utilizzare per valutare il
danno psicologico e/o fisico in atto e l'eventuale danno
futuro, nonché elaborare un progetto di trattamento,
individuare le risorse individuali e familiari che
influiscono sulla possibilità di recupero.
79
Il trattamento
Il tempo sembra la cura migliore per guarire le ferite
ed alleviare un dolore, ma non sembra agire molto sul
trauma. Il tempo rimane fermo nella “stanza del
trauma”. E' quindi necessario un approccio specifico
per aiutare un bambino, così come un adulto, ad
affrontare e a rielaborare il trauma, riuscendo a trarne
sollievo. Eventi traumatici che hanno reso il bambino
indifeso, possono causare disturbi e ridurre la qualità
della vita dell'individuo anche nei decenni successivi.
Se non viene trattato, il trauma può causare malattie
psichiche croniche. La sofferenza mentale causa
restrizioni nella qualità della vita a lungo termine65.
I disturbi mentali e del comportamento turbano la vita
delle persone colpite e quella delle loro famiglie. La
sofferenza umana non può essere misurata ma ci si
può orientare sull'impatto di tali problemi grazie agli
strumenti che servono a valutare la qualità della
65 Ferrari A.- Scalettari L., I bambini nella guerra. Le storie, le
stragi, i traumi, il recupero, EMI, Bologna, 1996.
80
vita(QQL). Il metodo consiste nel raccogliere le
impressioni sull'interessato su molteplici aspetti di vita
per valutare le conseguenze negative dei sintomi e dei
problemi. Si è constatato che la qualità della vita delle
persone colpite da problemi mentali rimane mediocre
anche dopo la guarigione, per l'effetto di fattori sociali
come il pregiudizio e la discriminazione, che
perdurano. Un recente studio dell'OMS66 ha
dimostrato che la mancata soddisfazione dei bisogni
sociali e funzionali di base era il fattore primario
predittivo di una cattiva qualità della vita nei soggetti
colpiti da gravi disturbi. I disturbi gravi non solo i soli
a nuocere alla qualità della vita. Anche l'ansia e gli
attacchi di panico hanno considerevoli ripercussioni,
in particolare sulle funzioni psicologiche.
Il PTSD può essere trattato attraverso la psicoterapia, i
farmaci, o entrambi. La scelta del trattamento dipende
dal soggetto traumatizzato, spesso c'è bisogno di
66 Organizzazione Mondiale Sanità, Rapporto 2001 OMS:
Mental Healt, new understanding, new hope.
81
provare differenti combinazioni di trattamento per
ricercare la soluzione terapeutica migliore per il
soggetto67. Un buon lavoro terapeutico implica una
ottima collaborazione tra l'adulto e il bambino, per
consentire al piccolo di ritrovare fiducia nel mondo
adulto, quindi permettere di ritrovare la sua storia, il
proprio mondo interiore, l'autostima, ma soprattutto
capire che la sofferenza provocata dall'occupazione
militare è soltanto una parte del suo mondo e non la
totalità68.
Il terapeuta deve saper anche valorizzare le risorse del
minore, attraverso varie forme d'espressione, per
permettergli di dare continuità alla sua storia e
distinguerla in un passato, un presente e un futuro e
riflettere su se stesso, cosa che il trauma paralizza. Il
bambino deve essere aiutato a trovare delle
67 National Institute of Mental Healt, Post-Traumatic Stress
Disorder(PTSD), U.S. Department of Healt and Human
Services – National Institutes of Healt. NIH Publicatiion N.
08 6388.
68 Ferrari A.- Scalettari L., I bambini nella guerra. Le storie, le
stragi, i traumi, il recupero, EMI, Bologna,1996.
82
spiegazioni all'accaduto di cui è stato vittima69.
Nonostante la letteratura riporti pochi studi evidence-
based sulla psicoterapia del PTSD nell'infanzia e
l'adolescenza, possono essere individuate alcune
componenti essenziali della terapia: l'esplorazione
diretta del trauma, l'uso di tecniche specifiche per la
gestione dello stress, l'esplorazione e la correzione di
attribuzioni errate al trauma, il coinvolgimento dei
genitori nel trattamento.
Il modello terapeutico riconosciuto più efficace nei
vari studi controllati per il PTSD è quello cognitivo-
comportamentale70.
L'approccio cognitivo afferma sostanzialmente che gli
individui costruiscono il loro sistema di conoscenze
ed affrontano le situazioni utilizzando schemi e
costrutti cognitivi personali. Questi contengono idee,
opinioni, credenze, informazioni captate dai vissuti,
atteggiamenti ed aspettative riguardo se stessi, gli altri
69 Ivi
70 Caffo E., Emergenza nell'infanzia e nell'adolescenza.
Interventi psicoterapeutici e di comunità, MCGraw-Hill,
Milano, 2003.
83
e il mondo, il passato, il presente e il futuro.
Un'improvvisa esperienza traumatica “fa confrontare
le persone con qualcosa che contrasta con le
convinzioni di sicurezza e invulnerabilità contenute
nei propri schemi mentali”71. Un obiettivo
fondamentale delle psicoterapie cognitive è, appunto,
la reintegrazione del trauma vissuto entro gli schemi
mentali e le strutture cognitive, ripristinando quel
sentimento di sicurezza e di inviolabilità72.
Per buona prassi il terapeuta dovrebbe fornire
feedback che aiutano i minori e le loro famiglie a
capire ad affrontare gli effetti dolorosi del trauma. Per
bambini in età prescolare, il feedback può essere
proposto sotto forma di favole e racconti che offrono
una maggiore comprensione e la speranza di superare
il trauma73.
71 Creamer, et al., Reaction to Trauma: A cognitive processing
model, Journal of abnormal psychology, 1992.
72 Sgarro M., Post Traumatic Stress Disorder. Aspetti clinici e
psicoterapie, Edizioni Kappa, Roma, 1997.
73 Frueh C., Grubaugh A., Elhai J., Ford J., Disturbo Post
Traumatico Da Stress. Diagnosi e trattamento,
FerrariSinibaldi, Milano, 2013.
84
“La terapia cognitivo-sperimentale focalizzata sul trauma è
stata sviluppata per ridurre i sintomi del PTSD e la
depressione attraverso la costruzione di competenze
cognitivo-comportamentali, l'esposizione terapeutica
graduale ai ricordi traumatici e la costruzione di una
narrazione degli eventi traumatici da condividere con i
genitori”74.
Questa terapia è composta da tre fasi: nella prima
prevede l'educazione del bambino e del genitore,
separatamente, sui sintomi del PTSD, sulle strategie di
coping, rinforzo positivo, monitoraggio continuo,
momenti di ascolto supportivo. Nella seconda il
terapeuta aiuta il piccolo a ricostruire l'esperienza
traumatica, identificata dal bambino come la più
traumatica, attraverso la narrazione. Questa fase mira
a far raccontare spontaneamente al bambino,
attraverso la parola o il disegno, in modo da
dimostrargli che è in grado di gestire la rievocazione
dei ricordi. Questo momento terapeutico non deve
74 Ivi
85
essere un tentativo di recupero di ricordi perduti. Nella
terza fase, genitore e bambino mettono in pratica
quanto acquisito dalla terapia, imparando a gestire
qualsiasi tipo di ricordo problematico o situazioni
particolarmente stressanti. L'obiettivo del percorso
terapeutico è di ripristinare o costruire le competenze
di auto-regolazione che sono state bloccate o
danneggiate dal trauma e che sono un necessario
punto di partenza per il bambino, per il suo recupero
dal PTSD75.
La riabilitazione cognitiva si propone di aiutare il
paziente a modificare il suo modo di elaborare
l'informazione e il suo comportamento e ad esplorare i
suoi schemi personali76. La psicoterapia può essere
svolta in gruppo o singolarmente. Solitamente le
sedute hanno una durata che va dalle sei alle 12
settimane, ma può essere anche più lunga.
75 Frueh C., Grubaugh A., Elhai J., Ford J., Disturbo Post
Traumatico Da Stress. Diagnosi e trattamento,
FerrariSinibaldi, Milano, 2013.
76 Sgarro M., Post Traumatic Stress Disorder. Aspetti clinici e
psicoterapie, Edizioni Kappa, Roma, 1997.
86
Il trattamento del PTSD può prevedere anche un
approccio psicofarmacologico. L'assunzione di
farmaci sembra tuttavia incontrare alcune difficoltà,
tra cui la lenta risposta in alcune persone
traumatizzate. Secondo la letteratura scientifica, l'uso
di farmaci è suggerito in presenza dei seguenti
disturbi: disturbi del sonno, attacchi di panico,
sindrome depressiva e/o ansiosa, aggressività e in
genere per fornire un supporto al soggetto nel
controllare sintomi precisi. I farmaci più utilizzati
sono antidepressivi, benzodiazepine e antipsicotici.
Un aspetto fondamentale dell'incontro
psicoterapeutico, ed anche soltanto umano, con una
persona traumatizzata, scaturisce inevitabilmente
nell'interlocutore molte emozioni e pensieri. Questo
non riguarda solo lo psicoterapeuta, ma anche medici,
operatori sanitari e professionali - infermieri, assistenti
sociali, volontari - e anche le persone che hanno un
rapporto stretto con la persona traumatizzata. Al fine
di evitare degli errori verbali, non verbali, di
atteggiamento e di cura nella presa in carico di
87
persone traumatizzate, è necessario conoscere
preventivamente gli aspetti del controtransfert per
essere in grado di rintracciarli e gestirli nel modo
adeguato77. Il controtransfert può insinuarsi
nell'interlocutore - psicoterapeuta, operatore sociale,
assistente sanitario - fino a generare una
traumatizzazione vicaria, che scaturisce dal contatto e
dall'interazione con persone traumatizzate.
Ovviamente ciò non accade sempre, ma è probabile
quando il professionista è eccessivamente coinvolto ed
identificato con il soggetto traumatizzato, oppure
quando il trauma del paziente rievoca particolari
emozioni, o se il professionista non ha una sufficiente
preparazione psicologica e professionale per trattare
soggetti con PTSD. I sintomi della traumatizzazione
vicaria possono essere depressione, cinismo, apatia,
ritiro sociale, irritabilità, senso di inutilità, stanchezza,
crisi esistenziali78.
77 Sgarro M., Post Traumatic Stress Disorder. Aspetti clinici e
psicoterapie, Edizioni Kappa, Roma, 1997.
78 Ivi
88
3. Un quadro teorico applicato al caso palestinese
3 .1. Il conflitto tra gruppi
Il conflitto sociale secondo Glasl è “un interazione tra
agenti (individui, organizzazioni, etc.) in cui almeno
un attore percepisce un'incompatibilità con uno o più
altri attori”. Tale definizione implica un'asimmetria di
fondo nei ruoli di chi subisce l'incompatibilità e di chi
ne è la causa.
Il conflitto diviene “oppressione” in presenza di un
attore che limita l'autorealizzazione di persone, gruppi
o società senza che ci sia una controparte organizzata,
cosciente della limitazione e capace di intraprendere
azioni per metter fine all'incompatibilità79. Inoltre, se
79 Arielli E., Scotto G., Conflitti e Mediazione: introduzione a
89
la limitazione dell'autorealizzazione di persone e
gruppi non ancora organizzati come attori è limitata da
vincoli strutturali, si tratta di conflitto latente.
Di norma, le componenti essenziali che si distinguono
all'interno di una formazione conflittuale sono la
contraddizione di base, rappresentata dalla
incompatibilità tra gli scopi degli attori; il
comportamento, ossia l'insieme delle azioni con cui gli
attori intendono condurre il conflitto per raggiungere i
propri obiettivi o impedire alla controparte di
raggiungere i suoi; gli atteggiamenti, ovvero le
percezioni e le emozioni degli attori preesistenti o
instauratesi con il conflitto.
Ogni agente percepisce bisogni materiali, come quelli
legati alla sopravvivenza e il benessere, e immateriali,
rappresentati dall'identità, l'appartenenza, la sicurezza.
Un atto di aggressione si riferisce, molto spesso, anche
alla dimensione psicologica e relazionale dell'agente
aggredito.
una teoria generale, Bruno Mondadori, Milano, 2003.
90
E' stata data una spiegazione del fenomeno dell'ostilità
tra gruppi etnici attraverso la teoria della “frustrazione
-aggressività”, elaborata da Dollard et al. nel 1939.
Essi svilupparono un concetto della teoria
psicanalitica di Freud secondo cui le frustrazioni
possono portare all'aggressività – la cosiddetta
aggressività reattiva -. Secondo tale teoria la
frustrazione è la conseguenza dell'impossibilità di
raggiungere uno scopo. Ciò determina uno stato di
tensione psichica da cui scaturisce un accumulo di
aggressività, ossia uno stato di arousal che, superato
un certo limite, deve sfogarsi verso l'esterno.
Raramente è possibile riversare l'aggressività sulla
fonte della frustrazione, così essa viene dirottata sui
“capri espiatori”.
La successiva “teoria del capro espiatorio” di
Berkowitz (1989) riformula la teoria di Dollard,
analizzando l'aggressività. L'assunto di Berkowitz
parte dal principio che la frustrazione non è solo un
determinato stato di deprivazione oggettiva, ma tiene
conto della presenza di fattori che ostacolano le
91
aspettative degli individui, nonché l'idea di essere
deprivati80. La teoria afferma che l'aggressività viene
spostata su bersagli deboli e più facilmente
danneggiabili, rispetto alla fonte effettiva della
frustrazione81.
Le teorie cognitiviste che si sono sviluppate
parallelamente al filone di teorie sulla struttura della
personalità – tra cui quella della “frustrazione-
aggressività – sostengono che un individuo attribuisca
caratteristiche a un gruppo etnico utilizzando gli
stereotipi, ovvero il “nucleo cognitivo dei pregiudizi”,
ossia l'insieme degli atteggiamenti, soprattutto
negativi, mostrati nei confronti di membri di gruppi
diversi. L'origine degli stereotipi è soprattutto sociale,
risiede nel contesto culturale, con la funzione di
motivare e razionalizzare il contesto sociale in cui
vive l'individuo82.
80 Brown R., Psicologia sociale dei gruppi, Il Mulino, 2005.
81 Di Pentima L., Culture a confronto: Relazioni, stereotipi e
pregiudizi nei bambini, Edizioni Unicopli, Milano, 2006.
