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UNIVERSITÁ DI PISA DIPARTIMENTO DI FARMACIA Corso di Laurea Specialistica in Farmacia Tesi di Laurea: UTILIZZO DEI CORTICOSTEROIDI NEL TRATTAMENTO DELL’EDEMA MACULARE DIABETICO Relatore: Prof. Stefano Fogli Candidato: Gaspare Mascarella ANNO ACCADEMICO 2014-2015

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Page 1: UTILIZZO DEI CORTICOSTEROIDI NEL TRATTAMENTO … · La Retinopatia Diabetica è una patologia oculare che si riscontra comunemente nelle persone affette da diabete mellito di tipo

UNIVERSITÁ DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Specialistica in Farmacia

Tesi di Laurea:

UTILIZZO DEI CORTICOSTEROIDI NEL TRATTAMENTO DELL’EDEMA MACULARE DIABETICO

Relatore: Prof. Stefano Fogli

Candidato: Gaspare Mascarella

ANNO ACCADEMICO 2014-2015

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Sommario

Introduzione……………………………………………………………………….......4

Dal diabete all’EMD………………………………………..……...…………….......4

Fattori di rischio……………………………………………………………………….6

Iperglicemia………………………………………………….………………………6

Ipertensione………………………………………………….………………………7

Iperlipidemia…………………………………………….……..…………………….7

Durata del diabete……………………………………………………………………8

Fattori genetici……………………………………………………………………….8

Patofisiologia…………………………………………..……………………………..10

Via dei polioli………………………………………….……………………………10

Proteina chinasi C……………………………………...……………………………11

Via dei prodotti glicati finali…………………………….………………………….11

Via delle esosammine…………………………………...…………………………..12

Ruolo dei fattori di crescita dell’endotelio vascolare………...……………………..12

Alterazioni della barriera emato-retinica…………………...……………………….14

Rottura delle giunzioni……………………………………...………………………15

Perdita dei periciti………………………………………….……………………….15

Ispessimento della membrana basale……………………………………………….16

Trattamento dell’edema maculare diabetico………………..………………………..17

Obiettivi…………………………………………………………………………….17

Controllo dei fattori di rischio…………………………………….………………..17

Laser terapia………………………………………………………………………..18

Vitrectomia……………………………………………………..…………….…….18

Terapie farmacologiche…………………………………...………………………….20

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Inibitori dei fattori di crescita vascolare……………………...……………………..20

Sicurezza dei VEGF…………………………………………..…………………….24

Corticosteroidi…………………………………………………..…………………..25

Meccanismo d’azione……………………………………………………………….25

Problemi di somministrazione………….…………………..……………………….26

Triamcinolone acetonide………………….……………..………………………….29

Impianti intravitreali di corticosteroidi…….……………………..………………….33

Dexamethasone (Ozurdex)……………….…………….……..…………………….33

Farmacocinetica………………………….…………….………..………………….35

Profilo farmacocinetico del DEX……………………...………..…………………..36

PLACID study………………………………………………………………………37

MEAD study………………………………………………………..………………38

BEVORDEX study……...………………………………………………………….39

CHAMPLAIN study: Benefici del dexamethasone in occhi vitrectomizzati……….40

Fluocinoloneacetonide…………………………………………….…………………41

Fluocinolone acetonide e laser terapia a confronto……………………………..…..42

Farmacocinetica in occhi di coniglio……………………………………………….42

Famous study…………………………………………...…………………………..43

Fame study………………………………………………………………………….45

Sicurezza dei corticosteroidi…………………………………………………………46

Dexamathesone…………………………………………………………………..…46

Triamcinolone acetonide………………………………………………………...….48

Fluocinolone acetonide……………………………………………………………..50

Conclusioni…………………………………………………………………………..51

Bibliografia…………………………………………………………………………...53

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1 Introduzione

Dal diabete all’EMD

Il Diabete mellito è una malattia metabolica caratterizzata da un elevato livello

glicemico nel sangue, che può portare, nel lungo periodo, a gravi complicazioni

vascolari a livello del micro e del macro circolo e a morte prematura. È un grave

problema di salute a livello globale, attualmente nel mondo 382 milioni di persone

sono affette da diabete e il numero è destinato a salire, si stima infatti che possa

raggiungere la cifra di 592 milioni entro l’anno 2035 [IDF Diabetes Atlas, 2013], per

questa ragione, tale malattia viene spesso definita l’“epidemia del 21° secolo”.

La Retinopatia Diabetica è una patologia oculare che si riscontra comunemente nelle

persone affette da diabete mellito di tipo 1 e 2, rappresenta la principale causa di

cecità tra gli adulti in età lavorativa, nei paesi industrializzati [Klein R, 1984]; circa il

35% dei diabetici sviluppa Retinopatia Diabetica [Yau JW, 2012].

La più grave complicazione della retinopatia diabetica, nonché la maggiore causa di

perdita della vista nelle persone diabetiche, è l’edema maculare diabetico in cui si

verifica una rottura della barriera emato-retinica e la fuoriuscita di plasma e lipidi che

si riversano nella macula alterandone struttura e funzionalità. Può verificarsi a

qualsiasi stadio della retinopatia diabetica, sia essa proliferativa o non proliferativa

[Das A, 2015]. Nella sua forma più severa l'edema maculare diabetico porta ad un

offuscamento ed una distorsione della visione centrale (quella che ci permette di

riconoscere un volto o leggere un libro), che si riflette in una riduzione dell'acuità

visiva [Moss SE, 1998]

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Figure 1. A) Anatomia dell'occhio. B) Fotografia del fundus di un occhio normale.

C) Fotografia del fundus di un paziente con retinopatia diabetica. La freccia

indica una zona di neovascolarizzazione.

L'Early Treatment Diabetic Retinopathy Study ha dato varie definizioni dell'edema

maculare diabetico: 1) Ispessimento della retina a, o entro, 500μm dal centro della

macula. 2) Essudato duro a, o entro, 500μm dal centro della macula, se associato ad

ispessimento della retina adiacente. 3) Zona o zone di ispessimento retinico ≥ all’area

di un disco, di cui una o più parti si trovino all’interno di 1 disco di diametro al centro

della macula.

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Il Global Diabetic Retinopathy Project Group ha introdotto una classificazione della

gravità dell’edema maculare diabetico basato sulla distanza dell’ispessimento della

retina dalla fovea (regione concentrica all’interno della macula); possiamo avere: 1)

EMD leggero: L'occhio presenta edema e lipidi nel polo posteriore

ma distante dal centro della macula. 2) EMD moderato: L'occhio presenta edema e

lipidi che si avvicinano al centro della macula ma senza farne parte. 3) EMD severo:

L'occhio presenta edema e lipidi che si trovano al centro della macula.

Fattori di rischio

Svariati fattori di rischio sono stati associati all’incidenza dell’edema maculare

diabetico e della retinopatia diabetica in generale [Das A, 2015].

Iperglicemia

L’iperglicemia è la causa principale di tutte le maggiori complicazioni del diabete, tra

cui appunto la retinopatia diabetica. La sua importanza come fattore di rischio è stata

abbondandemente dimostrata in una serie di studi ed analisi. Uno studio

epidemiologico del Wisconsin sulla retinopatia diabetica, della durata di 10 anni, ha

dimostrato l’associazione tra alte concentrazioni di emoglobina glicosilata nel sangue

e l’incidenza dell’EMD. Tre grandi studi clinici randomizzati hanno dimostrato i

benefici che il controllo sistemico del glucosio nel sangue può avere sullo sviluppo e

sulla progressione dell’EMD. Lo studio DCCT (The Diabetes Control and

Complications Trial), ad esempio, effettuato su persone con diabete di tipo 1 ha

mostrato come uno stretto controllo del glucosio possa prevenire lo sviluppo della

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retinopatia diabetica del 76% e rallentarne la progressione del 54% [The DCCT

Research Group, 1993]. Lo studio UKPDS (United Kingdom Prospective Diabetes

Study) ha riscontrato simili giovamenti nella progressione della retinopatia, sempre

grazie al controllo della glicemia, ma su diabetici di tipo 2 [King P, 1999]. Benefici

confermati recentemente, anche da un terzo studio (ACCORD Eye Study) della durata

di 4 anni, in cui, lo stretto controllo del glucosio in diabetici di tipo 2 ha ridotto la

progressione della retinopatia del 35% [The ACCORD Study Group, 2010].

Tutti questi studi, quindi, stabiliscono una correlazione diretta tra un elevato livello di

glucosio nel sangue e lo sviluppo della retinopatia, e suggeriscono l'importanza del

controllo glicemico nella prevenzione di tale disturbo.

Ipertensione

Per quel che riguarda l’ipertensione come fattore di rischio i risultati appaiono

contrastanti: Il già citato United Kingdom Prospective Diabetes Study ha mostrato

come il controllo della pressione sanguigna, attraverso l’uso di farmaci ad azione

antipertensiva, ACE-inibitori e β-bloccanti, possa rallentare la progressione della

retinopatia e ridurre la perdita della vista; tali risultati non sono stati confermati in

altri studi (ACCORD Eye Study), dai quali si può dedurre che se il soggetto è

normotensivo, l’utilizzo di farmaci anti-ipertensivi non porterà a reali benefici sullo

sviluppo della retinopatia [Das A, 2015]

Iperlipidemia

L'elevata presenza di lipidi (LDL, colesterolo, trigliceridi) nel sangue è considerata un

fattore di rischio direttamente collegato all'incidenza e alla severità della retinopatia

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diabetica e dell'edema maculare diabetico, tale convinzione è suggerita dal fatto che,

quando si verificano dei cambiamenti di permeabilità nella rete capillare retinica,

questi portano ad un accumulo extracellulare di depositi lipoproteici con la

conseguente perdita di funzione delle cellule circostanti [Panagiotoglou TD et al.

2010].

Una recente meta-analisi condotta da Radha, Kerr e colleghi ha dimostrato come i

livelli di colesterolo, trigliceridi, ed LDL erano significativamente più alti in persone

con EMD rispetto a persone affette solamente da diabete mellito. Una relazione di

questo tipo non è stata invece trovata con i livelli di HDL [Das R, 2015], il che è

biologicamente plausibile considerando gli effetti tossici delle LDL sulle cellule

endoteliali [Tauber JP, 1980] e quelli invece vasoprotettivi, antiossidanti,

antinfiammatori e capaci di promuovere un efflusso di colesterolo dalle cellule delle

HDL [Barter PJ, 2004].

L'ACCORD Eye Study ha dimostrato come il fenofibrato, aggiunto alla terapia con

simvastina in persone affette da diabete di tipo 2, per un periodo di 4 anni, rallenti la

progressione della retinopatia diabetica [The ACCORD Study Group,1993]. È stata

inoltre dimostrata una minore necessità di terapie laser in persone trattate con

fenofibrato (200 mg/day) rispetto al gruppo di controllo (Keech AC, 2007).

