una mostra: ritrovamenti e risarcimenti “genovesi” a novi ligure
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A. Orlando, Una mostra: ritrovamenti e risarcimenti “genovesi” a Novi Ligure in Tesori Sacri dalla collezione civica, catalogo della mostra a cura di A. Orlando e C. Vignola, Novi Ligure 2013, pp. 14-23TRANSCRIPT
Una mostra: ritrovamenti e risarcimenti “genovesi” a Novi Ligure
Anna Orlando
Storico dell’arte free lance esperta di pittura genovese
Poche sono le sopravvivenze del tessuto artistico di Novi Ligure, che oggi appare quanto mai sfi lacciato, da un lato per le
storiche dispersioni dei beni ecclesiastici, dall’altro, per le naturali migrazioni da privato e privato e dal collezionismo al
mercato dei quadri, che per loro intrinseca natura sono beni mobili. Sono queste, a uno sguardo d’insieme, la caratteristiche
del patrimonio artistico dell’Oltregiogo, appendice storicamente assai signifi cativa della Repubblica Ligure, come bene
ricostruisce con buona sintesi il saggio in catalogo della Galassi.
Il profi lo sfuggente del patrimonio storico artistico è il risultato di studi non sistematici, che si sono limitati, non senza
fatica e con risultati non esaustivi, a segnalazioni sporadiche, elenchi di opere, considerazioni circoscritte a specifi che
situazioni locali1. Manca a tutt’oggi una ricognizione critica delle opere di pittura genovese presenti a Novi in antico
e un aggiornato sguardo d’insieme che ricostruisca le presenze, di persona o con opere, dei protagonisti del Seicento e
Settecento pittorico ligure.
Per fare ciò, anche questa sede è prematura, perché oltre a un più sistematico lavoro sul territorio, la ricerca tutta da fare è
anche nei meandri del collezionismo privato, che esige una ricerca di qualche anno, auspicalmente a cura di chi si muove
agevolmente in un contesto geografi co e storico, come quello di Novi, dove le vicende delle famiglie locali si intrecciano
con quelle genovesi da almeno quattro secoli.
Questa mostra però vuole off rire qualche spunto e soprattutto qualche nuovo tassello fi gurativo e documentario, utile a chi
voglia più sistematicamente occuparsi di questo capitolo di storia dell’arte ancora da scrivere.
Lo fa innanzi tutto rendendo noti i risultati di una campagna di restauro condotta da diversi anni a cura della Civica
Amministrazione e sotto il controllo e la guida dei funzionari della Soprintendenza del Piemonte, da cui Novi dipende.
Secondariamente, con l’importante indagine svolta da Chiara Vignola nelle carte d’archivio inedite della Confraternita
della Santissima Trinità conservato presso la chiesa di San Nicolò, ma mai studiato.
Infi ne, con lo studio approfondito, mediante una schedatura, di una selezione di dieci opere di proprietà del Comune,
provenienti dalla chiesa del convento di San Francesco dei frati Minori Osservanti, dalla chiesa e dall’oratorio della
Confraternita Santissima Trinità e dalla chiesa del monastero di Santa Chiara.
Dei tre edifi ci, di cui si pubblicano anche delle schede sintetiche a cura di Beppe Merlano, uno in particolare ha catalizzato
l’interesse degli studi condotti in questa occasione. Si tratta dell’Oratorio della Santissima Trinità, di cui, oltre alle novità
relative all’archivio a cui si è accennato pocanzi, si pubblicano frammenti di una decorazione ancora da studiare.
1. Cfr. da ultimo il saggio di Fulvio Cervini, L’altra Liguria. Pittori genovesi tra l’Oltregiogo e il Po, in Maestri genovesi in Piemonte, catalogo della mostra a
cura di P. Astrua, A.M. Bava, C.E. Spantigati, Torino 2004, pp. 45-70, che contiene lo status quo degli studi e tutti i riferimenti bibliografi ci.
