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Corso di Strade, Ferrovie ed Aeroporti –Laurea Triennale in Ingegneria Civile – Università degli Studi di Trieste Paolo Perco BOZZA – dispense parte I - A.A. 2006/2007
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE
LAUREA TRIENNALE IN INGEGNERIA CIVILE
DISPENSE DEL CORSO DI STRADE, FERROVIE ED AEROPORTI
Parte I
Geometria dell’asse stradale
A.A. 2006/07
Ing. Paolo Perco
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INDICE
Introduzione
Condizioni di rotolamento della ruota – l’aderenza
Il moto dei veicoli stradali
Le distanze di visibilità
L’equilibrio di un veicolo in curva
La velocità operativa
La progettazione dell’asse della strada
L’andamento planimetrico dell’asse
L’andamento altimetrico dell’asse
Il diagramma delle velocità
Il coordinamento planoaltimetrico
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INTRODUZIONE
La progettazione di una strada si divide sostanzialmente nello studio del suo asse geometrico e della
sua sezione trasversale. La presente dispensa, dopo una necessaria panoramica sui principi che
stanno alla base del moto di un veicolo, affronta la progettazione della linea d’asse presentando i
principi che la regolano e approfondendo le norme di riferimento italiane per la progettazione
stradale (“Norme Funzionali e Geometriche per la costruzione delle strade” allegate al D.M.
05.11.2001). La necessità di definire delle regole per la progettazione dell’asse stradale è dovuta
innanzitutto alla forte influenza che la geometria d’asse ha sulla sicurezza stradale. Ogni anno in
Italia gli incidenti stradali causano circa 6000 morti e 320.000 feriti. Questi valori presentano un
trend decrescente negli ultimi anni grazie agli efficaci interventi che sono stati attuati su tutti tre i
fattori che, interagendo tra loro, possono causare l’incidente: la strada, il guidatore, il veicolo. La
progettazione stradale, sia che si riferisca ad una nuova infrastruttura che all’adeguamento di
un’infrastruttura esistente, può promuovere in modo significativo tale riduzione se correttamente
condotta.
L’attività di progettazione dell’asse della strada consiste, in sintesi, nella definizione di un
andamento planimetrico ed altimetrico della linea d’asse che, nel rispetto delle regole di
composizione previste dalle norme di riferimento, consenta l’inserimento della strada nell’ambiente
attraversato. Tale inserimento va inteso nel senso più ampio del termine, ovverosia come orografia e
geologia del territorio, presenza di altre infrastrutture, urbanizzazione ed antropizzazione,
salvaguardia ambientale, il tutto nel contesto di un vincolo di tipo economico sostenibile. Il compito
è complesso e multidisciplinare poiché la linea d’asse della strada è il primo elemento progettuale
che si definisce nell’affrontare un progetto stradale, subito dopo averne definito la categoria. Solo
una volta definito l’andamento della linea d’asse possono essere sviluppate le diverse progettazioni
specialistiche (ponti, viadotti, gallerie, opere idrauliche, opere di ripristino ambientale, ecc…) che
concorrono al completamento del progetto stradale.
La presente dispensa deve essere affiancata dalle “Norme Funzionali e Geometriche per la
costruzione delle strade” allegate al D.M. 05.11.2001 poiché esse rappresentano le norme di
riferimento e ad esse nel testo si fa spesso riferimento. Queste norme inoltre affrontano anche altri
aspetti oltre a quelli approfonditi in questa dispensa che sono altrettanto importanti per la corretta
definizione del progetto stradale.
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CONDIZIONI DI ROTOLAMENTO DI UNA RUOTA – L’ADERENZA
L’attrito tra due superfici
Si supponga un corpo di peso P appoggiato su un piano. Se si applica al corpo una forza Ft parallela
al piano, il corpo resta fermo fino a che il valore di Ft non supera un certo valore limite Ft lim oltre il
quale il corpo inizia a strisciare. Ciò significa che il piano è in grado di esercitare una reazione
avente la componente A, parallela ad esso, capace di opporsi a Ft e di valore massimo Alim uguale a
Ft lim.
Risulta che: Alim = fa × Rn
Dove:
fa il Coefficiente adimensionale di Attrito Statico dipende dai materiali e dalle condizioni delle
due superifici a contatto.
Rn la componente della reazione normale al piano. Se la forza applicata Ft è parallela al piano e
questo è orizzontale, Rn equivale al peso P del corpo.
Per cui, affinché non vi sia moto relativo tra le superfici deve valere: Ft = Alim ≤ fa × Rn
L’attrito tra due superfici a contatto è causata dalle caratteristiche delle due superfici ed alla forza
con la quale le due superfici sono “schiacciate” l’una contro l’altra. Infatti, le superfici sono in
realtà irregolari, sia a livello microscopico che a livello macroscopico, e l’area reale di contatto è
solo una parte di quella apparente totale. Tanto è maggiore la forza di compressione tra le due, tanto
più le deformazioni elastiche e plastiche delle due superfici aumentano l’area di contatto reale e
creano una sorta di “incastro” tra queste irregolarità. Dal punto di vista microscopico, esso è dovuto
alle forze di interazione tra gli atomi dei materiali a contatto.
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Le condizioni di rotolamento di una ruota
Il moto di rotolamento di una ruota su un piano risulta dalla composizione del moto di rotazione
intorno all’asse della ruota e dalla traslazione dell’asse parallelamente al piano.
Se si considera la ruota motrice di un veicolo, sul suo asse agisce un momento torcente M
trasmesso dal motore che tende a farla girare attorno all’asse di rotazione O.
Il momento torcente M può pensarsi sostituito da due forze +T e –T, di valore pari a M/r, applicate
in O ed in C, punto di contatto ruota-piano.
P è il carico agente sulla ruota;
R è la somma di tutte le resistenze al moto che si oppongono all’avanzamento del veicolo;
A è la reazione tra le due superfici a contatto (pavimentazione e pneumatico) nel punto C.
La ruota si comporta come un corpo vincolato in O ed in C in cui nascono delle reazioni vincolari le
cui componenti parallele alla direzione del moto sono rispettivamente R ed A.
Possono verificarsi tre condizioni diverse:
T < R
T < Alim
T > R
T < Alim
T < R
T > Alim
Le forze di resistenza R e di reazione A sono superiori alle forze di trazione T applicate alla ruota per cui essa resta in equilibrio e non si muove
La resistenza R è inferiore alla forza di Trazione T in O ma la reazione A è superiore alla forza di trazione T in C: trasla solo il punto O ed il punto C resta fermo
La resistenza R è superiore alla forza di trazione T in O ma la reazione A è inferiore alla forza di trazione T in C: il punto O resta fermo e la ruota slitta
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Pertanto, affinché il veicolo si muova è necessario che ci si trovi nella situazione 2, ovvero si
verifichi una rotazione istantanea attorno al punto C, detto Centro di Istantanea Rotazione. In questo
caso il moto della ruota è la composizione contemporanea di due moti: traslazione del punto O e
contemporanea rotazione attorno al punto O.
In definitiva, affinché si abbia rotolamento e non slittamento, occorre che lo sforzo di trazione T sia
almeno pari alle resistenze (M / r =T ≥ R) ma che sia inferiore alla reazione tangenziale della strada
((M / r =T < Alim).
Un esempio può aiutare a comprendere:
Per far slittare i pneumatici dell’automobile in partenza, a parità di condizioni della pavimentazione e dei pneumatici
(Alim costante), è necessario accelerare a fondo: ciò significa che a parità di A, ovvero delle condizioni delle due
superfici, bisogna aumentare T fino a che diviene T > Alim per trovarsi nella condizione 3.
A parità di pressione sul pedale dell’acceleratore (T costante) sulla pavimentazione asciutta i pneumatici non slittano
ma sulla pavimentazione bagnata o ghiacciata invece i pneumatici slittano e l’automobile resta ferma: ciò significa che a
parità di T, ovvero del momento torcente trasmesso dal motore, nel primo caso si ha la condizione T > R e T < Alim,
mentre nel secondo caso, anche se rimane T > R, ci si trova nella condizione T > Alim.
Le condizioni di equilibrio della ruota si possono valutare anche in altre due condizioni:
Ruota Trainata (non motrice): il momento torcente è pari a 0 e vi è una sola forza T applicata nel
punto O. L’unica forza resistente è l’attrito sui perni della ruota che può essere considerato pari ad
un momento torcente Ma applicato in senso contrario a quello del moto di rotazione. Affinché
questo moto di rotazione possa verificarsi, è necessario che Ma sia equilibrato dalla coppia formata
dallo sforzo di trazione T, applicato in O, e dalla forza di reazione A, applicata in C, questa volta
diretta in senso opposto a quello del veicolo, ovvero Ma ≤ Alim × r .
Ruota Frenata: non è presente il momento torcente motore M, mentre viene applicato un momento
torcente frenante Mf che va ad aggiungersi al momento resistente Ma del caso precedente. Non
essendoci distinzione fra le ruote motrici e le ruote trainate, le resistenze al moto si distribuiscono in
modo uguale su tutte le ruote. La ruota inoltre è soggetta ad una forza di inerzia Fi applicata nel
punto O. Affinché durante la fase di frenatura le ruote non si blocchino è necessario che Ma + Mf sia
equilibrato dalla coppia formata dalla forza di inerzia Fi e dalla forza di reazione A, anche questa
volta diretta in senso opposto a quello del veicolo, ovvero che (Ma + Mf) ≤ Alim × r.
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Il coefficiente di aderenza
Quanto detto fino ad ora permette di comprendere l’importanza della reazione A necessaria sia per
permettere la traslazione del veicolo sia per garantirne la sicurezza in frenatura.