In contrasto con questi dati, abbiamo però una meta-analisi di 4 studi clinici

controllati randomizzati, da i cui risultati non emergono evidenze tangibili che

dimostrano che una terapia, mirata a ridurre i livelli ematici di lipidi, possa apportare

un significativo miglioramento nella severità dell'EMD, anche se altri studi, come

precedentemente detto, hanno invece mostrato dei benefici.

Quindi il peso dei lipidi nella patogenesi di RD ed EMD rimane controverso e il ruolo

dell'iperlipidemia relativamente inesplorato si attendono pertanto studi clinici

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adeguati che dimostrino, con più chiarezza, se il trattamento dell'iperlipidemia possa

avere degli effettivi benefici terapeutici nel trattamento dell'EMD [Das R, 2015]

Durata del diabete

La durata del diabete è uno dei più consistenti fattori di rischio nella sviluppo della

retinopatia diabetica, come mostrato dalla maggior parte degli studi epidemiologici.

Quasi tutti i diabetici di tipo 1 e l'80% dei diabetici di tipo 2 sviluppano qualche

retinopatia dopo 20 anni di diabete [Klein R, 1984(1); Klein R 1984 (2)].

Fattori genetici

Il fattore derivato dell'epitelio pigmentato (PEDF o SERPINF1), un fattore

neuroprotettivo, anti-angiogenico e antinfiammatorio, largamente espresso nel SNC,

nella retina e in molti altri tessuti del corpo, potrebbe giocare un importante ruolo

nello sviluppo della retinopatia diabetica. Nell'occhio, l'espressione del PEDF e quella

del VEGF sono inversamente correlate, e le loro funzioni in contrasto, è lecito dunque

pensare che polimorfismi nei geni di entrambi i fattori possano creare uno squilibrio

che favorisca la comparsa della RD e dell'EMD. In uno studio giapponese del 2007, in

416 pazienti con diabete di tipo 2 sono stati individuati 4 polimorfismi a singolo

nucleotide nel PEDF; 2 di questi, rs12150053 and rs12948385, nella regione

promotore sono risultati collegati alla RD in maniera significativa [Iizuka H, 2007].

Da un'altra analisi, svolta sempre in Giappone, pochi anni prima, è emerso come il

polimorfismo C-6346, nel gene del fattore di crescita dell'endotelio vascolare,

contribuisca allo sviluppo dell'edema maculare nei casi di diabete di tipo 2, e

rappresenta, pertanto, un importante fattore di rischio genetico [Awata T, 2005].

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Patofisiologia

Nonostante il meccanismo d’azione non sia ancora del tutto chiaro, l’iperglicemia,

come precedentemente detto, è il fattore che più di altri contribuisce allo sviluppo

dell’edema maculare diabetico. Le vie metaboliche maggiormente coinvolte sono

perlopiù 4: 1) Via dei polioli, 2) Proteina chinasi C, 3) Via dei prodotti glicati finali

(AGE), 4) Via delle esosammine [Brownlee M, 2005].

Via dei polioli

La via dei polioli è una via metabolica costituita da due enzimi, Aldolo reduttasi e

Sorbitolo deidrogenasi che catalizzano la trasformazione del glucosio in sorbitolo e

del sorbitolo in fruttosio, rispettivamente. In condizioni fisiologiche, la via dei polioli

funziona solo in minima parte, in quanto il glucosio è indirizzato verso la via

glicolitica. In condizioni di iperglicemia invece, la via glicolitica è saturata, e il

glucosio entra maggiormente anche nella via dei polioli [Zhang X, 2014].

L'attivazione dell'enzima aldolo reduttasi e l'accumulo di sorbitolo sono stati

riscontrati nei periciti dei capillari retinici e nella retina di topi trattati con

streptozocina [Dagher Z, 2004; Akagi Y, 1983]. Ed è stato dimostrato che l'eccessivo

accumulo di sorbitolo e fruttosio è fortemente collegato con disfunzioni

microvascolari diabetiche [Ronald GT, 2002].

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Proteina chinasi C

L’iperglicemia attiva la PKC che contribuisce alla produzione di ROS ed ad un

aumento dello stress ossidativo causato da un incremento dell’attività della NAPDH

ossidasi [Inoguchi T, 2000]. L’attivazione della PKC inoltre inibisce l’espressione

della ossido-nitrico-sintasi endoteliale nelle cellule dell’endotelio [Kuboki K, 2000],

ed incrementa l’espressione dei fattori di crescita dell’endotelio vascolare nelle cellule

muscolari lisce dei vasi [Pathak D, 2012].

La via metabolica della PKC è anche implicata nell’attivazione dell’NF-κB, che

collega lo stresso ossidativo indotto dall’iperglicemia con l’infiammazione [Ha H,

2002].

Via dei prodotti glicati finali

I prodotti glicati finali (AGE, advanced glycation end-product) sono il risultato di una

catena di reazioni chimiche successive ad una reazione di glicazione iniziale, si

formano all’interno del corpo attraverso il normale metabolismo. Tuttavia si pensa

che gli AGE che si accumulano in condizioni di iperglicemia giochino un importante

ruolo nella patogenesi della retinopatia diabetica [Milne R, 2013]. Gli AGE inducono

il cross-link delle proteine "long-lived" provocando la rigidità dei vasi, alterando la

struttura e la funzione vascolare, inoltre reagiscono con recettori specifici che, tramite

un segnale intracellulare, inducono un aumento dello stress ossidativo e la produzione

di elementi pro-infiammatori e citochine pro-sclerotiche [Sharma Y, 2012].

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Via delle esosammine

L'iperglicemia induce la sovra-espressione del super ossido mitocondriale che può, a

sua volta, attivare la via delle esosammine. È stato scoperto che l'attivazione di questa

via conduce ad un aumento dello stress ossidativo, alla produzione di alcune citochine

infiammatorie come TGF-α (fattore di crescita trasformante), -β, e PAI-1

(plasminogen activator inhibitor type1), che, a loro volta, conducono a disfunzioni

endoteliali e rottura della barriera emato-retinica [Zhang X, 2014].

Tutte le vie metaboliche sopra citate quindi portano ad un aumento dello stress

ossidativo, all'instaurarsi di un'infiammazione cronica e, conseguentemente, a danni e

disfunzioni vascolari, come ad esempio: leucostasi dei capillari della retina,

danneggiamento dell'epitelio endoteliale, mancata perfusione capillare, ischemia

retinica. A questi eventi vascolari segue un up-regulation dei fattori di crescita

endoteliale (VEGF), capaci di aumentare la permeabilità vascolare [Boyer DS, 2013;

Zhang X, 2014].

Ruolo dei fattori di crescita dell'endotelio vascolare

Il fattore di crescita dell'endotelio vascolare è un mitogeno endotelio-specifico,

diffusibile e molto potente, rilasciato in risposta a condizioni di ipossia che va a legare

il suo recettore specifico (VEGFR), espresso dall'endotelio vascolare [Miller JW,

2013], e media così importanti processi fisiologici come lo sviluppo e il

mantenimento della rete vascolare [Ferrara N, 2003], la regolazione del tono

vascolare e della coagulazione del sangue, attraverso la produzione di ossido nitrico e

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prostaciclina I2 [He H, 1999], la regolazione dei podociti [Eremina V, 2003], e il

mantenimento dell'integrità degli strati di cellule epiteliali durante i normali processi

di riparazione delle ferite [Nissen N, 1998].

La famiglia dei VEGF umani comprende 5 glicoproteine: VEGF-A(spesso chiamata

semplicemente VEGF), VEGF-B, VEGF-C, VEGF-D e VEGF-E [Ferrara N, 2003;

Ferrara N, 2006; Papadopoulos N, 2012; Stewart M, 2012].

Ogni VEGF svolge la sua attività di segnalazione legandosi ai recettori trans-

membrana tirosin-chinasici: VEGFR-1, VEGFR-2, e VEGFR-3[Ferrara N, 2003;

Papadopoulos N, 2012; Stewart M, 2012]. Il fattore di crescita VEGF-A e il suo

specifico recettore VEGFR-2 sono i più coinvolti nello sviluppo dell'edema maculare

diabetico [Miller J,2012].

In condizioni di diabete, e quindi di iperglicemia cronica si ha una up-regulation dei

VEGF che si traduce in angiogenesi, aumentata permeabilità vascolare e produzione

di citochine proinfiammatorie, come ad esempio angiopoietine, TNF, interleuchine e

metalloproteine che contribuiscono alla rottura della barriera emato-retinica e allo

sviluppo dell'edema maculare diabetico [Das A, 2015; Stewart M, 2012].

Sono principalmente 3 le "prove" che identificano il VEGF come uno dei fattori

cardine nello sviluppo di malattie oculo-vascolare come, appunto, l'edema maculare

diabetico:

1) Le trasformazioni vascolari nella retina: variazione della permeabilità o

neovascolarizzazione, sono associate ad un aumentata espressione del VEGF.

2) Il VEGF è in grado, anche da solo, di provocare neovascolarizzazione.

3) L'inibizione del VEGF è associata ad un miglioramento anatomico e funzionale

dell' occhio malato [Miller JW]

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Uno studio ha esaminato 20 campioni non diluiti di corpo vitreo provenienti da 20

pazienti diversi (8 dei quali affetti da retinopatia diabetica), e si è visto che i livelli di

VEGF erano significativamente più alti (ρ=0.006) negli occhi dei pazienti con

retinopatia rispetto agli altri [Adamis A; 1993]

Figure 2. Patogenesi dell'edema maculare diabetico

Alterazione della barriera emato-retinica

La barriera emato-retinica previene il passaggio delle molecole nei tessuti retinici

extracellulari e mantiene una stretta regolazione dell'equilibrio idro-elettrolitico nella

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retina. La sua rottura, pertanto, provoca un accumulo di fluidi negli strati di retina. La

BER consiste di 2 componenti: l'epitelio pigmentato retinico, che si trova

esternamente e l'endotelio dei vasi retinici, internamente; la resistenza interna della

BER, che previene la fuoriuscita delle molecole dai capillari retinici, dipende

dall'integrità delle giunzioni cellulari che legano tra di loro le cellule dell'endotelio, e

dalla presenza dei periciti.

Nel diabete si possono verificare 3 importanti alterazioni della BER:

1) Rottura delle giunzioni cellulari dell'endotelio

2) Perdita dei periciti

3) Ispessimento della membrana basale [Das A, 2015]

Rottura delle giunzioni

Le cellule dell'endotelio formano uno stretto monostrato e sono collegate una all'altra

attraverso tight junctions e adherens junctions [Rangasamy S, 2011]. I meccanismi

che durante il diabete contribuiscono alla rottura delle giunzioni sono: la degradazione

proteolitica della Caderina Endoteliale, una glicoproteina che determina l'integrità

delle stesse [Navaratna D, 2007], e la diminuzione dei livelli di occludin endoteliale,

una proteina transmembrana che rappresenta un componente fondamentale nella

strutura delle tight junction [Zhang X, 2014].