82 Ivi
92
Nelle fasi più acute di conflitto c'è la tendenza a
radicalizzare la propria prospettiva, cadendo in uno
stato di “autismo sociale” in cui ogni differenza con
l'altro viene condannata. Le differenze vengono
enfatizzate, eliminando qualsiasi spazio per le
distinzioni sottili. La costruzione dell' “immagine del
nemico” è il classico caso di distorsione della
percezione reciproca. Da una logica che prevede una
differenza di posizioni si passa ad un'esclusione di
posizioni. Quando un conflitto arriva ad un grado di
escalazione alto – molto violento – la percezione
dell'altro diviene sempre più negativa. La controparte
viene vista come egoista e immorale.
Spesso si assiste a processi di deumanizzazione, in cui
l'altro viene visto come un nemico diabolico e non
viene più considerato come individuo, ma come
membro di un gruppo. “La propaganda nazista non
parlava 'degli' ebrei o 'dei' russi, ma sempre solo
dell'Ebreo o del Russo. La deumanizzazione arriva qui
a negare l'infinita diversità delle persone concrete,
sostituendovi l'immagine astratta del nemico o
93
dell'inferiore”83.
L'apporto della sociologia alla Nonviolenza:
Durkheim e Galtung
Durkheim è stato uno dei primi a postulare teorie
sociologiche in merito alla risoluzione dei conflitti
armati e alla pace. Nel suo Kultur e Zivilisation
scriveva: “La civiltà è la pace secondo natura, mentre
l'assalto alla barbarie e quella sconfinata volontà di
devastazione è contro natura”84. Egli sviluppa le
proprie argomentazioni considerando il pacifismo
come risultato della solidarietà.
Egli critica la “mancanza di unità” del pacifismo
tradizionale, che reputa un pacifismo senza oggetto,
“disincarnato”. I pacifisti tendono a negare la patria,
83 Arielli E., Scotto G., Conflitti e Mediazione: introduzione a
una teoria generale, Bruno Mondadori, Milano, 2003.
84 Maniscalco M., Sociologia e Conflitti: dai classici alla peace
research, Altrimediaedizioni, 2010.
94
ad essere internazionalisti, mentre per Durkheim la
“patria”85 è uno strumento fondamentale del vivere
civile. Secondo il suo pensiero, la strada per la pace è
chiara: inizia con una “difesa” delle patrie attuali,
passando per accordi che permettano il superamento
dei confini e la creazione di patrie sempre più grandi,
fino alla costruzione di un'unica patria mondiale.
“Le storie parlano del processo di allargamento delle
singole patrie perché questo movimento storico che è
andato avanti in questo modo per secoli dovrebbe
cessare di fronte alle nostre patrie attuali? Quali
qualità particolarmente intangibili esse hanno per
impedire che il processo continui? Mi domando se il
vero pacifismo non consista nel fare tutto quanto in
nostro potere per far continuare questo movimento,
ma pacificamente e non con la violenza e la guerra che
hanno dominato il passato. Naturalmente è un ideale
difficile da realizzare alla lettera. Non dobbiamo
illuderci che la guerra non giochi un suo ruolo in
85 L'Abate A., Consenso, conflitto e mutamento sociale:
Introduzione a una sociologia della nonviolenza, Franco
Angeli, Milano, 1990.
95
queste trasformazioni, ma cercare in anticipo di agire
in modo da restringere il suo ruolo è uno scopo valido
da perseguire”86.
La visione di Durkheim auspica un fermento per una
crescita nell'opinione pubblica della necessità del
superamento di una concezione ristretta e chiusa di
“patria”, per un suo allargamento a livelli sempre
maggiori87. Durkeim ha contribuito allo studio
scientifico dei gruppi, analizzando l'impatto dei gruppi
sul comportamento sociale degli individui e spiegando
come un'azione individuale può essere spiegata da
forze sociali.
Il sociologo che ha contribuito di più allo sviluppo del
campo della sociologia della nonviolenza è J. Galtung.
Egli ha fondato e diretto uno dei primi centri di ricerca
per la pace, quello dell'Università di Oslo88. Galtung
sosteneva che molti piccoli cambiamenti nella stessa
86 Durkheim in “Pacifism and Patriottism”
87 L'Abate A., Consenso, conflitto e mutamento sociale:
Introduzione a una sociologia della nonviolenza, Franco
Angeli, Milano, 1990.
88 Ivi
96
direzione possono portare a migliori risultati. Questo
principio nasce da una spiegazione differente dall'
“approccio rivoluzionario”:
“Affrontare solo i problemi di fondo è l'unico
approccio ad una soluzione più duratura, ma al tempo
stesso molta gente continuerà a soffrire per i problemi
più evidenti”. Egli postula un approccio complessivo,
che tenga conto di entrambi questi aspetti “Affrontare
entrambi i problemi è la politica giusta che mira sia ad
alleviare i dolori che a costruire una società
migliore”89.
89 Galtung in “I Blu e i Rossi, i Verdi e i Bruni: un contributo
critico alla nascita di una cultura verde” in I movimenti per
la pace. Gruppo Abele, Torino, 1986.
97
Cenni sul conflitto israelo-palestinese
Il conflitto arabo-israeliano affonda le sue radici nella
dichiarazione di Balfour(1917), emanata dalla Gran
Bretagna90, allora potenza coloniale in Palestina, che
riconobbe agli ebrei emigrati dall'Europa il “diritto di
formare uno Stato in Palestina”, negando così ai
palestinesi l'autodeterminazione. L'aspirazione
all'indipendenza politica dei palestinesi si scontrerà
drammaticamente, nei decenni successivi, con il
programma di un movimento politico, il sionismo91,
sorto in Europa con l'obiettivo di fondare in Palestina
uno Stato ebraico, grazie all'appoggio della Gran
Bretagna, che con Balfour autorizza una consistente
immigrazione. Distinguere il sionismo dall'ebraismo è
divenuto fondamentale nel momento in cui la politica
di aperta e brutale sopraffazione condotta da Israele
90 Quando il mandato britannico entrò in vigore, la Palestina
contava 757.182 abitanti, di cui 83.794 ebrei. Musu M. e
Polito E., I bambini dell'Intifada. Editori Riuniti, Roma 1991
91 Per approfondimenti: Musu M. e Polito E., Sionismo, Ebrei in
I bambini dell'Intifada. Editori Riuniti, Roma 1991 p. 233
98
contro i palestinesi generi una visione distorta
dell'ebraismo, rischiando di alimentare nel resto del
mondo, insieme ad una legittima condanna,
deprecabili fenomeni di antisemitismo.
Già ai primi del novecento i palestinesi erano
considerati dai padri del sionismo, e futuri fondatori di
Israele, una stirpe inferiore semplicemente da
accantonare ed espellere, senza diritti, senza una
Storia, un non-popolo. Il piano di pulizia etnica dei
palestinesi prese vita alla fine del XIX secolo e non ha
mai trovato soluzione di continuità fino ad oggi, e
oggi come allora viene condotto con una crudeltà
senza limiti. Anche dopo il 1947, Israele continuò ad
espellere i palestinesi dai territori che l'Onu aveva
destinato allo Stato Palestinese. E l’immane tragedia
dello sterminio ebraico nell’Europa di Hitler diede
solo un impulso a quel piano, lo rafforzò, ma non lo
partorì92.
Già nel 1950 i profughi palestinesi erano quasi
ottocentomila. Oggi, considerando solo i profughi
92 Barnard P., Perchè ci odiano, Rizzoli, 2006.
99
assistiti dall'UNWRA93, arrivano a cinque milioni.
Da oltre un secolo, lo Stato israeliano sta attuando una
politica di occupazione illegale della Palestina, al fine
di costruire insediamenti destinati ai cittadini
israeliani. Tale sistema evidenzia una profonda
disparità di trattamento in base alla razza, all'etnia e
all'origine nazionale, non finalizzata strettamente a
esigenze di sicurezza o ad altri giustificabili obiettivi,
che viola il divieto fondamentale di discriminazione
sancito dal diritto dei diritti umani94.
In occasione della nascita dello Stato di Israele, nel
1948, il Primo Ministro Ben-Gurion intensificò per
l'operazione di pulizia etnica.
“C’è bisogno ora di una reazione forte e brutale.
Dobbiamo essere precisi nei tempi, nei luoghi e nei
bersagli. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo
colpire tutti senza pietà, comprese le donne e i
bambini. Altrimenti non sarà una reazione efficace.
93 United Nations Relief and Works Agency for Palestine
Refugees in the Near East.
94 Human Rights Watch, Forget About him, he's not here, 5
febbraio 2012.
100
Durante l’operazione non c’è alcun bisogno di
distinguere tra chi è colpevole e chi non lo è”95.
Nel 1948, 1 milione e 400 mila palestinesi vivevano in
1.300 fra città e villaggi: in seguito alla proclamazione
dello Stato di Israele, più di 800mila persone sono
state espulse dalle loro terre, spinte verso i vicini paesi
arabi e altri luoghi del mondo. Secondo i documenti
storici, gli israeliani con gli anni hanno assunto il
controllo di 774 fra città e villaggi, distruggendone
53196. Letteralmente, il termine Nakba significa
“catastrofe”, intesa come un terremoto, l’eruzione di
un vulcano, il passaggio di un uragano. Ma in
Palestina ha assunto negli anni un significato diverso e
più profondo, che descrive quel drammatico processo
di pulizia etnica cui l’intera popolazione palestinese, a
95 Pappè Ilan, The Ethnic Cleansing of Palestine, Oneworld
Publications, Oxford 2006. Ilan Pappè è uno storico israeliano
e professore di Scienze politiche all'Università di Haifa. E'
autore di vari libri, tra cui The Making of the Arab-Israeli
Conflict(I.B. Tauris, 1994) e A History of Modern Palestine:
One Land, Two Peoples(Cambridge University Press, 2004).
96 64° anniversary of Nakba. Palestinian Central Bureau of
Statistics.
101
partire dal 1948, è stata sottoposta, attraverso la
cancellazione e la distruzione di interi villaggi, e con
la deportazione forzata di persone verso i vicini paesi
arabi. Al pari di una catastrofe naturale, la Nakba
palestinese è stato il risultato di un piano militare
umano, scrive il Palestinian Central Bureau of
Statistics.
Un piano che ha portato, per esempio, ai terribili
massacri di Sabra e di Chatila, campi profughi
palestinesi in terra libanese97.
Scorrendo velocemente la Storia attraverso un
ventennio caratterizzato dal progredire
97 Uomini delle le milizie cristiano-falangiste libanesi entrano
nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila per
vendicare l' assassinio del loro neoeletto presidente Bashir
Gemayel. E inizia un massacro della popolazione palestinese
che durerà due giorni. Con gli israeliani, installati a duecento
metri da Chatila, a creare una cinta intorno ai campi e a
fornire i mezzi necessari all'operazione. Il bilancio, secondo
stime difficilmente verificabili, sarà di circa 3.000 vittime. Il
16 dicembre dello stesso anno, l’Assemblea generale delle
Nazioni Uniti, nel condannare nel modo più assoluto il
massacro, conclude che “il massacro è stato un atto di
genocidio’’. S.a., Il massacro di Sabra e Chatila,
<http://www.raistoria.rai.it/articoli/il-massacro-di-sabra-e-
chatila/10852/default.aspx>
102
dell'occupazione israeliana della Palestina, si arriva
alla prima Intifada(1987-93).
Nel 1993 Yasser Arafat e Shimon Peres,
rappresentante dello Stato di Israele, siglarono gli
Accordi di Oslo, rappresentanti la conclusione di una
serie di negoziati di pace che miravano a risolvere il
conflitto arabo-israeliano. Sostanzialmente gli accordi
miravano al ritiro dell'esercito israeliano dalla Striscia
di Gaza e da alcune aree della Cisgiordania e a
garantire l'autogoverno palestinese in tali aree98. La
Cisgiordania è stata divisa in tre aree amministrative:
A, B, e C. Il controllo civile e militare dell'area A,
costituita da centri urbani palestinesi e da circa il 18%
dei territori della Cisgiordania, è stato trasferito
all'Autorità palestinese. Israele mantiene il controllo
militare sull'Area B, costituita dal 22% del territorio e
dalla maggior parte delle aree abitate dei villaggi
palestinesi, ma ha trasferito il controllo civile all'Ap.
98 Gli accordi successivi, noti come “Oslo 2”(1995), gli Accordi
di Wie(1998) e il Memorandum di Sharm el-Sheikh(1999) hanno
leggermente modificato la divisione amministrativa della
Cisgiordania.
103
Nel restante 60% della Cisgiordania(Area C), nei cui
circa 340.000 ettari ricadono insediamenti israeliani,
strade principali e piccoli villaggi e terreni agricoli
palestinesi, Israele detiene il pieno controllo su
sicurezza, urbanistica ed edilizia. Di fatto, Israele
permette ai palestinesi di realizzare case e terreni
agricoli, o di apportarvi migliorie, solo nell'1%
dell'Area C99.
Nel 2000, la tensione aumentò con il fallimento del
vertice israelo-palestinese di Camp David,
conseguente alla disfatta degli accordi di Sharm el-
Sheikh(1999), fino ad erompere con la provocatoria
“passeggiata” di Ariel Sharon, leader israeliano di
estrema destra, sulla Spianata delle Moschee, ossia al
Monte del Tempio, luogo situato nella parte vecchia di
Gerusalemme, di grande rilevanza religiosa sia per i
musulmani sia per gli ebrei, quindi al centro del
conflitto. Il gesto di Sharon, teso a reclamare la
sovranità israeliana sulla Spianata delle Moschee,
99 Collana Eterotopie, n. 150, L'Apartheid in Palestina: Il
rapporto Human Rights Watch sui territori arabi occupati da
Israele, Mimemis, Milano, 2012.
104
rappresentò il casus belli dello scoppio della seconda
Intifada.
“La provocazione di Sharon non basta a spiegare quelle
migliaia di palestinesi che ieri, per il terzo giorno
consecutivo, si sono riversati nelle strade a protestare e a
lanciare sassi contro i soldati israeliani. Quella in corso è
una protesta spontanea, o forse l'inizio di un'insurrezione,
non orchestrata dall'Anp, che parte da lontano. E' il
risultato della frustrazione profonda per un negoziato che
ha offerto molto poco alla maggioranza della popolazione
palestinese, certo molto meno delle tante promesse fatte
sette anni fa dai paesi occidentali, dall'Anp e da Israele.
