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REGIONALISMO E SANITÀ Vantaggi e svantaggi della devolution in sanità Roma, 24 gennaio 2001

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REGIONALISMO E SANITÀ

Vantaggi e svantaggi della devolution in sanità

Roma, 24 gennaio 2001

INDICE

1. Perché il federalismo in sanità Pag. 1

2. Le posizioni istituzionali e politiche “ 8

2.1. Stato e regioni “ 8 2.2. Le posizioni politiche “ 12

3. Il funzionamento delle macchine regionali “ 15

3.1. Programmazione “ 15 3.2. Finanziamento, spesa e disavanzi “ 19 3.3. Strutture e strumenti “ 25 3.4. Indicatori di funzionamento “ 32

4. Decentramento, devolution e centratura periferica “ 43

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1. PERCHÉ IL FEDERALISMO IN SANITÀ

Il Servizio Sanitario Nazionale continua ad essere considerato nazionale non per mera convenzione, quanto perché la sua regionalizzazione ed i relativi risultati appaiono per ora dipendere più da una storia applicativa discendente dal centro che non da un vero e proprio esercizio di governo locale e di applicazione di modelli differenti sviluppati localmente.

Cionondimeno è stato autorevolmente ipotizzato che il Servizio Sanitario Nazionale sarà con tutta probabilità il banco di prova più significativo della tensione federalista che attraversa le correnti di riforma dello stato. Si tratterà verosimilmente di un percorso di una certa lunghezza e diffusamente contrattato; ma sembra prossimo ed inevitabile almeno il completamento del disegno regionalista, fortemente basato sullo spostamento delle competenze di governo dall’Amministrazione centrale verso quelle regionali: in adempimento quindi da un lato del dettato costituzionale, dall’altro della oramai più volte rivista legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (L. 833/78).

Le ragioni di questa affermazione sono diverse, ma è verosimile ritenere che la sanità sia oggi oggetto di attenzioni particolari a partire dalla constatazione che i fondi sanitari costituiscono gran parte dei bilanci regionali. I seguenti elementi di natura economico-finanziaria vengono infatti richiamati ripetutamente e da diverse parti nel dibattito sul Federalismo sanitario:

- il fatto che la spesa sanitaria già rappresenti la gran parte della manovra finanziaria delle Regioni, che spiega in buona misura la aspirazione a non avere vincoli sulle destinazioni e sulle modalità d’uso delle disponibilità di bilancio;

- la lunga esperienza di gestione della materia sanitaria, per cui il compimento dell’autonomia di governo da parte delle Regioni poggerebbe su apparati gestionali e su assetti programmatori potenzialmente capaci di affrontare gli impegni di governo trasferiti dallo stato centrale;

- la diminuzione, ovvero il ritiro completo, della funzione direttrice dello Stato centrale letta, questa volta sul fronte centralista, come strumento di

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responsabilizzazione degli apparati di servizio, di fronte al costante deficit della finanza sanitaria. Si tratta di un argomento forte, che viene rigettato dalle Regioni, in quanto non si sentono responsabili dei debiti pregressi (determinati dalle impostazioni centralistiche) ed in quanto ritengono di dover ridiscutere i livelli di finanziamento provenienti dallo stato centrale.

E se è vero che i livelli di spesa sanitaria pubblica e privata in Italia sono tra i più bassi tra quelli dei paesi industrializzati, fatto questo che da solo giustificherebbe la posizione delle Regioni di non volersi accollare i debiti pregressi, non traspare fin qui una netta posizione da parte regionale a voler approfittare dei margini dati dalla legislazione più recente, che pure consentirebbero un ripensamento del sistema dei servizi per la salute in termini di ipocosto e di iso-efficacia.

Ridurre l’opzione federalista ad una pura accentuazione del ruolo delle Regioni in materia di scelte economiche per la sanità appare però assolutamente insufficiente; col rischio di perdere una occasione storica per una riforma del settore, che potrebbe fungere da guida anche per il ripensamento di altri comparti delle politiche pubbliche.

Il secondo tema forte a favore dell’evoluzione federalista poggia sull’assunto di sussidiarietà. Ma anche in questo caso è possibile rinvenire almeno tre opzioni:

- da un lato si ritiene che il complemento della sussidiarietà vada rinvenuto essenzialmente e prioritariamente nell’abbandono della posizione monopolistica del pubblico nella produzione di servizi e prestazioni per la salute. E’ questa in larga misura la posizione espressa dalla Regione Lombardia, ma sulla quale si dispongono (anche se in senso spesso meno dichiaratamente politico) altre regioni. Del resto il tema delle “esternalità” resta costantemente sullo sfondo. Se da un lato è motivo di preoccupazione che si debba avviare il percorso federalista proprio in un settore altamente esternalizzato, laddove quindi il controllo della spesa e della efficacia appare più problematico, dall’altro viene rilevato che non tanto i servizi sanitari, generalmente intesi, appartengono alla categoria dei beni pubblici, quanto piuttosto il bene-salute. Si tratta di una affermazione estremamente importante, che rimanda agli utenti la selezione dei soggetti di produzione di prestazioni ed interventi sanitari, senza alcun primato del settore pubblico, e spingendosi oltre, mettendo in

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discussione la stessa legittimità di un Servizio Sanitario Nazionale di produzione, per sostenere un Servizio Sanitario di garanzie latamente intese;

- per altri versi, si ritiene che la funzione pubblica debba essere sì distinta da quella di produzione di servizi sanitari, ma stimolando soprattutto la ricerca e la qualificazione più avanzata di un ruolo più ampio di governo e programmazione, soprattutto regionale, dei processi di tutela della salute e della qualità della vita. Ciò significa qualificare la funzione di scelta da parte dei ruoli di governo della sanità per cui, rendendo equipollenti le funzioni “make or buy” (produzione o acquisto) sia possibile garantire sufficiente livello di copertura rispetto ai bisogni della popolazione, adeguatamente definiti in ambito di programmazione. Si tratta di un modello fortemente basato sul “rapporto regione – aziende”, che caratterizza ad esempio le linee di programmazione della Regione Emilia Romagna;

- una terza posizione individuabile rispetto alla sussidiarietà viene ricondotta alla necessità di rintracciare forme ed ambiti per il governo e per la gestione il più vicini possibili ai luoghi della cittadinanza e della formazione dei bisogni, riallacciandosi in questo senso sia a buona parte della dottrina federalista, sia alle esperienze più consolidate anche nel campo dell’organizzazione sanitaria. In questa direzione si distinguono alcune Regioni (tra le quali le Marche ed il Friuli Venezia Giulia), che più coerentemente orientano l’azione programmatica ed il modello di governo della sanità a partire dal basso, ovvero dai distretti.

E’ quindi evidente, sin da queste prime osservazioni, che in qualche misura la questione del federalismo in sanità ha una sua propria specificità ed autonomia nel più ampio dibattito sulla riforma dello Stato. Ed è pure sostenibile che tale questione sia stata inopportunamente ridotta attorno a temi di rilevanza squisitamente economico – finanziaria. Con negligenza rispetto ad altre importanti questioni di strategia e di modello.

Peraltro non è difficile argomentare che una riforma federalista debba veder procedere di pari passo obiettivi e strumenti, e quindi, in termini più specifici, autonomia di governo e strumenti di finanziamento.

La Legge 133/1999 aveva già introdotto alcuni criteri sulla base dei quali organizzare il Finanziamento delle regioni da parte dello Stato.

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La manovra sanitaria della Finanziaria 2001 li ha così ribaditi e precisati:

- abolizione dal 1 gennaio 2001 dei vincoli di destinazione dei trasferimenti statali per la sanità;

- obbligo di garantire comunque fino al 2003 livelli di assistenza pari a quelli definiti dal riparto dei fondi del S.S.N. (quota capitaria);

- dal 2003 soppressione anche di questo ultimo vincolo;

- copertura degli eventuali disavanzi di gestione, sulla base del Patto di Stabilità e Crescita già sancito, attraverso l’autonomia impositiva ed a seguito di un processo di concertazione con i Ministeri interessati e la Conferenza Permanente per i Rapporti tra Stato e Regioni;

- sperimentazione da parte delle Regioni del budget di distretto.

La Legge 133/1999 aveva peraltro introdotto la determinazione delle quote di finanziamento attribuite alle Regioni non più su base pro-capite ma in relazione alle basi imponibili e l’istituzione di un Fondo perequativo nazionale.

Sotto il profilo dell’autonomia di governo da parte delle Regioni, quindi, la legge Finanziaria 2001 ha confermato la trasformazione in senso regionalista della sanità. Certo, permangono dubbi:

- quelli di carattere generale, derivanti dal timore del progressivo smantellamento di un sistema di garanzie formali e sostanziali, che ha caratterizzato nel bene e nel male lo stato italiano in assetto centralista;

- e quelli più specifici, connessi ad un ipotetico tasso di “disordine”, dal quale potrebbero derivare forti diseguaglianze nei livelli di garanzia di salute e di copertura sanitaria nelle diverse ripartizioni e regioni del paese;

- alla perdita complessiva di coesione, che potrebbe indebolire dal punto di vista qualitativo la capacità del servizio sanitario;

- al limitato sviluppo della trasformazione federalista, qualora questa si arrestasse sulla soglia delle Regioni, senza compiere il cammino verso ambiti territoriali più prossimi alla popolazione.

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Sotto il profilo dei dubbi di carattere generale, vale la pena rimarcare due posizioni (la prima di natura fortemente entusiasta, la seconda sicuramente più prudente) tra quelle espresse in relazione all’abbandono della posizione centralista.

Secondo la prima, “un sistema di federalismo fiscale implica un certo livello di differenziazione nell'offerta di beni pubblici da parte delle varie amministrazioni. Tale differenziazione dipende proprio dalle diverse esigenze o preferenze dei cittadini, oltre che, naturalmente, dall'ammontare delle risorse a disposizione. In altre parole, con il federalismo fiscale si verifica il superamento della logica dell'uniformità, ossia della pretesa di stabilire centralisticamente le modalità di erogazione di identici servizi in tutto il territorio nazionale (…). Si tratta di infrangere un autentico dogma della cultura dello Stato centralista, un dogma a cui peraltro raramente seguono fatti concreti, se consideriamo che alla presunta uniformità delle regole raramente corrisponde un'uniformità dei risultati ottenuti nelle diverse regioni. (…) Naturalmente, tale differenziazione non può mettere in discussione alcuni fondamentali diritti di cittadinanza sociale”1.

Secondo la seconda, “l'accentuazione autonomistica del nostro ordinamento deve essere accompagnata dalla ricerca di elementi unificanti, rappresentati dall'obiettivo ultimo di assicurare uniformemente la tutela della salute anche sulla base della considerazione che nei sistemi federali è diffusa una cultura che vede nel welfare il momento unificante delle diversità istituzionali. Una affermazione di questo tipo rischia peraltro di rimanere priva di senso se non affrontata sia sotto il versante delle logiche di governo, sia se non tiene conto di quanto si è venuto fin qui strutturando storicamente dal punto di vista dell'organizzazione del Servizio Sanitario”2.

Se è possibile rintracciare un motivo comune alle due opinioni, esso sta nel fatto che i meccanismi di garanzia, che fin qui sono stati attribuiti al livello centrale dello Stato, devono essere spostati ad altri livelli sulla base di dinamiche che, per approssimazione, potremmo considerare di domanda ed

1 Fondazione Giovanni Agnelli, Una proposta di federalismo fiscale, G. Brosio, G. Pola e D. Bondonio (a cura di) luglio 1994

2 Conferenza Nazionale sulla Sanità, Commissione di lavoro Partecipazione, Federalismo e Nuova programmazione, 1999

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offerta. La dimensione locale (quella prospettata da un federalismo compiuto e di natura sussidiaria) dovrebbe consentire infatti un diverso regime di concertazione, di partecipazione, di corresposabilizzazione, in cui siano presenti attori tanto del versante dell’offerta quanto di quello della domanda.

Va qui richiamato anche l'articolo del D.leg.vo 229, che prevede una funzione specifica ed obbligatoria dell'associazionismo (arricchito oggi dalla accezione normata dell'associazionismo di promozione sociale, a completare un quadro tutto sbilanciato sui rapporti tra soggetti dell'offerta) in rapporto a funzioni di controllo, di programmazione, di verifica. “La partecipazione è principalmente valorizzazione di persone e formazioni sociali che chiamano in causa, tra l'altro, la funzione di committenza delle ASL e un nuovo ruolo dell'informazione da ricollegare anche al processo di accreditamento”3.