G. R. Badaracco, Santa Chiara che scaccia i
saraceni, Chiesa di Santa Chiara, dettaglio
1514
Oltre a quanto verrà considerato in relazione alle opere esposte (cfr. oltre), si
segnala la presenza di due pitture murali (aff reschi?) probabilmente tardo
cinquecenteschi. Uno ancora in loco in una parete corrispondente alla seconda
rampa della scala a chiocciola che porta all’organo, sopra la porta principale
della chiesa (fi g. 1)2. Un altro, che si trovava sulla parete sinistra della chiesa in
corrispondenza delle prime due arcate, staccato in occasione degli interventi di
restauro dell’edifi cio avvenuto nel 2003 o 2004 e attualmente conservato presso
l’uffi cio dell’assessorato ai lavori pubblici in Palazzo Dellepiane, sede del Comune
di Novi (fi g. 2)3. Essi paiono stilisticamente coevi e potrebbero appartenere allo
stesso momento decorativo, che probabilmente coincide con le trasformazioni
della chiesa tra XVI e XVII secolo in parte indagate da Beppe Merlano4, ma che
in merito all’assetto decorativo attendono ancora sostanziali chiarimenti.
In via del tutto preliminare sottopone all’attenzione degli studi qualche
osservazione in merito alla porzione di aff resco staccato dalla parete esterna
della chiesa sul lato adiacente il convento dei francescani. Il soggetto, la presenza
della scritta e di uno stemma possono fornire qualche indizio sul quale lavorare.
Innanzi tutto va riconosciuto come una Elemosina di san Martino, e quindi
rifl ette una scelta iconografi ca da parte della committenza legata al tema della
carità, aspetto su cui s’impernia l’attività della confraternita5. Due date di
riferimento importante per la storia della confraternita e che potrebbero essere
un’indicazione di massima per questa decorazione, sono il 1578, anno in cui la
Confraternita si aggrega all’Arciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini e
Convalescenti di Roma, e il 1580, quando assume la defi nitiva denominazione
di Compagnia di S. Maria e S. Trinità6.
La scritta sotto la parte fi gurata presenta tre lettere maiuscole “VES” parte di una
scritta monca, che potrebbe alludere a una delle opere di misericordia, vestire gli
ignudi, a cui allude esplicitamente l’iconografi a di san Martino.
Lo stemma raffi gurante un piede è affi ancato a sinistra delle iniziali di un nome,
probabilmente Giuseppe Maria, e a destra l’abbreviazione di un cognome, che
potrebbe far pensare a un cognome genovese diff uso quale Carrega o Carega
2. Devo la segnalazione a Chiara Vignola che ringrazio.
3. Cm 206 x 108. Devo la segnalazione a Chiara Vignola che ringrazio e al cui saggio in catalogo si
rimanda.
4. B. Merlano, Alcune precisazioni sull’oratorio della SS. Trinità di Novi Ligure, in “In Novitate”
1965/II, numero unico, p. 21; B. Merlano, a cura di, L’Oratorio della Trinità. Un bene culturale da conservare, pubblicazione dell’Assessorato alla Cultura, 1982, Arti Grafi che Novesi.
5. Cfr. il saggio di C. Vignola in catalogo con i relativi rimandi bibliografi ci.
6. Idem.
(Calega), ma che più probabilmente, o per la presenza di quell’immagine di
piede o calzatura, va sciolto in Callegari7. La porzione di scritta “Caleg.” e lo
stemma raffi gurante un piede o meglio la forma di una scarpa conducono la
ricerca alla radice del cognome Calegari (o Callegari), calig, che ha origine dal
vocabolo tardo latino caligarius (calzolaio), cioè chi produceva o commerciava in
scarpe (in latino caliga)8.
Indizi e tracce frammentarie, come si vede, ma dalle quali si potrà prendere avvio
per ulteriori auspicabili studi.
Dalla chiesa del convento di San Francesco dei Frati Minori proviene lo
splendido dipinto raffi gurante il Beato salvatore da Horta che benedice gli infermi
di Bernardo Strozzi (Genova 1582/83 – Venezia 1644) (fi g. 3), sebbene non si
abbiano documenti circa la committenza né la storia di provenienza del quadro,
che passò al Comune unitamente all’intero edifi cio venduto dai francescani nel
1862. La chiesa rimase offi ciata fi no al 1895 ed è quindi probabile che fi no a
quella data l’opera rimase in loco9.
Il dipinto è ben noto e già studiato di recente, perché esposta nel 1995 a Genova
in occasione dell’importante rassegna monografi ca sul pittore10. Il più antico tra
i dipinti esposti, poiché databile al 1625 circa, è anche quello di maggior rilievo
dal punto di vista qualitativo, per la statura del suo autore.