[…] I manifestanti sono avanzati ad ondate incuranti del
fuoco dell'esercito israeliano. Molti ragazzi sono stati
centrati in pieno petto e all'addome. Alcuni alla testa. E'
stato un tiro al bersaglio che non ha risparmiato persino le
ambulanze e il personale medico. Un barelliere di 28 anni,
Bassam Belbasi, è stato colpito alla testa e al torace ed è
morto dopo due ore di agonia in ospedale. Una sorte
terribile è toccata anche ad un bambino di 12 anni,
Mohammed Al-Okul, ferito mortalmente alla periferia di
Gaza insieme a suo padre che lo teneva per mano. I soldati
105
hanno poi continuato a sparare impedendo ai medici di
prestare soccorso”.100
Nelle ore del coprifuoco durante la seconda Intifada, ,
Imnran Abu Hamdiyya, 17enne palestinese, fu
arrestato dai soldati ad Hebron. In quel periodo
l’esercito israeliano era solito usare pratiche molto
inusuali di tortura ed uccisione dei palestinesi. Il
ragazzino fu preso e messo di forza in una jeep.
“Come vuoi morire?” gli dissero porgendogli tre fogli
con scritto “ti spacchiamo la testa”, “ti gettiamo dalla
jeep”, “ti spariamo”. Imnran scelse di essere gettato
dalla jeep in corsa, così fu fatto101.
Durante la seconda Intifada almeno il 25% delle
vittime è stato rappresentato da bambini. Non
considerando quelli che non hanno incontrato la
morte, ma la violenza e l'inumanità dell'Apartheid.
Il sedicenne che vede la nonna scongiurare l'ufficiale
israeliano, baciandogli i piedi, e assiste subito dopo
100Giorgio Michele. Intifada in Palestina, fuoco sui dimostranti,
Il Manifesto, 01/10/2000
101Pochi E., Palestina: Un viaggio nell'apartheid, Solidarietà
Internazionale, 5/2013.
106
alla sua uccisione a calci, il bambino terrorizzato che
si umilia a lucidare le scarpe del soldato, la
quattordicenne rapita e sottoposta a tentativi di ricatto
per farne una collaborazionista, il piccolo venditore di
frittelle ustionato dall'olio del padellone che una
pattuglia gli rovescia addosso, i due bambini costretti
a vagare nella notte tra cani randagi e fossati pieni di
rovi, i ragazzini che devono farsi la pipì addosso nella
tenda in cui vengono tenuti prigionieri perché
denuncino i loro compagni più grandi, il
quattordicenne che gioca con la morte una volta di
troppo e cade fulminato, i bambini del paese assediato
che vedono morire di fame gli animali, quelli che,
svegliati di soprassalto la notte, sono costretti insieme
con i padri e con i nonni a inneggiare ai soldati
israeliani, il neonato che vede la luce mentre la madre
è in manette102.
Sono solo alcuni degli episodi che caratterizzano la
vita, di ieri e di oggi, dei bambini nei Territori
102Musu M., Polito E. I bambini dell'Intifada, Editori Riuniti,
Roma, 1991.
107
Occupati. Le immagini dell'uccisione del dodicenne
Muhammad al-Durrah, mentre era aggrappato al padre
che cercava di proteggerlo sono divenute il simbolo
della sofferente realtà della seconda Intifada.
Muhammad fu ucciso da un cecchino che lo colpì alla
testa, il 30 settembre del 2000 nella Striscia di Gaza.
Dal 2000 la situazione si è ulteriormente aggravata a
causa di continui rastrellamenti, bombardamenti e
stragi nelle città e villaggi palestinesi per conto
dell'esercito israeliano. Il massacro di Jenin tra il 2 e il
108
Muhammad al-Durrah e suo padre. (Talal
Abu Rahmeh, reporter per France 2)
19 aprile del 2002, ad esempio, provocò oltre 600
morti. Al fine di impedire la nascita di uno Stato
palestinese, Ariel Sharon dà il via alla costruzione di
un muro di separazione alto fin otto metri, controllato
da telecamere e sistemi di allarme elettronici. Un
“muro dell'apartheid”, chiamato dallo Stato israeliano
“barriera di sicurezza”.
Questo piano di costruzione di vari muri dividerà la
Cisgiordania in tre importanti ghetti abitativi, senza
alcuna continuità territoriale, i quali saranno a loro
volta suddivisi al loro interno in varie enclave separate
l'una dall'altra. Questi ghetti costituiranno così vere e
proprie isole, in un mare israeliano. Questi ghetti
sono: il ghetto settentrionale che comprende Nablus,
Jenin e Tulkarem; il ghetto centrale comprendente
Salfit e Ramallah; il ghetto meridionale comprendente
Betlemme e Hebron. Qalqiliya e Gerico,
completamente circondate dal Muro, sono due prigioni
a cielo aperto, così come diversi altri villaggi a ovest
di Ramallah e Salfit. Proprio come la Striscia di Gaza.
109
Gerusalemme Est è stata avvolta dal Muro al fine di
staccarla dal resto della Cisgiordania103. I palestinesi
residenti in Cisgiordania hanno non pochi problemi ad
entrare a Gerusalemme. Per loro è obbligatorio il
possesso di un permesso speciale e il passaggio ai
controlli presso uno dei quattro check-point che
circondano Gerusalemme. Per i cittadini israeliani e
per i coloni non sono previsti permessi speciali.
Il muro viene giustificato da Israele presso i media
internazionali come mezzo per prevenire gli attacchi
terroristici; perciò il governo israeliano lo chiama
“barriera di sicurezza”. In realtà l'origine del muro non
coincide con gli attacchi, ma faceva parte dei piani di
Sharon da molti anni. Il Muro è chiaramente illegale
secondo la legislazione internazionale sui diritti umani
e il diritto umanitario internazionale. Le violazioni del
diritto alla proprietà, alle cure mediche e all'istruzione
sono causate principalmente, se non unicamente, dalla
limitazione alla libertà di movimento. Dopo il 1993,
103Pengon(Rete Ong palestinesi), Stop the wall: il muro
dell'apartheid. Edizioni Alegre, Roma, 2004.
110
con la firma degli accordi di Oslo, Israele ha imposto
una chiusura totale sulla West Bank e sulla Striscia di
Gaza che non è stata mai rimossa a causa
dell'implementazione di un sistema di permessi e di
checkpoint militari. Il sistema dei permessi imposto
richiede ai palestinesi di portare con sé documenti
d'identità di colori diversi a seconda dei luoghi in cui è
permesso viaggiare104.
Ben 98 check-point fissi ostacolano la libertà di
movimento dei palestinesi in Cisgiordania.
Il più conosciuto rapporto delle Nazioni Unite sulla
situazione umanitaria in Palestina, sottolinea che “i
palestinesi sono sottoposti a una infinità di chiusure,
coprifuoco, blocchi stradali e restrizioni che hanno
causato il quasi totale collasso dell'economia
palestinese, un aumento della disoccupazione e della
povertà, limitando l'accesso ai servizi essenziali come
acqua, assistenza medica, istruzione, servizi di
emergenza. Le restrizioni colpiscono quasi tutte le
104Ivi
111
attività rendendo impossibile alla maggior parte dei
palestinesi di continuare ad avere una qualunque
parvenza di vita normale, e sottoponendoli a disagi
quotidiani, privazioni e affronti alla dignità umana”105.
Hani Amer, 46 anni, vive nel villaggio di Mas'ha nel
nord-ovest del distretto di Salfit: “Ci hanno trasformati
in schiavi, il giorno che hanno firmato gli accordi di
Oslo è stato il mio giorno di lutto. Fino a quel giorno,
nonostante tutto ciò che Israele aveva preso, eravamo
ancora persone i cui diritti venivano violati
dall'occupazione israeliana, e potevamo lottare per
essi; Oslo ci ha reso stranieri nella nostra terra,
mettendo gli israeliani dalla 'parte giusta' ”106.
105Bertini C., Personal Humanitarian Envoy of the Secretary-
General, Mission Report, 2002.
106Pengon(Rete delle Ong palestinesi), Stop the wall: il muro
dell'apartheid. Fatti, analisi, testimonianze, Edizioni Alegre,
Roma, 2004.
112
3 .2 L'ambiente e il bambino
Le forze ambientali e lo sviluppo del bambino: la
teoria di campo di Lewin
Gli studi di Kurt Lewin considerarono il
comportamento umano nel suo contesto complessivo,
fisico e sociale. Per prevedere il comportamento
umano è necessario capire l'individuo nella sua
specificità e la situazione globale nella quale si trova.
E' necessario comprendere come l'interdipendenza tra
fattori soggettivi e fattori sociali e ambientali produca
l'azione concreta in un determinato tempo in un certo
luogo. Lewin elaborò la Teoria di campo, che mira a
spiegare questa interdipendenza.
Secondo tale teoria bisogna quindi definire lo “spazio
vitale”, ovvero l'insieme degli eventi suscettibili di
influire su una determinata persona, siano essi passati,
113
presenti o futuri107. Il “campo psicologico” teorizzato
da Lewin è definito come una totalità di fatti
coesistenti nella loro interdipendenza e che possono
essere di tre tipi: lo “spazio di vita”, dato dalla persona
e dalla rappresentazione psicologica dell'ambiente
(dimensione soggettiva); i fatti sociali e/o ambientali,
processi che accadono nel mondo fisico e sociale
senza influenzare momentaneamente lo spazio di vita
(dimensione oggettiva); la “zona di frontiera”, ovvero
un confine tra la sfera oggettiva e quella soggettiva,
tra lo spazio di vita e il mondo esterno. Il
comportamento umano è un prodotto dell'interazione
tra persona e ambiente, ma è anche un elemento attivo
nella loro costruzione. Lewin postulò che così come
l'individuo e il suo ambiente formano un campo
psicologico, così il gruppo e il suo ambiente formano
un campo sociale. Nel “gruppo-campo” ogni individuo
è fonte di azioni che modificano le altre persone e il
gruppo, ma anche la sua azione viene modificata dalle
107Speltini G. e Palmonari A., I gruppi sociali, Il Mulino
Boglona, 2007.
114
azioni e reazioni altrui.
Scrive Lewin: “Ciò che è importante nella teoria di
campo è il procedimento analitico. Invece di
raccogliere questo o quell'altro elemento isolato entro
una situazione, la cui importanza non può essere
valutata senza considerare la situazione nella sua
totalità, la teoria di campo trova vantaggioso, di
norma, prendere le mosse da una caratterizzazione
della situazione nel suo complesso”108.
Secondo Lewin questo approccio tende a considerare
anche l'influenza dei fatti sociali sul comportamento.
108Lewin K., Teoria e sperimentazione in psicologia sociale, Il
Mulino, Bologna, 1972.
115
Stile di attaccamento e il PTSD
Il termine “attaccamento” è usato in psicologia in
relazione alle ricerche sullo sviluppo e sull'infanzia e
ai legami che si creano con le figure di accudimento.
Da studi come quello condotto da Shorey e Snyder109,
emerge che soggetti con uno stile di attaccamento
insicuro – evitanti, ambivalenti – soffrono più
facilmente dei soggetti sicuri di PTSD, depressione,
psicoticismo110.
I bambini che hanno un caregiver non sensibile e
presente crescono con la convinzione di non poter
influenzare il mondo esterno. Tale mancanza di fiducia
spinge i bambini insicuri ad essere dipendenti dagli
adulti.
Secondo Bowlby la qualità dello stile di attaccamento
del piccolo al caregiver, molto spesso la madre,
109Shorey H., Snyder C., The role of adult attachment styles in
psychopathology and psychotherapy outcomes, Review of
General Psychology, Vol 10, Marzo 2006.
110Attili G., Attaccamento e costruzione evoluzionistica della
mente: normalità, patologia, terapia, Cortina Editore,
Milano, 2007.
116
determina l'evoluzione cognitiva del bambino, la base
su cui si sviluppano le competenze sociali. Ovvero,
dalla qualità della relazione bambino/caregiver
scaturisce la formazione delle rappresentazioni
mentali di sé e dell'altro, ossia i Modelli Operativi
Interni(MOI). “Ai Modelli Operativi Interni, è
strettamente associata la capacità di riconoscere i
segnali degli altri e di comunicare ina maniera efficace
i propri bisogni. I bambini sicuri, ad esempio, sono in
grado di interpretare correttamente i segnali altrui,
riuscendo a discernere le eventuali intenzioni ostili. I
bambini insicuri, invece, hanno difficoltà a
riconoscere le intenzioni degli altri e , nella maggior
parte dei casi, tendono a leggerne i comportamenti
come tentativi di danneggiamento”.
La qualità del legame di attaccamento contribuisce a
formare vari aspetti della personalità, come la
socievolezza, la fiducia e la capacità di negoziare con
successo situazioni conflittuali111.
111Di Pentima L., Culture a confronto: Relazioni, stereotipi e
pregiudizi nei bambini, Edizioni Unicopli, Milano, 2006.
117
Una nota ricerca112 di Klaus, Kennel e collaboratori,
evidenzia l'importanza del contatto precoce tra madre
e neonato. Analizza gruppi di madri cui viene
concesso un contatto precoce – un'ora subito dopo la
nascita e molte ore durante i tre giorni successivi -;
comparandoli con altri gruppi di madri sottoposte alla
normale procedura ospedaliera (un rapido saluto del
bambino appena nato e poi le visite per l'allattamento).
Da questa ricerca sono emerse differenze piuttosto
nette, sia a breve che a lungo termine, tra i due gruppi
di madri. A un mese di vita del bambino, le madri con
contatto precoce esprimono un comportamento più
affettuoso verso il piccolo, lo cullano e lo consolano
più frequentemente delle madri separate dai propri
neonati. Questa differenza si protrae anche fino ad un
anno di vita del bambino. Inoltre, a due anni dalla
nascita le madri con contatto precoce risultano avere
un legame comunicativo con i loro bambini più
articolato e ricco. La ricerca conclude che “esiste un
112Kennell J. Et al., Evidence for a Sensitive Period in the
Human Mother in CIBA Foundation Symposium n. 33,
Amsterdam, 1975.
118
periodo critico per l'instaurazione dell'attaccamento
della madre al proprio figlio”. I processi che si
verificano all'interno di una diade evolutiva, come
quella madre-bambino – vanno considerati come
bidirezionali e reciproci. Le diadi evolutive
caratterizzano le relazioni interpersonali, che
rappresentano no degli elementi che costituiscono il
microsistema, teorizzato da Brofenbrenner nella teoria
ecologica.