Per quanto riguarda la ricerca degli elementi unificanti, inoltre, sarebbe probabilmente sterile tentare di adeguare i diversi assetti organizzativi regionali e locali secondo una logica di emulazione del “massimo comune”, intendendo cioè il problema della garanzia di equità solo in termini di equa distribuzione delle stesse strutture di offerta. Qui occorre evidentemente riconsiderare cosa siano i livelli minimi e cosa effettivamente vada garantito. E' possibile infatti pensare ad un modello federalista omogeneo nei risultati, bilanciato nei processi, solidale anche in termini di mutualità operativa e non solo fiscale, adeguato nei livelli di offerta ma comunque non appiattito sulla omogeneità delle strutture di offerta.

Dall’analisi che segue emerge che:

- la polarizzazione delle posizioni e delle esperienze a livello regionale in campo sanitario, tra Regioni di Centrodestra e Regioni di Centrosinistra, che emerge dalla comunicazione pubblica, non rende giustizia della articolazione reale dei fatti e delle situazioni, ben più differenziate;

- più marcate continuano ad essere le differenze tra la posizione centralistica (di prerogativa e indirizzo prevalente dal centro nazionale) e le posizioni federalistiche (di responsabilità reale delle Regioni e dei territori locali);

3 Ibidem

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- altrettanto marcate sono le differenze tra Nord, Centro e Sud, con le Regioni settentrionali che operano sulla base di Piani Regionali, quelle del Centro spesso con ritardi programmatori gravi, e quelle del Sud con sostanziale assenza di strumenti di programmazione, e con grandi disparità sul piano della dotazione di strutture;

- i risultati economici più soddisfacenti sembrano dipendere soprattutto dalla capacità di governo del settore, fondata sulla programmazione coerente nel tempo e sulla capacità di lavorare per obiettivi e step incrementali successivi;

- la sostanziale indipendenza tra performance finanziaria e mobilità sanitaria delle Regioni fa ritenere che non necessariamente tutte le Regioni debbano attrezzarsi con presidi specialistici per patologie più o meno rare;

- occorre uscire da una considerazione della sanità come problema prevalentemente strutturale e di offerta, per centrare l’attenzione sulle finalità, di politica sanitaria complessiva, sui bisogni di salute e sul ruolo che giocano per la salute la ricerca, lo sviluppo, l’ambiente e l’alimentazione a livello locale;

- occorre individuare ambiti territoriali nei quali i problemi di cui sopra siano rilevanti e pertinenti, e definire e sviluppare una logica ampia di collaborazione verticali e orizzontali di sussidiarietà e integrazione (devolution della devolution).

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2. LE POSIZIONI ISTITUZIONALI E POLITICHE

2.1. Stato e regioni

Un recente documento, elaborato dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, consente di puntualizzare quali siano le posizioni che sono venute maturando nel rapporto tra Stato e Regioni a riguardo del federalismo in sanità4.

Sotto il profilo della regolamentazione del settore, la Conferenza rileva che (tav. 1):

- rispetto all’Accordo sulla spesa sanitaria del 3 agosto 2000, il Ministero deve definire l’Atto relativo alla definizione dei livelli essenziali di assistenza, ritenuto fondamentale per l’intera gestione del sistema sanitario;

- risulta già elaborata dal Ministero della Sanità la bozza di Atto di indirizzo e coordinamento per il settore socio-sanitario, rivista di recente alla luce della riforma dell’assistenza;

- sono ancora in stato di elaborazione da parte di gruppi di lavoro misti “Regioni-Ministero” l’Atto di indirizzo e coordinamento sugli IRCCS e le Proposte di linee guida per i Protocolli d’Intesa tra Università e Regioni;

- è in via di definizione anche il regolamento che disciplina i Fondi sanitari integrativi.

4 Dossier sanità, a cura della Segreteria della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e

delle Province autonome, presentato al seminario Sistema Sanitario: devolution e federalismo, Venezia, 16 novembre 2000

Tav. 1 – I contenuti dell’accordo sulla spesa sanitaria del 3 agosto 2000 integrato dalle disposizioni del Ddl Finanziaria 2001 (aggiornamento a novembre 2000)

A. IMPEGNI DEL GOVERNO 1. Riparto del FSN 2000 con incremento di 6860 mld. (Tot. 124.000 mld.) 2. Riparto del FSN 2001 pari a 129.000 mld. 3. Proposta del Ministero della Sanità sulla definizione dei Livelli essenziali di assistenza con riferimento

a: - Atto di indirizzo e coordinamento relativo all’integrazione socio-sanitaria (Art. 3 septies, D. Lgs.

229/99) - Regolamento sui Fondi integrativi (Art. 9, comma 8, D. Lgs. 229/99)

4. Atto di indirizzo e coordinamento Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) 5. Atti per avviare il nuovo sistema di rapporti tra SSN e Università 6. Spese per investimenti:

- 1.800 mld. per realizzazione strutture per attività libero- professionale intramuraria - 2000 mld. incremento dei 30.000 mld fissati dall’art. 20 L. n. 67/88 - 2000 mld. di incremento per le finalità di cui all’art.20 L.n 67/88 - Individuazione di nuove regole più efficienti per le risorse da destinare all’edilizia sanitaria

7. Ripiano di disavanzi pregressi fino al 31 dicembre 1999: 16.000 mld. di cui 12.000 mld. saranno allocati in base alle proposte già formalizzate all’interno della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome; 3.000 mld. saranno ridefiniti dal Governo d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni; 1.000 mld. saranno allocati su iniziativa del Governo per risolvere situazioni specifiche di difficoltà che sono emerse

8. Predisposizione del Ddl per l’utilizzo dei 13.000 iscritti in Finanziaria 2000 9. Integrazione di 3.000 mld. in Finanziaria 2001 10. Disponibilità di:1.614,7 mld. ex art. 28 L. n. 448/98 11. Fondi ex art. 1 co. 34 e 35 L. n. 662/96 (1.005,1 mld. per il 1999; 170 mld. per il 2000 )

B. IMPEGNI DELLE REGIONI 1. Impegno a coprire eventuali disavanzi mediante aumento delle imposte regionali. Le regioni hanno

proposto emendamenti nel senso della propria autonomia finanziaria 2. Definizione di un sistema di rendicontazione e monitoraggio della spesa (criteri uniformi; tempestività

nei tempi di trasmissione; compatibilità con il sistema dei conti pubblici)

C. IMPEGNI CONGIUNTI 1. Attivazione di procedure di monitoraggio e verifica dei livelli di assistenza e dell’andamento della spesa

sanitaria 2. Modifica delle modalità di erogazione delle risorse finanziarie alle Regioni e del sistema dei pagamenti

alle ASL 3. Rimozione del vincolo di destinazione. Ciascuna Regione s’impegna a destinare al finanziamento della

spesa sanitaria risorse non inferiori alle quote che risultano dal riparto delle risorse destinate al finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale

Fonte: Elaborazione Censis su Dossier sanità, a cura della Segreteria della Conferenza dei Presidenti

delle Regioni e delle Province autonome

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Per quanto attiene gli aspetti finanziari, mentre è stata definita la ripartizione dell’integrazione di 6.800 mld. al Fondo Sanitario Nazionale 2000, devono ancora essere esaminate – prima dalla Conferenza dei Presidenti e, successivamente, per l’intesa in Conferenza Stato-Regioni - le proposte sui nuovi criteri per il Fondo Sanitario Nazionale 2001 ed il relativo riparto.

In sede di discussione del Ddl Finanziaria 2001, le Regioni hanno ribadito che, proprio nella direzione del federalismo reale che ha ispirato l’Accordo, le procedure per la copertura di eventuali disavanzi devono essere stabilite dalle stesse Regioni. Sempre nel rispetto dell’Accordo, inoltre, è stato stabilito che le minori entrate conseguenti la riduzione dei tickets e l’abolizione della Fascia B dal Prontuario non dovranno essere addebitate alle Regioni.

Infine, le Regioni hanno sollecitato la presentazione del Ddl per l’utilizzo delle risore – 13.000 mld. – già iscritte in Finanziaria 2000 per la copertura dei debiti pregressi.

Vale la pena ricordare anche quali siano state le proposte delle Regioni rispetto alla Finanziaria 2001 in materia di Sanità. Le Regioni hanno proposto infatti una serie di emendamenti ed alcune norme aggiuntive, recuperando anche alcuni emendamenti di modifica al D. Lgs. 229/99, già condivisi in Conferenza Unificata:

a) hanno contestato le procedure previste in merito all’accertamento di eventuali disavanzi di spesa e alla relativa copertura, che dovrebbero essere individuate autonomamente dalle stesse Regioni, aumentando le imposte o riducendo le spese correnti. L’art. 83 della Finanziaria ha recepito in parte tale posizione, rimandando l’impegno ad una procedura di tipo concertativo (non quindi pienamente autonoma da parte delle Regioni né totalmente centralizzata) in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano. Lo Stato si riserva peraltro di intervenire in caso di inerzia da parte delle amministrazioni regionali;

b) per quanto attiene lo stanziamento di 16.000 mld., relativo ai debiti pregressi, le Regioni hanno chiesto l’allocazione di 11.000 mld. nel 2001 e 5.000 nel 2002. Nel corso di successivi incontri nell’ambito dell’iter parlamentare della Finanziaria è stata concordata una nuova

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modulazione: 7.000 mld. per il 2001; 6.000 mld. per il 2002; 3.000 mld. per il 2003;

c) in merito alla manovra di progressiva eliminazione dei tickets e all’abolizione della fascia B del Prontuario Terapeutico, che porteranno a conseguenti minori entrate proprie delle ASL, hanno chiesto un impegno del Governo a dare copertura a tali minori entrate, che non potranno essere addebitate alle Regioni, qualora comportino un deficit nel 2001. La Finanziaria ha disposto al riguardo un aumento della dotazione del FSN pari a circa 2.000 miliardi annui per il prossimo quadriennio;

d) le Regioni hanno formulato diversi emendamenti relativi al settore della Farmaceutica, ritenuti però inammissibili dalla Commissione Bilancio. Le proposte di modifica sono state, successivamente, presentate alla XII^ Commissione della Camera dei Deputati in relazione all’esame in corso del provvedimento “Disposizioni urgenti in materia sanitaria”;

e) le Regioni hanno proposto l’introduzione di una norma che tenda alla semplificazione dei procedimenti relativi ai finanziamenti per l’edilizia sanitaria, legati ancora alle procedure previste dall’art.20 L. n. 67/88;

f) altre proposte emendative prevedono la non assoggettabilità all’IRPEG dei presidi delle Aziende USL e Aziende ospedaliere, la modifica alla normativa I.V.A. equiparando le Aziende sanitarie alle Regioni e agli Enti Locali e l’esonero dal pagamento dell’I.V.A. nel caso di esternalizzazione di servizi da parte delle Aziende Sanitarie;

g) infine, per quanto attiene più strettamente l’area del sociale, le Regioni hanno ribadito la richiesta di previsione di confluenza delle varie linee di finanziamento nel Fondo Sociale Unico.

Ulteriori spunti di riflessione derivano dalle proposte formulate in merito al Piano Sanitario Nazionale (PSN) 2001-2003. A questo proposito le Regioni hanno sottolineato l’importanza che il nuovo Piano venga concepito come prosecuzione del vigente e ne confermi l’indirizzo programmatorio rispetto agli obiettivi fondamentali. L’attuale Piano, infatti, individua obiettivi certamente rispondenti alle esigenze di salute del Paese, anche se difficilmente raggiungibili in tempi brevi. Il nuovo PSN dovrebbe, secondo le Regioni, approfondire due temi di rilevanza fondamentale strettamente correlati agli impegni assunti nell’Accordo del 3 agosto scorso:

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- la definizione dei livelli essenziali di assistenza;

- e la definizione dell’area di integrazione socio-sanitaria.

Infine, andrebbe meglio approfondito il rapporto tra PSN e Progetti Obiettivo (P.O.), che vengono approvati con provvedimenti separati: i P.O. in attuazione del vigente Piano risentirebbero, infatti, di un eccessivo livello di dettaglio, configurandosi in alcuni casi una chiara sovrapposizione dell’autonomia regionale in materia di definizione dei modelli organizzativi.

2.2. Le posizioni politiche

Elementi di valutazione delle posizioni politiche, che si confrontano sul tema del ruolo delle Regioni nel governo della Sanità, sono desumibili dalle dichiarazioni programmatiche delle Giunte a seguito della ultima tornata elettorale.

La campagna elettorale ha dato rilievo, infatti, ad una contrapposizione che vedeva il Centrodestra, soprattutto al nord, impegnato sul tema della "devoluzione" dallo Stato alle Regioni e sull’impegno di dare pari dignità a sanità pubblica e privato accreditato, così da lasciare "libera scelta" al cittadino, assegnando alle istituzioni un ruolo di garanzia di qualità.

Le linee portanti della politica del Centrosinistra si sono invece fondate essenzialmente sullo sviluppo dell’universalità del diritto all’accesso delle prestazioni e sulla qualificazione dell’offerta secondo i criteri di efficacia e di appropriatezza.