A prende il nome di forza di aderenza ed il suo valore limite Alim è proporzionale, attraverso un
coefficiente di aderenza fa, alla componente perpendicolare al piano viabile della forza che grava
sulla ruota. Questa forza corrisponde normalmente alla quota parte del peso del veicolo agente sulla
ruota. Ne segue che per aumentare la forza di aderenza è opportuno aumentare più possibile il peso
gravante sulle ruote.
Alim = fa × P
Proprio per aumentare il peso aderente, ovvero il peso che grava sulle ruote motrici, le autovetture sportive sono dotate
di appendici aerodinamiche che permettono di generare la forza di deportanza che, diretta verso il basso, si aggiunge
alla forza peso consentendo di aumentare la reazione di aderenza tra pneumatico e pavimentazione. Il fenomeno è
esattamente lo stesso che genera la forza di portanza che consente il sostentamento dell’aeroplano, con la differenza che
in questo caso il profilo alare è rovesciato per generare la portanza verso il basso, detta appunto deportanza. Questa
forza aumenta all’aumentare della velocità con la quale il profilo alare si muove nel fluido (l’aria in questo caso).
Pertanto, le dimensioni e l’angolo del profilo alare rispetto alla direzione del moto devono essere regolati in modo da
fornire una sufficiente deportanza alle velocità di percorrenza delle curve, lungo le quali è importante disporre di
un’elevata aderenza trasversale ma, al contempo, da non penalizzare eccessivamente la resistenza aerodinamica in
rettifilo che penalizza la massima velocità raggiungibile dall’autovettura.
Per valutare la reazione di aderenza, ovvero il coefficiente di aderenza fa, è innanzitutto necessario
rilevare che in realtà, a differenza di quanto visto nel precedente schema teorico dell’attrito radente,
affinché si sviluppi una reazione di aderenza è necessario che vi sia uno scorrimento relativo tra
pneumatico e pavimentazione. Le modalità con cui si verifica tale scorrimento sono diverse nel caso
di ruota motrice e ruota frenata.
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Ruota motrice
Durante il rotolamento di una ruota motrice (T>0; a ≥ 0), ad un giro completo della ruota di raggio r
(circonferenza 2πr), l’avanzamento effettivo del veicolo è dato da (1-ψ)2πr e,
contemporaneamente, si verifica uno scorrimento della ruota sulla strada di lunghezza 2ψπr ove ψ è
lo scorrimento (0 ≤ ψ ≤ 1):
(1-ψ) 2πr = 2πr - 2ψπr
lunghezza effettivamente percorsa circonferenza della ruota lunghezza “persa” per lo slittamento
Ciò significa, riferendosi all’unità di tempo, che il prodotto ω·r (velocità angolare · raggio della
ruota) è maggiore della velocità di traslazione della ruota v. Lo scorrimento ψ si definisce come:
rv
rvr
⋅−=
⋅−⋅
=Ψωω
ω 1
Dove:
ψ scorrimento
ω velocità angolare della ruota [rad/s]
r raggio della ruota [m]
v velocità di traslazione [m/s]
Le condizioni limite per la ruota motrice sono:
ψ = 0 → v = ωr rotolamento puro
ψ = 1 → v = 0 rotazione intorno all’asse e la ruota non trasla
Ruota Frenata
Se si considera una ruota frenata (T=0; a < 0) la situazione si inverte: infatti, durante un giro
completo di una ruota di raggio r (circonferenza 2πr), l’avanzamento del veicolo è dato da
(1+ψ)2πr poiché si verifica anche uno scorrimento della ruota sulla strada di lunghezza ψ 2πr ove
ψ è lo scorrimento:
(1+ψ) 2πr = 2πr + ψ 2πr
lunghezza effettivamente percorsa circonferenza della ruota lunghezza “guadagnata” per lo slittamento
Lo scorrimento ψ in questo caso si definisce come:
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vr
vrv ⋅
−=⋅−
=Ψωω 1
Dove:
ψ scorrimento
ω velocità angolare della ruota [rad/s]
r raggio della ruota [m]
v velocità di traslazione [m/s]
Le condizioni limite per la ruota motrice sono:
ψ = 0 → v = ωr rotolamento puro
ψ = 1 → ω = 0 ruota bloccata che striscia sulla pavimentazione
Il coefficiente di aderenza fa
L’andamento del coefficiente di aderenza fa in funzione dello scorrimento ψ è rappresentato in
figura 1. Le misure sono solitamente condotte in senso longitudinale, cioè nella direzione del moto,
oppure in senso ortogonale e danno origine ad un diverso andamento del coefficiente in funzione
dello scorrimento.
fl longitudinale
ft trasversale
Figura 1 L’andamento del coefficiente di aderenza in funzione dello scorrimento misurato in
senso longitudinale ed in senso trasversale al piano di rotolamento del pneumatico
Il valore del coefficiente di aderenza fa è molto variabile e dipende innanzitutto dalla natura delle
superfici di contatto, ovvero dal tipo e dalle condizioni del battistrada (mescola, usura, scolpitura,
ecc.) e della pavimentazione. Inoltre dipende anche dall’eventuale presenza di uno strato di acqua o
polvere, dalla pressione del pneumatico e dalla velocità di marcia.
Le caratteristiche superficiali della pavimentazione sono individuate essenzialmente dalla regolarità
del piano viabile e dalla sua rugosità o scabrezza (tessitura). Le caratteristiche superficiali si
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distinguono in funzione dell’osservazione del profilo superficiale della pavimentazione. Tra esse, la
macrotessitura (h 0.01÷20 mm) e la microtessitura (0,001÷0,5 mm) influiscono essenzialmente
sull’aderenza sviluppata all’interfaccia tra pneumatico e pavimentazione. La prima è dovuta alle
asperità superficiali della pavimentazione dovute a forma, dimensione e assortimento
granulometrico dei diversi elementi lapidei presenti nella superficie della miscela bituminosa,
mentre la seconda è dovuta alla scabrezza della superficie dei singoli elementi lapidei.
La figura 2 riporta l’andamento del coefficiente di aderenza fa in funzione della velocità v su
pavimentazione bagnata con uno spessore del velo idrico pari ad s. Si nota che il valore di fa
diminuisce al crescere della velocità e all’aumentare dello spessore del velo idrico; inoltre, in
funzione dello spessore s, esiste un valore della velocità v oltre la quale si verifica il
“sostentamento” del pneumatico da parte del velo idrico, ovvero si manifesta il fenomeno
dell’aquaplaning. In tali condizioni si ha un valore di fa pressoché nullo e di conseguenza, il veicolo
non è più controllabile. Il fenomeno dell’aquaplaning si manifesta quando l’acqua che si raccoglie
davanti alla ruota, che in condizioni normali viene espulsa di lato e attraverso la scolpitura del
pneumatico, a causa della alta velocità non riesce più ad allontanarsi e viene compressa fino a
raggiungere una pressione pari a quella di gonfiaggio del pneumatico. Nel caso di pavimentazione
asciutta l’andamento del coefficiente di aderenza fa è quasi costante con la velocità v.
Per tutte le considerazioni sopra esposte, risulta evidente che il coefficiente di aderenza può variare
significativamente in funzione delle numerose variabili che influiscono sulla sua quantificazione. La
sua misura sperimentale è strettamente connessa al tipo di apparecchiatura utilizzata ed alle
modalità operative del test (entità dello scorrimento, inclinazione della ruote rispetto alla direzione
del movimento, superficie bagnata o asciutta, velocità, ecc..). Pertanto, nei casi in cui è necessario
assumere un valore del coefficiente aderenza fa, così come avviene ad esempio per calcolare a
distanza di arresto o l’equilibrio di un veicolo in curva, è necessario utilizzare un opportuno
coefficiente di sicurezza.
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Figura 2 L’andamento del coefficiente fa in funzione della velocità per pavimentazione bagnata
L’ellisse di aderenza
Su un veicolo in movimento non agiscono solamente forze longitudinali ovvero nel senso del moto,
come quelle fino ad ora considerate (sforzo di trazione o di frenatura) ma anche forze trasversali,
ovvero ortogonali al senso del moto, quali la forza centrifuga che agisce su un veicolo quando
percorre una curva circolare, o la presenza di vento laterale. Ovviamente, anche tali sollecitazioni
generano sulla superficie di contatto pneumatico-pavimentazione una reazione di aderenza che
permette al veicolo di non traslare lateralmente. Nel caso di forze longitudinali si parla di aderenza
longitudinale e quindi di coefficiente di aderenza longitudinale fl, nel caso di forze trasversali si
parla di aderenza trasversale e quindi di coefficiente di aderenza trasversale ft.
Il coefficiente di aderenza fa non è, a rigore, uguale in tutte le direzioni , tuttavia la piccola
differenza tra il valore longitudinale e quello trasversale può essere trascurata nella pratica e si può
assume l’ipotesi di polarsimmetria (fa = fl = ft) :
Il legame presente tra il coefficiente di aderenza longitudinale fl e il coefficiente di aderenza
trasversale ft può essere rappresentato mediante l’ellisse di aderenza che riporta l’andamento del
coefficiente di aderenza al variare della risultante delle forze longitudinali e trasversali applicate al
pneumatico:
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Figura 3 L’ellisse di aderenza.
La quota parte di aderenza longitudinale y e di aderenza trasversale x che è possibile impegnare
contemporaneamente è quindi data da (equazione ellisse):
2
2
2
2
1lt f
yfx
+=
Il significato dell’ellisse di aderenza è estremamente importante perché permette di calcolare, in
base al coefficiente di aderenza impegnato in una direzione, quello disponibile nella direzione
ortogonale.