119
L'ecologia dello sviluppo umano
Punto di convergenza tra le discipline biologiche,
psicologiche e sociali, l’ecologia dello sviluppo
umano è un indirizzo di studio e ricerca che si propone
di indagare in modo nuovo l’interazione individuo-
ambiente. Urie Bronfenbrenner è attualmente il
principale rappresentante di tale orientamento.
“L’ecologia dello sviluppo umano implica lo studio
scientifico del progressivo adattamento reciproco tra un
essere umano attivo che sta crescendo e le proprietà,
mutevoli, delle situazioni ambientali immediate in cui
l’individuo in via di sviluppo vive, anche nel senso di
definire come questo processo è determinato dalle relazioni
esistenti tra le varie situazioni ambientali e dai contesti più
ampi di cui le prime fanno parte.”113
La tesi principale di Bronfenbrenner è che le capacità
umane e la loro progressiva evoluzione dipendono in
modo significativo dal più ampio contesto sociale e
113Bronfenbrenner U., Ecologia dello sviluppo umano, Il
Mulino, 2002.
120
istituzionale in cui si svolge l'attività individuale e
pertanto non sono riconducibili a singoli elementi
secondo un rapporto lineare di causa ed effetto.
Secondo Bronfenbrenner, per comprendere lo sviluppo
di un bambino non è possibile distinguere le
caratteristiche individuali da quelle ambientali. B.
ipotizza un modello di sviluppo rappresentato da
sistemi concentrici legati tra loro da relazioni dirette o
indirette e ordinati gerarchicamente. All'interno delle
strutture concentriche si trovano il microsistema,
circondato dal mesositema, poi dall'esositema ed
infine dal macrosistema.
Il primo rappresenta le relazioni dirette, le interazioni
nell'ambito della famiglia e successivamente della
scuola e del gruppo dei pari. Nel microsistema le
attività, le relazioni interpersonali e i ruoli sono in
grado di orientare la crescita fisica e mentale
dell'individuo.
“Al fine di svilupparsi – intellettualmente, emotivamente,
socialmente e moralmente – un bambino ha bisogno, per
121
ciascuno di questi aspetti, sempre della medesima cosa: di
prendere parte in attività progressivamente più complesse,
in modo regolare e per un periodo di tempo
sufficientemente lungo per la sua vita di bambino, in
compagnia di una o più persone con le quali il bambino
abbia sviluppato un attaccamento emotivo forte e reciproco
e che siano attivamente impegnate per garantirgli benessere
e sviluppo, preferibilmente per tutta la vita”114.
Il mesosistema è costituito dall'insieme delle relazioni
che legano due o più microsistemi organizzati in cui il
bambino vive e fa esperienze. Essi possono interagire
in maniera sinergica, entrare in conflitto o essere
indipendenti. Secondo Brofenbrenner gli esiti di
queste relazioni sono rilevanti per lo sviluppo del
bambino e uno degli ambiti più indagati riguarda le
relazioni tra la famiglia e il gruppo dei coetanei.
L'ecosistema è rappresentato da sistemi in cui il
soggetto non è direttamente coinvolto ma da cui viene
in qualche modo influenzato, ad esempio il luogo di
lavoro dei genitori. Particolarmente interessante è la
114Bronfenbrenner U., Making Human Beings Human, Sage
Publications, Londra, 2005.
122
ricaduta che, secondo Brofenbrenner, hanno sull'esito
evolutivo del bambino sia il tipo di occupazione dei
genitori e la soddisfazione che ne ricavano, sia le idee
e i sistemi normativi e valoriali propri della loro
cultura.
Il macrosistema corrisponde alla situazione culturale
complessiva in cui sono inseriti i precedenti sistemi.
Un modello sovrastrutturale, un complesso di
rappresentazioni di tipo ecologico – usi, convenzioni,
rappresentazioni sociali, stereotipi culturali – prodotte
dalle istituzioni sociali comuni a una data cultura, che
offre dei modelli di riferimento sui quali gli individui
costruiscono la propria identità personale e sociale.
123
4. L'intervento sociale in Palestina
“Protezione è diventare forte e resistere quando gli altri bambini
o gli adulti usano la violenza contro di noi. E' quando siamo
protetti dalle nostre paure, dall'invasione israeliana e
dall'arresto. Protezione significa sentirsi sicuri a casa con le
nostre famiglie, quindi non essere ulteriormente spaventati, e
considerare la scuola un rifugio sereno”115.
Mohammed, 13 anni
4 .1 L'assistente sociale palestinese
Negli ultimi 60 anni i servizi educativi, sociali e
sanitari palestinesi si sono sviluppati, spesso come
115Abitante a Gaza, testimonianza raccolta in occasione di un
Focus Group. Child Rights Situation Analysis, Dicembre
2008.
124
risposta agli effetti del conflitto, sotto l'influenza del
terzo settore locale, nonché degli aiuti internazionali.
Dal 1994 i servizi erogati a livello centrale
dall'Autorità Palestinese sono stati finanziati da
donatori esteri, mentre l'UNWRA continua a garantire
istruzione, servizi sanitari e sociali a tutti i profughi
registrati.
Le quotidiane discriminazioni da parte dell'esercito e/o
dei coloni israeliani, i checkpoint e il sistema dei
permessi che impone gravi restrizioni alla libertà di
movimento, l'impatto della seconda Intifada sui
bambini e le loro famiglie, sono elementi che
costituiscono il contesto in cui opera la gran parte
degli assistenti sociali in Palestina. Può essere difficile
quindi sviluppare un ruolo professionale libero da
stereotipi verso “l'altro”, che minacciano un'
equilibrata integrazione dei professionisti del servizio
sociale, palestinesi e israeliani. Ci sono grandi
interferenze politiche che intaccano il processo di
cooperazione professionale116. Alcuni assistenti sociali
116Ramon S. et al., The Impact of Political Conflict on Social
125
hanno dichiarato di avere enormi difficoltà per
spostarsi al fine di raccogliere informazioni utili alle
indagini sociali e talvolta sono costretti ad annullare
delle visite, poiché bloccati ai checkpoint. Tutto ciò fa
parte della routine quotidiana del loro lavoro,
generando stress e frustrazione per non riuscire a
seguire i minori assegnati nel modo adeguato.
Un assistente sociale può lavorare per conto del
governo, delle ONG o per l'UNRWA. I settori di
impiego per un laureato in scienze sociali sono
rappresentati dal lavoro nei campi profughi o nei
servizi per i profughi. I temi con cui ci si confronta
sono la violenza domestica, la giustizia minorile, la
disabilità, la salute mentale, la riabilitazione di
bambini ex-detenuti, il lavoro negli orfanotrofi. Alcuni
assistenti sociali intervistati hanno dichiarato di
svolgere attività straordinarie, come il counseling,
lavori di gruppo e l'intervento in situazioni di
emergenza117.
Work: Experiences from Northern Ireland, Israel and
Palestine, Oxford University Press, 2006.
117Ramon S. et al., The Impact of Political Conflict on Social
126
Nella pratica quotidiana, una delle più grandi sfide
etiche per un assistente sociale è contrastare il
diffondersi di pregiudizi nei confronti degli israeliani.
Essi mettono in atto varie strategie, come l'ascolto
passivo, tentando di infondere speranza per il futuro.
Un altra grande sfida è attivare processi di
empowerment per i giovani, molto spesso demotivati e
non consapevoli dei loro diritti.
L'UNICEF ha di recente sottolineato l'importanza
della rete di supporto informale, costituita dalla
famiglia e dai parenti del minore, che influisce
significativamente sul livello di protezione del
bambino. “Le strutture formali talvolta possono non
essere considerate necessarie o appropriate, poiché i
genitori e in generale i membri della famiglia allargata
, così come altri membri della comunità, garantiscono
protezione ai bambini attraverso ampi meccanismi
informali”118.
Work: Experiences from Northern Ireland, Israel and
Palestine, Oxford University Press, 2006.
118Save The Children, Mapping Child Protection Systems in
Place for Palestinian Refugee Children in the Middle East.
127
La formazione degli assistenti sociali
Nonostante le criticità, la formazione degli assistenti
sociali prevede, in alcuni casi, anche lo studio di
numerose tecniche di intervento come il counseling, le
sedute individuali e di gruppo e l'intervento
d'emergenza in situazione di crisi. Si può sostenere
che una formazione adeguata sia essenziale alla buona
riuscita degli interventi. D'altra parte, molti assistenti
sociali palestinesi hanno dichiarato di aver bisogno di
più sostegno e formazione per alleviare il senso di
frustrazione degli utenti, spesso a causa del livello di
servizi che sono messi in condizione di offrire.
Poco dopo la fine della seconda Intifada, molti
operatori sociali hanno ricevuto una formazione
specifica in riguardo alle tecniche di Crisis De-
Briefing e della Eye Movement Desensitization and
Reprocessing, tecnica di alleviamento dei sintomi del
PTSD119. Questi brevi corsi sono stati realizzati grazie
SIDA 2011
119Ramon S. et al., The Impact of Political Conflict on Social
Work: Experiences from Northern Ireland, Israel and
128
a finanziamenti internazionali.
Occorre precisare che il lavoro sociale non può
prescindere dalla propensione pacifica al dialogo per
la risoluzione del conflitto. In riguardo, è stato
realizzato un progetto, il Social Working Togheteher
Programme120, promosso dall'Università ebraica di
Gerusalemme e la Al-Quds University, di
Gerusalmemme Est, in cooperazione con la Jerusalem
Foundation. Entrambe le Università possiedono corsi
universitari in Servizio Sociale e attraverso questo
programma, gli studenti israeliani e palestinesi si
incontrano in una formazione comune attraverso una
serie di workshop, in cui si vengono trattate tematiche
fondamentali per qualsiasi assistente sociale: l'etica
professionale, il collegamento tra individuo e società,
il significato del lavoro sociale, il lavoro sociale nel
contesto più ampio socio-politico, fino ad arrivare alle
Palestine, Oxford University Press, 2006.
120Jerusalem Foundation, Training Leaders to be Agents of
Change, Agosto 2011.
<http://www.jerusalemfoundation.org/uploads/%5Csocial
%20workers%202010%20-%202011%20report.pdf>
129
riflessioni sul conflitto, su come il lavoro sociale possa
contribuire ad una risoluzione pacifica.
I momenti di studio e discussione sul conflitto
costituiscono una parte importante del corso, benché
“a volte era molto difficile”, spiega il report finale121.
Questo genere di workshop è attivo da dieci anni ed è
stato messo a punto per una formazione al lavoro
sociale specifica per il contesto locale. Una formula
simile non potrebbe funzionare in contesti neutri.
Attualmente, non ci sono Master che riguardino il
lavoro sociale.
121 Ivi
130
Il ruolo delle Organizzazioni Non Governative
Le prime Organizzazioni non governative sono
comparse in Cisgiordania e Gaza a cavallo del
ventesimo secolo e dal 1960 hanno fornito una serie di
servizi sociali essenziali per sopperire l'assenza di uno
Stato, quindi di un intervento pubblico.
Si tratta di Servizi sanitari, Servizi per la salute
mentale, Istruzione, l'ambiente e servizi per le persone
con particolare esigenze. Le Organizzazioni Non
Governative(ONG) e le Associazioni hanno colmato
un profondo gap riguardo all'erogazione dei servizi,
sia per quanto riguarda la copertura e il finanziamento,
soprattutto in aree geografiche in cui l'Autorità
Palestinese non è in grado di fornire122.
122NGO Development Centre, A Strategic Framework to
Strengthen the Palestinian NGO Sector 2013-2017. Marzo
2013
131
4 .2 Protezione dell'infanzia in Palestina: il
modello di intervento sociale
Il territorio palestinese non è omogeneo, integrato e
contiguo. E' frammentato dall'occupazione israeliana,
quindi risulta estremamente difficile applicare un
modello di intervento su tutta l'area. Inoltre, dove
sussiste il pieno controllo israeliano, non è garantita la
protezione stabilita dalla diritto internazionale.
Non tutte le misure di politica per la protezione
dell'infanzia sono scritte. La maggior parte della
documentazione è prodotta dal Ministero degli Affari
Sociali (MoSA). Molte altre istituzioni coinvolte,
agiscono in base a procedure non scritte, definite ad
hoc per un preciso trattamento o caso di abuso. Il
MoSA ha elaborato delle linee guida, in cui vengono
definite le categorie di bambini soggetti a violenza,
abuso e sfruttamento. “Il ministero lavora per la
protezione di bambini che vivono in circostanze
difficili, che compromettono il benessere fisico e
psicologico e la salute, come la perdita dei genitori e
132
mancanza del loro supporto, esposizione a tutti i casi
di violenza fisica e psicologica”123.
Intervento per bambini detenuti nelle carceri
israeliane ed ex-detenuti
Per quanto riguarda le misure di intervento sociale per
i minori dopo la detenzione, la legge sui prigionieri
palestinesi ed ex-detenuti stabilisce che “il Ministero
dei Detenuti e degli Ex-detenuti (MoDEDA) ha il
dovere di garantire supporto finanziario, legale,
psicologico, sociale e medico agli ex-detenuti,
bambini inclusi”124.
In particolare, il supporto psicosociale viene fornito
dal Child and Youth Department attraverso
l'assegnazione di assistenti sociali, che conducono
123Art. 3, Systematic Guidelines for Child Care, Ministry of
Social Affairs(MoSA) 2004
124Art.3, Palestinian Prisoners and Ex-Prisoners Law, N 19.
2004
133
varie attività, individuali e di gruppo. A partire dal
2008, secondo dati ministeriali, sono stati previsti
sedici assistenti sociali in Cisgiordania, uno per ogni
governatorato, con il compito di occuparsi della
riabilitazione psicosociale dei bambini ex-detenuti.
Gli assistenti sociali si occupano di aprire una cartella
di archivio per ogni bambino, seguendo e cercando di
soddisfare i loro bisogni sociali. L'intento è quello di
costruire un database che consenta di seguire ogni
soggetto in base al suo contesto di riferimento,
attraverso la redazione mensile di relazioni che
documentino l'andamento della riabilitazione125.
Inoltre, organizzano laboratori, offrono servizi di
supporto psicologico per facilitare il processo di
riabilitazione. Talvolta si avvalgono dell'intervento di
un medico. Inoltre, l'assistente sociale lavora a stretto
contatto con la famiglia del minore, per assicurare un
regolare reinserimento all'interno dell'ambiente
125Institute of Community and Publich Healt Birzeit University,
National Plan of Action Secratariat, Child Protection in the
Occupied Palestinian Territory. Structures, Policies and
Services. Aprile 2006
134
domestico e comunitario.