Nella analisi delle dichiarazioni programmatiche emerge, però, un atteggiamento complessivamente più morbido e mediato da parte dei due schieramenti, con differenziazioni di sostanza all’interno di ognuno di essi (tav. 2).

Tav. 2 – I principali obiettivi in tema di sanità nelle Regioni di Centrodestra e Centrosinistra

Centrodestra Centrosinistra

Abruzzo Sviluppo delle strutture sanitarie della Regione Impulso per la ricerca e per le grandi opere Basilicata

Uniformi livelli di assistenza Maggiormente funzionalità delle strutture sanitarie del territorio Riorganizzazione della rete ospedaliera, evitando inutili duplicazioni ed assegnando una specifica funzione ad ogni struttura Qualificazione dei servizi esistenti

Calabria Pari dignità tra sanità pubblica e privata Rafforzamento dell'assistenza territoriale e impulso ai settori carenti Campania

Definizione di un Piano Sanitario Regionale armonizzato con il Piano Sanitario ospedaliero “Azioni strutturali”: l’organizzazione dei distretti, dei servizi di base di medicina generale e di medicina pediatrica, dei servizi ambulatoriali specialistici, della rete ospedaliera, eccetera “Interventi-progetto” sull’ambiente(aria, acqua, sistemi dei rifiuti, radiazioni), sulle fasce a rischio sociale (poveri, immigrati, emarginati, adolescenti a rischio) e a favore dei trapianti d’organo

Lazio "Buono" per i cittadini meno abbienti che scelgano il privato, quando il pubblico non è in grado di soddisfare le necessità Riequilibrio tra pubblico e privato in sanità

Emilia Romagna

Universalità del diritto all'accesso e alla fruizione delle prestazioni del servizio sanitario Qualificazione ulteriore del servizio pubblico Maggiore ruolo degli enti locali nell'indirizzo e programmazione, in sintonia con il nuovo Psr

Liguria

Trasferimento alla Regione di tutta la competenza in materia di sanità Riorganizzazione delle strutture, coordinando le risorse pubbliche con quelle private, garanzia di elevati standard qualitativi capaci di interessare il mercato italiano ed europeo Valorizzazione delle vocazioni del territorio, con particolare riguardo alla vicinanza con l'Europa e alla terza età

Marche

Servizio sanitario come Sistema della Salute, che significa tutela ambientale, della qualità dell'aria, ecc. Potenziamento degli ospedali (alta tecnologia, alta professionalità, alta umanizzazione) e della rete dell'emergenza Istituzione di uno "Sportello Marche" per semplificare l'accesso alle prestazioni, con "stazioni" ubicate presso tutti i medici di base e tutte le strutture distrettuali

Lombardia

Equiparazione tra servizio pubblico e strutture private accreditate Facilità nell'accesso ai servizi Trasparenza e riduzione delle liste d'attesa Riqualificazione professionale del personale Modernizzazione delle strutture, anche attraverso finanziamenti privati nel settore pubblico

Molise

Applicazione immediata della “riforma ter”, con l'introduzione degli strumenti di partecipazione previsti e del controllo concreto ed efficace nella qualità delle prestazioni erogate Agevolazioni ai comuni nella realizzazione di Adi e Rsa Elaborazione del nuovo Piano Sanitario Regionale e razionalizzazione delle Asl

Piemonte Innalzamento della qualità dei servizi, sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista dell'accoglienza del cittadino Sviluppo delle politiche rivolte alla popolazione anziana

Toscana

Informatizzazione dei servizi per la riduzione dei tempi di attesa Potenziamento dei servizi destinati agli anziani (Adi, Rsa) Forte rilancio delle politiche di prevenzione, con un'attenzione particolare per gli infortuni sul lavoro

Puglia Elaborazione del Piano Sanitario Regionale Organizzazione del Distretto, con il contributo dei Comuni Razionalizzazione dell'assistenza territoriale e ospedaliera

Umbria

Completamento del Piano di Edilizia Sanitaria e del progetto sui servizi sanitari del capoluogo Primato del Sistema Sanitario Nazionale, puntando ad un ulteriore miglioramento della qualità e dell'accessibilità dei servizi

Veneto

Valorizzazione dei professionisti che operano nel sistema sanitario Integrazione tra ospedale e territorio Ridimensionamento della rete ospedaliera e sviluppo di servizi in ambito territoriale Promozione della ricerca scientifica, anche in collaborazione con soggetti privati

Fonte: elaborazione Censis su dati Il Bisturi, 2000

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Non vi è ad esempio una assoluta identità, un pattern definito, del Centrodestra. Molte regioni in questo ambito si ispirano ad un ipotetico modello lombardo, richiamando la necessità di "parificare" servizi pubblici e privati. Veneto, Piemonte ed anche Puglia si distaccano però dal coro, nella ricerca di elementi maggiormente orientati al territorio ed alla assistenza di base, ripercorrendo temi in questo caso cari ad una tradizione condivisa anche dalla sinistra. Le scelte sembrano esser eminentemente di carattere “gestionale”, ma la capacità della Lombardia di proporsi come “modello” rafforza complessivamente le ragioni di un nucleo di Regioni che si contrappone allo stato centrale, aggregando in questo anche il Veneto, che pure si pone su altri fronti di azione.

Anche nel Centrosinistra si rilevano situazioni sostanzialmente diverse, anche in ragione di una diversa maturazione del ruolo di governo delle Regioni. La Campania sembra rincorrere soprattutto l’obiettivo del Piano Sanitario Regionale e lo fa oggi anche il Lazio; altre insistono su partecipazione, localizzazione delle scelte, integrazione e multiformità del sistema salute.

Altre Regioni ancora puntano su elementi di carattere tecnico che possono rafforzare l'efficacia e l'efficienza di modelli organizzativi ormai consolidati (Toscana ed Emilia Romagna).

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3. IL FUNZIONAMENTO DELLE MACCHINE REGIONALI

Dal confronto tra le diverse Regioni rispetto al funzionamento degli apparati regionali, emerge una situazione variegata, all’interno della quale per molti aspetti non sono riscontrabili particolari regolarità e corrispondenze in base alla dimensione regionale, all’orientamento politico, e a volte anche in base alla localizzazione territoriale (tav. 3).

Per alcuni altri aspetti, trattati nel dettaglio nei paragrafi che seguono, emerge la significatività della localizzazione territoriale, della spesa storica e in qualche caso della densità demografica. L’analisi degli indicatori di funzionamento rilevati dall’Istat dà nuovamente ampio rilievo alla dimensione territoriale Nord-Sud.

3.1. Programmazione

Un primo elemento, sulla base del quale capire come le Regioni stiano interpretando il passaggio dalla organizzazione centralista a quella federalista della sanità, deriva dalla semplice osservazione dello stato della programmazione regionale.

Dal quadro seguente (tav. 4) emerge con facilità di lettura che la distinzione tra governi di destra e di sinistra cede il passo ad una più consolidata caratterizzazione Nord-Centro-Sud, con:

- le Regioni settentrionali che operano sulla base di Piani Regionali, ancorché un po’ datati (come nel caso del Veneto) o di difficile approvazione (Lombardia);

- quelle del centro con situazioni di ritardo ormai storico (come nel caso del Lazio), che contrastano con Regioni che della pianificazione hanno fatto uno strumento di lavoro puntuale e ricorrente (Toscana ed Umbria);

- e quelle del Sud che continuano a “governare” in assenza di strumenti complessivi di programmazione, ad eccezione della Basilicata e della Sicilia.

Tav. 3 – Scostamenti dalla media nazionale nei dati di funzionamento degli apparati regionali in sanità 1 solo elemento di scostamento Emilia-Romagna Alta dotazione di pediatri di libera scelta Friuli-Venezia Giulia Minor tasso di utilizzo posti letto Marche Maggior tasso di ospedalizzazione Piemonte Minor tasso di ospedalizzazione Sardegna Minor tasso di utilizzo posti letto 2 elementi di scostamento Liguria Alta dotazione di pediatri di libera scelta

Bassa presenza di ospedali privati accreditati Lombardia Alta spesa per ospedalità convenzionata

Alta concentrazione di strutture di alta complessità Molise Maggiore attività di guardia medica

Bassa presenza di ospedali privati accreditati Toscana Minore disavanzo finanziario

Alta presenza di ambulatori e laboratori pubblici Veneto Bassa presenza ospedali privati accreditati

Maggior tasso di utilizzo di posti letto 3 o più elementi di scostamento Abruzzo Alta spesa farmaceutica

Alta presenza di ospedali privati accreditati Maggior tasso di ospedalizzazione

Umbria Minore disavanzo finanziario Alta spesa per gestioni dirette Minor dotazione di posti letto ospedalieri

Sicilia Alta spesa farmaceutica Minor dotazione di posti letto ospedalieri Alta presenza di ambulatori e laboratori privati

Bolzano Disavanzo finanziario più alto Prevalenza di spese per gestioni dirette Minore dotazione di medici di base e pediatri di libera scelta Alta presenza di ambulatori e laboratori pubblici

Calabria Alta spesa farmaceutica Maggiore attività di guardia medica Alta presenza ospedali privati accreditati Minor tasso di utilizzo posti letto

Puglia Alta spesa per ospedalità convenzionata Alta spesa farmaceutica Maggior tasso di ospedalizzazione Minor tasso di utilizzo di posti letto

Trento Disavanzo finanziario alto Miglior dotazione di medici di base e pediatri di libera scelta Maggiore attività di guardia medica Maggior dotazione di posti letto ospedalieri

Campania Alta spesa farmaceutica Bassa dotazione di medici di base e di pediatri di libera scelta Alta presenza di ambulatori e laboratori privati Minor dotazione di posti letto ospedalieri Alta presenza di ospedali privati accreditati Minor tasso di ospedalizzazione

Lazio Alta spesa per ospedalità convenzionata Alta spesa farmaceutica Alta dotazione di medici di base e di pediatri di libera scelta Maggior dotazione di posti letto ospedalieri Alta presenza di ospedali privati accreditati Maggior tasso di utilizzo di posti letto

Basilicata Alta spesa farmaceutica Bassa dotazione di pediatri di libera scelta Alta presenza di ambulatori e laboratori pubblici Maggiore attività di guardia medica Minor dotazione di posti letto ospedalieri Bassa presenza ospedali privati accreditati Minor tasso di utilizzo posti letto

Valle d'Aosta Disavanzo finanziario alto Prevalenza di spese per gestioni dirette Alta presenza di personale dipendente Maggiore attività di guardia medica Minor dotazione di posti letto ospedalieri Assenza di ospedali privati accreditati Minor tasso di ospedalizzazione Maggior tasso di utilizzo di posti letto

Fonte: Censis, 2001

Tav. 4 – La programmazione sanitaria a livello regionale: stato dell’arte a dicembre 2000 Valle D'Aosta E' in vigore il Piano Sanitario Regionale 1997-1999, prorogato fino al 31-12-2000. Piemonte E' in vigore il Piano Sanitario Regionale 1997-1999, prorogato fino all'approvazione del nuovo PSR 2000-2003. Lombardia La bozza del Piano Sanitario Regionale 2000-2002 è in fase di elaborazione sulla scorta delle indicazioni contenute nella

Delibera di Giunta n. 48960 del 1° marzo 2000. Liguria Il Piano Sanitario Regionale 1999-2001 è stato approvato con delibera del Consiglio n. 8 del 25-02-2000. Prov. Aut. Bolzano E' in vigore il Piano Sanitario Provinciale 2000-2002 approvato con delibera di Giunta n. 3028 del 19-07-1999. Prov. Aut. Trento E' stato approvato il Disegno di legge sul Piano Sanitario Provinciale 1999-2001 in Giunta, con delibera n. 87 del 2-6-2000.

Attualmente e' all'esame del Consiglio. Veneto Attualmente è in vigore il Piano Sanitario Regionale 1996-1998 che è stato aggiornato con diversi atti amministrativi. E’ in

fase di elaborazione il nuovo Piano sulla scorta degli obiettivi del D. Lgs. 229/99. Friuli-Venezia Giulia

Il Piano Sanitario Regionale 2000-2002 è stato approvato in Giunta il 10 dicembre 1999 con delibera n. 3854.

