uomini, aziende, territori...lunedì, 30 novembre 2015 uomini, aziende, territori imprese toscana...

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Lunedì, 30 Novembre 2015 www.corrierefiorentino.it UOMINI, AZIENDE, TERRITORI IMPRESE TOSCANA Saper fare, cosa fare Poste Italiane Sped. in A.P. D.L. 353/2003 conv. L.46/2004 art. 1, c1 DCB Milano. Non può essere distribuito separatamente dal Corriere della Sera Siamo pronti a prendere il treno della ripresa, oppure no? Le attese e le opportunità di un sistema economico che ha resistito alla crisi, ma che ora deve cambiare marcia DOSSIER LAVORO

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Page 1: UOMINI, AZIENDE, TERRITORI...Lunedì, 30 Novembre 2015 UOMINI, AZIENDE, TERRITORI IMPRESE TOSCANA Poste Italiane Sped. in A.P. D.L. 353/2003 conv. L.46/2004 art. 1, c1 DCB Milano

Lunedì, 30 Novembre 2015 www.corrierefiorentino.it

UOMINI, AZIENDE, TERRITORI

IMPRESETOSCANA

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Siamo pronti a prendere il treno della ripresa, oppure no?Le attese e le opportunità di un sistema economico

che ha resistito alla crisi, ma che ora deve cambiare marcia

DOSSIER LAVORO

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2 Lunedì 30 Novembre 2015 Corriere Imprese

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3Lunedì 30 Novembre 2015Corriere Imprese

di Paolo Ermini

Affrettiamoci, con cautela(ma non troppa)

Festina lente, raccomandava Au-gusto secondo Svetonio. Festinalente, ammoniscono moltescritte dai soffitti di PalazzoVecchio. Un invito alla saggez-

za, certo: affrettati con ponderazione, non indugiare però usa cautela. Senza esagerare, verrebbe da aggiungere, visto il tempo perso per anni dal no-stro Paese e la leggerezza dei segni di ripresa economica. La Toscana non fa eccezione. Che fare, allora? Cerchiamo di accelerare, con cadenza sostenuta e nella giusta direzione. Partendo dalla realtà.

Il dossier raccolto da Silvia Ognibe-ne alle pagine 2 e 3 di questo nume-ro speciale di Corriere Imprese-Tosca-na dà un quadro complesso. Forse

più complicato di quanto può sem-brare a una prima lettura dei dati, dei numeri. Non tutti sono sconfortanti. Dal 2007 al 2012, cioè negli anni più duri della crisi, il Pil della Toscana è calato del 5 per cento, meno che in regioni comparabili con la nostra; i distretti hanno generalmente retto all’urto, salvando produttività e reddi-tività; l’export ha garantito almeno quelle aziende che già erano riuscite a trovare sbocchi significativi sui mer-cati internazionali. Sulla bilancia pesa-no invece altri fattori: dal 2005 al 2015 sono sparite circa ottomila azien-de, attive in gran parte nel settore manifatturiero — il vero pilastro della Toscana: con l’effetto di tagliare via un quinto dell’occupazione. In com-penso sono nate molte imprese di servizi. Non abbastanza da dare un saldo positivo, ma il guaio più grave è il basso valore tecnologico che media-

mente le caratterizza. E che si va a sommare alle inadeguatezze di non poche aziende manifatturiere soprav-vissute alla tempesta. Non c’è da stu-pirsi. Il fenomeno è strettamente lega-to ai limiti storici del sistema toscano di imprese medio-piccole, se non mi-cro, che un tempo era un punto di forza e che poi ha cominciato a fare i conti con il proprio codice genetico: una cultura d’impresa tipicamente familiare e, spesso, scarsamente ma-nageriale; un’orgogliosa solitudine che quando il vento è cambiato è diventa-ta un moltiplicatore di fragilità; un’in-capacità genetica ad allargare la rete commerciale oltre il tradizionale peri-metro di vendita. È un’eredità che va cambiata, e velocemente, altrimenti la regione rischia di farsi trovare impre-parata ad affrontare le sfide del ritor-no alla crescita. Servono investimenti. Capitali privati da impiegare nella modernizzazione di ogni comparto. E investimenti pubblici in grado di sol-lecitare il coraggio di quelli che un tempo si chiamavano «capitani corag-giosi». Industriali, artigiani, agricoltori pronti a cogliere opportunità in un contesto più stimolante, con infra-strutture adeguate, pubbliche ammini-strazioni efficienti, una politica attenta a creare le migliori regole del gioco e finalmente decisa a lasciarsi alle spal-le la tentazione di giocare a sua volta, anche quando non lo impone il co-siddetto interesse generale. L’allarga-mento a tutta la Toscana della banda ultra larga — quella che serve alle imprese più che a riempire il nostro tempo libero — sembra qualcosa di più di un impegno: sarebbe la prova che possiamo farcela, il simbolo di un cambiamento, l’affaccio su un domani in linea con le previsioni ottimistiche del governatore Enrico Rossi. E con le attese di tutte le zone della regione: dalla triade Firenze-Prato-Pistoia, spin-ta da un ottimo motore produttivo, alla costa, che conta prioritariamente sul riscatto dei suoi porti. C’è bisogno di risultati, come allo stadio. Lo sco-po principale è quello di aumentare l’occupazione, termometro della salute di un’economia e, soprattutto, del livello civile di un popolo, di un inte-ro Paese. Non abbiamo alternative: diamoci da fare.

[email protected]© RIPRODUZIONE RISERVATA

Dossier

4 Al lavoro, Toscana. Prontiper la ripresa, o no?

Industria

7 Dialogo e sostenibilità: il modello toscano nella gestione della crisieconomicadi Claudio De Vincenti

Identità

9 Il rilancio della costae la a riunificazione delle due Toscane,anche attraversoun nuovo regionalismodi Enrico Rossi

Strategie

11 L’industria 4.0, una nuovarivoluzione alle porte:non facciamoci trovaresulla difensivadi Alessio Gramolati

Distretti

13 La qualità dei piccoli,il traino dei grandi:la carta della filieranel successo dell’exportdi Gregorio De Felice

Infrastrutture 2.0

14 La Toscana in ritardonella partita della bandaultra larga: la mappadegli esclusi e il pianodi governo e Regione

Artigianato

19 Giovani e web, l’uovodi Colombo per farsopravvivere le botteghe

Arte

21 Firenze casa per giovaniartisti contemporanei?Caccia ai nuovi mecenati.Ferragamo: noi ci siamo

Scuola e lavoro

22 Paradosso disoccupazione:cresce, ma le aziende nontrovano chi assumere. Ilmodello tedesco dellaformazione su due binari

Integrazione

25 Da dipendenti a piccoliimprenditori: gli straniericambiano il tessutodelle Pmi toscane

Agricoltura

26 I ragazzi tornano alla terra:1.600 nuove impreseagricole nel 2016. E non èsoltanto una moda

Scenari

29 Airbnb, Uber e gli altri:la nuova economiadella condivisione, l’impresa e le regole

Il racconto

31 Io, scrittore alla ricercadi un’idea: così mi sonoincontrato al lavorodi Vanni Santoni

Sommario

EDITORIALE

IMPRESEA cura della redazionedel Corriere Fiorentino

Direttore responsabile: Paolo Ermini

Vicedirettore: Eugenio Tassini

Caporedattore centrale: Carlo Nicotra

Grafica di Claudio Nerone

Editoriale Fiorentina s.r.l.

Presidente: Marco Bassilichi

Amministratore Delegato: Massimo Monzio Compagnoni

Sede legale: Lungarno delle Grazie 2250122 Firenze

Reg. Trib. di Firenze n. 5642del 22/02/2008

Responsabile del trattamento dei dati (D.Lgs. 196/2003): Paolo Ermini

COMITATO SCIENTIFICOPaolo Barberisfondatore di Nana Bianca e Dada, consigliere per l’ innovazione della Presidenza del Consiglio

Fabio FilocamoPresidente Harvard Alumni Italia, CEO Dynamo Venture, Member of Board Principia SGR

Fabio PammolliProfessore di Economiae Management IMT Alti Studi Lucca

Alessandro PetrettoProfessore Ordinario di Economia Pubblica Università degli Studidi Firenze

© Copyright Editoriale Fiorentina s.r.l.Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte diquesto quotidiano può essere riprodotta con mezzi grafici, meccanici, elettronici o digitali.Ogni violazione sarà perseguita a norma dilegge.

Stampa: RCS Produzioni S.p.A. Via Ciamarra 351/ 353 - 00169 Roma Tel. 06-68.82.8917Diffusione: m-dis Spa - Via Cazzaniga, 19 20132 Milano - Tel. 02.2582.1

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Poste Italiane S.p.A.Sped. in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, Art.1, c.1, DCB Milano

Supplemento gratuito al numero odierno del

Direttore responsabileLuciano Fontana

�C’è bisogno di risultati,come allo stadio. In giococ’è soprattutto l’aumento dell’occupazione, termometrodella salute economicae del livello civile di un popolo,di un intero Paese

In copertinaSeu Corpo

da Obra

(Your Body

of Work),

opera

dell’artista

danese

Olafur

Eliasson

Un labirinto

di pannelli

traslucidi,

organizzati

in variazioni

cromatiche,

in mezzo

ai quali

si muovono

i visitatori

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4 Lunedì 30 Novembre 2015 Corriere Imprese

L’invenzionedella pastoriziaIl lavorodei progenitoriBassorilievi, 1337-1341,

Museo dell’Opera

del Duomo. Il ciclo

di formelle decorative

del Campanile di Giotto

potrebbe essere stato

concepito da Giotto stesso

(immagini concesse dall’Opera di Santa Maria del Fiore, foto di Antonio Quattrone)

Gli investimenti stranieri, la trasformazione della manifattura, l’argine dei distrettiDai mercati internazionali, dal credito e dal lavoro arrivano segnali positivima la disoccupazione resta al 9% e mancano all’appello circa 8.000 industrie

Al lavoro, ToscanaPronti a cavalcare la ripresa. O no?Forza e debolezza di un’economia

AndreaPisanoe collaboratori

Nel 2015 si è avviata una fase di ripresadell’economia e nei prossimi mesi latendenza dovrebbe proseguire (anchese pesa molto l’incertezza legata alloscenario internazionale). Le esporta-

zioni continuano a tirare e c’è finalmente an-che qualche segnale di miglioramento delladomanda interna, i prestiti alle imprese e allefamiglie sono tornati a crescere, i principaliindicatori macroeconomici (il fatturato delleimprese e gli ordinativi) sono in leggero au-mento, sono saliti in misura significativa i lavo-ratori occupati e il tasso di disoccupazione èsceso. In Toscana coesistono imprese ancora indifficoltà che continuano a licenziare e aziende(soprattutto medie e grandi) solidamente ag-ganciate alla ripresa della domanda che assu-mono e progettano investimenti.

SegnaliNel primo semestre del 2015 la cassa integra-

zione è crollata del 40%, soprattutto per lacontrazione della cassa in deroga, le nuoveassunzioni sono principalmente full time e atempo indeterminato grazie alle politiche didecontribuzione introdotte dal governo, nellasperanza che durante il triennio di «sconti» laripresa si consolidi. Le condizioni di accesso alcredito sono migliorate e sui tassi di interessesi vede l’effetto delle politiche monetarie mas-sicciamente espansive della Bce. È una ripresadebole, avverte però la Banca d’Italia nell’ag-giornamento congiunturale del secondo seme-stre, che va consolidata e resa duratura se sivogliono risolvere i problemi strutturali lasciatiin eredità dalla crisi, come quello drammaticodella disoccupazione giovanile. Gli investimen-ti da parte delle imprese non sono diffusi ehanno un andamento assai differenziato, lega-to più alla solidità delle singole aziende che adinamiche di comparto, a mostrare che il ma-nifatturiero non è ancora ripartito pienamente.

La Toscana ha pagato un prezzo alto durantela crisi economica — basti pensare al tasso didisoccupazione che nel 2005 era il 5,3% e a fine2014 era salito all’11%, con 80 mila posti brucia-ti; oppure alle sofferenze bancarie che nellostesso periodo sono passate da 2,6 miliardi a15,4 — e ne esce con un tessuto produttivo esocioeconomico profondamente trasformato,con comparti che hanno retto e sono anchecresciuti e altri letteralmente spazzati via.

MetamorfosiDal 2005 al 2015 il numero di imprese attive

in Toscana è calato complessivamente di due-mila unità, ma sono sparite circa ottomilaindustrie, rimpiazzate per lo più da impresedi servizi. La crisi ha colpito soprattutto lamanifattura, il cui peso specifico nell’econo-mia regionale è passato dal 27% al 21%, pic-chiando sull’industria che ha lasciato sul tap-peto oltre un quinto dell’occupazione, preva-lentemente nei comparti a basso contenutotecnologico. Travolta l’edilizia, che esce dallacrisi con una forza lavoro più che dimezzata.Le costruzioni hanno toccato il picco positivonel 2006, per poi iniziare a calare ad un ritmomedio del 6% l’anno; i permessi per costruirenuove abitazioni sono diminuiti dell’80% dal2005 al 2012. La Toscana si è mossa in contro-tendenza rispetto al resto dell’Italia, dove lamanifattura ha retto meglio. Secondo le valu-tazioni della Banca d’Italia questo dipende dalfatto che il manifatturiero toscano (che puredopo la crisi assorbe ancora l’80% della forzalavoro, contro il 70% della media nazionale)ha un basso grado di innovazione: rispetto adaree della Germania e della Francia compara-bili per dimensione demografica e grado disviluppo economico, in Toscana i lavori a bas-so valore di conoscenza hanno un’incidenzadoppia.