Infatti, tra il pneumatico e la pavimentazione si può sviluppare al massimo una forza di aderenza
Alim = fa × P in qualsiasi direzione (a meno della piccola differenza che, come sopra già accennato,
può essere trascurata), ma questa va scomposta tra le sue due componenti (lungo la direzione del
moto Al e trasversalmente ad essa At) per valutare l’effettiva aderenza disponibile per effettuare una
specifica manovra.
Ad esempio, se tutta l’aderenza disponibile (Alim = fa × P) è utilizzata in senso longitudinale per
frenare (Alim = Al) non esiste una riserva di aderenza trasversale (ponendo nell’equazione dell’ellisse
y = fl ne segue x = 0) per compensare eventuali forze trasversali. Ciò significa che nel caso queste si
presentino (ad es. un colpo di vento o la necessità di una sterzata improvvisa), esse provocheranno
la perdita del controllo del veicolo. Viceversa, se tutta l’aderenza disponibile (Alim = fa × P) è
utilizzata in senso trasversale (Alim = At), ad esempio per percorrere una curva, non esiste una riserva
di aderenza longitudinale (ponendo nell’equazione dell’ellisse x = ft ne segue y = 0) per compensare
eventuali forze longitudinali. Anche in questo caso pertanto, se queste si presentano (ad es la
necessità di una frenata improvvisa) provocheranno la perdita del controllo del veicolo.
Ne consegue che nei calcoli (ad es. per la distanza di arresto o per l’equilibrio del veicolo in curva)
si utilizza sempre solo una “quota parte” del coefficiente di aderenza longitudinale fl o,
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rispettivamente, trasversale ft al fine di garantire una “riserva” di aderenza a disposizione per altre
eventuali manovre di emergenza.
In particolare, il D.M. 05.11.2001 ipotizza di utilizzare lo 0,9 dell’aderenza disponibile in senso
longitudinale per l’azione di frenatura; la quota parte che rimane disponibile per compensare
eventuali forze tangenziali si può ottenere dall’equazione dell’ellisse:
2
2
2
2
1lt f
yfx
+=
poiché si assume fa = fl = ft
( )2
2
2
2 9.01
a
a
a ff
fx ⋅
+=
da cui
( ) 2222 19.09.0 aaa fffx ⋅=⋅−= e pertanto la quota parte x disponibile trasversalmente è pari a:
x = 0.44 ⋅ fa
I coefficienti di aderenza impegnabili longitudinalmente fl previsti dal D.M. 05.11.2001 per tutte le
strade ad eccezione della categoria A (autostrade) sono riportati in tabella 1. Da essi si possono
ricavare i coefficienti di aderenza impegnabili trasversalmente ft [~ (fl / 0.9)×0.44] previsti dallo
stesso D.M. 05.11.2001 e riportati in tabella 2.
Velocità km/h 25 40 60 80 100 120 140 fl (cat. B-C-D-E-F) 0,45 0.43 0.35 0.30 0.25 0.21 0.18*
*interpolato dai valori precedenti Tabella 1 Il coefficiente di aderenza impegnabile longitudinalmente (D.M. 05.11.2001).
Velocità km/h 25 40 60 80 100 120 140 ft (cat. A-B-C-F extraurbane) - 0,21 0,17 0,13 0,11 0,10 0,09 ft (cat. D-E-F urbane) 0,22 0,21 0,20 0,16 - - -
Tabella 2 Il coefficiente di aderenza impegnabile trasversalmente (D.M. 05.11.2001).
La ripartizione del coefficiente di aderenza tra la componente longitudinale e quella trasversale
prevista dal D.M. 05.11.2001 garantisce pertanto che è sempre possibile percorrere una curva alla
Velocità di Progetto e contemporaneamente avere una “riserva” di aderenza sufficiente per frenare
con le modalità previste nello stesso D.M..
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IL MOTO DEI VEICOLI STRADALI
Le resistenze al moto
Come già osservato, se ad una ruota motrice di un veicolo è applicato un momento motore M il cui
corrispondente sforzo di trazione è T (T × r = M) e sulla ruota grava il peso aderente P, il
rotolamento della ruota si avrà solo se fa × P ≥ T ≥ R ove R rappresenta l’insieme delle resistenze
che si oppongono al moto. In particolare:
moto uniforme (velocità costante) T = R
moto accelerato T > R
moto decelerato (solo se velocità iniziale > 0) T < R
La resistenza R è data dalla somma di diverse resistenze:
2VSkag
PRPiPR c ⋅⋅+⋅⋅±+⋅±⋅=βμ [kg]
Dove:
P peso [kg]
μ coefficiente per le resistenze al rotolamento
i pendenza longitudinale in valore assoluto [%/100]
V velocità [km/h]
g accelerazione di gravità 9,81 [m/s2]
β coefficiente per le resistenze di inerzia
a accelerazione [m/s2]
Rc Resistenza in curva [kg]
In particolare, le resistenze che intervengono sono:
Resistenza al rotolamento μP
La resistenza al rotolamento è direttamente proporzionale al peso P ed è dovuta alla deformazione
del pneumatico, agli slittamenti tra le due superfici ed al movimento dell’aria tra le due superfici.
Dipende dalle condizioni del pneumatico e della pavimentazione, dalla pressione di gonfiaggio e
cresce al crescere della velocità. Valori orientativi del coefficiente μ per le autovetture:
μ = 0,015 [kg/kg] per V = 20 [km/h]
μ = 0,020 [kg/kg] per V = 100 [km/h]
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Resistenza della pendenza longitudinale iP
La resistenza dovuta alla pendenza longitudinale è dovuta alla componente del peso P diretta nel
verso contrario al senso del moto (in salita) con i pendenza longitudinale espressa in valore assoluto
(sen β ≈ tg β = i). Ovviamente nel caso la componente del peso P sia diretta nel verso del moto
(discesa) il suo contributo alle resistenze sarà negativo (ovvero si somma allo sforzo di trazione T).
Resistenza aerodinamica dell’aria KSV2
La resistenza che l’aria oppone all’avanzamento del veicolo è dovuta alle sovrapressioni che si
generano di fronte al veicolo. Questa resistenza è direttamente proporzionale alla sezione maestra
del veicolo S (~ 1,2 ÷ 2,2 m2 per le autovetture) ed alla velocità V (in km/h), attraverso un
coefficiente K (0,0015 ÷ 0,0025 per le autovetture).
( ) xCgK ⋅⋅⋅⋅= ρ26.321
dove:
Cx coefficiente che dipende dalla forma del corpo
ρ massa volumica dell’aria [kg/m3]
Resistenza d’inerzia P/g β a
Ogni variazione della velocità (accelerazione a) induce una resistenza dovuta all’inerzia a cui
contribuisce anche la presenza di masse rotanti per tener conto delle quali è utilizzato il coefficiente
β (1,05 ÷ 1,10). Come nel caso della pendenza longitudinale, anche questa resistenza può assumere
un valore negativo nel caso il moto sia decelerato.
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Resistenze addizionali in curva Rc
Un veicolo che percorre una curva è soggetto a delle forze resistenti dovute alle deformazioni in
senso trasversale del pneumatico ed inversamente proporzionali al raggio della curva. Tuttavia,
questa resistenza, direttamente proporzionale al peso P attraverso il coefficiente di aderenza
trasversale ft impegnato, per le autovetture che percorrono raggi superiori a 100m è trascurabile
rispetto alle altre resistenze.
Tutte le resistenze, ad eccezione di quella aerodinamica, sono proporzionali al peso P. Pertanto,
l’Equazione delle Resistenze al Moto può essere scritta come:
2)( VSkdtdv
giPR c ⋅⋅+⋅⋅±+±⋅=
βμμ [kg]
Mentre la corrispondente Equazione Generale del Moto
2)( VSkdtdv
giPRT c ⋅⋅+⋅⋅±+±⋅==
βμμ [kg]
Le prestazioni dei veicoli stradali
Pendenza limite all’avviamento
La pendenza massima imax di una livelletta sulla quale un veicolo inizialmente fermo può avviarsi si
può ricavare direttamente dall’Equazione Generale del Moto:
2max )( VSkdt
dvg
PTPi c ⋅⋅−⋅++⋅−=⋅βμμ
Da cui, trascurando il termine KVS2 poiché nelle fasi iniziali di avviamento la velocità è molto
bassa, e ipotizzando di avviarsi in rettilineo:
)(max dtdv
gPTi ⋅+−= βμ
Dall’equazione è possibile osservare che il valore di imax dipende dal massimo valore che può
raggiungere il rapporto T/P. Questo valore può essere limitato dalla sforzo di trazione del veicolo T:
Ad esempio:
-
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autovettura: peso P = 1400 kg
sforzo di trazione (a 20 km/h) T = 1000 kg (~10 KN)
accelerazione a = 0,4 m/s2
%6565.0)4.081.905.102.0(
14001000
max ==⋅+−=i
Autoarticolato medio: peso P = 32000 kg
sforzo di trazione (a 20 km/h) T = 6000 kg (~60 KN)
accelerazione a = 0,3 m/s2
%1212.0)3.081.906.103.0(
320006000
max ==⋅+−=i
D’altra parte è necessario che lo sforzo di trazione non sia superiore alla reazione dell’aderenza
poiché in caso contrario le ruote motrici slitterebbero senza far avanzare il veicolo (T = fa × Pa):
)(max dtdv
gPPf
i aa ⋅+−⋅
=βμ
Assumendo un coefficiente di aderenza fa = 0,45 (pneumatico e pavimentazione in buono stato,
pavimentazione bagnata, velocità inferiore a 40 km/h)
autovettura: peso P = 1400 kg
peso aderente Pa = 750 kg
accelerazione a = 0,4 m/s2
%1818.0)4.081.905.102.0(
140075045.0
max ==⋅+−⋅
=i
Autoarticolato medio: peso P = 32000 kg
peso aderente Pa = 10000 kg
accelerazione a = 0,3 m/s2
%808.0)3.081.906.103.0(
320001000045.0
max ==⋅+−⋅
=i
-
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Pendenza limite a velocità costante
La massima velocità costante che un veicolo può mantenere su una livelletta di pendenza costante o
viceversa, la massima pendenza di una livelletta che può essere affrontata ad una velocità costante
possono essere ricavate a partire dall’Equazione Generale del Moto:
2max )( VSkdt
dvg
PTPi c ⋅⋅−⋅++⋅−=⋅βμμ
Da cui, eliminando il termine dtdv
gP ⋅⋅ β relativo alla resistenza di inerzia poiché la velocità è
costante:
μ−⋅⋅−=P
VSkTi2
max
Come nel caso dell’avviamento in salita, anche in questo caso la pendenza massima dipende dallo
sforzo di trazione T che però non può superare il limite dell’aderenza fa × Pa.