Perdita dei periciti

I periciti, noti anche come "mural cells", sono delle cellule lisce modificate con

proprietà contrattili [Das A,1988]. I periciti avvolgono le cellule endoteliali e

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regolano il flusso sanguigno nei capillari retinici, funzione che viene a mancare in

condizioni di retinopatia diabetica in cui si ha una perdita di queste cellule [Kubawara

T, 1963]. Tale fenomeno sembrerebbe essere provocato da alterazioni nei livelli di un

fattore di crescita, piastrino-derivato, chiamato PDGF-B [Frank RN, 2006], che ha

normalmente il compito di promuovere la proliferazione e migrazione dei periciti. La

perdita dei periciti contribuisce alla formazione di microaneurismi nella parete dei

capillari retinici [Arup Das, 2015]. Uno studio, effettuato su topi, ha mostrato una

diminuzione dei livelli di periciti e la formazione di aneurismi in condizioni di

deficienza di PDGF-B [Lindahl P, 1997].

Ispessimento della membrana basale

E' una struttura laminare che circonda le cellule endoteliali; ha diverse funzioni, tra

queste: fornisce rigidità e supporto fisico, regola la proliferazione e la

differenziazione cellulare, funge da filtro.

L'ispessimento della membrana basale dei capillari è una ben nota lesione della

retinopatia diabetica. Tuttavia non è ancora ben chiaro in che modo questo

ispessimento permetta la fuoriuscita e la diffusione delle molecole, probabilmente

un'alterazione della struttura molecolare della membrana o aumento della

concentrazione di molecole di proteoglicano cariche negativamente contribuiscono ad

un incremento della porosità di questa barriera.

Le suddette alterazioni portano ad un deterioramento della circolazione retinica ed ad

una perdita vascolare, a cui segue un accumulo extracellulare di fluidi e di proteine

plasmatiche nella retina, con conseguente formazione di edema. L'edema può

coinvolgere la parte più centrale della retina, la macula, provocandone l'ispessimento

Page 17: UTILIZZO DEI CORTICOSTEROIDI NEL TRATTAMENTO … · La Retinopatia Diabetica è una patologia oculare che si riscontra comunemente nelle persone affette da diabete mellito di tipo

e alternadone così struttura e funzione. [Arup Das, 2015; Boyer DS, 2013, Zhang X,

2014].

Trattamento dell'Edema Maculare Diabetico

Obiettivi

In condizioni di EMD, l'obiettivo di una terapia è quello di preservare o migliorare la

funzione retinica e la visione, riducendo o risolvendo l'edema e l'ispessimento della

retina.

Controllo dei fattori di rischio

Tutti i maggiori studi clinici (ACCORD, DCCT, UKPDS) hanno mostrato i benefici

di uno stretto controllo del glucosio nel prevenire e rallentare la progressione della

retinopatia diabetica come già precedentemente detto, e, seppure con qualche riserva

in più, anche il controllo di altri fattori di rischio, come ipertensione e dislipidemia

sembra aver dato risultati positivi in tal senso. Concordemente, lo studio Steno-2 ha

mostrato come il controllo serrato di iperglicemia, ipertensione, dislipidemia, insieme

ad una prevenzione secondaria dei disturbi cardiovascolari, riduca significativamente

il rischio di sviluppare RD [Gaede et al. 2003]. Per quel che riguarda l'EMD nello

specifico, tuttavia, non abbiamo evidenze che il controllo di ipertensione e

dislipidemia abbia dei reali riscontri benèfici sulla malattia, più che altro per la

mancanza di studi mirati [Chew, 2014]; nonostante ciò, è bene che gli oftalmologi

siano costantemente a conoscenza dei livelli di questi fattori nei pazienti in cura [Arup

Das, 2015].

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Laser terapia

La fotocoagulazione laser è stata per molti anni la tecnica "stand of care" nel

trattamento delle complicazioni dovute alla retinopatia diabetica [Boyer DS, 2013].

Già nel 1985 gli studi clinici EDTRS hanno verificato una riduzione del 50% nella

perdita della vista moderata (definita come una perdita 15 lettere LogMAR), dopo 3

anni, nei pazienti con EMD laser-trattati. I pazienti sottoposti al trattamento laser

hanno inoltre mostrato un aumento delle possibilità di migliorare la vista ed una

riduzione della frequenza di EMD persistente, rispetto ai pazienti non trattati. [Early

Treatment Diabetic Retinopathy Study Research Group, 1985].

Il meccanismo di questo tipo di terapia non è ancora compreso del tutto, si ipotizza

comunque che provochi una maggiore ossigenazione intraoculare, una ridotta

produzione di citochine vasoattive, ed un incremento della fagocitosi da parte delle

cellule epiteliali del pigmento retinico e delle cellule gliali. Questa tecnica è legata ad

una serie di complicazioni dovute alla natura "distruttiva" del laser, tra cui: riduzione

della visione periferica, anormale visione dei colori, alterata vista notturna. Negli

ultimi anni, dopo l'approvazione dei farmaci anti-VEGF, l'indicazione d'uso del laser

si è ridotta all'EMD noncenter-involving [Arup Das, 2015]

Vitrectomia

È una procedura chirurgica che consiste nell’asportazione del corpo vitreo (liquido

contenuto nella cavità principale del bulbo oculare) e nella sua sostituzione con un

mezzo analogo all’interno dell’occhio, che viene definito "sostituto vitreale" (come

olio di silicone, gas, aria, ecc.). Un recente studio condotto su pazienti con EMD e

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trazione vitreale ha mostrato nella maggior parte dei pazienti una riduzione

dell'ispessimento retinico, ma un incremento nell'acutezza visiva si è verificato solo

nel 38% [Diabetic Retinopathy Clinical Research Network. 2010]. Inoltre la

rimozione del corpo vitreo può ridurre la durata del tempo in cui l'agente

farmacologico rimane nell'occhio, rendendo quindi più difficile un trattamento

farmacologico [Chin et al. 2005].

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Terapie farmacologiche

Inibitori dei fattori di crescita di vascolare (Anti-VEGF)

Il VEGF è un fattore di crescita prodotto dall’endotelio vascolare che in condizioni

fisiologiche media normali processi come l’angiogenesi o l’aumento della

permeabilità vascolare, ed è normalmente in equilibrio con sostanze che ne

contrastano l’azione. In condizioni patologiche di ischemia tale equilibrio viene

alterato, e si verifica una produzione incontrollata di neovasi con caratteristiche

anomale e dannose, che sono alla base di disturbi vascolari dell’occhio. Alcuni studi

su animali hanno dimostrato, infatti, come la somministrazione di iniezioni

intravitreali di VEGF o di impianti che rilasciavano VEGF nel vitreo, causino la

rottura della barriera emato-retinica [Ozaki, 1997; Miyamoto 2000]. È noto inoltre

che i livelli di VEGF sono sensibilmente più alti nel vitreo di pazienti affetti da EMD

rispetto a quello di pazienti che non presentano complicazioni oculari dovute al

diabete [Funatsu H, 2009]. Considerato il ruolo fondamentale ricoperto da questi

fattori di crescita nella patogenesi dell'EMD, una terapia di notevole valore nel

trattamento di tale disturbo è quella effettuata con gli Anti-VEGF (inibitori dei fattori

di crescita vascolare). Gli Anti-VEGF hanno dimostrato di poter incrementare la vista

in maniera significativa e ripristinare l'anatomia della retina in molti pazienti [Nguyen

et al. 2012]; altri studi suggeriscono l'ipotesi che gli inibitori dei VEGF potrebbero

prevenire o rallentare la progressione della retinopatia diabetica e dell'EMD [Ip et al.

2012]. Recentemente inoltre un'analisi ha messo in luce i benefici clinici, in termini di

mantenimento e miglioramento della vista derivanti dall'uso degli Anti-VEGF rispetto

all'uso della fotocoagulazione laser [Virgili et al. 2014]. I farmaci Anti-VEGF

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rappresentano oggi, per molti pazienti, la terapia di prima linea nel trattamento

dell'EMD.Sono: Ranibizumab, bevacizumab, aflibercept, pegaptanib e vengono

somministrati nell'occhio attraverso iniezioni intravitreali, sotto l'effetto di anestetici

topici [Boyer DS, 2013].

Ranibizumab (Lucentis®)

È un anticorpo monoclonale prodotto per un uso specifico nell'occhio. Negli USA la

FDA ha approvato il suo utilizzo nel trattamento della degenerazione maculare senile,

nell'edema maculare dovuto ad occlusione venosa, e nell'EMD; ed è l'unico inibitore

delle VEGF approvato per quest'ultima patologia. Modifiche a livello aminoacidico,

nel sito deputato al legame con l'antigene, ne aumentano l'affinità con il fattore di

crescita VEGF-A e tutte le sue isoforme, che vengono cosi "bloccate" [Ferrara, 2006;

Yu, 2011; Boyer DS, 2013; Arup Das, 2015]. Diversi studi clinici hanno dimostrato

che la somministrazione intravitreale del ranibizumab riduce l'edema maculare e

incrementa la vista nei pazienti; ed è inoltre risultato superiore alla laser terapia

[Nguyen, 2010, 2012; Elman 2012; Do 2013].Nello studio RISE/RIDE, in cui i

pazienti venivano randomizzati in 2 gruppi: in uno venivano trattati con dosi

intravitreali di ranibizumab (0.3mg o 0.5 mg), nell'altro con iniezioni placebo, il 37-

40% dei pazienti trattati con una delle due dosi dell'anticorpo monoclonale ha

mostrato, dopo 3 anni, un incremento di >15 lettere logMAR, rispetto al 19% del

gruppo placebo [Brown DM, 2013]. I test clinici DRCR hanno ottenuto risultati

simili, stabilendo inoltre che l'uso del ranibizumab associato al laser è più efficace, in

termini di miglioramento della vista, rispetto all'utilizzo del solo laser [Arup Das,

2015].

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Bevacizumab (Avastin®)

Anticorpo monoclonale umanizzato, ha dimensioni 3 volte maggiori rispetto alla

molecola di Ranibizumab, ma lo stesso meccanismo, ovvero blocca le isoforme di

VEGF-A. Il farmaco è stato approvato dalla FDA e dall'EMA per l'utilizzo nel

trattamento dei tumori in fase metastatica, specialmente del colon e del retto [fda.gov,

ec.europa.eu], ma il suo costo, notevolmente inferiore a quello degli altri Anti-VEGF,

lo ha reso "popolare", tanto da venire utilizzato "off-label" nel trattamento dell'EMD e

degli altri disturbi oculari [Arup Das, 2015]. In uno studio comparativo tra

Bevacizumab e laser terapia (con EDTRS modificato), condotto su 80 pazienti con

edema maculare clinicamente significativo (CSME), della durata di 2 anni

[Michaelides, 2010; Rajendram et al. 2012], si è visto che la BCVA (miglior acuità

visiva corretta) a 12 mesi era sensibilmente migliorata nel gruppo trattato con

l'inibitore del fattore di crescita rispetto a quello trattato col laser. Nei pazienti trattai

con bevacizumab è stata riscontrata una probabilità 5 volte maggiore di guadagnare

un minimo di 10 lettere (2 linee nella tabella EDTRS) durante i 12 mesi di studio

rispetto ai pazienti laser-trattati [Michaelides, 2010]. I miglioramenti anatomici e

visivi ottenuti con bevacizumab sono stati poi mantenuti a 24 mesi.