Bernardo Strozzi, detto il Cappuccino o il Prete Genovese, entra in convento
a Genova all’età di 17 anni circa e vi rimane per nove anni, fi no al 1608-1609
circa. Qui inizia a dipingere, ma l’attività più feconda si svolge nei due decenni
successivi, tra il 1610 e il 1630 circa, quando lavora tra gli altri, per i Doria
e i Centurione, anche come frescante. Con gli anni Venti, a cui appartiene la
pala di Novi, si assiste alla sua maturazione artistica, con l’abbandono della
grazia toscana per un maggiore accostamento al naturalismo di matrice sia
caravaggesca, sia rubensiana. Del fi ammingo Pietro Paolo Rubens, a Genova nel
1605, è tra i primi a comprendere il valore espressivo del colore, anche nella sua
valenza materica. Le due componenti si vedono bene anche nel quadro esposto:
la teatralità espressiva delle fi gure sulla sinistra, accese in una luce forte che
7. Da una veloce indagine archivistica nello Stato delle Anime della chiesa di S. Nicolò, parrocchia di pertinenza dell’Oratorio, Chiara Vignola e Cristina Daff onchio mi segnalano la presenza di un Maria
Carega che abitava in contrada del Bregna nel 1592, una Giacomina Carega (Jacomina), “massara” nella cascina di un Girardengo, nello stesso anno. Inoltre l’esistenza di un Francesco Cavana Callegaro
che abitava nella casa di frati francescani vicino alla Trinità nel 1592.
8. Per la ricerca dell’etimologia dei cognomi novesi devo ringraziare l’Ing. Francesco Melone, direttore della Rivista storica “Novinostra”.
9. Cfr. la scheda sull’edifi cio in catalogo.
10. M.C. Galassi in Bernardo Strozzi (Genova 1582/83 – Venezia 1944, catalogo della mostra di Genova a cura di E. Gavazza, G. Nepi Scirè, G. Rotondi Terminiello, Milano 1995, n. 35 p. 168 e da ultimo
R. Vitiello in L’altra Liguria... 2004, cit., n. 4 pp. 84-85.
1. Figura inginocchiata, aff resco,
chiesa dell’oratorio della Santissima Trinità,
fi ne secolo XVI (?)
2. Elemosina di san Martino, aff resco staccato,
proveniente chiesa dell’oratorio della Santissima
Trinità, ora in Palazzo Dellepiane, fi ne secolo
XVI (?), sotto dettaglio
3. B. Strozzi, Beato salvatore da Horta che benedice gli infermi, Palazzo Pallavicini (Comune di Novi),
piano nobile, dettaglio
3. Scena sacra
(già Oratorio della Trinità, esterno)
1716
inonda lo spazio della scena con eff etti di teatralità di tipo caravaggesco, e la squisita corposità del colore, soprattutto nei
rialzi del bianco, che si alterna a una stesura più delicata soprattutto nelle tonalità neutre.
E’ incerta la data di un suo più che probabile viaggio a Roma, forse nel 1625, che sarebbe proprio il momento a cui si
dovrebbe indicativamente riferire il dipinto di Novi, versimilmente da collegarsi alla peste che investì la città in quell’anno,
che spiegherebbe la scelta del soggetto, incentrato sul santo taumatrgico Salvatore da Horta. In quello stesso anno, forse
a causa della morte di Gio. Carlo Doria suo protettore, lo Strozzi subisce un processo per esercizio illecito dell’attività di
pittore, in quanto frate cappuccino. Anche per questo deciderà nel 1630 di passare dall’ordine dei Cappuccini a quello dei
Canonici Regolari Lateranensi. Iniziano duri scontri con l’ordine dei Cappuccini a seguito dei quali lo Strozzi si rifugia
Venezia, verso il 1632 (nel 1631 è ancora a Genova). Ma il quadro di Novi, per ragioni di stile, va posto certamente entro
la partenza per la Laguna. Resta da capire il momento del suo arrivo nella cittadina di Novi: certamente entro il 1768, anno
in cui la ricorda lì il Ratti, ma più probabilmente, come ipotizzato dalla Galassi, già all’origine, come committenza diretta
dell’Ordine dei Franti Minori che gli richiedono per il convento di Levanto (La Spezia), pagatogli nel 1625, un Miracolo
di san Diego del tutto simile per impostazione e stile alla pala di Novi11.
