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H1.11 Metodiche di ricerca dei guasti Come già dichiarato nell’unità A2 |vol. 1|, la ricerca del guasto è una del- le fasi di intervento manutentivo più importanti e qualificanti e occorre agire in modo sistematico e deterministico. Per effettuare una ricerca del guasto completa occorre analizzare tutte le possibili cause che possono averlo determinato e che sono comprese nei seguenti gruppi di appartenenza: mezzi; organizzativi; utente; ambientali; service; progettuali-sistemici. Per ricercare il guasto si parte dall’identificazione del sintomo di mal- funzionamento e si prosegue con la ricerca della causa che lo ha ge- nerato. Ciò avviene con un processo di eliminazione progressiva delle possibili cause, fino a individuare quella che ha provocato il problema. Questo modo di procedere comporta che il manutentore conosca, an- che attraverso manuali |fig. H1.1|, quali sono le possibili avarie dell’appa- recchiatura e quindi possa verificare le relazioni tra il guasto e la causa che lo ha prodotto. H1.1 Manuale di manutenzione. Queste relazioni possono essere fornite in un database sovente definito come troubleshooting; per ovviare alla mancanza di tale database, o al fatto che il guasto si manifesti per la prima volta, bisogna definire preci- si metodi di ricerca e procedure d’indagine del guasto. UNITÀ OBIETTIVI Conoscenze I metodi di ricerca dei guasti nei sistemi meccanici, oleoidraulici, pneumatici, termici, elettro-elettronici I vari tipi di strumenti per la diagnosi dei guasti Abilità Valutare il guasto e le sue cause in relazione al tipo di impianto Descrivere i vari tipi di strumenti per la diagnosi dei guasti CONTENUTI H1.1 Metodiche di ricerca dei guasti H1.2 Strumenti di diagnostica H 1 METODICHE DI RICERCA E DIAGNOSTICA DEI GUASTI

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H1.11 Metodiche di ricerca dei guasti

Come già dichiarato nell’unità A2 |vol. 1|, la ricerca del guasto è una del-le fasi di intervento manutentivo più importanti e qualifi canti e occorre agire in modo sistematico e deterministico. Per eff ettuare una ricerca del guasto completa occorre analizzare tutte le possibili cause che possono averlo determinato e che sono comprese nei seguenti gruppi di appartenenza:

mezzi; organizzativi; utente; ambientali; service; progettuali-sistemici.

Per ricercare il guasto si parte dall’identifi cazione del sintomo di mal-funzionamento e si prosegue con la ricerca della causa che lo ha ge-nerato. Ciò avviene con un processo di eliminazione progressiva delle possibili cause, fi no a individuare quella che ha provocato il problema. Questo modo di procedere comporta che il manutentore conosca, an-che attraverso manuali |fi g. H1.1|, quali sono le possibili avarie dell’appa-recchiatura e quindi possa verifi care le relazioni tra il guasto e la causa che lo ha prodotto.

H1.1 Manuale di manutenzione.

Queste relazioni possono essere fornite in un database sovente defi nito come troubleshooting; per ovviare alla mancanza di tale database, o al fatto che il guasto si manifesti per la prima volta, bisogna defi nire preci-si metodi di ricerca e procedure d’indagine del guasto.

UNITÀ

OBIETTIVI

Conoscenze

I metodi di ricerca dei

guasti nei sistemi meccanici,

oleoidraulici, pneumatici,

termici, elettro-elettronici

I vari tipi di strumenti

per la diagnosi dei guasti

Abilità

Valutare il guasto e le sue cause

in relazione al tipo di impianto

Descrivere i vari tipi di strumenti

per la diagnosi dei guasti

CONTENUTI

H1.1 Metodiche di ricerca dei guasti

H1.2 Strumenti di diagnostic a

H1METODICHE DI RICERCA

E DIAGNOSTICA

DEI GUASTI

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Metodo sequenziale

Tale metodo consiste in 7 azioni successive, legate tra loro, per la ricerca del guasto.

1. Identifi cazione del problema

È necessario sapere che cosa è successo all’apparec-chiatura, o all’impianto, attraverso informazioni chia-re e inequivocabili.

2. Raccolta delle informazioni necessarie

Questa indagine può essere fatta rivolgendo specifi che domande ai tecnici che operano sull’impianto.

Le informazioni che vengono raccolte descrivono det-tagliatamente i sintomi che avvertono che l’impianto non funziona in modo regolare. In questa fase anche gli strumenti di controllo vanno esaminati: essi stessi potrebbero, infatti, indicare false anomalie per un loro difetto. Anche la storia dei guasti deve essere verifi cata, in quanto possibile fonte di informazioni sul guasto attua-le. I dati storici devono essere posti su carte ECF (Event

and Casual Factors), in cui si annotano tutte le infor-mazioni utili relative agli eventi/guasti poste in modo cronologico |tab. H1.1|.

TABELLA H1.1 y Esempio di Carta Event and Casual Factors

Data Ora Evento Note

18/10/2013 8,45

Sala di controllo

segnala piccola perdita

di vapore su linea

generazione vapore

Linea vecchia,

con perdite frequenti

La corrosione riduce

lo spessore delle pareti

I controlli annuali su

pressione e spessore

delle pareti hanno

dato segnali di

peggioramento negli

ultimi 2 anni

La corrosione è di

recente aumentata a

causa di problemi di

natura chimica

9,10Chiamata manutenzione

per valutare la perdita

Non esistono procedure

in caso di perdite

9,56Rotture della linea

causano maggiori perdite

9,58

Sala di controllo cerca

di isolare le perdite, ma

la valvola non risponde

Manca aria: i cilindri di

apertura delle valvole

non funzionano

Valvola in avaria

Mancanza di aria

nell’impianto

Perdite di aria nei

cilindri pneumatici

Cilindri e valvole vicini

alla linea di vapore

(alta temperatura)

Le valvole sono state

revisionate con sigillanti

non adatti a sopportare

le temperature di

esercizio

10,30

L’operatore chiude

manualmente la valvola

di alimentazione del

vapore

32modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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3. Valutazione della qualità delle informazioni

Dopo aver raccolto le informazioni sul guasto, si va-luta se il loro numero e il loro contenuto è suffi ciente per formulare una risposta alla domanda generata dal guasto. Occorre esaminare la serie storica dei prece-denti guasti e consultare il manuale di accompagna-mento dell’impianto stesso. Di fronte ad apparecchi o impianti complessi, è utile individuare sottosistemi che li compongono e, ini-ziando dal primo, verifi carne il funzionamento. Si concentra l’attenzione sul sottosistema guasto e con la stessa tecnica si procede con gli elementi che lo com-pongono fi no a individuare il guasto stesso.In alternativa si può verifi care il funzionamento dell’impianto in un punto centrale: se non si osserva-no anomalie a monte, si passa alla parte a valle con la stessa tecnica, cioè dividendo in due parti l’impianto.

4. Analisi delle informazioni

Tale analisi viene fatta tenendo conto dei seguenti fattori:

ragionamenti basati sui fatti e sull’esperienza; riferimento ai principi della Fisica; utilizzo del manuale d’uso e di manutenzione; esame di casi similari, su cui si è lavorato prece-

dentemente; analisi del caso (che cosa?, dove?, quando?), sta-

bilendo quindi che cosa funziona e che cosa non funziona, dove nasce il problema e quando si è manifestato il guasto;

regola dei “5 perché”, ovvero, si pongono 5 domande correlate tra loro , in sequenza, per risalire dall’eff etto alla causa (domandarsi 5 volte “perché” per risalire al-le cause all’origine del fenomeno).

Questo è un metodo di diagnosi analitico (problem solving), basato sulle seguenti domande:

What? (che cosa?); When? (quando?); Where? (dove?); Why? (perché?); Who? (chi? con chi?); How? (come?).

Per realizzare il metodo occorre in primo luogo, per ogni guasto, sviluppare un albero dei guasti, ovve-ro pensare (il più liberamente possibile, operando a mente aperta) a tutte le possibili cause che possono condurre all’evento di guasto riscontrato.Fondamentale in questa ricerca delle cause è procedere in modo ordinato, suddividendo gli eventi per categorie di appartenenza (mezzi, organizzativi, utente, ambientali, service, progettuali-sistemistici), cercando di avere alme-no una o più possibili cause di guasto per ogni categoria.

A questo punto, ogni possibile ipotesi di guasto viene vagliata al setaccio delle 5 domande elencate in prece-denza: l’applicazione corretta del metodo prevede sia una risposta positiva sia una risposta negativa.

Cosa è successo (per avere come risultato questo ti-po di guasto) e che cosa non è successo (che sarebbe dovuto succedere e viceversa non si è realizzato) per ottenere la condizione di buon funzionamento?

Dove è successo quel certo tipo di guasto e dove non è successo, ovvero, perché su quel certo com-ponente, con certe sollecitazioni e in certe condi-zioni si manifesta un guasto, mentre su un altro componente dello stesso tipo, in condizioni iden-tiche (o su un’altra macchina equivalente), l’evento non si realizza quasi mai?

Quando si è manifestato l’evento di guasto e per-ché non si manifesta in altre occasioni o altri mo-menti che dovrebbero risultare altrettanto propizi, mentre in realtà ciò non avviene?

Come si realizza l’evento di guasto e come non si realizza, ovvero, è possibile ritrovare un metodo sistematico per riprodurre la sequenza di cause-eff etto che conducono alla situazione di guasto?

Chi (quale operatore), lavorando sulla macchina, determina situazioni di guasto e chi, pur realizzan-do il medesimo ciclo di attività, non determina le medesime anomalie? In cosa diff eriscono le rispet-tive procedure operative? Si evidenzia una necessi-tà di training o di condivisione delle esperienze fra i vari operatori?

Perché il guasto si realizza sempre con determina-te modalità, mentre non si rileva in altri casi, con-dizioni, o modalità operative diff erenti?

Le risposte alle varie domande vengono messe in una tabella (1 riga per ogni ipotesi di guasto; 6 colonne per ogni domanda) e su ciascuna colonna si pone una crocetta per le risposte positive e negative e un punto interrogativo per le risposte ancora incerte.Le ipotesi di guasto più probabili saranno quelle che contabilizzeranno il numero maggiore di crocette (“Sì” alle risposte positive, “No” a quelle negative): ad ogni risposta positiva o negativa, la logica consenta di scar-tare immediatamente (o mantenere ancora in vita, in caso di dubbio) le altre ipotesi di guasto formulate.Il metodo delle 5W risulta a tutti gli eff etti un metodo di selezione ad imbuto, in cui ogni ipotesi valutata in modo aff ermativo per una delle domande comporta quasi sempre lo scarto, per ragioni opposte, di mol-te altre ipotesi: si tratta quindi di un ottimo metodo, particolarmente selettivo, basato su considerazioni lo-giche, sul quale tutti possono concorrere ragionando in modo pacato e costruttivo.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H133

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Talvolta, nella valutazione delle risposte occorre an-

cora aggiungere delle considerazioni quantitative (per

esempio nel 25% dei casi), inserendo nei parametri di

valutazione un’ulteriore “H” (How much? , cioè “quan-

to”). In questo modo il metodo si amplia ulteriormen-

te a livello 5W+2H.

La scelta quantitativa può infatti dare un peso relativo

di importanza al punteggio attribuito ad ogni rispo-

sta, evitando che considerazioni troppo minuziose o

fenomeni irrilevanti risultino considerati alla stessa

stregua di altri numericamente ben più consistenti. In

questo caso le schede sintomi-cause, anziché essere a

crocette o a risposte Sì/No (scelta binaria) diventano

delle schede “a punti” dove il punteggio rappresenta il

numero di casi (probabilità) in cui l’associazione sin-

tomo-causa si è dimostrata vera.

Esse costituiscono delle vere e proprie guide alla ri-

cerca guasto, semplicemente osservando i sintomi e

selezionando le cause più probabili, in progressione,

fi no ad arrivare alla causa prima o più probabile, limi-

tando ricerche dispersive e perdite di tempo.

Il metodo delle 5W non serve per ricercare verità as-

solute e non dà risposte defi nitive, ma consente di re-

stringere il campo delle ipotesi e fornisce indicazioni

utili su quali ulteriori indizi e indagini diagnostiche

possano portare a giudizi conclusivi.

5. Proposta delle possibili soluzioni

Dopo aver ipotizzato più soluzioni, si preparano pro-ve per verifi care quale soluzione permette di indivi-duare il guasto e riparare la parte danneggiata; se la riparazione non deve interrompere il funzionamento di un impianto, si deve scegliere la soluzione compa-tibile con il funzionamento. Anche il costo della ripa-razione interviene nella scelta, per cui talvolta la solu-zione da attivare è la più economica.

6. Verifi ca delle soluzioni proposte

Proposta una soluzione, questa deve essere sperimen-tata per vedere se l’analisi è stata corretta.

7. Realizzazione della riparazione defi nitiva

Infi ne si attua la riparazione e l’operatore completa la documentazione relativa all’intervento eseguito.

Tabelle Ricerca guasti

Quando interviene un disturbo, è facilitata la ricerca del rimedio se si utilizzano delle tabelle di ricerca guasti, spesso presenti nei manuali d’uso e manuten-zione, formate da 3 colonne in cui vengono indicati i seguenti elementi: sintomo, causa, rimedio.La tabella H1.2 è tratta da un volume dell’Assofl uid ed è relativo al surriscaldamento della pompa di un im-pianto oleodinamico.

Di seguito sono riportate le indicazioni di base sulla

ricerca guasti dei vari sistemi e impianti.

Ricerca guasti di sistemi meccanici

Nei sistemi meccanici sono presenti collegamenti e

leverismi che possono essere allentati, sregolati, bloc-

cati e talvolta anche asportati |fi g. H1.2|.

La ricerca di un guasto inizia, perciò, eff ettuando al-

cuni controlli come:

verifi care che tutti i collegamenti e i leverismi sia-

no stretti e assicurati |fi g. H1.3|;

accertarsi che gli sportelli e le strumentazioni

meccaniche siano sempre chiusi correttamente e

in perfetta tenuta;

esaminare lo stato delle parti meccaniche che po-

trebbero essere sorgenti di vibrazioni pericolose

per interruttori e delicati strumenti meccanici;

accertarsi che non esistano situazioni di sovraccari-

chi anche transitori perché potrebbero causare danni.

TABELLA H1.2 y Esempio della tabella Ricerca guasti

Sintomo Causa Rimedio

Surriscaldamento della pompa

Pompa usurata Riparare o gettare

Viscosità troppo bassa Cambiare fl uido

Sistema refrigerante non effi ciente Aumentarne la capacità di raff reddamento

Cuscinetti inadeguati Modifi care

34modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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H1.2 Collegamenti con bulloni.

H1.3 Leverismi meccanici.

Ricerca guasti di sistemi oleoidraulici e pneumatici

Nei sistemi oleoidraulici, quando si osservano delle anomalie o si constatano dei guasti, è necessario pas-sare all’identifi cazione della pressione e dei movimen-ti non corretti. Prima di tutto bisogna controllare la centralina, per verifi care che la pompa giri (c’è corren-te?) e generi la pressione necessaria; a tal proposito, c’è un manometro montato che deve immediatamente essere controllato. Poi si esaminano i componenti di controllo che agiscono sul fl usso erogato dalla pompa: le valvole direzionali, le valvole di controllo della pres-sione |fi g. H1.4| e le valvole di controllo della portata.

H1.4 Valvola di controllo della pressione con manometro.

Sovente, sugli impianti sono montati apparecchi di monitoraggio che consentono di realizzare, anche in assenza di personale, il controllo delle condizioni operative dell’impianto. Questi componenti sono dei trasduttori: rilevano la grandezza da controllare ed emettono un segnale elettrico verso il supervisore (op-pure mandano segnali via radio, via internet), se viene superato il valore di riferimento della grandezza.In base alle informazioni dei sistemi di monitoraggio, si possono verifi care due situazioni:

segnale luminoso e/o acustico che indica un’a-nomalia, che non infl uisce sulle prestazioni della macchina;

arresto dell’impianto con segnalazione della causa che ha prodotto l’evento.