Lo sforzo di trazione T è direttamente proporzionale alla velocità del veicolo:
VNT 6,3⋅=
Dove:
T sforzo di trazione [kN]
N potenza effettiva alla ruota [kW]
V velocità [km/h]
Si ricorda in proposito che la potenza [Watt] è data dal lavoro [Joule] svolto nell’unità di tempo:
potenza [W] = lavoro [J] / tempo [s]
Lavoro [J] = Forza [N] × Spostamento [m]
Ad esempio:
autovettura: peso P = 16 KN
potenza alle ruote N = 60 KW
velocità V = 100 km/h
Sezione maestra S = 2,0 m2
Coefficiente aerodinamico K = 1,8 × 10-5
%8.8088.0025.016
100108.10.2100
606.3 25
max =≅−⎟⎠⎞
⎜⎝⎛ ⋅⋅⋅−
⋅
=
−
i
-
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20
Considerando invece il limite dato dal coefficiente di aderenza fa
autovettura: peso P = 16 KN
peso aderente Pa = 8,80 KN
coefficiente di aderenza fa = 0,26
velocità V = 100 km/h
Sezione maestra S = 2,0 m2
Coefficiente aerodinamico K = 1,8 × 10-5
( ) %3.9093.0025.016
100108.10.280.826.0 25max =≅−
⋅⋅⋅−⋅=
−
i
Pendenze inferiori al 6,0% hanno poca influenza sulle prestazioni delle autovetture. Al contrario, i
veicoli pesanti, che dispongono di un rapporto potenza/peso (N/P) più sfavorevole, sono fortemente
penalizzati dalla presenza di pendenze elevate che li costringono a significativi rallentamenti.
Allo scopo di fornire al progettista un utile strumento che consenta di valutare, sulla base del
rapporto potenza/peso dei veicoli pesanti e della pendenza della livelletta, la massima velocità di
marcia raggiungibile e lo spazio percorso al variare della velocità, sono disponibili (ad esempio
nella Norma Svizzera o nel Highway Capacity Manual) degli appositi diagrammi simili a quello qui
di seguito riportato.
Variazione della velocità in funzione della pendenza e della lunghezza della livelletta per autocarro
pesante (W/N = 0,83 pari a 11 CV/t)
-
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LE DISTANZE DI VISIBILITA’
Distanza di visibilità per l’arresto
La distanza di visibilità per l’arresto è pari al minimo spazio necessario perché un conducente possa
arrestare il veicolo in condizioni di sicurezza davanti ad un ostacolo imprevisto (definizione D.M.
05.11.2001). Questa distanza di visibilità deve essere garantita lungo tutto lo sviluppo del tracciato.
La distanza di visibilità per l’arresto è data dalla somma dello spazio percorso durante il tempo di
percezione e reazione e dallo spazio percorso durante l’effettiva fase di frenatura:
fpra stvD +⋅= [m]
Dove:
v velocità iniziale [m/s]
tpr tempo di percezione e reazione [s]
sf spazio di frenatura per passare dalla velocità iniziale v alla velocità 0 [m]
il tempo di percezione e reazione, che rappresenta il tempo che trascorre dal momento in cui il
conducente percepisce l’ostacolo al momento in cui è applicata l’effettiva forza frenante, dipende
dalla velocità è può essere calcolato come:
Vt pr ⋅−= 01.08.2 [s]
Dove:
V velocità [km/h]
Lo spazio percorso durante l’azione di frenatura sf si può ricavare direttamente dall’Equazione
Generale del Moto, considerando che non vi è lo sforzo di trazione (T=0) mentre è presente una
resistenza aggiuntiva dovuta al momento frenante Mf.
0)( =++⋅−+±⋅r
MR
dtdv
giP fac
βμμ
Dove:
Ra resistenza aerodinamica = k S V2
Mf momento frenante
r raggio della ruota
-
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Il segno negativo della resistenza di inerzia è dovuto al fatto che tale forza, nella fase di frenatura,
tende a far proseguire il veicolo nel suo moto e quindi si oppone alla diminuzione della velocità.
Volendo calcolare lo spazio minimo in cui arrestare il veicolo senza che le ruote si blocchino, è
necessario effettuare la frenatura al limite dell’aderenza. In particolare è corretto utilizzare la
componente longitudinale fl del coefficiente di aderenza fa (vedi ellisse di aderenza):
Pfr
Ml
f ⋅=
Dove:
Mf momento frenante
r raggio della ruota
fl coefficiente di aderenza longitudinale
P peso sulla ruota
Pertanto l’Equazione Generale del Moto in fase di frenatura può scriversi nella forma:
0)( =++⋅−+±⋅ alc Rfdtdv
giP βμμ
Si può ora ricavare la decelerazione dtdv , tenendo presente che, oltre alla resistenza aerodinamica Ra,
anche la resistenza al rotolamento μ ed il coefficiente di aderenza longitudinale fl dipendono dalla
velocità mentre che la resistenza in curva μc per le autovetture può essere trascurata:
⎟⎠⎞
⎜⎝⎛ ++±⋅=
PvR
vfivgdtdv a
l)(
)()(μβ
Ricordando che dtdsv = e che
dtdva = ne consegue che:
advvds = dv
avds
v
v
s
∫∫ =1
0
1
0
quindi la distanza di arresto sf a partire dalla velocità vi può essere calcolata come:
dv
PvRavfivg
vsiv
l
f ∫⎥⎦⎤
⎢⎣⎡ ++±⋅
−=0 )()()(μβ
Il segno – è dovuto al fatto che dtdv è una decelerazione.
-
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In conclusione, esprimendo la velocità v in km/h, la pendenza longitudinale i in % e trascurando il
coefficiente β che tiene conto dell’inerzia delle masse rotanti, si ottiene la formula della distanza di
visibilità per l’arresto riportata dal D.M. 05.11.2001:
dV
PVRaVfiVg
VtV
DV
l
pra ∫⎥⎦⎤
⎢⎣⎡ ++±⋅
⋅−⋅=0
02
0
)()(100
)(6.31
6.3 μ
Il D.M. 05.11.2001 prevede che la velocità V0 sia assunta pari alla velocità di progetto Vp desunta
puntualmente dal diagramma della velocità.
Il D.M. 05.11.2001 presenta una tabella ed un abaco che riportano i valori che possono essere
utilizzati per il coefficiente di aderenza longitudinale fl per le autostrade e per tutte le altre categorie
di strade. Tali valori sono compatibili anche con superficie stradale leggermente bagnata (spessore
del velo idrico 0,5 mm).
Per le autostrade sono stati adottati valori maggiori in considerazione del fatto che su tale
categoria di strade, caratterizzati da standard geometrici elevati nonché da piani viabili di qualità,
l’utente tende ad impegnare l’aderenza disponibile in misura maggiore. (estratto dal D.M.
05.11.2001).
Si sottolinea inoltre che il D.M. 05.11.2001 definisce il coefficiente fl , richiamando i concetti legati
all’ellisse di aderenza, come:
quota limite del coefficiente di aderenza impegnabile longitudinalmente per la frenatura.
Figura 5.1.2.a del D.M. 05.11.2001
-
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Velocità [km/h] 25 40 60 80 100 120 140 fl Autostrade - - - 0.44 0.40 0.36 0.34 fl Altre strade 0,45 0.43 0.35 0.30 0.25 0.21 -
Tabella 1 Il coefficiente di aderenza impegnabile longitudinalmente (D.M. 05.11.2001)
Figura 5.1.2.b del D.M. 05.11.2001 Figura 5.1.2.c del D.M. 05.11.2001
Distanza di visibilità per il sorpasso
La distanza di visibilità per effettuare in sicurezza una manovra di sorpasso può essere stimata sulla
base di un modello schematico di questa manovra. In particolare, questo modello può essere di due
tipi:
Sorpasso in velocità: il veicolo sorpassante sopraggiunge a velocità costante e, raggiunto il veicolo
più lento, lo sorpassa senza modificare la propria velocità poiché la strada nel senso opposto è
libera.
Sorpasso in accelerazione: il veicolo più veloce raggiunge il veicolo più lento ed è costretto ad
accodarsi ad esso rallentando; quando la strada in senso opposto è libera esso inizia la manovra di
sorpasso accelerando a partire dalla velocità del veicolo più lento.
-
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Entrambi i modelli calcolano la distanza di visibilità per effettuare in sicurezza il sorpasso come
somma della distanza percorsa dal veicolo sorpassante per effettuare la manovra di sorpasso e
rientrare nella corsia, più la distanza percorsa nel medesimo tempo da un veicolo sopraggiungente
in senso opposto, più una eventuale ulteriore distanza di sicurezza.