Il MoDEDA collabora con il Ministero per gli Affari
Sociali (MoSA), per la riabilitazione di bambini
arrestati dall'esercito israeliano. In particolare, “Il
MoSA, in coordinamento con le agenzie governative e
non governative specializzate, si impegna a fornire
somme di denaro alla famiglia del minore, per il
periodo di detenzione del bambino, nonché un
assegno di supporto economico finché il giovane non
trova un posto di lavoro, ma solo se al momento del
rilascio il giovane abbia compiuto il diciottesimo anno
di età. Si occupa della produzione di materiale
informativo destinato alle famiglie di minori detenuti,
per orientarli in merito ai percorsi di riabilitazione126.
La tabella che segue mostra la distribuzione dei servizi
in base alla tipologia dell'assistenza offerta.
126Ministry of Social Affairs(MoSA),
<http://www.edrp.gov.ps/CYD/CYD % 20Main.htm>,
12.12.2013
135
Intervento per bambini vittime della violenza
La violenza domestica in Palestina provoca danni
ancora più profondi rispetto ad altri paesi. I minori
palestinesi sono esposti di frequente ad esperienze
traumatiche e, come spiegato precedentemente, la
capacità di coping, specialmente nei più piccoli,
dipende molto dall'ambiente familiare. L'abuso e la
violenza nelle mura domestiche molto spesso
traumatizzano doppiamente il bambino, che vede
136
Institute of Community and Publich Healt Birzeit
University, Aprile 2006
allontanarsi fino quasi alla scomparsa, la speranza di
un futuro sereno127.
La Palestinian Child Law, adottata nel 2004, sancisce
il diritto dei bambini di “protezione da violenza,
abuso, maltrattamento e sfruttamento”. Essa implica
l'istituzione di un meccanismo di segnalazione e di
intervento per garantire la tutela dei minori128.
Il motore di questo meccanismo è il Childhood
Protection Department, unità del MoSA, che opera
attraverso il lavoro di numerosi assistenti sociali,
definiti “protection officers”, responsabili della
protezione dei bambini palestinesi. Secondo la Child
Law, questo genere di assistenti sociali ha la facoltà di
adottare eventualmente una serie di misure necessarie
per tutelare il bambino. Un protection officer può
indagare su un caso sospetto di violenza su un minore
e allontanare il bambino dalla famiglia, se ritiene che
il bambino sia a rischio.
127World Health Organization, Child abuse & neglect. 2002
<http://www.who.int/violence_injury_prevention/violence/neglec
t/en/print.html.>
128Art. 42-66, Palestinian Child Law. N. 7/2004
137
La legge impone anche l'obbligo, per il MoSA, di
istituire dei centri di protezione a cui i protection
officers possono far riferimento in caso di emergenza.
A fronte degli alti tassi di violenza domestica su
minori, l'azione del MoSA – attraverso il Child
Protection Department - è stata quella di dispiegare in
Cisgiordania 13 assistenti sociali, circa uno per ogni
distretto, in qualità di protection officers.
Per quanto riguarda la Striscia di Gaza, non vi è
ancora una mappatura ufficiale dei servizi sociali,
risulta quindi difficile quantificare il numero esatto
degli assistenti sociali che vi operano. I centri di
protezione in tutta la Palestina sono tre, i due di
Ramallah e quello di Gaza sono sotto la piena gestione
del MoSA, quello di Betlemme ha una gestione semi-
governativa, con l'apporto di ONG internazionali. Il
centro di Betlemme è l'unico destinato a bambine e
ragazze.
Con la collaborazione di alcune ONG, tra cui EJ
YMCA, il MoSA gestisce un quarto centro a Gerico,
che fornisce accoglienza e formazione professionale ai
138
bambini segnalati dagli assistenti sociali, in situazione
di indigenza. Nel marzo del 2008, il centro ospitava
2.373 minori. Inoltre, a livello governativo, in tre
distretti della Cisgiordania la polizia ha avviato
volontariamente un percorso formativo verso una
migliore protezione dei bambini. A tale scopo il nucleo
di polizia di Betlemme ha istituito la Child and
Family Unit, team composto da quattro assistenti
sociali agenti di polizia e un locale child-friendly
all'interno di una delle principali stazioni di polizia in
cui i bambini possono essere ascoltati, quindi
interrogati, in base alle esigenze.
Lo stesso processo è in corso nei distretti di polizia di
Hebron e Ramallah. Tutto questo è reso possibile
dalla buona collaborazione delle forze dell'ordine, che
hanno mostrato interesse a ricevere una formazione
sui diritti dell'infanzia e sulla pratiche adeguate da
adottare quando ci si rapporta con i minori129.
129Defence for Children International-Palestine, Interview with
Iman Salameh, agente di polizia e assistente sociale di
Betlemme, membro del Child and Family Unit nella stazione
di polizia di Betlemme. 12 Aprile 2008.
139
Negli ultimi anni, una fitta rete di attori governativi e
non governativi ha cominciato a cooperare in maniera
più sistematica per la protezione dei bambini,
promettendo quindi buoni risultati. La rete, lanciata
ufficialmente nel 2006, è supervisionata dall'UNICEF,
membro finanziatore, ed è chiamata Child Protection
Networks. Attraverso dei progetti pilota, la rete mira
alla creazione di unità operative locali costituite da
assistenti sociali, personale medico, avvocati e
rappresentanti di ONG e/o associazioni per garantire
un approccio multidisciplinare in risposta alla richiesta
di protezione. Due unità locali sono state create dalla
ONG Defence for Children International (DCI) ad
Hebron e Betlemme, mentre il MoSA si occupa di
quelle di Ramallah, Jenin e Gaza. Per queste ultime, il
ministero ha chiesto il supporto di DCI per il
miglioramento delle reti locali e il perfezionamento
della cooperazione tra i vari attori coinvolti.
Dalle interviste effettuate emerge che molti bambini
hanno confermato l'inefficienza del MoSA nel lavoro
di protezione nella Striscia di Gaza. Essi non
140
sembrano essere neanche consapevoli dell'esistenza di
assistenti sociali e/o centri di protezione130.
La tabella che segue mostra la distribuzione dei servizi
in base alla tipologia dell'assistenza offerta.
130Testimonianze da un Focus Group di Defence for Children
International-Palestine. Aprile 2008
141
Institute of Community and Publich Healt Birzeit
University, Aprile 2006
Il caso di Gerusalemme Est
Come accennato in precedenza, Gerusalemme Est è
sotto il pieno controllo israeliano dal 1967, quindi
anche la legislazione in materia di protezione
dell'infanzia è quella dettata dalle istituzioni
israeliane131, quindi con un sistema diverso dalla
Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza.
Anche in Israele il MoSA è il principale organo
responsabile per la tutela dei minori, attraverso
l'attività degli assistenti sociali. Inoltre, anche a
Gerusalemme alcune stazioni di polizia hanno istituito
servizi minorili con personale specializzato. La
quantità dei servizi offerti ai minori è nettamente
superiore a quella fornita dalle autorità palestinesi.
A prima vista, sembra che i bambini palestinesi di
Gerusalemme Est possano godere quindi di un sistema
di protezione efficiente. Eppure non godono di un
adeguato sistema di protezione a causa del sistema
131The Arab Study Society, East Jerusalem Multi Sector Review
Project. Multi sector Strategy for East Jerusalem. Final
Report. Gerusalemme, Febbraio 2003
142
discriminatorio messo in atto dalle autorità israeliane
nei confronti dei palestinesi che risiedono nella parte
Est della città: condizioni di estremo sovraffollamento,
quotidiane molestie da parte dei cittadini israeliani,
perdita di identità nazionale e condizione di
isolamento. Naturalmente, questo ambiente aumenta la
vulnerabilità dei bambini alla violenza in quanto può
creare tensione e rabbia anche negli adulti che
potrebbero poi agire con violenza nei confronti dei
bambini. I servizi forniti dalle autorità israeliane sono
insufficienti e inadeguati per far fronte all'elevato
numero di casi di violenza presenti in tale ambiente.
Inoltre, ci sono prove che le forze dell'ordine
governative hanno un'elevata propensione ad applicare
leggi, misure e pratiche in modo sistematicamente
discriminatorio nei confronti dei bambini palestinesi
rispetto a minori israeliani. Spesso gli agenti di polizia
non intervengono quando i bambini palestinesi hanno
bisogno di protezione, ad esempio in caso di bambini
tossicodipendenti, bambini mendicanti o minori
lavoratori. Anche i Servizi sociali sono inegualmente
143
ripartiti, viste le differenti condizioni di vita della
parte Est. 49 assistenti sociali sono assegnati a
Gerusalemme Est, mentre 85 sono attivi nelle restanti
zone di Gerusalemme (Nord, Ovest e Sud
Gerusalemme)132.
Gli operatori sociali nelle scuole
Il Ministero dell'Educazione (MoE) non possiede
politiche scritte per la protezione dell'infanzia. Non ci
sono neanche regolamenti che disciplinino l'azione
degli insegnanti, i quali spesso usano la violenza
contro gli scolari. Il MoE si basa sul lavoro dei
counselor scolastici, che possono segnalare casi di
abuso o di bambini traumatizzati.
Tutti gli studenti partecipano a sessioni di gruppo con
il counselor, viceversa egli segue quotidianamente i
132Save The Children, Defence for Children International-
Palestine, Child Rights Situation Analysis. Right to Protection
in the Occupied Palestinian Territory. Dicembre 2008
144
minori.
Ma non è semplice per un operatore sociale far fronte
a decine di casi diversi e problematici. Spesso gli
operatori non sono in grado di affrontare la situazione
a causa di una formazione professionale inadeguata133.
In questi ultimi anni si stanno realizzando progetti che
prevedono percorsi formativi professionali per i
school counselor.
Molte famiglie non riescono a sostenere il costo
dell'iscrizione a scuola dei loro figli e sono costrette
ad indebitarsi o a chiedere aiuto agli Enti di
beneficenza, che spesso fanno da ammortizzatori
sociali.
Anche nelle scuole gestite dall'UNRWA è prevista la
presenza di una figura molto simile allo school
counselor, che si occupa di fare visite domiciliari al
fine di elaborare un indagine che permetta di rilevare
un eventuale abuso e/o trauma e, nel caso, fornire il
necessario supporto psicologico134.
133Repossi A., Vi racconto cosa vuol dire studiare in Palestina.
Quaderni Cannibali, Ottobre 2011.
134Institute of Community and Publich Healt Birzeit University,
145
Interventi per bambini vittime della violenza
israeliana
I bambini dei Territori Palestinesi Occupati non
conoscono un giorno di vera pace. La memoria di una
Palestina libera è mantenuta viva dai loro nonni, dai
racconti tramandati dai più anziani. Il coinvolgimento
politico nella quotidianità è quasi inevitabile, anche
per i più piccoli, che così crescono troppo presto. I
bambini perdono il diritto ad avere un'infanzia
normale, sentendo prematuramente la necessità di
coinvolgersi emotivamente e praticamente nel
conflitto.
Un grande ostacolo ad una crescita serena dei bambini
è che, in una situazione cronica di conflitto, il
bambino percepisce i genitori come incapaci di
proteggerlo. Così, ogni volta che assiste
all'umiliazione dei suoi genitori, il suo sistema di
credenze e il suo sviluppo psicologico sono
National Plan of Action Secratariat, Child Protection in the
Occupied Palestinian Territory. Structures, Policies and
Services. Aprile 2006
146
profondamente colpiti135.
Gli esperti affermano che la violenza domestica è una
conseguenza del contesto in cui vive la società
palestinese, caratterizzato dalla violenza giornaliera
perpetuata dall'esercito israeliano attraverso
incursioni, arresti, bombardamenti e restrizioni alla
libertà di movimento136. Anche alcune ONG che
operano a Gerusalemme Est hanno attribuito l'alto
tasso di violenza domestica all'estremo
sovraffollamento e alla repressione presente in tutti gli
ambiti della vita dei palestinesi di Gerusalemme137.
Mohammad Al-Salaymeh è stato ucciso nel dicembre
del 2012, nel giorno del suo diciassettesimo
compleanno. Era a casa con la famiglia, la mamma
gli chiese di andare a comprare una bella torta per
135Qouta S., El Serraj E., Prevalence of PTSD among
palestinian children in Gaza Strip. Arabpsynet Journal, N. 2
Giugno 2004.
136Vedi Cap. I
137Save The Children, Defence for Children International-
Palestine, Child Rights Situation Analysis. Right to Protection
in the Occupied Palestinian Territory. Dicembre 2008.
147
festeggiare. Il ragazzino si avviò verso un piccolo
negozio vicino casa sua, nei pressi di un check-point.
Un soldato israeliano gli sparò. Il 12 dicembre è il
giorno in cui era nato, ma anche il giorno in cui fu
ucciso. Mohammad era un ottimo ginnasta e,
nonostante la giovane età, era riuscito a vincere
numerosi campionati importanti138.
Nonostante l'alto numero di bambini vittime della
violenza dell'esercito e dei coloni israeliani, o le cui
case sono state distrutte; ci sono poche politiche ed
interventi che mirano ad intervenire, sia
preventivamente che nella fase di riabilitazione.
Nessuna delle poche politiche esistenti è formulata a
livello interministeriale.
D'altra parte, non vi è alcun modo per garantire ai
bambini la protezione dalla violenza, in un contesto di
occupazione militare, altamente discriminatorio.
Ci sono, tuttavia, aree geografiche e alcune attività in
cui la probabilità di esporre i bambini alla violenza è
138Pochi E., Palestina: Un viaggio nell'apartheid, Solidarietà
Internazionale, 5/2013
148
più alta.
Per quanto riguarda la protezione di minori post-
trauma sono altrettanto poche le politiche che
affrontano i bisogni dei bambini che sono stati esposti
alla violenza israeliana. Nelle linee guida del MoSA, i
bambini feriti e/o aggrediti gravemente dall'esercito
e/o dai coloni israeliani non rientrano nella lista dei
bambini “svantaggiati”, bisognosi di un intervento
sociale.