Da tali segnalazioni il manutentore dovrà:

esaminare i livelli di massima, di guardia e di mi-nima dell’olio |fi g. H1.5| e di eventuali liquidi di raf-freddamento;

H1.5 Misuratore del livello dell’olio.

verifi care che in tutti i collegamenti fl uidici non vi siano trafi lamenti |fi g. H1.6|;

accertarsi che non ci sia un aumento della tempe-ratura;

accertarsi dell’eventuale presenza di sovraccarichi, anche transitori, utilizzando misure di grandezze elettriche.

H1.6 Trafi lamenti dell’olio.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H135

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In un sistema pneumatico, la ricerca di un guasto inizia eff ettuando questa serie di controlli:

verifi care che gli indicatori di pressione siano fun-zionanti;

verifi care che la pressione di funzionamento dell’impianto sia esatta;

accertarsi che non esistano perdite, componenti difettosi, punti di ruggine;

controllare la pulizia dei fi ltri e delle parti mobili; controllare il buon funzionamento delle apparec-

chiature di controllo (valvole regolatrici, di dire-zione ecc.), spesso contenenti al loro interno con-dotti piccoli che possono intasarsi;

accertarsi che i fori per la ventilazione non siano ostruiti da foglie o insetti.

Il paragrafo H1.2 presenta una vasta gamma di stru-menti che possono essere utilizzati per diagnosticare i problemi, specie in condizioni di scarsa accessibilità.

Ricerca guasti di sistemi termotecnici

Come in tutte le realizzazioni, le cause di un guasto sono direttamente o indirettamente riconducibili alle fasi di progettazione, di montaggio oppure all’usura nel tempo. I guasti riconducibili ad un’errata progettazione sono sempre più rari e improbabili; infatti, il progettista è tenuto a seguire normative sempre più dettagliate, sottoposte dagli Enti preposti a una continua evolu-zione, allo scopo di prevedere ogni caso e variante; l’uso di computer, di prodotti e programmi anch’essi sempre più dettagliati, molti dei quali messi a punto dai fabbricanti dei componenti, fa sì che i margini di errore siano ormai ridotti al minimo. Anche i guasti riconducibili a un montaggio errato so-no in netto calo rispetto ad un tempo. L’usura, d’altra parte, è un fenomeno che si sviluppa nel corso del tempo, causando guasti dovuti al con-sumo delle parti, al loro deterioramento e al degra-do delle prestazioni: si pensi all’insorgere della rug-gine, tipico degli impianti termici, favorita dalla pre-senza contemporanea di acqua in movimento più alta temperatura. L’uso di fi ltri e di separatori delle sostanze disciolte nell’acqua ha ridotto molto l’in-sorgere della ruggine; anche la qualità dei materiali, cresciuta notevolmente negli ultimi anni, consente di garantire la funzionalità di tubature e organi vari per decenni.Spesso i guasti nei sistemi termotecnici avvengono su impianti molto vecchi: ad esempio, si sa che esistono tratte di tubatura nelle reti acquedottistiche risalenti addirittura all’800, come pure impianti di riscaldamen-to anteguerra (quindi più che ottantenni), tuttavia an-

cora funzionanti regolarmente. In un numero notevo-le di casi, il guasto è da ricondurre all’uso scorretto da parte dell’utente il quale, privo di nozioni specialistiche e talora – ahimè – privo del più elementare buon senso, richiede all’impianto, o alla macchina, prestazioni che essi non sono in grado di dare, ponendoli in condi-zioni di dover lavorare fuori dal campo di affi dabilità, per i componenti, e di sicurezza per l’utente. Restando nell’ambito domestico, si pensi ai rischi conseguenti al sovraccarico delle linee elettriche, al superamento dei limiti di carico di biancheria nella lavatrice, all’apertura e chiusura dei serramenti fatte in modo sempre brusco, al pretendere performances prestazionali di alto livello da un’autovettura di tipo utilitario.Una regola fondamentale per evitare guasti è l’esecu-zione nei tempi prescritti della manutenzione pre-

ventiva: oltre a garantire il corretto funzionamento dell’impianto, la manutenzione consente di control-lare la funzionalità dei componenti, segnalandone per tempo lo stato di usura. Il vantaggio che ne con-segue è poter programmare una data comoda a tutti per eseguire l’intervento sostitutivo, approvvigio-nando per tempo il ricambio ed evitando il grosso fastidio per l’utenza che deriva dal fermo improvviso dell’impianto o della macchina; si pensi al disagio per l’utente nel caso di guasti improvvisi nel sistema di riscaldamento durante un inverno rigido, oppure un guasto improvviso della pompa che fornisce l’ap-provvigionamento dell’acqua potabile alle case in un giorno festivo. La manutenzione preventiva e programmata consen-te di sostituire per tempo gli organi giunti al termine del periodo di lavoro indicato dal fabbricante (mate-riali di consumo), prima dell’insorgere della rottura.

La ricerca dei guasti consiste nel determinare la loro esatta natura, a partire dai sintomi segnalati: questa è la cosiddetta diagnosi.

Essa non sempre risulta agevole ed immediata, poiché spesso i difetti segnalati dall’utenza sono espressi in modo contradditorio, di non facile comprensione. Si pensi per esempio ai principali guasti o malfunziona-menti degli impianti idraulici e di riscaldamento. La prima cosa che l’utente deve fare, dopo aver rilevato la difettosità, è controllare se possa essere di immediata soluzione, prima di chiamare il tecnico manutentore. È indispensabile consultare il manuale di manuten-zione prima di porre mano sull’impianto.I principali difetti leggeri nell’impianto idraulico do-mestico sono legati alla rubinetteria e alle perdite: il rubinetto che perde può essere riparato facilmente so-stituendo il gommino rotondo di guarnizione; il rubi-

36modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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netto che non scarica l’acqua richiede lo smontaggio del getto spruzzatore e la pulizia della reticella che fa da fi ltro, oppure, nel caso di un rubinetto miscelatore, può essere necessario sostituire la “cartuccia”. Si tratta di operazioni non diffi cili, ma che richiedono cautele e una certa conoscenza dell’uso degli utensili di base, quali pinze e chiavi di manovra. Una perdita dai tubi di scarico o dai sanitari può essere fermata mediante collanti siliconici, controllando che gli organi fi lettati siano stretti a dovere.Per quanto riguarda gli impianti di riscaldamento e climatizzazione si possono citare i seguenti casi.

Se la valvola “risuona” come se stesse passando ghiaietta fi ne, è assai probabile che ci troviamo di fronte a un caso di cavitazione, fenomeno dovuto al liquido convertito in forma gassosa, con formazio-ne di bollicine di vapore che poi collassano di col-po, creando una vera e propria “implosione”, ovvero una sorta di esplosione al contrario; essa genera vibrazioni che corrodono gli organi che vengono a trovarsi a contatto con le bollicine, spesso in tempi brevi. La presenza di rumore crescente nel tempo può essere un sintomo premonitore del progredire della cavitazione e dei suoi eff etti distruttivi.

Se all’uscita della valvola esce meno fl uido del pre-visto, con la pressione a valle inferiore di quella a monte, è possibile vi sia una ostruzione nel con-dotto a monte o nella valvola stessa: conviene apri-re ed ispezionare l’interno della valvola.

Se il fl uido attraversa ad alta velocità la valvola, si possono produrre erosioni e trafi lamenti: è buona norma aprire sempre la valvola con gradualità, so-prattutto se la pressione a monte è notevole. È an-che buona norma chiudere valvole e rubinetti con gradualità, per impedire l’insorgere di picchi im-provvisi di pressione che risalgono lungo la tuba-tura a monte dell’organo di intercettazione: questo fenomeno è particolarmente pericoloso nelle con-dotte a grande portata, come ad esempio i grossi impianti industriali o gli impianti idroelettrici, ed è noto come colpo d’ariete: se si ripete con frequen-za, può portare allo sfondamento delle valvole o anche delle tubature stesse.

La presenza di incrinature o screpolature nei con-dotti può essere indice che le valvole sono sottodi-mensionate: esse stanno lavorando in condizione limite, per cui la loro affi dabilità rischia di non es-sere più garantita.

Il bloccaggio delle valvole regolatrici e dei rubinet-ti è un problema assai frequente nei circuiti idrau-lici e termici: spesso è dovuto alla lunga inattività, quindi è consigliabile eseguire periodicamente un controllo, semplicemente azionandoli.

Le valvole che lavorano in modo discontinuo ri-chiedono particolare attenzione: se hanno oliatori questi devono essere sottoposti ad attività di ma-nutenzione ispettiva.

Se una camera risulta molto più fredda o mol-to più calda delle altre, conviene per prima cosa controllare la regolazione del termostato, spesso modifi cata magari inavvertitamente da un altro utente. Verifi care le connessioni dei cavi e lo stato dei fusibili. Pigiare il pulsante di reset e controllare come risponde il sistema. Tale difetto può anche essere causato da un sensore in condizioni non di rottura, bensì di malfunzionamento o che ha perso la taratura: in tal caso il segnale emesso è errato, tuttavia la centralina di regolazione non ha motivo di rifi utare l’informazione e la interpreta come buona.

Insospettirsi non appena si notano perdite, soprat-tutto se recenti: risalire al loro percorso e ricercar-ne l’origine e la causa.

Nel caso di impianti di condizionamento che, pur avendo posto i ventilatori in azione, non stanno soffi ando aria nella giusta quantità, occorre per prima cosa controllare i fi ltri; accertarsi che non siano intasati od ostruiti, che non vi siano corpi estranei nel condotto. Controllare la lubrifi cazione dei perni degli sportelli. I condensatori posti all’a-perto si intasano facilmente con foglie e materiale vegetale. Può essere utile segare via un centimetro di materiale dalla base delle porte per favorire la formazione del moto dell’aria.

Ispezionare lo stato delle cinghie di trasmissione nei soffi anti, controllarne la tensione e le condizio-ni superfi ciali: non devono risultare molli e non devono presentare abrasioni superfi ciali.

Ispezionare anche le pulegge delle trasmissioni a cinghia: esse devono essere ben allineate e prive di ammaccature. L’allineamento si esegue smollando il dado di montaggio presente sull’albero motore e riorientando la puleggia delicatamente.

Su numerosi manuali messi a disposizione dai fab-bricanti, sono riportate delle serie di controlli da eseguire in sequenza, denominate troubleshooting: è meglio attenersi a tali indicazioni, nate sulla base delle esperienze degli specialisti, per non omette-re alcuni controlli magari importanti, ma non così evidenti a primo acchito: è improbabile che si de-cida di controllare spontaneamente una valvola regolatrice della temperatura o della pressione, se non si è a conoscenza né della sua esistenza né del-la sua esatta ubicazione. Queste precauzioni aiu-tano ad individuare le cause reali del guasto o del malfunzionamento.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H137

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Le immagini seguenti fanno comprendere l’impor-tanza di un’accurata osservazione di insieme, da eff et-tuare come primo controllo, a cominciare dall’esterno.Nella fi gura H1.7 si nota la presenza di una striscia grigiastra sul terreno, di colore più chiaro della terra circostante, proprio in corrispondenza delle grondaie.

H1.7 Gocciolamento della grondaia.

Questa variazione del colore del terreno è un indice di sgocciolamento continuo nel tempo (non dovuto alle piogge), proveniente dal tetto o dalle grondaie; la causa va ricercata probabilmente nella forte presenza di umidità nel locale caldaia, magari dovuta a perdi-te nelle tubatura di ingresso, oppure nel fatto che lo scambiatore sia arrugginito o che abbia delle perdite che fi niscono con il condensarsi sul tetto, generando così un continuo sgocciolamento durante la stagione invernale quando il riscaldamento è in funzione.La stufa rappresentata nella fi gura H1.8 ha più di venti anni di servizio: è una stufa a metano, in acciaio e ha sempre funzionato correttamente, generando calore senza alcun intoppo. Malgrado non vi siano rotture evidenti né cedimenti strutturali, si possono osservare tracce di ruggine sulla base: questo è un chiaro segno di perdite verso l’esterno.In realtà, ad un’osservazione più accurata si notano colature sui lati (indice di manutenzione trascurata) e probabili perdite di acqua, anche se di lieve entità. An-che in questo caso non è improbabile che, osservando più accuratamente l’esterno del caseggiato, si notino macchie dovute a perdite d’acqua provenienti dalle fondamenta. La stufa, comunque, necessita di una re-visione pesante o di una sostituzione.

H1.8 Stufa con tracce di ruggine sulla base.

Ricerca guasti di sistemi elettrici ed elettronici

L’elemento base della ricerca guasti nelle apparec-chiature elettriche ed elettroniche è costituito da una sequenza di successive scelte binarie: la corrente elettrica passa o non passa, a seconda che il circuito sia chiuso o aperto, provando entrambe le condizioni di esercizio.È immediato concludere che la situazione di guasto si verifi ca quando ciò che deve essere acceso (ON) risul-ta spento o scollegato (OFF), o viceversa.Questo tipo di semplice verifi ca si può realizzare con strumenti diversi:

prova di continuità o interruzione di un circuito con un ohmetro;

misura di presenza o assenza di tensione con un voltmetro;

misura di presenza o assenza di corrente con un amperometro.

Mentre gli ultimi due tipi di misure si realizzano con l’apparecchiatura alimentata e funzionante, la misura di continuità deve essere sempre eseguita a impianto spento, senza che tensioni e correnti siano impresse nel circuito. Per tale ragione, la verifi ca di continuità viene spesso eseguita come prova preliminare, per poi passare a prove funzionali e in esercizio in tensione solo dopo aver verifi cato il corretto collegamento e l’assenza di cortocircuiti.Di norma, per eseguire la verifi ca di un impianto elet-trico si parte sempre dall’interruttore generale, scen-dendo quindi in progressione nei vari circuiti derivati e collegati e seguendo una sequenza sistematica di prove che consenta di operare in sicurezza.L’operatore elettrico incaricato della messa in servi-zio di un impianto dimostra la sua professionalità essendo in grado di evitare sia i cortocircuiti (con il conseguente scatto degli interruttori automatici di

38modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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protezione) sia la mancata accensione del circuito

alimentato dalla chiusura dell’interruttore o del rela-

tivo comando di attivazione.

Per ottenere ciò, la sequenza corretta di verifi ca di

un impianto contempla sempre le seguenti fasi ele-

mentari, valide per qualunque sezione di impianto si

esamini:

1. “battitura” punto a punto del circuito per verifi care

la conformità e la completezza del cablaggio se-

condo lo schema allegato;

2. verifi ca assenza di cortocircuiti a valle (dell’inter-

ruttore o del sezionatore del gruppo);

3. verifi ca presenza di tensione a monte (dell’inter-

ruttore o del sezionatore del gruppo);

4. attivazione del circuito in esame (chiusura dell’in-

terruttore);

5. misura degli assorbimenti di corrente per ogni ele-

mento collegato, secondo le specifi che di potenza

elettrica fornite a schema.

Il multimetro digitale, strumento che dà la possibi-lità di realizzare i tre tipi di misure sopra defi niti, è lo strumento base per una corretta e completa ricer-ca guasti su sistemi ed impianti elettrico-elettronici.

La pinza amperometrica |fi g. H1.9| oggi sostituisce

sempre di più l’amperometro, in quanto risulta di più

facile utilizzo e di semplice inserzione/disinserzione.

H1.9 Pinza

amperometrica.