Anche l’andamento del fatturato ha mostra-to che a soffrire di più sono state le aziendea basso contenuto tecnologico: mentre duran-te la crisi un settore come la farmaceuticacresceva a doppia cifra, i comparti a medio-bassa tecnologia cedevano terreno ad una me-dia di 4 punti percentuali l’anno. Lo stessoragionamento vale per la produzione indu-striale: il manifatturiero ad alta tecnologia havisto crescere questo indicatore di oltre il 18%tra il 2009 e il 2010, nel cuore della crisi,mentre i comparti a bassa tecnologia registra-vano lo stesso numero, ma con il segno menodavanti. La trasformazione del tessuto produt-tivo toscano dovuta alla crisi contiene quindiun elemento di debolezza: una percentualealtissima di forza lavoro è ancora impiegatanel manifatturiero a basso valore aggiunto e leaziende di servizi e non profit che sono natedall’arretramento dell’industria e del settorepubblico sono in gran parte a basso contenu-to di conoscenza, e per questo vulnerabili.

Investimenti e PilDal 2007 al 2012 il Pil della Toscana è calato

del 5%: è un numero leggermente inferiore allealtre regioni comparabili, ma la flessione èstata determinata principalmente dalla frenatadegli investimenti fissi lordi. Il calo viene sti-mato, a seconda degli osservatori, fra il 20 e il30%, ma anche prendendo la parte bassa dellaforchetta, significa che abbiamo rinunciato a45 miliardi di investimenti. La domanda pub-blica ha seguito andamenti analoghi: ormai dal2011 i bandi pubblicati in un anno sono circa600, meno della metà rispetto al 2007. In To-scana gli investimenti sono ripresi a partiredalla fine del 2014: un incremento lieve, nell’or-dine dello 0,2% in termini di valore, che peròè proseguito anche nei primi due trimestri del2015. Secondo l’Irpet, se questi segnali positivisi consolideranno, entro la fine dell’anno leimprese manifatturiere che avranno effettuatoinvestimenti potrebbero essere circa due su

Le infografiche

del dossier

Corriere Imprese

sono state

costruite

sui dati

provenienti

dalle

elaborazioni

Irpet, Banca

d’Italia e

Unioncamere

Toscana

su fonte Istat

Fonti

�Punti deboliTravolta l’edilizia,più che dimezzatadalla crisi, crollataanche la manifatturaa basso gradodi innovazione

�Punti di forzaI distretti concentratisul Made in Italydi alta gamma hanno continuato a crescereFungendo da murodi protezione

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5Lunedì 30 Novembre 2015Corriere Imprese

L’invenzionedella metallurgiaL’arte della tessituraLe opere, che corrono

lungo i quattro lati

del Campanile di Santa

Maria del Fiore,

sono state sostituite

con delle copie

tre, raggiungendo o superando il livello del2010. La reattività del mondo produttivo è mol-to differenziata a livello territoriale e si concen-tra nei luoghi in cui la capacità imprenditorialeè da sempre più diffusa, cioè nella Toscanacentrale, mentre rimangono aperti i problemidella costa.

L’argine dei distrettiSecondo l’Irpet durante la crisi i distretti

hanno svolto un ruolo storico, con effetti posi-tivi sulla produttività del lavoro, la redditività el’efficienza. L’ondata di crisi ha colpito pesante-mente l’attività industriale e i distretti hannofunzionato come un argine: le aree industrialiorganizzate in distretti, pur soffrendo, hannomostrato andamenti migliori sia rispetto allearee non distrettuali che alla media regionale.I distretti, dove le aziende sono caratterizzateda una specializzazione industriale, hanno ga-rantito valore aggiunto al tessuto produttivo

che è rimasto più vitale, anche per la capacitàdi collocarsi meglio sui mercati internazionali.Appartenere a un distretto ha protetto le singo-le imprese dalle conseguenze della crisi. LaBanca d’Italia fa notare che i distretti concen-trati sul Made in Italy di alta gamma e conforte orientamento all’export hanno avuto i ri-sultati migliori negli anni passati e sono oggiin grado di correre con la ripresa. Le filiereproduttive e i distretti dedicati a produzioni diqualità medio bassa hanno riportato inveceperdite pesantissime durante la crisi perchérivolti ad una domanda interna che è stata difatto spazzata via.

I distretti toscani tradizionali sono ancoravivi ma, secondo gli analisti della banca centra-le, non è più ipotizzabile un modello di cresci-ta basato esclusivamente su di essi: alle filiereproduttive specializzate in prodotti di lusso de-stinati a ricchi consumatori stranieri è necessa-rio affiancare altre attività produttive ad alto

valore aggiunto, capaci di attirare investimenticonsistenti anche dall’estero.

Lavoro e giovaniÈ stata soprattutto l’industria a perdere oc-

cupati (oltre il 20% dal 2007 al 2017) facendoschizzare il tasso di disoccupazione in Toscanaoltre l’11% a fine 2014, una percentuale più cheraddoppiata rispetto al periodo pre-crisi. Laquota di chi ha perso il lavoro è salita del 115%e coloro che non hanno mai lavorato sonotriplicati. Durante la crisi il tasso di disoccupa-zione tra i giovani (fra 15 e 29 anni) è cresciutodi oltre 15 punti percentuali.

I «neet», cioè coloro che non sono occupatiné in formazione, hanno raggiunto il 20% e igiovani tra i 25 e i 34 anni hanno ripreso ademigrare. A giugno 2015 la disoccupazione èscesa al 9%, ma tra i giovani il tasso è ancorail doppio. Anche la dinamica degli occupatimostra che l’innovazione può fare la differen-za: durante la crisi, mentre il manifatturiero abasso contenuto tecnologico lasciava sul terre-no oltre un quinto della forza lavoro, nellamanifattura ad alto contenuto tecnologico glioccupati crescevano del 5,8%.

Il modello toscano ha sostanzialmente tenu-to e il livello di coesione sociale è rimastoelevato anche durante la crisi. Tra il 2007 e il2012 la flessione del reddito disponibile è statapiù intensa per le famiglie più abbienti: solita-mente la crisi acuisce le differenze, mentre inToscana è accaduto il contrario. Un elementopositivo che però nasconde un’insidia: l’omo-geneità dei salari significa anche che un laure-ato guadagna poco più di un operaio. Ed èquesto uno dei motivi per cui tra i giovani chehanno ripreso ad emigrare la gran parte sonolaureati.

La stradaNota l’Irpet che le imprese nate negli anni

della crisi evidenziano comportamenti mag-giormente «virtuosi». Benché si caratterizzinoper una più limitata disponibilità di risorse,dimensioni operative ridotte, mercati di sboc-co soprattutto locali, un know-how imprendi-toriale ancora da sviluppare in maniera com-piuta, sono particolarmente dinamiche e vitali.

La «nuova imprenditorialità», quella che èriuscita a sopravvivere alla crisi, sembra avermaturato rapidamente una dimensione strate-gica complessa e più decisamente improntataad interventi in grado di favorire la crescita. LaToscana esce dalla crisi con un gruppo diimprese che hanno mostrato di saper innovaree crescere anche mentre tutto il resto arretra-va, che non hanno smesso di investire e diassumere, e hanno realizzato performance an-che inattese. La crisi ha indicato con chiarezzache può reggere e crescere solo il manifattu-riero ad alto valore aggiunto, il resto è destina-to ad essere spazzato via nei momenti di diffi-coltà.

Il rischio che la Toscana corre nell’affrontareil futuro arriva da una struttura eccessivamen-te sbilanciata sulla manifattura e sui servizi abasso grado di conoscenza, oltre che squili-brato da un punto di vista territoriale con lacosta ancora impanata. Si rischia una crescitasenza occupazione, debole e vulnerabile.

Silvia Ognibene© RIPRODUZIONE RISERVATA

La parola

KNOW HOW

È il «saper fare». La locuzione inglese identifica le conoscenze e le abilità

operative necessarie per svolgere una de-terminata attività lavorativa. Il know how di un’azienda è un asset immateriale: è l’apporto dei «lavoratori della conoscenza» e rappresenta una delle principali risorse che le conferiscono valore e sulle quali si fonda il suo vantaggio competitivo. Il know how va oltre la (necessaria) cono-scenza di regole e procedure operative e indica la capacità di adottare strategie di azione per generare valore. È la chiave del successo sui mercati globali.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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6 Lunedì 30 Novembre 2015 Corriere Imprese

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7Lunedì 30 Novembre 2015Corriere Imprese

GiorgioDe Chirico

Forgia di vulcanoOlio su tela, 1949

L’opera fa parte della collezione Verzocchi

ed è esposta alla Pinacoteca di Forlì

Si parla di un «modelloT o s c a n a » e d èun’espressione certa-mente suggestiva. Va pe-rò qualificata e, soprat-

tutto, non deve far pensare adun’autoreferenzialità della Regio-ne. Piuttosto, ad un’esperienzadi governo che interagisce posi-tivamente col governo nazionalee con le altre Regioni.

Esistono certamente delle pe-culiarità riconducibili alla storiarecente e meno recente di que-sta parte del Paese: piacere per ilbello e per le cose fatte bene,prodotti dell’ingegno o dellamanualità; attenzione agli aspet-ti della solidarietà e della parte-cipazione alla cosa comune; gio-iosa attenzione alla vita. Peculia-rità che hanno consentito di ge-stire al meglio le conseguenzedella crisi che si è abbattuta inToscana come nelle altre regio-ni.

I tre «Accordi di Program-ma», per Piombino, Livorno eMassa Carrara, sono la conse-guenza di un forte impegno del-la Regione e delle istituzioni lo-cali che hanno ricercato nel rap-porto con il governo centrale lamigliore risposta possibile alle

crisi prevalentemente industriali(ma non solo) di quei territori.Sono stati individuati progetti direcupero e ripresa dei territori e,solo dopo averne valutato gli im-patti positivi e la loro sostenibi-lità ambientale e sociale, sonostate stanziate le risorse finan-ziarie necessarie. È un percorsoovvio che, tuttavia, non sempreviene seguito perché presuppo-ne la presenza di capacità ammi-nistrative, di competenze gestio-nali, di buoni rapporti con i ter-ritori e con le comunità che liabitano. Caratteristiche che di-stinguono la Toscana e sono allabase dei primi successi nella re-alizzazione di quegli accordi.

Un esempio per tutti è il por-

to di Piombino: dal progetto allaconcretizzazione degli interventisono stati necessari non più di18 mesi. Tempo da record. Unprimo successo che ora consen-te di programmare le operestrutturali necessarie a dare unaprospettiva produttiva ed occu-pazionale ad un territorio stres-sato dalla crisi del siderurgicoLucchini: gli impianti per la de-molizione delle navi, le attivitàagroalimentari del progetto Ce-vital, diverse attività di logisticae infine le nuove produzioni si-derurgiche. Resta ancora moltoda fare, e penso soprattutto adalcune opere infrastrutturali, maquesta volta, diversamente dalpassato anche recente, vi è unavolontà comune e la convinzionedi potercela fare. Naturalmentecontinuiamo a seguire con at-tenzione l’attuazione del Pianoindustriale con cui Cevital èchiamata a rilanciare la ex Luc-chini.

Anche a Livorno e Massa Car-rara si sono avviati percorsi. So-no opere infrastrutturali e diparticolare importanza quelleportuali, perché la Toscana hauno degli affacci sul Tirreno an-cora oggi più importanti. A que-sto proposito, valuto come mol-to avveduta la scelta del governa-tore Enrico Rossi di riprendere il

tema della portualità sottovalu-tato negli anni passati, generan-do criticità che hanno pesatosulle comunità interessate. In-sieme alle infrastrutture, i pro-getti di rilancio prevedono il so-stegno alle iniziative industrialie anche servizi qualificati che gliimprenditori stanno già propo-nendo. Mi auguro che non sianosolo numerosi, ma anche alta-mente specializzati, potendo esapendo attingere al patrimoniodi competenze già presenti sulterritorio: dall’automazione ap-plicata ai processi, al controlloavanzato dei trasporti, dalle ri-cerche matematiche che moltericadute hanno nella vita indu-striale, alla bioingegneria per la

sanità. La Toscana ha saputopreparare il terreno per attirarenuova capacità imprenditorialeche si affianchi a quella impor-tante già esistente, indicando atutto il Paese che la crisi di im-prenditorialità e di manageriali-tà, di cui indubbiamente stiamosoffrendo, può essere superata.Negli anni che abbiamo allespalle anche la Toscana ha dovu-to sopportare abbandoni indu-striali talvolta violenti e repenti-ni, basti citare Eaton, TRW, DeTomaso o le drammatiche vicen-de di Lucchini, che pochi hannosaputo compensare con nuoveiniziative.