Sono tre le opere di Gio. Raff aele Badaracco (Genova 1645-1717) esposte in mostra: la grande tela della Comunione degli
Apostoli dalla chiesa dell’oratorio della Confraternita della Santissima Trinità, Dio Padre con angeli porta croce proveniente
dall’oratorio della stessa Confraternita e originariamente concepito unitamente alla precedente12; infi ne, la Santa Chiara
che scaccia i saraceni della chiesa del monastero delle francescane Clarisse, intitolato appunto a Santa Chiara13.
La prima, dalle imponenti misure di quasi cinque metri di base (200x495 cm), costituisce uno dei più signifi cativi
risarcimenti che questa mostra presenta, giacché quando lasciò la cittadina di Novi nel 1985 per essere restaurata aveva
un aspetto del tutto diverso. Si trattava cioè di due tele che poi si è compreso essere parti di una tela unica, fi nalmente
ricomposta. Essa va peraltro collegata anche con il Dio Padre che doveva essere posto sopra, come nota giustamente Chiara
Vignola sulla base dell’inequivocabile confronto con la tela della controfacciata dell’oratorio di Nostra Signora Incoronata
sopra Genova Cornigliano (località Coronata)14. Edifi cato nel XVIII dalla Confraternita genovese del Gonfalone, l’oratorio
genovese vede attivo il Badaracco per un ciclo di tredici tele nel 1696, utile data di riferimento per l’esecuzione del ciclo
di Novi15.
Il nesso iconografi co, come sottolinea opportunamente Chiara Vignola in catalogo, impone altresì di intendere la sua
ideazione insieme alla pala con Dio Padre con angeli porta croce, intese, insieme, come una Istituzione dell’Eucarestia.
Le dimensioni delle due grandi tele ora in mostra, la loro inadeguatezza per gli spazi della chiesa e dell’oratorio della
Santissima Trinità come li vediamo oggi, frutto di lavori di abbellimento e risistemazione databili al 1739-40, lasciano
ancora dubbi circa la originaria collocazione della grande tela del Badaracco, il cui unico riferimento documentario è
11. Galassi 1992 cit., pp. 168-69 e 161.
12. Cfr. oltre.
13. Cfr. le schede relative ai due edifi ci in catalogo.
14. Cfr. la ricostruzione di Chiara Vignola nella relativa scheda di catalogo.
15. P. Martini, I misteri della Passione di Cristo: il ciclo di Gio. Raff aele Badaracco per Coronata, in P. Benozzi, A.M. Caminata, L’oratorio e la confraternita del Gonfalone. Due prestigiose testimonianze genovesi di arte, storia e fede, Genova 1999, pp. 207-220.
relativo alla sua presenza nell’oratorio
nel 1871, al momento di un intervento
di restauro16.
Le carte d’archivio registrano il
rapporto della Confraternita con il
padre di Gio. Raff aele, come sappiamo
dall’importante notizia rintracciata da
Chiara Vignola in merito al pagamento
per un gonfalone nel 1637 a Giuseppe
Badaracco. Sappiamo che Badaracco
senior era attivo in zona: nel 1654 lo
stesso Giuseppe fi rma e data un Achille
riconosciuto in Sciro che Luigi Lanzi
vide “in Novi presso i Signori Ferrari”
durante il suo viaggio del 179317 e che è giustamente stato identifi cato con la tela oggi in collezione Zerbone a Genova18.
Non vi sono invece per Gio. Raff aele notizie di un rapporto diretto con la confraternita, e se il rapporto con l’opera
genovese dell’oratorio di Coronata suggerisce che nel caso nostro di trattasse di una committenza analoga (un oratorio,
la confraternita del Gonfalone), dobbiamo immaginare un altro edifi cio e non quello della SS. Trinità come destinazione
originaria, o, alternativamente e forse più probabilmente visti i rapporti con il padre, una diversa sistemazione interna
degli spazi rispetto a ciò che vediamo oggi, frutto verosimilmente degli adattamenti eseguiti intorno al 1739-1740, e
protrattisi per alcuni anni, visto che la pala dell’altare del Chiappe è del 175319. Anche per ragioni di stile, e sempre in virtù
del confronto con il ciclo di Coronata del 1696, la grande Istituzione dell’Eucarestia va datata subito prima o subito dopo,
e quindi comunque indicativamente all’ultimo decennio del XVII secolo.