Il modello utilizzato dal D.M. 05.11.2001 prevede un sorpasso in velocità ed ipotizza che il veicolo
sorpassante e quello proveniente in senso opposto viaggino alla stessa velocità v:
( )321314321 tttvtvvll
vtvddddD bas ++⋅+⋅+Δ+
⋅+⋅=+++=
Dove:
v velocità del veicolo sorpassante [m/s]
t1 tempo necessario per effettuare il cambio corsia: 4 secondi
t2 vll
t baΔ+
=2 tempo necessario per sopravanzare il veicolo sorpassato: 2 secondi
t3 tempo necessario per effettuare la manovra di rientro: 4 secondi
la lunghezza del veicolo sorpassante
lb lunghezza del veicolo sorpassato
Δv differenza di velocità tra il veicolo sorpassante ed il veicolo sorpassato
Il tempo t2 è assunto pari a 2 secondi in considerazione del fatto che se lb è grande (veicolo pesante)
è ragionevole presumere che anche Δv sia grande. Per esempio:
due autovetture la = lb = 5 m ; Δv = 5 m/s (18 km/h) si ottiene t2 = 2 secondi
autovettura la = 5 m ; mezzo pesante lb = 15 m ; Δv = 10 m/s (36 km/h) si ottiene t2 = 2 secondi
Pertanto la distanza di visibilità per il sorpasso si può assumere pari a:
( ) 5.520424424 ⋅≅⋅=++⋅+⋅+⋅+⋅= VvvvvvDs
-
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Dove:
v velocità del veicolo sorpassante [m/s]
V velocità del veicolo sorpassante [km/h]
Il D.M. 05.11.2001 prevede che la velocità V sia assunta pari alla velocità di progetto Vp desunta
puntualmente dal diagramma della velocità.
Distanza di visibilità per la manovra di cambiamento di corsia
La distanza di visibilità per la manovra di cambiamento di corsia serve per garantire all’utente la
necessaria visuale libera per il passaggio da una corsia a quella adiacente in corrispondenza di punti
singolari del tracciato quali incroci, deviazioni, piste di uscita, ecc… Tale distanza di visibilità deve
essere garantita in presenza di più corsie per senso di marcia e permette all’utente che viaggia in
corsia di sorpasso di vedere con un adeguato preavviso la situazione particolare (ad esempio l’uscita
di uno svincolo a livelli sfalsati) in modo da poter rientrare nella corsia di marcia prima di compiere
la manovra appropriata (ad esempio affrontare l’uscita). Si calcola come somma di un tempo
psicotecnico, necessario a percepire e riconoscere la situazione che può essere anche complessa (ad
esempio la lettura di segnaletica di indicazione), pari a 5 secondi, e di un tempo necessario a
compiere l’effettiva manovra di cambiamento corsia, pari a 4,5 secondi. Pertanto, la distanza di
visibilità per la manovra di cambiamento di corsia richiesta dal D.M. 05.11.2001 è pari a:
Dc = 9,5 × v = 2,6 × V
Dove:
v velocità del veicolo sorpassante [m/s]
V velocità del veicolo sorpassante [km/h]
Il D.M. 05.11.2001 prevede che la velocità V sia assunta pari alla velocità di progetto Vp desunta
puntualmente dal diagramma della velocità.
-
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L’EQUILIBRIO DI UN VEICOLO IN CURVA
Velocità limite di sbandamento
Un veicolo di peso P che percorre una traiettoria circolare, di raggio R, a velocità costante v è
soggetto ad una forza centrifuga pari a Rv
gPFc
2
⋅= .
In questo caso interviene la reazione di aderenza trasversale. Infatti, se non essa non si sviluppasse
tra pneumatico e pavimentazione il veicolo sarebbe spinto dalla forza centrifuga verso l’esterno
della curva. Pertanto, affinché ciò non avvenga, è necessario che la forza centrifuga Fc non sia
superiore alla massima reazione di aderenza che dipende dal coefficiente di aderenza trasversale ft
(ellisse di aderenza), poiché la forza è trasversale rispetto alla direzione del moto della ruota.
ft × P ≥ Fc
Pertanto, la velocità limite di sbandamento è pari a:
tsb fRgv ⋅⋅=lim
Velocità limite di ribaltamento
La forza centrifuga è applicata al baricentro del veicolo mentre la reazione di aderenza è applicata
nel punto di contatto pneumatico – pavimentazione. Pertanto, il veicolo è soggetto ad un momento
Mr che tende a ribaltare il veicolo a cui si oppone la forza peso P. Al limite del ribaltamento vale:
2DPhFM cr ⋅=⋅=
Dove:
h altezza del baricentro del veicolo dal piano viabile
D Distanza trasversale tra i due pneumatici
Pertanto:
-
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28
Rgh
Dv ri ⋅⋅= 2lim
Confrontando le due velocità limite si nota che esse sono uguali per h
Dft 2= ; tuttavia le autovetture
moderne presentano un baricentro molto basso e per esse si può assumere D ≈ 2h da cui ne segue
che vlim-ri = vlim-sb per ft = 1. Poiché tale valore del coefficiente di attrito trasversale non è
raggiungibile, ne consegue che vale sempre vlim-ri > vlim-sb e pertanto un autovettura normalmente
sbanda prima di ribaltarsi.
La sopraelevazione trasversale
Le due velocità limite sono state calcolate presupponendo il piano viabile orizzontale. In realtà, per
aumentare la velocità in curva o, a parità di velocità, per diminuire la quota parte di forza centrifuga
compensata dalla reazione dell’aderenza, è possibile sopraelevare il piano viabile rialzando il ciglio
esterno della pavimentazione. In tal modo la componente della forza peso P parallela al piano si
oppone alla componente della forza centrifuga parallela al piano.
Le forze P e Fc che agiscono su un veicolo che percorre a velocità costante una curva circolare di
raggio R e con una sopraelevazione α possono scomporsi nelle due componenti parallela e
perpendicolare al piano viabile. L’equazione di equilibrio nella direzione parallela al piano può
quindi scriversi come:
( )αααα senFPfsenPF ctc ⋅+⋅⋅=⋅−⋅ coscos
Sostituendo Rv
gPFc
2
⋅= e semplificando il peso P si ottiene:
⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛⋅+⋅=−⋅ αααα sen
gRvfsen
gRv
t
22
coscos
Ovvero, dividendo tutto per cosα:
-
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⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛⋅+⋅=− αα tg
gRvftg
gRv
t
22
1
Trascurando il termine αtggRv
⋅2
poiché molto piccolo rispetto all’unità (l’angolo α assume valori
modesti nella progettazione stradale):
)(2
αtgfgRv
t +⋅=
Esprimendo le velocità in km/h (v × 3,6 = V), assumendo g = 9,81 m/s2 e ponendo tgα ≈ q poiché α
è molto piccolo, si ottiene:
)(1272
qfR
Vt +⋅=
Questa equazione rappresenta la relazione che lega V, R, q ed ft al limite dello sbandamento ed è
utilizzata dal D.M. 05.11.2001.
L’equazione proposta, ottenuta sulla base di un modello teorico semplificato, consente la
determinazione della velocità di percorrenza V di una curva di raggio R e pendenza trasversale q, in
funzione del coefficiente di aderenza trasversale ft adottato. Come è già stato esposto ai paragrafi
precedenti, il valore ft può variare sensibilmente in funzione delle modalità con le quali è stato
valutato che, peraltro, non corrispondono mai alle reali condizioni di esercizio di un veicolo.
Pertanto, la velocità che si ottiene da tale equazione è una velocità teorica che dipende sia dalle
modalità di valutazione di ft che dal coefficiente di sicurezza adottato per questa valutazione.
-
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30
LA VELOCITA’ OPERATIVA
Le velocità istantanee dei singoli veicoli su una sezione stradale non sono tutte uguali ma seguono
una distribuzione normale. L’andamento di tale distribuzione è ovviamente influenzato da
molteplici fattori e può variare sensibilmente in funzione delle condizioni ambientali, del traffico
presente e della sua composizione nel periodo di osservazione. Tutti questi fattori influenzano
infatti il guidatore nella scelta della velocità che avviene sulla base di una valutazione soggettiva del
livello di rischio in funzione della situazione “percepita”. Tuttavia, esiste una velocità che, in
assenza di condizionamenti esterni, cioè quando il guidatore non è condizionato dalla presenza di
altri veicoli (sia nel proprio senso di marcia che in quello opposto) né dalle condizioni ambientali
(pioggia, neve, nebbia, ecc…) egli ritiene adeguata in base alle sole condizioni geometriche del
tracciato e, più in generale, dell’ambiente stradale (distanza di visibilità disponibile, ostacoli laterali,
orografia, ecc..). Ovviamente, tale velocità varia da guidatore a guidatore, in base alla capacità
sensoriale (vista, udito), alla propensione al rischio, all’aggressività, alla fretta, alla stanchezza, e a
tutte le altre capacità o condizioni emotive che caratterizzano un soggetto. Anche la distribuzione su
una sezione stradale di queste velocità “desiderate” segue un andamento normale. E’ quindi
possibile identificare un indicatore proprio della loro distribuzione che le “rappresenti”.
L’indicatore utilizzato per rappresentare tale distribuzione in campo stradale è l’85° percentile,
ovvero il valore della velocità al di sotto del quale rimangono l’85% delle velocità osservate. In
pratica, scegliendo tale indicatore solo il 15% dei veicoli è più veloce della velocità presa a
riferimento della distribuzione. L’85° percentile delle velocità osservate sulla sezione è detta
velocità operativa e rappresenta il indicatore internazionalmente riconosciuto per rappresentare la
“reale” velocità tenuta dai veicoli su una sezione stradale in condizioni di flusso libero.