Ora si stanno creando le con-dizioni positive, stimolando lariattivazione di un ciclo fatto dinuovi investimenti o riutilizzo dicapacità produttive abbandona-te. Sono convinto, diversamenteda altri osservatori, che non citroviamo di fronte ad una (ini-ziale, eppure palpabile) ripresaindotta da soli fattori esogeni(basso prezzo delle materie pri-me, cambio favorevole con ildollaro, ecc.), ma che questi pri-mi segnali di ripartenza siano ilfrutto soprattutto di una rinno-vata fiducia indotta anche da unritrovato feeling con la buonaamministrazione pubblica. InToscana è certamente così. Lecaratteristiche di questa regio-ne, che ho cercato di richiamareall’inizio, rappresentano un pa-trimonio «quasi genetico» diffi-cile da scalfire. E se questo èvero, credo proprio che le pre-messe — che abbiamo saputoscrivere insieme nei mesi passa-ti — daranno molti frutti neimesi a venire. Per il benessere eper il lavoro dei toscani, d’ora inavanti.

*sottosegretario allaPresidenza del Consiglio

© RIPRODUZIONE RISERVATA

�Fronte dei portiIl tema è stato a lungo sottovalutato, Rossi ha fatto benea riprenderlo: questo è ancora uno degli affacci principali sul TirrenoIn

du

str

ia

Il modello per la ripartenza?Può nascere qui, ecco perchéIl sottosegretario De Vincenti: «Dialogo tra le istituzioni, progetti sostenibili,capacità di attrarre gli investimenti. Così abbiamo creato le giuste condizioni»

di Claudio De Vincenti*

Claudio

De Vincenti,

economista,

da viceministro

ha seguito le

crisi industriali

toscane. Ora è

sottosegretario

alla Presidenza

del Consiglio

Profilo

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8 Lunedì 30 Novembre 2015 Corriere Imprese

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9Lunedì 30 Novembre 2015Corriere Imprese

RenatoGuttuso

La MagonaOlio su tela, 1950,

collezione privata

L’opera rappresenta

la «Magona d’Italia»

a Piombino.

Guttuso aveva seguito

la battaglia sindacale

dei lavoratori

dello stabilimento

siderurgico

La riunificazione toscana(riprendiamoci la costa)Il governatore Rossi: «La regione ha retto l’urto della crisi, ma è divisa in dueServe un nuovo equilibrio, senza assistenzialismi. E guardando oltre i confini»

Abbiamo attraversato evissuto anni duri incui la crisi si è fattasentire in modo pe-sante. Ma la Toscana

ha mostrato di saper reagire edi rimanere in piedi. Il nostroexport dal 2008 è aumentatodel 23%. Il Pil è arretrato del5,9% a fronte di un calo nazio-nale del 9%. Anche la disoccu-pazione, pur passando dal6,5% al 9%, è aumenta in mi-sura nettamente inferiore chenel resto d’Italia. Una dellechiavi di questi anni è stata lanostra capacità di attrarre in-vestimenti. Non è un caso cheil Financial Times ci abbiapremiato come «buona prati-ca» tra le regioni del Sud Eu-ropa. La Toscana è infatti riu-scita a invertire la rotta: gliinvestimenti dall’estero sonocresciuti del 30% all’annomentre nel resto della Paesearretravano di oltre il 70%. Orasiamo in una fase di deboleripresa, come conferma l’ulti-mo report di Bankitalia, dataprincipalmente da due fattori:l ’aumento della domandaestera e il miglioramento sulfronte dei consumi interni.

Questo quadro può essereriassunto in una sola parola:resilienza (capacità di assorbi-re un urto, ndr). Questa quali-tà — di cui andiamo fieri — ciha consentito di camminarelungo la strada impervia dellacrisi. E ora ci permette di tor-nare a correre. Alla maggioretenuta della nostra economiahanno contribuito certamentemacrofattori esterni, come ilcambio favorevole euro-dolla-ro e il prezzo del petrolio; male dinamiche qualitative dellanostra resilienza sono stateplasmate dalla nostra manifat-tura e dal turismo, così comedalla cultura delle nostre cittàd’arte e del nostro paesaggio:un ecosistema del «ben e bel-lo vivere» dalla personalitàunica, desiderato e immagina-to come idea regolativa so-prattutto dalle nuove borghe-sie che si affacciano dal Sud edall’Est del mondo. All’altezzadella sfida sono state l’agricol-tura e le Università.

Tutto questo è stato possi-bile anche grazie al nostro la-voro. Abbiamo mantenuto altigli standard qualitativi equantitativi dei servizi pubbli-ci, siamo stati al fianco deilavoratori, abbiamo sfruttatoal massimo la programmazio-

ne dei fondi europei antici-pando le risorse necessarieper attivare i bandi del prossi-mo settennato. Abbiamo re-spinto il destino di una Tosca-na svenduta agli interessi im-mobiliari e speculativi, sedutasulla rendita. Una confermadella bontà di questa scelta adesempio è venuta dalla sen-tenza recentissima della Con-sulta che ha dichiarato inam-missibili le questioni di legit-timità costituzionale sollevatedal governo contro la nostralegge regionale sul governodel territorio.

Venendo al «da fare» con losguardo ai prossimi anni, iltema centrale resta quello deldivario e degli squilibri, la sfi-da di una modernizzazionegiusta e inclusiva. In questianni infatti, in modo ancorpiù netto rispetto al passato,sono emerse due Toscane,una più forte e una più debo-le, una legata ai distretti l’altraalla presenza delle partecipa-zioni statali, oggi più che maiin crisi. La sfida sta nel riunir-le. Nessuno deve essere lascia-to indietro. È necessario pun-tare sulle imprese dinamiche,sulla capacità di attrarre anco-ra investimenti, su infrastrut-ture efficienti. Come abbiamo

chiesto al governo è poi fon-damentale un intervento sulcosto dell’energia, ancoratroppo alto. Attenzione estre-ma va posta sulle aziende di-namiche che in questi annihanno mostrato imprevistecapacità di crescita e di espan-sione del fatturato e del-l’export. Non partiamo da ze-ro. Con le lenti delle impresedinamiche il divario tra le dueToscane è quanto mai visibile.Nelle aree costiere ci sonomeno di 400 imprese dinami-che (cioè quelle che hannoaumentato fatturati ed occu-pazione anche nell’ultimo de-cennio) che rappresentano co-munque il 50,6% del fatturato

manifatturiero di questa area.Nel resto della Toscana le im-prese dinamiche sono circa3.300. È da qui che siamo ri-partiti. Abbiamo agito come«Stato innovatore», rompendola catena di un assistenziali-smo improduttivo.

La ricomposizione delledue Toscane passa anche daun nuovo regionalismo, un re-gionalismo differenziato. Dal-le colonne del Corriere Fioren-tino ho lanciato l’idea di unamacro-regione dell’Italia diMezzo. Questa idea nasce dal-la volontà di intensificare l’area a sviluppo maturo rap-presentata dai distretti e raf-forzare la geografia costiera,puntando su infrastrutture ecorridoi orizzontali (Est-Ovest)in grado di esprimere appienola vocazione transfrontaliera emediterranea dell’Italia. Unamacro-regione di Toscana,Umbria e Marche avrebbe benaltro peso in Europa. Essa do-vrebbe assumere la dimensio-ne europea come il centro en-tro cui collocarsi. Dopo il refe-rendum confermativo dellalegge di riforma costituzionalesi potrebbe avviare un percor-so di politiche comuni e difusioni dei servizi. Ma il dibat-tito e lo scambio di prospetti-ve deve partire subito. In que-sto modo la ricerca di una To-scana più moderna sarà ancheil terreno per ricostruire unapolitica industriale e un veromodello neo-keynesiano fon-dato su spesa sana e pubblicae sull’ammodernamento infra-strutturale.

*presidenteRegione Toscana

© RIPRODUZIONE RISERVATA

�L’Italia di MezzoUna macro regione del Centro può rafforzarelo sviluppo maturo dei distretti e aprireun corridoio orizzontaletra Tirreno e Adriatico

Enrico Rossi,

presidente

della Regione

Toscana

al secondo

mandato dopo

dieci anni

da assessore

regionale

alla Sanità,

è stato sindaco

di Pontedera

Membro del Pd,

ha lanciato

pubblicamente

la sua sfida

alla segreteria

nazionale

del partito

Profilo

Ide

nti

di Enrico Rossi*

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10 Lunedì 30 Novembre 2015 Corriere Imprese

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11Lunedì 30 Novembre 2015Corriere Imprese

PieterBruegel

I mietitoriOlio su tavola, 1565, opera conservata

al Metropolitan Museum di New York

Fa parte della serie dei «Mesi» e nel 1809

fu requisita da Napoleone e portata

a Parigi. L’opera ricomparve poi nel 1910

a Vienna, e successivamente fu venduta

al museo americano

Ora basta giocare in difesa,arriva un’altra rivoluzioneGramolati (Cgil): «Sblocchiamo i capitali toscani custoditi nella rendita E puntiamo sulla conoscenza: deciderà il nostro ruolo nell’industria 4.0»

Str

ate

gie

Quelli appena trascor-si sono stati anni se-gnati sicuramentedalla crisi, ma che sisono aperti in una

Toscana già in affanno e se-gnata da evidenti debolezze.In 7 anni di recessione e con45 miliardi di investimentinon fatti abbiamo perso il 25%di capacità produttiva, di ca-pacità di fare impresa e tanteprofessionalità preziose. Ci siamo indeboliti nelle relazio-ni internazionali. Abbiamo as-sistito alla scomparsa del si-stema bancario regionale, vit-tima del localismo e degli in-teressi egoistici.

Il calo degli investimenti haalterato le capacità produttive:minori investimenti hannoprodotto minore occupazione(24 mila i posti di lavoro persi,ma in termini di unità di lavo-ro a tempo pieno la perdita siavvicina alle 80 mila unità).Tutto questo ci ha indotto adun’azione contrattuale che inprimo luogo ha puntato alcontenimento degli effetti del-la crisi: in 6 anni abbiamo fat-to 80 mila accordi difensiviche hanno salvaguardato dal

licenziamento 265 mila perso-ne. Quest’azione si evidenziaanche nel fatto che la cadutadella capacità produttiva è digran lunga più alta di quellaoccupazionale, differenzialeprodotto in buona parte dal-l’azione contrattuale difensiva.

Ma altrettanto significativesono state le iniziative di con-trattazione realizzate sui temidegli investimenti e dell’occu-pazione: nel solo periodo2011/2013 nelle imprese mul-tinazionali i posti di lavoro creati e stabilizzati con accor-di sindacali sono stati oltre3.500, con i bandi di ricerca si

aggiungono altri 700 posti. Diparticolare pregio sono statele intese per la certificazionedelle filiere produttive, leazioni di concertazione (daquelle a favore della monta-gna a quella sul paesaggio), lanuova legge sul turismo equella sugli stage che ne im-pedisce la proliferazione ascopi non formativi. Poi si èaperta la stagione degli accor-di di programma che iniziacon la crisi delle acciaierie diPiombino, ma che oggi inter-viene su tutta l’ economia co-stiera caratterizzata da unafrattura sociale con il restodella Toscana. Nella costa siconcentravano le maggioricriticità occupazionali, le peg-giori condizioni del mercatodel lavoro in termini di preca-rietà e la più sensibile cadutadi reddito.

Grazie a chi ha saputo rea-gire, dopo 7 anni di crisi, laToscana mantiene una capaci-tà di generare valore aggiunto,competenze professionali ecreatività pari o superiori allemigliori eccellenze internazio-nali. Tutto ciò può rappresen-tare la base per cogliere lenuove sfide. Non solo nellagrande manifattura con la dif-fusione del just in time e del

just in sequence, ma nell’inte-ro sistema produttivo perchési affermerà una crescente do-manda di prodotti e processiconcepiti per rispondere ai te-mi di sostenibilità ambientalee di efficienza energetica e cimisureremo con l’avvento del-l’internet delle cose, che qual-cuno indica già come unanuova rivoluzione industriale:l’industria 4.0.

Questa sfida potremo co-glierla se sapremo costruireun ambiente favorevole, supe-rando errori e difetti del no-stro sistema, l’arretratezza in-frastrutturale dei trasporti,della logistica e dei servizi in-novativi, figlia anche di priva-tizzazioni sbagliate. Se sapre-mo mobilitare risorse pubbli-che e private negli investi-menti, a partire da queicapitali toscani gelosamentecustoditi nella rendita, e se siarresterà la caduta imprendi-toriale e manageriale che nonvede neppure un italiano aivertici di una grande multina-zionale. Ma anche se sapremodare risposte formative ade-guate. Perché è dalla «cono-scenza» che si deciderà qualesarà il nostro ruolo nella quar-ta rivoluzione industriale e sesi potrà ridare al Paese il ran-go che merita nell’industriainternazionale. Serve una stra-tegia e una politica industrialeche si realizzi coinvolgendo ilPaese a partire dalle parti so-ciali. Perché la coesione socia-le è da sempre l’ambiente piùfavorevole all’innovazione e laToscana può contare su que-sto valore aggiunto.