Aflibercept (Eylea; Regeneron)

È una proteina di fusione ricombinante che contiene porzioni dei recettori VEGFR-1 e

VEGFR-2 fuse con la porzione Fc dell'immunoglobulina umana IgG1 [Holash et al.

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2002]; anche questo farmaco cosi come le altre Anti-VEGF blocca le varie isoforme

dei fattori di crescita, ma ha un'affinità di legame circa 100 volte maggiore; la

maggiore emivita consente una somministrazione bimestrale invece che mensile

[Arup Das, 2015]. In 2 trials di fase 3 (VIVID e VISTA) i pazienti trattati,

mensilmente o bimestralmente) con 2 mg di aflibercept hanno riportato, dopo 2 anni,

un miglioramento della visione media dalla baseline di 12.5 e 11.1 lettere logMAR,

rispettivamente, rispetto allo 0.2 dei pazienti trattati con laser terapia. [Korobelnik,

2014]. Uno studio comparativo sull'efficacia e la sicurezza di questi 3 farmaci Anti-

VEGF (Ranibizumab, Bevacizumab, Aflibercept) nel trattamento di pazienti con

EMD, ha mostrato che in occhi con una miglior acutezza visiva (≥20/40), non c'erano

differenze tra i 3 farmaci, ma partendo da un base di 20/50 o peggio, Aflibercept era

molto più efficace nel miglioramento della vista [Clinical Research Network DRCR,

2015]. Il farmaco è stato approvato negli USA e in Europa per il trattamento della

degenerazione maculare senile, e dell'edema maculare da occlusione venosa, ma non

per l'EMD [Boyer DS, 2013]

Pegaptanib

È un acido ribonucleico, selettivo verso le 165 isoforme VEGF. Uno studio di fase 2

di 36 settimane, su pazienti diabetici con EMD center-involved a cui è stato

somministrato pegaptanib 0.3 mg ogni 6 settimane per un minimo di 3 iniezioni, ha

mostrato nei pazienti significativi miglioramenti nella BCVA dopo 36 settimana

rispetto ad iniezioni placebo, ed una sensibile riduzione in CRT (addensamento della

macula centrale) [Cunningham et al. 2005].

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Sicurezza dei VEGF

Tutti gli Anti-VEGF attualmente disponibili sono somministrati tramite iniezione

intravitreale, generalmente con scadenza mensile; un trattamento per essere efficace

richiede somministrazioni ripetute per un lungo periodo (mesi o anni), che possono

portare delle complicazioni a livello oculare. Gli effetti collaterali più comunemente

riportati sono: emorragie congiuntivali, aumentata pressione intraoculare, endoftalmiti

e infiammazione intraoculare. Ad ogni modo i dati degli studi clinici indicano che il

grado di questi effetti collaterali è generalmente basso e comparabile comunque con

quello dei trattamenti placebo. Inoltre, nei pazienti con EMD, la comparsa di

complicazioni correlate alla procedura, è in qualche modo bilanciata dalla

diminuzione dei disturbi dati dal diabete e mediati dai VEGF: retinopatia

proliferativa, emorragia vitrea, e glaucoma neovascolare [Ip et al. 2012]. Un'analisi

rischi-benefici, basata su dati di efficacia e sicurezza provenienti provenienti dallo

studio RISE/RIDE in cui i pazienti venivano trattati mensilmente con ranibizumab

intravitreale per una durata di 36 mesi, ha mostrato che sia il ranizumab 0.3mg sia il

0.5mg avevano efficacia comparabile ed entrambe presentavano un profilo rischio-

beneficio accettabile, anche se l'incidenza di effetti collaterali, potenzialmente

collegati all'inibizione dei VEGF era più alta nel gruppo trattato con ranibizumab 0.5

[Brown et al. 2013].

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Corticosteroidi

L'uso dei corticosteroidi nel trattamento di disturbi oculari di tipo infiammatorio è

stato descritto per la prima volta, già, nei primi anni 50. Le loro proprietà

antinfiammatorie, antiangiogeniche, antipermeabilità li rendono un'interessante

opzione terapeutica per una serie di disturbi e malattie del segmento posteriore, tra i

quali, l'EMD. [Sarao V, 2014].

Meccanismo d'azione

I corticosterodi per uso oculare, dexamethasone, triamcinolone acetonide, e

fluocinolone acetonide sono potenti e selettivi agonisti che si legano ai recettori per i

glucocorticoidi espressi nel tessuto oculare [Edelman, 2010]. Il complesso steroide-

recettore che si viene a formare trasloca dal citoplasma al nucleo, dove può indurre o

reprimere la trascrizione di geni, mRNA, o la sintesi di proteine [Clark AR, 2012;

Busillo JM, 2013]. Oltre all'azione nel nucleo, il complesso steroide-recettore, media

delle azioni "rapide", innescando un meccanismo di trasduzione del segnale nel

cytosol, come ad esempio il rilasco di annexin-1, un modulatore del traffic dei

leucociti [Clark AR, 2012; Solito, 2003; Dalli J, 2008]. In una situazione di EMD,

l'azione terapeutica dei corticosteroidi è caratterizzata da un aumento della stabilità

della rete vascolare retinica esistente, un soppressione dei fattori di crescita

angiogenici (tra cui i VEGF) ed una riduzione della formazione di nuovi vasi

sanguigni [Stewart MW, 2012; Logie JJ, 2010]; questi effetti non sono provocati da

un meccanismo univoco ma da una serie di meccanismi; i corticosteroidi

infatti:

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Reprimono i fattori di trascrizione pro-infiammatori come NF-κB, interrompendo

il loop infiammatorio che si instaura nell'edema maculare [Zhang, 2011; Tang, 2011].

Inibiscono la fosfolipasi A2 [Stewart, 2012] che è implicata nell'espressione di

VEGF, ICAM-1, e TNF-α nella retina e nella formazione dell'edema [Lupo G, 2013].

Inducono l'espressione di una serie di proteine antinfiammatorie come: IL-10,

adenosine, e IκBα (l'inibitore naturale di NF-κB) [Clark, 2012].

Riducono la leucostasi retinica [Tamura, 2005].

Aiutano a mantenere l'integrità delle tight junction della BER, promuovendo

l'espressione delle proteine delle tight junction e proteggendole dalla rottura per stress

ossidativo [Aveleira CA, 2010; Miura Y, 2009].

Promuovono la clearence dei fluidi della retina attraverso il loro effetto sulle

aquaproin-4 (AQP4) transcellulari e sui canali al potassio [Zhao M, 2011].

Problemi di somministrazione

Una delle principali sfide nella messa a punto di terapie farmacologiche per il

trattamento dell'edema maculare diabetico, ma per le malattie retiniche in generale,

consiste nel cercare di raggiungere una concentrazione intraretinica di farmaco

efficace e duratura, provando al tempo stesso ad evitare o almeno a minimizzare gli

effetti indesiderati sulle altre strutture oculari. Per il trattamento dell'EMD e dei

disturbi oculari in generale, sono state prese in considerazione diverse vie di

somministrazione. La somministrazione sistemica non permette un'adeguata

penetrazione dei farmaci nelle strutture oculari più profonde a causa della presenza

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della BER, già precedentemente descritta, che impedisce l'ingresso a farmaci idrofili e

di grandi dimensioni. Quei pochi farmaci con caratteristiche lipofile, e/o di

piccolissime dimensioni che sono in grado di attraversare la barriera necessitano,

però, di massicce somministrazioni sistemiche per poter essere efficaci, a causa

dell'effetto diluente del volume di sangue e della rapida circolazione nella retina che

limita il tempo di esposizione al farmaco, e possono quindi esporre il paziente ad un

concreto rischio di effetti collaterali sistemici, come ad esempio osteoporosi,

insufficienza surrenalica, esacerbazione del diabete, stato cushingoide. [Dugel PU,

2015; Sarao V, 2014]. Anche l'applicazione topica presenta diversi problemi:

innanzitutto il meccanismo di lacrimazione che agisce sulla superficie oculare limita

l'esposizione al farmaco, questo poi, per raggiungere il segmento posteriore

dell'occhio e svolgere la sua azione, deve attraversare diversi tessuti oculari [Hughes

PM, 2005]; il farmaco che riuscisse ad attraversare gli epiteli corneali, congiuntivali e

la sclera, può comunque essere rimosso dalla circolazione subcongiuntivale-

episclerare, dal sistema linfatico, dalla circolazine coroidale e dalle pompe di eflusso

per composi xenobiotici dell'epitelio pigmentato retinico [Edelhauser HF, 2010]. Di

conseguenza quindi i farmaci oculari sommistrati topicamente, mostrano una

biodisponibilità intravitreale estremamente bassa, tipicamente <0.001% [Maurice

DM, 2002]. Allo stesso modo la somministrazione perioculare, che sfrutta la via di

assorbimento transclerale, incontra numerose barriere anatomiche (episclera, sclera,

coroide, membrana di Bruch, ed epitelio pigmentato retinico) prima di depositare il

farmaco nella parte posteriore dell'occhio, inoltre i meccanismi di clearence

transclerare ed il flusso che dall’umor acqueo si dirige all’esterno, riducono

ulteriormente la penetrazione dei farmaci nei tessuti bersaglio del segmento posteriore

[Kim SH, 2007]; tutti questi fattori portano ad una bassa biodisponibiltà intravitreale

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(0.01-0.1%) per i farmaci somministrati periocularmente [Edelhauser HF, 2010].