La ricerca guasti su sistemi di automazione (PLC) de-riva dai precedenti canoni generali visti per le appa-recchiature elettriche: di norma, si tratta di verifi care segnali di sensori/attuatori di tipo digitale, il cui stato può essere “ALTO” (ON, +24 V) o “BASSO” (OFF, 0 V).La ricerca guasti è in questo caso facilitata dalla pre-senza sulle schede di I/O di led che indicano lo stato dei segnali di ingresso e uscita.Si riscontrano i seguenti casi.

1. Sulle schede di uscita |fi g. H1.10|, la mancata cor-rispondenza fra lo stato del led e il livello di ten-sione del segnale elettrico collegato è sintomo di guasto del dispositivo collegato oppure di man-canza di alimentazione (24 V) alla scheda stessa (che non può in tal modo pilotare nessuna delle uscite).

H1.10 Schemi di collegamento delle schede di uscita PNP/NPN.

IEC

SOURCE

OUT

+

+

IEC

SINK

OUT

+24 V+24 V

0 V 0 V

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H139

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2. Sulle schede di ingresso |fi g. H1.11|, la mancata cor-rispondenza fra lo stato del led e il livello di ten-sione del segnale elettrico collegato è sintomo di interruzione del collegamento fra il trasduttore e la scheda stessa oppure di mancanza dell’alimen-tazione comune a +24 V (collegamento NPN) o a massa (collegamento PNP), che impedisce il ritor-no di corrente.

3. La CPU del PLC dispone di una serie di led |fig. H1.12| che, in colore giallo o rosso, eviden-ziano errori e malfunzionamenti del sistema che ne impediscono il normale funzionamento (ar-resto del programma, perdita del programma, errori di configurazione sul bus, scollegamento e scambio di schede rispetto alla posizione ori-ginale ecc.).

H1.11 Schemi di collegamento della scheda di ingresso PNP/NPN (il diodo fa parte di un optoisolatore).

H1.12 Led diagnostici sul frontale della CPU.

4. La mancata corrispondenza fra lo stato dei led con il segnale all’interno del PLC (rilevabile solo con apposita apparecchiatura di programmazione)

indica guasti interni alla scheda di I/O e problemi di interfaccia con il PLC (in tal caso è necessario sostituire la scheda).

40modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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H1.13 Analizzatore di stati logici.

Per la ricerca guasti su microprocessori e computer l’oscilloscopio digitale diventa “analizzatore di stati logici” con molteplici canali per catturare i diversi se-gnali in evoluzione contemporanea.

H1.21 Strumenti di diagnostica

Prove non Distruttive

Oggi la manutenzione ha raggiunto un’importanza e un peso economico tale per cui non stupisce il fatto che la tecnica si sia dotata di strumenti esclusivamente dedicati alla ricerca dei guasti.Le tecniche produttive, specie negli impianti di pro-duzione di massa o di produzione continua, richiedo-no che gli impianti funzionino a ciclo continuo, nel pieno rispetto di standard qualitativi e di produttività sempre più elevati. Guasti o arresti nel ciclo possono rappresentare costi enormi: gli investimenti dedicati alla manutenzione sono proporzionali a tali costi.

Analogamente, per assicurare la qualità dei prodotti si sono resi necessari strumenti in grado di verifi care la rispondenza alle specifi che dei componenti senza necessità di ricorrere a prove “distruttive”, cioè che ri-chiedono la distruzione di alcuni particolari per veri-fi carne, ad esempio, la profondità di tempra, l’assenza di difetti di fusione e così via.La manutenzione degli impianti o dei macchinari in-dustriali ha seguito uno sviluppo parallelo a quello della medicina, condividendo con questa addirittura alcuni strumenti diagnostici:

gli ultrasuoni servono ad analizzare il corpo uma-no o gli edifi ci;

la temperatura è un indice del modo di funzionare di un impianto elettrico, oppure di una infi amma-zione nel nostro corpo.

Proprio come nel caso del corpo umano, gli stru-menti diagnostici devono essere poco invasivi e devono poter essere utilizzati durante il normale funzionamento del sistema: le Prove (o misure) non

La ricerca guasti su circuiti elettronici diventa più com-plessa quando di tratta di segnali analogici o digitali a elevata velocità, in cui importa non solo il livello del segnale, ma anche la sua forma d’onda e la modalità di

evoluzione nel tempo. Tali fenomeni sono rilevabili solo con l’oscilloscopio, che nella versione “a memoria” con-sente la cattura di fenomeni di rapidissima evoluzione, congelandoli in modo statico sullo schermo |fi g. H1.13|.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H141

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Distruttive possono essere eseguite sull’oggetto da diagnosticare senza danneggiarlo o comprometterne la funzionalità.

Le Prove non Distruttive (PnD) sono le indagini sui materiali, sui manufatti, sui risultati delle lavo-razioni che permettono di verifi carne l’integrità senza distruggerne o alterarne lo stato attraverso metodologie riconosciute e standardizzate.

Alcune di questi metodi permettono di testare le sin-gole parti in opera, cioè senza allontanarle dal sistema in cui sono montate.

Il ruolo delle Prove non Distruttive

La diagnostica industriale moderna si basa |fi g. H1.14| sul monitoraggio continuo del processo, inteso come controllo della qualità del prodotto, e sul monitoraggio dei componenti critici, in modo da identifi care pre-ventivamente o rapidamente il componente guasto o a rischio di guasto. La fi nalità di tutti i controlli non distruttivi è in ogni caso la sicurezza, intesa come ri-spondenza ai requisiti stabiliti in fase di progetto e, sovente, defi niti da norme opportune. A tal proposi-to, si consulti il documento UNI sulla situazione nor-mativa in campo delle PnD (www.hoepliscuola.it).

OBIETTIVI DELLA DIAGNOSTICA INDUSTRIALE

Osservazione dei sintomi che permette

di emettere una diagnosi.

Monitoraggio

ALLARME MANUTENZIONE

SU CONDIZIONE

Osservazione dello stesso esemplare

Controllo di qualità

CLASSIFICAZIONEPASSA-NON PASSA

Osservazione di esemplari diversi

H1.14 Diagnostica industriale moderna.

Le PnD hanno un ruolo fondamentale:

in fase di collaudo, cioè prima dell’utilizzo; in fase di controllo, cioè quando, durante la vita

del prodotto, è necessario monitorarne la qualità o la sicurezza;

in fase diagnostica, cioè quando, in presenza di un guasto o malfunzionamento, occorre ricercarne la causa.

Viaggi in aereo? Almeno 50 particolari dell’aereo sono controllati periodicamente, dopo un determinato nu-mero di ore di volo, utilizzando sistemi PnD |fi g. H1.15|.Viaggi in treno? Le ruote e gli assili sono controllati con PnD per assicurarne la funzionalità |fi g. H1.16|.Viaggi in automobile? Almeno 30 particolari della au-tomobili sono controllati in produzione con metodi non distruttivi |fi g. H1.17|.

H1.15 Aereo in volo.

H1.16 Treno per il servizio regionale.

H1.17 Auto sportiva.

42modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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L’analisi dell’effi cienza di una macchina è uno dei me-todi utilizzati per diagnosticarne il funzionamento: ad esempio, il rendimento di un compressore volume-trico è una buona spia per rilevare perdite nel sistema. La temperatura di un dispositivo elettronico, di un motore o di un riduttore è indice di problemi di in-vecchiamento, cattivo scambio termico o mancanza di lubrifi cazione.La tecnica ha sviluppato dispositivi diagnostici per la manutenzione preventiva, cioè sistemi che per-mettono di conoscere lo stato di un componente o di un sistema prima che si verifi chi un guasto. Sono di-spositivi che aiutano il tecnico a rilevare sintomi dello “stato di salute” del componente, e spesso sono basati sul confronto di misure attuali con quelle precedenti.Esistono anche dispositivi diagnostici per la manu-tenzione correttiva, cioè sistemi che consentono di individuare i componenti guasti o mal funzionanti.

Le norme sulle Prove non Distruttive

Il campo delle Prove non Distruttive è normato da un amplissimo corpo di standard e procedure interna-zionali, che coprono tutte le tecniche utilizzate.Nella fi gura H1.18 viene riportata la prima pagina di un documento aggiornato al gennaio 2012, che pre-senta la situazione normativa nel campo delle Prove non Distruttive (la versione integrale del documento è consultabile sul sito www.hoepliscuola.it).

H1.18 Documento UNI sulla situazione normativa

nel campo delle PnD.

La norma EN ISO 9712 è la norma per la certifi cazio-ne del personale addetto alle Prove non Distruttive: è stata pubblicata nel luglio del 2012 e ha sostituito la UNI EN 473.Tale norma riconosce che l’affi dabilità dei controlli risulta infl uenzata dalla specifi ca competenza del per-sonale e crea un percorso di certifi cazione unifi cato e

valido in tutto il mondo, stabilendo regole di control-lo delle competenze in uno o più dei seguenti metodi:

emissioni acustiche e analisi vibrazionale; correnti parassite (eddy current); termografi a agli infrarossi; ultrasuoni; rilevazione di fughe e di usure; liquidi penetranti; radiografi a; prove estensimetriche; test magnetici.

La EN ISO 9712 conclude un lungo percorso iniziato negli anni Settanta ad opera della American Society for Non Destructive Testing (ASNT) che ha emesso la prima normativa in merito: la SNT TC 1A, cui si fa sovente riferimento ancora oggi. La norma suddivi-de il personale addetto all’esecuzione delle Prove Non Distruttive in tre livelli, secondo le competenze.

1° livello: esecuzione del controllo; 2° livello: interpretazione e valutazione dei risultati. 3° livello: organizzazione del sistema di controlli, ste-

sura delle specifi che e addestramento del personale.

La suddivisione dei tre livelli viene applicata ad ogni metodo di PnD e la norma specifi ca che la certifi ca-zione dei tre livelli richiede la frequenza di un corso di formazione e una prova pratica consistente in un test.In alcuni settori industriali, per l’alto grado di sicurez-za richiesto (energia, aerospaziale, aeronautico ecc.), le procedure ispettive sono state dettagliate in conside-razione sia della qualifi cazione del personale sia delle caratteristiche strumentali A titolo di esempio, nel sito www.hoepliscuola.it è disponibile un documento di un ente certifi catore relativo alla formazione.

Ultrasuoni

L’ispezione con gli ultrasuoni è un metodo non distruttivo che induce onde sonore ad alta frequenza nel materiale da esaminare, allo scopo di evidenziarne difetti superficiali o interni, di misurarne la distanza o lo spessore e di valutarne le dimensione dei difetti. Gli ultrasuoni sono onde meccaniche sonore carat-terizzate da frequenze superiori a quelle udibili dall’o-recchio umano |fi g. H1.19|.

H1.19 Spettro sonoro.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H143

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La frequenza convenzionalmente utilizzata come

soglia per defi nire gli ultrasuoni è fi ssata in 20 kHz.

Come ogni altro fenomeno ondulatorio, gli ultrasuoni

sono caratterizzati da parametri, quali:

la frequenza [Hz];

la lunghezza d’onda [m];

la velocità di propagazione [m/s];

l’intensità [dB];

l’attenuazione [dB].

Oltre che in medicina, gli ultrasuoni sono utilizzati in

campo industriale per il controllo non distruttivo del-

la integrità dei materiali utilizzati per componenti di

sicurezza, dei cordoni di saldatura, delle strutture di

edifi ci, dei tubi dei gasdotti/oleodotti o degli elementi

in fi bra di carbonio utilizzati per alleggerire le struttu-

re di biciclette e automobili sportive o jet dell’ultima

generazione. I sonar utilizzati sulle navi funzionano

sovente in campo ultrasonico.

Come si generano e si misurano gli ultrasuoni

La generazione di ultrasuoni e la misura dell’eco di ri-torno avvengono generalmente per mezzo di un “tra-sformatore” basato sull’eff etto piezoelettrico: una pres-sione meccanica genera in un materiale piezoelettrico una polarizzazione elettrica, e questo eff etto permette di misurare le vibrazioni ultrasoniche ricevute. In-versamente, una tensione elettrica alternata mette in vibrazione questo materiale: se il campo elettrico è caratterizzato da una frequenza elevata, le vibrazioni generano onde elastiche ultrasonore.Materiali piezoelettrici sono i cristalli di quarzo oppu-re le ceramiche a base di titanato di bario o di piom-bo: nella fi gura H1.20 si può osservare un esempio di attuatore piezoelettrico ceramico. Le onde ultrasonore possono essere di tipo assiale o laterale e hanno una capacità di penetrazione inver-samente proporzionale alla frequenza e dipendente dalle caratteristiche del materiale: l’impedenza acu-

stica Z è la caratteristica che defi nisce ogni materiale.

H1.20 Esempio di attuatore piezoelettrico

ceramico con i collegamenti elettrici tra i dischi.

Una delle caratteristiche dell’apparecchiatura che occorre conoscere con precisione è la risoluzione, cioè la capacità del sistema di misura di distinguere due oggetti vicini. Si distingue normalmente una ri-soluzione laterale, cioè perpendicolare alla direzione dell’onda, e una risoluzione assiale, cioè nella direzio-ne di propagazione dell’onda. Nel caso della risoluzio-ne assiale, occorre ricordare che per distinguere due oggetti “uno dietro l’altro” è necessario poter ricevere due echi diff erenti, e questo dipende non solo dalle di-

mensioni degli oggetti, ma anche dal materiale e dalle

caratteristiche dell’onda (durata e forma) che si usa

per eccitare gli ultrasuoni.

I valori tipici degli strumenti diagnostici basati sugli

ultrasuoni possono essere compresi tra i seguenti in-

tervalli:

per la frequenza: 2 { 15 MHz;

per la risoluzione laterale: 3 { 0,4 mm;

per la risoluzione assiale: 0,8 { 0,15 mm.

44modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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Le onde vengono in parte rifl esse sulle superfi ci di confi -ne tra materiali diversi e in parte si propagano, spesso con una direzione leggermente variata, proprio come succede alle onde luminose al passaggio tra aria ed acqua.Anche i fenomeni di rifl essione, rifrazione e diff razio-ne sono gli stessi che conosciamo per le onde lumino-se e permettono di eff ettuare delle misure: i pipistrelli, per esempio, utilizzano gli ultrasuoni per identifi care ostacoli mentre volano la notte.Le onde rifl esse e quelle diff ratte possono essere mi-surate come eco, e tramite l’elaborazione della loro intensità e dei loro tempi di percorrenza è possibile ricostruire l’immagine degli oggetti colpiti da esse.Le onde sonore vengono assorbite, trasformando l’energia in calore del mezzo in cui si trasmettono, e la loro potenza diminuisce esponenzialmente con la distanza percorsa.A 1 MHz, l’assorbimento in aria può essere valutato in 1 dB/cm.

TABELLA H1.3 y Velocità del suono nei materiali

Materiali Velocità del suono [m/s]

Aria 343

Acqua 1484

Ghiaccio 3200

Vetro 5300

Acciaio 5200

Piombo 1200

Titanio 4950

Poiché l’assorbimento dipende fortemente dalla fre-quenza e dall’impedenza acustica del mezzo, occorre scegliere la frequenza da utilizzare in base ai seguenti fattori:

l’impedenza acustica del mezzo; la distanza da raggiungere; la risoluzione richiesta.

Dal momento che la risoluzione migliora con la fre-quenza, si sceglie sempre la frequenza più alta possi-bile.Il fascio ultrasonico generato dal trasduttore può esse-re raccolto da un sensore come eco (rifl essione) o co-me segnale trasmesso. I parametri fondamentali sono:

l’ampiezza, ovvero il valore di picco del segnale; il tempo di volo, ovvero il tempo intercorso tra

l’impulso trasmesso e quello ricevuto, normalmen-te abbreviato come TOF. Il tempo di volo è una misura indiretta del percorso eff ettuato dall’onda.