*responsabile nazionalepolitiche industriali Cgil

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Alessio

Gramolati,

già segretario

regionale

della Cgil

Toscana

e segretario

della Fiom

di Firenze

(si è iscritto

al sindacato

dopo

l’apprendistato

in un’azienda

metalmecca-

nica) è adesso

responsabile

delle politiche

industriali

nel direttivo

nazionale

della Camera

del Lavoro

Profilo

�Cambio di rottaCon 80 mila accordi difensivi abbiamosalvato 265 mila persone dal licenziamentoOra dobbiamo aprircialle nuove sfide

di Alessio Gramolati*

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13Lunedì 30 Novembre 2015Corriere Imprese

Instrumentsof powerPittura murale, 1930-31

L’opera fa parte

di un ciclo composto

da dieci pitture murali

intitolato «America

Today». Un racconto

degli Stati Uniti

negli anni Venti

La crisi della grande im-presa, innescata daglichoc petroliferi deglianni Settanta, ha provo-cato una forte fram-

mentazione del tessuto pro-duttivo italiano. Si è pertantoaffermato un modello di svi-luppo basato sulla piccola im-presa e sulle economie ester-ne, garantite dalla localizza-zione in contesti territorialifortemente coesi sul piano so-ciale e altamente specializzaticome i distretti industriali.

Nei nostri distretti si è af-fermato un modello di divisio-ne del lavoro particolarmentedisintegrato: le piccole impre-se, infatti, raramente si con-frontano con il mercato finale,ma spesso operano all’internodi una catena di fornitura apiù stadi: sono subfornitrici diimprese più grandi e a lorovolta attivano il lavoro di altreimprese più piccole. Un mo-dello da tempo messo in di-scussione dalla globalizzazio-ne. In seguito al forte incre-mento di concorrenza dei Pae-s i e m e r g e n t i , l e f i l i e r eproduttive si sono aperte dalpunto di vista internazionalespinte dalla concorrenza a ri-

cercare minori costi del lavo-ro. Questo processo ha vistomolte imprese capofila italia-ne spostare all’estero partedella produzione e ricorreresempre di più a subfornitoristranieri, spiazzando i tradi-zionali fornitori italiani.

Tuttavia, negli ultimi annisono emersi anche alcuni in-teressanti elementi nuovi. Neidistretti in cui più si sonoconservate intatte le filiereproduttive si è assistito al par-ziale ritorno di produzioniprecedentemente esternalizza-te e alla crescente presenza dimultinazionali estere, interes-sate, soprattutto nel sistemamoda, all’alta qualità delle la-vorazioni italiane.

È questo il caso dei distrettidella filiera della pelle tosca-na. Gucci, Ferragamo e Prada

hanno creduto e investito nelterritorio, attratti dalle compe-tenze, dalle maestranze localie dall’alta qualità del capitaleumano. Si sono così sviluppatiforti legami di filiera, con leimprese capofila vincenti im-pegnate nella trasmissione diknow-how e tecnologia versoi subfornitori più proattivi, di-venuti nel tempo partner stra-tegici e insostituibili.

Questa interazione virtuosaè alla base dei successi ottenu-ti sui mercati internazionali inquesti anni. Nel 2014 l’exportdi pelletteria e calzature di Fi-renze ha toccato quota 3,1 mi-liardi di euro, 1,3 miliardi inpiù rispetto ai livelli del 2008(+70% circa). Nello stessocomparto, Arezzo ha più chetriplicato il proprio export, sa-lito a 765 milioni di euro nel

2014. I dati del primo seme-stre del 2015 mostrano nuoviprimati.

Più in generale negli ultimianni i distretti hanno ottenutoun miglior andamento rispet-to ad altre aree grazie all’affer-mazione di una nuova genera-zione di imprese leader, in ra-pida crescita dimensionale,caratterizzate da vantaggicompetitivi basati sulla ricer-ca, sull’innovazione e sull’in-ternazionalizzazione. Questenuove leadership hanno eser-citato un ruolo di traino econtribuito alla progressivaaccumulazione nei distretti diconoscenza tecnologica e deimercati. Nei distretti è mag-giore la capacità di esportare,effettuare investimenti direttiesteri, registrare marchi e bre-vetti. Fattori strategici che po-tranno contribuire alla confer-ma di migliori risultati rispet-to alle aziende delle aree nondistrettuali anche nei prossimianni. Questa evidenza smenti-sce dunque la tesi di una crisistrutturale e generalizzata deidistretti. Anzi, evidenzia otti-mi risultati di crescita e reddi-tuali, premiati dal fattore trai-nante svolto da imprese leadere dal valore aggiunto offertodalla rete di subfornitori e ter-

zisti locali. Il rilancio dei di-stretti industriali e, più in ge-nerale, del tessuto produttivoitaliano passa dalla capacità difar leva sempre di più e inmaniera più diffusa su questarete di subfornitura da cuihanno origine molto spesso ivantaggi competitivi dell’indu-stria italiana sui mercati inter-nazionali. Anche in prospetti-va, pertanto, le reti di subfor-nitura conserveranno un ruolocentrale. È questo ciò cheemerge anche da una recenteindagine condotta dalla Dire-zione Studi e Ricerche di Inte-sa Sanpaolo presso 173 impre-se capofila di 18 distretti delsistema moda, del sistema ca-sa e della meccanica; quasi idue terzi delle aziende capofi-la ritiene di non voler ridurreil ricorso alla subfornitura lo-cale nei prossimi anni poichéquesto creerebbe problemi diqualità, affidabilità e time tomarket. Inoltre, il saldo tra co-loro che intendono riportarein Italia produzioni esternaliz-zate e coloro che prevedono dispostare all’estero produzionidi qualità è positivo e partico-larmente alto in Toscana.

La principale minaccia perla nostra industria non sem-bra quindi venire dall’esternoe dai nuovi competitor inter-nazionali a basso costo, quan-to dall’interno e dalla capacitàdi rinnovarsi e di attrarre l’in-teresse delle giovani genera-zioni. Devono rappresentareun monito importante i se-gnali di allarme che vengonodai problemi di ricambio ge-nerazionale sia della base im-prenditoriale sia delle mae-stranze.

*capoeconomistaIntesa Sanpaolo© RIPRODUZIONE RISERVATA

Gregorio

De Felice,

economista,

guida il settore

ricerca di

Intesa

Sanpaolo.

Laureato alla

Bocconi, in cui

ha poi

insegnato, è

membro del

Club

internazionale

degli

economisti

bancari. È

responsabile

del comitato

di ricerca dell’

Associazione

bancaria

italiana (Abi)

Profilo

Dis

tre

tti

ThomasHart Benton

I grandi trainano i piccoliSul terreno della qualitàDe Felice (Intesa Sanpaolo): «La forza toscana sui mercati esteri è nei legami di filieraIl rischio? Nel passaggio generazionale, sia degli imprenditori che delle maestranze»

di Gregorio De Felice*

�Il saldo tra chi intende riportarela produzione in Italia e chi invece prevede di spostarla all’esteroqui è particolarmente positivo

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14 Lunedì 30 Novembre 2015 Corriere Imprese

JanVermeer

Seicento famiglie a Licciana Nardi, quasitutta Capolona e Civitella ma ancheCerreto Guidi, mille a Loro Ciuffenna,oltre 2.000 a Vicchio, 3.500 a Collesal-vetti. E poi Casciana Terme e Peccioli,

Vicopisano, Montepulciano. Sono solo alcunedelle oltre 4.000 località toscane che, secondoil ministero dello Sviluppo economico, ancoraper i prossimi 3 anni non avranno accessocompleto alla banda ultralarga, anche a quellalight da «soli» 30 Mbit/s (megabit al secondo).Se si considera invece la «vera» banda a gran-de capacità, a 100 Mbit/s, il numero delle loca-lità escluse sale a 5.700. Troppo pochi gli uten-ti per convincere gli operatori a portare unaconnessione veloce in queste zone, al massimosi arriva fino a una centralina e da lì si partecon il vecchio doppino di rame, che però ral-lenta i dati. I numeri sono impietosi e l’isola-mento non risparmia nessuno: zone rurali,aree fuori mercato per i provider privati, zoneindustriali. Quattro quinti della regione reste-rebbero «lenti». Condannando le aziende to-scane a muoversi verso la quarta rivoluzioneindustriale con passo incerto. Si fa presto adire alle imprese che per crescere devono in-novare e digitalizzare, quando in molti capan-noni non arriva nemmeno la vecchia connes-sione a internet. Ma con i finanziamenti statalie regionali, si può recuperare il gap. Anchegrazie a Enel. Una corsa da fare entro il 2018.

A cosa serveLa banda ultra larga (cioè quella velocissima,

fino a 100 Mbit al secondo) non è uno sfizio,non significa solo dare la comodità al cittadinodi scaricare allegati pesanti o godersi la propriaserie televisiva preferita (adesso che anche inItalia è sbarcato Netflix). È uno degli obiettiviche l’Unione Europea ha dato ai Paesi membriper mantenere la competitività globale. Con-sente di lavorare assieme su sistemi di disegnocomputerizzato, su applicativi tecnologici, me-dici. Da qui al 2020 l’Unione Europea chiede lacopertura totale della popolazione con un ac-ceso ad internet a 30 Mbit/s e l’attivazione peralmeno il 50% dei cittadini di servizi a 100Mbit/s. Per l’Italia si tratta di una doppia sfida:da una parte, gli operatori cercano di copriresolo le zone di mercato che rispettano uno

standard di densità sufficiente all’investimento.Dall’altra, il monopolista della rete è anche unodegli operatori che poi fornisce il servizio. E, apartire dal fallimento della posa della fibraottica (che consente certezza di flusso e grandevelocità) con il progetto «Socrate» (abbando-nato perché nel frattempo è migliorata la tec-nologia) i conti — per il privato — sono sem-pre stati fatti (quasi) senza fibra. Ora si recupe-ra. Non passa settimana che uno dei 30 opera-tori attivi annunci la copertura di alcune zonecon la fibra: gli accessi a banda larga hannosuperato i 14,6 milioni, aumentando in 12 mesidi 440 mila unità (più 270 mila da inizio anno).Gli accessi che utilizzano altre tecnologie sonoaumentati di 660 mila unità su base annua e dioltre 1,3 milioni sull’intero periodo considera-to. Ma principalmente in aree urbane. E laToscana?

Lo stato dell’arteAttualmente la copertura con l’Adsl fino a 20

Mbit/s è al 96,1% (86% a 20 Mbit/s, il resto convelocità minore). La copertura invece ultralargacon almeno 30 Mbit/s è al 25,8%. Lo statodell’arte arriva ancora dalla consultazione fattadal ministero, a cui hanno contribuito gli ope-ratori privati (tra cui i due «nostri», Estracome Terre Cablate). E anche grazie al «catastodelle reti», che il governo vuole creare a livellonazionale, ma la Toscana ha già. «La Regionecon la recente legge 45/2015 ha costituito ilcatasto delle reti, una banca dati dettagliatacon tutte le informazioni relative alle reti sulterritorio, norma che mette la Toscana tra leprimissime regioni italiane a dettare disposi-zioni per un corretto uso del sottosuolo —spiega l’assessore regionale Vittorio Bugli —Questo è un ulteriore strumento che investe subanda larga e ultra larga perché quando sifanno nuove opere di urbanizzazione bisognaprevedere anche il «tubo» dove passa la fibra.Questa legge favorisce una corretta pianifica-zione, accrescendo l’efficienza d’uso delle in-frastrutture esistenti, anche per abbattere costidi installazione e impatto ambientale».

Finora è stato possibile raggiungere 269.008imprese e 422.897 cittadini con la banda larga,grazie al bando fatto dalla Regione attraversol’accordo con il Mise/Infratel per un totale di

859,1 km di infrastruttura realizzata in 135 trat-te pubbliche che servono 98 comuni. Con fon-di propri e del ministero la Regione ha investi-to oltre 22 milioni (a cui si aggiungono 17,3milioni dei privati), assegnati con bando digara a Telecom: questo consentirà di coprireentro l’anno il 97% del territorio con servizifino a 20 mega, su 190 Comuni. Ma per labanda ultralarga l’ammontare richiesto è mag-giore.

I costi del futuro «Abbiamo stanziato altri 120 milioni, grazie

ai fondi europei, che presto saranno messi agara per la banda ultra larga — spiega Bugli —Pensiamo ai cittadini, ma soprattutto alle im-prese, perché non si fa sviluppo senza avere glistrumenti a disposizione. E la rete è oggi “lo

L’astronomoOlio su tela, 1668, conservato al Museo del Louvre di Parigi.

L’autore, Jan Vermeer, ha firmato l’opera sul quadro: IV Meer

MDCLXVIII. Durante il nazismo il dipinto fu sequestrato dalle

proprietà del finanziere ebreo Edouard de Rothschild, alla cui

famiglia apparteneva da mezzo secolo. Nel maggio 1945 il

dipinto fu rinvenuto in una miniera di salgemma in Altaussee,

in Austria, grazie al lavoro dei cosiddetti «Monuments Men»

Il viceministro Giacomelli

al Parlamento Europeo

L’assessore Bugli (a destra)

presenta «Open Toscana»

Paesi, zone agricole e industriali, dove i privati non vogliono investireServono 382 milioni di euro. La Regione si muove, il governo ancheIl viceministro Giacomelli: «Un diritto di cittadinanza digitale per tutti»

Solo la velocitàci può salvareIl 75% della Toscana è ancora senza banda largaMa c’è un piano (pubblico) per il web, con Enel

Infr

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15Lunedì 30 Novembre 2015Corriere Imprese

strumento” principe. Faremo a breve una ma-nifestazione di interesse sui bandi europei2014-2020 e chiederemo agli operatori di co-prire quelle aree che loro considerano a falli-mento di mercato. Un’infrastruttura digitale diqualità elevata è elemento determinante perconsentire l’accesso alla rete in condizioni dipari opportunità e senza discriminazioni». Seci si affidasse solo al mercato, insomma, da quial 2018 avremo solo circa il 21% della Toscanaraggiunto con servizi a 100 Mbit/s e il 51% a 30Mbit/S. Per colmare il gap, il governo ha an-nunciato 2,2 miliardi di euro.