Altra via di somministrazione è data dalle iniezioni intravitreali che hanno il

vantaggio di oltrepassare la BER, e raggiungere quindi lo spazio intravitreale con la

massima biodisponibilità, ma, essendo una tecnica abbastanza invasiva, espone i

pazienti trattati ad una serie di possibili complicazioni: elevata pressione interna,

endoftalmiti, emorragie della retina, lacrimazione, distacco della retina [Edelhauser

HF, 2010; Jager RD, 2004]; inoltre anche la durata d'azione dei farmaci somministrati

per via intraretinica è limitata dalla presenza di meccanismi di clearence, ovvero, la

via di eliminazione transretinale, quella dell’humor acqueo, le pompe di eflusso

dell'epitelio pigmentato retinico. A prova di ciò si è visto, in diversi esperimenti, che

per quanto riguarda i corticosteroidi usati comunemente nelle patologie oculari

(dexamethasone, triamcinolone acetonide, e fluocinolone acetonide), l'emivita del

farmaco solubilizzato in caso di somministrazione intravitreale è di 2-3 ore negli

occhi della scimmia e del coniglio [Edelman JL, 2010; Kwak HW, 1992]. Nel

trattamento dell'EMD sono solitamente richieste delle iniezioni intravitreali piuttosto

frequenti, quest'elevata frequenza può tradursi, quasi naturalmente, in una mancata

compliance da parte del paziente, sulle cui spalle si viene a posare il peso di un

trattamento di certo non piacevole, oltre ad un probabile aumento di complicazioni

correlate alla procedura. Per queste ragioni sono stati sviluppati, più recentemente,

sistemi a rilascio prolungato costituti da una sospensione iniettabile di farmaco ed un

impianto intravitrale, il quale può essere biodegradabile o non-biodegradibile, che

provvedono alla somministrazione di dosi terapeutiche di farmaco per lunghi periodi,

direttamente nella zona maculare, by-passando l'attraversamento della BER, in modo

da ottenere una maggiore biodisponibilità; inoltre non necessitando di frequenti

somministrazioni si evitano tutta una serie di rischi ed effetti collaterali [Dugel PU,

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2015]. Ci sono vari aspetti che ci permettono di distinguere tra i vari corticosteroidi

utilizzati in oftalmologia: struttura chimica, potenza antifiammatoria, abilità di

traslocare il complesso steroide-recettore nel nucleo, abilità nell'attivare o reprimere

geni ligando-dipendenti e risposte biologiche, neuroprotezione dei fotorecettori e

dell'epitelio pigmentato retinico, effetto citotossico [J. G. Hardman, 2001].

Triamcinolone Acetonide

Il triamcinolone acetonide è uno steroide sintetico appartenente alla famiglia dei

corticosteroidi con un fluoro in posizione nove [M. B. Abelson, 1994]. È disponibile

in commercio come estere e rappresenta uno degli agenti steroidei più comunemente

utilizzati per il trattamento di vari disturbi della retina [G. N. Scholes]. Il TA ha una

potenza antinfiammatoria relativamente bassa e si presenta come una polvere

cristallina color bianco-crema. La sua elevata lipofilia da un lato, lo rende insolubile

in acqua, aumentando la sua permanenza nel vitreo, rispetto agli altri corticosteroidi e

prolungando cosi la sua durata d’azione [Yang Y, 2015; P. M. Beer, 2003; Sarao V,

2011], dall’altro aumenta la quantità di steroide che si lega alla rete trabecolare e al

cristallino, aumentando l’incidenza di ipertensione oculare e cataratta [Thakur A,

2011]. L'uso del TA nel trattamento dell'EMD è stato proposto per la prima volta nel

1999, grazie al profilo di sicurezza mostrato nei modelli animali, al suo precedente

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uso clinico in altre affezioni oculari e soprattutto grazie alla sua capacità di attenuare

la permeabilità capillare mediata dai VEGF, che, già ai tempi, si presumeva

contribuisse alla formazione dell'EMD. Il trattamento è generalmente svolto in

ambiente ambulatoriale, con il solo utilizzo di un anestetico topico, e di un ago, della

grandezza di 27 o 30 gauge, che rilascia il farmaco nella cavità vitrea dell'occhio

attraverso la pars plana [Ip MS, 2004].

Tra le varie formulazione abbiamo: Kenalog-40 (40 mg/mL, Bristol-Myers Squibb,

NJ), farmaco approvato dalla FDA solamente per l'uso intramuscolare e intra-

articolare, anche se viene utilizzato off-label, sin dal 2004, per uso intraoculare,

tramite iniezioni intravitreali, per il trattamento di vari disturbi della retina [Sarao,

2014; Y. Yang, 2015]. TrivarisTM (80mg/mL, Allergan Inc., Irvine, CA) and

Triesence (40 mg/mL, Alcon Inc., Fort Worth, TX) sono marchi di TA, senza

conservanti, recentemente approvati dalla FDA per uso oftalmico nel trattamento di

oftalmia simpatica, arterite temporale, uveite, ed altri disturbi infiammatori degli

occhi non responsivi ai corticosteoidi topici [Sarao, 2014]. Il TA intravitreale è stato

largamente studiato in diversi studi clinici randomizzati riguardanti l'EMD, fin dai

tardi anni '90, dimostrando dei significativi miglioramenti sia funzionali che

morfologici [Ciulla TA, 2014]. Uno studio randomizzato prospettico condotto dalla

Diabetic Retinopathy Clinical Research ha studiato l'efficacia e la sicurezza del TA

senza conservanti (Trivaris), nelle dosi di 1 mg e 4 mg, comparato al laser a

fotocoagulazione. Nello studio, 840 occhi affetti da EMD sono stati randomizzati in 3

gruppi: il primo comprendeva gli occhi trattati con laser a fotocoagulazione (n=330),

il secondo TA 1 mg (n=256), il terzo TA 4 mg (n=254). A 36 mesi, il cambiamento

medio nell'acutezza visiva è stato +5 lettere logMAR dalla situazione di partenza nel

gruppo trattato con laser e 0 lettere logMAR in entrambi i gruppi trattati con TA. Un

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peggioramento, di 3 o più linee, nell'acutezza visiva si è verificato nell'8%, 7% e 16%

rispettivamente, mentre invece un miglioramento di 3 o più linee nel 26%, 20% e

21% degli occhi. La riduzione media (±SD) nell'addensamento nella macula centrale

è stato 175 ± 149 μm nel gruppo trattato con laser, 124 ± 184 μm nel gruppo trattato

con TA 1 mg, e 126 ± 159 μm nel gruppo trattato con TA 4 mg. Il numero medio di

trattamenti alla fine del follow-up è stato 3.1 per il gruppo trattato col laser, 4.2 con

TA 1 mg, 4.1 per TA 4 mg. Nella visita svolta al quarto mese si è potuto notare un

miglioramento nella acutezza visiva media maggiore nel gruppo trattato con TA 4 mg

rispetto agli altri due; dopo 12 mesi invece non ci sono stati cambiamenti significativi

nell'acutezza visiva media [Diabetic Retinopathy Clinical Research Network, 2008].

Quindi in questo studio la fotocoagulazione si è mostrata più efficace nel tempo ed ha

inoltre mostrato minori effetti collaterali rispetto al triamcinolone; va però considerato

che durante i 36 mesi di follow up, i pazienti hanno ricevuto solamente 4 trattamenti

con TA intravitreale, che, stando ai dati farmacocinetici è una bassa frequenza di

dosaggio [Sarao V, 2014]. La Diabetic Retinopathy Clinical Research, più

recentemente, ha condotto un altro studio randomizzato in cui compara l'efficacia del

TA intravitreale in associazione alla fotocoagulazione laser, con il ranizumab

associato a fotocoagulazione laser prompt o deferred, e con fotocoagulazione laser da

sola. Alla visita, dopo i 2 anni di studio, si registra: nel gruppo ranizumab + prompt

laser un cambiamento medio nell'acutezza visiva di +7 ±13 lettere logMar dalla base

di partenza, +9 ±14 nel gruppo ranizumab + deferred laser, +2 ± 19 nel gruppo TA +

prompt laser, e +3 ± 15 nel gruppo del laser da solo; quindi rispetto al gruppo trattato

solamente col laser, nel gruppo ranizumab + laser prompt si è verificato un

cambiamento medio di acutezza visiva più grande di 3.7 lettere, 5.8 lettere più grande,

invece, nel gruppo trattato con ranibizumab + deferred laser, e 1.5 lettere inferiore nel

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gruppo TA + prompt laser. Un peggioramento nell'acutezza visiva di tre o piu linee si

è notatorispettivamente nel 10%; 4%, 2%, e 13% degli occhi, un miglioramento di tre

o più linee si è visto invece nel 18%, 29%, 28% e 22% degli occhi. Per quanto

riguarda l'addensamento centrale della retina, si è avuto un cambiamento medio dalla

base di partenza di -141 ± 155, -150 ± 143, -107 ÷ 145, -138 ±149 rispettivamente.

Questi risultati ci mostrano che l'uso del ranibizumab associato al laser, sia prompt

che deferred, è più efficace del laser utilizzato da solo o in associazione al TA[], ma

allo stesso tempo, evidenziano il potenziale del TA come terapia comparabile alle

iniziezioni Anti-VEGF ma meno costosa. Se infatti la terapia a base di Anti-VEGF è

diventata di prima linea nel trattamento dell'EMD, il TA è ancora spesso utilizzato in

quei pazienti che non hanno accesso al ranibizumab per ragioni economiche. Il TA ha

però un'emivita di 18.6 giorni, il che significa che una terapia di questo tipo necessità

di ripetute iniezioni e porta con se tutta una serie di conseguenti complicazioni di cui

abbiamo già parlato. si è pensato quindi che con il rilascio prolungato di piccole dosi

di corticosteroidi si potesse ottenere una maggiore efficacia e contemporaneamente

una minore formazione di cataratta o glaucoma. questo ha portato allo sviluppo degli

impianti intravitreali di dexamethasone e fluocinolone acetonide [Ciulla TA, 2014].

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Impianti intravitreali di corticosteoridi

Dexamethasone (Ozurdex®)

Il dexamethasone è un corticosteroide agonista del recettore dei glucocorticoidi, ha

un’emivita breve, ma è 5 volte più potente del triamcinolone acetonide, rispetto al

quale ha anche una maggiore solubilità, viene somministrato attraverso un sistema di

rilascio per mantenere nell'occhio dosi terapeutiche del farmaco [Yang Y, 2015; Sarao

V, 2014]. L'impianto intravitreale di Dexamethasone è costituito da matrice

polimerica biodegradabile di acido polilacti-co-glicolico che si degrada lentamente

all’interno dell’occhio e non richiede quindi rimozione chirurgica. Contiene 0.7 mg di

dexamethasone senza conservanti ed è progettato per rilasciare il farmaco nella retina

per un periodo di 6 mesi. Tale impianto permette di evitare la somministrazione

ripetuta di corticosterodi tramite iniezioni intermittenti e la conseguente formazione di

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picchi di concentrazione di farmaco, il che dovrebbe portare ad una riduzione del

rischio di effetti indesiderati collegati agli steroidi (cataratta, elevata pressione

intraoculare, glaucoma), ma anche una riduzione di complicazioni dovute alle

iniezione frequenti (distacco della retina, endoftalmiti, danneggiamento del

cristallino). La procedura di inserzione dell'impianto si effettua sotto anestesia locale,

in ambiente ambulatoriale, e consiste nel posizionamento dell'impianto rod-shaped (6

mm in lunghezza e 0.46 mm in diametro) nella cavità vitrea attraverso un'iniezione

nella pars plana, con l'utilizzo di un ago applicatore monouso con un diametro di 22

gauge. Nonostante il diametro relativamente elevato dell'ago iniettore, il livello di

dolore derivante dalla procedura di inserzione non è notevolmente differente da quello

provocato dal trattamento con Anti-VEGF intravitreali, somministrate con ago che

misura 28-30 gauge di diametro; inoltre essendo l'impianto biodegradabile, possono

essere inseriti impianti in maniera susseguente, senza la necessità di dover rimuovere

il precedente [Dugle PU,2015; Moisseiev E, 2014]. Fotografie ad alta velocità della

procedura di iniezione, hanno dimostrato che la velocità d'impatto dell'impianto

intravitreale di dexamethasone, posizionato con l'applicatore, è insufficiente a

provocare danni della retina [Meyer CH, 2012]; le complicazioni associate alla

procedura che sono state riportate, includono solo casi isolati di iniezione accidentale

nel cristallino [Berarducci A, 2014; Fasce F, 2014], e di rottura o frattura

dell'impianto durante, o subito dopo, l'iniezione intravitreale [Agrawal R, 2014; Rishi