Invece, i bambini di famiglie le cui case sono state
demolite sono considerati casi di rilievo, secondo
quanto previsto dal Ministero. Dal documento che
stabilisce le linee guida di intervento per la protezione
dell'infanzia, s'apprende:
“Il ministero in coordinamento con le agenzie governative
e non governative specializzate il seguito di casi di arresto,
detenzione, danno e/o demolizione di case, al fine di
mettere in atto strumenti per la protezione della vita dei
bambini e del loro benessere fisico e mentale si impegna a:
fornire case sicure per coloro le cui case sono state
149
distrutte, anche se per un periodo temporaneo, fino alla
nuova ricollocazione della famiglia, al fine di proteggere le
famiglie e i bambini dal vagabondaggio. Si impegna inoltre
ad elargire somme di denaro , adeguate al caso, e materiale
informativo affinchè le famiglie possano continuare a
condurre una vita normale”139.
La fornitura di case e/o alloggi temporanei alle
famiglie le cui case sono state distrutte è un intervento
fondamentale per il benessere dei minori, ma
purtroppo non può essere quasi mai attuato a causa di
gravi problemi finanziari del MoSA.
Per quanto riguarda i bambini feriti dall'esercito e dai
coloni israeliani, il Ministero dell'Istruzione non ha
impostato alcuna politica per rispondere alle esigenze
di questi minori140.
139Art. 71, Systematic Guidelines for Child Care, Ministry of
Social Affairs(MoSA) 2004.
140Institute of Community and Publich Healt Birzeit University,
National Plan of Action Secratariat, Child Protection in the
Occupied Palestinian Territory. Structures, Policies and
Services, Aprile 2006.
150
Interventi per orfani e i bambini di strada
I bambini di strada fanno parte della categoria di
minori che non godono delle cure familiari, come i
figli i cui genitori sono ignoti e quelli orfani.
La Child Law offre una forte protezione per questa
tipologia di minori. Ciononostante, l'intervento sul
campo, che rientra nelle mansioni esclusive del
MoSA, è quasi inesistente. Il numero degli orfanotrofi
è insufficiente e le competenze degli assistenti sociali
spesso sono inadeguate.
Secondo le linee guida ministeriali, il MoSA è
chiamato ad occuparsi “della cura, dell'educazione e la
protezione dei bambini svantaggiati attraverso la presa
in carico dei minori aventi diritto, da parte dei servizi
sociali”141.
La procedura per l'ammissione di un bambino in
istituto è delineata nelle linee guida: “premesso che il
bambino deve essere privato di cura della famiglia, il
141Art. 39, Systematic Guidelines for Child Care, Ministry of
Social Affairs(MoSA) 2004
151
ministero emette un'autorizzazione per l'ingresso in
un istituto di assistenza. Una commissione valuta la
situazione del minore sulla base di un' indagine sociale
redatta da un assistente sociale e ne decide
l'ammissione”.
Tuttavia, gli orientamenti sono ancora poco chiari
sulla modalità di ammissione all'istituzionalizzazione.
Secondo il ministero sono ammissibili “i bambini privi
di cure familiari”, ma non c'è una chiara definizione di
ciò che si intenda per “bambini privi di cure
familiari”. Tuttavia, l'articolo 40 delle stesse linee
guida afferma che le condizioni necessarie alla
istituzionalizzazione sono che “il bambino deve aver
perso uno o entrambi i genitori e non c'è nessuna
figura tra i parenti in grado di occuparsene”142.
Il MoSA ha l'obbligo di supervisione e controllo di
tutti gli istituti di assistenza e degli orfanotrofi che
operano nel campo dell'istruzione o della cura di tali
bambini, anche di quelli gestiti da ONG.
142Ministry of Social Affairs, A Study of Orphanages Providing
Long Time Residential Care in Palestine. Agosto 2000.
152
Il ministero tiene dei corsi di formazione per il
personale che lavora in questo genere di strutture, in
cui si realizzano attività educative, ricreative,
professionali, di counseling.
I minori nati fuori dal matrimonio – con padre ignoto
– o abbandonati o persi, possono essere accuditi da
famiglie affidatarie. Presupposto per l'affidamento è
che “la coppia sia virtuosa e matura, nonché
consapevole dei bisogni del bambino”. Prima di
accettare la richiesta di affidamento, il ministero
svolge un indagine, della durata di circa due mesi. Al
ministero è riservata la facoltà di revoca
dell'affidamento, qualora la famiglia si riveli non
idonea o il bambino subisca violenze e abusi dagli
affidatari.
153
Come arriva il singolo caso ai Servizi Sociali?
Il singolo caso può raggiungere i servizi sociali in vari
modi. Dipende anzitutto da chi identifica il caso.
Sembrerebbe che almeno un terzo di casi di bambini
vittime della povertà, dell'occupazione e della
detenzione, sia segnalato dai genitori. Il resto verrebbe
154
Institute of Community and Publich Healt Birzeit
University, Aprile 2006
identificato dal MoSA, dalle istituzioni scolastiche,
dalle ONG e in minima parte dalle forze dell'Ordine e
da medici specialisti. Circa il 15% dei casi vengono
identificati grazie ad attività di sensibilizzazione. Nel
complesso, manca un sistema di rilevamento dei casi,
molti dei quali non vengono scoperti.
155
156Institute of Community and Publich Healt Birzeit
University, Aprile 2006
Distribuzione dei servizi per tipologia di istituzione
Quello che spicca dalla tabella che segue è la bassa
partecipazione delle organizzazioni caritatevoli e delle
ONG verso attività destinate al target dei bambini ex-
detenuti, che necessita di personale specializzato per
l'individuazione, la prevenzione e la gestione, nonché
la riabilitazione di tali casi.
Gli enti di beneficenza raggiungono una copertura del
50% nel settore dei servizi per la protezione dei
bambini, seguiti dalle ONG, le agenzie governative,
internazionali e poi dall'UNRWA. Gli Enti di
beneficenza sono meno strutturati delle strutture
governative e delle ONG, ma, essendo piccoli,
riescono a radicarsi bene nella comunità.
Durante la prima Intifada, la comunità, per lo più
politica, delle ONG, ha assunto un ruolo semi-
pubblico, occupandosi della fornitura di alcuni servizi
di base per la salute e l'istruzione.
Gli enti di beneficenza forniscono servizi per i minori
disabili oltre il doppio delle ONG, mentre la
157
partecipazione del governo sembra essere solo del 4 %
e l'intervento dell'UNRWA dell'1,3%. Gli enti di
beneficenza si fanno carico anche di una grande
responsabilità per affrontare la povertà cronica ed
estrema e la cura per i bambini orfani, in maniera più
incisiva rispetto alle ONG.
158
159
Institute of Community and Publich Healt Birzeit
University, Aprile 2006
Distribuzione dei servizi in base alle regioni, ai
distretti e all'area geografica
In Cisgiordania il 73% dei fornitori dei servizi è
concentrato al Centro e al Sud, con il maggior numero
di istituzioni a Gerusalemme, seguita da Ramallah,
Hebron e Betlemme. Solo il 27% dei servizi si trova
nella Valle del Giordano(Nord-est). Nablus, Qalqulia,
Gerico e Jenin, nonostante l'elevata necessità, hanno
una copertura irrisoria della rete di servizi sociali. A
Gerusalemme Est e Hebron si concentrano inoltre un
numero elevato di Enti di beneficenza, dediti alla cura
degli orfani e delle famiglie povere. Invece, le
organizzazioni che si occupano della riabilitazione di
minori ex-detenuti si concentrano principalmente a
Ramallah. Nella Striscia di Gaza, il 51,5% dei
fornitori di servizi sociali si trova a Gaza City.
In Cisgiordania, l'83% dei fornitori di servizi risiede
nei centri urbani, dove vive il 51% della popolazione.
Solo il 12% dei servizi è offerto nelle zone rurali, dove
si trova il 42% della popolazione. Il restante 5% dei
160
fornitori di servizi è localizzato nei campi profughi,
dove staziona il 7,3% della popolazione.
Nella Striscia di Gaza, l'81% dei fornitori di servizi si
trova nei centri urbani, dove risiede il 62 % della
popolazione. Il 18% dell'assistenza è invece destinata
agli abitanti dei campi profughi, che rappresentano il
32% della popolazione della Striscia.
La distribuzione dei servizi per località sembra essere
altamente sproporzionata, in favore della popolazione
urbana, con oltre l'80% dei servizi erogati nei centri
urbani, in cui risiede in media, tra Cisgiordania e
Striscia di Gaza, il 55,4% della popolazione.
Nelle zone rurali e soprattutto quelle della
Cisgiordania, la percentuale della popolazione è 3,5
volte superiore a quella dei fornitori di servizi
sociali143.
143Institute of Community and Publich Healt Birzeit University,
National Plan of Action Secratariat, Child Protection in the
Occupied Palestinian Territory. Structures, Policies and
Services. Aprile 2006
161
162
Institute of Community and Publich Healt Birzeit
University, Aprile 2006
Risorse umane per la protezione dei bambini
163
4 .3 Il modello di intervento per la salute mentale
dei bambini
La salute mentale in Palestina
Circa il 60% della popolazione totale vive in 400
villaggi e 27 campi profughi. Il 47% della popolazione
ha un'età inferiore ai 15 anni e l'età media del territorio
è di 16.7 anni144. Il Ministero della Salute è l'agenzia
governativa responsabile delle politiche per la Salute e
il Benessere della popolazione palestinese.
Ciononostante, si occupano dell'offerta di servizi
sanitari anche le Nazioni Unite, attraverso la United
Nation Relief and Works Agency for Palestine
Refugees in the Near East (UNRWA), le
organizzazioni non governative e il settore privato. Le
misure di intervento per la salute mentale, sono decise
a livello centrale dal Ministero per della Salute
144Save The Children, Mapping Child Protection Systems in
Place for Palestinian Refugee Children in the Middle East.
SIDA 2011.
164
Mentale, responsabile della ideazione,
programmazione e implementazione delle politiche. Il
Ministero svolge un'attività di coordinamento tra i
diversi livelli, stabilendo delle linee guida indirizzate a
tutti i fornitori di servizi per la salute mentale.
Secondo dati ministeriali, nel 65% delle scuole,
primarie e secondarie, è presente un servizio di
counseling (part-time o full-time) e il 70% delle
scuole svolge delle attività di promozione della salute
mentale, anche come prevenzione per i disturbi
mentali. Non ci sono informazioni in riguardo ai
prigionieri con psicosi o ritardi mentali145.
Il Mental Health Services Organization Plan, da cui si
ricava la politica della salute mentale palestinese, è
stato formulato nel 2002-2003 ed ufficialmente
adottato nel 2004. I punti chiave della linea politica
intrapresa, ad oggi sono: sviluppare delle comunità
che offrono assistenza psicologica, ridimensionare gli
ospedali psichiatrici, garantire un'adeguata formazione
145WHO-AIMS Report on Mental Healt System in West Bank
and Gaza, World Healt Organization and Ministry of Healt,
Cisgiordania e Gaza, 2006.
165
ai professionisti della salute mentale, rafforzare il
sistema di monitoraggio, coinvolgere i fruitori
d'assistenza e le famiglie, rafforzare l'attività di
advocacy e di promozione, di tutela dei diritti umani.
Il 2,5 % della spesa per i servizi sanitari palestinesi è
dedicato alla salute mentale, di cui il 73% è destinato
al funzionamento di ospedali psichiatrici, nonostante
oltre 1/3 della popolazione palestinese abbia bisogno
di cure per la salute mentale.
Ci sono solo due ospedali psichiatrici fondati per
disposizione del Governo, uno a Betlemme
(Cisgiordania) e l'altro a Gaza city (Striscia di Gaza).
Il primo ha una capacità di posti letto per 320 pazienti,
di cui il 30% sono pazienti epilettici cronici.
L'ospedale di Gaza, fondato nel 1979 e riabilitato nel
1994, dispone di 40 posti letto. Entrambi gli ospedali
usano un approccio biologico tradizionale, con terapie
farmacologiche convenzionali e, a Betlemme, è
prevista anche la terapia tramite elettroshock. I
pazienti e le loro famiglie hanno scarsa fiducia negli
istituti psichiatrici, che di solito sono visti come
166
istituzioni di custodia in cui le persone “fastidiose e
spaventose” vengono messe in isolamento.
In riferimento alla formazione, solo l'1% dei tirocini
dei studenti di medicina è dedicato alla salute mentale,
comparato ad un 9% del settore infermieristico. Gli
agenti di polizia, i giudici e gli avvocati non ricevono
alcun tipo di formazione in materia di salute e tutela
del benessere psichico. La proporzione delle risorse
umane impiegate nel settore psichiatrico rispetto alla
popolazione rappresenta una situazione molto critica.
Risultano 32 psichiatri in tutto il territorio, ossia
neanche 1 ogni 100.000 abitanti; 36 psicologi,
equivalenti a 0.98 ogni 100.000 abitanti; 40 operatori
sociali; che in cifre equivalgono a 1 ogni 100.000
abitanti.
Negli ultimi anni, numerose agenzie si sono offerte di
monitorare la politica di educazione pubblica e di
svolgere attività finalizzate alla tutela della salute
mentale. Tra di esse, UNICEF, WHO, Organizzazioni
non-governative nazionali e internazionali, la
167
Cooperazione Internazionale Italiana e Francese.
Altri fornitori di servizi di salute mentale sono: il
Shamas Center, che sostiene le iniziative di
riabilitazione per i bambini cerebrolesi o gravemente
disabili; l'Unione delle Chiese internazionali; una
piccola rete di sostegno psicologico e servizi di
consulenza che compongono l'Unione del Medical
Relief , l'Happy Child Centro palestinese e il Centro
di Consulenza palestinese, che offre programmi per
bambini e giovani; un centro di Médecins Sans
Frontières per il sostegno e la riabilitazione dei
prigionieri politici a Hebron, in collaborazione con il
Ministero degli Affari Sociali, oltre a attività di
cooperazione con Terre des Hommes per l'assistenza
psicologica per bambini e un programma di sostegno
riabilitazione a Hebron per i pazienti mentalmente
disabili cronici.
Nella Striscia di Gaza, il Gaza Community Mental
Health Programme (GCMHP) è la prima iniziativa
non-governitiva che si è occupata di garantire
168
supporto psicologico alla popolazione colpita da
traumi. La ONG è stata fondata da Eyad El-Sarraj,
scomparso lo scorso dicembre, che è stato una
preziosa risorsa della psichiatria palestinese e del
campo dell'attivismo per i diritti umani.