Emilia Romagna Il Piano Sanitario Regionale 1999-2001 è stato approvato con delibera del Consiglio il 21-09-1999. Toscana Il Piano Sanitario Regionale 1999-2001 è stato approvato con delibera del Consiglio n. 41 del 17-02-1999. Umbria Il Piano Sanitario Regionale 1999-2001 è stato approvato con delibera del Consiglio n. 647 del 1-3-1999. Marche Il Piano Sanitario Regionale 1998-2000 è stato approvato. Legge regionale 20 ottobre 1998, n. 34. Lazio E' in fase di elaborazione la bozza di PSR 2000-2002. Abruzzo Il Piano Sanitario Regionale 1999-2001 è stato approvato. Legge regionale 2 luglio 1999, n. 37. Molise Attualmente in vigore il Piano Sanitario Regionale 1997-1999. Campania Attualmente in vigore il Piano Sanitario Ospedaliero 1997-1999. E' in fase di elaborazione il Piano Sanitario Regionale 2000-

2002. Puglia E' in fase di elaborazione il Piano Sanitario Regionale 2000-2003. Basilicata Attualmente in vigore il Piano Sanitario Regionale 1997-1999. E' in fase di elaborazione il nuovo PSR 2000-2002. Calabria E' in fase di elaborazione la bozza di PSR 2000-2002. Sardegna E' in fase di predisposizione la bozza del Piano Sanitario Regionale 1999-2001. Sicilia Il Piano Sanitario Regionale 2000-2002 è stato approvato (pubblicato in g.u. della Regione Siciliana il 2/6/2000) Fonte: Censis, 2001

862_1999 Regionalismo e sanità

FONDAZIONE CENSIS

19

3.2. Finanziamento, spesa e disavanzi

Un altro elemento forte, per considerare quali siano gli assi di distinzione nell’operato delle diverse Regioni, è dato sicuramente dagli indicatori di performance finanziaria.

Si è ampiamente discusso sulla plausibilità di due ipotesi:

- risolvere, attraverso la regionalizzazione del governo della sanità, il problema di un disavanzo costante della spesa sanitaria nazionale;

- individuare modelli regionali alternativi rispetto al pareggio della spesa sanitaria o viceversa all’incremento del deficit.

I dati contenuti nel grafico 1 sembrano dar ragione alla prima ipotesi. Già dopo le prime prese di posizione governative sulla necessità di responsabilizzare le Regioni in merito alla spesa sanitaria si registra una cospicua riduzione dei saldi negativi, che peraltro sembra giunta negli anni più recenti ad una sorta di soglia limite al di sotto della quale non appare facile scendere.

Eppure il livello di disavanzo riscontrato dalle singole Regioni ha variazioni relative del tutto significative (tab. 1). Se pure si eccettua la situazione della Valle d’Aosta e delle Province di Trento e Bolzano (che per l’ampiezza del risultato registrato e per la caratteristica di ordinamento autonomo richiedono sicuramente una trattazione a sé stante), le situazioni più rilevanti risultano:

- la tendenza al pareggio per Umbria e Toscana;

- i disavanzi più che doppi della media nazionale per Lazio e Campania;

- i disavanzi generalmente più alti per le Regioni meridionali che operano in assenza di strumenti di pianificazione.

In termini di ripartizioni territoriali, è da rilevare che le situazioni aggregate sono sufficientemente omogenee, circoscritte tra il -7% dell’Italia nord occidentale ed il – 9% di quella nord orientale.

Graf. 1 - Saldo finanziario entrate uscite in sanità a livello nazionale 1990-1999

-20,0%-15,0%-10,0%-5,0%0,0%5,0%

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

Anni

Fonte: elaborazioni Censis su dati del Ministero del Bilancio e del Tesoro, Relazione generale sulla situazione

economica del Paese, anni vari

Tab. 1 – Finanziamento e disavanzi regionali (v.a. in miliardi di lire e val. %)

Finanziamento regionale del SSN

(v.a.)

Disavanzi regionali

presunti del SSN (v.a.)

Incidenza percentuale disavanzi (val. %)

Regioni 1990 1995 1999 1990 1995 1999 1990 1995 1999 Piemonte 4.698 7.179 8.703 -1.060 285 -590 -23% 4% -7% Valle d'Aosta 113 168 202 -54 -32 -85 -48% -19% -42% Liguria 2.095 2.847 3.628 -663 -237 -165 -32% -8% -5% Lombardia 9.380 14.730 17.913 -2.757 -252 -1.156 -29% -2% -6% Italia Nord-Occid. 16.286 24.924 30.445 -4.533 -236 -1.995 -28% -1% -7% Prov. Bolzano 457 730 823 -152 -132 -491 -33% -18% -60% Prov. Trento 493 701 821 -142 -109 -305 -29% -16% -37% Veneto 4.675 7.388 8.979 -1.632 18 -601 -35% 0% -7% Friuli Ven. Giulia 1.453 2.007 2.393 -243 5 -127 -17% 0% -5% Emilia-Romagna 4.573 6.883 8.536 -1.894 -521 -462 -41% -8% -5% Italia Nord-Orient. 11.651 17.709 21.552 -4.063 -738 -1.987 -35% -4% -9% Toscana 3.983 5.866 7.318 -1.408 -219 -129 -35% -4% -2% Umbria 924 1.479 1.750 -277 102 -42 -30% 7% -2% Marche 1.545 2.498 2.829 -752 26 -165 -49% 1% -6% Lazio 5.783 8.316 9.878 -2.020 -638 -1.475 -35% -8% -15% Italia Centrale 12.234 18.161 21.775 -4.456 -730 -1.810 -36% -4% -8% Abruzzo 1.321 1.969 2.436 -422 102 -182 -32% 5% -7% Molise 360 533 636 -73 34 -25 -20% 6% -4% Campania 5.604 8.734 10.249 -1.915 471 -997 -34% 5% -10% Puglia 3.792 6.299 7.269 -1.420 119 -675 -37% 2% -9% Basilicata 585 907 1.041 -128 71 -91 -22% 8% -9% Calabria 2.024 3.082 3.556 -336 182 -307 -17% 6% -9% Sicilia 5.274 7.567 8.859 -1.464 211 -359 -28% 3% -4% Sardegna 1.629 2.597 3.075 -574 -166 -150 -35% -6% -5% Italia Merid. e Insulare.

20.589 31.690 37.122 -6.334 1.025 -2.786 -31% 3% -8%

Vincolato e residui 16 41 2.954 16 41 2.954 100% 100% 100% ITALIA 60.776 92.525 113.848 -19.370 -639 -5.624 -32% -1% -5% Altri Enti e arretrati

4.912 2.823 910 4.512 2.186 2 92% 77% 0%

TOTALE FINANZ. SSN

65.688 95.348 114.758 -14.858 1.547 -5.622 -23% 2% -5%

Note: (1) Comprende il FSN, i contributi sanitari (dal 1993), l'IRAP (dal 1998), i tributi delle regioni a statuto speciale e le entrate proprie delle USL

Fonte: elaborazioni Censis su dati del Ministero del Bilancio e del Tesoro, Relazione generale sulla situazione economica del

Paese, anni vari

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Le cause che determinano il livello di deficit sono sicuramente molteplici. Tra queste però appare innanzitutto significativo il montante dei finanziamenti disponibili per ogni Regione. Solo semplicisticamente, infatti, si ritiene che l’attribuzione di quote pro-capite significhi uguale disponibilità finanziaria in ogni regione. In realtà i meccanismi di calcolo adottati al livello centrale, il diverso impegno di risorse proprie da parte delle Regioni ed il diverso livello di entrate proprie delle ASL rendono il pro-capite effettivo significativamente diverso da regione a regione (tab. 2).

Risalta allora che Campania e Lazio, indicate come le Regioni a statuto ordinario con il più consistente disavanzo, dispongano di livelli di finanziamento inferiori alla media nazionale; mentre, tra le regioni virtuose, Umbria e Toscana dispongono di valori più alti della stessa media.

Questa è però solo una prima osservazione. Del resto non vi è una corrispondenza diretta, ma tutt’al più indicativa, tra disavanzo e finanziamento ponderato. Né spiega i livelli di disavanzo la composizione delle spese regionali: che peraltro, nelle aggregazioni disponibili, non fornisce esatte connotazioni della spesa ospedaliera rispetto alla spesa per prestazioni di medicina “territoriale” (diurna, ambulatoriale, specialistica non ospedaliera, domiciliare, ecc.), e che, inoltre, appare estremamente frammentata nel passaggio da Regione a Regione, senza consentire di utilizzare i livelli di spesa specifici come indicatori di un qualsivoglia “modello” di funzionamento che poggi su scelte di campo.

Ne risulta che alcune “soluzioni” gestionali determinano esiti contrastanti. Se ad esempio in Umbria la prevalenza della gestione diretta si associa ad un ottimo risultato finanziario, è però vero che la gestione diretta caratterizza anche la spesa di Valle D’Aosta e Bolzano, con quei risultati di estremo squilibrio che abbiamo visto.

Peraltro per il Lazio è l’insieme dei servizi convenzionati (e tra questi il peso dell’ospedalità privata) a conseguire risultati pesanti (quasi il 50% della spesa complessiva), a fronte di un deficit tra i più alti in Italia. Situazione questa che si approssima significativamente a quella pugliese, a quella lombarda ed a quella campana (in quest’ultima però ad incidere in misura superiore alla media è la spesa farmaceutica). Mentre Liguria e Friuli, che pure hanno una spesa per prestazioni ospedaliere convenzionate superiore alla media, si allineano esattamente sui valori somma di deficit.

Tab. 2 - Finanziamento pubblico per abitante del SSN per Regione (numeri indice su Italia= 100)

Regioni 1980 1985 1995 1997 Piemonte 92 98 103 101 Valle d'Aosta 95 96 88 101 Liguria 110 112 106 109 Lombardia 96 96 102 104 P. A. Bolzano 105 93 101 101 P. A. Trento 129 106 94 102 Veneto 108 103 103 103 Friuli Ven. Giulia 121 115 104 108 Emilia-Romagna 110 110 109 109 Toscana 111 105 103 105 Umbria 102 102 111 106 Marche 102 103 107 106 Lazio 112 110 99 98 Abruzzo 103 100 96 98 Molise 103 100 96 98 Campania 95 96 94 93 Puglia 94 93 96 94 Basilicata 86 90 92 89 Calabria 88 91 92 91 Sicilia 85 93 92 93 Sardegna 102 93 97 96 Fonte: Elaborazione Censis su dati Ministero del Tesoro

Tab. 3 - Spesa delle regioni per funzioni nel 1999 (val. %)

Personale Beni e Servizi

Totale servizi gest. diretta

Medicina di base

Farmaci Specialistica convenzionata

Ospedaliera convenzionata

Altre prestazioni

Totale convenzionata

Spese generali Totale

Piemonte 46,0 22,8 68,8 6,1 10,7 1,5 4,5 8,1 30,9 0,3 100,0 V. d'Aosta 51,1 26,2 77,3 5,7 7,7 1,6 0,2 5,1 20,2 2,5 100,0 Lombardia 38,8 18,8 57,6 5,4 10,6 2,3 15,8 8,0 42,1 0,4 100,0 P.A. Bolzano 52,3 24,0 76,3 4,9 5,3 0,6 6,0 5,8 22,7 1,0 100,0 P.A. Trento 49,1 18,2 67,3 5,6 7,6 1,2 7,2 10,4 32,0 0,7 100,0 Veneto 45,4 23,4 68,8 5,6 8,7 2,1 5,8 8,9 31,1 0,1 100,0 Friuli-V.G. 47,0 19,6 66,6 5,1 8,6 1,0 11,8 5,4 31,9 1,6 100,0 Liguria 42,9 19,2 62,2 4,8 11,6 1,8 12,7 5,9 36,8 1,0 100,0 E.Romagna 44,7 23,8 68,5 5,5 9,1 1,5 7,2 7,0 30,3 1,2 100,0 Toscana 48,6 21,0 69,6 6,3 10,6 1,8 3,2 7,6 29,6 0,8 100,0 Umbria 50,8 22,3 73,1 5,7 11,7 1,4 2,5 5,1 26,4 0,5 100,0 Marche 45,1 23,4 68,5 5,8 11,2 2,1 6,4 4,4 29,8 1,7 100,0 Lazio 36,4 13,1 49,5 6,1 12,4 4,1 22,5 4,9 49,9 0,6 100,0 Abruzzo 45,5 17,6 63,1 6,6 12,1 1,6 9,5 5,9 35,7 1,3 100,0 Molise 49,9 17,0 66,8 7,4 11,2 2,3 5,3 5,6 31,8 1,4 100,0 Campania 40,7 11,9 52,6 7,3 14,6 5,0 12,8 7,2 46,9 0,5 100,0 Puglia 41,0 14,7 55,8 6,6 13,1 2,7 16,2 4,7 43,3 1,0 100,0 Basilicata 43,9 20,0 63,9 7,5 13,3 1,4 1,0 12,1 35,4 0,7 100,0 Calabria 48,7 12,7 61,4 8,4 13,3 3,4 8,5 4,2 37,8 0,8 100,0 Sicilia 45,8 12,9 58,7 7,8 12,5 4,5 10,2 5,8 40,7 0,6 100,0 Sardegna 50,6 17,7 68,3 7,3 10,5 2,1 5,3 5,9 31,1 0,6 100,0 Nord-Ovest 41,3 20,0 61,3 5,5 10,7 2,0 12,2 7,8 38,2 0,5 100,0 Nord-Est 46,5 22,3 68,9 5,4 8,4 1,7 7,0 8,1 30,7 0,5 100,0 Centro 43,2 19,4 62,6 5,9 10,9 2,5 11,1 6,1 36,5 0,9 100,0 Sud e isole 44,1 13,9 58,0 7,3 13,1 3,7 11,2 6,0 41,3 0,7 100,0 Italia 43,4 18,1 61,5 6,2 11,3 2,7 10,9 6,8 37,8 0,7 100,0 Fonte: elaborazione Censis su dati Ministero del Tesoro CORRENTE REGIONI

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Se possiamo qui azzardare una ipotesi (che come tale resta da discutere e dimostrare) è che probabilmente il successo della sanità non dipende da modificazioni nella architettura della produzione e dell’acquisto di servizi. Piuttosto i risultati economici appaiono dipendere da una capacità di governo del settore che, sebbene non abbia prodotto fin qui "modelli" chiaramente visibili, poggia però su una tradizione di atti di programmazione coerenti nel tempo e sulla capacità di lavorare per obiettivi ed incrementi successivi.