P, 2012]. L'iniezione accidentale nel cristallinoè un evento estremamente raro che

può, in ogni caso, essere gestito con successo tramite l'estrazione chirurgica

immediata del cristallino, per evitare il possibile aumento della pressione intraoculare,

e l'impianto di una lente intraoculare [Berarducci A, 2014; Fasce F, 2014]. La frattura

dell'impianto può invece essere causata dal disallineamento tra l'impianto e

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l'applicatore; l'impianto fragmentato, comunque, non sembra essere in grado di

causare complicazioni maggiori rispetto a quello intatto, anche se un monitoraggio

maggiore è consigliato [Agrawal R, 2014]. Altri tipi di complicazioni che sono state

riportate sono quelle che possono verificarsi con l'impianto in situ, come ad esempio

casi isolate di migrazione nella camera anteriore con conseguente sviluppo di edema

corneale. [Wai Ch’ng S, 2014; Khurana RN, 2014; Kishore SA, 2013]. L'Ozurdex

inizialmente approvato dalla FDA, nel 2009, per il trattamento dell'edema maculare

da occlusione venosa retinica, è stato approvato nel 2010 anche per il trattamento di

infiammazioni oculari non infettive. Nel 2014 la FDA approva il farmaco anche per il

trattamento dell'EMD [Allergan website].

Farmacocinetica

Gli steroidi sono noti per avere delle complesse curve dose-risposta. Quando si parla

di patologie oculari l'efficacia dei corticosteroidi non dipende solo dalla potenza e

dalla dose somministrata ma anche dalla capacità di mantenere la disponibilità di

farmaco nel segmento posteriore dell'occhio. Questa capacità dipende dal profilo

farmacocinetico, prodotto dalle diverse cinetiche di rilascio, delle formulazioni in

termini di picchi di concentrazione e durata di rilascio. Per questi motivi per cui un

incremento nella dose di steroidi rilasciati non necessariamente si tradurrà in un

incremento dell'efficacia.

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Profilo farmacocinetico del DEX

Studi farmacocinetici effettuati su scimmie e conigli indicano che le concentrazioni

intraoculari di dexamethasone raggiungono il picco tra le 2-6 settimane dopo

l'iniezione dell'impianto intravitreale di DEX, e che i livelli più alti sono raggiunti

nella retina e nel vitreo. Nell'occhio di scimmia, l'impianto intravitreale di

dexamethasone 0.7 mg mostra un comportamento di rilascio bifasico: le

concentrazioni nel vitreo e nella retina mostrano infatti un plateau elevato (vitreo,

100–1,000 g/mL; retina, 100–1,000 g/g) durante i primi 2 mesi successivi

all'inserzione dell'impianto, successivamente si verifica un improvviso declino

durante il terzo mese, e la stabilizzazione di un plateau notevolmente più basso nei

successivi 3-4 mesi (vitreo 0.1–1 ng/mL; retina, 0.1–1 ng/g), fino a raggiungere livelli

non percettibili dopo 7-8 mesi [Chang-Lin, 2011].

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Figure 3. Concentrazione di dexamethasone negli occhi di scimmia.

Ipotizzando che le concentrazioni di dexamethasone alla stato-stazionario raggiunte

nell'occhio di scimmia siano vicine a quelle nell'occhio umano, questi dati

suggerirebbero che l'impianto intravitreale di dexamethasone raggiunge, durante la

fase iniziale di rilascio, delle concentrazioni più alte e più stabili nel vitreo rispetto

alle somministrazioni sottocongiuntivali, perioculari, topiche od orali. Non esistono

studi pubblicati sulla farmacocinetica del dexamethasone 7.0 mg nell'occhio umano

[Yang Y, 2015]. Dagli studi PLACID e MEAN possiamo però notare come gli effetti

clinici provocati dal farmaco, rispecchino la farmacocinetica ipotizzata in vivo per il

DEX sulla base degli esperimenti sugli occhi di scimmia precedentemente citati.

PLACID study

Il PLACID è uno studio randomizzato di fase 2 della durata di 12 mesi, effettuato su

pazienti con EMD diffuso che mette a confronto la terapia costitutita da Ozurdex 0.7

mg e laser a fotocoagulazione con una terapia costituita dal solo laser, la maggior

parte dei pazienti non ha ricevuto precedenti trattamenti per questo disturbo [Callanan

DG, 2015]. Non si sono viste differenze significative nella BCVA tra i 2 gruppi al

12° mese, tuttavia c'è stato un miglioramento significativamente maggiore della

BCVA dalla base di partenza in vari momenti (timepoint) fino al 9°mese, nel gruppo

trattato con Ozurdex [Mehta H, 2015]. La BCVA media è migliorata di poco più di 6

lettere logMAR ad un mese e successivamente è calata durante il sesto mese. A

questo punto 2/3 dei pazienti venivano ritrattati, e si verificava cosi un secondo picco

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nella curva della BCVA [Kamppeter BA]. Analogamente in occhi vitrectomizzati,

l'incremento più grande in BCVA (6 lettere) si è visto dopo 8 settimane dall'impianto;

dopo 26 settimane invece l'incremento medio è sceso di 3 lettere [Boyer DS, 2011].

L'analisi dell'area sotto la curva per la BCVA dopo 12 mesi, ha mostrato un

significativo beneficio nei pazienti trattati con Ozurdex e laser, rispetto a quelli trattati

col solo laser [Mehta H, 2015].

MEAD study

Il MEAD study ha preso in esame l'efficacia dell'impianto di dexamethasone Ozurdex

nel trattamento dell'EMD per un periodo di tre anni; lo studio è stato effettuato su un

totale di 1048 pazienti randomizzati 1:1:1 in 3 gruppi: 1) impianto DEX 0.7 mg; 2)

impianto DEX 0.35 mg; 3) gruppo placebo; i pazienti non potevano essere trattati con

una frequenza superiore ai 6 mesi [Mehta H, 2015]. I risultati hanno mostrato un

miglioramento della BCVA ≥15 lettere log-MAR nel 22,2% dei pazienti trattati con la

dose 0.7 mg, nel 18.4% dei pazienti trattati con 0.35 mg, e nel 12.0% del gruppo

placebo; e coerentemente ai risultati dello studio PLACID i miglioramenti sono stati

riscontrati a 1,5 e 3 mesi dall'iniezione, seguiti da un declino durante il sesto mese

quando i pazienti erano idonei per la ri-iniezione [Mehta H, 2015; Boyer DS, 2014].

Nel complesso questi studi suggeriscono che un intervallo di ri-iniezione più corto di

6 mesi potrebbe essere necessario per mantenere più a lungo i benefici degli impianti

di dexamethasone, coerentemente col profilo farmacocinetico [Yang Y, 2015]; l'effeto

terapeutico sembra avere infatti una durata di circa 4 mesi.

BEVORDEX study

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Bevordex è uno studio head-to-head [Gillies, 2014] randomizzato di 12 mesi che ha

comparato il bevacizumab (Avastin, Genentech) con l'Ozurdex 0.7 mg. Nello studio

erano presenti 88 occhi di 61 pazienti con EMD center-involving; 42 di questi hanno

ricevuto bevacizumab ogni 4 settimane, mentre gli altri 46 sono stati trattati con

l'impianto di Ozurdex ogni 16 settimane. L'obiettivo primario dello studio era la

proporzione di occhi con un miglioramento nella BCVA di almeno 10 lettere

logMAR; risultato che è stato raggiunto nel 40% degli occhi trattati con bevacizumab

e nel 41% di quelli trattati con Ozurdex, nel primo caso gli occhi hanno ricevuto

mediamente 8.6 iniezioni durante i 12 mesi, nel secondo caso solamente 2.6. 26 degli

88 occhi dello studio (29.5%) erano pseudofachici alla baseline, 10 di questi sono

stati trattati con bevacizumab, gli altri 16 con l'impianto di dexamethasone, non sono

state riportate differenze significative nel cambiamento della BCVA per gli occhi

pseudo-fachici in base al trattamento ricevuto, con un incremento medio di 7.7 lettere

nel caso del bavacizumab e 10.4 nel caso dell'Ozurdex. Nessuno dei 42 occhi trattati

con bevacizumab ha perso 10 o più lettere, a differenza dell'altro gruppo in cui questa

eventualità si è verificata nell'11% degli occhi (5/46); di questi, 4 casi sono da

imputare ad un aumento nella densità della cataratta, mentre 1 paziente con una

sifilide secondaria non diagnosticata ha sviluppato la rara complicazione della

corioretinite sifilica 1 settimana dopo la somministrazione dell'impianto di

dexamathesone con una significativa perdita della vista. Un incremento della cataratta

maggiore di 2 gradi è stato riportato nel 13% (6/46) degli occhi trattati con Ozurdex e

nel 4.8% (2/42) degli occhi facenti parte del gruppo del bevacizumab. Durante l'anno

di studio, 12 occhi hanno riportato un aumento della pressione intra-oculare

>25mmHg almeno una volta durante le visite di controllo, e tutti facenti parte del

gruppo trattato con dexamethasone. Gli occhi in questa situazione sono però stati

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tenuti sotto controllo con successo, attraverso la sola osservazione o perchè trattati

con cure topiche finalizzate alla riduzione della pressione intraoculare e nessun occhio

ha richiesto un'operazione chirurgica per il glaucoma durante il primo anno dello

studio. In questo studio si è verificata una ricomparsa minore di EMD rispetto ad

esempio al MEAD study, dovuta all'intervallo di ri-iniezione che è stato di 16

settimane invece di 6 mesi; intervalli più brevi non sono però raccomandabili a causa

dell'aumento del rischio di elevata pressione intraoculare indotta dagli steroidi

[Gillies, 2014; Mehta H, 2015].