L’intervento dello Stato«Se lasciassimo fare al mercato — ricorda il

sottosegretario allo Sviluppo economico Anto-nello Giacomelli — avremmo inevitabilmente

un’Italia a due velocità. Per questo i primi inve-stimenti del governo si concentreranno soprat-tutto sui cluster C e D, cioè nelle aree a “falli-mento di mercato”. Al Mise stiamo incontran-do tutte le Regioni per coordinare gli interventicon il governo. Nessun governo ha mai investi-to così tanto sulle reti elettroniche: possiamoscommettere che non solo recupereremo il ri-tardo digitale rispetto al resto d’Europa mapossiamo diventare l’alunno modello. L’impor-tante è che tutti, anche i privati, abbiano con-diviso la spinta a recuperare il gap che ci vedetra gli ultimi in Europa». La Regione ha giàcalcolato il costo locale di questa operazione:per coprire le «aree bianche», quelle fuorimercato degli operatori, saranno necessari al-meno 382 milioni. Palazzo Sacrati Strozzi ne hagià previsti 120 di sua erogazione, il resto deve

arrivare da Roma. Ma chi gestirà la costruzionedell’infrastruttura? Qui si apre uno dei capitolipiù delicati. Chi costruirà la rete avrà, è ovvio— e nonostante tutti i livelli di controllo statali— un «vantaggio competitivo» rispetto aglialtri. Tra chi voleva se ne occupasse l’aziendadella Cassa depositi e prestiti Metroweb con glioperatori privati e chi ha proposto interventidiretti pubblici, ora il dibattito si è spostatoverso una collaborazione con Enel.

La partnership con EnelLa società dell’energia deve cambiare infatti

una trentina di milioni di contatori, cablandolicon una propria rete interna, per farli diventare«smart». Non è un operatore di telecomunica-zioni, ma in questa operazione potrebbe essereaffiancata da una società Tlc che infrastrutturatutta la fibra con la rete «aperta». Enel haannunciato: nascerà una «newco» per la posadella fibra che collaborerà poi con gli operatoridi telecomunicazioni. E secondo l’amministra-tore delegato, Francesco Starace, è più facil-mente attivabile in tutta Italia e «costerà il30-50% in meno». «Lo sviluppo di un Paesedipende sempre meno dalle infrastrutture “pe-santi” (ponti, strade, cantieri) e sempre piùdalle risorse immateriali di cui può disporre, edalle connessioni che queste riescono a costru-ire in termini di capitale sociale — commentaGiacomelli — Un’innovazione non serve aniente se non diventa patrimonio di tutti, abi-tudine quotidiana. Lo sviluppo delle reti a ban-da ultralarga, in questo senso, rappresenta unaspetto centrale dell’idea di Paese che abbiamoin mente, non più a doppia o tripla velocità,ma capace, grazie all’innovazione digitale, dialzare verso l’alto la qualità della vita e dellavoro di tutti». «Lo sviluppo delle tecnologieha spalancato opportunità impensate solo finoa poco tempo fa — conclude Bugli — Essereconnessi non è solo fondamentale per il lavo-ro, lo studio e per la socialità, ma è diventatoun diritto fondamentale. Una “cittadinanza di-gitale”: ecco perché è necessario garantire atutti i cittadini l’accesso a internet».

Marzio [email protected]

@marziofatucchi© RIPRODUZIONE RISERVATA

�Buoni propositiSiamo tra gli ultimiin Europa, ma nessunoprima ha mai investitocosì tanto sulle reti elettroniche: possiamo diventare alunni modello

Le parole

LARGA O ULTRASecondo la classificazione adottata dall’Autorità garante per le comunicazioni, si definisce banda larga «base» quella che garantisce una velocità di trasmissione di 2 Megabit per secondo e utilizza il doppino in rame. La banda larga «estesa» impiega la stessa tecnologia di trasmissione e ha una velocità compresa fra 7 e 20 Megabit per secondo: consente, ad esempio, di trasferire foto e filmati di qualità standard. La banda ultralarga ha una velocità di trasmissione maggiore di 30 Megabit per secondo, con la tendenza verso i 100 Megabit. Garantisce servizi come il cloud computing, la televisione ad alta definizione, la telepresenza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

DiegoRivera

Detroit IndustryAffresco, 1932-33.

L’opera fa parte dei

ventisette pannelli

realizzati dall’artista

messicano per

raccontare l’industria

americana, che oggi

circondano il Rivera

Court nel Detroit

Institute of Arts

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16 Lunedì 30 Novembre 2015 Corriere Imprese

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19Lunedì 30 Novembre 2015Corriere Imprese

FernandLéger

L’uovo di Colombo: giovani e webUna svolta per salvare le bottegheSenza ricambio né tecnologia il mercato soffoca tanti «piccoli». Google si inventa i digitalizzatoriL’Ente Cassa e Amazon portano in Rete la Toscana fatta a mano. Aiutando anche le vendite offline

Mettiamocelo in testauna volta per tutte,Geppetto è morto.Il piccolo impren-ditore e l’artigiano

come li conoscevamo fino adoggi, se vogliono non solo sal-varsi, ma crescere, devonocambiare. Se Cna nazionale al-l’ultima assemblea ha parlatodi un 3% in più nell’occupazio-ne è l’analisi congiunturaleTrend di Cna e Istat a dire che,in Toscana, per le Pmi il saldo2014 è stato ancora negativo.Ricavi giù del 4,4%, segno me-no sugli investimenti per l’1,9%e retribuzioni e consumi in sof-ferenza di oltre il 5%.

Due dei sintomi principalidella malattia (nel 2013 il rap-porto tra imprese nate e morteera negativo per 1.030 unità) so-no evidenti: l’età avanzata degliartigiani e l’incapacità di staresu mercati competitivi e globali.Se questa è la diagnosi, la tera-pia teoricamente semplice è in-serire giovani che, apprese lepeculiarità del prodotto le abbi-nino all’altro ingrediente dellacura, la digitalizzazione. Come?Qualcuno si è già mosso.

«Siamo partiti — spiega Die-go Ciulli di Google Italia —dalla convergenza fra Google ela camera di commercio di Fi-renze. «Eccellenze in digitale»è il progetto con cui, con unasorta di sportello, la camera fornisce agli associati la guidadi un ragazzo preparato sulladigitalizzazione. A fine proget-to la maggioranza dei “digita-lizzatori” veniva assunta dalleimprese. Abbiamo presentatol’esperienza con Unioncamereal ministro del Lavoro GiulianoPoletti. Così è nato «Crescere indigitale», da una costola di«Garanzia giovani», il portaledel ministero pensato per chinon studia e non lavora cheraccoglie già 800 mila iscritti.«In automatico ricevono tuttil’accesso a Crescere in digitale— continua Ciulli — e chi vuo-le può aderire. L’offerta è uncorso di formazione di 50 ore.Chi passa il test entra nella listada offrire alle imprese che poiscelgono i candidati in incon-tri-laboratorio. Una volta inazienda, per 6 mesi i digitaliz-zatori cercano le soluzioni digi-tali vincenti per l’impresa e ot-tengono 500 euro al mese. Chi

poi li assume ottiene incenti-vi». In Toscana, Marche e Vene-to però, il problema è tra do-manda e offerta: 170 offerte da143 imprese e solo 67 ragazzipronti. «Sono un ottimista —dice Ciulli — vuol dire che ilmessaggio è passato, i ragazziarriveranno».

Ma Google non è l’unicoplayer in soccorso di un patri-monio a rischio. L’Ente Cassadi Risparmio di Firenze è inprima linea dal 2000, con Oma,l’osservatorio dei mestieri d’ar-te, guidato da Maria Pilar Lebo-

le: «Da progetto interno all’En-te — racconta Lebole — si ètrasformato in associazione di18 fondazioni bancarie italiane.Quindici anni fa, nel fare la pri-ma guida è stato un incubo tro-vare anche solo le informazionisu siti web e indirizzi e-maildelle imprese. Oggi gli artigianihanno fatto passi da gigante,quasi tutti hanno sito con tantodi e-commerce, anche se conrisultati diversi». Un anno fa,ecco la Fondazione Tema, l’al-tro «braccio armato» dell’EnteCassa: «Noi siamo quelli tecno-

logici operativi e scientifici—spiega il consigliere delegatoGiampaolo Moscati — Oma haun know-how fatto da una retedi artigiani costruita con verifi-che approfondite e di qualità».Tanti i progetti in corso, l’ulti-mo — nei giorni scorsi —«Make/Florence», una tre gior-ni con i ragazzi dello Ied e l’Mitdi Boston per unire tecnologia,design e artigianato. Ma lascommessa, già sulla stradadella vittoria, è quella di Ama-zon: «Nei mesi scorsi PalazzoVecchio ha messo a un tavolo leassociazioni di categoria e ilcolosso delle vendite online.Noi c’eravamo ed eravamo giàpronti». Il risultato? Un portalededicato all’artigianato toscanoaperto dal 5 ottobre con unasettantina di imprese che oravendono in Italia, Regno Unitoe Usa.

Lo specchio di come il bino-mio giovani e web sia vincentesi vede in via Zannetti a Firen-ze, nella bottega orafa Penko.Da quando è su Amazon qui èun viavai di corrieri. E di ragaz-zi: i suoi. Paolo, il titolare notoper i suoi lavori in simbiosi conla storia della città (sue, tra l’al-tro sono le riproduzioni deifiorini), non ha dubbi: «SenzaAlessandro (il figlio maggiore),tutto questo non sarebbe statopossibile». Alessandro dopo ildiploma si è appassionato allavoro di famiglia: «È nato tut-to dopo il tour in Cina nei cen-tri commerciali Fingen, lì hacapito che il suo ruolo potevaessere quello di portare la bot-tega con la tecnologia oltre inostri confini». Lo sbarco suAmazon non porta solo venditeonline: «Aiuta nella vendita of-fline — svela Penko — c’è chiha programmato un viaggio aFirenze, guarda, mi contatta epoi viene in bottega. E poi c’èchi lo usa come catalogo».Puoi mettere la bottega su in-ternet, ma non potrai mai tira-re fuori l’artigiano dalla botte-ga. «Anche su Amazon —chiude Penko — coccolo iclienti come chi viene di perso-na: in ogni pacchetto trovano, asorpresa, un fiorino d’oro, conun ringraziamento scritto amano».

Edoardo Lusena@edlusena

© RIPRODUZIONE RISERVATA

�Domanda e offertaCiulli (Google): in Toscana170 aziende chiedono giovani, ne abbiamo pronti solo 67. Sono ottimista: vuol dire che il messaggio è passato

Art

igia

na

to

È la crescita

dell’occupazione

a livello

nazionale,

secondo Cna, da

inizio 2015

+3%

mila

Sono i prodotti

già disponibili sul

portale Amazon

dedicato al

Made in Italy

5

euro

È la paga mensile

dei digitalizzatori

del progetto

«Crescere

in digitale»

500

Il granderimorchiatoreOlio su tela, 1923

Musées Nationaux

du XXème Siècle

des Alpes-Maritime,

donazione Nadia

Léger and Georges

Bauquier

Alessandro Penko nella bottega orafa del padre Paolo, è lui a seguire la digitalizzazione della ditta e le vendite Amazon

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21Lunedì 30 Novembre 2015Corriere Imprese

«Una fabbrica per i giovani artisti»Si è aperta la caccia al mecenateLa gabbia del Rinascimento, l’idea di una casa per il contemporaneo, tante esperienze diverseFerragamo: cultura volano per l’economia, serve un progetto per attrarre talenti internazionali

«Carrozze cari-che di turisti,venditori dic a r t o l i n e ,venditori di

medagliette, di fotografie. Ro-ma mi fa pensare a un uomoche si mantenga col mostrareai viaggiatori il cadavere di suanonna». James Joyce, 1906.Forse oggi direbbe lo stesso diFirenze. Che fine ha fatto ilseme della magnificenza? Co-s’ha oggi Firenze in comunecon la città dei Medici che so-stennero i migliori artisti deltempo per dare lustro allapropria casata? Può raccoglie-re la sfida di una rinnovataidentità, che non si fondi sol-tanto sulla rendita?