3.3. Strutture e strumenti

I diversi livelli di finanziamento e di indebitamento si traducano a loro volta in risorse per la salute. Al riguardo, una prima considerazione è quella relativa al personale.

Abbiamo già detto che non si può individuare un nesso causale univoco tra spesa per il personale e disavanzo. Il rapporto tra spesa impegnata e personale complessivamente disponibile è invece piuttosto diretto, sia pure in presenza di gradi di libertà piuttosto sensibili. Questo dipende evidentemente dalla diversa incidenza, tra il personale dipendente, di specifiche categorie e ruoli professionali, con conseguenti variazioni del costo medio per unità dipendente.

Ciò che risalta dalla tabella 4 è soprattutto la minore dotazione di personale nelle Regioni meridionali (ad eccezione della Sardegna) ed il più vantaggioso rapporto delle Regioni settentrionali e centrali, fatto salvo il Lazio.

Proprio la situazione del Lazio contribuisce a spiegare in qualche modo la differente presenza di operatori dipendenti, ricordando la forte presenza del privato convenzionato in quella Regione, come pure in Lombardia ed in Piemonte, che denunciano i rapporti meno vantaggiosi tra quelli delle Regioni settentrionali.

In altri termini esiste una relazione di compensazione, per cui la produzione di prestazioni mantiene un livello isometrico, comunque sia distribuita tra servizi pubblici e privati.

Tab. 4 - Personale dipendente per regione nel 1998 (v.a. e val. %) Regione

Abitanti in migliaia

(A) v.a.

DipendentiSSN 1998

(B) v.a.

A/B v.a.

Scostamento dalla media v.a.

Percentuale di spesa per il personale

dipendente val. %

Valle d'aosta 119,6 1.775 67,38 -22,71 46,0 Piemonte 4.291,4 50.325 85,27 -4,82 51,1 Lombardia 8.988,9 102.315 87,86 -2,23 38,8 P. A. di Trento 466,9 6.460 72,28 -17,81 52,3 P. A. di Bolzano 457,4 6.772 67,54 -22,55 49,1 Veneto 4.469,2 54.213 82,44 -7,65 45,4 Friuli Venezia Giulia 1.184,6 17.678 67,01 -23,08 47,0 Liguria 1.641,8 21.031 78,07 -12,02 42,9 Emilia Romagna 3.947,1 51.531 76,60 -13,49 44,7 Toscana 3.527,3 45.752 77,10 -12,99 48,6 Umbria 831,7 10.306 80,70 -9,39 50,8 Marche 1.451,0 17.908 81,03 -9,06 45,1 Lazio 5.242,7 47.698 109,91 19,82 36,4 Abruzzo 1.276,0 14.555 87,67 -2,42 45,5 Molise 329,9 3.784 87,18 -2,91 49,9 Campania 5.796,9 53.924 107,50 17,41 40,7 Puglia 4.090,1 38.922 105,08 14,99 41,0 Basilicata 610,3 5.876 103,86 13,77 43,9 Calabria 2.071,0 20.022 103,44 13,35 48,7 Sicilia 5.108,1 47.527 107,48 17,39 45,8 Sardegna 1.661,4 20.609 80,62 -9,47 50,6 Totale 57.563,3 638.983 90,09 0 41,3 Fonte: elaborazione Censis su dati Corte dei conti e Ministero del Tesoro

Tab. 5 - Medici di medicina generale e pediatri di base per regione. Anno 1997 (v.a. e val. %) Regioni e ripartizioni Medici di medicina generale Pediatri di base Numero

Numero per 10.000 ab.

Numero

Numero per 10.000 ab. < 14 anni

Piemonte 3.617 8,42 413 8,08 Valle d'Aosta 99 8,30 13 8,70 Lombardia 7.451 8,32 855 7,33 Trentino-Alto Adige 637 6,93 105 7,25 Bolzano 211 4,64 33 4,27 Trento 426 9,17 72 10,66 Veneto 3.550 7,97 493 8,37 Friuli-Venezia Giulia 1.041 8,78 93 7,08 Liguria 1.462 8,86 181 10,73 Emilia-Romagna 3.287 8,35 454 10,57 Toscana 3.109 8,82 385 9,50 Umbria 709 8,54 97 9,37 Marche 1.206 8,33 166 8,79 Lazio 4.858 9,31 713 9,41 Abruzzo 1.039 8,16 151 7,87 Molise 276 8,35 35 6,89 Campania 4.462 7,71 586 5,01 Puglia 3.152 7,71 556 7,45 Basilicata 524 8,62 69 6,51 Calabria 1.735 8,36 277 7,22 Sicilia 3.940 7,72 811 8,37 Sardegna 1.336 8,03 211 8,04 Nord-Ovest 12.629 8,41 1.462 7,86 Nord-Est 8.515 8,11 1.145 8,84 Nord 21.144 8,29 2.607 8,26 Centro 9.882 8,97 1.361 9,35 Meridione 11.188 7,90 1.674 6,32 Isole 5.276 7,80 1.022 8,30 Sud 16.464 7,87 2.696 6,95 ITALIA 47.490 8,26 6.664 7,85 Fonte: Elaborazioni ISTAT su dati del Ministero della Sanità.

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Sul fronte del personale convenzionato si registrano delle differenze significative a partire dalla presenza di medici di medicina generale e di pediatri di libera scelta. Colpiscono in particolare alcuni dati (tab. 5), tra i quali:

- la generale minore dotazione delle aree meridionali rispetto a quelle centro settentrionali;

- la bassissima presenza (poco più della metà) di medici di base nella provincia di Bolzano;

- l’alta presenza di medici di base nel Lazio;

- l’alta presenza di pediatri di base in Liguria e Emilia Romagna.

Se il numero di ambulatori e laboratori (tab. 6) è da considerarsi indice del processo di territorializzazione della sanità, allora è alla Sicilia che spetterebbe la palma di questa ipotetica graduatoria. Un primato virtuale conquistato peraltro con un forte ricorso alle strutture convenzionate, secondo per valore solo a quello della Campania.

La situazione complessiva di ambulatori e laboratori vede un netto prevalere delle Regioni meridionali rispetto a quelle centro settentrionali. Tra quelle che hanno una più alta presenza di servizi si deve poi rilevare come siano Toscana e Bolzano a far registrare una più massiccia incidenza dei servizi pubblici su quelli privati.

Ancora più disomogenea è la situazione per quanto riguarda i servizi di guardia medica (tab. 7). Qui la parte più importante è recitata dalle regioni più piccole: prima fra tutte la Calabria, poi il Molise, la Basilicata, la Valle d’Aosta, la Provincia Autonoma di Trento.

Le Regioni maggiori (segnaliamo qui in particolare Lombardia, Piemonte, Veneto e Lazio) sembrano non considerare indispensabile questo servizio, probabilmente in ragione di una maggiore disponibilità di posti di Pronto Soccorso ospedaliero.

Peraltro è proprio Trento una delle aree con una maggiore dotazione di posti letto per abitante (tab. 8), seguita a breve distanza dal Lazio. Sull’altro versante, con una minor dotazione, si trovano la Valle d’Aosta (l’unica priva di strutture private accreditate), l’Umbria, la Campania, la Basilicata e la Sicilia.

Tab. 6 - Ambulatori e laboratori pubblici e privati convenzionati per regione. Anno 1997 (val. %) Regioni e ripartizioni Totale per

100.000 ab.

Pubblici per 100.000 ab.

Privati convenzionati 100.000 ab.

% di ambulatori e laboratori

pubblici

Piemonte 8,6 7,1 1,5 82,9 Valle d'Aosta 6,7 4,2 2,5 62,5 Lombardia 9,9 5,6 4,3 56,8 Trentino-Alto Adige 21,2 17,5 3,7 82,6 Bolzano 34,1 28,4 5,7 83,2 Trento 8,6 6,9 1,7 80,0 Veneto 11,0 4,9 6,1 44,6 Friuli-Venezia Giulia 13,7 10,4 3,3 75,9 Liguria 16,7 12,7 4,0 76,1 Emilia-Romagna 5,1 3,7 1,4 71,8 Toscana 27,0 17,6 9,4 65,1 Umbria 14,2 11,6 2,7 81,4 Marche 17,0 11,7 5,3 68,7 Lazio 18,3 6,4 11,9 35,0 Abruzzo 6,8 2,7 4,1 40,2 Molise 16,6 6,7 10,0 40,0 Campania 21,8 4,0 17,8 18,4 Puglia 16,8 9,1 7,6 54,5 Basilicata 21,4 15,3 6,1 71,5 Calabria 18,6 8,1 10,4 43,9 Sicilia 32,1 6,9 25,3 21,4 Sardegna 13,8 6,2 7,6 44,8 Nord-Ovest 10,3 6,8 3,4 66,5 Nord-Est 10,0 6,2 3,8 61,7 Nord 10,1 6,6 3,6 64,6 Centro 20,6 11,1 9,5 53,7 Meridione 18,4 6,5 11,9 35,5 Isole 27,6 6,7 20,9 24,3 Sud 21,4 6,6 14,8 30,8 ITALIA 16,2 7,4 8,8 45,7 Fonte: Elaborazioni Istat su dati del Ministero della Sanità

Tab. 7 - Servizi di Guardia Medica per regione. Anno 1997 (val. %) Regioni e ripartizioni Servizi per

100.000 ab.

Medici di guardia medica per 100.000 ab.

Medici di guardia

medica per servizio

Ore di servizio

per servizio di guardia

medica

Ore di servizio per 100.000 ab.

Piemonte 3,12 17,72 5,7 6.789 21.182 Valle d'Aosta 13,42 45,29 3,4 4.625 62.068 Lombardia 2,61 15,10 5,8 7.268 18.969 Trentino Alto Adige 4,46 22,10 5,0 5.968 26.617 Bolzano-Bozen 1,54 9,24 6,0 5.596 8.618 Trento 7,32 34,67 4,7 6.044 44.242 Veneto 2,63 16,30 6,2 8.089 21.274 Friuli-Venezia Giulia 3,71 14,25 3,8 6.790 25.191 Liguria 3,27 13,57 4,1 5.412 17.697 Emilia-Romagna 3,83 18,82 4,9 6.831 26.163 Toscana 5,25 22,13 4,2 6.013 31.568 Umbria 5,66 30,49 5,4 7.827 44.301 Marche 6,56 27,56 4,2 6.037 39.603 Lazio 2,22 12,98 5,8 6.988 15.513 Abruzzo 6,91 31,41 4,5 4.809 33.230 Molise 18,75 77,71 4,1 5.208 97.650 Campania 4,49 38,22 8,5 10.726 48.160 Puglia 5,63 22,90 4,1 5.140 28.938 Basilicata 23,85 48,70 2,0 2.649 63.179 Calabria 19,48 84,56 4,3 5.087 99.095 Sicilia 8,70 44,15 5,1 5.878 51.139 Sardegna 10,16 55,86 5,5 5.754 58.461 Nord-Ovest 2,92 15,92 5,5 6.796 19.844 Nord-Est 3,36 17,52 5,2 7.143 24.000 Nord 3,10 16,58 5,3 6.951 21.548 Centro 4,02 19,14 4,8 6.466 25.993 Meridione 8,40 41,34 4,9 6.019 50.560 Isole 9,06 47,03 5,2 5.844 52.947 Sud 8,61 43,18 5,0 5.959 51.307 ITALIA 5,28 26,76 5,1 6.291 33.216 Fonte: Elaborazioni ISTAT su dati del Ministero della Sanità

Tab. 8 - Posti letto negli istituti di cura pubblici e privati accreditati per regione. Anno 1997 (v.a., val.% e val. ‰) Regioni e ripartizioni Totale Istituti

v.a. Posti letto Per 1000

Abitanti Istituti Pubblici

val. % Istituti Privati

Accreditati val. %

Piemonte 22.586 5,3 83 17 Valle d' Aosta 520 4,3 100 Lombardia 51.695 5,8 83 17 Trentino-Alto Adige 6.011 6,5 87 13 Bolzano-Bozen 2.707 5,8 90 10 Trento 3.304 7,2 84 16 Veneto 24.972 5,6 95 5 Friuli-Venezia Giulia 7.203 6,1 91 9 Liguria 9.988 6,1 99 1 Emilia-Romagna 22.692 5,7 79 21 Toscana 18.668 5,3 86 14 Umbria 3.918 4,7 94 6 Marche 9.150 6,3 87 13 Lazio 36.623 7,0 64 36 Abruzzo 8.359 6,6 75 25 Molise 1.698 5,1 95 5 Campania 26.503 4,6 74 26 Puglia 23.504 5,7 90 10 Basilicata 2.833 4,6 98 2 Calabria 10.532 5,1 69 31 Sicilia 23.211 4,5 85 15 Sardegna 9.552 5,7 85 15 Nord-Ovest 84.789 5,6 85 15 Nord-Est 60.878 5,8 88 12 Nord 145.667 5,7 86 14 Centro 68.359 6,2 75 25 Meridione 73.429 5,2 80 20 Isole 32.763 4,8 85 15 Sud 106.192 5,1 81 19 ITALIA 320.218 5,6 82 18 Fonte: elaborazione Censis su dati ISTAT e Ministero della Sanità

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Rispetto alla presenza di privato accreditato, oltre alla Valle d’Aosta è la Liguria la Regione con una più forte presenza pubblica, e su valori simili si trova la Basilicata. Le più forti presenze private si registrano nel Lazio, in Calabria, in Campania, in Abruzzo. La Lombardia, per la quale si è molto discusso di recente in ragione dell’equiparazione del ruolo di “produttore” tra servizi pubblici e privati, era al 1997 attestata al 17% di presenze, alla pari con il Piemonte e piuttosto indietro rispetto all’Emilia Romagna.