Il GCMHP adotta un approccio basato sulla comunità
per affrontare i problemi di salute mentale. Ha centri
su tutto il territorio della Striscia di Gaza ed offre
servizi attraverso i suoi team multidisciplinari, inoltre
si occupa di ricerca e offre corsi di formazione in
salute mentale comunitaria. Offre un master post-
laurea in salute mentale e dei diritti umani, unico nel
Medio Oriente146.
146Qouta S., El Serraj E., Prevalence of PTSD among
palestinian children in Gaza Strip. Arabpsynet Journal N. 2
Giugno 2004.
169
Soddisfare le esigenze di salute mentale dei
palestinesi
La necessità più evidente è un maggiore sforzo da
parte dei responsabili politici e dei pianificatori
sanitari, nell'adottare un approccio più attento alla
salute mentale della comunità, per fronteggiare la
crescente ondata di disturbi mentali, innescata in
particolare con la seconda Intifada e nella Striscia con
gli attacchi del 2008 e 2012. Ciò dovrebbe includere
sia ulteriori misure terapeutiche per ampliare e
migliorare la diagnosi e la cura, sia maggiori sforzi per
affrontare i fattori ambientali, ovviamente originati
dal contesto politico, che contribuiscono alla
diffusione di malattie mentali.
Per soddisfare i crescenti bisogni di salute mentale
della popolazione palestinese, un piano di salute
mentale nazionale, che coinvolga tutte le istituzioni
presenti sul territorio, è una componente
fondamentale. Un primo passo sarebbe quello di
integrare i servizi di salute mentale nelle cure sanitarie
170
primarie. Ciò consentirebbe di facilitare l'accesso,
ridurre lo stigma, aumentare l'accettabilità e rafforzare
i sistemi di monitoraggio e di informazione. E' anche
un approccio più conveniente, dal momento che i
locali e il personale sarebbero già sul campo.
In secondo luogo, gli operatori sanitari che lavorano
nei servizi di assistenza primaria e di protezione
sociale dovrebbero ricevere una formazione sui
problemi di salute mentale. In particolare, riguardo
alla diagnosi precoce di disturbi mentali.
Infine, vi è la necessità di un'azione politica per
alleviare i fattori ambientali che contribuiscono a
problemi mentali, ossia di colloqui di pace adeguati e
la fine dell'occupazione147.
147Qouta S., El Serraj E., Prevalence of PTSD among
palestinian children in Gaza Strip, Arabpsynet Journal N. 2
Giugno 2004.
171
5 . Considerazioni finali
5 .1 Criticità dell'intervento sociale
Secondo alcuni bambini intervistati le attività attuate
dal MoDEDA, indirizzate ai bambini arrestati e ex-
detenuti nelle carceri israeliane, non sono né adeguate
né sufficienti. Il numero di assistenti sociali non basta
ad affrontare adeguatamente tutti i casi di minori ex
detenuti e, di conseguenza, non tutti i bambini
beneficiano delle attività di riabilitazione. Ad esempio,
solo i bambini che sono stati detenuti per più di un
anno possono partecipare ad alcune delle formazioni
sociali e professionali offerte dal ministero148.
148Focus Group Report, Child Ex-Deteineed. Defence for
Children International-Palestine, Aprile 2008.
172
Inoltre, molti bambini non beneficiano del programma
di riabilitazione ministeriale poiché gli assistenti
sociali si limitano a seguire solo i bambini che
chiedono spontaneamente di ricevere un aiuto.
D'altronde, poco più di una decina di assistenti sociali
in tutta l'area della Cisgiordania, hanno il compito
gravoso di implementare il programma del MoDEDA.
In queste circostanze, è di rilevante importanza
l'azione delle ONG e delle associazioni palestinesi che
si occupano di tutelare i diritti dei minori ex-detenuti,
attraverso progetti di riabilitazione psicosociale, anche
se gran parte degli interventi non è legalmente
riconosciuta. Due ONG ben radicate sul territorio
hanno di recente avviato progetti di riabilitazione: il
Tratment and Rehabilitation Centre fot Victims of
Torture(TRC) e EJ YMCA. Entrambe le organizzazioni
gestiscono attività in tutta la Cisgiordania, con un
approccio simile a quello utilizzato dai programmi
ministeriali.
Queste organizzazioni hanno dato vita ad un team
173
riabilitativo149, composto da vari professionisti, oltre
agli assistenti sociali, tra cui operatori di counseling,
psicologi e psichiatri. L'intervento mira alla cura del
trauma vissuto dai bambini durante la detenzione e, di
solito, viene formulato ad hoc per ogni soggetto,
prevedendo anche sedute di terapia individuale e
familiare. Nel caso in cui il team ritenga opportuno
l'allontanamento del minore dalla propria famiglia,
sono stati costruiti dei centri, con sede a Ramallah e a
Beit Sahour. A tal fine, EJ YMCA gestisce un centro
d'accoglienza che ospita i bambini per un periodo
massimo di tre mesi150. Purtroppo, nonostante i
risultati positivi del lavoro di entrambe le ONG, il loro
intervento riesce a raggiungere solo una piccola
percentuale di bambini ex-detenuti che hanno bisogno
di sostegno psicosociale. Inoltre, secondo le
testimonianze dei bambini intervistati attraverso
149Annaual Report Ramallah, Treatment & Rehabilitation
Center for Victims of Torture, 2003.
150Trojan V., Warriner M., The Social Rehabilitation of
Palestinian Child Ex-Detainees: A long run to freedom.
YMCA e SCS Gerusalemme, 2008.
174
attività di focus group, questi sforzi non sembrano
essere sistematici. Molti bambini hanno espresso
sentimenti di crescente sfiducia nei confronti di coloro
che dicono di voler agevolare la loro riabilitazione
dopo il rilascio.
“Ci sono molte persone, specialmente provenienti
dall'estero, interessate a sentire le mie storie. Ma non credo
che ci sia qualche centro o persona che voglia veramente
aiutarmi. Una volta ho accettato di ricevere il loro aiuto.
L'organizzazione seguì il mio caso per qualche mese e poi
non ho più saputo nulla di loro”151.
Per quanto riguarda l'intervento per bambini vittime di
violenza, come stabilito dalla Child Law, è il MoSA il
principale attore responsabile per l'implementazione e
la supervisione dei programmi destinati alla
protezione dell'infanzia. Tuttavia, non riesce ad
assolvere pienamente il suo ruolo.
Quando i bambini scelgono di rivolgersi
151Testimonianza raccolta in occasione di un Focus Group ad
Hebron, Child Rights Situation Analysis, Dicembre 2008.
175
spontaneamente al servizio di protezione a seguito di
abusi e/o violenze subite, molto spesso non trovano un
sistema di riferimento governativo funzionante.
Allo stesso tempo, il numero di protection officers
allocato per monitorare casi di violenza è inadeguato;
data la vulnerabilità dei bambini alla violenza nelle
loro case e nelle comunità. Anche i centri di
protezione esistenti non sono sufficienti ad ospitare i
molti minori bisognosi di protezione. Inoltre, vi è
l'assenza di una politica interministeriale sviluppata in
collaborazione con altri ministeri, come il Ministero
dell'Educazione e il Ministero della Salute152.
Sebbene la creazione di misure preventive rientri
nell'ambito di applicazione del MoSA, nella pratica
non è una priorità nell'agenda ministeriale. Il
Ministero non gode delle risorse finanziarie necessarie
per lavorare al meglio. Gli stipendi degli assistenti
sociali sono bassi e ciò causa spesso demotivazione,
152Institute of Community and Publich Healt Birzeit University,
National Plan of Action Secratariat, Child Protection in the
Occupied Palestinian Territory. Structures, Policies and
Services. Aprile 2006.
176
non spronando gli operatori a fare ulteriori sforzi oltre
a quelli esplicitamente richiesti153.
Gran parte dei fondi ministeriali proviene da aiuti
internazionali che, inevitabilmente, condizionano lo
sviluppo a lungo termine delle politiche. Inoltre, i
vincoli culturali e sociali tradizionali compromettono
le attività degli assistenti sociali in campo. Oltre alla
mancanza di volontà dei familiari nel segnalare
episodi di violenza domestica (considerati come
“questioni private di famiglia”), la comunità non ha
ancora accettato l'autorità dell'assistente sociale, in
particolare in veste di protection officer del MoSA,
quindi con la facoltà di indagare senza autorizzazione
della polizia154.
Anche se la Child Law non assegna al Ministero
153Defence for Children International-Palestine, Interview with
Mohammed Al-Khatib, MoSA, Childhood Protection
Department. 26 Marzo 2008. Il rappresentate del MoSA ha
specificato nell'intervista che i bassi salari generano un alto
ricambio di risorse umane, con un impatto negativo a livello
relazionale, tra minore e assistente sociale, ma anche con la
comunità in genere.
154UNICEF, Child Protection in the Occupied Territories: A
National Position Paper. Gerusalemme, Giugno 2005.
177
dell'Interno alcuna responsabilità legale in materia di
tutela dei minori, le forze dell'ordine devono
comunque assumersi responsabilità nei confronti della
protezione dei bambini. Come riportato in precedenza,
ci sono esempi di iniziative di valore intraprese dalla
polizia, in questa direzione.
Un grande ostacolo allo svolgimento del lavoro degli
assistenti sociali, sia governativi sia per conto di
ONG, è il sistema delle restrizioni di movimento
imposto dalle autorità israeliane. La presenza di
checkpoint e il sistema dei permessi richiesti per
accedere in determinate aree limita notevolmente
l'azione del MoSa e delle ONG.
In merito agli orfani e ai bambini di strada, per gli
assistenti sociali del MoSA non è facile fornire
l'assistenza adeguata ai bambini di strada a causa del
rifiuto della società, ma anche delle istituzioni, di
accettarli.
Questo rifiuto è particolarmente dannoso,
considerando le esigenze di questa categoria di
178
bambini, spesso compatibili con la
istituzionalizzazione temporanea. Gli assistenti sociali,
attualmente, non riescono a identificare adeguati
contesti abitativi per i bambini di strada o a
reintegrarli nell'ambiente scolastico a causa di una
mancanza di strumenti e risorse.
I servizi offerti ai bambini orfani (CWFC), sono molto
simili a quelli forniti ai minori vittime di povertà
(CVP).
Sia Israele sia l'amministrazione palestinese, non
forniscono adeguate misure di prevenzione a riguardo.
In particolare, i bambini dovrebbero essere informati
circa le possibili conseguenze negative della
detenzione e dei diritti che spettano ai detenuti.
Ovviamente, in un contesto di occupazione militare, i
bambini non beneficiano di azioni di prevenzione
volte ad accrescere la conoscenza dei loro diritti e
sulle conseguenze della detenzione. E' evidente che il
governo israeliano non è disposto a attuare tutte le
misure preventive.
179
La situazione è esacerbata ulteriormente dall'azione
dell'esercito e dai giudici israeliani, che violano
sistematicamente i diritti dei bambini.
D'altra parte, vi è una diffusa mancanza di conoscenza
tra i palestinesi, in merito ai regolamenti militari
israeliani oppure si trascura l'importanza di mettere al
corrente i bambini in riguardo a queste pratiche
illegali. Sia il governo sia alcune ONG stanno
programmando interventi di prevenzione, ma secondo
dichiarazioni del MoDEDA, non ci sono ancora i
fondi necessari all'implementazione155.
I bambini palestinesi sono gravemente esposti a
violenza, abusi, abbandono e sfruttamento nelle loro
case e nella comunità, in tutte le tre aree geografiche
analizzate, e non godono di una protezione adeguata.
In Cisgiordania (esclusa Gerusalemme Est) e la
Striscia di Gaza è principalmente a causa di un quadro
giuridico nazionale povero e un quadro politico ancora
155Save The Children, Defence for Children International-
Palestine, Child Rights Situation Analysis. Right to Protection
in the Occupied Palestinian Territory, Dicembre 2008.
180
più scarno, una profonda instabilità politica interna, la
scarsità di Servizi sociali e giuridici forniti ai bambini,
fondi limitati sia a livello governativo sia non
governativo, e la mancanza di coordinamento
sistematico tra i diversi soggetti interessati. Nella zona
di Gerusalemme Est, la mancanza
dell'amministrazione palestinese combinata con le
pratiche discriminatorie delle autorità israeliane, il non
intervento delle agenzie ONU, rendono i bambini
palestinesi che vivono in questa area uno dei gruppi
più a rischio tra i minori palestinesi.
L'Autorità palestinese dovrebbe rafforzare i rapporti
tra la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, integrare le
disposizioni della Child Law con misure
maggiormente in linea con gli standard internazionali
di protezione dell'infanzia. Inoltre dovrebbe
considerare nuove strategie di finanziamento
governativo, in particolare del MoSA, per assicurare
interventi sostenibili nel tempo; considerare la
programmazione di politiche interministeriali. Le
agenzie ONU dovrebbero garantire un intervento di
181
protezione dei minori in tutte le aree dei Territori
Palestinesi Occupati, compresa Gerusalemme Est156.
Nonostante siano evidenti gli sforzi
dell'amministrazione e della società civile, la qualità
del servizio e/o l'accesso dei cittadini non è ottimale, a
causa della mancanza di indicazioni politiche coerenti,
e della difficoltà di accesso da parte delle autorità
palestinesi in alcune aree geografiche particolarmente
emarginate. Inoltre, per rendere efficienti i servizi
forniti, ONG e associazioni hanno bisogno di
collaborare in maniera ancora più sinergica con il
MoSA, ma anche con gli altri attori pubblici
coinvolti157.
156Ivi
157Qouta S., El Serraj E., Prevalence of PTSD among
palestinian children in Gaza Strip. Arabpsynet Journal N. 2
Giugno 2004
182
5 .2 Conclusioni
Per comprendere una situazione complessa come
quella dell'infanzia palestinese è necessario partire da
un approccio multidimensionale che tenga conto dei
complessi fattori che interagiscono nella situazione di
emergenza. L'emergenza, infatti, richiede l'intervento
di diverse professionalità a diversi livelli. Accanto al
livello clinico, analizzato precedente, è necessario
considerare quello psico-sociale e quello giuridico.
Nel caso in cui il trauma investa l'intera comunità, si
rende necessaria la collaborazione sinergica di agenzie
diverse, in primis servizi sanitari e sociali, forze
dell'ordine: un lavoro di rete che comprenda medici,
psicologi, assistenti sociali, professionisti legali e
agenti di ordine pubblico. Un intervento del genere
può essere definito interistituzionale e
multidisciplinare.