«Firenze è sopraffatta dallasua tradizione e non possia-mo ripudiarla, dobbiamo con-frontarci con la sua forza —dice il direttore dell’Accade-mia di belle arti, Eugenio Ce-cioni — Ci sono resistenze po-tenti rispetto al contempora-neo anche perché il mondo anoi chiede tradizione. Oltre300 dei nostri studenti arriva-no dalla Cina: noi per lororappresentiamo solo il Rina-scimento, ci chiedono quelloe non possiamo sottrarci».Iniziative come l’Art Bonushanno raccolto un interessetiepido e finanziato quasi sol-tanto la conservazione dell’an-tico, cosa ben diversa dalmecenatismo puro. Ma scom-metterci di nuovo, affiancareall’eredità che attira visitatorida tutto il mondo un tessutovitale di produzione artisticaattuale potrebbe anche servirea creare flussi turistici diversi,quelli che tutti dicono di vole-re: il turismo colto, lento,quello che ritorna e lasciaqualcosa alla città. C’è chi èpronto a scommetterci, maprima serve un progetto con-vincente sul quale investire.«Con l’Associazione partner diPalazzo Strozzi abbiamo perprimi rotto il ghiaccio sul rap-porto fra pubblico e privatonel sostegno all’arte — diceLeonardo Ferragamo — Ab-biamo individuato nella cultu-ra un volano per l’economiadella città, perché sprigionaun circolo virtuoso. Il mio so-gno sarebbe che Firenze va-rasse un programma per esse-

re attrattiva per giovani artistiselezionati provenienti da tut-te le nazioni, che li ospitassepromuovendo qui la residenzaper produrre le opere e averein cambio donazioni. Questosogno di un ritorno al mece-natismo merita un dibattitoche raccolga in modo autore-vole persone che possonocondurre un progetto specifi-co, con un ruolo proattivo delComune e della Regione». Sucosa debba contenere questoprogetto per poter funzionaredà qualche indicazione Loren-zo Bruni, critico e curatore in-dipendente, fiorentino: «L’arteè un lavoro e come tale variconosciuta e difesa. Questo èil primo passo. A Firenzemancano il dialogo con le isti-tuzioni e la circolazione di co-noscenze e informazioni,

mancano spazi di incontro esoprattutto di studio. Chi stu-dia a Firenze impara la storiae si fa una bella vacanza. Poise ne va. Va nelle capitali eu-ropee dove trova un sistemache funziona». Gallerie, colle-zionisti, residenze d’artista,esposizioni, formazione, di-battito. Serve tutto questo, or-ganizzato in un progetto coe-rente. E poi servono i mecena-ti. «Firenze si sta svegliando enoi ci stiamo muovendo. Can-didiamo la città ad essere resi-denza d’artista perché la tradi-zione ispira le nuove creazionie quindi Firenze è il luogoideale — dice Tommaso Sac-chi, capo di gabinetto del sin-daco Dario Nardella per la cul-tura — Il progetto sta pren-dendo forma alle Murate dovesono disponibili una decina di

residenze d’artista. Siamo con-vinti che la cultura sia unbuon investimento e se c’è unterritorio dove sperimentarenuovi modelli di mecenati-smo, è Firenze».

Arturo Galansino dirige unodegli esperimenti di collabo-razione pubblico-privato chefunziona, Palazzo Strozzi, esoprattutto, la scommessadella Strozzina: «Non siamouna città deputata all’avan-guardia artistica, ma non èdetto che non possiamo di-ventarlo. Lasciare spazio a ta-lenti emergenti come faccia-mo alla Strozzina è un segnaleimportante». Galansino diceche l’arte contemporanea a Fi-renze ha già premuto il tastodell’ascensore e presto saliràai piani alti del Palazzo: «Vo-gliamo svecchiare il panoramaculturale della città. Se a Fi-renze si volesse sviluppare uncircuito di residenze d’artista,saremmo ben felici di fare lanostra parte». Altre iniziativeruotano attorno al Centro perl’arte contemporanea LuigiPecci che ha un programmaambizioso di formazione postaccademica sui temi chiavedel contemporaneo e ha giàsvolto corsi per galleristi e col-lezionisti. «La Toscana devetornare quello che è stata persecoli, cioè un grande labora-torio in cui si lavora a strettocontatto con l’artigianato, conquel saper fare che serve agliartisti per produrre — dice ildirettore del Pecci, Fabio Ca-vallucci — Vogliamo attrarregli artisti per farli produrrequi e poi esporre qui le loroopere. Abbiamo già avviato unpercorso con molti operatoridel contemporaneo e adessovogliamo convincere gli am-ministratori che può funzio-nare: potremo avere i primirisultati nel giro di un paiod’anni e il sistema a regime inun decennio».

I segnali ci sono. Bisognacoltivarli per ritrovare la visio-ne degli antichi mecenati, ca-pace di generare una ricchez-za che ci sfama ancora oggi.L’alternativa è accontentarci dimostrare il cadavere di nostranonna alle comitive di turistimordi e fuggi.

Silvia Ognibene© RIPRODUZIONE RISERVATAA

rte

La mostra «Territori Instabili» alla Strozzina nel 2013

VincentVan Gogh

Il vigneto rossoOlio su tela, 1888,

Museo Puskin, Mosca.

L’opera rappresenta

la vendemmia ad Arles,

città in cui Van Gogh

aveva vissuto, ed è

l’unico che il pittore

olandese sia mai riuscito

a vendere in vita.

Lo comprò l’amica Anne

Boch, poco prima

che Van Gogh morisse

�Il Centro PecciCavallucci: far produrre qui e poi esporre le opere Può funzionare: i primi risultati in un paio d’anni, il sistemaa regime in una decina

Leonardo

Ferragamo,

presidente

Apps

Arturo

Galansino,

direttore

Palazzo Strozzi

Fabio

Cavallucci,

direttore

Centro Pecci

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22 Lunedì 30 Novembre 2015 Corriere Imprese

PabloPicasso

La stiratriceOlio su tela, 1904, conservata

al Guggenheim Museum di New York

È tra le opere del «periodo blu»

La cattedra in aziendaPer abbattere un muroGiovani disoccupati da record, aziende che non trovano chi assumereL’Italia alla svolta della formazione, lungo il doppio binario tedesco

Far incontrare con unmeccanismo efficienteil mondo delle scuole equello del lavoro au-menterebbe la qualità e

la quantità degli impieghi eridurrebbe la distanza tra ilconseguimento del diploma ela prima occupazione.

Il tasso di disoccupazionetra i 15 e i 24 anni, in Toscana,è del 42,7% (fonte Istat). Unacifra in linea con la media na-zionale che indica la difficoltàdei ragazzi appena diplomatinel trovare una prima retribu-zione. Confrontando il datocon quello relativo alla disoc-cupazione tra i 15 e i 29 anni,il tasso di disoccupazionescende al 31,6%. Questa diffe-renza (meno 11,1%) indica cheservono mediamente 5 anniper trovare lavoro. È il primoostacolo da superare per ab-battere i tassi di disoccupazio-ne giovanile. In Germania ilmodello «duale», mediatodalle camere di commercio lo-cali, ha avuto grande successonell’abbattimento di questabarriera. Per questo anche inToscana si cominciano a pro-gettare nuove modalità di in-terazione tra scuola e lavoroguardando alle buone prati-che tedesche e sfruttando glistrumenti messi a disposizio-ne dalla riforma del governoRenzi.

A fronte dell’elevato tasso didisoccupazione giovanile, c’èperò un tessuto imprendito-

riale pronto ad assumere:«Quasi 40 mila aziende italia-ne — spiega il sottosegretarioall’Istruzione Gabriele Tocca-fondi — cercano lavoratoriqualificati, ma non riesconoreperire i profili». Nel 2014 leaziende hanno faticato a tro-vare il 37% dei laureati in in-gegneria dei quali avevano bi-sogno, il 20% in campo sanita-rio, oltre il 30% dei diplomatiin indirizzo meccanico.

I giovani che escono dallescuole italiane hanno un pro-filo troppo teorico e toccaquindi alle aziende occuparsidella formazione specifica,dopo averli assunti. Con uncosto di circa 100 mila europer ogni neoassunto, mentresui mercati stranieri, come inGermania, le imprese trovanofigure giovani già specializzateproprio grazie all’alternanza

scuola-lavoro che funziona or-mai da anni. Fabrizio Landi,consigliere economico delsindaco di Firenze e presiden-te di Toscana Life Sciences,siede al tavolo composto daRegione e multinazionali.Spiega che 17 grandi aziendedella Città metropolitana, daMenarini a Gucci, «hanno cir-ca mille posti di lavoro specia-lizzati non coperti: nei prossi-mi 5 anni andranno occupa-ti». Un buon motivo per ap-profittare della flessibilitàintrodotta dalla riforma dellaBuona Scuola che mette a di-sposizione strumenti e li fi-nanzia. Il governo ha messo100 milioni di euro sul proget-to di alternanza scuola-lavoro,divenuta obbligatoria nel tri-ennio delle superiori (400 orenei professionali, 200 nei li-cei); i soldi finanziano la mo-bilità per gli studenti e la for-mazione loro e dei tutor. Laseconda colonna di questosforzo è la «sburocratizzazio-ne» dell’apprendistato, che sipuò già effettuare nell’ultimotriennio del percorso scolasti-co, con una convenzione. So-no già partiti alcuni esperi-menti, come quello che coin-volge i ragazzi dell’istitutoMeucci di Firenze, che passa-no dai banchi alle officine delNuovo Pignone: «Ho sceltoquesta scuola perché aveva ungrande laboratorio di mecca-nica, sono cose di cui sonoappassionato, poter vedere iS

cu

ola

-la

vo

ro

42,7%La percentuale di giovani toscani disoccupati

tra i 15 e i 24 anni di età, secondo i dati Istat relativi

al 2014. 31,6% tra i 15 e i 29 anni

1.000Posti di lavoro specializzati offerti dalle grandi

imprese della Città metropolitana di Firenze, da Gucci

a Menarini, nei prossimi cinque anni

�ToccafondiCi sono quasi 40 milaaziendeitalianeche cercanolavoratoriqualificatima non riesconoa reperirei profilidi cui hanno bisogno

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23Lunedì 30 Novembre 2015Corriere Imprese

macchinari di un’officina infunzione è stato il massimo».Hanno 16 e 17 anni, hanno ini-ziato la loro esperienza da po-che settimane. Due pomeriggialla settimana, fino a giugno,poi in estate il lavoro in azien-da si intensifica, tutti i pome-riggi, al fianco dei dipendentiGe Oil & Gas. Lì per impararee per fare, seguendo un pro-gramma che è stato concorda-to con gli insegnanti. «La pre-parazione andrà avanti in pa-rallelo, in azienda e a scuola»,spiega il professore che seguei ragazzi di meccanica, AlessioFossati. La selezione è statafatta due volte, prima dallascuola che ha scelto il grup-petto dei più meritevoli e mo-tivati e poi dall’azienda. E ora

L’esempio GeI ragazzi dell’Itis Meucci «lavorano» al Nuovo Pignone due voltea settimana: hannoun badge, il loro pc, prendono il caffècon i dipendentiSi sentono insommaparte di una squadra

che sono dentro si sentono«un po’ speciali», come scriveuno dei ragazzi nel diario dibordo. Hanno avuto un badge,una postazione di lavoro e unpc portatile. Prendono il caffècon i dipendenti, avvertono difare in qualche modo già par-te della squadra e non lo na-scondono: «È una grande op-portunità, vogliamo giocarcelabene». Un tipo di esperienzache va oltre lo stage tradizio-nale, sia nel metodo — fattodi lezioni «personalizzate» inazienda seguiti da tutor —che nella quantità di ore: i ra-gazzi al Nuovo Pignone faran-no almeno 500 ore l’anno perdue anni. «Abbiamo trovatoquesti ragazzi curiosi e attenti,contiamo di dare loro maggio-

re consapevolezza di com’è ilmondo del lavoro, per per-mettere anche di fare sceltepiù mirate per il futuro», spie-ga Giulio Ardini, responsabiledel sito produttivo Ge Oil &Gas di Firenze. «La scuola de-ve uscire dall’ autoreferenziali-tà — commenta il preside del-la scuola Meucci Emilio Sisiche è riuscito ad attivare im-portanti convenzioni anchecon Enel (dove i ragazzi fannoapprendistato), Ferrovie delloStato e Gucci — È importanteil confronto con la realtàesterna, l’obiettivo è far acqui-sire ai ragazzi delle competen-ze specifiche. L’alternanzascuola lavoro per noi non èun’attività aggiuntiva, è curri-colare. Siamo davanti a unarivoluzione, dobbiamo verifi-care passo passo i risultati».

Fanno ben sperare anche ibuoni risultati conseguiti da-gli Its, le scuole ad alta specia-lizzazione tecnologica nate nel2010 per rispondere alla do-manda delle imprese: l’80%degli studenti diplomati lavo-ra a tempo indeterminato. Gliistituti sono ancora pochi e ilfinanziamento statale annualeè di circa di circa 22 milioni dieuro. Con un nuovo sistema di«premialità» basato sulla per-centuale di occupazione deglistudenti di quelle scuole, ifondi non saranno più distri-buiti a pioggia. Un passoavanti verso i tedeschi, che ciguardano dall’alto forti dei de-cenni di esperienza sull’inte-grazione scuola-lavoro, e dalbasso con il loro dato sulladisoccupazione giovanile: 7%.