Nella cartina seguente (tab. 9 e fig. 1) sono infine riportati i centri di maggiore complessità strutturale e funzionale. Uno sguardo d’assieme consente di cogliere due elementi fondamentali:

- in primo luogo la distribuzione per Regione cede il passo ad una distribuzione per popolazione. Intendiamo con questo dire che sono le regioni con numeri di popolazione più ampi ad ospitare un maggior numero di sedi specialistiche;

- la seconda osservazione riguarda invece ancora una volta lo squilibrio evidente tra Nord e Sud, ma anche tra versante adriatico e versante tirrenico.

Si tratta di osservazioni di minima, ma pure probabilmente utili a considerare cosa può significare, nella prospettiva federalista:

- privilegiare da un lato gli elementi di cooperazione tra le Regioni;

- dall’altro quanto sia necessario ancora intervenire in termini perequativi tra le diverse Macroaree del paese.

3.4. Indicatori di funzionamento

L’analisi degli indicatori di funzionamento prende le mosse, quasi necessariamente, dai tassi di utilizzo relativi agli ospedali. La riduzione dell’utilizzo dei posti letto ospedalieri è un obiettivo programmatico sia al livello centrale quanto in molte regioni. Pur tuttavia, rispetto ad una media nazionale e delle grandi ripartizioni territoriali perfettamente attestata attorno al valore del 180/1000, non poche regioni e province superano di gran lunga il tasso – obiettivo (tab. 10):

Tab. 9 – Centri di maggiore complessità in ambito sanitario per Regione e tipologia Regioni IRCSS Centri Grandi

Ustionati Centri

Trapianto Midollo Osseo

Centri Trapianto

Organi

Unità Cerebrolesioni

Gravi

Centri Spina Bifida

Unità Spinali Totale centri

Lombardia 14 1 12 14 1 4 46 Lazio 4 2 6 4 1 1 1 19 Emilia Romagna 1 2 6 4 - 1 3 17 Piemonte - 1 4 4 3 1 1 14 Veneto - 2 4 4 1 1 2 14 Friuli-Venezia Giulia 2 1 2 3 1 - 2 11 Liguria 2 2 3 2 - 1 - 10 Campania 2 1 3 4 - - - 10 Puglia 3 2 3 2 - - - 10 Sicilia 1 2 3 4 - - - 10 Toscana 1 2 3 2 - -2 9 Sardegna - 2 4 3 - - - 9 Umbria - - 1 1 1 - 1 4 Marche 2 - 2 - - - - 4 Calabria - - 1 3 - - - 4 Abruzzo - - 2 - - - - 2 Trentino Alto Adige - - 1 - - - - 1 Molise 1 - - - - - - 1 Valle d’Aosta - - - - - - - - Basilicata - - - - - - - - Fonte: elaborazione Censis su dati dell’Atlante Sanitario Nazionale, 2000

46

10

10

4

1

1010

192

44

9

17

11

14

1

14

9

Regioni italianeda Colonna B

25 a 33 (1)17 a 25 (2)9 a 17 (9)1 a 9 (6)

Fig. 1 – Centri di maggiore complessità in ambito sanitario nelle regioni italiane

Fonte: elaborazione Censis su dati dell’Atlante Sanitario Nazionale, 2000

Tab. 10 - Tasso di ospedalizzazione e tasso di utilizzo dei posti letto negli istituti di cura pubblici e privati accreditati per regione. Anno 1997 (val. % e ‰)

Regioni e ripartizioni Tasso di ospedalizzazione

val. ‰ Tasso di utilizzo

val. % Piemonte 150,1 78,7 Valle d' Aosta 158,6 82,8 Lombardia 183,3 77,2 Trentino-Alto Adige 196,2 76,4 Bolzano-Bozen 196,2 75,6 Trento 196,2 77,1 Veneto 189,5 80,3 Friuli-Venezia Giulia 171,5 67,1 Liguria 189,3 79,6 Emilia-Romagna 194,0 75,9 Toscana 174,9 72,9 Umbria 172,7 71,6 Marche 212,1 75,5 Lazio 179,6 81,5 Abruzzo 217,2 73,4 Molise 191,5 79,3 Campania 154,3 73,2 Puglia 210,0 68,0 Basilicata 169,0 67,2 Calabria 179,8 68,6 Sicilia 181,9 72,9 Sardegna 165,7 66,6 Nord-Ovest 174,3 77,9 Nord-Est 189,8 76,7 Nord 180,6 77,4 Centro 181,8 77,8 Meridione 181,3 70,8 Isole 178,0 71,0 Sud 180,2 70,9 ITALIA 180,7 75,3 Fonte: elaborazioni Istat su dati del Ministero della Sanità

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- Abruzzo, Marche, Puglia, solo per fermarsi oltre quota 200/1000;

- Piemonte, Campania e Valle d’Aosta sono invece le regioni che maggiormente contengono il ricorso ai ricoveri.

L’indicatore del tasso di utilizzo segue invece altri percorsi:

- la Val d’Aosta compare qui tra le Regioni che maggiormente utilizzano i posti letto disponibili, assieme a Veneto e Lazio;

- il minor utilizzo è invece appannaggio sostanziale delle Regioni meridionali: Sardegna, Basilicata, Puglia, Calabria, alle quali va aggiunta il Friuli.

Che poi non tutti i ricoveri, e quindi non tutta l’ospedalizzazione, debba essere considerata equivalente lo dimostra la tab. 11. Tutto il Sud, l’Umbria e Bolzano hanno strutture ospedaliere meno complesse, che trattano patologie poco differenziate; il contrario avviene per il Nord ed il Molise.

Rispetto alla qualità del funzionamento, è interessante prendere in considerazione alcuni indicatori di accessibilità e di soddisfazione.

C’è quasi una progressione discendente nelle indicazioni di soddisfazione rispetto agli orari delle ASL quando si passa dal Nord al Sud, con una punta massima in Val d’Aosta ed una minima in Sardegna (tab. 12).

Molto più articolata è invece la situazione descritta in rapporto ai tempi di attesa (tab. 13) presso gli uffici delle ASL: hanno aspettato più di 20 minuti solo meno del 14% degli utenti valdostani; ma più della metà di quelli della Calabria, della Basilicata e della Sardegna.

Bolzano è poi la provincia nella quale si registra la maggior soddisfazione da parte degli utenti dei servizi ospedalieri, che lasciano invece ampiamente insoddisfatti i pazienti della Campania, del Molise, della Puglia (tab. 14).

Un altro elemento che deve essere preso in considerazione è quello relativo alla mobilità sanitaria (tab. 15). In una situazione come quella italiana, in cui la spesa per prestazioni ospedaliere è di gran lunga il capitolo più importante nell’equilibrio finanziario della sanità, il ricorso a prestazioni fuori Regione può essere indicativo di una maggiore propensione allo sbilancio, dato il probabile tasso di dipendenza da strutture sanitarie non controllate ed in

Tab. 11 - Indicatori di complessità della casistica ospedaliera per regione nel 1998 (ricoveri per acuti, regime ordinario) (1)

Regione Indice di case mix(2) % casi complicati Basilicata 0,90 18,2 Campania 0,90 18,3 Sicilia 0,90 18,7 Sardegna 0,93 20,0 Abruzzo 0,95 21,1 Lazio 1,01 21,6 Puglia 0,89 21,6 P. A. di Bolzano 0,93 21,9 Umbria 1,00 22,1 Calabria 0,87 22,4 Italia 1,00 22,7 Piemonte 1,06 22,9 Toscana 1,09 23,6 Lombardia 1,08 23,6 Veneto 1,06 24,3 Liguria 1,09 25,2 Molise 0,93 26,2 Marche 1,02 26,3 Emilia romagna 1,10 26,6 Valle d'aosta 1,01 27,6 Friuli V. Giulia 1,12 30,2 P. A. di Trento 1,02 30,3 Nota : (1) valori determinati utilizzando i pesi ex D.m. 30.06.1997 (2) case mix: varietà dei casi di ricovero trattati da una struttura ospedaliera Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

Tab. 12 - Persone di 18 anni e più che si sono recate alle Asl e dichiarano comodi gli orari nel 1998 (val. %)

Regioni e ripartizioni val. % Piemonte 69,8 Valle d'Aosta 84,3 Lombardia 70,8 Trentino-Alto Adige 77,3 Bolzano-Bozen 75,0 Trento 79,5 Veneto 68,8 Friuli-Venezia Giulia 77,6 Liguria 69,4 Emilia-Romagna 77,4 Toscana 69,2 Umbria 62,1 Marche 71,9 Lazio 64,9 Abruzzo 65,5 Molise 62,2 Campania 61,8 Puglia 62,2 Basilicata 55,8 Calabria 53,3 Sicilia 55,6 Sardegna 44,9 Nord-Ovest 70,4 Nord-Est 74,0 Nord 71,9 Centro 67,1 Meridione 60,9 Isole 52,2 Sud 58,4 ITALIA 67,0 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

Tab. 13 - Attese oltre i 20 minuti delle persone di 18 anni e più che si recano presso gli Uffici delle ASL nel 1998 (val. %)

Regioni e ripartizioni val. % Piemonte 31,3 Valle d'Aosta 13,9 Lombardia 26,8 Trentino-Alto Adige 17,0 Bolzano-Bozen 14,5 Trento 19,4 Veneto 24,0 Friuli-Venezia Giulia 32,5 Liguria 38,3 Emilia-Romagna 27,8 Toscana 27,0 Umbria 32,3 Marche 24,0 Lazio 45,3 Abruzzo 33,1 Molise 46,2 Campania 38,5 Puglia 44,1 Basilicata 53,0 Calabria 54,1 Sicilia 48,0 Sardegna 52,5 Nord-Ovest 29,3 Nord-Est 25,9 Nord 27,9 Centro 34,9 Meridione 42,5 Isole 49,4 Sud 44,5 ITALIA 34,2 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

Tab. 14 - Persone molto soddisfatte dei diversi servizi ospedalieri regionali nel 1998 (val. %) Regioni e ripartizioni Assistenza medica Assistenza

infermieristica Servizi igienici

Piemonte 44,6 42,2 29,4 Valle d'Aosta 51,8 49,3 48,5 Lombardia 49,2 49,2 39,1 Trentino-Alto Adige 58,0 57,0 54,1 Bolzano-Bozen 63,5 63,2 59,8 Trento 50,8 48,9 46,8 Veneto 47,5 47,3 32,6 Friuli-Venezia Giulia 43,6 41,4 41,0 Liguria 49,1 49,2 26,8 Emilia-Romagna 46,3 47,5 38,2 Toscana 34,5 29,3 19,4 Umbria 21,1 23,9 17,7 Marche 21,6 21,5 12,1 Lazio 32,8 27,1 21,1 Abruzzo 20,4 22,4 11,9 Molise 18,3 16,8 12,2 Campania 19,7 16,0 14,4 Puglia 17,4 15,1 11,9 Basilicata 21,7 21,9 13,7 Calabria 30,0 25,7 21,2 Sicilia 24,0 25,6 19,9 Sardegna 24,0 30,4 18,5 Nord-Ovest 48,2 47,9 35,8 Nord-Est 48,4 47,9 37,5 Nord 47,9 47,9 36,6 Centro 31,1 26,8 19,1 Meridione 20,8 18,4 14,3 Isole 24,0 26,8 19,5 Sud 21,8 21,2 16,0 ITALIA 35,6 34,4 25,9 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