Così come le velocità dei singoli utenti dipendono dalle caratteristiche geometriche della strada,
anche la velocità operativa , che “rappresenta” la loro distribuzione, dipende da esse. In particolare,
è possibile individuare delle relazioni tra la velocità operativa e le caratteristiche geometriche
dell’elemento (curva o rettifilo) su cui è stata rilevata. Tali relazioni sono di natura empirica poiché
si ricavano mediante un’analisi statistica (analisi di regressione) condotta sulle velocità operative e
le caratteristiche geometriche di un campione di siti opportunamente scelto e quindi hanno validità
solo in condizioni analoghe a quelle in cui è stato raccolto il campione di dati (categoria della
strada, strada urbana o extraurbana, numero di corsie per senso di marcia, rettifilo o curva, ecc…).
Tuttavia, il loro utilizzo è estremamente utile poiché, se utilizzate correttamente, permettono di
-
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31
stimare il valore della velocità operativa, ovvero della reale velocità tenuta dagli utenti, in base alle
sole variabili geometriche della strada.
Nel caso di una curva circolare (il caso più studiato) la variabile che ha la maggior influenza sulla
velocità operativa è il raggio, sebbene anche altre variabili presentano una correlazione significativa
con la velocità operativa (tra cui: lunghezza della curva, larghezza della piattaforma, velocità di
avvicinamento, distanza di visibilità disponibile, ecc…).
Figura La velocità operativa in curva in funzione del raggio per le strade extraurbane secondarie
(60 siti - R2 = 0.80) (Perco, 2006); La velocità ambientale in funzione del CCR per le
strade extraurbane secondarie (11 siti - R2 = 0.85) (Crisman, Marchionna, Perco, Robba,
Roberti, 2005).
Nel caso dei lunghi rettifili, ovvero quelli per i quali la lunghezza è tale da consentire al guidatore di
raggiungere e mantenere una velocità costante, la velocità operativa, detta in questo caso velocità
ambientale, dipende principalmente dal CCR (Curvature Change Rate) del tronco di strada
omogeneo, ovvero con simili caratteristiche geometriche lungo tutto il suo sviluppo, a cui il rettifilo
appartiene. Il CCR rappresenta la “tortuosità” del tracciato ed è ottenuto dal rapporto tra la somma
degli angoli di deviazione delle curve del tratto e la lunghezza del tratto stesso (∑gon/m). Anche in
questo caso vi sono altre variabili che influiscono sulla velocità operativa (tra cui: larghezza della
piattaforma, distanza di visibilità disponibile, ecc…).
Questo approccio di tipo sperimentale, produce delle relazioni tra la velocità operativa e una o più
variabili geometriche della curva, che sono un’interessante alternativa all’equazione di equilibrio
del veicolo in curva ottenuta dal modello teorico semplificato presentata nel precedente paragrafo.
Numerose norme hanno adottato relazioni di questo tipo e le hanno poste a base di modelli più o
meno complessi, per legare la velocità di percorrenza alle caratteristiche geometriche del tracciato.
-
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32
LA PROGETTAZIONE DELL’ASSE DELLA STRADA
La progettazione della linea d’asse di una strada si realizza studiando separatamente l’andamento
planimetrico (o tracciato orizzontale) e l’andamento altimetrico (o profilo longitudinale).
L’andamento planimetrico é la proiezione dell’asse della strada sul piano orizzontale.
L’andamento altimetrico è la linea piana in cui si trasforma l’asse stradale disegnato su una
superficie cilindrica a generatrici verticali avente come direttrice il tracciato orizzontale. Insieme
all’andamento altimetrico si rappresenta l’intersezione della superficie cilindrica con il terreno.
Sebbene questi due andamenti siano studiati separatamente essi concorrono a creare un’unica linea
d’asse tridimensionale che si sviluppa nello spazio e devono pertanto essere adeguatamente
coordinati e compatibili. Inoltre, il progetto dell’andamento planimetrico, che è il primo ad essere
sviluppato, deve essere affrontato valutando da subito le conseguenze che esso avrà sul successivo
andamento altimetrico. Infatti, un andamento planimetrico sviluppato senza considerare l’altimetria
del territorio attraversato può non consentire la sovrapposizione di un accettabile andamento
altimetrico.
In generale, per le strade ad unica carreggiata si assume come linea d’asse proprio l’asse della
carreggiata (che nella pratica è rappresentato dalla linea bianca di mezzeria). Nelle strade a due
carreggiate complanari e ad un’unica piattaforma l’asse si colloca a metà del margine interno. Negli
altri casi occorre considerare due assi distinti.
-
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33
ANDAMENTO PLANIMETRICO DELL’ASSE
Il tracciato planimetrico è costituito da una successione di elementi geometrici che possono essere
di tre tipi: rettifili, curve circolari, raccordi a raggio variabile. Tra due elementi a raggio costante
(curva circolare o rettifilo) è necessario inserire un raccordo a raggio variabile lungo il quale si
ottiene la graduale modifica della piattaforma stradale cioè della pendenza trasversale e della
larghezza.
Le definizione degli elementi costituenti il tracciato planimetrico è connessa soprattutto a esigenze
di sicurezza della circolazione. Tale definizione riguarda sia il singolo elemento geometrico (ad
esempio il raggio di una curva circolare o la lunghezza di un rettifilo), sia la sequenza di due
elementi geometrici che si susseguono lungo il tracciato (ad esempio il raggio della curva che segue
un rettifilo in funzione della lunghezza di quest’ultimo). Infatti, le caratteristiche geometriche degli
elementi del tracciato planimetrico influiscono in modo significativo sulla velocità di percorrenza e
quindi, sulla sicurezza della circolazione. Al contrario, numerose ricerche hanno dimostrato che
l’andamento altimetrico non ha un’influenza significativa sulla velocità fino a che le pendenze non
superano valori del ±5÷6 %. Poiché le caratteristiche geometriche degli elementi planimetrici
influenzano la velocità di percorrenza, è logico porre a base della progettazione di questi elementi
una velocità da assumere quale riferimento per le scelte progettuali. In tal modo è possibile
garantire che tutti gli elementi del tracciato siano dimensionati coerentemente con questa velocità e
che le sue variazioni lungo il tracciato non presentino pericolose incongruenze. Questa velocità di
riferimento prende il nome di Velocità di Progetto nel D.M. 05.11.2001.
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La velocità di progetto
Il D.M. 05.11.2001, conformemente a quanto previsto dall’art. 2 D.Lgs. n.285/1992 e s.m.i. (Codice
della Strada), classifica le strade, per quanto riguarda le loro caratteristiche costruttive, tecniche e
funzionali, nelle seguenti categorie:
A - Autostrade (extraurbane ed urbane) B - Strade extraurbane principali C - Strade extraurbane secondarie D - Strade urbane di scorrimento E - Strade urbane di quartiere F - Strade locali (extraurbane ed urbane)
Per ogni categoria il D.M. 05.11.2001 indica un Intervallo della Velocità di Progetto Vp che
definisce il campo dei valori della velocità in base ai quali devono essere definite le caratteristiche
dei vari elementi planimetrici (rettifili, curve circolari, curve a raggio variabile) ed altimetrici
(livellette, raccordi verticali) del tracciato della strada.
La Velocità di Progetto Vp può essere definita come la massima velocità con la quale un veicolo
isolato può percorrere un elemento geometrico planimetrico (curva), in assenza di condizionamenti
dovuti al traffico e in buone condizioni metereologiche, quando la velocità è limitata dalle sole
caratteristiche geometriche dell’elemento stesso.
Il limite superiore dell’intervallo, detto Massima Velocità di Progetto Vp max, è il limite di
riferimento per la progettazione degli elementi meno vincolanti del tracciato (rettifili, curve di
grande raggio) ed è pari alla velocità massima consentita dal D.Lgs. n.285/1992 e s.m.i. (Codice
della Strada) per quella categoria di strada (limiti generali di velocità) aumentata di 10 km/h.
Il limite inferiore dell’intervallo, detto Minima Velocità di Progetto Vp min, è il limite di riferimento
per la progettazione degli elementi plano-altimetrici più vincolanti. In particolare, la minima
velocità di progetto definisce il Minimo Raggio Planimetrico Rmin che può essere utilizzato per la
categoria di strada prescelta. Il valore di questo raggio influisce direttamente sull’inseribilità del
tracciato nell’ambiente da attraversare poiché più esso è piccolo, più il tracciato può essere
plasmato per seguire la naturale conformazione del territorio ed evitarne i vincoli esistenti. D’altro
canto, più il tracciato è tortuoso, meno si adatta a flussi di traffico elevati ed a spostamenti di lunga
percorrenza, che prevedono alte velocità di marcia. Per tale ragione al diminuire della funzione
della strada diminuisce il limite inferiore dell’intervallo della Velocità di Progetto e quindi
diminuisce anche il raggio minimo.
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Il rettifilo
La lunghezza di un rettifilo deve essere limitata poiché lunghezze eccessive hanno conseguenze
negative sulla sicurezza della circolazione. Infatti, lungo un rettifilo il guidatore è soggetto ad un
basso carico di lavoro (workload) e pertanto l’effetto di monotonia che ne consegue porta ad un
aumento progressivo della velocità e ad una diminuzione dell’attenzione. Inoltre, in rettifilo il
guidatore valuta con maggiore difficoltà le distanze e la velocità di un veicolo in avvicinamento.
Infine lungo il rettifilo si pone il problema dell’abbagliamento durante la guida notturna. Per tutte
queste ragioni il D.M. 05.11.2001 limita la lunghezza del rettifilo a:
Lp = 22 × Vp max
Dove:
Vp max limite superiore dell’intervallo della velocità di progetto della strada [km/h]
Il D.M. 05.11.2001 richiede anche una lunghezza minima per un rettifilo affinché possa essere
percepito come tale dall’utente. La lunghezza minima si desume dalla seguente tabella; la velocità è
la massima raggiunta sul rettifilo considerato desunta dal diagramma di velocità.