Le strutture e lo sviluppo delle politiche per la
protezione dell'infanzia appaiono insufficienti,
soprattutto a causa della mancanza di coordinamento
183
tra i principali attori, governativi e non governativi,
che si occupano della fornitura di servizi sociali.
E' evidente la necessità di cooperazione tra il MoSA e
altri ministeri coinvolti nella protezione dell'infanzia,
come il Ministero dell'Educazione, il Ministero della
Sanità, il Ministero della Gioventù e dello Sport e il
Ministero della Giustizia. Nonché una collaborazione
maggiore con le agenzie delle Nazioni Unite, le ONG
e gli Enti di beneficenza. Secondo diverse istituzioni
palestinesi del settore c'è un forte bisogno di banche
dati e un sistema informativo, per rendere gli
interventi più efficaci e sostenibili nel tempo, nonché
per consentire la tracciabilità dei singoli casi.
L'apporto degli enti caritativi è di rilevante
importanza, fornendo istruzione e sostegno sociale alle
famiglie in gravi situazioni di povertà, ai bambini
orfani e/o traumatizzati; eppure non godono di alcun
supporto finanziario da parte di donatori internazionali
o governativi. In un pianificazione efficiente, gli enti
comunitari e di beneficenza dovrebbero essere un
partner indispensabile, pienamente coinvolto nei
184
processi decisionali158.
Riguardo al lavoro sul campo svolto dagli assistenti
sociali, un problema ancora irrisolto è costituito dalla
mancanza di una stabile collaborazione tra assistenti
sociali israeliani e palestinesi, durante i periodi in cui
il conflitto diventa estremamente violento159.
Una buona ecologia dello sviluppo umano
Secondo Bronfenbrenner, affinché un bambino si
sviluppi in modo ottimale è necessario che vi sia fin
dalla nascita un’attività condivisa, progressivamente
sempre più complessa, tra il bambino e un essere
umano adulto, coinvolto con lui in una relazione
emotivamente significativa in cui “l’equilibrio di
potere si sposta gradualmente in favore della persona
158Ivi
159Ramon S. et al., The Impact of Political Conflict on Social
Work: Experiences from Northern Ireland, Israel and
Palestine. Oxford University Press, 2006.
185
in via di sviluppo, fin quando quest’ultima acquisisca
opportunità sempre maggiori di esercitare un controllo
sulla situazione”160. Inoltre, è considerata necessaria la
presenza di un'ulteriore adulto, non necessariamente di
sesso diverso, che offra supporto e appoggio alla
relazione. Ne consegue che la famiglia è, per lo
psicologo americano, “di gran lunga il sistema più
perfetto, potente e più economico che esista per
mantenere umano l’essere umano”161.
L'altra condizione necessaria ad una buona ecologia
umana è rappresentata da politiche sociali che siano in
grado di permettere alla famiglia, attraverso il
riconoscimento sociale, la stabilità e il supporto, di
svolgere al meglio il proprio compito educativo. “La
politica sociale è una parte del macrosistema che
determina le proprietà specifiche degli eso, meso e
microsistemi che si danno a livello di vita quotidiana e
indirizzano il comportamento e lo sviluppo”.
160Bronfenbrenner U., Ecologia dello sviluppo umano, Il Mulino
2002
161Ivi
186
Gran parte dell'opera Ecologia dello sviluppo umano e
del lavoro di ricerca di Brofenbrenner sono dedicati a
provare come tutti i livelli indicati condizionano lo
sviluppo del singolo individuo. Pertanto, sia le attività
di ricerca scientifica, sia gli interventi di carattere
socio-politico dovrebbero coinvolgere i diversi campi
dell'ecosistema.
Dopo la pubblicazione del 1979, Bronfenbrenner ha
continuato a lavorare alla sua teoria, rendendosi conto
della necessitò di inserire due ulteriori elementi, il
tempo e gli aspetti caratteristici degli individui:
temperamento, personalità e sistemi culturali e
valoriali. Si parla quindi di cronosistema, che tiene
conto dei cambiamenti che il tempo opera non solo a
livello individuale ma anche in termini di
trasformazioni ambientali, un struttura che consente
di identificare l'impatto che i precedenti eventi ed
esperienze di vita possono avere nel successivo
sviluppo dell'individuo162.
162Carpuso M., Progettare attività educative secondo la teoria
187
Bronfenbrenner ha conferito una interpretazione
innovativa alla questione del rapporto tra scienza e
politica, sostenendo che la scienza di base ha bisogno
della politica sociale più di quanto questa necessiti
della scienza di base.
Soltanto la conoscenza e l’analisi accurata della
politica sociale, e quindi delle tendenze e dei
cambiamenti in atto nell’ambiente in cui ha luogo lo
sviluppo, permette al ricercatore di indirizzare la
propria attenzione su quegli aspetti dell’ambiente
potenzialmente più significativi e critici per lo
sviluppo cognitivo e socioemotivo dell’individuo.
“La politica sociale ha il potere di influenzare il benessere e
lo sviluppo degli esseri umani in quanto determina le loro
condizioni di vita. L’aver realizzato questo mi ha indotto ad
un notevole coinvolgimento, negli ultimi quindici anni,
teso a far sì che la politica sociale del mio paese si
modificasse, si sviluppasse e fosse dotata dei mezzi adatti
in modo da influire sulla vita dei bambini e delle loro
dell'ecologia dello sviluppo umano, L'integrazione scolastica
e sociale Vol. VII n. 4, Settembre 2008.
188
famiglie. L’aver testimoniato per e collaborato con politici
e funzionari governativi per quanto riguardava la
legislazione, mi ha portato ad una conclusione inaspettata:
l’interesse dei ricercatori per la politica sociale è essenziale
per il progresso dello studio scientifico dello sviluppo
umano”.163
Viceversa, le politiche sociali e l'intervento sociale
palestinese in genere dovrebbero porre maggiore attenzione
allo sviluppo umano inteso come un'ampia gamma di
elementi che appartengono al sistema di vita del bambino
coinvolto nell'intervento.
L'uso consapevole di questi elementi consente a educatori,
assistenti sociali e psicologi di sviluppare modelli di
intervento – di prevenzione, assistenza e riabilitazione -
coerenti ed efficaci, coinvolgendo i bambini e i ragazzi in
modo attivo e consapevole.
Buona parte delle attività di intervento sociale in Palestina
appaiono come attività molecolari, cioè come elementi
spezzettati che non consentono la ricostruzione di un senso
163Bronfenbrenner U., Ecologia dello sviluppo umano, Il Mulino
2002 p. 382
189
più ampio delle cose e quindi, di fatto, impediscono lo
sviluppo umano perché non assumono una significatività
progettuale o evolutiva. Questo profondo frazionamento è
riconducibile in primis all'occupazione militare israeliana,
che non permette omogeneità nella programmazione e
nell'attuazione delle politiche; poi alla carenza di risorse
finanziarie e alla conseguente mancanza di figure
professionali specializzate. Date le peculiarità del contesto
palestinese, sarebbe necessaria un'attività formativa più
intensa, rivolta anche agli operatori sociali e ai volontari,
che potrebbero supportare gli assistenti sociali e gli
psicologi nel seguire un numero elevato di bambini.
E' altresì indispensabile una maggiore attività di
prevenzione e di sensibilizzazione degli adulti.
Qualsiasi sia il settore d'intervento, le attività dovrebbero
assumere un carattere molare, ossia “un comportamento
che possiede un suo momento ed è percepito come dotato
di significato o intenzione da quanti partecipano”164.
Un aspetto importante delle attività molari riguarda la
qualità della loro percezione da parte del bambino. Non
bisogna cadere nell'errore di pensare che se una data
164Bronfenbrenner U., Ecologia dello sviluppo umano, Il Mulino
2002 p. 35
190
attività ha una senso per chi la promuove, essa debba
necessariamente assumere lo stesso grado di significatività
per le altre persone che vi assistono o vi prendono parte.
Ad esempio, nel contesto di riabilitazione e di cura molti
bambini sono sottoposti a terapie che non sempre vengono
spiegate in modo chiaro e adeguato. Il risultato è che essi
appaiono come attività molecolari.
Le attività molari variano in base a due ulteriori aspetti
soggettivi: la dimensione temporale – un'attività può essere
considerata sensata solo nell'immediato oppure dopo
qualche tempo – e la struttura finalistica – un'attività ha
maggior senso se viene percepita come il mezzo per
raggiungere un obiettivo preciso. La potenzialità evolutiva
di un'attività molare è maggiore se essa è collegata ad una
buona rete di relazioni interpersonali. Attraverso lo
svolgimento di attività molari e tramite la creazione di una
rete adeguata di relazioni interpersonali, il bambino si
muove verso un traguardo evolutivo importante, soprattutto
perché egli diviene capace – o viene rimesso in condizione
- di modificare e adattare consapevolmente la struttura
stessa del proprio ambiente di vita.
191
Anche i ruoli assumono una grande importanza nello
sviluppo umano perchè hanno il potere di modificare
comportamenti, aspettative e modi di relazionarsi. Quando
si riesce a rompere lo schema dato dalla ripetizione
costante dei ruoli, per esempio con una attività di gioco
particolare, ci si accorge che gli atteggiamenti dei bambini
che partecipano si modificano e che quei bambini sono
capaci di esibire comportamenti nuovi e originali proprio
grazie al cambiamento di ruolo165. Ne è un piccolo esempio,
il Freedom Theatre, fondato nel campo profughi di Jenin
durante la prima Intifada da Arna Mer Khamis, una donna
ebrea sposata con un palestinese. Il progetto, benchè non
svolga attività cliniche, porta avanti un’alternativa
quotidiana alla rabbia e alla frustrazione, attraverso la
creatività.
Secondo Brofendrenner i ruoli, le relazioni e le attività
molari costituiscono anche la base di qualsiasi sviluppo
umano. Pertanto questi tre aspetti potrebbero essere
utilizzati per definire le linee guida per l'elaborazione di
progetti di intervento sociale.
165Ivi
192
L'elaborazione di nuovi ruoli, la creazione di nuove attività
molari e l'aumento delle relazioni interpersonali
significative sono tutti rivelatori dell'avvenuto sviluppo
personale e dell'intero sistema ecologico. Questi elementi
possono essere utilizzati, in via generale, come indici per
valutare l'efficacia evolutiva di un progetto e in modo
individuale per valutare l'evoluzione che un dato progetto o
programma può avere generato nei soggetti che vi
prendono parte. Il passo successivo che vorrei poter
verificare sul campo è quello di accertarmi se
effettivamente gli indicatori relativi a questi aspetti possano
essere utilizzati in modo efficace in ambito clinico e
pedagogico.
193
L'importanza del supporto degli adulti nel trattamento
del trauma
Il trattamento iniziale del trauma in sé è semplice, in
fondo fa parte della comunicazione culturale.
Il problema per i bambini è che è una cosa dolorosa, e
tendono ad evitarla. Quindi è necessario che “siano gli
adulti ad organizzare il trattamento in maniera
sostenibile e responsabile: può essere fatto da
insegnanti, infermieri, dottori, operatori. I genitori
hanno bisogno di uno schema per farlo e di essere
seguiti. Quello che serve è un po' di conoscenze e una
forte convinzione che sia importante fare tutto ciò.
A volte agli operatori che vengono formati manca.
Forse nei posti più colpiti la priorità dovrebbe essere
rappresentata dal trattamento degli adulti”166 affinché
siano in grado di ammortizzare l'impatto del trauma
sui bambini e prevenire l'insorgere del PTSD.
Il semplice fatto di esprimere le sensazioni che
166Ferrari A.- Scalettari L., I bambini nella guerra. Le storie, le
stragi, i traumi, il recupero. EMI, Bologna 1996 p. 179
194
accompagnano un evento traumatico, affrontando
l'orrore, è un passo basilare lungo la strada del
recupero. I bambini possono farlo in diversi modi, ad
esempio attraverso la cultura espressiva, con canzoni,
danze, narrazione di storie, disegni, recite di ruoli
etc... Per i bambini che già sanno scrivere, si può
pensare al metodo del “diario di bordo”, una tecnica
adottata spesso dagli insegnanti e che si basa sul
contributo alla guarigione implicato nello scrivere.
Altre tecniche sono gli scritti creativi, relazioni in
forma narrativa, composizioni. Pianificare e favorire
un processo, di quattro o sei settimane al massimo, in
cui i bambini possano raccontare, scrivere, disegnare,
drammatizzare i fatti traumatici, è un ottima prassi per
insegnanti, genitori, operatori sociali. Anche spronarli
a giocare e a muoversi, a prenderli in braccio e
rivolgere loro gesti d'affetto sono pratiche che
rientrano nell'assistenza umanitaria, indispensabili e
vitali al bambino. Dopo aver subito un trauma da
guerra, si deve anzitutto spronare il minore a vivere.
195
Molti piccoli non trovano più ragione di vivere167.
Quando si verificano delle crisi un approccio
incentrato sul ripristino di un senso di continuità
relazionale fornisce uno scenario importante per
stabilizzare il bambino e l'adolescente
traumatizzato168.
Riflessioni sul macrosistema: l'importanza della
Mediazione
La parola mediazione indica un processo mirato a far
evolvere dinamicamente una situazione di conflitto,
aprendo canali di comunicazione che si erano bloccati
nel tentativo di giungere, attraverso un lavoro di
negoziazione e contrattazione che vede coinvolti più
167Ferrari A.- Scalettari L., I bambini nella guerra. Le storie, le
stragi, i traumi, il recupero, EMI, Bologna 1996.
168Frueh C., Grubaugh A., Elhai J., Ford J., Disturbo Post
Traumatico Da Stress. Diagnosi e trattamento,
FerrariSinibaldi, Milano 2013.
196
soggetti le cui posizioni risultano dissonanti, ad una
intesa condivisa169. La mediazione mira a ristabilire il
dialogo tra le parti al fine di realizzare un progetto di
riorganizzazione delle relazioni che risulti
soddisfacente per tutte le parti coinvolte.
A partire dall'inizio degli anni ottanta si è diffusa l'idea
che molti conflitti sono causati dalla negazione di
bisogni umani fondamentali e che nessuna soluzione
può essere trovata se non si tiene conto di tali
bisogni170. Pertanto, in una situazione di negazione di
diritti e bisogni, non sempre è presente il prerequisito
del dialogo, necessario alla mediazione.
169Castelli S., La Mediazione. Teorie e tecniche, Cortina
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170Burton J. W., Conflict: Human Needs Theory. St. Martin's
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