Tab. 15 - Mobilità sanitaria fra regioni nel 1996 (val. %) Regione Saldo migratorio Percentuale di

emigrazione Indice di attrazione

Valle d'Aosta + 6,1 16,9 0,7 Piemonte +4,7 7,2 0,8 Lombardia +4,7 4,1 1,8 Liguria +1,9 12,3 0,9 P. A. di Trento +5,5 4,6 2,3 P. A. di Bolzano +2,3 4,2 2,0 Veneto +4,9 4,6 2,0 Friuli Venezia Giulia +3,0 7,4 1,7 Emilia Romagna +7,5 5,0 2,1 Toscana +4,7 4,5 2,0 Umbria +8,3 7,9 1,9 Marche +5,5 7,0 1,1 Lazio +2,6 5,8 1,5 Abruzzo +3,5 9,8 0,8 Molise -0,3 18,4 1,2 Campania -0,8 7,0 0,3 Puglia - 2,1 6,1 0,8 Basilicata -2,8 22,2 0,4 Calabria -2,9 11,1 0,3 Sicilia - 1,2 6,5 0,2 Sardegna + 1,1 3,6 0,3 Media nazionale +2,6 6,3 1,1 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat 1996

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relazione a carenze di piano e di programmazione. Se questo può essere vero in parte per la Valle d’Aosta, ed in termini generici per le Regioni meridionali (si è però visto che gli ospedali meridionali trattano in genere patologie poco differenziate e pochi casi complicati), i valori delle altre Regioni sembrano indicare che questa ipotesi deve essere attentamente ponderata: soprattutto in considerazione delle distanze che intercorrono tra i valori di disavanzo e quelli di mobilità per le province di Trento e Bolzano e per la Regione Basilicata.

La sostanziale indipendenza tra performance finanziaria e mobilità sanitaria, pertanto, conduce semmai a ritenere che non necessariamente tutte le Regioni debbano attrezzarsi di quei presidi specialistici che trovano una ragion d’essere solo su numeri ed in riferimento a bacini utenziali più ampi.

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4. DECENTRAMENTO, DEVOLUTION E CENTRATURA PERIFERICA

Di recente è stato sostenuto5 che l’evoluzione verso un sistema pienamente federale richiede il soddisfacimento di due obiettivi:

- da un lato si tratta di “ridurre la variabilità ingiustificata nei livelli e nella tipologia dei consumi fra Regioni” volendo con questo salvaguardare il carattere nazionale, universalistico ed ugualitario del Servizio Sanitario;

- dall’altro, occorre “favorire la soddisfazione e delle esigenze e delle preferenze locali”, ravvisando in questo la più importante delle ragioni della devolution.

L’apparente conflittualità ravvisata tra i due obiettivi sconta il tentativo di adoperarsi nei confronti del federalismo con logiche tipicamente centraliste.

Infatti sembra ancora prevalere il tentativo di spostare le sedi di governo ricreando nuovi centralismi in capo alle Amministrazioni Regionali e mantenendo il predominio delle strutture dell’offerta rispetto a quelle della domanda. La devolution appare come il compimento sul piano fiscale di quanto già avviato con il processo di decentramento, laddove ad una vera prospettiva di cooperazione tra i diversi ranghi dello Stato si va a sovrapporre un approccio di contrattazione che, sulla base di convenienze e strategie in qualche modo storicamente determinate, definisce quali siano le funzioni che competono ad ognuno di essi. Il limite forte di questo approccio, se confrontato con altre esperienze federaliste, sta nel mantenere invariata l’attribuzione delle competenze di governo (la competenza legislativa rimane appannaggio esclusivo dello Stato ed in misura minore delle Regioni, mentre a Comuni e Province si riconosce il solo ruolo amministrativo); e nel continuare ad avere come traguardo la gestione delle strutture sanitarie, e non le politiche per la salute e per la medicina.

5 Taroni F., Livelli essenziali di assistenza: sogno, miraggio o nemesi?, in G. Fiorentini. I

servizi sanitari in Italia 2000, Il Mulino.

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Si svuota quindi di senso vuoi quanto prescritto attraverso la riforma dell’ordinamento dell’amministrazione pubblica (le cosiddette “Leggi Bassanini”), vuoi quanto annunciato con l’ultimo Piano Sanitario Nazionale, e quindi con il D.Leg.vo 229/99. Ci riferiamo in particolare a quella declinazione del principio di sussidiarietà che, spostando la sede di governo il più vicino possibile ai cittadini, vorrebbe riposizionare strategicamente il ruolo dei Comuni nei processi decisionali; e quindi alla diversa connotazione che vengono ad assumere i distretti, a partire dal ruolo assunto nella programmazione.

Trattando specificamente di sanità, è ineludibile l’impaccio che deriva dal continuare a centrare il discorso sul piano strutturale (la gestione, l’erogazione e la produzione dei servizi e delle prestazioni) piuttosto che su quello delle finalità, che dovrebbe privilegiare la centralità dei bisogni di salute e le caratteristiche di sistema richieste per rispondere a quei bisogni.

La sanità italiana, più che malata dal punto di vista finanziario, risulta malata di economicismo. L’aziendalizzazione è risultata un processo composto di “tetti di spesa” e variazioni di quantità, senza che venisse mai posto il problema della effettiva coerenza ed adeguatezza del modello organizzativo in essere. I risultati – ad esempio quelli connessi all’introduzione dei DRG come sistema di compenso delle prestazioni ospedaliere - sono stati in larga misura deludenti.

Come si tutela allora la salute, intesa come patrimonio degli individui e delle comunità, dalle aggressioni e dalle minacce derivanti dal modello di sviluppo? Come si fronteggia una morbosità, che in qualche misura deriva da scelte economiche globalizzate, di politica estera, di politica energetica?

E’ evidente (ma forse non in maniera conseguente) che oggi i vantaggi maggiori per la salute derivano da una impostazione che tenga conto:

- della necessità di individuare ambiti territoriali nei quali i problemi siano non solo rilevanti (incidenza statistica, amministrativa, ecc.) ma anche pertinenti (rapporti di causa-effetto);

- della conseguente necessità di definire, sviluppare e salvaguardare una logica ampia di collaborazioni tra i diversi livelli di amministrazione e di governo in senso verticale e orizzontale, dagli ambiti territoriali più circoscritti verso quelli più ampi, dando alla sussidiarietà uno strumento

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preciso, quello della integrazione tra livelli successivi (devolution della devolution).

Se si esce da una considerazione della sanità come composta solo da ospedali, ambulatori, medici, ecc., e si va a riconsiderare il ruolo che giocano per la salute la ricerca, l’industria della salute, le politiche ambientali, alimentari, dei trasporti, ecc., sarà forse più chiaro quali possano essere i ruoli specifici da attribuire ai diversi livelli dello Stato, alla domanda ed all’offerta, al pubblico ed al privato.

Non bisogna infatti dimenticare che oggi esiste un regime di vincoli che va oltre i confini nazionali. Né si può trascurare che esiste un sistema di convenienze che giustifica certi investimenti solamente se rivolti ad un sistema economico ampio, se non definitivamente globale. Appartengono a questa scala la ricerca, lo sviluppo e la produzione di strumenti, di farmaci e di prodotti bio-genetici, lo sviluppo delle capacità cliniche.

D’altra parte vi sono altre funzioni che sono tipicamente di scala locale. In primo luogo la lettura dei bisogni, che non può essere ridotta alla sola descrizione dei profili epidemiologici di gruppi e fasce di popolazione, ma deve tenere conto delle variabili che, al livello locale, sono determinanti per le scelte di salute. Ma, subito dopo, tutto quel che riguarda il superamento di valori soglia di salute (livelli minimi) non può non tenere conto della opportunità che tali valori siano autodeterminati dalle comunità locali.

Ancora: esistono dei regimi di convenienza che consigliano di raccordare valutazione dei bisogni e delle condizioni di salute, ricerca e sperimentazione clinica in ambiti territoriali circoscritti (esempi vi sono sia nella medicina del lavoro quanto nelle più recenti ricerche genetiche).

Sulla base di queste considerazioni, e tenendo conto di come si è effettivamente strutturata la situazione (cattiva riforma è quella che prescinde dalla valorizzazione dell’esistente) possiamo pensare ad uno schema che riconosca alcune titolarità e funzionalità specifiche per ambiti diversi:

- ambiti territoriali minimi (distretti): analisi dei bisogni; orientamento della programmazione in senso bottom-up; garanzia di accesso ai servizi per la salute presenti nel territorio o attivabili al di fuori di esso (make or buy); regolazione di alcuni rapporti con i produttori di prestazioni per la salute; integrazione con altri comparti delle politiche di welfare;

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- ambiti intermedi (ASL): produzione di prestazioni di livello essenziale e di rete, ad integrazione delle capacità prestazionali dei distretti;

- ambiti regionali: programmazione sulla base delle istanze provenienti dai distretti; finanziamento dei servizi sanitari; garanzia di livelli essenziali di prestazione; armonizzazione delle politiche di Welfare;

- ambiti sovra-regionali (Macroregioni): completamento dell’offerta di prestazioni e servizi sanitari presenti nelle singole regioni; rapporti di cooperazione tra regioni;

- ambito nazionale: governo della salute attraverso azioni di integrazione, armonizzazione e compensazione delle capacità delle singole regioni; sostegno della ricerca; cooperazione internazionale.

Si tratta, quindi, di declinare l’ipotesi federalista avendo riguardo ad un pieno sviluppo degli assi della sussidiarietà orizzontale - all’interno delle comunità, e privilegiando l’asse della domanda su quello dell’offerta - e verticale - rendendo disponibili i ranghi di governo più elevati alle esigenze di quelli più locali -.

Si tratta di ripercorrere compiutamente il dibattito sul federalismo, tenendo in considerazione l’opportunità di procedere non tanto al decentramento, che rischia di riproporre gli stessi difetti fin qui ascrivibili al Servizio Sanitario Nazionale con una variazione di scala, quanto ad una vera e propria centratura periferica, che riproponendo la centralità delle istanze di governo più circoscritte (ancorché sufficienti ed adeguate) possa stimolare la convergenza tra le esigenze della domanda e dell’offerta.

Un altro passaggio fondamentale della discussione deriva ancora una volta dal documento presentato alla Conferenza Nazionale sulla Sanità, nel quale si afferma: “E' stata inoltre sottolineata l'esigenza di un raccordo inter-regionale che si faccia carico di disciplinare il problema della mobilità sanitaria e di garantire, nell'ottica di una solidarietà inter-regionale, le attività connesse a problematiche a forte valenza sovraregionale: reperimento degli organi, malattie rare, sangue, ecc., oltre naturalmente all'attività di ricerca”6.

6 Vedi nota 2

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E’ evidente che le condizioni di accesso, la funzionalità, la stessa efficacia ed adeguatezza del Servizio Sanitario risultano dipendenti non solo e non tanto dalla funzione normativa nazionale, quanto da modelli di comportamento amministrativo che hanno dato negli anni risultati del tutto differenti, non solo tra le Macroregioni e tra le stesse Regioni, ma addirittura all’interno delle stesse aree regionali. La regionalizzazione, da questo punto di vista, non altera il quadro dei risultati possibili, se non in quanto produce un parziale avvicinamento geo-politico ed amministrativo tra la responsabilità e le possibilità di valutazione dell’adeguatezza.

Ma non è forse evidente, e non per questo meno sostenibile, che è solo al livello territoriale diffuso che è possibile valutare il grado di efficacia e di esaustività del Servizio Sanitario; ed è probabilmente solo la comunità locale ad essere in grado di stabilire quali debbano essere i livelli effettivamente essenziali di copertura sanitaria.

Non si può negare che un pieno passaggio federalista, in cui fossero le comunità locali, all’interno di ambiti territoriali significativi, a decidere per la propria salute, potrebbe innescare forti tensioni, competitività e conflittualità. Ne è recente dimostrazione il tentativo di riordinare la rete ospedaliera nazionale con la chiusura o la riconversione funzionale dei presidi meno utilizzati.

E tuttavia solo un modello a centratura periferica e di devolution della devolution può consentire di mitigare taluni rischi e di recuperare rispetto a danni già presenti nell’organizzazione sanitaria.