La presenza del pittore in zona, in questo momento, è attestata da diverse opere: la Continenza di Scipione nell’Oratorio dei
Rossi di Gavi, il San Francesco in adorazione del Santissimo Sacramento nella chiesa dell’Immacolata Concezione di Sassello
e la Flagellazione di Borgo Fornari20, che la Martini indica come derivazione della tela di analogo soggetto a Coronata, e
quindi “riconducibile agli anni di poco successivi” 21.
Resta invece misteriosa la questione della lunetta con L’allegoria della Fede attualmente nella sacrestia della collegiata di
Santa Maria Maggiore a Novi (fi g. 4), che presenta una fi rma in basso a destra con la data 1691 e il nome D. Badaraccus.
L’opera, restaurata nel 2006, è stata presentata in occasione di un recente incontro pubblico da Giovanni Donato,
funzionario di zona per la Soprintendenza del Piemonte, che ipotizzava trattarsi di Domenico Badaracco, pittore di cui
16. Cfr. la scheda di Chiara Vignola in catalogo e il suo saggio relativo ai ritrovamenti d’archivio.
17. L. Lanzi, Viaggio del 1793 pel Genovesato e il Piemontese..., a cura di G.C. Sciolla, Treviso 1984, p. 7
18. C. Manzitti, Giuseppe Badaracco: un percorso, in Un pittore da risollevare. Giuseppe Badaracco e Borghetto S. Spirito, “Atti del convegno” 25-3-1993,
p. 15.
19. Cfr. oltre e scheda relativa in catalogo.
20. Quest’ultima restituitagli da C. Manzitti in G. Meriana, C. Manzitti, Alta valle Scrivia un patrimonio naturale e artistico, Sagep, Genova 1973, p. 123.
21. Martini 1999 cit., p. fi g. 139 p. 220.
4. D. Badaracco (?), Allegoria della Fede, Collegiata di S.Maria, sacrestia, 1691
1918
però andrebbe verifi cata l’esistenza, l’identità e il rapporto con gli altri Badaracco
noti. Dalle biografi e del Soprani, le cui notizie sono riprese dal Ratti, che
Giuseppe Badaracco aveva quattro fi gli, dei quali due pittori. Il maggiore, Gio.
Raff aelele, ci è noto, dell’altro, più che sappiamo solo essere più giovane di Gio.
Raff ele non è indicato nemmeno il nome di battesimo, ma solo l’informazione
che “si trattiene in Roma a studiare” al momento della stesura della biografi a di
Soprani (1672 circa)22.
Per tornare invece a Gio. Raff aele, alle opere già note, se ne viene ad aggiungere
un’altra che era considerata fi nora di autore ignoto e che va riconosciuta senza
esitazione allo stesso Badaracco.
Il soggetto, Santa Chiara che scaccia i saraceni, porta a pensare che la sua
presenza nella chiesa del monastero intitolato alla santa, oggi auditorium in
cui è conservata, fosse la sua destinazione originaria. La chiesa, costruita dal
1633, bombardata durante la guerra e poi ricostruita23, dovette prevedere un
momento dedicato alla sua decorazione interna, al quale possiamo pensare che
appartenesse il dipinto del Badaracco. Visto il soggetto del dipinto è diffi cile
pensare di escludere che si tratti di una committenza diretta. Per ragioni di stile,
dobbiamo intenderla più tarda rispetto al ciclo con l’Istituzione dell’Eucarestia, e
immaginare dunque un’attività per Novi del pittore ancora nel primo decennio
del Settecento.