Misurare l’ampiezza del segnale rifl esso per ricavarne le dimensioni dei difetti è una tecnica relativamente poco affi dabile, perché l’ampiezza del segnale dipende dall’orientamento del difetto. La tecnica TOFD (Time of Flight Diff raction) utilizza il tempo di volo di un impulso ultrasonico per determinare la posizione di un difetto che genera la rifl essione.Vengono utilizzati un trasmettitore e un ricevitore separati, direzionati verso lo stesso punto del volume da analizzare. Dopo la generazione di un impulso di onde elastiche a compressione, il primo segnale ad ar-rivare al ricevitore |fi g. H1.21| è l’onda laterale, che si propaga lungo la superfi cie del corpo in esame. Se non ci sono difetti, il secondo segnale ad arrivare è l’onda assiale, che proviene dalla faccia interna del corpo. Se, invece, è presente un difetto, il segnale di diff razione è generato sulla punta superiore del difetto ed arriva prima del segnale generato alla punta inferiore (più lontana) del difetto.

H1.21 Schema della prova

ad ultrasuoni.

La sonografi a (ovvero la tecnica diagnostica basa-ta sulle onde sonore ad alta frequenza) si fonda sul principio che le onde sonore si propagano a veloci-tà diverse nei diversi materiali |tab. H1.3|.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H145

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Misurando il tempo di volo, tenendo conto della frequenza dell’onda e della posizione relativa nello spazio di ricevitore e trasmettitore, è possibile calcolare con precisione la posizione e la dimensione del difetto. Per evitare che le onde ultrasoniche generate si di-sperdano in tutte le direzioni, è necessario che siano focalizzate con opportune “lenti”.Per ottenere un buon accoppiamento tra il trasmettito-re e il campione da esaminare occorre eliminare l’aria che si interpone mediante l’uso di olii (tipo SAE 30), gel speciali per ultrasuoni (specie in medicina) o glice-rina. È importante utilizzare lo stesso mezzo sia per la taratura sia per la misura.Nelle applicazioni che lo consentono, si possono im-mergere i componenti da controllare in una vasca colma di acqua, in modo da ridurre l’assorbimento di ultrasuoni |fi g. H1.22|.Se i pezzi sono troppo grandi, come nel caso delle strutture aeronautiche, si utilizza un getto d’acqua per

accoppiare trasmettitore e ricevitore al pezzo; in que-sto modo, è possibile costruire macchine di collaudo in grado di seguire il profi lo di componenti di dimen-sioni superiori alla decina di metri |fi g. H1.23|.

H1.22 Vasca ultrasuoni per l’analisi di pezzi di grandi

dimensioni immersi.

H1.23 Guida H2O ultrasuoni

per l’analisi di pezzi di

grandi dimensioni

in campo.

Applicazioni

Di seguito sono elencati i numerosi componenti che solitamente sono controllati con metodi ultrasonici per la ricerca di difetti:

componenti laminati, rulli, alberi e colonne delle presse;

recipienti in pressione e tubazioni; componenti di reattori chimici o nucleari; componenti di velivoli; particolari ferroviari (assili); parti automobilistiche.

I componenti in materiale composito per l’impiego ae-ronautico sono oggetto di collaudi con gli ultrasuoni per verifi carne l’integrità prima del montaggio e anche

dopo impatti a bassa energia. I componenti in fi bra uti-lizzati per molti attrezzi sportivi (racchette da tennis, biciclette, sci ecc.) sono controllati con sistemi ultraso-nici, come i componenti che iniziano ad essere presenti nelle auto per diminuire i consumi riducendo i pesi.Durante le operazioni di manutenzione preventiva, molti degli organi rotanti dei motori e dei generatori montati sui jet vengono analizzati con tecniche ultra-soniche.Le condotte metalliche sottomarine per il trasporto di gas e petrolio sono controllate per verifi carne l’in-tegrità. Questo controllo è assai importante perché, secondo la norma ISO/TS 12747:2011, permette di estenderne la vita oltre la scadenza di progetto.La corrosione (interna ed esterna) può essere verifi ca-ta valutando lo spessore della tubazione con strumenti

46modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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ultrasonici: sono utilizzati degli Smart PIG (Pipeline Inspection Gauge, ovvero “strumento di ispezione delle pipelines”) che consentono di valutare l’intera superfi -cie della condotta.Si tratta di apparecchiature che vengono introdotte nel-la condotta e ne verifi cano le caratteristiche utilizzando contemporaneamente diverse tecniche di collaudo, tra cui quella ultrasonica e quella magnetica |fi g. H1.24|.

(a)

(b)

H1.24 a) Introduzione di un PIG in una condotta.

b) Vista 3D di un Pipeline Inspection Gauge (PIG).

I materiali utilizzati per recipienti e tubazioni a pres-sione in uso in molti impianti industriali, idraulici e chimici sono soggetti a un degrado nel tempo. È possi-bile stimare che gli incidenti in questi settori siano ri-conducibili per il 50% a rotture meccaniche, di cui un buon 80% su componenti che lavorano in pressione.Le tecniche a ultrasuoni permettono di verifi care le condizioni di fatto dei componenti a pressione.Per una corretta gestione delle attrezzature in pres-sione, è necessario eseguire regolarmente controlli in grado di evidenziare situazioni di deterioramento del-le caratteristiche meccaniche. Le norme che regolano queste verifi che discendono dalla Direttiva 97/23/CE, recepita nel DLgs 81/2008.

I cavi delle linee aeree ad alta tensione sono control-lati con sistemi ad ultrasuoni per evidenziare danneg-giamenti del cavo o del rivestimento.I punti di saldatura dei componenti in lamiera per le carrozzerie delle automobili sono sempre stati provati con metodi distruttivi: ad esempio prove di taglio o a trazione. Il controllo ultrasonoro ha portato notevoli vantaggi, sia in termini di riduzione dei tempi di col-laudo sia in termini di pezzi da sacrifi care.Il metodo diagnostico basato sulla propagazione

delle onde elastiche ultrasoniche è utilizzato per il controllo di strutture in cemento armato, di elementi in pietra e muratura appartenenti al patrimonio ar-chitettonico, in modo da valutare lo stato di conser-vazione dei beni culturali. Le indagini con ultrasuoni ricavano informazioni sui materiali utilizzati, sulla presenza di lesioni o danneggiamenti che possono in-fi ciare la sicurezza statica del manufatto.Le analisi sono condotte secondo la norma ISO EN

12504-4: la prova si basa sulla determinazione della velocità di propagazione degli impulsi (misura per trasparenza). Il risultato dipende dalla compattezza del materiale attraversato, dal contenuto di umidità, dagli inerti e dalla presenza di armature metalliche.La norma EN 13791 riguarda le procedure per la va-lutazione del calcestruzzo nelle strutture in cemento armato ai fi ni delle analisi di sicurezza delle strutture esistenti, argomento assai importante in un paese a ri-schio sismico come l’Italia.

Termografi a

I controlli termici comprendono metodi in cui ven-gono utilizzati dispositivi per il rilevamento del calo-re, allo scopo di misurare le variazioni di temperatu-ra in componenti, strutture o processi: in particolare la termografi a è la tecnica che permette di rilevare, a distanza, immagini nel campo dell’infrarosso.

Le tecniche dell’infrarosso permettono anche di co-struire strumenti (termometri IR) adatti a misurare temperature puntiformi senza contatto: i termometri per la temperatura corporea sono certamente cono-sciuti da tutti.Strumenti portatili o fi ssi possono essere utilizzati nei controlli manutentivi, sia nella versione di termome-tri puntuali sia come sensori di immagini di superfi ci bidimensionali. Sono disponibili sensori in grado di misurare in meno di 0,3 s temperature comprese tra −32 °C e +530 °C con una precisione migliore del 1% e una risoluzione di 0,1 °C.La prova termografi ca, totalmente non distrutti-va, si basa sull’osservazione della distribuzione delle

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H147

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temperature emesse dai materiali sulla superficie inquadrata attraverso un dispositivo opportuno.L’energia radiante di un oggetto è una funzione del-la temperatura superficiale condizionata, a sua vol-ta, dalla conducibilità termica e dal calore specifi-co: attraverso l’uso di una termocamera è possibile risalire alla mappa termica di un oggetto o di un sistema.La termografi a è una tecnica sempre più diff usa gra-zie alle seguenti caratteristiche:

permette di misurare la temperatura in modo non invasivo;

permette di misurare temperature estremamente alte (fusioni) o in aree pericolose;

ha un campo molto ampio, da 20 °C a 1500 °C; è in grado di risolvere anche 0,01 °C; può essere applicata anche su superfi ci estese (per

esempio la facciata di un edifi cio).

Le limitazioni maggiori sono dovute al costo della termocamera e ad alcune diffi coltà di impiego, cau-sate dalla non uniforme trasparenza dell’atmosfera in funzione della lunghezza d’onda, specie in ambito ar-chitettonico, dove occorre eff ettuare misure a distanze superiori alle decine di metri.Anche in questo caso, nonostante le strumentazioni siano sempre più facili da utilizzare, la corretta misu-razione e ancor più l’interpretazione dei risultati ri-chiedono una buona preparazione del personale. La norma UNI 10824-1 defi nisce i termini della ter-mografi a all’infrarosso (a titolo di esempio, sul sito www.hoepliscuola.it è possibile consultare una scheda tecnica di termocamera agli infrarossi).

La teoria dell’infrarosso e la legge di Kirchhoff

Lo studio termografi co si occupa della radiazione in-frarossa poiché la radiazione emessa dai corpi a tem-peratura ambiente cade nello spettro che va da 0,8 mi-crometri a 1 mm |fi g. H1.25|: solo a temperature supe-riori a circa 500 °C gli oggetti cominciano a emettere radiazioni visibili.

H1.25 Spettro IR: rappresentazione dello spettro delle

radiazioni elettromagnetiche.

Lo spettro IR si distingue in:

vicino IR (per lunghezze d’onda comprese tra 0,4 e 1,5 micrometri);

medio IR (per lunghezze d’onda comprese tra 1,5 e 20 micrometri);

lontano IR (per lunghezze d’onda comprese tra 20 e 1000 micrometri).

Le prove termografi che di uso più comune si colloca-no nel vicino e medio IR, in particolare le frequenze comprese tra 0,7 e 14 micrometri: al disopra di questi valori le energie sono così basse che sensori così sen-sibili sono diffi cili da realizzare.Qualsiasi oggetto a una temperatura superiore allo zero assoluto (0 °K, corrispondenti a −273,15 °C) emette ra-diazioni all’infrarosso, quindi invisibili all’occhio umano.Nel 1964 due scienziati dei laboratori Bell, Arno Pen-zias e Robert Wilson, cercando sorgenti di radiazio-ni in grado di disturbare le comunicazioni satellitari, scoprirono una radiazione di fondo proveniente da ogni direzione del cielo, corrispondente a una tempe-ratura di circa 3 °K: la radiazione del Big Bang!Come ha dimostrato Max Plank all’inizio del 1900, esiste una correlazione tra la temperatura di un corpo e l’intensità dei raggi infrarossi che emette: più la tem-peratura è alta, maggiori sono le radiazioni IR emesse, invisibili all’uomo ma individuabili grazie alle termo-camere a infrarossi. La radiazione misurata con uno strumento a IR è composta da raggi emessi, rifl essi e trasmessi, provenienti dagli oggetti nel campo visivo dello strumento stesso |fi g. H1.26|.

H1.26 Emissione: misura delle radiazioni IR trasmesse,

rifl esse ed emesse da un corpo.

Si assume che la somma di questi tre componenti sia sempre uguale a 1. In formula tale principio viene così espresso:

α + ρ + τ = 1

in cui:

α rappresenta il fattore di assorbimento spettrale; ρ è il fattore spettrale di rifl essione; τ indica il fattore spettrale di trasmissione.

48modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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Tutti questi elementi dipendono dalla frequenza. La legge di Kirchhoff aff erma che il fattore di assorbi-mento spettrale è uguale alla emissività ε del corpo:

ε = α

La emissività è un coeffi ciente che indica la capacità di un materiale di emettere raggi infrarossi (vale 1 per il corpo nero della teoria fi sica); generalmente questo valore può essere impostato nelle telecamere a IR.

Il fattore di rifl essione indica la capacità di un materiale a rifl ettere le radiazioni IR ed è uno dei parametri programmabili degli strumenti.

Il fattore di trasmissione indica la capacità di un materiale a lasciare passare i raggi infrarossi e di-pende dal tipo di materiale e dal suo spessore.

La strumentazione

La termocamera (o termografo) è una telecamera che rileva e misura immagini emesse nella banda di frequenza IR, riproducendole sotto forma di map-pe a colori che convenzionalmente corrispondono a diverse temperature.

Le prime termocamere avevano un sensore raff red-dato e, a seconda del metodo, si ottenevano risolu-zioni diverse, cioè minime diff erenze di temperatura rilevabili.

Raff reddamento termoelettrico (eff etto Peltier, −70 °C): risoluzione 0,1 °C.

Raff reddamento con argon in bombola (−189 °C): risoluzione 0,05 °C.

Raff reddamento a ciclo chiuso (Stirling, −187 °C): risoluzione 0,07 °C.

Le apparecchiature attuali sono basate su sensori che non necessitano raff reddamento e che si presentano con un aspetto e una funzionalità simili alle normali telecamere per riprese in luce normale.La risoluzione termica dei moderni strumenti piccoli e facilmente utilizzabili è paragonabile a quella dei più sofi sticati prodotti della generazione precedente.A determinare la qualità di una termocamera, insie-me alla risoluzione termica, è la risoluzione spaziale defi nita dal numero di pixel: come si può osservare dalla fi gura H1.27, se aumenta la risoluzione, l’immagi-ne risulta sempre più dettagliata.La qualità dell’immagine diminuisce con la distan-za dell’oggetto da studiare: lo schema riportato nella fi gura H1.28 illustra il rapporto tra l’area inquadrata e

un singolo pixel dell’immagine acquisita dalla termo-camera. È evidente come a distanze elevate corrispon-dono dettagli meno precisi.

Immagine acquisita

con Flir i3

Immagine acquisita

con Flir i7

Immagine acquisita

con Flir i5

H1.27 La stessa immagine viene ripresa con strumenti

dotati di un numero sempre maggiore di pixel.

H1.28 Risoluzione spaziale dello strumento.

Applicazioni

Le tecniche agli infrarossi sono impiegate ormai da molti anni per controllare periodicamente lo stato de-gli impianti elettrici ad alta tensione e per migliorare la continuità di funzionamento delle reti di distribu-zione o degli impianti industriali.Non esiste un’altra tecnica che permetta in un breve tempo di controllare tanti elementi (cavi, morsetti, isolatori, sezionatori ecc.) durante il normale funzio-namento e senza pericolo per gli operatori. Questo non signifi ca che ci si possa dimenticare delle norme di sicurezza.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H149

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Grazie alle misure IR, è possibile riconoscere riscalda-menti che mettono in evidenza un rischio reale assai prima che si verifi chi il guasto |fi g. H1.29|.

H1.29 Distribuzione alta tensione: immagine termografi ca

di una rete ad alta tensione.

Generalmente, le misure IR vengono ripetute ogni anno e, in questi ultimi tempi, spesso sono condotte con l’im-piego di droni dotati di telecamere IR |fi g. H1.30|.I sistemi GPS attualmente disponibili permettono di costruire mappe molto precise delle condizioni di funzionamento anche di reti molto estese.La qualifi cazione degli operatori e la gestione degli strumenti, unitamente alla corretta catalogazione ed analisi degli archivi di misura, sono componenti es-senziali del processo manutentivo.

H1.30 Drone per la realizzazione di immagini

termografi che di una rete ad alta tensione.

Negli impianti industriali a bassa tensione, si utiliz-zano gli stessi strumenti per verifi care sia i cablaggi interni degli armadi elettrici di macchine e impianti |fi g. H1.31|, sia l’effi cienza di motori e altri componen-ti |fi g. H1.32|: un controllo agli infrarossi consente di identifi care le anomalie causate dall’interazione tra la corrente elettrica e la resistenza.