CHAMPLAIN study: Benefici del dexamethasone in occhi vitrectomizzati

Evidenze di una maggiore clearence dei corticosteroidi negli occhi vitrectomizzati

rispetto ai non vitrectomizzati ottenute in svariati studi [Chin HS, 2005], suggerirebbe

che i benefici clinici dell'impianto intravitreale del dexamethasone potrebbero essere

ridotti nel caso di questa particolare condizione.Lo studio CHAMPLAIN, non

comparativo, della durata di 6 mesi, ha investigato l'efficacia e la sicurezza

dell'impianto di DEX intravitreale 0.7 mg in pazienti con un EMD resistente alle

terapie ed una precedente vitrectomia alla pars plana, riportando miglioramenti

prolungati alla vista e anatomici: miglioramenti della BCVA, dalla base di partenza,

edell'addensamento della retina hanno raggiunto il picco a 2-3 mesi dall'iniezione e

sono perdurati, anche se ad un livello più basso, fino alla fine dello studio [Boyer,

2011b]. Sono stati quindi riportati miglioramenti anche in questo gruppo di pazienti

cosi difficile da trattare.

Fluocinolone acetonide (RETISERT®, ILUVIEN®)

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È un corticosteroide sintetico, anch'esso agonista del recettore dei glucocorticoidi, e,

come il dexamethasone, necessita di un sistema di rilascio che ne regoli il dosaggio

oculare. Ha potenza maggiore del TA, rispetto al quale ha anche una maggior, seppur

di poco, solubità, questa è però notevolmente inferiore a quella del dexamethasone;

proprio la più bassa solubilità è la caratteristica che presumibilmente gli conferisce un

rilascio per un periodo di tempo più lungo [Yang Y, 2015; Sarao S, 2014]. Esistono 2

sistemi di rilascio che contengono il FA: Retisert e ILUVIEN, sono entrambi indicati

per uso oculare, ed entrambi, a differenza dell'Ozurdex non sono bioerodibili. Il

Retisert contiene 0.59 mg di FA ed ha un rilascio iniziale di circa 0.6 μg al giorno nel

vitreo; viene impiantato chirurgicamente nel segmento posteriore dell'occhio

attraverso un'incisione nella pars plana [Bausch, 2012]. È stato approvato negli USA

per il trattamento di uveiti non infettive [Yang Y, 2015]. ILUVIEN è un inserto che

contiene invece 0.19 mg di FA, viene iniettato nell'occhio tramite un'iniezione

attraverso la pars plana usando un ago da 25-gauge. A seconda della formulazione

l'inserto di ILUVIEN può rilasciare una bassa dose di farmaco, circa 0.2 μg al giorno

ed avere una durata maggiore di 2 anni, oppure una dose più alta, circa 0.5 μg al

giorno e una conseguente durata di 18 mesi [Sarao, 2014]. In Europa è indicato per

problemi di vista associati ad EMD cronico e non responsivi alle terapie disponibili,

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negli USA è indicato nel trattamento dell'EMD in pazienti, che sono stati già

precedentemente trattati con un ciclo di corticosteroidi e non hanno avuto un aumento

della pressione oculare clinicamente significativo [ILUVIEN, 2015].

Fluocinolone Acetonide e laser terapia a confronto

In uno studio del 2011 Pearson e colleghi hanno studiato 196 occhi con EMD

persistente o refrattario valutando l'efficacia dell'impianto intravitreale di fluocinolone

acetonide. Gli occhi sono stati randomizzati 2:1 per ricevere un impianto da 0.59 mg

(n=127) o la laser terapia stand of care (n=69). Il primo risultato valutato è stato un

aumento nell'acutezza visiva di ≥15 lettere a 6 mesi, e come secondo risultato la

risoluzione dell'addensamento retinico. A 6 mesi, il 16.8% degli occhi impiantati ha

mostrato un aumento di ≥ 3 line in acutezza visiva rispetto al 1.4% degli occhi nel

gruppo stand of care; ad 1 anno 16.4% degli occhi impiantati comparati all 8.1% degli

occhi SOC; a 2 anni 31.8% e 9.3% rispettivamente; a 3 anni 31.1% e 20.0% [Pearson

PA, 2011].

Farmacocinetica in occhi di coniglio

La cinetica di rilascio del FA dagli impianti oculari è stata studiata nei conigli, sia

attraverso l'impianto Retisert che ILUVIEN. L'impianto Retisert, posto

chirurgicamente negli occhi dei conigli anestetizzati, attraverso sclerotomia e sutura,

ha mostrato una cinetica vicina all'ordine zero, con i livelli di farmaco nell'humor

vitreo relativamente costanti, dal primo time point (2 ore dopo l'impianto), durante

tutto l'anno; e i livelli plasmatici sono rimasti al di sotto della quantità limite per tutto

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il tempo [Driot JY, 2004]. La cinetica di rilascio degli impianti ILUVIEN è stata

studiata, sempre sui conigli, andando a misurare la quantità di FA nel vitreo dopo

l'iniezione degli impianti, e, anche in questo caso è stata esibita unacinetica vicina

all'ordine zero, inoltre non sono state rilevate concentrazioni quantificabili di FA nel

sangue.

FAMOUS STUDY

Uno dei più importanti studi effettuati sul fluocinolone acetonide è il FAMOUS study

(fluocinolone acetonide in human aqueous) pubblicato nel 2010. Lo studio si poneva

due obiettivi principali: esaminare la farmacocinetica del farmaco attraverso la

misurazione dei livelli acquosi dello stesso, e valutare il cambiamento ottenuto in

BCVA rispetto alla base di partenza. Lo studio era costituito da 37 pazienti con EMD

resistente alla laser terapie, i quali sono stati randomizzati 1:1 per ricevere un inserto

di ILUVEN da 0.2μg/giorno o 0.5μg/giorno. Lo studio ha rivelato un eccellente

rilascio prolungato, intraoculare, del farmaco con un picco di 3.8 ng/mL verificatosi

sia ad un mese che ad una settimana dopo la somministrazione dell'inserto da 0.5

μg/giorno; invece dopo la somministrazione dell'inserto da 0.2 μg/giorno i valori ad

una settimana, ed ad un mese sono stati rispettivamente 3.4 ng/mL e 2.7 ng/mL.

Entrambi i dosaggi hanno fornito un rilascio stabile del farmaco, con livelli nell’umor

acqueo di circa 2 ng/mL per circa 3 mesi, seguiti da uno stato-stazionario con livelli

di 1.0-0.5 ng/mL durante in 36 mesi per l'inserto a bassa dose, contro i livelli di 1.5-

1.1 ng/mL durante i 24 mesi per l'inserto ad alta dose. il rilascio di entrambe le dosi è

quindi caratterizzato da un profilo iniziale più elevato seguito poi da uno

relativamente piatto; la formulazione da 0.5 μg/giorno rilascia un quantitativo

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maggiore di farmaco nei 24 mesi rispetto a quella da 0.2μg/giorno, la quale però

continua a rilasciare FA fino a 36 mesi. Per quanto riguarda il miglioramento in

BCVA, questo è stato di 7.5, 6.9 e 5.7 lettere logMAR a 3, 6 e 12 mesi per l'inserto a

dose più alta, e di 5.1, 2.7 e 1.3 lettere per l'inserto a dose più bassa. Tuttavia

nell'inserto da 0.5μg/giorno è stato osservato un moderato aumento della pressione

intraoculare, situazione non verificatasi in quello da 0.2. Da questo studio risulta

perciò evidente che in pazienti suscettibili, livelli acquosi di Fa superiori a 1ng/mL

incrementano moderatamente il rischio di glaucoma [Haritoglu C, 2013; Yang Y,

2015].

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FAME Study

Il Fame study condotto da Campochiaro e colleghi è costituito da un trial clinico di

fase 3 della durata di 36 mesi con lo scopo di investigare la sicurezza e l'efficacia

clinica delle due dosi degli impianti di FA in pazienti affetti da EMD. In tale studio

956 pazienti sono stati randomizzati per ricevere l'inserto ad alta dose (0.5μg/giorno)

o a bassa dose (0.2μg/giorno), o ancora un placebo. Questi trial hanno dimostrato che

il 26.8% dei pazienti inseriti nel gruppo trattato con l'inserto a bassa dose e il 26.2%

di quelli trattati con l'inserto ad alta dose hanno guadagnato 15 o più lettere a 24 mesi

rispetto al 14.7% dei pazienti di controllo. A 36 mesi si è verificato un miglioramento

nell'acutezza visiva di 3 o più linee nel 28.7%, 27.8% e 18.9% rispettivamente. Tra i

pazienti con una lunga durata dell'EMD (più di 3 anni), la proporzione di occhi che ha

mostrato un miglioramento di 15 o più lettere è stato 13.4% nel gruppo di controllo

comparato con 34% nel gruppo a bassa dose e 28.8 in quello ad alta dose.Nei pazienti

con EMD da meno di 3 anni si è verificato un miglioramento di 3 o più linee nel 27.8

dei pazienti nel gruppo di controllo, nel 22.3% dei pazienti nel gruppo di bassa dose e

nel 24.8% di quelli ad alta dose, ma le differenze non sono state significanti. Il

cambiamento medio nella BCVA a 36 mesi, partendo dalla baseline, nei pazienti con

lunga durata di EMD è stato 1.8 nel gruppo di controllo, 7.6 nel gruppo a bassa dose,

e 6.2 nel gruppo ad alta dose.Un significativo miglioramento dell'addensamento

retinico si è verificato maggiormente nel pazienti trattati, rispetto ai non trattati per

tutta la durata del follow-up, tuttavia tra i pazienti trattati, a causa di una maggiore

opacizzazione del cristallino è stata anche più frequente la necessità di ricorrere ad

un'operazione di estrazione della cataratta e successivo impianto di un cristallino

intraoculare. Nel complesso lo studio FAME ha mostrato dei benefici funzionali

molto significativi nei pazienti trattati con FA 0.2 μg/giorno o 0.5 μg/giorno durante

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un periodo di follow-up di 24 mesi, con rapporto rischi/benefici migliore per la

formulazione a basso dosaggio [Campochiaro PA, 2012; Sarao V, 2014; Haritoglu C,

2013]

Sicurezza dei corticosteroidi

Le complicazioni più comuni derivanti da una terapia oculare a base di corticosteroidi

sono l'aumento della pressione intraoculare e la formazione, o progressione della

cataratta [Dugel PU, 2015].

Dexamethasone

Ipertensione oculare

Nel precedentemente citato MEAD study il 29.7% dei pazienti trattati con impianto di

dexamethasone 0.7 mg o 0.35 mg, rispetto al 4.3% dei pazienti trattati con placebo, ha

mostrato un aumento della pressione intraoculare clinicamente significativo

(≥25mmHg). Nella maggioranza dei casi, tale situazione è stata tenuta sotto controllo

attraverso l'uso di trattamenti oculari ipotensivi o con la sola osservazione, a parte 7

pazienti (1%), di cui: 3 (0.4%) hanno richiesto un'operazione incisionale per il

glaucoma, mentre gli altri 4 (0.6%) una terapia laser per diminuire la pressione

intraoculare. L'aumento della pressione intraoculare è un fenomeno solitamente

transitorio, raggiunge il picco approssimativamente 6 settimane dopo ogni iniezione

dell'impianto, e ritorna ai livelli di partenza durante i 6 mesi successivi. [Boyer DS,

2014; Dugel PU, 2015]. Kupperman e colleghi hanno riportato invece che un aumento

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della pressione intraoculare ≥10mmHg si manifesta in meno del 20% di ognigruppo

trattato con impianto di dexamethasone e tale condizione può essere facilmente

controllata con il solo utilizzo di agenti topici.[Kuppermann BD, 2007].Anche i dati

del GENEVA study riportano casi di elevata pressione intraoculare, durante il picco

di aumento pressorio infatti (a 2 mesi), si poteva riscontrare un valore maggiore di

25mmHg nel 16% dei pazienti; e il numero dei pazienti facenti uso di agenti

antipertensivi oculari è cresciuto da 6%, all'inizo dello studio, fino al 24% a 6 mesi.

Un incremento di almeno 10 mmHg è stato visto nel 12.6% degli occhi, 2 mesi dopo

il primo impianto di dexamethasone, e nel 15.4% degli occhi, 2 mesi dopo il secondo

impianto. Alla fine del periodo di studio, della durata di 12 mesi, il 32.8% dei pazienti

ritrattati ha riportato un incremento di minimo 10 mmHg dalla baseline e per 14 occhi

è stato necessario ricorrere al laser o alla chirurgia per ridurre la pressione oculare

[Haller JA, 2010].

Formazione della cataratta

Nel MEAD study, il 66% dei pazienti fachici ha riportato complicazione correlata alla

cataratta (cataratta, cataratta corticale, cataratta nucleare, cataratta subcapsulare od

opacità lenticolare) durante il trattamento con l'impianto di dexamethasone (rispetto al

20.4% dei pazienti placebo) ed il 55.8% dei pazienti trattati ha richiesto un intervento

chirurgico per la cataratta durante il periodo dello studio (rispetto al 7.2% dei pazienti

placebo). L'aumento di incidenza delle complicazioni correlate alla cataratta si è

verificata durante il secondo e il terzo anno di trattamento, periodo nel quale si sono

praticate la maggior parte degli interventi chirurgici. Oltre alla cataratta e all'elevata

pressione intraoculare, altri eventi avversi più o meno frequenti riportati nello studio

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(mead) sono: emorragia congiuntivale (23.5%), emorragia vitrea (10.0%), fibrosi

maculare (8.3%), iperemia congiuntivale (7.2%), dolore all'occhio (6.1%), distacco

del vitreo (5.8%) e secchezza dell'occhio (5.8%). Oltre agli effetti collaterali derivanti

dall'esposizione all'agente farmacologico, si possono verificare effetti indesiderati

correlati alla procedure di iniezione come lacrimazione, distacco della retina, perdita

del vitreo ed endoftalmiti che si verificano, comunque, in meno del 2% dei pazienti.

Triamcinolone Acetonide

Nel caso di una terapia a base di TA oltre ai caratteristici effetti collaterali derivanti

dall'uso dei corticosteroidi si aggiungono le complicazioni legate alle frequenti

iniezioni necessarie per la somministrazione del farmaco: endoftalmiti infettive,

pseudoendoftalmiti, distacco regmatogeno della retina.

Ipertensione oculare

Bakri e Beer hanno riportato, nel 2003, che l'aumento della pressione intraoculare,

media o moderata, è stata vista nel 28%-42% dei pazienti, e solitamente nei primi tre

mesi successivi all'iniezione. Tale condizione può essere controllata con i soli agenti

topici, l'1% richiede un trattamento chirurgico. Studi comparativi su trattamenti con

diverse dosi di TA suggeriscono che l'ipertensione oculare secondaria all'iniezione

intravitreale di TA non sarebbe strettamente dipendente dalla dose usata, e che anche

una bassa dose potrebbe essere sufficiente per occupare tutti i recettori steroidei, a

causa di una suscettibilità personale, per questo alcuni autori suggeriscono che

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potrebbe essere utile una premedicazione con steroidi topici per identificare eventuali

steroid-responder, cosi da escluderli da tale tipo di trattamento.

Cataratta post iniezione

Un recente studio ha riportato che nella popolazione anziana, alte dosi intravitreali di

TA portano a cataratta clinicamente significativa con necessità di intervento

chirurgico nel 15-20% degli occhi entro un anno dall'iniezione [M. Detry-Morel,

2005]. Uno studio di Jonas e colleghi ha concluso che gli occhi con un'elevata

pressione intraoculare dopo l'iniezione intravitreale di TA hanno un rischio molto alto

di acquisire opacità alle lenti subcapsulari posteriori [Jonas JB, 2005]. Questa forte

associazione suggerice un meccanismo simile, steroide-indotto, nello sviluppo della

cataratta sub capsulare e nell'aumento della pressione intraoculare.

Endoftalmiti infettive post-iniezione

Rappresentano una delle più serie complicazioni legate alle iniezioni intravitreali di

TA, il rischio riportato per ogni iniezione varia da 0.1% a 1.6% [S. J. Bakri, 2005].

Molti studi suggeriscono che un tasso cosi relativamente alto di endoftalmite potrebbe

essere attribuibile alla tecnica utilizzata per le iniezioni. Se l'iniezione è effettuata in

condizioni di sterilita il rischio di infezione potrebbe essere inferiore [I. U. Scott,

2007]

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Pseudoendoftalmiti post-iniezione

Diversi studi hanno riportato la comparsa di endoftalmiti NON-infettivedopo iniezioni

intravitreali con TA [S. J. Bakri, 2005]. Queste pseudoendoftalmiti si verificano se i

cristalli di TA sono portati dai fluididalla cavità vitrea fino alla camera anteriore dove

si stabilizzano. Secondo i report questa complicazione si verifica nello 0.2%-6.7%

degli occhi che seguono taletrattamento. Comunque i cristalli nella camera anteriore

solitamente spariscono spontaneamente e non dovrebbero necessitare di rimozione,

inoltre non sono presenti finora report che mostrino danni all'endotelio della cornea o

alla rete trabecolare, inflitti dai cristalli [Jonas JB, 2006].

Distacco retinico regmatogeno

Un’altra potenziale complicazione dovuta ad somministrazione di TA intravitreale è il

distacco retinico regmatogeno. Il TA, iniettato nella cavità vitrea, infatti, porta a

cambiamenti nella struttura del corpo vitreo che potrebbe esercitare una trazione sulla

retina. In particolare nelle regioni periferiche dove la trazione del vitreo potrebbe

essere indotta dal peso dei cristalli [Sarao V, 2014].

Fluocinolone acetonide

Incidenza di complicazioni nel FAME study

Nel FAME study, già esaminato in precedenza, in cui si confrontavano le due diverse

dosi degli impianti di FA sono emerse le due complicazioni oculari più frequenti

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derivanti dall'uso dei corticosteroidi: progressione della cataratta ed incremento della

pressione oculare. La cataratta è stata riscontrata nel 42.7% del gruppo di pazienti

trattati con la dose più bassa di farmaco e nel 51.7% del gruppo ad alta dose, rispetto

al gruppo placebo in cui tale percentuale si fermava al solo 9.7%. Nel caso dei

pazienti fachici tale percentuale saliva all'81.7% di quelli trattati con l'inserto a bassa

dose, e all'88.7% di quelli trattati ad alta dose rispetto al 27.3% dei pazienti trattati

con placebo, e, un'operazione chirurgica è stata richiesta nell'80%, nell'87.2% e nel

27.3% dei pazienti rispettivamente. Per quanto riguarda l'aumento di pressione

intraoculare, valori superiori a 30 mmHg sono stati registrati nel 37.1% dei pazienti

del gruppo a bassa dose (di questi l'1.3% è stato trattato con trabeculoplastica laser, e

il 4.8% con incisional IOP-lowering surgery) e nel 45.5% del gruppo dei pazienti ad

alta dose (2.5% trattato con trabeculoplastica laser, e 8.1 incisional IOP-lowering

surgery) rispetto all'11% del gruppo placebo (0%, 0.5%) [Campochiaro PA, 2012;

Sarao V, 2014; Haritoglu C, 2013].

Conclusioni

L'uso di steroidi intravitreali sembra essere un'opzione molto valida per il trattamento

dell'EMD. Un crescente numero di oftalmologi fa utilizzo di steroidi intravitreali per

il trattamento di vari disturbi del segmento posteriore, specialmente quando i

tradizionali metodi terapeutici hanno fallito. Il triamcinolone acetonide è stato uno dei

primi farmaci utilizzati, ed è stato studiato in numerosi test clinici per il trattamento di

patologie oculari. Tuttavia, la sua necessità di ripetute iniezioni, ed i potenziali effetti

collaterali hanno portato allo sviluppo di sistemi alternativi per il rilascio di questi tipi

di farmaci nell'occhio. I sistemi di rilascio di DEX e FA richiedono infatti una minore

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frequenza di somministrazione rispetto ai trattamenti con TA, riducendo il rischio di

endoftalmiti e migliorando la compliance del paziente. Gli impianti, inoltre, grazie ad

un rilascio graduale, riducono il rischio di complicazioni dovute all’agente steroideo,

che tuttavia rimane elevato. Comparando i due sistemi di rilascio prolungato

possiamo affermare che l'impianto con DEX ha il vantaggio di una facile

somministrazione, la procedura d'impianto può infatti essere svolta in ambito

ambulatoriale, e la matrice di polimero biodegradabile permette il ritrattamento senza

la necessità di dover prima rimuovere l'impianto preesistente. Il FA ha invece, rispetto

al DEX, il vantaggio di una durata d'azione molto più elevata. Un punto molto

importante nel confronto tra i due farmaci è sicuramente l'incidenza di complicazioni

oculari, su tutte, l'aumento della pressione intraoculare e l'insorgenza di cataratta. Il

DEX è meno lipofilo del fluocinolone acetonide e mostra quindi un minor sequestro

nel cristallino e nella reta trabecolare, motivo per il quale presenta, potenzialmente, un

minor rischio di causare cataratta ed elevata pressione intraoculare. Anche rispetto ai

farmaci Anti-VEGF, i sistemi a rilascio prolungato richiedono una minore frequenza

di ri-iniezione, il che si traduce in una minore incidenza di complicazioni correlate a

trattamenti frequenti, una maggiore compliance del paziente ed una riduzione

sostanziale dei costi di trattamento, che ad esempio, nel caso di ranibizumab e di

aflibercept possono essere molto elevati. Appare difficile che i corticosteroidi possano

sostituire i VEGF come terapia di prima linea nel trattamento dell'edema maculare

diabetico a causa dell' elevato rischio di complicazioni intraoculari correlate agli

steroidi. Tuttavia, grazie alle favorevoli proprietà farmacocinetiche potrebbero

costituire un'ottima terapia di prima linea per l'EMD in occhi vitrectomizati, nei quali

i farmaci Anti-VEGF sono meno efficaci a causa della loro emivita più breve. Inoltre

sembrano essere una sensata opzione terapeutica nei casi di EMD persistente o

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resistente agli anti-VEGF e alla laser terapia.

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