Lisa BaracchiGiorgio Bernardini

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I ragazzi dell’istituto tecnico Meucci di Firenze in laboratorio e, in alto,

tra le turbine della Ge-Nuovo Pignone: la scuola ha attivato

un collegamento diretto con la multinazionale, i ragazzi faranno almeno

500 ore di formazione in azienda ogni anno per due anni

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24 Lunedì 30 Novembre 2015 Corriere Imprese

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25Lunedì 30 Novembre 2015Corriere Imprese

NormanRockwell

What MakesIt Tick?Olio su tela, 1948,

collezione privata,

sottotitolo

«The Watchmaker

of Switzerland»,

l’orologiaio svizzero

Da dipendenti a imprenditoriLa legione straniera delle PmiRistorazione, servizi, commercio, ma anche agricoltura ed alta tecnologiaCinesi, romeni, pakistani guidano 4 nuove ditte su 5, rinnovando la manifattura

La rigenerazione del tes-suto delle piccole e me-die imprese toscanepassa dall’evoluzionesociale ed economica

degli stranieri che abitanoqui. Prima dipendenti, oggiimprenditori. Attualmente lamaggior parte dei loro investi-menti nelle aziende si concen-tra sul settore dell’edilizia edel manifatturiero, ma la tra-sformazione in corso li vedepronti a ingrossare le fila delcommercio, dei servizi e an-che dell’alta tecnologia. Quat-tro nuove ditte individuali na-te su cinque sono registrate dacittadini che non sono italiani(fonte Unioncamere).

Numeri su cui incide ovvia-mente un mutamento demo-grafico e sociale. Negli ultimidieci anni gli stranieri resi-denti in Toscana sono più cheraddoppiati, passando dai 165mila del 2005 ai quasi 400 mi-la attuali (dati Regione Tosca-na). La provincia che detieneil record di stranieri è ovvia-mente quella di Prato, con il15% di residenti non italiani;un micro universo a sé nel si-stema straniero regionale, chevede tra le comunità più nu-merose i romeni (20,3%), glialbanesi (18.5%) e appunto i

cinesi (10%). Le tre nazionalitàinsieme costituiscono quasi lametà del totale dell’immigra-zione in Toscana.

Il salto di qualità nei nume-ri della popolazione stranieraproduce aspettative economi-che, progressioni sociali ediniziative aziendali fisiologi-

che. Secondo i dati di Union-camere pubblicati lo scorso 20novembre sono 46 mila le im-prese attive a titolarità stranie-ra, il 13% del totale delle azien-de toscane (a Prato sono addi-rittura un quarto del totale). Isettori maggiormente attivisono ancora il commercio al-l’ingrosso e al dettaglio, segui-to dalle costruzioni e dalla ri-cettività/ristorazione.

La rotta seguita dai neo im-prenditori stranieri sembraessere quella della ditta indi-viduale. Il quadro toscano in-dica con chiarezza la parabola:nel 2004, 21 mila imprese diquesto tipo erano attivate dapersone non italiane su un to-tale di 49 mila. Meno dellametà. In dieci anni gli equili-bri sono stati completamentesovvertiti: oggi, a fronte di 50mila ditte registrate, 43 milasono straniere (fonte Unionca-mere). Il trend è supportatoanche da una crescente quotadei componenti societari este-ri all’interno delle ditte basatein questa regione: le societàcon almeno un socio stranie-ro, in Toscana, sono circa tre-mila, quasi una su dieci (fonteIstat).

«Il primo elemento di svi-luppo interessante — spiega

Alberto Tassinari, sociologoresponsabile dell’area immi-grazione dell’ Istituto di Ricer-che Economiche e Sociali(Ires) della Cgil — è legatoalla storia specifica dell’inse-diamento cinese in questa re-gione, che è stato il primo asperimentare forme di im-prenditorialità diffusa sul ter-ritorio. Un contesto sviluppatoche sta conoscendo una diver-sificazione: ci sono oggi persi-no cinesi produttori di vinoche hanno acquistato terreni eaziende vicino Carmignano.Allo stesso tempo c’è una pro-

gressione interna, laddovemolti cinesi sono diventati fi-gure apicali nelle aziende do-ve prima facevano operai». C’èun secondo elemento di tra-sformazione che si intravedeall’orizzonte, secondo il socio-logo, particolarmente nel set-tore dell’imprenditoria agrico-la: nell’aretino, ad esempio,dopo anni di lavoro dipenden-te molti imprenditori immi-grati si sono messi in proprio.«E infine sono da osservare iprogressi degli indiani chehanno aperto aziende infor-matiche» registra Tassinari.

La crescita avvenuta nell’ul-tima decade nell’imprendito-ria straniera è in controten-denza rispetto a tutti gli indi-catori macroeconomici regio-n a l i . E d è a n c o r p i ùsorprendente la costanza delfenomeno col segno «più», seè vero che a metà di questopercorso, nel 2010, le dittestraniere nella sola area di Fi-renze si erano già quadrupli-cate rispetto al decennio pre-cedente: da 2.636 nel 1999 apiù di 10 mila, un dato fissatonegli studi del «Grande atlan-te dell’imprenditoria stranie-ra» redatto dall’insieme deimaggiori centri studi di tuttala regione.

Dopo il consolidamento deigruppi dell’immigrazione sto-rica, oggi si apre la fase delladiversificazione. In fortissimosviluppo risultano i settoridella ristorazione e del tra-sporto privato, dove anchepakistani, iraniani ed egizianirisultano leader nelle nuoveiniziative di impresa.

Giorgio Bernardini© RIPRODUZIONE RISERVATAIn

teg

raz

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e

46.138Le imprese a conduzione

straniera attive in Toscana

al secondo semestre 2015

secondo i dati Unioncamere

13.805Le imprese straniere attive

nelle commercio, il settore

con maggiore presenza, seguito

dalle costruzioni (13.316)

Gora Seye,

sarto

senegalese,

nella sua

azienda

a Firenze

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26 Lunedì 30 Novembre 2015 Corriere Imprese

Lazar’MarkovicLisickij

Tatlin lavora al Monumento alla III InternazionaleDisegno e collage, 1921-22, Londra

collezione Mr e Mrs Eric Estorick

Una terra per giovaniE non è solo una modaSono quasi 1.800 gli under 40 che avvieranno un’azienda agricolaI grandi? Aspettano ancora il taglio della burocrazia. E i piani dell’Ue

Da settore «residuale»a componente vitaledella competitivitàdel Made in Tuscany,trainata dalla grinta

dei «contadini digitali». Tor-nare nei campi con una laureain tasca per aprire la propriaazienda o trasformare quelladei nonni, è molto più di unamoda, oggi che per l’agricol-tura toscana il peggio sembrapassato. Lo dimostra il suc-cesso dell’ultimo bando regio-nale rivolto agli agricoltoriunder 40: 1.762 domande, ol-tre il doppio rispetto alla pre-cedente edizione, per 40 mi-lioni di contributi pubbliciche non basteranno a soddi-sfare le richieste. Secondouna recente indagine dellaColdiretti, il 57% dei giovaniinteressati ad aprire un’azien-da agricola è laureato, spessoin discipline tecniche e inno-vative. La stessa percentualedichiara di preferire il lavoroin proprio nei campi ad unimpiego nelle multinazionali(che piace solo al 18%) o inbanca (17%).

I giovani hanno abbandona-to il sentimento di vergognache le generazioni precedentiprovavano di fronte al mestie-re del contadino e puntano afare impresa in un settore che,nonostante abbia pagato ilprezzo della lunga crisi, dà se-gnali di ripresa. Businessquindi, oltre che di gran mo-da.

La tendenza si è invertitagrazie soprattutto all’impor-tanza decisiva del vino, del-l’olio, degli agriturismi. L’in-novazione c’è, la ricerca diqualità anche: il 10% delle im-prese ormai è bio e la Toscanaè la quarta regione italiana co-me numero di produttori nelbiologico. I problemi? La bu-rocrazia e la scarsa redditivitàdi molte coltivazioni. E il nu-mero degli addetti è calato del10% soltanto nel periodo 2012-14, principalmente nelle azien-de rimaste ancorate a un mo-dello «tradizionale».

«L’agricoltura toscana esi-ste ed è una valida alternativadi sviluppo — sottolinea Gior-dano Pascucci, direttore di CiaToscana, associazione cheraggruppa circa 20.000 titolaridi aziende — Le province amaggior vocazione agricolasono quelle del sud, Grosseto,Arezzo e Siena, e poi Pisa. Quila trasformazione è già inizia-ta». Un cambiamento che in-veste più fronti. «Da anni or-mai si punta sulla filiera cor-ta, sulla trasformazione diret-ta e si stanno aggregando siai produttori che i trasformato-

ri all’insegna del valore ag-giunto che è l’essere “fatto inToscana” — spiega Pascucci— Anche la grande distribu-zione è molto più sensibile al-la qualità e aiuta la nostraagricoltura. E con l’agrituri-smo è arrivata una spinta im-portante al biologico, alla ri-storazione, alla visibilità diaziende anche piccole, ripor-tando i giovani verso l’agricol-tura». Una tendenza mostrataanche dalla valanga di do-m a n d e d ’ i s c r i z i o n e a l l a«Scuola per giovani contadi-ni», un’iniziativa unica in Ita-lia, partita lo scorso anno gra-zie alla collaborazione tra 5Comuni del Chianti Fiorenti-no, Regione Toscana, la fatto-ria Montepaldi dell’Universitàdi Firenze e l’agenzia formati-va Chiantiform.

«Restano i problemi strut-turali, alcuni connaturati a unterritorio che spesso ha scarsaresa e poca acqua, altri legatialle norme e ai mercati. Farereddito in alcune zone dellaToscana è molto difficile e aquesto si aggiunge la burocra-zia, che andrebbe semplificatanon per aver meno regole maper averle compatibili con l’at-tività imprenditoriali e sul ter-ritorio. Occorrerebbe indiriz-zare anche meglio le risorsedell’Unione Europea erogateattraverso la Regione: i bandidovrebbero focalizzarsi suaiuto all’internazionalizzazio-ne, innovazione, sostenibilitàA

gri

co

ltu

raGiordano

Pascucci,

presidente

della sezione

toscana

della Confe-

derazione

italiana

agricoltori

ObiettivoCreare un «paniere Toscana» di alta qualità, una filiera orizzontale dal vino agli ortaggi, da presentare alle iniziative internazionali

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ambientale e filiere. E la ripar-tenza dei consumi non c’è an-cora», conclude il managerdella Cia.

La crisi ha fatto perdere ad-detti e aziende e non pare fi-nita. «È così, purtroppo, e inpiù la burocrazia mangia tem-po e risorse — afferma Fran-cesco Miari Fulcis, presidentedi Confagricoltura, associazio-ne che rappresenta le aziendemedio-grandi — E troppi co-sti significano anche abban-dono di terre e di produzioni,tanto che circa il 30% del pro-

dotto ogni anno non vieneraccolto o trasformato. Nonaiuta nemmeno l’incertezza fi-scale».

Ad aumentare i problemi,secondo Confagricoltura, èanche il ritardo di applicazio-ne del programma di svilupporurale 2014-2020: «Tra il cam-bio di legislatura regionale e iritardi dell’Ue abbiamo persoquasi due anni: finora sonopartiti solo i bandi per i giova-ni e quello per le filiere, tuttigli altri scatteranno nel 2016,ma intanto le aziende sono

rimaste senza contributi perdue anni». Molte però anchele luci del settore. «Senza dubbio, dai sistemi cooperati-vi che funzionano nel vino,nell’olio, nei pomodori, al so-stegno ai prezzi e al territorionel settore del latte ad operadi Mukki e di Latte Maremma,ai contratti diretti di granoduro con i grandi produttoriitaliani di pasta — aggiungeMiari Fulcis — Il sistema fat-toria, tipico della nostra re-gione, è un punto di forzaavanzato del sistema agricolo:

permette la vendita diretta,l’occupazione degli addettitutto l’anno, anche se la rac-colta è stagionale, le attivitàcomplementari come l’agritu-rismo o le degustazioni chegenerano reddito e danno vi-sibilità allo stesso tempo».Prossimi obiettivi? «Sarebbenecessario un tavolo perma-nente tra imprese e Regione,così da incrementare il dialo-go, il cui primo obiettivo do-vrebbe essere il lancio di un“paniere Toscana” di alta qua-lità, una filiera cioè orizzonta-le, dal vino, all’olio, alla pasta,ai prodotti da forno, agli or-taggi, da far conoscere e pre-sentare nelle iniziative inter-nazionali in giro per il mon-do. Un processo che deve na-scere dal basso, da noi, e poiessere supportato dalle istitu-zioni».

Un obiettivo su cui potreb-be «convergere» Toscana Pro-mozione. «Stiamo pensando acanali innovativi per presenta-re insieme i prodotti toscanidando altri strumenti oltre lagrande distribuzione o l’e-commerce— spiega StefanoGiovannelli, direttore di To-scana Promozione — Le im-prese con fatturato sotto i 2-4milioni fanno fatica ad inve-stire su queste politiche». Ca-nali nuovi, ma dove? «Sul

mercato Usa, la Cina, il GolfoPersico. Così potremo sfrutta-re anche l’effetto Expo che hariportato l’alimentazione e laqualità al centro. L’attenzionealla tutela dell’ambiente e del-la salute è molto cresciuta an-che nei Paesi emergenti e suquesti settori possiamo faremolto — conclude Giovannel-li — Oggi l’aggregazione, ba-sta pensare alle filiere, è deci-siva e anche nei nostri pro-duttori la sensibilità su questitemi è cresciuta». Sono 53 iprogetti di filiera che raccol-gono centinaia di imprese.«Nel 2016, grazie solo ai pro-getti di filiera per 210 milionie ai 300 milioni di contributiUe per 1.760 aziende, sarannoattivati investimenti per oltremezzo miliardo di euro e arri-verà una iniezione di dinami-smo e diversificazione, conanche il ritorno in aziendadelle nuove generazioni cheprima si vergognavano di dire“sono un contadino”, accele-rando la ripresa del settore ela sua competitività e dandoanche nuove sfide alla rappre-sentanza — afferma RobertoMaddè, direttore di Coldiretti— L’agricoltore 2.0 ormai èuna realtà».