H1.31 Verifi ca cablaggi in un impianto a bassa tensione.

H1.32 Esame di un motore elettrico in funzione.

Di solito, la presenza di un punto caldo in un circuito elettrico è dovuto a un collegamento corroso, ossidato oppure allentato o, ancora, a un malfunzionamento del componente in questione.Le analisi devono essere eff ettuate con un carico al-meno del 50% e, soprattutto, dopo la messa in funzio-ne per un periodo di tempo, in modo tale da assicura-re l’equilibrio termico.È possibile identifi care sovraccarichi nei punti di con-tatto dei fusibili: la fi gura H1.33 mostra un esempio in cui la temperatura di un fusibile è assai più alta degli altri, indice di un cattivo contatto oppure di un ecces-sivo squilibrio tra le fasi dell’alimentazione.

H1.33 Esame di un fusibile.

50modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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È diventata prassi normale quella di ricavare una termografi a degli armadi elettrici di una macchina utensile per usarla come confronto durante i control-li degli anni successivi: variazioni di temperatura so-no indice di fatica, cattivo scambio termico (fi ltri dei ventilatori intasati) e contatti laschi.Sempre in ambiente industriale, i tubi degli impianti idraulici, di riscaldamento o di distribuzione dei fl uidi da taglio sono controllati per localizzare perdite o di-spersioni irregolari di calore. Nel caso degli impianti di trattamento termico (for-ni), riconoscere dispersioni dovute a un cattivo isola-mento è un chiaro vantaggio anche dal punto di vista economico |fi g. H1.34|.I silos e i serbatoi vengono controllati con immagini termografi che, per prevenire le conseguenze di danni strutturali che si manifestano all’inizio co-me cricche, evidenziabili proprio con immagini IR |fi g. H1.35|.

Alcuni prodotti industriali di massa, come i sedili ri-scaldabili |fi g. H1.36| o i lunotti termici delle automo-bili |fi g. H1.37|, sono controllati durante il processo produttivo con analisi IR.

H1.36 Controllo di qualità sui sedili riscaldabili delle automobili mediante analisi IR.

H1.37 Controllo del funzionamento dei lunotti termici delle automobili mediante analisi IR.

H1.35 Serbatoio in cui si evidenziano rischi di rottura.

H1.34 Dispersioni termiche evidenziate in un forno per tempra.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H151

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Le applicazioni in campo medico e medico-sportivo sono numerose, e molte di più sono quelle in campo architettonico e del risparmio energetico.La termovisione quale mezzo di diagnosi non distrut-tiva presenta un vasto campo di applicazioni nella diagnostica dell’architettura, dal rilevamento dell’u-midità all’individuazione di distacchi degli intonaci. Le discontinuità termiche causate dalla presenza di difetti o danni sono chiaramente identifi cabili con le termografi e |fi g. H1.38|. Il potere coibentante delle costruzioni è regolarmente verifi cato seguendo la norma ISO EN 13187, che de-fi nisce un metodo qualitativo che utilizza un esame termografi co per la rivelazione di irregolarità termi-che degli involucri edilizi. Le condizioni di taglio degli utensili possono essere esaminate controllando l’assorbimento del mandrino (un utensile tagliente richiede meno potenza di uno

ormai piatto), controllando le vibrazioni generate (un utensile tagliente genera uno spettro di vibrazioni di-verso da un utensile che non taglia più) oppure con-trollando la temperatura della zona di taglio.Il controllo della temperatura della zona di taglio è uno degli strumenti più comodi a disposizione: una termocamera può eff ettuare misurazioni senza inter-ferire con le operazioni della lavorazione e senza es-sere disturbata dalla presenza di liquido da taglio (lu-

brorefrigerante).La fi gura H1.39 riporta le temperature raggiunte dal-la zona di taglio con due utensili aventi taglienza di-versa: è chiaramente visibile che nella fi gura H1.39b la temperatura è più bassa. Una temperatura più bassa signifi ca avere minori rischi di danneggiamento della superfi cie lavorata, quindi una qualità e una sicurezza del prodotto più elevate.

H1.38 Termografi a di un edifi cio: i colori evidenziano le diverse capacità isolanti della struttura.

H1.39 a) Termografi a della zona di lavoro del primo utensile. b) Termografi a della zona di lavoro del secondo utensile.(a) (b)

52modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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Correnti indotte

La tecnica diagnostica delle correnti indotte (ETC, Eddy Current Testing) viene utilizzata in mol-ti campi della diagnostica non distruttiva quando è importante rilevare difetti di ridotte dimensioni in materiali elettricamente conduttivi.

Questa tecnica, ancora una volta, può essere utilizza-ta per controllare la qualità dei prodotti in uscita da una linea, oppure per tenere sotto controllo lo stato di salute di strutture metalliche soggette a sollecitazioni meccaniche o di altra natura.Il campo magnetico generato da una bobina alimen-tata con corrente alternata produce, nel pezzo da esa-minare, correnti indotte: tali correnti infl uenzano il valore di impedenza della bobina che le ha generate |fi g. H1.40|. La presenza di una qualsivoglia disconti-nuità nel materiale (difetto) modifi ca l’intensità e il percorso delle correnti indotte; questa variazione può essere misurata e interpretata per riconoscere i difetti.È possibile misurare lo spessore di rivestimenti so-pra materiali conduttori. Il limite principale di questa tecnica risiede nel fatto che essa è applicabile soltanto su materiali conduttori e per localizzare discontinui-tà superfi ciali o a profondità non superiore a qualche decina di millimetri.In maniera simile, si generano correnti indotte, o pa-rassite, muovendo un corpo conduttivo in un campo magnetico (costante o variabile).

H1.40 Schema di una bobina posta sopra un materiale

conduttore da controllare.

Le correnti parassite (dette anche correnti di Fou-cault) generano perdite di energia riscaldando il conduttore: questo eff etto, negativo in molte appli-cazioni, in genere non crea problemi alle prove non distruttive con correnti parassite.

Misurando intensità e fase delle correnti indotte, che dipendono dalla conducibilità elettrica e dalla perme-abilità magnetica del materiale da esaminare, è pos-sibile ricostruire l’intensità dei difetti facendo riferi-mento ai campioni di taratura. La profondità di penetrazione delle correnti indotte è inversamente proporzionale al quadrato della fre-quenza della corrente di eccitazione della bobina:

per raggiungere i 10 mm di profondità, nei mate-riali ferromagnetici si utilizzano frequenze dell’or-dine di 1 kHz;

per rilevare difetti superfi ciali si utilizzano alte fre-quenze (10 kHz { 1 MHz).

Le discontinuità nel materiale possono essere rilevate misurando la variazione di corrente, associata alla va-riazione di impedenza della bobina, mediante un am-perometro di precisione (milliamperometro) e osser-vando le variazioni di ampiezza e di fase del vettore impedenza con un oscilloscopio.Gli strumenti per le analisi alle correnti indotte sono disponibili nelle versioni analogiche e digitali, e ven-gono normalmente classifi cati sulla base del metodo di visualizzazione dei risultati:

visualizzazione analogica |fi g. H1.41|; visualizzazione digitale; visualizzazione dell’ampiezza in funzione del tem-

po (oscilloscopio); visualizzazione del piano d’impedenza (fase e

grandezza).

H1.41 Strumento analogico per analisi di cricche

e difetti superfi ciali.

cresce con l’aumentare della velocità relativa tra il conduttore e il campo magnetico;

cresce con l’aumentare della frequenza se il campo magnetico è variabile.

Le correnti indotte sono causate dal movimento relativo del campo magnetico che attraversa un conduttore e sono regolate dalla legge di Lenz che aff erma che l’intensità della corrente:

cresce con l’aumentare del campo magnetico; cresce con la permeabilità magnetica del con-

duttore; cresce con la conducibilità del conduttore attra-

versato dal campo magnetico;

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H153

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Gli strumenti analogici sono i più semplici, ma ri-chiedono una maggior competenza per interpretare i risultati: l’ago del microamperometro si comporta in maniera diff erente sul campione da analizzare rispet-to al riferimento. Le deviazioni indicano la presenza di cricche o altri difetti superfi ciali.Le sonde sono disponibili in varie forme e dimensioni |fi g. H1.42|, anzi uno dei vantaggi di questa tecnologia è proprio la possibilità di progettare sonde specifi che per le applicazioni.

H1.42 Esempi di sonde per le analisi a correnti indotte.

Le sonde possono essere montate in sistemi o mac-chine speciali che permettono di muoverle secondo percorsi programmati |fi g. H1.43|.

H1.43 Sistema per il controllo di difetti in componenti

aerospaziali.

Le sonde possono essere assolute o diff erenziali |fi g.

H1.44| e devono essere scelte in base al tipo di difetto e al tipo di materiale da analizzare: gli strumenti sono dotati di istruzioni per guidare l’utente nella scelta.

(b)

(a)

H1.44 a) Schema della sonda assoluta.

b) Schema della sonda diff erenziale.

In generale, i passi da eseguire per realizzare l’ispe-zione del materiale sono i seguenti:

selezionare e tarare lo strumento e la sonda; selezionare la frequenza adatta al materiale per

raggiungere la profondità voluta; tarare lo strumento in modo da avere una risposta

riconoscibile in presenza del difetto (occorre di-sporre di un campione di riferimento);

posizionare la sonda sulla superfi cie e azzerare lo strumento;

muovere la sonda su tutta la superfi cie, in modo da coprirla tutta (la posizione della sonda rispetto alla superfi cie deve essere invariata);

osservare il segnale visualizzato dallo strumento per riconoscere variazioni nell’impedenza dovute a un difetto.

Gli strumenti che permettono di visualizzare il piano dell’impedenza sono più raffi nati e consentono la me-morizzazione digitale dei risultati e una automazione quasi completa della prova.

54modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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I circuiti utilizzati per i test con le correnti indotte han-no generalmente soltanto i componenti R ed X

l che

non sono in fase tra di loro: per calcolare l’impedenza totale si utilizzano le tecniche vettoriali |fi g. H1.45|.

Re

att

an

za in

du

ttiv

a X

l

Resistenza R

Angolo di fase +

Impe

denz

a Z

H1.45 Vettore piano di resistenza R e reattanza induttiva

Xl sfasati ed angolo di fase +.

L’angolo di fase può essere calcolato con la seguente formula:

X

R

lΦ =tan

Il diagramma del piano dell’impedenza |fi g. H1.46| mostra come la corrente parassita e la permeabilità magnetica del materiale in prova provochino diff e-renti reazioni.Se il circuito è stato tarato in aria e poi posto sopra un conduttore in alluminio (materiale conduttivo ma non magnetico), la resistenza del componente aumenta (le correnti indotte generate nell’alluminio richiedono energia dalla bobina, determinando una resistenza), mentre la reattanza induttiva diminuisce.

Se una cricca è presente nel materiale, poiché le varia-zioni di resistenza e di reattanza sono inferiori a quel-le del materiale integro, sarà visualizzata nel display una variazione. Se si utilizza un campione in acciaio, si noterà un incremento anche della reattanza indutti-va: la presenza di un difetto (cricca) darà luogo a una variazione nello stesso senso dell’alluminio.È bene ricordare che diff erenti materiali determinano diff erenti comportamenti di fase e grandezza della cor-rente indotta. Ogni sonda è progettata per lavorare in un campo di frequenze ben preciso e limitato: il suo impie-go al di fuori dei limiti può dare luogo a errori di lettura.

Applicazioni

I controlli non distruttivi a correnti indotte consento-no di eff ettuare rapidamente controlli di qualità sulle produzioni meccaniche dei componenti conduttivi, senza modifi care lo stato fi sico del prodotto stesso. I test noti come “controllo dei fi letti” verifi cano che la fi lettatura sia stata eseguita; analogamente, è possi-bile verifi care la corretta esecuzione dei cicli termici (tempra, bonifi ca, ricottura ecc.) |fi g. H1.47|. Esistono sistemi in grado di assicurare standard di qualità sem-pre più stringenti: la Marposs è un’azienda italiana di rilievo, assai attiva in questo settore.

H1.47 Esempio di macchina per prove a correnti indotte di

produzione in serie.

H1.46 Visualizzazione della risposta

della corrente indotta nel piano.

L’impedenza di un circuito è la misura dell’opposi-zione totale nei confronti di una corrente alternata e raccoglie la resistenza R, la reattanza induttiva X

l

e quella capacitiva Xc.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H155

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L’utilizzo di specifi che apparecchiature portatili con-sente di eseguire analisi su sistemi molto grandi, come per esempio sulle tubazioni di impianti chimici (fa-cilmente soggetti alla corrosione) o di fasci tubieri di scambiatori di calore.Le ruote dei carrelli di atterraggio sono regolarmen-te controllate con apparecchiature a correnti indotte e, generalmente, sono utilizzati sistemi manuali con sonde dotate di profi li speciali.Le aree sottoposte a sollecitazioni sono controllate a ogni cambio di gomme, alla ricerca di difetti che de-vono essere minori di 0,7 mm.Un altro campo di applicazione delle correnti indotte è quello del controllo dei componenti in fi bra di car-bonio, di cui occorre assicurare l’integrità: la conduci-bilità del carbonio, sebbene limitata, è suffi ciente per questo tipo di controlli.Con l’opportuna elaborazione di segnali è possibile riconoscere difetti fi no a circa 0,1 mm di dimensioni, eseguendo le analisi a una velocità compresa tra 10 e 400 mm/s |fi g. H1.48|.

Emissione acustica e vibrazionale

Le vibrazioni ci circondano nella vita di ogni giorno: la musica o la voce sono generate da vibrazioni che si trasmettono nell’aria. Un’automobile vibra percorren-do una strada accidentata, gli edifi ci vibrano a causa di un terremoto e così tutte le macchine o gli organi rotanti in movimento. A volte le vibrazioni sono indice di un buon funzio-namento, altre volte superano valori che possono cre-are problemi |fi g. H1.49| e sono indice di un guasto av-venuto o in arrivo.Molti avranno letto le avventure di Faussone, prota-gonista del romanzo di Primo Levi, La chiave a stella |fi g. H1.50|, che ricorda il collasso di un ponte a causa del vento. Questa avventura non è frutto dell’immaginazione dell’autore, ma è un incidente possibile, come quello avvenuto al Tacoma Bridge, un’opera civile che uni-va le città di Tacoma e di Gig Harbour nello stato di Washington (USA). La costruzione del ponte fu iniziata nel 1938, il ponte fu inaugurato il 1° luglio del 1940 e collassò sotto la spinta del vento a causa di una vibrazione torsionale nel novembre dello stes-so anno |fi g. H1.51|.

H1.50 Copertina

del libro di Primo Levi.

H1.49 Le vibrazioni di una macchina sono un buon

indice del suo stato di salute.

H1.51 Fotografi a del

collasso del ponte

Tacoma Bridge dovuto

alle vibrazioni torsionali.

H1.48 Esempi di difetti della fi bra riconoscibili con analisi

a correnti indotte.

Delamination Void

Large Void

56modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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Purtroppo le vibrazioni non hanno smesso di colpire

i ponti: il Millennium Bridge |fi g. H1.52|, ponte pedo-

nale aperto a Londra il 10 giugno del 2000, fu chiu-

so due giorni dopo a causa di inaspettate vibrazioni.

Questi movimenti portavano i pedoni a camminare

in maniera sincrona con l’oscillazione, creando co-

sì un fenomeno di risonanza. Il problema (diverso

da quello del Tacoma) venne risolto con l’addizione

di smorzatori per ridurre le oscillazioni verticali ed

orizzontali.