Velocità [km/h] 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130 140
Lunghezza minima [m] 30 40 50 65 90 115 150 190 250 300 360
Tabella 1 La lunghezza minima del rettifilo in funzione della massima velocità su di esso
raggiunta (D.M. 05.11.2001).
La curva circolare
Il parametro geometrico che caratterizza le curve circolari è il raggio di curvatura R. Il raggio è
l’elemento geometrico che maggiormente condiziona la velocità e, di conseguenza, la sicurezza
della circolazione. Il legame tra raggio e velocità sarà analizzato ai paragrafi successivi. Il secondo
parametro geometrico importante per la curva circolare è lo sviluppo dell’arco di cerchio. Infatti,
affinché la curva possa essere correttamente percepita è necessario che l’arco presenti uno sviluppo
Lc maggiore dello sviluppo minimo Lc min che il D.M. 05.11.2001 fissa pari alla distanza percorsa in
2,5 secondi alla velocità di progetto della curva:
Lc ≥ Lc min = 2,5 × vp
Dove:
vp velocità di progetto della curva [m/s]
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I criteri di composizione dell’asse stradale
Il D.M. 05.11.2001 riporta alcuni criteri di composizione dell’asse stradale che regolano la
sequenza con la quale elementi geometrici diversi possono essere accostati. Tali criteri sono
necessari per evitare che la successione di elementi caratterizzati da velocità di percorrenza
sensibilmente diverse richieda riduzioni di velocità non compatibili con la normale condotta di
guida. Infatti, gli elementi caratterizzati da un’elevata velocità di approccio rispetto alla propria
velocità di percorrenza sono caratterizzate da un’elevata incidentalità. Il caso più evidente è quello
della curva di piccolo raggio che segue un lungo rettifilo sui cui possono essere raggiunte velocità
elevate. Proprio per evitare il verificarsi di tale condizione il D.M. 05.11.2001 stabilisce, per la
sequenza rettifilo-curva, una relazione tra la lunghezza del rettifilo LR ed il raggio R della curva:
R > LR per LR < 300 m
R ≥ 400 m per LR ≥ 300 m
Per limitare la variazione di velocità tra due elementi successivi, nonché per promuovere
un’adeguata regolarità del tracciato, il D.M. 05.11.2001 stabilisce una relazione tra i raggi R1 ed R2
di due curve circolari che, con l’inserimento di un raccordo a raggio variabile, si susseguono lungo
il tracciato di strade di categoria A, B, C, D, F extraurbane. Tale relazione si deduce dalla seguente
figura. Il rapporto tra i raggi R1 e R2 deve collocarsi nella zona “buona” dell’abaco per le strade di
categoria A e B, mentre può collocarsi anche nella zona “accettabile” per le strade di categoria C, D
ed F extraurbane.
Figura figura 5.2.2.a (D.M. 05.11.2001)
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Il legame VP – R – q
Il D.M. 05.11.2001 utilizza l’equazione di equilibrio del veicolo in curva per stabilire il legame tra
le grandezze geometriche che intervengono nel dimensionamento della curva planimetrica, ovvero:
la Velocità di progetto Vp, il raggio R e la pendenza trasversale q:
)(1272
qfR
Vt +⋅= eq. (1)
In particolare, tale equazione trova applicazione per il calcolo del raggio minimo Rmin.
Il D.M. 05.11.2001 fornisce due abachi che legano Vp, R e q:
Figura 5.2.4.a del D.M. 05.11.2001
Figura 5.2.4.b del D.M. 05.11.2001
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L’utilizzo di questi abachi, realizzati in scala bilogaritmica, avviene procedendo nel modo di
seguito descritto:
1. In funzione della categoria di strada, e quindi della minima velocità di progetto Vp min e della
massima velocità di progetto Vp max, si individua la curva da utilizzare.
2. Nel tratto compreso tra Rmin ed R*, la pendenza trasversale rimane costante, verso l’interno della
curva, pari alla massima pendenza trasversale qmax ammessa per la categoria di strada prescelta;
Si utilizza l’equazione (1) per calcolare la relativa velocità di progetto Vp che in questo
intervallo passa da Vp min (per Rmin) a Vp max (per R*).
3. Per raggi superiori a R* la velocità di progetto non può più aumentare, essendo stato raggiunto il
limite superiore dell’intervallo della velocità di progetto Vp max; pertanto tra R* e R2,5 al crescere
del raggio cala la pendenza trasversale fino ad arrivare allo 0,025 verso l’interno della curva in
corrispondenza di R2,5.
4. Per raggi superiori a R2,5, ormai fuori dall’abaco, e fino al valore di R’ (tabellati nel D.M.
05.11.2001), la pendenza rimane costante, pari allo 0,025 sempre verso l’interno della curva.
5. Per raggi superiori a R’ può essere mantenuta la sagoma della piattaforma presente in rettifilo,
cioè può essere mantenuta per la corsia esterna una pendenza dello 0,025 verso l’esterno della
curva.
L’utilizzo dell’equazione (1) e le modalità con le quali questi abachi sono stati ottenuti sono esposte
nei successivi paragrafi.
La pendenza trasversale q
La pendenza trasversale in rettifilo nasce dall’esigenza di allontanamento dell’acqua meteorica dalla
piattaforma stradale. A seconda della categoria di strada il D.M. 05.11.2001 adotta per la
piattaforma stradale le sistemazioni riportate in figura 5.2.3.a.
STRADE TIPO PIATTAFORMA PENDENZE TRASVERSALI A, B, Da due o piu' corsie per carreggiata
Ea quattro corsie
altre strade
Figura 5.2.3.A del D.M. 05.11.2001
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Indipendentemente dal tipo di strada, la pendenza minima delle falde della piattaforma, qmin, è dello
0,025 (2,5%). Valori inferiori sono utilizzati, con gli accorgimenti previsti nel D.M. 05.11.2001,
solo nei tratti di transizione tra elementi di tracciato caratterizzati da diverse pendenze trasversali
(es. rettifilo-curva).
In curva la piattaforma è inclinata verso l’interno e la pendenza è la stessa su tutto l’arco di cerchio.
Solo nel caso il raggio sia maggiore al valore R’, riportato in tabella, è possibile mantenere la
sagoma in contropendenza, come in rettifilo.
Categoria strada
A B C F extraurbane
D E F urbane
R’ [m] 10250 7500 5250 2000 1150
TABELLA 1 (D.M. 05.11.2001)
Il D.M. 05.11.2001 fissa il valore massimo della pendenza trasversale qmax in funzione della
categoria della strada:
Strade categoria A, B, C, F extraurbane e relative strade di servizio qmax = 0,070
Strade categoria D qmax = 0,050
Strade categoria E, F urbane qmax = 0,035
Nel caso le strade siano soggette a frequente innevamento il D.M. 05.11.2001 richiede di limitare la
pendenza trasversale massima qmax allo 0,06.
La pendenza trasversale massima qmax si utilizza nell’intervallo tra Rmin e R*. Per raggi superiori a
R* la pendenza trasversale q diminuisce al crescere del raggio secondo una legge che sarà esposta
nei prossimi paragrafi.
La scelta di una pendenza trasversale massima qmax minore per le strade urbane rispetto a quelle
extraurbane è dovuta al fatto che al margine delle strade urbane possono essere presenti edifici,
marciapiedi, accessi carrai ecc…Di conseguenza, una eccessiva differenza di quota tra i due lati
della strada potrebbe comportare difficoltà di inserimento della strada nell’ambiente attraversato.
La pendenza massima qmax pari allo 0,07 deriva dalla condizione di equilibrio di un veicolo fermo in
curva in condizioni di bassa aderenza trasversale (es. presenza di ghiaccio). In questo caso infatti la
forza centrifuga Fc è nulla e quindi, per evitare che il veicolo scivoli verso l’interno, tutta la
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componente della forza peso P parallela al piano viabile deve essere compensata dalla reazione di
aderenza:
αα cos⋅⋅=⋅ PfsenP t
Ovvero:
αtgf t =
In tale situazione si è ritenuto adeguato un coefficiente di aderenza trasversale ft = 0,07, che
corrisponde all’aderenza disponibile nelle peggiori condizioni (es. ghiaccio).
Il coefficiente di aderenza trasversale ft
Il D.M. 05.11.2001 presenta una tabella con il coefficiente di aderenza trasversale da utilizzare
nell’equazione (1) in funzione della velocità e della categoria della strada. Lo stesso D.M. definisce
il coefficiente ft, richiamando i concetti legati all’ellisse di aderenza, come: quota parte del
coefficiente di aderenza impegnato trasversalmente
In particolare il testo riporta (estratto dal D.M. 05.11.2001):
Per quanto riguarda la quota limite del coefficiente di aderenza impegnabile trasversalmente ft
max, valgono i valori di seguito riportati. Tali valori tengono conto, per ragioni di sicurezza, che
una quota parte dell’aderenza possa essere impegnata anche longitudinalmente in curva.
Velocità km/h 25 40 60 80 100 120 140 aderenza trasv. max imp. ft max per strade tipo A, B, C, F extra urbane, e relative strade di servizio
- 0,21 0,17 0,13 0,11 0,10 0,09
aderenza trasv. max imp. ft max per strade tipo D, E, F urbane, e relative strade di servizio
0,22 0,21 0,20 0,16 - - -
TABELLA 2 coefficiente di aderenza impegnabile trasversalmente (D.M. 05.11.2001)
Per le velocità intermedie fra quelle indicate si provvede all’interpolazione lineare.