Questa mostra è stata occasione profi cua per il risarcimento relativo al dipinto
con Crocifi ssione con i santi Sebastiano e Rocco e la città di Novi sullo sfondo,
sia perché ha consentito di risolvere la pratica relativa alla sua restituzione al
Comune di Novi da parte della Soprintendenza di Torino24, sia perché, sottoposta
all’attenzione di chi scrive, la si è potuta riferire senza esitazione alla mano del
pittore genovese Gian Lorenzo Bertolotto (Genova 1646-1720) 25. Inoltre, la
presenza della città di Novi, secondo un punto di vista ricostruito da Beppe
Merlano26, è un documento di estremo interesse per documentare il rapporto del
pittore genovese con la committenza novese. Sottratta dunque allanonimato, la
22. R. Soprani, Le vite de’ pittori..., Genova 1674, p. 206; C.G. Ratti, Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti..., Genova 1768, I, p. 213.
23. Cfr. la scheda sull’edifi cio in catalogo.
24. Cfr. il saggio di G. Donato in catalogo.
25. Sul Bertolotto cfr. da ultimo A. Orlando, Dipinti genovesi dal Cinquecento al Settecento.
Ritrovamenti dal collezionismo privato, Torino 2010, pp. 38-43 e 199, con bibliografi a precedente
di riferimento.
26. Cfr. la scheda di chi scrive in catalogo per ciò che concerne l’attribuzione e la nota di Beppe
Merlano in calce alla stessa scheda per la descrizione della veduta della città di Novi sul fondo.
bella tela tardo seicentesca proviene dall’Oratorio della Trinità, e costituisce un altro scampolo del rarefatto tessuto pittorico
ligure nell’Oltregiogo.
A proposito di risarcimenti, varrebbe la pena di approfondire l’attribuzione della tela con I santi Nicola da Tolentino,
Caterina d’Alessandria, Michele Archangelo e Monica (?) che intercedono a favore delle anime purganti, conservata presso il
Seminario Arcivescovile di Tortona ma proveniente proprio dall’Oratorio della Misericordia di Novi, che Fulvio Cervini
rende nota come anonima (fi g. 5)27. Cervini non avanza ipotesi attributive, ma solo di datazione al 1650-60 circa, laddove
credo che vada spostata più avanti. Quanto alla paternità dell’opera, proprio confrontandola con la nostra Crocifi ssione,
ne vanno rilevate certe affi nità di stile, anche se si tratta forse solo di una comune “genovesità”, senza arrivare all’identità
di mano. Nell’opera di Tortorna, a me nota al momento solo dalla una buona riproduzione fotografi ca a colori che qui
27. Cervini 2004, cit., p. 59 e nota 48 p. 69, fi g. p. 59
5. Anonimo genovese (G.A. Carlone ?), I santi Nicola da Tolentino, Caterina d’Alessandria, Michele
Archangelo e Monica (?) che intercedono a favore delle anime purganti, Tortona, Seminario Vescovile,
proveniente dall’Oratorio della Misericordia
6. F. Campora (?), Sacrifi cio di Isacco, pittura murale, sala capitolare dell’oratorio della Santissima Trinità, 1739-40
2120
7. F. Campora (?), Abramo e i tre angeli, pittura murale, sala capitolare dell’oratorio della Santissima Trinità, 1739-40
si pubblica, vanno ravvisate indubbie ascendenze carloniane. E se è noto che Giovanni Battista Carlone ha operato in
zona, per esempio nel ciclo di aff reschi dell’Oratorio dei Bianchi di Gavi, qui la mano pare più vicina a quella del fi glio
Giovanni Andrea (Genova 1639-19-697), che è probabile lo abbia seguito nelle sue trasferte extra genovesi prima di essersi
avventurato in un percorso tutto suo nel centro Italia28.
Negli anni in cui a Novi lavorava il Badaracco, nasceva a Genova Francesco Campora (Genova, 1693-1753), la cui
attività in zona è documentata, questa volta da carte d’archivio e dalla presenza della sua sigla in un aff resco, proprio per
l’oratorio della SS. Trinità da cui provengono anche le grandi tele del Badaracco, anche se non è ancora stato chiarito come
potesse essere la loro originaria collocazione.
28. Sui Carlone cfr. M. Bartoletti, L. Damiani Cabrini, I Carlone di Rovio, Lugano 1997, con bibliografi a.
Sulle pareti della sala capitolare dell’oratorio sono ancora visibili, seppur in parte danneggiati per forti infi ltrazioni29, due
dipinti murali con scene dall’Antico Testamento, il Sacrifi cio di Isacco e Abramo e i tre angeli, di cui il primo siglato “P.C.F.”
(fi gg. 6 e 7), che Beppe Merlano ha interpretato come fi rma di Francesco Campora qui documentato per altri lavori.
Le ricerche d’archivio di Chiara Vignola hanno potuto rintracciare agli anni 1739 e il 1740, nell’ambito del rinnovamento
iconografi co della chiesa, un pagamento eff ettuato dalla confraternita di 800 lire al pittore a Francesco Campora per le
due pale degli altari nuovi. Come nota la Vignola le misure delle due pale con la Mater Divinae Providentiae e con San
Carlo Borromeo corrispondono esattamente alle nicchie in stucco a destra e a sinistra della pala d’altare con il Mistero della
Santissima Trinità di Giovanni Battista Chiappe realizzato nel 1753 (cfr. oltre).
L’attività del Campora in zona è attestata da altre opere: la Natività presente nella collegiata dei SS. Martino e Stefano
di Serravalle Scrivia e la pala con San Giuseppe con Bimbo e san Giovanni Nepomuceno nella parrocchiale di Senarega30.
La datazione delle due tele di Novi Ligure, accertabile oggi su base documentaria, è importante ai fi ni anche di una più
precisa ricostruzione dell’iter pittorico dell’artista. Per quegli anni non si poteva a oggi contare su alcun preciso riferimento
e si faceva genericamente risalire “allo scorcio degli anni ‘30 il soggiorno romano”, al rientro da Napoli31. La successiva
data utile era a oggi il 1742 della Madonna del Rosario dell’oratorio della confraternita di San Giacomo e Filippo di
Borzonasca nell’entroterra di Chiavari, accostata da Daniele Sanguineti alla pala di Senarega per prossimità stilistiche. I
nuovi documenti novesi suggeriscono dunque di circoscrivere più precisamente l’attività nell’Oltregiogo del Campora agli
anni 1739-174032.
Il breve itinerario pittorico che questa mostra propone si conclude con la fi gura di Giovanni Battista Chiappe, questa
volta natio di Novi stessa (1723-1765). Vuoi per la cultura genovese respirata nella sua cittadina di nascita, vuoi perché a
Roma studiò sotto la guida del genovese Giuseppe Paravagna, vuoi, infi ne, perché dopo una permanenza a Milano svolge
anche a Genova parte della sua attività di pittore33, il Chiappe è fi gura sintomatica dei rapporti di dare e avere tra Genova
e l’Oltregiogo anche in fatto d’arte che questa mostra vuole contribuire a documentare. I suoi dipinti murali eseguiti tra
il 1760 e il 1765 circa nel convento di Nostra Signora delle Grazie in Valle a Gavi si mostrano peraltro debitori dello stile
di Giovanni Battista Carlone, pittore seicentesco di cui il Campora restaurò gli aff reschi nella cupola della basilica di San
Siro a Genova.
Chiara Vignola pubblica qui dettagli documentari della tela con Il Mistero della Santissima Trinità che già si sapeva
commissionata al Chiappe nel 1753: un altro tassello preciso per il mosaico pittorico “genovese” a Novi che attende ora
che si prosegua a indagare per un doveroso sempre più completo risarcimento storico artistico.
29. Cfr. G. Merlano, L’Oratorio della Trinità. Un bene culturale da conservare, pubblicazione dell’Assessorato alla Cultura, Arti Grafi che Novesi, Novi Ligure,
1982 e la scheda dell’edifi cio in catalogo.
30. Quest’ultima restituitagli da C. Manzitti in G. Meriana, C. Manzitti, Alta valle Scrivia un patrimonio naturale e artistico, Genova 1973, p. 145, dove
san Giovanni Nepomuceno è confuso con san Luigi; cfr. anche D. Sanguineti, in “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, n.s., XXXVII, (CXI), fasc.
II, p. 302, nota 84.
31. Cfr. Sanguineti 1997 cit., p. 301.
32. Per la cronologia del pittore cfr. anche il recente contributo di D. Sanguineti in Le storie di San Giovanni Battista dell’oratorio del Santo Cristo, a cura
di G. Zanelli, Genova 2012, pp. 30-33.
33. Cfr. P. Ciliberto in E. Gavazza, L. Magnani, Pittura e decorazione a Genova e in Liguria nel Settecento, Genova 2000, p. 424.
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