Mauro [email protected]

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Campo scuola

Alcuni

ragazzi

della Scuola

per contadini

creata

da cinque

Comuni

del Chianti

fiorentino

con Regione

e Università

Francesco

Miari Fulcis,

presidente

di Confagricol-

tura Toscana

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GustaveCourbet

Gli spaccapietreOlio su tela, 1849

L’opera è andata

distrutta durante

un bombardamento

aereo della città

di Dresda, in Germania,

in cui era esposto

Frontiera sharing economy Nuova impresa senza impresaDal pony express a Uber e Airbnb: così è cambiata l’offerta di beni e di serviziMettendo in crisi il sistema delle leggi e i rapporti di lavoro. Colloquio con Ichino

ASeul ci sono 64 for-me diverse di beni eservizi condivisi conpiattaforme di «sha-ring economy», ma il

60% della popolazione non liusa. Ad Helsinki, invece, dopoun boom per la consegna delcibo a domicilio, si è arrivati afare «sharing» sul trasporto pubblico. Nata come antago-nista del capitalismo, la «sha-ring economy», cioè la condi-visione di beni e servizi, èesplosa grazie alle piattaformetecnologiche tanto da far tito-lare a Internazionale: «La finedel capitalismo è vicina». Inrealtà da Airbnb a Uber, daBooking.com al car sharing,gli esempi più popolari dieconomia della condivisionesono gestiti da multinazionali.Mettendo a dura prova il siste-ma di regole e a volte l’identi-tà di interi territori, come suc-cede a Firenze con il boom diaffitti Airbnb. Ne parliamocon il professor Pietro Ichino,giuslavorista e senatore Pd.

Sharing economy, nuovafrontiera di lavoro. Ma le re-gole sono inesistenti.

«Dovunque si manifesti unaqualche forma di mercato dellavoro è presente e ben visibi-le la tendenza di chi già svolge

un‘attività a difendersi dallaconcorrenza dei new entrantscon barriere di vario genere.Sono sempre servite a questole corporazioni e le gilde dimestiere, poi gli ordini profes-sionali, i regimi che impongo-no una licenza per poter svol-gere una attività, oppure untitolo di studio o di formazio-ne, e così via. Oggi nell’areadel lavoro autonomo, ma nonsolo, l’evoluzione tecnologicaattenta alle barriere che difen-dono gli insiders contro laconcorrenza degli outsiders».

Ma la sharing economy èla «fine del capitalismo» ouna nuova forma di impren-ditorialità?

«Dipende dalla nozione di“impresa” a cui facciamo rife-rimento. Il premio Nobel perl’economia Ronald Coase indi-vidua la ragion d’essere del-l’impresa in una necessità dirisparmio di costi di transa-zione: l’imprenditore, che de-ve mettere insieme e coordi-nare numerosi altri lavoratori,“acquista da loro il potere di-rettivo” (o, se si preferisce, laloro obbedienza) per non do-ver negoziare di volta in voltacon ciascuno di loro le moda-lità di ogni segmento dellaprestazione lavorativa. Così si

può pensare che, se i nuovistrumenti web riducono alminimo i costi di transazione,essi fanno venir meno la ra-gion d’essere dell’impresa: ifattori della produzione pos-sono essere coordinati, o co-ordinarsi, senza necessità delpotere direttivo. Ma le ragionid’essere dell’impresa non siesauriscono in quella indivi-duata da Coase».

Ci sono altri approcci...«Un altro economista ame-

ricano, Frank Hyneman Kni-ght, la individua nella capacitàdell’imprenditore di accollarsiil rischio dell’attività produtti-va, a fronte della tipica prefe-renza dei lavoratori salariatiper la sicurezza: l’imprendito-re, in questo ordine di idee,“vende sicurezza” ai propri di-pendenti. Lo fa trattenendosulle loro retribuzioni una dif-ferenza, rispetto a quanto liretribuirebbe se fossero lavo-ratori autonomi: sostanzial-mente un “premio assicurati-vo” pagato dai dipendenti».

Come si applicano questischemi concettuali al feno-meno sharing economy?

«Le nuove tecnologie pos-sono abbattere i costi di tran-sazione, facendo venir menola ragion d’essere coasiana

dell’impresa: in questo caso lastruttura verticale caratterizza-ta dalla “catena di comando”viene sostituita da una strut-tura orizzontale di rete, nellaquale i fattori della produzio-ne (singoli lavoratori autono-mi, o di piccole organizzazio-ni) si coordinano fra loro fa-cilmente, anche a distanza,trattando da pari a pari. Ma lenuove tecnologie non posso-no eliminare la differenza dipropensione al rischio dellepersone, e la differenza di ca-pacità di sopportare quel ri-schio: finché questa differenzaci sarà, ci sarà ancora spazioper l’impresa knightiana, cioèper l’impresa che vende ai

propri dipendenti sicurezza».Dove si ferma il concetto

di «sharing» come condivi-sione e dove comincia l’im-presa pura?

«Nell’ordine di idee coasia-no, l’impresa cessa là doveviene meno il potere direttivodell’imprenditore e il corri-spettivo obbligo di obbedien-za dei suoi collaboratori. Unaprima manifestazione eviden-te di questo fenomeno l’abbia-mo avuta già trent’anni or so-no con la comparsa dei ponyexpress, antesignani della sha-ring economy: il lavoratore collegato via radio con la cen-trale non era obbligato a ri-spondere alla chiamata, né, seprendeva un incarico, a segui-re un certo itinerario o a usareun mezzo di trasporto piutto-sto che un altro. La nuova tec-nologia abbatteva il costo ditransazione e consentiva l’or-ganizzazione perfetta del lavo-ro senza bisogno di un poteredirettivo. Però ogni tanto unpony express fa causa allacentrale chiedendo di esserericonosciuto come dipenden-te, e qualche giudice, non im-porta se a torto o a ragione sulpiano strettamente giuridico,gli dà ragione: qui emerge ladomanda di sicurezza tipicadel lavoratore, e con essa lafunzione di “produttrice di si-curezza” dell’impresa kni-ghtiana. Questa stessa chiavedi lettura può applicarsi alrapporto tra editore e giorna-listi free lance, a quello trauna qualsiasi organizzazionepost-industriale e la rete deisuoi telelavoratori, e così via».

Marzio Fatucchi© RIPRODUZIONE RISERVATA

Pietro Ichino,

giuslavorista,

è dal 1991

professore

ordinario

nell’Università

statale

di Milano.

Ex dirigente

della

Fiom Cgil,

è stato

tra i fondatori

del Partito

democratico

nel 2007

del quale —

dopo un

passaggio

in Scelta civica

— è ora

senatore

dal 2013

Profilo

Sc

en

ari La parola

SHARINGECONOMY

«Economia della condivisione» indica la fornitura di beni o servizi senza intermediari, spesso il contatto avviene tramite piattaforme tecnologiche.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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31Lunedì 30 Novembre 2015Corriere Imprese

Un giorno a uno scrit-tore venne chiesto discrivere un racconto.Doveva essere un rac-conto sul lavoro —

anzi, sulla bellezza del lavoro.Essendo il racconto da effet-tuarsi su commissione e suuno specifico tema, lo scritto-re valutò che era esso stessoun «lavoro», per quanto, dopotanti anni di pratica, fosse ar-rivato alla conclusione di Von-negut secondo cui l’ispirazio-ne era roba da dilettanti, e tut-to quello che scriveva, anchequando non sapeva ancora acosa sarebbe servito, era lavo-ro. Così, portata che ebbe lamente alle tante pagine cheaveva scritto senza sapere an-cora a cosa sarebbero servite,per prima cosa fece ciò cheviene istintivo fare a tutti i la-voratori, ovvero cercare di la-vorare meno, e nello specificofece quello che fanno tutti gliscrittori quando gli vienechiesto un racconto su un de-terminato tema: controllò senel cassetto, ovvero nella ba-bele di cartelle e sottocartelledove teneva riposti i testi dianni, ci fosse qualcosa di ine-dito che affrontasse, o almenosfiorasse, il tema.

Il primo documento cheuscì era un brano su un sinda-

calista che durante una riu-nione si astraeva per la noia alpunto di avere delle visioni.Scartato.

Il secondo era un raccontoche parlava sì di «fare un lavo-ro», ma si trattava di una rapi-na in banca. Scartato.

Un brano di critica all’eticadel lavoro in De Amicis... Nah.

Dopo di quello, emerse unracconto su un pensionatoche per riempire le giornate siiscriveva a un’agenzia interina-

più vetuste, fatte di pixel piùgrossi. Saltarono fuori diversidocumenti, ma si trattava diqualcosa di inaspettato: vecchiappunti di quando lo scrittorefaceva un altro mestiere. Cu-riosamente, essendo tale me-stiere il formatore aziendale,si occupava in buona sostanzadi insegnare alla gente a lavo-rare, e sorrise per l’ironia dellacircostanza. In una slide avevariportato una frase dell’editoreMichael Korda, che asserivache ci si può considerare sod-disfatti quando non si sa piùse il lavoro che svolgiamo èveramente lavoro o è un gio-co; in un’altra, ecco il Pirsigdello Zen e l’arte della manu-tenzione della motocicletta aricordare che «qualsiasi lavorosi svolga, se si trasforma inarte ciò che si sta facendo,scopriremo di essere divenutiper gli altri una persona inte-ressante e non un oggetto».Lo scrittore ricordò di quandopronunciò queste frasi aun’aula di quadri e manager,alcuni attenti, i più annoiati opoco interessati, ed ebbe lasensazione di averle in realtàtrascritte per il momento chestava vivendo. Le trascrisse dinuovo, perché si rese contoche scavando nel fondo diquelle cartelle dei suoi com-puter, non stava più cercandoun modo per lavorare meno,ma stava lavorando. Di più.Stava dimostrando quello cheaffermava Conrad, e se potevacitarlo nel racconto che intan-to aveva scritto, era perché lafrase era contenuta in un’altradi quelle slide: che il bello dellavoro non è tanto il lavoro insé, ma quel che contiene, ov-vero la possibilità di incontra-re se stessi.

© RIPRODUZIONE RISERVATAIl r

ac

co

nto

le e tornava a lavorare con ec-cellenti risultati. Morale dub-bia: i giovani non hanno piùvoglia di lavorare? I vecchi ru-bano il lavoro ai giovani? Neldubbio meglio evitare.

In effetti, pensò lo scrittore,il lavoro era un tema difficile.Bastava distrarsi un attimo e sifiniva nella retorica, nella Re-pubblica fondata sul Lavoro,nella propaganda stacanovi-sta, nell’Ora et labora di SanBenedetto o nel Lieben und

Lavoro, quindi mi incontro

Uno scrittore, un incarico su commissione e una frase trovata nel vecchio pcEcco come Joseph Conrad può dare una mano a riscoprire se stessi

arbeiten di Sigmund Freud —e da lì trovarsi nell’ignobilesarcasmo dell’Arbeit machtfrei era un attimo... Come delresto era facilissimo anche fa-re della vana ironia: OscarWilde («Il lavoro è il rifugio diquelli che non hanno di me-glio da fare») e Jerome K.Jerome («Mi piace il lavoro,mi affascina enormemente:potrei rimanere seduto perore a guardare qualcuno lavo-rare») sono sempre in aggua-to. Lo scrittore non si rasse-gnò — aveva del resto famalui stesso di stacanovista, ca-pace di far mattina lavorandosui testi — e aprì ancora undocumento: uscì il saggio diuno studioso di narrativa ita-liana contemporanea che par-lava di un suo libro, in cui sielevava il precariato a condi-zione esistenziale. L’ovvio pas-so successivo fu andare a cer-care brani rimasti fuori daquel libro. Ce n’erano, ma inessi, di celebrativo, c’era poco:il precariato non era forse lamorte stessa del lavoro comeproduttore di nobiltà? Ansia epaura, è fin troppo chiaro, av-viliscono, non elevano.

Il nostro allora andò a pren-dere il suo precedente compu-ter, lo collegò alla spina (eramolto tempo che non venivamesso al lavoro e andava anzi-tutto ricaricato) e continuò laricerca in quelle cartelle ancor

di Vanni Santoni

Vanni Santoni,

scrittore

e collaboratore

del Corriere Fiorentino,

è autore tra

gli altri di

Gli interessiin comune

(Feltrinelli),

Terra Ignota (Mondadori),

Muro di casse (Laterza). Cura

una collana

di narrativa

per le edizioni

Tunué

Profilo

DamianOrtega

Controllerof the UniverseStrumenti di lavoro

vecchi e nuovi, filo

di ferro, 2007

L’artista messicano,

già vignettista politico,

ha creato questa

installazione fluttuante

con gli utensili recuperati

in vari mercati berlinesi

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