Esistono tecniche di misura e analisi che aiutano a

identifi care le sorgenti delle vibrazioni dominanti,

permettono di correggere squilibri ed evitano vi-

brazioni troppo elevate dovute a errori di allinea-

mento di componenti rotanti. Come è stato detto in

precedenza, ogni macchinario produce delle vibra-

zioni che lo contraddistinguono dagli altri, proprio

come avviene per gli esseri umani con le impronte

digitali.

Il rombo delle motociclette Harley Davidson, per

esempio, riconoscibile facilmente, è generato dall’ar-

chitettura del motore con i cilindri a 45°, che crea una

sequenza di accensione irregolare: dopo l’accensione

del primo cilindro si ha un intervallo di 315°, poi un

intervallo di 45° e così via |fi g. H1.53|.

H1.52 Il Millennium Bridge di Londra con la splendida vista.

H1.53 Vista del motore a 45° della Harley Davidson

che genera il tipico rumore irregolare.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H157

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Come misurare le vibrazioni

La vibrazione è un fenomeno caratterizzato da moti alternati di piccola ampiezza ed alta frequen-za, spesso sovrapposti al normale movimento degli organi delle macchine.

I problemi generati dalle vibrazioni nelle macchine e negli impianti non sono sempre così disastrosi come nel caso dei ponti, ma possono causare:

rotture per fatica; prestazioni inferiori a quelle di progetto; generazione di rumore fastidioso; eff etti dannosi sulla salute dell’uomo.

La vibrazione è un’oscillazione attorno a un punto di equilibrio e la sua frequenza viene misurata in \hertz (Hz), mentre l’ampiezza della vibrazione vie-ne normalmente misurata come:

accelerazione [m/s2 o mm/s2]; velocità [m/s o mm/s]; spostamento [m o mm].

La velocità della vibrazione è un valido indicatore del-la vibrazione in quasi tutti i campi di frequenza, anche se, in generale, si può aff ermare che spostamento e ve-locità sono adatti a misurare basse frequenze, mentre l’accelerazione è adatta a segnali sopra i 5 kHz. L’am-piezza di vibrazione in termini di spostamento accen-tua le componenti a bassa frequenza rispetto a quelle ad alta frequenza; viceversa, l’accelerazione enfatizza le componenti ad alta frequenza.

Per misure a bassa frequenza (!1 Hz) conviene sem-pre rilevare spostamenti; mentre per misure ad alta frequenza (#100 Hz) conviene sempre rilevare acce-lerazioni.

Le normative ISO che valutano gli eff etti delle vibra-zioni sul corpo umano (ISO 2631-1 – Evaluation of human exposure to whole body vibration) o sul siste-ma mano-braccio (UNI EN ISO 5349-1 – Vibrazioni meccaniche - Misurazione e valutazione dell’esposi-zione dell’uomo alle vibrazioni trasmesse alla mano) impongono, invece, la misura dell’accelerazione come grandezza di riferimento per stimare la vibrazione, ri-spettivamente nel range 0,5 { 80 Hz nel caso del cor-po intero (ad esclusione degli eff etti legati al “mal di mare”) e nel range 8 { 1000 Hz per il sistema mano-braccio.

In tutti i campi in cui la misura delle vibrazioni viene eff ettuata in relazione agli eff etti che questa produ-ce sul corpo umano, la grandezza misurata è sempre

l’accelerazione.

La stima degli eff etti delle vibrazioni sull’integrità strutturale degli edifi ci (UNI 9916:2004 – Criteri di misura e valutazione degli eff etti delle vibrazioni su-gli edifi ci) si basa invece sulla misura della velocità nell’intervallo di frequenza da 1 a 250 Hz.

Le variazioni nei valori di velocità e accelerazione con la frequenza sono molto importanti perché indicano quale variabile è la più indicativa del fenomeno e spie-gano per quale ragione possono avvenire guasti inat-tesi se durante la manutenzione vengono controllati i parametri sbagliati.

Nella fi gura H1.54 è riportato un diagramma in cui gli spostamenti e le accelerazioni sono rappresentati in funzione della frequenza, a una velocità di vibrazione costante e pari a 7 mm/s.

H1.54 Nel diagramma si può osservare la relazione tra velocità, spostamento, ampiezza e frequenza.

La norma DIN ISO 10816 (di cui è in vigore la ver-sione del 2012) stabilisce come valutare le vibrazioni di una macchina: serve come criterio per l’accettazio-ne della macchina stessa ed è un indicatore della qua-lità del prodotto. È suddivisa in parti e stabilisce il me-todo di misura delle vibrazioni dei corpi in rotazione per mezzo di misure su parti statiche.

La Parte 3 si occupa di macchine industriali con potenza superiore a 15 kW e velocità nominali comprese tra 120 e 15 000 giri/min; il criterio di valutazione può essere riassunto nella fi gura H1.55.

La Parte 7 si occupa di pompe centrifughe per ap-plicazioni industriali; il criterio di valutazione può essere riassunto nella fi gura H1.56.

58modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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H1.55 Criteri di accettabilità delle vibrazioni di macchine rotanti per la norma DIN ISO 10816-3 concernente potenze oltre 15 kW e da 120 a 15 000 giri/min.

H1.56 Criteri di accettabilità delle vibrazioni di pompe centrifughe per uso industriale secondo la norma ISO 10816-7.

La diagnosi è basata sulla misurazione della velocità della vibrazione [mm/s], nel range 10 { 1000 Hz: pa-ragonando questo valore con quello standard che la macchina “in salute” dovrebbe avere in quel momen-to, si stabilisce se le sue condizioni sono buone, soddi-sfacenti, insoddisfacenti o inaccettabili.Monitorando periodicamente la macchina si può verifi care se il livello è sotto la soglia critica, inoltre, costruendo un grafi co nel tempo, è possibile ricono-scere una eventuale tendenza e ipotizzare il tempo residuo al superamento della soglia che corrisponde a un guasto.Una vibrazione è una grandezza vettoriale nello spa-zio tridimensionale, la sua misura deve essere eff et-tuata in punti attentamente selezionati: in molti casi,

i supporti sono le posizioni migliori per misurare le vibrazioni di un macchinario, poiché è proprio nei supporti che i carichi dinamici e le forze sono applica-te. I cuscinetti sono gli elementi più critici dell’intera macchina, quindi, è in prossimità di questi ultimi che conviene eff ettuare le misure.

Trasduttori

Per la misura delle vibrazioni si utilizzano general-mente accelerometri, cioè strumenti in grado di misurare l’accelerazione |fi g. H1.57|.

Il mercato off re una gamma di strumenti con caratte-ristiche funzionali e costruttive diff erenti.

H1.57 Esempio di accelerometro triassiale.

La maggior parte degli accelerometri è basato sulla seconda legge della dinamica di Newton:

F " m a

Una massa, sospesa a un elemento elastico, è collegata a un sensore che ne rileva lo spostamento rispetto a una base fi ssa: in presenza di un’accelerazione, la mas-sa si sposta dalla propria posizione di riposo in mo-do proporzionale all’accelerazione rilevata. Il sensore trasforma questo spostamento in un segnale elettrico che viene acquisito da un sistema di misura.

Alcuni dei sensori utilizzati sono basati su estensime-tri oppure su componenti piezoelettrici e sono dispo-nibili anche accelerometri laser. La scelta del sistema da utilizzare sarà guidata dalla banda passante (in genere si considerano basse fre-quenze quelle fi no a 500 Hz che caratterizzano quasi tutti i fenomeni meccanici, alte frequenze quelle sino a 50 kHz), dalle condizioni ambientali, dalla accessibilità al componente ecc.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H159

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Questi sensori, spesso realizzati con le tecniche pro-duttive dei circuiti integrati (quindi, in dimensio-ni piccolissime), fanno ormai parte della nostra vita quotidiana, anche se spesso non lo sappiamo, infatti sono accelerometri:

i sensori che fanno ruotare l’immagine visualizzata del telefonino per seguire i movimenti della mano;

i sensori che fanno gonfi are l’air bag dell’automobile; i sensori che permettono di giocare con la WII e

così via.

Una vibrazione può essere scomposta in tante piccole “parti” che l’hanno generata, così come la luce bianca può essere scomposta in vari fasci luminosi utilizzan-do un prisma |fi g. H1.58|.In altre parole, la vibrazione, defi nita anche come se-gnale, viene scomposta nella somma di molte oscilla-zioni sinusoidali a diversa frequenza e fase: questa è la geniale idea di Fourier. Riportando sull’asse X di un grafi co le frequenze e sull’asse Y le ampiezze, si ottiene una curva detta spet-tro in frequenza del segnale analizzato |fi g. H1.59|.Lo spettro del rumore può essere interpretato per dia-gnosticare il guasto.Di seguito si riporta un esempio che permetterà di chiarire come l’analisi delle vibrazioni aiuti la diagno-stica dei guasti: una unità di aspirazione con trasmis-sione a cinghia si blocca a causa di eccessive vibra-zioni. Il livello di vibrazione più elevato è rilevato sul motore, che sembra essere in un primo momento la fonte dei problemi |fi g. H1.60|.

Tuttavia, analizzando la frequenza delle vibrazioni sul motore, si nota che corrisponde a quella della rotazio-ne del motore (~25 Hz) e non alla frequenza di rota-zione dell’aspiratore (~13 Hz). La puleggia del motore deve essere quindi bilanciata per evitare di danneg-giare il motore |fi g. H1.61|.

H1.61 Dallo spettro delle vibrazioni dei cuscinetti si riconosce che il problema è lato motore.

H1.58 Scomposizione della luce bianca mediante un prisma.

H1.59 Segnale e suo spettro, composto di 5 frequenze, da 100 a 500 Hz.

H1.60 Misurazione della frequenza di rotazione e delle vibrazioni del motore e dell’aspiratore.

60modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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L’analisi del prossimo caso introduce lo sbilanciamen-to come origine di vibrazioni negli organi rotanti: le ruote delle automobili devono essere equilibrate per evitare noiose e dannose vibrazioni al volante e agli altri organi della trasmissione |Fig. H1.62|.

H1.62 Macchina per l’equilibratura degli pneumatici.

Lo sbilanciamento può essere defi nito come una distribuzione eccentrica delle masse in movi-mento: durante la rotazione, la forza centrifuga dovuta allo sbilanciamento genera vibrazione sui cuscinetti, le quali si trasmettono ai supporti.

Queste vibrazioni sono sincrone con la rotazione e si evidenziano nello spettro come un picco con ampiez-za elevata alla frequenza di rotazione. Tale errore può essere eliminato compensando la distribuzione delle masse aggiungendo “peso” opposto (a 180°) a quello del rotore |fi g. H1.63|.

H1.63 Pesi diversi usati per equilibrare gli pneumatici.

Anche il disallineamento dell’albero dei corpi rotan-ti accoppiati provoca vibrazioni, ma in questo caso è possibile rilevare, oltre alla frequenza di rotazione del motore, anche una frequenza doppia. L’importanza di un buon allineamento è tale che molti produttori di organi meccanici o di motori elettrici vendono si-stemi di allineamento degli alberi con tecniche laser: rispettando le tolleranze di allineamento al montag-gio e controllandole periodicamente nel corso della vita, si riducono i rischi di danno in grado di fermare un impianto.Le misure delle vibrazioni, se correttamente interpre-tate, permettono non solo la diagnosi di sbilancia-mento o non allineamento, ma anche un gioco ecces-sivo in una puleggia: questo si manifesta in una serie di vibrazioni a frequenze multiple della rotazione.Il vantaggio dello spettro di frequenza è la capacità di normalizzare i singoli componenti della vibrazione, in modo tale che uno spettro complesso può essere divi-so in componenti discreti: questa caratteristica è mol-to utile nell’ analisi della degradazione di una macchi-na, come visto negli esempi precedenti.Un guasto nei cuscinetti di un organo rotante provoca un aumento del livello complessivo della vibrazione e un aumento del livello della vibrazione a frequenze specifi che (vibrazioni che possono essere di aiuto nel-la diagnosi di guasti o malfunzionamenti).Il funzionamento dei cuscinetti a rotolamento dipen-de da molti fattori:

la velocità di rotolamento dei corpi volventi (dia-metro del cuscinetto per il numero dei giri);

lo smorzamento del segnale; il carico; la lubrifi cazione del cuscinetto.

Per questa ragione occorre sempre disporre delle mi-sure di riferimento in buone condizioni per giudicare lo stato del cuscinetto in esame.I guasti nei cuscinetti possono essere suddivisi in:

guasti ciclici, ovvero difetti localizzati che produ-cono vibrazioni a frequenza legata al regime di ro-tazione;

guasti non ciclici, cioè difetti non localizzati che generano vibrazioni con contenuto di frequenze molto ricco e non stazionario.

L’analisi del contenuto in frequenza della vibrazio-ne di un cuscinetto permette di distinguere i guasti dell’anello interno da quelli dell’anello esterno. Un difetto all’anello esterno causa un impulso quando il corpo volvente (sfera, rullo) passa davanti all’area difettosa.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H161

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La frequenza teorica da monitorare nello spettro delle vibrazioni per individuare questo tipo di guasto è rap-presentata dalla seguente formula:

fN

fd

Dr= − α

2

1 coso

in cui:

fr è la frequenza di rotazione;

N è il numero di corpi volventi; D è il diametro della circonferenza media del cu-

scinetto; d è il diametro del corpo volvente; F è l’angolo di contatto del corpo volvente con le

guide.

La frequenza da monitorare nello spettro delle vibra-zioni per individuare un difetto all’anello interno è rappresentata dalla seguente formula:

fN

fd

Dr= + α

2

1 coso

Per un difetto ai corpi volventi, la frequenza vale:

fD

df

d

Db r= −

α2

1 cos

2

2

Infi ne, per un difetto alla gabbia, la frequenza tipica è data dalla seguente formula:

f fd

Dc r= + α

1

21 cos

I cuscinetti sono organi importantissimi, lo dimostra la quantità di strumenti disponibili per la loro dia-gnostica e il numero elevato di istruzioni disponibili. Esistono anche strumenti a basso costo che possono essere montati su organi particolarmente importan-ti, per avere un monitoraggio continuo dello stato di salute di macchine o di componenti particolarmente importanti (sul sito www.hoepliscuola.it è disponibile un estratto del catalogo di sensori IFM, relativo ai si-stemi di diagnosi). Lo sbilanciamento meccanico non è l’unico fattore in grado di generare vibrazioni: anche un’asimmetria del campo magnetico dei motori elet-trici può causare vibrazioni. A provocare una dissim-metria del campo possono essere:

il cortocircuito di una bobina; l’avvolgimento asimmetrico; la rete di alimentazione asimmetrica o irregolare; la posizione eccentrica dell’isolamento.

Un difetto nel campo statorico si manifesta con una vibrazione a frequenza doppia di quella di rotazione.Il motore può presentare anche difetti nell’isolamento,

dovuti a barre o anelli in corto oppure danneggiati, che si manifestano nello spettro delle vibrazioni con bande laterali rispetto alla frequenza di sincronismo.Le tecniche diagnostiche permettono di valutare com-portamenti assai più complessi di quelli di un corpo in rotazione o di un cuscinetto, come quelli che sono stati introdotti a proposito dei ponti. Simili fenomeni di instabilità possono nascere nelle ali degli aeroplani e possono essere previsti e valutati con tecniche di analisi modale.La maggior parte delle strutture può essere fatta “riso-nare”, cioè vibrare con un moto oscillatorio superiore a quello atteso con le sole forze esterne in gioco. Le riso-nanze sono sovente causa di molte vibrazioni, rumori e, spesso, sono l’origine di errori dimensionali o superfi -ciali nei prodotti lavorati dalle macchine utensili o mi-surati da strumenti di misura come le macchine CMM (Coordinate Measuring Machines).

L’analisi modale è lo studio del comportamento dinamico di una struttura soggetta a vibrazioni: mediante questa analisi si cerca di defi nire il com-portamento di una struttura soggetta a forze ester-ne o interne con un contenuto armonico variabile.

Si tratta di una tecnica piuttosto sofi sticata, basata su una teoria complessa e che si è sviluppata soltanto negli ultimi cinquant’anni, grazie alla disponibilità degli ana-lizzatori di spettro digitali prima e di sistemi di calcolo digitale come i personal computer poi.Generalmente ci si riferisce a una forza in senso statico, che deforma una struttura in modo costante. Si consi-deri, invece, una forza variabile nel tempo in modo si-nusoidale, applicata a una piastra: variando la frequenza e non l’ampiezza della forza, ci si aspetterebbe di vede-re che la deformazione della piastra varia solamente in frequenza. Tuttavia, misurando si potrà verifi care che ci sono state variazioni sia in frequenza, come atteso, sia in ampiezza.Queste misure off rono una serie di informazioni uti-li sul sistema in esame, specialmente se trasformate in uno spettro di frequenza con la trasformata di Fourier. Ancora più sorprendente è il fatto che tali deformazioni assumono forme diverse con la frequenza!I risultati che queste tecniche permettono di ottenere so-no sotto gli occhi di tutti: le automobili sono oggi molto più leggere, rigide e silenziose (oltre che sicure) rispetto a quelle del passato grazie agli strumenti di analisi mo-dale. Questa tecnica può essere utilizzata in fase di pro-gettazione, ad esempio per valutare il comportamento di una struttura edilizia in caso di terremoto, ma diventa fondamentale in fase di diagnostica: un esempio tipico è l’analisi delle vibrazioni in una macchina utensile.

62

modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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Le vibrazioni tra pezzo e utensile accompagnano tutte le operazioni di lavorazione o di misura sulle macchi-ne utensili. Queste vibrazioni sono causate da uno o più fattori elencati di seguito:

inomogeneità nel materiale del pezzo da lavorare; variazioni nella sezione del truciolo; disturbi nell’azionamento del mandrino (si veda

l’esempio sui cuscinetti citato in precedenza); carichi dinamici dovuti alle accelerazioni/decele-

razioni dei componenti macchina; chatter, ovvero vibrazioni provocate e mantenute

dalle forze generate nel processo di taglio.

Queste vibrazioni si manifestano sul pezzo in modo più o meno evidente |fi g. H1.6 4| e le tecniche di analisi

modale aiutano a mantenerle entro limiti accettabili sia in fase di progettazione sia in fase di manutenzione.

H1.64 Segni dovuti alle vibrazioni, lasciati sul pezzo lavo-rato in un processo di rettifi ca.

Anche l’industria della generazione eolica, cha ha at-traversato un periodo di crescita imponente, si è tro-vata di fronte al problema di prevedere la necessità di manutenzione in impianti di grandi dimensioni e dif-fi cilmente accessibili.A partire dal 2003 le assicurazioni reagirono ai nu-merosi incidenti alle turbine (in particolare al sistema di ingranaggi del riduttore), modifi cando le clausole dei contratti e richiedendo che i cuscinetti fossero so-stituiti dopo 5 anni, ovvero 40 000 ore di operazione, oppure pretendendo che nell’impianto fosse installato un sistema di monitoraggio per verifi carne lo stato di effi cienza (CMS, Condition Monitoring System).A conclusione del lavoro sulla manutenzione degli impianti eolici è nata la norma ISO 10816-21 che sta-bilisce metodi e valori di riferimento per il monito-raggio dei componenti delle turbine eoliche.Sul sito www.hoepliscuola.it è presente un interessante documento, in lingua inglese, sulle turbine a vento.

Ispezione visiva e altri metodi

Probabilmente l’ispezione visiva è la tecnica di con-trollo più utilizzata ed è una buona pratica (spesso istintiva) unire l’ispezione visiva come controllo com-plementare alle altre tecniche illustrate. Esami visivi

diretti possono essere utilizzati quando è possibile accedere direttamente alla superfi cie da controllare in buone condizioni di illuminazione (200 { 600 lux).Se necessario, è possibile remotare le immagini de-gli oggetti da esaminare utilizzando apparecchiature ottiche più o meno raffi nate: specchi, endoscopi, fi bre ottiche, telecamere o altri strumenti che garantiscano la risoluzione dell’occhio umano (~ 0,2 mm).

Il boroscopio |fi g. H1.65| è uno strumento che si utilizza per ispezionare tubi di piccolo diametro ed costituito da una guaina rigida contenente un obiettivo, che permette di mettere a fuoco l’oggetto interessato.

L’illuminazione è assicurata da una lampada posizio-nata vicino all’obiettivo: l’immagine viene trasmessa all’oculare con un sistema di prismi e lenti.

H1.65 Esempio di boroscopio per l’analisi di piccole cavità.

Gli endoscopi |fi g. H1.66| sono la naturale evoluzione dei boroscopi: utilizzano le fi bre ottiche sia per il tra-sporto dell’illuminazione sia per il trasferimento delle immagini.

H1.66 Un moderno endoscopio.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H163

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I vantaggi sono facilmente intuibili:

la fl essibilità del sistema di trasporto permette di raggiungere punti poco accessibili |fi g. H1.67| lun-go percorsi non rettilinei, in assenza di tensioni elettriche o fonti di calore prossime all’oggetto in esame;

le immagini possono essere trasmesse a distanza e visualizzate su schermi o monitor: in tal caso è possibile memorizzarle digitalmente per costruire il database necessario a rendere i controlli sempre più precisi ed affi dabili.

H1.67 Applicazione di un endoscopio.

Nelle fasi di controllo l’occhio umano può essere aiuta-to non soltanto da sistemi ottici: i liquidi penetranti, infatti, sono prodotti chimici utilizzati nei controlli di integrità superfi ciale di un componente (non poroso) e sono caratterizzati da una bassa tensione superfi cia-le (elevata bagnabilità) che consente loro di penetrare negli eventuali difetti, anche molto piccoli, affi oranti. I difetti superfi ciali assorbono il liquido per capilla-rità e non per gravità, rendendo il sistema applicabile anche nel caso di superfi ci diffi cilmente accessibili a causa della loro posizione.Dopo aver cosparso la superfi cie di liquido, occorre attendere che esso penetri e poi rimuoverne l’ecces-so: a questo punto, un mezzo di contrasto (o rive-latore) fa riaffi orare il penetrante dalle discontinuità della superfi cie. Sarà così possibile rilevare sul pezzo in esame la presenza di difetti o cricche di dimen-sioni inferiori a quelle rilevabili dall’occhio umano senza l’aiuto di un mezzo di contrasto. In generale, i mezzi di contrasto sono di colore diverso (rosso/bianco) rispetto a quello del penetrante, in modo da facilitare l’occhio nel riscontro di piccole difettosità |fi g. H1.68|.

H1.68 Esame ai liquidi penetranti: la presenza di una cricca è rivelata dalla zona colorata di rosso dal mezzo di contrasto.

Lo schema di una procedura di controllo con i liquidi penetranti deve prevedere le seguenti fasi:

preparazione della superfi cie; applicazione del penetrante; attesa del tempo di penetrazione; rimozione del penetrante in eccesso (lavaggio); applicazione del rivelatore e attesa; esame delle indicazioni.

Oltre ai metodi che utilizzano un penetrante rosso o violaceo, vi sono metodi che utilizzano liquidi pene-tranti fl uorescenti: il penetrante non è visibile ad oc-chio nudo, ma è messo in rilievo da una “luce nera” detta anche luce di Wood. Questi metodi sono adot-tati quando è richiesta una grande sensibilità di con-trollo, per esempio in campo aeronautico, grazie alla maggiore accuratezza |fi g. H1.69|.

H1.69 Liquidi penetranti fl uorescenti: esame di un particolare meccanico.

64modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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Le fi bre ottiche sono utilizzate, oltre che per gli en-doscopi, per realizzare sensori di temperatura, di de-formazione e di accelerazione. Il loro impiego non è ancora diff uso in ambiente industriale, nonostante i numerosi vantaggi (come l’insensibilità ai disturbi e ai rumori elettromagnetici, l’elevatissima risoluzione, la velocità di risposta ecc.) soprattutto a causa della complessità dell’elettronica necessaria per elabora-re i segnali e il conseguente costo elevato. Essi sono utilizzati per analisi assai raffi nate sui componenti di macchine utensili soggetti a dinamiche elevate, op-pure per tenere sotto controllo strutture come ponti o dighe |fi g. H1.70|: la risoluzione di questi strumenti

raggiunge le 0,1 parti per milione; ciò signifi ca che nel caso di un ponte lungo 1000 m sono in grado di leg-gere deformazioni inferiori a 1 mm.Le tecniche radiologiche ai raggi X oppure ai neutro-ni possono essere considerate come estensioni delle tecniche ad ultrasuoni e sono, generalmente, utilizzate per analisi di laboratorio più che nella normale pras-si manutentiva; inoltre è importante sottolineare che i metodi di elaborazione numerica (o digitale) dei se-gnali e delle immagini stanno assumendo sempre più importanza: le tecniche tomografi che, note per le appli-cazioni mediche, possono essere applicate con succes-so all’analisi di componenti meccanici o strutturali.

H1.70 Sensore di

Bragg utilizzato per il

monitoraggio continuo

di un ponte sospeso.

Rilevazione di fughe, di perdite e di usure

Viviamo in un ambiente saturo di gas: sono in orbita

satelliti dotati di sensori che, analizzando la luce ri-

fl essa dal terreno nelle varie lunghezze d’onda, per-

mettono di rilevare fughe di gas.

Può sembrare una precauzione eccessiva, ma ricordia-

mo che il 3 dicembre 1984 dallo stabilimento Union

Carbide di Bhopal (India) fuoriuscirono circa 40 tonnel-

late di gas di isocianato di metile, che uccisero circa 7000

persone nel giro di pochi giorni, altre 15 000 nel periodo

successivo e provocarono danni a circa altre 570 000!

Questi dati sono diff usi dalla ISSA (International So-

cial Security Association), organismo dell’ONU.

La realizzazione di componenti o sistemi completa-

mente ermetici è ancora oggi una sfi da alle capacità

della tecnologia: il rischio di fughe, intese come fuo-

riuscita di gas o liquido da un prodotto oppure come ingresso di gas o liquido inquinante in un prodotto mantenuto a bassa pressione, è sempre presente.In fase di produzione, i particolari previsti per funzio-nare in condizioni di ermeticità sono normalmente sottoposti a collaudi che evidenzino difetti o perdite: generalmente si misura un fl usso di gas che fuoriesce dal difetto (fuga) o che vi entra; spesso si tratta di mi-surare quantità estremamente piccole, non a caso, ne-gli anni sono stati sviluppati strumenti dedicati pro-prio a queste operazioni.Il controllo delle fughe di gas deve essere eff ettuato anche durante l’esercizio di molti sistemi, specialmen-te se operano in presenza di gas “pericolosi” come il metano, l’anidride carbonica e l’ossido di carbonio. A questi bisogna aggiungere anche l’ossigeno, la cui mancanza è sovente origine di incidenti mortali.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H165

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Le perdite di metano dalle pipelines di trasporto posso-no essere stimate in milioni di tonnellate all’anno! Una perdita economica, ma anche un danno ambientale, poiché il metano è un gas serra con un potenziale ri-scaldante assai più alto di quello dell’anidride carboni-ca. Perdite analoghe si hanno dai sistemi di trasporto del petrolio.Il DLgs n. 81 del 9.4.2008 (in materia di sicurezza e salute nei posti di lavoro) stabilisce l’obbligo di adot-tare misure preventive nelle seguenti condizioni:

in ambienti sospetti di inquinamento; in presenza di gas negli scavi; in presenza di atmosfere esplosive.

Particolari precauzioni e norme sono previste per le aziende chimiche. Tra le tecniche di ricerca guasti, an-che le tecniche di analisi delle fughe sono normate da una serie di metodi defi niti nelle norme UNI EN. A tal proposito, si consulti il documento UNI sulla situazione normativa in campo delle PnD (www.hoepliscuola.it).In particolare vengono normate le diverse tecniche disponibili, la selezione degli strumenti (UNI EN 13625:2003) e le protezioni personali da adottare.

Una perdita di gas può nascere da un foro, da una fes-

sura, da una cricca o, ancora, dalla porosità del mate-

riale che permette al gas oppure al liquido di fuoriu-

scire dal contenitore (o, eventualmente, di entrarci).

Le forti sollecitazioni meccaniche o termiche possono

far variare la fuga o peggiorare le condizioni dell’im-

pianto, quindi è importante che siano rilevate il più

presto possibile mediante strumenti capaci di misu-

rare quantità piccole, o piccolissime, di gas e liquido.

Una perdita da un contenitore ermetico può essere ri-

levata come caduta di pressione, ma i livelli di perdita

accettabili in diversi settori sono talmente bassi che

diffi cilmente possono essere rilevati con strumenta-

zione portatile |tab. H1.4|.

I livelli di perdite accettabili richiedono valori co-

sì bassi che, generalmente, la misura della caduta di

pressione conseguente alla fuga può essere usata so-

lamente in fase di collaudo e diffi cilmente durante le

operazioni di manutenzione o diagnostica in campo.

Per questa ragione, negli ultimi decenni sono stati svi-

luppati sensori assai precisi che possono essere utiliz-

zati in ogni ambiente.

Per difendersi dal gas grisou, i minatori di una volta

portavano con loro una gabbietta di canarini, anima-

li molto sensibili al gas; se i canarini mostravano se-

gni di soff ocamento, era il momento di correre fuori

dalla miniera. Purtroppo alcuni incidenti di miniera

sono rimasti impressi nella memoria di molte fami-

glie che ancora oggi ricordano quei tragici momenti:

verso la fi ne degli anni Cinquanta ci furono in Italia

tre incidenti dovuti alla presenza di gas nelle miniere

di carbone e zolfo, che costarono la vita a circa 100

minatori.

Oggi al posto dei canarini si utilizzano degli analiz-

zatori automatici: quando la concentrazione del gas è

troppo elevata, scatta un allarme.

Sensori di gas

I sensori di gas sono dispositivi che rivelano la presenza di uno o più tipi di gas all’interno di un ambiente a causa di una fuga. Possono essere usati per evidenziare la presenza di gas combustibili o tossici.

In base al principio su cui si basa il trasduttore, si possono distinguere vari tipi di sensore:

elettrochimici; a semiconduttore; catalitici; ottici.

TABELLA H1.4 y Cadute di pressione corrispondenti a una fuga di 1 l/s per diverse applicazioni

Prodotto/sistema Fuga [mbar l/s] Commenti

Sistemi per processi chimici 10−1 − 1 Processi con elevato fl usso di gas

Lattine per bevande 10−7 − 10−6 Deve essere trattenuto il CO2

Sistemi per processi sotto vuoto 10−7 − 10−5 Sistemi dinamici con piccole fughe accettabili

Airbag per automobili 10−8 − 10−5 Deve essere garantita la loro operatività per un certo periodo

Packaging 10−8 − 10−7 Si deve prevenire l’entrata di umidità o contaminanti

Stimolatori cardiaci < 10−9 Si deve garantire lunga vita una volta impiantati

66modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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I sensori elettrochimici o elettrolitici risalgono agli anni Cinquanta e, inizialmente, erano usati soltanto per monitorare la presenza di ossigeno. A partire da-gli anni Ottanta, invece, i sensori, ormai miniaturizza-tisi, iniziarono ad essere impiegati in numerose appli-cazioni di sicurezza per la rilevazione dei più comuni gas tossici e combustibili. Il sensore è dotato di una membrana porosa che per-mette al gas di reagire con un elettrolita, le cui caratte-ristiche elettriche variano in base alla reazione chimi-ca e possono essere misurate |fi g. H1.71|. Il gas reagisce con l’elettrodo variando il passaggio di corrente ionica tra gli elettrodi; tale variazione può essere misurata. Queste reazioni cambiano in base al-la natura del gas da misurare, per cui la scelta degli elettrodi e dell’elettrolita deve essere fatta in funzione del gas da rilevare; in altre parole, questi sensori con-vertono la concentrazione di gas in una corrente elet-trica proporzionale alla concentrazione (ovviamente, hanno bisogno di una tensione applicata che deve ri-manere costante per permettere misure precise).I sensori esistono nelle forme e nelle dimensioni più svariate |fi g. H1.72|. I sensori elettrochimici sono com-patti, richiedono una potenza minima, off rono linea-

rità e ripetibilità molto buone e, in genere, hanno una durata di due o tre anni. Il tempo necessario per la risposta è 30 { 60 s e i limiti minimi di rilevamento variano da 0,02 fi no a 50 ppm (parti per milione), a seconda del tipo di gas target.I sensori di gas a semiconduttore sono dispositivi nati alla fi ne degli anni Sessanta e si basano sul com-portamento della giunzione p-n, in presenza di gas combustibili o tossici nell’ambiente.Proprio come i sensori catalitici, essi funzionano in base al principio dell’assorbimento di un gas sulla superfi cie di un ossido catalitico riscaldato. La va-riazione di resistenza elettrica può essere correlata alla concentrazione del gas stesso. La superfi cie del sensore viene riscaldata a una temperatura costante di circa 200 °C, per accelerare la reazione e ridur-re gli eff etti della temperatura ambiente |fi g. H1.73|. Le caratteristiche di questi sensori sono la longevità e la capacità di essere sensibili a un alto numero di composti; inoltre, poiché sono sensibili alle impuri-tà e alla temperatura e sovente mostrano una scarsa sensibilità ad alcuni composti chimici, occorre cono-scerne bene le caratteristiche (riportate nel manuale d’istruzione) prima di utilizzarli.

H1.71 Sensore

elettrochimico.

H1.72 Sensore elettrolitico.

H1.73 Sensore a

semiconduttore.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H167

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I sensori catalitici sono utilizzati da circa cinquant’an-ni principalmente per rilevare gas combustibili, a parti-re dal gas metano. Sono i sensori più diff usi e possono essere visti come un’evoluzione delle prime lampade di sicurezza antifi amma, perché il loro funzionamento si basa anche sulla combustione di un gas e sulla sua conversione in anidride carbonica e acqua. In questi sensori si misura la resistenza elettrica di due fi lamenti caldi, uno dei quali ha proprietà catalitiche che variano in funzione della concentrazione di un gas. Sono costi-tuiti da una bobina di fi lo di platino (bead) riscaldata elettricamente e da un secondo strato catalizzatore (ge-neralmente palladio o iridio dispersi in un substrato di torio), come si può osservare nella fi gura H1.74.

H1.74 Schema del principio di funzionamento di un

sensore catalitico.

Quando una miscela di gas combustibile passa sulla superfi cie catalizzatrice calda, si verifi ca una combu-stione il cui calore altera la resistenza elettrica della bobina di platino. Questa variazione può essere mi-surata con un circuito a ponte di Wheatstone, in cui il conduttore di riferimento viene reso inerte con un rivestimento di vetro, e collegata alla concentrazione di gas nell’atmosfera misurata. I sensori catalitici sono sensibili, più che al singolo gas, a categorie di composti e denunciano una note-vole delicatezza nel fi lamento (bead) che può degra-dare a causa del trascorrere del tempo oppure per la presenza di particolari sostanze. Pertanto è fonda-mentale che qualsiasi sistema di monitoraggio dei gas sia tarato regolarmente utilizzando una miscela di gas standard calibrata e certifi cata: codici di pratica come la norma EN 50073:2001 forniscono indicazioni sulla frequenza dei controlli di taratura e sulla impostazio-ne dei livelli di allarme (sul sito www.hoepliscuola.it è disponibile la versione inglese dello standard BS EN 60079-29-2-2007).

I sensori di gas ottici sfruttano la misura dell’intera-zione tra onde elettromagnetiche e gas per verifi ca-re il tipo e la concentrazione del gas preso in esame: rappresentano l’ultima frontiera tecnologica, pur es-sendo sensibili alla temperatura e alla presenza di al-tri gas (vapore acqueo ad esempio). Poiché molti gas combustibili hanno una banda di assorbimento nella zona dei raggi infrarossi dello spettro elettromagne-tico della luce, da diversi anni si utilizza il principio dell’assorbimento di infrarossi per le analisi di labora-torio. Soltanto i recenti sviluppi della miniaturizzazio-ne elettronica hanno permesso lo sviluppo di sensori adatti all’impiego in ambiente industriale.Questi sensori off rono una serie di vantaggi, fra cui la manutenzione ridotta, i controlli semplici e l’elevata velocità di risposta, inoltre lavorano in ogni condizio-ne ambientale |fi g. H1.75|.

H1.75 Sensore a infrarossi per la misura della

concentrazione dei gas in un ambiente.

Per proteggere l’ambiente di lavoro, esistono disposi-tivi di gas fi ssi, installati in ambienti in cui si rischia la formazione di miscele esplosive o tossiche |fi g. H1.76| (a tal proposito, consultare sul sito www.hoepliscuola.it il documento, in lingua inglese, relativo all’analisi delle particelle in olio). In questo caso occorre ricordare che tutte le apparecchiature destinate all’impiego in zone a rischio di esplosione devono rispondere ai requisi-ti della direttiva ATEX (94/9/EC). Apparecchiature e sistemi di sicurezza esposti a polveri o gas esplosivi devono essere certifi cati e contrassegnati secondo ca-tegorie defi nite dalla norma.

68modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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H1.76 Sensore a infrarossi per il montaggio fi sso.

Esistono, poi, apparecchiature mobili o portatili de-stinate alla protezione individuale dell’operatore, in grado di segnalare la presenza di gas e miscele po-tenzialmente pericolose. Tutte queste apparecchiatu-re richiedono taratura e manutenzione sistematiche, dovute non solo al ruolo di sicurezza che svolgono, ma anche alle caratteristiche dei sensori che hanno la tendenza a “invecchiare”. Le perdite di aria, pur non essendo pericolose, sono da tenere sotto controllo per via dei costi energetici connessi: si suole dire che “non esistono sistemi pneumatici senza perdite!”. Generalmente si hanno perdite da tubi difettosi, da collegamenti fl angiati o avvitati mal realizzati o cor-rosi: si considera che il 25 { 30% della potenza dei compressori viene sprecata a causa delle perdite.Rumori e aumento dei consumi sono gli indicatori che segnalano la presenza di perdite in un impianto; riuscire a identifi care tali perdite consente di rispar-miare spese inutili. Esistono apparecchiature a ultrasuoni sviluppate per identifi care le perdite di aria compressa come il So-naphone della Sonotec |fi g. H1.77|, dotato di tutti gli accessori necessari per un impiego in ambienti diffi -cilmente accessibili o rumorosi.

H1.77 Sonaphone: sensore ultrasonico sviluppato per

rivelare perdite negli impianti ad aria compressa.

Anche i sistemi idraulici sono soggetti a perdite o stil-licidi, che infl uiscono sia sull’ambiente (inquinando le falde acquifere) sia sulle prestazioni dei sistemi, cau-sando danni anche economici.Molte di queste perdite non vengono evidenziate per-ché non sempre si hanno indicazioni visive di perdi-te e occorre un grande sforzo organizzativo per tener conto dei consumi di olio nel tempo, in modo da rile-vare immediatamente l’aumento nei consumi.Non tutte le perdite sono poi visibili dall’esterno: consumi nei componenti di una pompa portano a trafi lamenti interni che non lasciano fuoriuscire olio all’esterno, ma che si traducono in una diminuzione dell’effi cienza, ovvero in uno spreco di energia.Nel monitorare lo stato di un sistema idraulico, occor-re anche controllare i consumi energetici, a pari lavoro prodotto: generalmente un aumento della temperatu-ra degli organi è un sintomo di perdita di effi cienza.I trafi lamenti interni sono sovente provocati da ecces-sive usure dei componenti e possono essere tenuti sot-to controllo analizzando periodicamente le particelle contenute nell’olio: le particelle che si creano a causa del contatto tra componenti in moto relativo vengono trasportate nel circuito e possono causare danni ad al-tri componenti, malgrado la presenza di fi ltri.Il conteggio delle particelle off re informazioni signifi -cative sullo stato e sull’invecchiamento di un sistema: la norma ISO 4406:1999 defi nisce gli standard di misura della “purezza” degli olii, in base al conteggio delle par-ticelle inquinanti classifi cate per classe dimensionale. Sul sito www.hoepliscuola.it è disponibile un libretto in cui sono spiegate le norme e il signifi cato delle grandez-ze utilizzate nel giudicare la pulizia di un olio. A scopo manutentivo, esistono sensori in grado di monitorare continuamente il volume delle particelle conduttive inquinanti in un fl usso d’olio: sono basati sul princi-pio delle correnti parassite che turbano la trasmissio-ne di un campo elettrico |fi g. H1.78|.

H1.78 Sensore per particelle in olio, in grado di rilevare la

presenza di particelle conduttive in un fl usso di olio.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H169

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È già stato dimostrato dalle società di assicurazione che una delle principali cause di incendio degli stabili-menti industriali è legata a perdite di olio da centraline idrauliche. I recenti casi di cronaca riportati sui giorna-li ne sono la tragica conferma, talvolta acuiti dalla man-canza totale o dall’ineffi cienza dei sistemi antincendio (per esempio la presenza di estintori scarichi), i quali devono a loro volta essere oggetto di manutenzione.In numerosi impianti si può osservare come le tuba-ture dei circuiti idraulici vibrino (scosse da tremiti ripetuti) se sottoposte a colpi d’ariete e sbalzi di pres-sione conseguenti alla chiusura rapida dei cassetti delle elettrovalvole, specie in presenza di carichi iner-ziali consistenti.

In conseguenza, nelle parti rigide dell’impianto (giun-ti e raccordi) possono formarsi cricche e fessurazioni, dalle quali fuoriesce olio in pressione. Un getto di olio in pressione passante attraverso una piccola fessura produce uno spray che può arrivare a distanza di pa-recchi metri |fi g. H1.79|.Quando lo spray (miscela aria-olio) incontra una sor-gente di calore o una scintilla generata da un impian-to elettrico, si incendia, producendo un risultato simi-le a un lanciafi amme. Essendo gli impianti elettrici di alimentazione delle pompe protetti in una canalina metallica, oppure interrati, la centralina può conti-nuare a erogare olio e ad alimentare la fi amma, senza che nessuno intervenga a spegnerla.

L’eventuale intervento di sistemi antincendio (getti d’acqua, sprinkler ecc.) spesso peggiora la situazione per due motivi:

i sistemi antincendio spruzzano acqua su pavi-menti e macchinari (ma non sulle cabine elettri-che, dove è vietato usare acqua per spegnere gli incendi);

l’olio galleggia sull’acqua, formando uno strato su-perfi ciale che diff onde e propaga l’incendio a tutto lo stabilimento, anziché delimitarne la portata.

L’unica via d’uscita da questa sequenza di causa-eff etto è quella di utilizzare sensori di fughe d’olio installati a bordo delle centraline oleodinamiche, in modo che tali dispositivi possano bloccare l’eroga-zione delle pompe quando si rileva una perdita im-provvisa di olio, limitando la quantità erogata, prima che l’olio stesso possa incendiarsi in modo incon-trollabile.

I sensori di fughe d’olio dalle centraline idrauliche |fi g. H1.80| ricoprono quindi molteplici funzioni:

sono usati come dispositivi di prevenzione incendi; riducono gli inquinamenti delle falde acquifere e

gli spargimenti di olio al suolo, diminuendo nel contempo i costi per ristabilire i livelli originali di olio nelle centraline idrauliche;

verifi cano perdite e trafi lamenti dall’impianto, in-dicando quando è necessario provvedere a revi-sioni periodiche, sostituire guarnizioni, stringere giunti e raccordi ecc.

H1.80 Sensore di livello per centraline idrauliche con

funzione di controllo fughe.

H1.79 Simulazione d’incendio

da spray d’olio.

70modulo H Ricerca guasti (Troubleshooting)

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Conclusioni

Gli strumenti analizzati nei paragrafi precedenti pos-sono essere utilizzati nel processo produttivo, verifi -cando la qualità dei beni prodotti, magari già assem-blati (ma off line), senza la necessità di smontarli o addirittura di distruggerli. Possono altresì essere uti-lizzati per verifi care il buon funzionamento di sistemi o componenti durante la fase esecutiva (on line).Qualunque sia il metodo scelto per eff ettuare un’in-dagine, lo scopo del controllo è l’accertamento delle cosiddette “indicazioni”, ossia le informazioni che, opportunamente valutate ed interpretate, permetto-no di formulare un giudizio sullo “stato di salute” del componente esaminato.Poiché i vari metodi, fondati su principi fi sici diff e-renti, sono adatti a risolvere un determinato problema diagnostico, non esiste un metodo universale, piutto-sto, ogni metodo è idoneo più di altri a risolvere un determinato problema:

gli ultrasuoni (e la radiografi a) possono essere uti-lizzati su tutti i materiali, ma le onde ultrasonore vengono assorbite in funzione della tipologia e delle proprietà del materiale attraversato;

le correnti indotte possono essere applicate sola-mente a materiali in grado di essere magnetizzati;

la termoscopia può essere utilizzata su qualunque materiale, con qualche diffi coltà per i buoni con-duttori;

i liquidi penetranti possono essere utilizzati su tutti i materiali, purché non siano porosi, tuttavia non sono in grado di rilevare cricche non superfi ciali.

La scelta corretta del tipo di controllo da impiegare scaturisce da un’attenta valutazione, cioè da un pro-cesso che tenga conto dei seguenti aspetti:

la defi nizione della norma applicabile; l’accessibilità al campione/componente da esami-

nare; la preparazione della superfi cie da esaminare; la conoscenza dei difetti tipici in esercizio (storia

del componente);

la risoluzione, ovvero la sensibilità dello strumen-to da utilizzare;

la qualifi cazione del personale; la documentazione da preparare al termine dell’a-

nalisi.

I principali controlli diagnostici non distruttivi appli-cabili per la sicurezza del volo aereo sono:

le correnti indotte per l’esame di cricche da fatica o da corrosione su parti in lega di alluminio;

gli ultrasuoni per il controllo di palette del com-pressore o incollaggio delle strutture metalliche;

la termografi a per verifi care la temperatura dei motori e delle palette delle turbine, dei sistemi di raff reddamento delle camere di combustione e per la ricerca di infi ltrazioni d’acqua nelle superfi ci di materiale composito.

Analogamente, nel caso del treno, si utilizzano:

la termografi a per la verifi ca delle temperature nei motori elettrici o delle boccole degli assili;

gli ultrasuoni per il controllo degli assili in opera o i serbatoi di aria compressa dell’impianto frenante;

le correnti indotte per controllare l’integrità delle rotaie.

Nel caso degli edifi ci, invece, si utilizzano:

la termografi a agli infrarossi per individuare e ridurre le dispersioni energetiche, ovvero per sco-prire perdite o infi ltrazioni d’acqua, per sorveglia-re i sistemi di riscaldamento e per individuare per-dite nelle condutture sotterranee;

gli ultrasuoni per l’analisi delle strutture; le correnti indotte per il controllo delle conduttu-

re non ferrose (condizionamento); le correnti magnetoscopiche per il controllo delle

tubazioni della caldaia o dell’acqua.

Si utilizzano, poi, prove strumentate con martinetti e strain gages per verifi care la stabilità delle strutture, a prova del fatto che molte strumentazioni sono utiliz-zate non solo nelle applicazioni produttive, ma anche nella medicina e nell’ingegneria civile.

Metodiche di ricerca e diagnostica dei guasti unità H1

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