L’equazione (1), e quindi i coefficienti ft riportati in questa tabella, sono utilizzati per calcolare il
valore del raggio in funzione della velocità di progetto Vp nell’intervallo tra Rmin e R*. Per raggi
superiori a R* l’impegno di aderenza trasversale diminuisce al crescere del raggio e non valgono
più i coefficienti ft tabellati.
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Il raggio minimo Rmin
Il D.M. 05.11.2001 fissa, per ogni categoria di strada, un intervallo della velocità di progetto Vp.
Pertanto, per ogni categoria di strada è possibile calcolare il Raggio Minimo Rmin con l’equazione
(1) utilizzando la minima velocità di progetto Vp min, la massima pendenza trasversale qmax della
categoria di strada prescelta ed il coefficiente trasversale ft corrispondente a Vp min desunto dalla
tabella 2 riportata nello stesso D.M..
)(127 maxlimmaxmin
2min qf
RV
imptp +⋅=
Per esempio, per una strada di categoria C2:
Vp min = 60 km/h
ft max lim imp = 0,17
qmax = 0,07
da cui ne segue che ( ) mR 11807.017.0127602
min =+⋅=
Il raggio minimo R* per la massima velocità di progetto Vmax
Il raggio R* è il minimo raggio planimetrico che può essere percorso alla massima velocità di
progetto Vmax. Per ogni categoria di strada è possibile calcolare il R* con l’equazione (1) utilizzando
la massima velocità di progetto Vp max, la massima pendenza trasversale qmax della categoria di strada
prescelta ed il coefficiente trasversale ft corrispondente a Vp max desunto dalla tabella 2 riportata
nello stesso D.M.
)(127* maxlimmax
2max qf
RV
imptp +⋅=
Per esempio, per una strada di categoria C2:
Vp min = 100 km/h
ft max lim imp = 0,11
qmax = 0,07
da cui ne segue che ( ) mR 43707.011.01271002
min =+⋅=
Per un valore R del raggio compreso tra Rmin e R* (Rmin ≤ R < R*), la pendenza trasversale rimane
constante e pari a qmax, mentre variano la velocità di progetto Vp, tra Vp min e Vp max, ed il coefficiente
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di aderenza trasversale limite impegnabile ft in funzione di Vp secondo la tabella 2. In questo
intervallo del raggio il legame tra queste variabili è rappresentato dall’equazione (1).
Il raggio R2,5
Il D.M. 05.11.2001 definisce il raggio R2,5 come il raggio per il quale la pendenza trasversale q è
pari allo 0,025 inclinata verso l’interno della curva. Il raggio R2,5 varia in funzione della Vp max della
categoria di strada e può essere calcolato come:
R2,5 = R* × 5
Tale rapporto deriva dalle considerazioni che saranno affrontate nei prossimi paragrafi.
Per valori del raggio R compresi tra R2,5 ed R’ (R2,5 ≤ R < R’) la pendenza rimane costante, pari allo
0,025 verso l’interno della curva.
Variazione della pendenza q tra R* e R2,5
Per raggi maggiori di R* la velocità di progetto Vp rimane costante, pari alla Vp max, mentre cala la
pendenza trasversale q, che passa dalla qmax alla qmin (0,025). Tale riduzione della pendenza
trasversale avviene imponendo un aumento relativo della accelerazione centrifuga compensata dalla
sopraelevazione rispetto a quella compensata dall’aderenza trasversale.
L’accelerazione centrifuga R
V 2 dell’equazione (1) si può scomporre nelle due componenti
compensate rispettivamente dalla pendenza trasversale q e dall’aderenza trasversale ft, dette z e w:
)(1272
qfR
Vt +⋅= eq. (1)
Da cui
1127127)(1271 222 =+=⋅⋅+⋅⋅=+⋅⋅= zwqVRf
VRqf
VR
tt
Dove:
tfVRw ⋅⋅= 2127 componente dell’accelerazione centrifuga compensate dall’aderenza
qVRz ⋅⋅= 2127 componente dell’accelerazione centrifuga compensate dalla sopraelevazione
Il D.M. 05.11.2001 ricava il valore del raggio R2,5 imponendo che il rapporto tra la frazione di
accelerazione centrifuga compensata dalla pendenza trasversale in corrispondenza di R2,5 e la
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frazione di accelerazione centrifuga compensata dalla pendenza trasversale in corrispondenza di R*
sia uguale a 1,785 cioè:
785,1070,0
*127
025,0127
2
25,2
0,7
5,2 =⋅⋅
⋅⋅=
VRVR
zz
Da cui si ottiene il rapporto già visto:
*0,55,2 RR ⋅=
Il D.M. 05.11.2001 impone per z una variazione crescente del tipo: nRkz ⋅= con 0 < n < 1
Imporre una funzione crescente per z all’aumentare del raggio significa imporre, a velocità V
costante, un aumento relativo di z rispetto a w, e quindi dall’accelerazione compensata dalla
pendenza trasversale rispetto a quella compensata dall’aderenza.
Sostituendo questa funzione nell’equazione di z si ottiene:
12
1127 −⋅=⋅⋅ nRkqV
eq. (2)
Si nota immediatamente che deve valere:
n < 1 perché (n-1) deve essere negativo poiché all’aumentare di R, q decresce per V costante
n > 0 poiché nRkz ⋅= deve essere una quantità crescente per l’ipotesi che z (R2,5) > z (R*),
cioè che la quota parte di accelerazione centrifuga compensata dalla pendenza deve
crescere rispetto a quella compensata dall’aderenza (vale z + w = 1 costante)
L’equazione (2) può essere scritta come:
( ) RnVkq log1127
loglog2
⋅−+⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛ ⋅=
Ovvero:
Rbaq loglog ⋅+=
Che è l’equazione di una retta nel piano bilogaritmico R-q
Il coefficiente angolare b = (n-1) si ottiene calcolando la retta, per ogni Vp max, nei due punti
(R*;qmax) e (R2,5;qmin):
*loglogloglog
15,2
maxmin
RRqq
n−−
=−
-
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Sostituendo i valori nell’equazione si ottiene:
n - 1 = - 0,64 → n = 0,36 per tutti i valori di Vp max cioè le rette sono tutte parallele
Il termine k si calcola dall’equazione (2)
1max2
max
*1127 −⋅=⋅⋅ np
RkqV
Da cui si ottiene, per le categorie di strade previste dal D.M. 05.11.2001:
Vp max = 60 km/h - qmax = 0,035 – R* = 121 m k = 0,0266
Vp max = 80 km/h - qmax = 0,050 – R* = 240 m k = 0,0331
Vp max = 100 km/h - qmax = 0,070 – R* = 437 m k = 0,0435
Vp max = 120 km/h - qmax = 0,070 – R* = 667 m k = 0,0396
Vp max = 140 km/h - qmax = 0,070 – R* = 964 m k = 0,0368
Calcolando anche il termine costante ⎟⎟⎠
⎞⎜⎜⎝
⎛ ⋅=
127log
2Vkb è possibile tracciare nel piano bilogaritmico
R-q le rette tra R* e R2,5 per ogni Vp max . Tali rette sono quelle riportate negli abachi di Figura
5.2.4.a e 5.2.4.b del D.M. 05.11.2001.
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LE CURVE A RAGGIO VARIABILE
Nel passaggio tra due elementi caratterizzati da una curvatura costante ma diversa tra loro, ad
esempio un rettifilo ed una curva, vi è una variazione puntuale della curvatura 1/R e quindi anche
dell’accelerazione trasversale V2/R a cui sarebbe sottoposto un veicolo che dovesse muoversi
seguendo rigidamente questi due elementi. Tale problema è particolarmente rilevante per i veicoli
ferroviari poiché essi sono vincolati alla rotaie attraverso il bordino della ruota e la loro inscrizione
in curva avviene con una serie di urti contro la rotaia esterna. Pertanto, fin dall’origine della
trazione ferroviaria, si sentì la necessità di inserire tra due elementi a curvatura costante un
elemento caratterizzato da una curvatura progressivamente variabile da quella dell’elemento
precedente a quella dell’elemento successivo. Questo elemento è detto curva di raccordo o curva a
raggio variabile. In campo stradale questo problema riveste una minore importanza poiché il veicolo
non è vincolato alla strada ed il guidatore, sfruttando la larghezza della corsia, percorre una
traiettoria a raggio variabile durante la rotazione dello sterzo. Tuttavia anche in campo stradale,
derivando l’esperienza dalla progettazione ferroviaria, sono utilizzate le curve a raggio variabile per
raccordare elementi caratterizzati da diversa curvatura.
La clotoide multiparametro
La curva normalmente utilizzata è la clotoide, che fa parte della famiglia delle spirali, la cui
equazione intrinseca è: 1+=⋅ nn Asr
Dove:
r raggio di curvatura
s ascissa curvilinea
A parametro o fattore di scala
n fattore di forma
Le curve appartenenti a questa famiglia aventi 0 < n < ∞ sono convenzionalmente definite clotoidi
multiparametro. Il fattore di forma n determina il modo con cui varia la curvatura 1/R:
n = -1 r = s Spirale
n = 0 r = A Cerchio
n = 1 r × s = A2 Clotoide
n = ∞ r = ∞ Retta
-
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La lunghezza ridotta l e la curvatura ridotta ρ, sono definite come:
l = s / L
ρ = R / r
dove R il raggio di curvatura in corrispondenza dell’ascissa curvilinea finale L. 1+=⋅ nn Asr nel punto generico r; s 1+=⋅ nn ALR nel punto finale R; L
Dividendo le due equazioni:
1=⎟⎠⎞
⎜⎝⎛⋅
n
Ls
Rr
Da cui, sostituendo le variabili: