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medesima città, risulta elencato (n.o 3209) come Scena storica ecc. e intitolato a J acopo Robusti, detto il Tintoretto. Con tale ascrizione passò ed è rimasto sinora nella raccolta norvegese. Al primo sguardo, escluso il presunto rapporto col maestro citato, si rivela la sicura attinenza per ciò che riguarda soggetto e composizione, col noto Martirio dei Santi Marco e Marcellino, che Paolo Veronese dipinse, attorno al 1565, per la chiesa di S. Sebastiano a Venezia. Il disegno misura cm. 21,5 X 31,5; condotto a penna, lievemente toccato di bistro, alquanto impallidito ma in discrete condizioni, si riporta, come sesto, al formato del dipinto (TAV. CIV). (In basso, verso il mezzo, una vecchia scritta, forse decifrabile in Paolo o Polo Veronese). Quanto alla raffigurazione, si vede come la concordanza fra i due sia quasi completa. Oltre talune variazioni nel numero, nella distribuzione e attitudine dei personaggi, la scena del disegno risulta accorciata, mancandovi la porzione laterale (col gruppo di donne presso il loggiato) che si dimostra addossata alla zona principale del quadro, sicchè, nel primo, con quel rapido concludersi verso destra, l'azione movimentata si avvantaggia in speditezza e efficacia.
. Pertanto, il disegno mi sembra piuttosto rimarchevole, da giustificare, a parte lo spostamento di nome, l'attribuzione del Rumohr (o del Catalogo) a mano di maestro. Che poi questo giudizio impegnativo abbia a mantenersi nel caso di Paolo Veronese, come suggerirebbe il fatto che debba qualora trattarsi d'un primo pensiero (inteso però come qualcosa più d'un semplice appoggio mnemonico) per la pittura già detta, non credo si possa senz'altro affermare, dopo aver ricorso a un congruo esame stilistico del disegno medesimo e agli opportuni raffronti con gli altri .che documentano la pur varia ma sempre coerente maniera disegnativa del Veronese, risultandone abbastanza evidenti i caratteri differenziali. Ciò vale quando ci si voglia riferire al gruppo di disegni vagliati dal von Hadeln per una sicura paternità del Caliari, mentre d'altro lato può rilevarsi una stretta affinità del disegno di OsIo con altro dell'«Albertina» di Vienna, una Adorazione' dei Magi, pur esso a penna e acquarello, ascrittQ al Maestro dal Meder, dal Wickhoff e dai compilatori del catalogo della Collezione medesima. (Catalogo dell'«Albertina», I: Scuola veneziana, n.O 105, Invent. n.O 1625). A ogni modo, credo che il disegno debba riconoscersi improntato a una vivacità espressiva di primo getto, da eliminare il supposto d'una sua derivazione dal
dipinto, eventualità tanto più da escludersi quando si considerino le notevoli varianti d'assieme che si scorgono tra l'una e l'altra com-posizione. ANTONY DE WITT.
UN QUADRO DI DOMENICO BECCAFUMI NEL MUSEO DI STATO DI BERLINO.
La tavoletta, non grande (0,60 X 1,00 m.), raffigura una scena della leggenda di Santa Lucia (TAV. CIV).
Sullo sfondo del paesaggio toscano, fine, trasparente, a leggeri riflessi brumosi azzurro avorio, si profila l'elegante porticato dell'edificio, ove si svolge l'azione principale.
Nell'ombra siede l'imperatore; vestito di rosso, egli protende in avanti la sinistra nell'atto di comando. Un vecchio, che gli è seduto accanto, alza ambe le mani in segno di orrore e di protesta. La Santa Lucia, avvolta in una leggiadra tunica violacea dalle maniche azzurrognole, giunge le palme delle mani nell'atto di rassegnazione. Il volto oblungo, il naso breve e la bocca turgida si riscontrano in tanti altri quadri del Beccafumi.
Dietro, il carnefice, quasi ignudo, coperte solamente da leggera tunica a riflessi violacei svolazzante sul corpo di caldo avorio sfumato in bruno, alza il braccio destro armato di spada e curva il capo in atteggiamento di forzata ubbidienza.
Due figure virili in fondo a sinistra fanno da spettatori, come pure le donne tra le colonne del porticato.
La tavoletta ha tutte le caratteristiche dello stile beccafumiano ed appartiene al gruppo delle pitture con figure di piccole proporzioni, nelle quali il maestro svolse le sue linee fluenti e profuse l'abbagliante ricchezza del colore, senza cadere in volgari deformazioni. Occupa il posto intermedio tra il quadretto La continenza di Scipione nella Galleria di Lucca e gli affreschi della Casa di Marcello Agostini (oggi Bindi-Sergardi) eseguiti dal Beccafumi tra il 1520-1525. La tavoletta ha in comune con dette pitture l'armonia coloristica ed il ritmo. cadenzato dei movimenti; il senso prospettico è mirabile; la striscia bianca argentina della strada, fuggente verso le colline lontane, ricorda quella del quadro lucchese.
Anche nella figurina di Santa Lucia, si riscontra la grazia e l'armonia dei movimenti che tanto ingentiliscono la sposa del quadro lucchese e del riquadro della casa Bindi-Sergardi.
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I panneggi non formano pieghe aggrovigliate, ma seguono la linea del corpo in curve schematiche: due o tre pieghe più pronunciate sono sufficienti a rendere il movimento. Le ginocchia si scostano, la stoffa del v estito si protende, si gonfia, dando alla figura una mossa caratteristica. I gesti delle mani, come l'atto di comando dell'imperatore, e l'atto di orrore del vecchio venerando, sono decisi, acquistano vigoria. I colori si liquefanno, diluendosi insensibilmente : i panneggi fluiscono quasi senza lasciare distinguere il passaggio insensibile dal panno al corpo ignudo.
Nel quadro berlinese, come nelle altre pitture citate, si svolge l'effetto cromatico delle scene lampeggianti, corrusche sopra una gamma nuova e ricca.
Il B eccafumi raggiunse con questo mirabile quadretto la perfezione della sua arte, creando un'opera stupenda per la composizione nitida e per l 'efficacia del chiaroscuro.
Oltre l'analisi stilistica che ci porta appunto ad attribuire il quadro berlinese al periodo del dipinto lucchese e degli affreschi di Bindi-Sergardi (1520-1525) esiste un documento del 26 luglio 1521 in cui si parla di pagamenti al pittore Domenico Beccafumi per un cataletto eseguito p er la Compagnia di Santa Lucia. Il quadro in questione forse faceva parte di detto cataletto. (Archivio del Patrimonio Ecclesiastico - Entrata e Uscita della Compagnia di Santa Lucia -Registro D, III, Carta 2).
Il quadro fu acquistato nel 1930 ad una asta pubblica a Parigi. Proveniva dal Palazzo Torlonia a Roma; era poi passato alla Collezione Benson di Londra. Nel 1904 era stato esposto a Londra alla Mostra dell'Arte Senese.
MARIA GIBELLINO-KRASCENINNICOWA.
GLI AFFRESCHI RESTAURATI DI GIOVANNI MARIA CONTI IN SANTA CROCE A ,PARMA.
L'acqua filtrante da una vecchia , canalizzazione aveva marcito in parte gli affreschi del
l) I. GRASSI, Parmenses pictores, celatores, architecti et impressores, ms. del 1733 c. presso la Biblioteca Palatina di Parma, f. 29 v.; R. BAISTROCCHI, Guida di Parma, ms. del 1780 presso il R. Museo di Antichità, p. 38; I. AFFÒ, Il Parmigiano servitor di Piazza, 1796, p. lll ; BAISTROCCm e BERTOLUZZI, Biografie di artisti, ms. del secolo XVIII-XIX nel R. Archivio di Stato di Parma, f.29; P. RAVAZZONI, Artisti parmigiani, ms. della fine del secolo XVIII nella Biblioteca Palatina di Parma, n.O 21; A. SANSEVERINO, Notizie storiche artistiche delle chiese di Parma, m s. del secolo XVIII (fine) presso il Museo di Antichità di Parma; P. DONATI, Nuova descrizione della città di Parma, 1824, p. 121; G. BERTOLUZZI, Nuovissima Guida di Parma, 1830, p. 57; P. GRAZIOLI,
Conti n ella cappella di S. Giuseppe annessa all'antica chiesa di S. Croce in Parma.
La difficoltà maggiore del r estauro non era tanto il fis saggio dell'intonaco staccato dal muro e rigonfio di bozze - p er quanto si sia dovuto procedere per alcune zone allo strappo ed alla trasposizione (angioli della prima campata a sinistra) - come la rimozione di vecchi restauri e « rinvigorimenti » a cera sul colore, compromesso nel supporto dall'umidità assorbita. Spianate quindi le bozze e rifatto l'intonaco nelle parti vuote, si è proceduto con ogni cautela alla sgrassatura ed alla ripulitura dei pannelli, riportando ad pristinum il colore, che è ritornato duttile nel chiaroscuro e con le ombre filtrate come in tutti i conseguenti del Correggio.
Non un ritorno a' tempera, non un pentimento, non una illuminazione soprammessa: tutto è continuo, liscio e omogeneo anche per la finissima macinazione delle terre che ne ha favorito la ghiacciatura, mentre la miscela ben proporzionata di calce e sabbia non ha prodotto cretti, per cui ne è stato più agevole il pulimento, anche nei pannelli maggiormente danneggiati: il Sogno di Giuseppe e la Fuga in Egitto della parete d'ingresso. Ancora più facile il restauro degli affreschi della nave principale, per i quali non è occorsa alcuna assicurazione, in quanto il colore non aveva subito altro danno oltre quello della polvere e del fumo delle candele. Qualche lacuna causata dalla caduta di lievi scaglie è stata campita, come nella cappella di S. Giuseppe, in tinta neutra.
Restituiti così gli affreschi all'originario aspetto, ne è risultata stilisticamente esatta la tradizionale attribuzione a Giovanni Maria Conti d. della Camera (1614 ?-1670), ripetuta da tutti i descrittori di Parma 1), il Gabbi eccettuato, che attribuisce le pitture della cappella a Pier Antonio Bernabei 2): nè si comprende il perchè dell'affermazione, dato che la « Sagrestia nuova » o, meglio, la cappella di S. Giuseppe in S. Croce, veniva costruita tra il 1633 ed il '36 3), quando il Bernabei era morto da
Parma microscopica, 1847, p. 71; C. MALASPINA, Nuova Guida di Parma, 1869, p. 80; G. B. JANELLI, Dizionario biografico dei parmigiani illustri, 1877, p. 124; E. SCkRABELLI ZUNTI, Documenti e memorie di Belle Arti parmigiane, ms. del secolo XIX presso il R. Museo di Antichità di Parma, voI. V (1601-50), pp. 80-81 ,; N. PELICELLI in TmEME-BECKER, Kiinstler-Lexikon, VII (1912), pp. 335-336.
2) GABBI, Chiese di Parma, ms. del 1840 c. presso il R. Archivio di Parma.
3) Presso l'Archivio di &tato di Parma si conservano, con l'atto di fondazione della Compagnia di S. Giuseppe del 19 agosto 1628, diverse ricevute per la costruzione della « Sagrestia nuova di S. Giuseppe che detta ,Com-
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