umorismo letterario d'autore

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Umorismo letterario d’autore Enrico Linaria Anton Germano Rossi Henri Michaux

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Dieci paginette dedicate ad Anton Germano Rossi e a Henri Michaux; due grandi umoristi nati nel 1899 che raggiunsero livelli stratosferici difficilmente eguagliabili.

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Umorismo letterario d’autore

Enrico Linaria

Anton Germano Rossi Henri Michaux

Due umoristi eccezionaliSe si ragiona di umorismo in Italia, due sono i nomi che possono subito ve-nire in mente: il commediografo Ettore Petrolini (1886-1936) e lo scrittore Achille Campanile (1900-1977). A nessuno viene in mente Anton Germano Rossi (1899-1948) che purtroppo è per tutti un emerito sconosciuto. Il fatto che sia sconosciuto è una vera e propria bestemmia. Perché Rossi è stato ed è un grande, anzi un grandissimo umorista. Pochi, anche nella sua città natale, Parma, lo sanno. Tra i suoi rarissimi estimatori c’è stato Carlo Silva che nel 1966 inserì nella collana “il picchio” dell’editore Bietti quarantuno racconti di Rossi sotto il titolo Porco qui, porco là. Silva, che dirigeva la col-lana, definiva questi racconti “contronovelle”, “scritti pregni di comicità pura, clownesca, impossibile”. «Sono scritti – sottolineava Silva – che anticipa-no quel surrealismo comico destinato a caratterizzare l’umorismo italiano del dopoguerra. Storielle brevi, situazioni esilaranti, avventure pazzesche. Tutte però con un sottofondo di verità. Difatti, più che storie irreali, queste sono caricature della realtà: così come una caricatura evidenzia, distorcen-dola, la fisionomia di una persona, le “contronovelle” di Rossi – concludeva Silva – ci inducono, tra una smorfia e una risata, a guardare un po’ più a fondo nel ridicolo e nel farsesco che noi tutti ci portiamo appresso».

Una delle “contronovelle” più belle è Il famoso barbiere, racconto dove ci sono tutti gli elementi della scrittura incalzante ed essenziale di Rossi il cui stile ricorda moltissimo quello di Plume di Henri Michaux, anche lui nato nel 1899 e anche lui grandissimo umorista. Nel rievocare Rossi proponendo alcuni suoi racconti, vale la pena ricordare anche Plume di Michaux pubbli-cato da Gallimard nel 1963 e, in Italia nella traduzione di Alfredo Giuliani, da Bompiani nel 1971 col titolo Un certo Piuma. Anche di Plume (scritto nel periodo 1930-1936, dunque negli stessi anni delle “contronovelle”) saran-no proposti alcuni stralci per un omaggio parallelo alla genialità di Rossi e a quella di Michaux. Omaggio che nel sottolineare – con scritti di circa ottant’anni fa – la genialità di questi due umoristi, si propone di sminuire il valore di tanti presunti pseudoumoristi dei giorni nostri

Il famoso barbieredi Anton Germano Rossi

– Buon giorno – salutò sorridendo il nuovo cliente entrando dal famo-so barbiere e mettendosi a sedere. – Barba! ... – ... e capelli – disse freddamente il famoso barbiere passando l’asciu-gamano sotto il collo del nuovo cliente. – No – replicò gentilmente il nuovo cliente: – barba sola. – Barba, capelli e frizione – disse il famoso barbiere ancora fredda-mente pigliando le forbici. – Stia fermo con la testa! – aggiunse secco dandogli un ceffone. – Ma... – disse il nuovo cliente. – E zitto! – esclamò il famoso barbiere appioppandogli un violento scappellotto. – Ma... – tentò ancora il nuovo cliente.

– Guardi... – disse gentilmente il vecchio cliente chinandosi affet-tuosamente verso il nuovo cliente e mettendosi un dito sulla bocca: – è meglio che stia zitto... – Lei si impicci per sé! – disse il garzone del famoso barbiere al vecchio cliente dandogli un cazzottone sotto il mento. – Andiamo! – aggiunse poi rimettendogli violentemente la testa a posto. – C’è molto? – domandò sorridente un cliente entrando in quel mo-mento – altrimenti ripasso! – E fece l’atto di uscire. – C’è quanto ci pare – disse un altro garzone alzatosi improvvisamente, agguantando per il petto il cliente entrato in quel momento e sbatten-dolo su una sedia. – Lei non ripassa un corno... capito? – aggiunse poi mettendogli un dito sotto il naso. – Senta – rischiò debolmente il nuovo cliente al famoso barbiere – li vorrei con la sfumatura... – Ragazzo! – disse freddamente il famoso barbiere facendo un rapido cenno con la testa al ragazzo che accorreva – stacca un bottone al cap-potto del signore... così impara a non chiacchierare. – Ma... – disse il nuovo cliente. – Strappagli il nastro al cappello... – insisté, ostentando la calma, il famoso barbiere rivolto al ragazzo che strappò il nastro al cappello del nuovo cliente. – Ha visto che capoccia ci ha questo qui? – domandò ad un tratto il garzone rivolto al famoso barbiere, indicando il vecchio cliente. – E questo? – rise il famoso barbiere acchiappando con forza la testa del nuovo cliente e voltandola verso il garzone. – Poi fanno tante storie! – aggiunse sogghignando. – Ve la do io, per la miseria! – terminò scuotendo la testa e ricominciando a sforbiciare.

Ed ecco un’altra “contronovella”.

Sollazzidi Anton Germano Rossi

– Che c’è? – domandò la vecchia signora. – Vieni – disse tutta giuliva la giovane viaggiatrice; – vieni mamma; buttano un viaggiatore dal finestrino. Tutti quelli dello scompartimento risero divertiti. – Non passa! – constatò ad un tratto un giovanotto che spingeva il grosso viaggiatore fuori dal finestrino. – Bisognerebbe che qualcuno an-dasse a prendere una corda e ce la gettasse dall’altra parte. Subito tre o quattro, ridendo tutti allegri, si precipitarono fuori dello scompartimento. – Ma – disse la vecchia signora al signore anziano che le era vicino – si può gettare un viaggiatore dal finestrino? – Certo – rispose il signore anziano sorridendo bonariamente – purché facciano presto... nessuno dice niente. Cosa vuole! un viaggiatore solo! Ce ne sono tanti! Tutti erano ritornati nel vagone e spingevano il viaggiatore che era a metà fuori del finestrino. – Non state lì a guardare senza far niente – rimproverò uno dei giovani

che spingeva tutto trafelato e allegro: – date una mano! Ecco il capotreno – informò la signorina. – Che c’è? – domandò il capotreno. – Niente – rispose uno dei giovani che spingevano – stiamo gettando giù dal finestrino un viaggiatore. – Non si può mica – disse il capotreno. – Come? – protestò un signore di mezza età. – Ma se io ne ho buttati giù tanti. L’ultima volta... – Un mese fa forse? – domandò il capotreno. – Sì – annuì il signore di mezza età, – proprio un mese fa. – Allora sì – disse sorridendo gentilmente il capotreno – è dal 15 del mese che è proibito gettar viaggiatori dal finestrino. – Strano – commentò il signore di mezza età. – Ce lo lasci gettare! – pregarono tutti; – è quel signore anziano grosso, con la barba bianca. Per questa volta! – implorò la signorina. Il capotreno sorrise. Allora tutti, gridando gioiosamente, si rimisero a spingere il viaggiatore fuori dal finestrino. – Passa! Passa! – gridarono tutti a un tratto, riunendo le forze. Alcuni viaggiatori incuriositi si erano fermati a guardare nel corridoio. – Andiamo – informò uno con disprezzo: – buttano giù dal finestrino un viaggiatore. Hanno fatto bene a proibirlo. Una risata gioiosa accolse la scomparsa del viaggiatore dal finestrino. – Era duro! – disse uno dei giovanotti. – Non mi è mai capitato di get-tar giù dal finestrino un viaggiatore che mi facesse faticar tanto. E tutti si misero ad asciugarsi il sudore e a raccontare.

In quegli stessi anni Michaux scrive La notte dei bulgari, racconto, come Sollazzi, incentrato su gente buttata giù dal treno.

La notte dei bulgaridi Henri Michaux

Bene, si era sulla via del ritorno. Sbagliammo treno. Allora, siccome si stava là con un mucchio di bulgari, che mormoravano non si sa che tra di loro e si agitavano continuamente, preferimmo farla finita subito. Fuori le pistole e sparammo. Sparammo precipitosamente, perché di loro non ci fidavamo proprio. La cosa migliore era anzitutto eliminarli. Loro, tut-to sommato, parvero sorpresi, ma coi bulgari mai fidarsi. – Alla stazione successiva salgono un bel po’ di viaggiatori, dice il ca-potreno. Si arrangino accanto a quelli là (e indica i morti) in modo di occupare un solo scompartimento. Adesso non c’è motivo che loro e loro occupino scompartimenti distinti. E li guarda severamente. – Sì. sì, certo, ci arrangeremo! Come no! Sicuro! Subito! E con viva premura si dispongono accanto ai morti e li sorreggono. Non è mica tanto facile. Sette morti e tre vivi. Ci si pigia tra corpi fred-di, e le teste dei “dormienti” ciondolano tutto il tempo. Cadono sul collo dei tre giovani. Come urne portate a spalla, quelle teste gelide. Come

urne di granito, contro le guance, quelle barbe ispide, che all’improvviso si mettono a crescere con raddoppiata velocità Passare la notte. Poi di mattina presto si cercherà di sloggiare. Forse il capotreno avrà dimenticato. Ciò che importa è di stare buoni e tranquilli. Fare in modo di non destare la sua attenzione. Restarsene pigiati come ha detto lui. Dimostrare buona volontà. Al mattino, s’andrà via alla che-tichella. Prima d’arrivare alla frontiera, ordinariamente il treno rallenta. Fuggire sarà più facile, si passerà un po’ più lontano per la foresta con l’aiuto di una guida. Così si convincono l’un l’altro a pazientare. Nel treno, i morti sono molto più scossi dei vivi. La velocità li molesta. Non possono restare quieti un momento, ciondolano sempre di più, ven-gono a parlarvi sullo stomaco, non ce la fanno più. Bisogna governarli con durezza e non lasciarli un momento; bisogna comprimerli contro le spalliere, l’uno sulla sua sinistra e l’altro sulla sua destra, soppressarli ma allora le loro teste sbattono. Bisogna sostenerli fermamente, questo è l’importante. – Qualcuno di lor signori non potrebbe fare un po’ di posto a questa vecchia signora? Impossibile rifiutare. Piuma si prende un morto sulle ginocchia (ne ha un altro alla propria destra) e la signora si accomoda alla sua sinistra. Adesso succede che la vecchia signora s’è addormentata e la sua testa ciondola. La sua testa e quella del morto si sono incontrate. Ma soltanto la testa della signora si risveglia, e lei dice che l’altra è alquanto fredda e lei ha paura. Ma loro osservano vivacemente che lì fa un gran freddo. Provi a toccare. Mani si tendono verso di lei, mani assolutamente ge-lide. Forse sarebbe meglio per lei andare in uno scompartimento più caldo. Lei si alza. Quindi ritorna col controllore. Il controllore intende verificare se il riscaldamento funziona normalmente. La signora dice: “Tocchi quelle mani”. Ma tutti gridano: “No, no, è l’immobilità, è che le dita si sono addormentate per l’immobilità, non è niente. Qui sentiamo tutti abbastanza caldo. Sudiamo perfino, tocchi qui la fronte. In una parte del corpo c’è traspirazione, nell’altra prevale il freddo, è colpa dell’im-mobilità, nient’altro che l’immobilità”. – Quelli che hanno freddo, dice Piuma, si riparino la testa con un gior-nale. Serve a star caldi. Gli altri afferrano al volo. Subito tutti i morti vengono incappucciati con giornali, incappucciati biancheggianti, fruscianti. È più comodo, li si riconosce immediatamente nonostante l’oscurità. E poi non c’è più rischio che la signora tocchi una testa gelida. Frattanto sale una ragazza. Ha sistemato i bagagli nel corridoio. Non fa mostra di volere cercare un posto, è una ragazza molto riservata, mo-destia e stanchezza pesano sulle sue palpebre. Non chiede niente. Ma bisognerà farle posto. Loro vogliono farglielo assolutamente, pensano a come smaltire i loro morti, pensano di disfarsene un po’ alla volta. Ma tutto considerato, sarebbe meglio cercare di eliminarli subito l’uno dopo l’altro, dato che alla vecchia signora si potrà forse celare la cosa, ma con due o tre persone estranee l’operazione diventerebbe piuttosto difficile. Abbassano il finestrino con precauzione e l’operazione incomincia. li si

sporge fino alla vita, e poi li si ribalta fuori. Ma occorre piegargli bene le ginocchia per evitare che rimangano appesi, giacché mentre stanno pen-zolanti, la loro testa batte dei sordi colpi sullo sportello, proprio come se volesse rientrare. Forza! Coraggio! Presto si potrà di nuovo respirare. Ancora uno e sarà finita. Ma l’aria fredda che entra dal finestrino ha risvegliato la vecchia signora.. Sentendo un po’ di movimento, il controllore torna, per sgravio di co-scienza e ostentazione di cortesia, a verificare se per caso non ci sarebbe nello scompartimento, sebbene sappia benissimo il contrario, un posto per la signorina che è nel corridoio. – Ma certo, ma certo che c’è! esclamano loro. – È straordinario, fa il controllore... avrei giurato... – È proprio straordinario, dice anche lo sguardo della vecchia signora, ma il sonno rinvia le domande a più tardi. Purché la ragazza adesso si addormenti! Un morto, questo è vero, sarebbe già più plausibile di cinque morti. Ma è meglio evitare qualsia-si domanda. Perché quando si è interrogati ci s’imbroglia facilmente. Contraddizioni e colpe spuntano da tutti i lati. È sempre preferibile non viaggiare con un morto. Soprattutto quando è stato vittima d’un colpo di pistola, perché il sangue perduto gli dà una cattiva cera. Ma poiché la ragazza è troppo prudente e non vuole addormentarsi davanti a loro, e dopotutto la notte è ancora lunga, e prima delle quattro e mezzo non si toccherà una stazione, non si preoccupano molto, e ce-dendo alla stanchezza s’addormentano. Bruscamente Piuma s’accorge che sono le quattro e un quarto, sveglia Pon... e sono d’accordo nel perdere la testa. Senza pensare ad altro che alla prossima fermata e al giorno incombente che metterà tutto in chia-ro, gettano rapidamente il morto dallo sportello. Stanno già asciugan-dosi la fronte quando sentono il morto ai loro piedi. Dunque non era lui che hanno buttato fuori. Com’è possibile? Eppure aveva la testa avvolta in un giornale. Ma insomma, si vedrà più tardi. Agguantano il morto e lo scaraventano nella notte. Uffa! Com’è bella la vita per i vivi! Com’è allegro questo scompartimento! Svegliano i compagni. Toh, è D... Svegliano le due donne. – Sveglia, siamo quasi arrivati. Tra pochissimo ci siamo. Dormito bene? Un treno eccellente, vero? Tutto a posto? Aiutano a scendere la vecchia signora e la ragazza. La ragazza che li guarda senza dire niente. Loro si trattengono. Non sanno più che cosa fare. È come se avessero finito tutto. Compare il capotreno e dice: – Su, facciano presto. Scendano con i loro testimoni! – Ma noi, fanno loro, non abbiamo testimoni. – Ah bene, dice il capotreno, se vogliono un testimonio contino pure su me. Mi aspettino un momento dall’altra parte della stazione, davanti agli sportelli. Li raggiungerò subito, nevvero. Ecco un lasciapassare. Ar-riverò in un lampo. Mi aspettino. Loro si avviano e, una volta là, se la squagliano.

E adesso un’altra “contronovella” di Rossi.

Lo sfiziodi Anton Germano Rossi

– C’è nessuno – domandò il celebre chirurgo – che deve ancora farsi tagliare una gamba? – Ce n’è uno qui – disse un tale alzandosi a sedere sul letto e indicando un vecchio signore con la barba, alla sua sinistra. – Se non dice niente... – disse poi rivolto al vecchio signore. – Mi dispiace seccare... – rispose il vecchio signore confuso. – Che seccare! S’immagini! – assicurò il celebre chirurgo accorrendo. – Sta anche a fare complimenti. Ecco qua! – fece poi, dando l’ultimo colpetto alla gamba e mettendola in terra. – Grazie – disse il vecchio signore con la barba, contemplandosi l’unica gamba; – e dica un po’... a tagliare anche quest’altra che ne direbbe? – Ma certo... Per me, taglierei anche quella: tanto che ci fa? – È per lei – disse il vecchio signore confuso; – mi secca farle perdere tanto tempo. – Ma per carità – sorrise il famoso chirurgo. – Dia qua subito. Se lo fa per complimento fa male. Ecco fatto anche questo – disse poi. – Che glie ne pare? – domandò il vecchio signore con la barba al vicino di prima rimirandosi pensoso. – Benissimo! – disse il vicino di letto guardandolo compiaciuto. – Per-ché non si fa togliere anche le braccia? – Eh! Quasi, quasi! – esclamò il vecchio signore sorridendo e guardan-do timidamente il famoso chirurgo. – Ma non faccia complimenti! – disse seccamente il famoso chirurgo. – Allora è inutile! Sono qua per questo, sa, io? – Ecco mia moglie! – gridò ad un tratto il vecchio signore sorridendo ad una signora che veniva dal fondo della corsia. – Buon giorno signora! – salutò il famoso chirurgo portando via le due braccia e le due gambe. – Buon giorno dottore – rispose la signora del vecchio signore con la barba. – Come va? – domandò poi rivolgendosi al marito. – Bene! Tira un po’ giù le lenzuola! – Ma che hai fatto? – domandò la signora sorpresa. – Ma santo Dio, non ti si può lasciare solo un momento che fai subito di testa tua! Stavi tanto bene con le gambe e le braccia! – Adesso, signora, se le levano tutti, sa... – disse il famoso chirurgo sorridendo; – sta meglio così. – Capisco – mormorò la signora: – sarà... ma per me stavi meglio pri-ma.

Al di là della similitudine di stile, la palese rassomiglianza tra i due racconti della gente buttata giù dal treno c’è anche in due rispettivi racconti d’argo-mento chirurgico. Ecco quello di Michaux.

Piuma aveva male al ditodi Henri Michaux

Piuma aveva un po’ male al dito. – Sarebbe forse meglio consultare un medico, gli disse la moglie. Spes-so basta una pomata... E Piuma andò dal medico. – Un dito da tagliare, disse il chirurgo, è magnifico. Con l’anestesia ne avrà tutt’al più per sei minuti. Dato che lei è ricco, non ha bisogno di tante dita. Sarò felicissimo di farle questa piccola operazione. Poi le mo-strerò qualche modello di dita artificiali. Ce n’è uno che è graziosissimo. Un po’ caro, senza dubbio. Ma non è il caso, naturalmente, di badare alla spesa. Noi le faremo il miglior trattamento. Piuma si guardò malinconicamente il dito e si schernì. – Sa dottore, è l’indice, un dito molto utile. A proposito, dovrei scri-vere ancora a mia madre. Mi servo sempre dell’indice per scrivere. Mia madre si preoccuperebbe se tardassi ancora a scriverle. tornerò tra qual-che giorno. È una donna tanto sensibile, si agita molto facilmente. – Non sia mai, gli disse il chirurgo, ecco qui della carta, carta bianca, naturalmente non intestata. Qualche parola affettuosa da parte sua la renderà felice. Nel frattempo vado a telefonare alla clinica perché preparino tutto, e non resti che da prendere gli strumenti sterilizzati. Torno subito... Ed eccolo già tornato. – Tutto a posto, ci aspettano. – Mi scusi, dottore, fece Piuma, sa, mi trema la mano, è più forte di me... – Benissimo, gli disse il chirurgo, lei ha ragione, meglio non scrivere. Le donne sono terribilmente perspicaci, specie le madri. Vedono dap-pertutto reticenze, quando si tratta dei loro figli, e da un’inezia montano una tragedia. Per loro, siamo sempre degli infanti. Ecco il suo bastone e il cappello. L’auto ci aspetta. E giunsero nella sala operatoria. – Senta, dottore. Veramente... – Oh! fece il chirurgo, non si agiti, lei ha troppi scrupoli. Scriveremo insieme questa lettera. Ci penserò su mentre la opero. E avvicinandogli la mascherina lo addormentò. – Avresti anche potuto chiedere il mio parere, disse la moglie di Piuma al marito. Non ti credere che un dito perduto si ritrovi tanto facilmente. Un uomo con dei moncherini , non mi va mica molto. Quando la tua mano sarà un po’ troppo sguarnita, non contare più si di me. Avresti fatto me-glio a pensarci prima...

Il nesso tra i due racconti è evidente. Ed ecco altri stralci di Plume che evi-denziano lo stile asciuttissimo di Michaux, davvero molto simile a quello di Anton Germano Rossi. Circostanza fortuita o uno dei due influenzò l’altro? E se si fossero influenzati a vicenda?

Altri stralci di Plume

Piuma non può dire che per lui in viaggio si abbiano molti riguardi. Alcuni gli passano sopra, altri si asciugano tranquillamente le mani con la sua giacca. Ci ha fatto l’abitudine. Preferisce viaggiare in tutta mode-stia. Finché sarà possibile, si comporterà così. Se gli servono in malo modo, una radice nel piatto, una grossa radice: “Via mangi, che cosa aspetta?”. “Oh, certo, subito, ecco”. Non vuol procurarsi complicazioni inutil-mente. E se la notte gli si rifiuta un letto: “Che! Non sarà mica venuto così di lontano per dormire, no? Via, prenda il suo baule e la sua roba, questo è il momento della giornata in cui si cammina più tranquilli”. “Oh, certo, sì, certo... Era per ridere, naturalmente. Oh, sì... scherza-vo”. E riparte nella notte buia. E se lo buttano fuori del treno: “Ah! Allora lei crede che si scaldi per tre ore questa locomotiva e si attacchino otto vetture per trasportare un gio-vanotto della sua età, in perfetta salute, che può essere tranquillamente utilizzato qui, che non ha nessun bisogno di andarsene laggiù, e per que-sto si sarebbero scavate gallerie, si sarebbero fatte saltare tonnellate di roccia con la dinamite e collocate centinaia di chilometri di rotaie sotto tutte le stagioni, senza contare che bisogna ancora sorvegliare di conti-nuo la linea per timore di sabotaggi, e tutto questo sarebbe fatto per...”. “Certo, certo. Comprendo perfettamente. Ero salito solo per dare un’occhiata. Ecco, tutto qui. Una semplice curiosità. oh. E mille grazie”. E se ne torna indietro coi suoi bagagli. E se a Roma chiede di visitare il Colosseo: “Ah, no! Senta, è già abba-stanza mal ridotto. E poi dopo averlo veduto lei vorrà toccarlo, appog-giarcisi sopra, sedercisi... è così che poi si finisce col restare con delle rovine dappertutto. È stata una lezione per noi, una vera lezione, ma in avvenire, no, per davvero, chiuso”. “Certo! Certo! Era... Volevo soltanto una cartolina, una fotografia, forse... se per caso...”. E lascia la città senza avere visto niente.

Ed ecco il fuoco d’artificio finale. È un racconto di Anton Germano Rossi che ha per protagonisti i vecchietti. La “caricatura”, estrema, è adattissima ai giorni nostri: perché se oggi parecchi vecchietti non vengono buttati giù dall’ultimo piano, sono però sorvegliati dalle badanti e mortificati nel rapporto che ancora potrebbero avere – per quanto gliene resti poca – con la vita.

Quei vecchietti...di Anton Germano Rossi

– Che c’è – domandò il signore col panama nuovo a un postino sceso dalla bicicletta. – Ma, non so... – disse il postino sceso dalla bicicletta, guardando in alto... – Che c’è? – domandò poi ad uno della folla con un pacco sotto il braccio. – Ah!... niente! – rispose quello con un pacco sotto il braccio: – buttano

giù un vecchietto dall’ultimo piano. – Ah! – esclamò il postino sceso dalla bicicletta e rivolto al signore con il panama nuovo: – buttano giù un vecchietto dall’ultimo piano... Chissà che mi credevo!... – aggiunse poi alzando le spalle e rimontando in bicicletta. –Quale è? – domandò il signore col panama nuovo all’uomo col pacco sotto il braccio: – quello che fa capoccella a quella finestra dopo il bal-cone? – Sì – disse l’uomo col pacco sotto il braccio; poi rivolto a un gruppetto: – Vengano via di là... finché stanno lì sotto non possono mica buttarlo! Che gente! – esclamò poi rivolto al signore col panama nuovo – sembra non abbiano mai visto buttare un vecchietto dall’ultimo piano! – L’hanno buttato? – gridò una donna dalla finestra sotto a quella del vecchietto, senza osare di affacciarsi. – No! No! – gridarono tutti facendo segno di aspettare. – Dirà niente nessuno? – domandò timidamente il signore col panama nuovo. – No... disse uno alzando le spalle – basta che facciano presto prima che arrivino i parenti... – Ce ne sono ancora molti di vecchietti da queste parti? – domandò ancora il signore col panama nuovo. – E... adesso non credo – rispose quello col pacco sotto il braccio: – prima era pieno, ma ormai... credo che questo sia l’ultimo... – No – disse un ragazzo indicando più giù con la mano – laggiù ce n’è un altro. – Bene – ribatté quello col pacco sotto il braccio – saranno due, ma di più non ce ne possono essere... Guarda guarda – disse poi indicando un uomo e una donna che correvano verso il portone – lo dicevo... addio! ... hanno fatto arrivare i parenti... – Che non si possa lasciare un vecchietto solo in casa un momento! – gridò uno dei parenti rivolto agli astanti. – Bel gusto! – disse poi ri-volto a un giovanotto che usciva svelto dal portone ostentando un’aria distratta – vero? – Io? – disse il giovanotto che usciva svelto dal portone, portandosi una mano davanti alla bocca per non scoppiare dal ridere. – No, io! – dissero, secchi, i parenti del vecchietto infilando il portone. – Voglio vedere quando la finiscono di buttare i vecchietti dalla finestra! – aggiunse poi uno dei due. – Ma com’è? – rimproverò uno sottovoce e rapidamente, al giovanotto uscito svelto dal portone, con aria di rimprovero – ci avete messo un buggerio... – Che ho da fare! – rispose quello, rivolto al gruppetto che gli si era affollato intorno – è inutile! uno solo non gliela fa a buttare un vecchiet-to... s’era attaccato alla finestra... – Ma scusi – intervenne uno della folla – allora, se fa così, vecchietti non ne butterà mai sotto, glielo dico io... – Che! – replicò risentito il giovanotto: – avesse lei tanti fogli da cento quanti vecchietti ho buttato io di sotto... – Ma faccia il piacere! – esclamò quello della folla alzando le spalle e andandosene: – lo racconti a un altro...

© Enrico Linaria, gennaio 2013FINE