Sarebbe in sostanza anacronistico preparare nuovi scenari organizzativi tenendo conto solo delle risorse e delle componenti strutturali del passato, senza aver riguardo dovutamente per le possibilità del nuovo. Probabilmente si tratta allora di:

- razionalizzare alcuni termini di mobilità sanitaria;

- adeguare i territori meno dotati dal punto di vista strutturale con una maggior accentuazione degli interventi di tipo preventivo, riabilitativo e comunque territoriale e sviluppando la clinica attorno ad alcuni poli di eccellenza;

- favorire scambi che utilizzino anche gli strumenti di telecomunicazione, utili sicuramente per quanto riguarda le diagnosi, ma anche per la

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definizione di protocolli assistenziali e terapeutici stabiliti sulla base di rapporti tra équipe sanitarie.

Va considerato, peraltro, che la situazione delle differenze trova terreno di verifica anche sul piano delle simmetrie tra aree urbane ed aree interne, montane e rurali. Non sembra sostenibile che il grado di copertura sia lo stesso. Fin qui si è fatto ricorso alla Assistenza Domiciliare Integrata (Adi) come panacea dei diversi livelli di copertura assistenziale assicurabili, trascurando che non è l'assistenza di base che ha maggiori problemi ad essere assicurata, quanto piuttosto quella specialistica. Non è un caso che l'Adi abbia margini di maggiore convenienza, a parità di efficacia, nelle aree urbane.

Da questo punto di vista un federalismo appiattito sulle misure regionali asciuga necessariamente il discorso attorno ai termini del costo e del finanziamento; e se spostato sul versante della capacità ed efficacia, il discorso assume necessariamente contorni tanto più precisi quanto più si pensi alla dimensione comunale o distrettuale.

Può essere azzardato sostenere che la fase di trasformazione troverà meglio preparate quelle Regioni che già si sono orientate verso una maggiore attenzione alle funzioni di governo, piuttosto che attestarsi su una semplice funzione amministrativa. Le Regioni che hanno con più coerenza lavorato in forma programmatica e per obiettivi, assumendosi in questo precise responsabilità, sono suscettibili di poter con più efficacia interpretare il ruolo di governo che si prospetta.

Come pure sono probabilmente le Regioni che già si sono poste il problema di valorizzare la funzione locale, al di fuori della dimensione puramente aziendalista, che potranno con maggiore efficacia dare un completo sviluppo al disegno federalista.

Allegato

QUADRO SINOTTICO DEGLI ADEMPIMENTI DI PARTE REGIONALE PER L'ATTUAZIONE DEL D. LGS. 229/99 (Stato di avanzamento a Novembre 2000)

Settore Argomento Articolo Tipo di provvedimento Termini Note

Ordinamento (Art. 1)

Proposte relative alla predisposizione del Piano Sanitario Nazionale (P.S.N.) Art. 1, comma 4

31 luglio dell'anno di vigenza del Piano precedente

Relazione annuale sullo stato di attuazione del Piano Sanitario Regionale (P.S.R.) Art. 1, comma 4

Entro il 31 marzo di ogni anno

Adozione dei P.S.R. Art. 1, comma 13

Sulla base dell'iter stabilito dagli Statuti regionali: il provvedimento prima dell'approvazione definitiva deve essere trasmesso al Ministero della Sanità

150 giorni dall'entrata in vigore del PSN

Si prevedono forme di partecipazione delle Autonomie locali (Conferenza Permanente per la Programmazione sanitaria e sociosanitaria - C.P.P.S.) Art. 2, co. 2bis; formazioni sociali private; organizzazioni sindacali; operatori sanitari pubblici e privati; strutture private accreditate dal SSN

Coerenza degli Schemi di P.S.R. al P.S.N. Art. 1, comma 14

Trasmissione degli schemi o progetti di P.S.R. al Ministero della Sanità

Il Ministero della Sanità esprime entro 30 giorni parere sulla coerenza, sentita l'Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali (A.S.S.L.)

Programmazione regionale (Art. 2)

Istituzione della C.P.P.S. Art. 2, comma 2 bis Legge regionale

Fissazione di un congruo termine da parte del Ministero della Sanità *

Componenti tale Conferenza: Sindaco del Comune; Presidente Conferenza dei Sindaci; Rappresentanti delle Associazioni regionali delle AA.LL.

Criteri e modalità per il coordinamento delle strutture sanitarie nelle aree metropolitane Art. 2, comma 2 quater

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali) o Atto amministrativo

Disciplina del Rapporto tra programmazione regionale e programmazione amministrativa locale (piano attuativo locale) Art. 2, comma 2 quinques

Legge regionale Fissazione di un congruo termine da parte del Ministero della Sanità **

Definizione di procedure di proposta adozione ed approvazione del Piano Attuativo Locale e modalità di partecipazione degli Enti locali interessati

Disciplina di: articolazione del territorio regionale in USL; principi e criteri per l’atto aziendale; distretti; finanze delle USL; altre materie Art. 2, comma 2 sexies

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

*; **: Decorso il congruo termine è previsto intervento sostitutivo (ex art. 2, comma 2 octies)

Settore Argomento Articolo Tipo di provvedimento Termini Note

Programmazione regionale

Istituzione Elenco delle istituzioni e organismi a scopo non lucrativo (ONLUS) Art. 2, comma 2 septies

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

60 giorni dall'entrata in vigore del D. Lgs.229 (29 settembre 1999)

Il gruppo di monitoraggio interregionale sta elaborando un provvedimento-tipo per tutte le Regioni e sta approfondendo l’aspetto del ruolo e del valore di tale elenco

Organizzazione delle USL (Art. 3)

Disciplina delle forme e modalità per la direzione ed il coordinamento delle attività socio sanitarie Art. 3, comma 1 quater

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

Sono attività socio sanitarie ad alta integrazione sanitaria

Organizzazione delle USL: Direttore Generale

Nomina Direttore Generale Art. 3 bis, comma 2 Delibera di Giunta 60 giorni dalla vacanza

dell’Ufficio *

Trascorso tale termine si applica la procedura dell’intervento sostitutivo di cui all'art. 2, comma 2 octies

Determinazione criteri di valutazione attività dei Direttori Generali Art. 3 bis, comma 5

Nell'Atto di nomina

Verifica dei risultati aziendali conseguiti Art. 3 bis, comma 6

18 mesi dalla nomina del Direttore Generale

Disciplina delle cause di risoluzione del rapporto con il Direttore Amministrativo e Direttore sanitario Art. 3 bis, comma 8

Designazione due componenti Collegio Sindacale Art. 3 ter, comma 3

Stabiliti dall'art. 17 (costituzione dei Collegi) 60giorni dall'entrata in vigore del D. Lgs. 229 (29 settembre 1999)

Organizzazione USL

Disciplina dell’articolazione delle USL in Distretti Programma delle attività territoriali Art. 3 quater, commi 1 e 3

Legge regionale Popolazione minima di 60.000 abitanti; assicura i servizi di assistenza primaria

Disciplina dell’organizzazione e finanziamento del Comitato dei Sindaci di distretto Art. 3 quater, comma 4

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

Disciplina dell’organizzazione del Distretto Art. 3 quinquies, commi 1, 2 e 3

Legge regionale

Organizza il Distretto in modo da garantire l’assistenza primaria; il coordinamento dei medici e dei pediatri; l’organizzazione delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale

Programmazione attività distrettuali e incarico a Direttore di distretto Art. 3 sexies, comma 4

Legge regionale

*: Decorso il termine è previsto intervento sostitutivo ex art. 2, comma 2 octies.

Settore Argomento Articolo Tipo di provvedimento Termini Note

Integrazione Socio Sanitaria

Determinazione del finanziamento delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale Art. 3 septies, comma 6

Atto amministrativo Sulla scorta dei criteri fissati nell'atto di indirizzo e coordinamento che individua tali prestazioni

Disciplina dei criteri e modalità di integrazione Socio Sanitaria Art. 3 septies, comma 8

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali) o Atto amministrativo

Aziende Ospedaliere (Art. 4)

Proposta al Ministro della Sanità di costituzione o conferma dei presidi ospedalieri in Aziende Ospedaliere Art. 4, comma 1 bis e 1 quater

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali) o Atto amministrativo

60 giorni dall’entrata in vigore del D. Lgs. 229 (29 settembre 1999)

Costituzione delle Aziende Ospedaliere Art. 4, comma 1 quater

60 giorni dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri

Modalità integrazione attività assistenziali Art. 4, comma 1 septies

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali) o Atto amministrativo

Patrimonio e contabilità delle USL e delle Aziende Ospedaliere (Art. 5)

Norme per la gestione economico-finanziaria delle USL e delle Aziende Ospedaliere Art. 5, comma 6

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

90 giorni dall’entrata in vigore del D. Lgs. 229 (29 ottobre 1999)

Dipartimento Prevenzione (Art. 7)

Istituzione e organizzazione Dipartimento Prevenzione Art. 7 bis, comma 1 e Art. 7 quater, comma 5

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

Disciplina delle aree dipartimentali di Sanità pubblica, tutela della salute nei posti di lavoro, veterinaria Art. 7 quater

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

Modalità di integrazione fra politiche sanitarie e politiche ambientali Art. 7 quinquies, comma 2

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

Sono previsti accordi di programma fra USL, Aziende Ospedaliere ed ARPA

Individuazione delle Aree di attività emergenza territoriale e medicina dei servizi Art. 8, comma 1 bis

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

1 anno dall’entrata in vigore del D. Lgs. 229

Autorizzazione alla realizzazione di strutture e all’esercizio di attività sanitarie e socio-sanitarie (Art. 8)

Modalità e termini richieste di autorizzazione alla realizzazione di Strutture sanitarie - ambiti territoriali per nuove strutture Art. 8 ter, comma 5

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

60 giorni dall’entrata in vigore del D. Lgs. 229 (29 settembre 1999)

Settore Argomento Articolo Tipo di provvedimento Termini Note

Accreditamento Definizione del fabbisogno di assistenza Art. 8 quater, comma 1

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

Il fabbisogno è individuato secondo le funzioni sanitarie stabilite nel PSR

Definizione dei requisiti per l'accreditamento e procedimento di verifica Art. 8 quater, comma 5

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

60 giorni dall'atto di indirizzo e coordinamento (180+60 giorni / 27 marzo 2000)

Avvio del processo di accreditamento Art. 8 quater, comma 6

Atto amministrativo 120 giorni dall'atto di indirizzo e coordinamento (180+120 giorni / 26 maggio 2000)

Accordi contrattuali

Definizione ambito e applicazioni degli accordi contrattuali Art. 8 quinquies, commi 1 e 2

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali) o Atto amministrativo

60 giorni dall'entrata in vigore del D. Lgs. 229 (29 settembre 1999)

Funzioni assistenziali

Definizione funzioni assistenziali Art. 8 sexies, comma 2

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

Prestazioni in forma indiretta

Definizione rimborsi prestazioni in forma indiretta Art. 8 septies, comma 1

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

Entro 18 mesi dall'entrata in vigore del D. Lgs. 229 (31 gennaio 2001) è abolita l'assistenza in forma indiretta

Controlli Attivazione sistema monitoraggio e controlli Art. 8 octies, comma 1

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

Determinazione regole per i controlli e verifica dell'attività assistenziale Art. 8 octies, comma 3

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

60 giorni dall'atto di indirizzo e coordinamento (180+60 giorni / 27 marzo 2000)

Sperimentazioni gestionali (Art. 9)

Proposta di programma per le sperimentazioni gestionali Art. 9 bis, comma 2

Autorizzazione della Conferenza Stato-Regioni e verifica della stessa dei risultati conseguiti

Ricerca sanitaria (Art. 12)

Organizzazione e funzionamento Comitati etici Art. 12 bis, comma 9

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali) o Atto amministrativo

Attività propositiva per la predisposizione del Programma di ricerca sanitaria Art. 12 bis, comma 11

Funzioni assistenziali

Definizione di funzioni assistenziali Art. 8 sexies, comma 2

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali)

Attivazione di corsi per la formazione manageriale Art. 16 quinquies, comma 2

Atto amministrativo Previo accordo con il Ministero della Sanità

Assegnazione ai presidi ospedalieri delle attività formative Art. 16 sexies, comma 2

Settore Argomento Articolo Tipo di provvedimento Termini Note

Collegio di Direzione (Art. 17)

Disciplina dell'attività e della composizione del Collegio di Direzione Art. 17, comma 2

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali) o Atto amministrativo

Comitato di Dipartimento

Disciplina della composizione e delle funzioni del Comitato di Dipartimento Art. 17 bis, comma 3

Legge regionale (salvo diversa determinazione degli Statuti regionali) o Atto amministrativo

Verifica accreditamento (Art. 19)

Individuazione modalità e strumenti per verifica attuazione del modello di accreditamento Art. 19 bis, comma 3

Sostegno alla coesione ed efficienza del SSN

Ricognizione cause scostamenti dei valori di riferimento Art. 19 ter, comma 2

Atto amministrativo

Fonte: Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome