vdossier n2/2011 - far casa così

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dossier Centro servizi per il volontariato nella provincia di Milano Rivista periodica Anno 2 numero 2 settembre 2011 ISSN 2239-1096 Far casa così IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO SI CMP ROSERIO [MILANO] PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE S’IMPEGNA A PAGARE IL DIRITTO FISSO DOVUTO Politiche dell’abitare con il volontariato Petrosino Capovolgimento di senso: l’uomo esiste abitando solo se coltiva e custodisce Rabaiotti La casa come servizio E quella riforma mancata che immobilizza il mercato Lettera aperta La solidarietà migliora la qualità della vita delle persone fragili

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Far casa così. Politiche dell’abitare con il volontariato

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Page 1: Vdossier n2/2011 - Far casa così

dossier Centro servizi per il volontariato nella provincia di MilanoRivista periodicaAnno 2 numero 2 settembre 2011

ISSN 2239-1096

Far casa così

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Politiche dell’abitare con il volontariatoPetrosinoCapovolgimento di senso:l’uomo esiste abitando solo se coltiva e custodisce

RabaiottiLa casa come servizio E quella riforma mancatache immobilizza il mercato

Lettera apertaLa solidarietà migliora la qualità della vita delle persone fragili

Page 2: Vdossier n2/2011 - Far casa così

dossier

piazza Castello, 3 - 20121 Milano - tel. 02.4547.5850 - fax 02.4547.5458 www.ciessevi.org

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Vdossierrivista periodica Centro servizi per il volontariato nella provincia di Milano

settembre 2011anno 2numero 2ISSN 2239-1096

Registrazione del Tribunale di Milano n. 550 del 1/10/2001

EditoreAssociazione Ciessevipiazza Castello 320121 Milanotel. 02.45475850fax 02.45475458email [email protected]

Direttore ResponsabileLino Lacagnina

RedazioneElisabetta BianchettiPaolo Marelliemail: [email protected]

Hanno collaboratoPaolo AliataSilvia CannonieriClaudia CorsoliniPaolo CottinoGuido De VecchiGianfranca DucaSandrine GreffetGabriele Rabaiotti

Progetto editorialePaolo Marelli

Progetto grafico e impaginazioneFrancesco CamagnaSimona Corvaiaemail [email protected]

StampaIl Papiro soc. coop. soc. Onlusvia Baranzate 72/74 20026 Novate Milanese (MI)

Stampa in carta certificata FSC (Forest Stewardship Council) che garantisce tra l’altro chelegno e derivati non provengano da foreste ad alto valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali. Inchiostri derivati da fonti rinnovabili (oli vegetali).

È consentita la riproduzione totale, o parziale, dei soli articoli purché sia citata la fonte.Si ringraziano inoltre gli autori per il prezioso contributo a titolo gratuito.

Sommariodossier settembre 2011

L’editoriale“Far casa, (non a caso!)” un modello di rete per tutto il volontariato A PAGINA 5

PetrosinoCapovolgimento di senso: l’uomo esiste abitando solo se coltiva e custodisce A PAGINA 8

RabaiottiLa casa come servizio. E quella riforma mancata che immobilizza il mercato A PAGINA 13

Pensare, Costruire, PercorrereDall’abitare all’inclusione, dal volontariato alla rete: le quattro gambe del tavolo A PAGINA 27

Tra il “Far casa” e il sentirsi a casa c’è il non a caso A PAGINA 33

Ciessevi accompagna le organizzazionilungo tutto il progetto A PAGINA 55

Focus e Obiettivo suSe i cambiamenti sociali ci aiutano a scoprire le nuove fragilità A PAGINA 62

Gratuità e reciprocità, quando il valore aggiunto è investire nelle relazioni A PAGINA 69

Schede progetti A PAGINA 75

CottinoOrganizzazioni non profit architrave per costruire reti di inclusione sociale A PAGINA 87

Lettera apertaLa solidarietà migliora la qualitàdella vita delle persone fragili A PAGINA 91

Lezione franceseNon profit in prima fila per far rinascere la banlieue di Lione A PAGINA 95

Le interviste Fondazione Housing Sociale: il volontariato? È un partner cruciale per gli enti pubblici A PAGINA 104

Il Pirellone disegna il futuro: con il non profitcostruiremo socialità e non solo alloggi A PAGINA 108

Aler: il Terzo settore favorisce il dialogo,le buone pratiche e la coesione sociale A PAGINA 112

L’esperienza“illab” e quella regia fra associazionie coop per aiutare i più deboli A PAGINA 118

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È stato scelto il tema dell’abitare, perché casa

è sinonimo di luogo, di vita e di identità. È la base

per lo sviluppo, la realizzazionepersonale e sociale

‘‘

’’

“Far casa, (non a caso!)” un modello di rete per tutto il volontariato

L’editoriale

di Lino Lacagnina

GRAZIE ALL’IMPEGNO dei nostri operatoriterritoriali e al progetto “illab” - il labo-ratorio dell’abitare di cui Ciessevi è partner - avevamo

intercettato il bisogno di sostenere le reti territoriali impegna-te sulla tematica dell’abitare rivolte alle fasce più deboli dellapopolazione. Da qui è nato “Far casa, (non a caso!)”, un proget-to trasversale per sostenere il volontariato nel lavoro di rete. E, inquesto caso specifico, per accompagnare le organizzazioni a co-struire progetti sul tema dell’abitare.

Se lavorare in rete significa mobilitare le risorse di unapluralità di soggetti verso uno scopo e un progetto comuneattraverso un processo condiviso, allora in un’epoca di forteframmentazione e individualismo, il ruolo specifico del vo-lontariato è d’importanza strategica, in quanto portatore di re-lazione, solidarietà e altruismo. Ma le organizzazioni di vo-lontariato rischiano di soffrire degli stessi mali della nostra

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L’editoriale

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società. Ecco perché è di fondamentale importanza per Ciesse-vi mettersi al servizio delle associazioni. Come? Favorendo leorganizzazioni nel non isolarsi e nel mettersi in rete. Per que-sto progetto è stato scelto il tema dell’abitare, perché casa è si-nonimo di luogo di vita e di identità. Perché la casa è la baseper lo sviluppo, la realizzazione personale e sociale, la casa èanche luogo di raccolta e cura di emozioni. Affetti e storie pri-vate che possono aprirsi agli altri e dagli altri e con gli altriprovenire. Luogo “proprio”, sicuro e accogliente, dove si ri-torna e da cui si parte. Luogo di maggior libertà ed espressio-ne. La casa è un luogo importante e vitale per ogni cittadino.Essa rappresenta anche il suo modo di abitare la città. E se lacasa (il dove) è luogo di vita, allora l’abitare (il come) diventaun processo vitale.

Tuttavia, per le persone con disagio sociale, ancora oggi, lacasa, con i tutti suoi significati, non è un luogo così facilmente“accessibile” e “abitabile”, sia per vincoli strutturali e materia-li, sia per elementi “culturali” legati a un contesto che fa faticaa includere. L’abitare per le persone più deboli diventa così uncomplesso processo che richiede cura, accompagnamento, so-stegno, attenzione e non può prescindere dal coinvolgimentodi tutta la cittadinanza. In quest’ottica non occorre soltanto ri-pensare l’edilizia in termini quantitativi: costi, standard e mi-sure. Ma anche attivare modalità e significati abitativi e del vi-vere civile che costruiscano legami nel territorio. Una sorta di“filo rosso” in grado di accogliere, aiutare e valorizzare chi è inmaggior condizione di fragilità, facendo rientrare in questa ope-razione bisogni e desideri di tutti i cittadini.

Con il progetto “Far casa, (non a caso!)”, Ciessevi si è pro-posto di raccogliere i desideri, le idee e le ipotesi delle orga-nizzazioni di volontariato che, mettendosi in rete, hanno inve-stito energie e risorse anche in piccole, ma significative,progettualità sul tema dell’abitare. Dunque, per noi, affrontareil tema dell’abitare delle persone in condizioni di fragilità è si-curamente un’occasione per favorire la nascita, o rafforzare losviluppo, della solidarietà, della cittadinanza attiva, della ca-

pacità di una comunità di creare relazioni solidali, affinando lacapacità di cogliere e rispondere a bisogni veri presenti sul ter-ritorio della nostra provincia.

Inoltre, il “fare casa” è più di un semplice cercare e trovare,di un incontro fra domanda e offerta, rimanda anche a una di-mensione “processuale” e di rete: il fare casa non a caso è met-tere insieme, combinare, connettere. E’ leggere i bisogni resi-denziali delle nostre comunità, costituite anche da persone arischio di esclusione sociale. Ed è proprio a partire da questedebolezze che occorre scoprire e valorizzare risorse e opportu-nità presenti nelle associazioni e nei territori, attraverso traiet-torie e interpretazioni spesso inedite.

“Far casa, (non a caso!)” è stata un’azione importante di Cies-sevi non tanto per le risorse economiche, che pure sono stateinvestite, quanto per ciò che, alla fine del progetto, è emerso daparte dei territori coinvolti. Cioè su come Ciessevi ha accom-pagnato le organizzazioni di volontariato e ha sviluppato la lo-ro capacità su questa tematica e sulla virtuosa collaborazionetra volontariato e cooperazione. Una collaborazione che potràdiventare cambiamento culturale solo se Regione Lombardia,Provincia di Milano, Aler e amministrazioni locali si farannocarico di co-progettare e assumersi la responsabilità di gover-nare questo processo che ci vede facilitatori di coesione socia-le, con l’obiettivo che queste “case” siano il risultato di percor-si condivisi della comunità che accoglie e non isolati contenitoridel disagio di un territorio. Al volontariato raccomando, in unalogica di trasversalità, di presidiare questa tematica, indubbia-mente la più complessa da costruire.

Quindi coltivare e sostenere questi percorsi che sono il fio-re all’occhiello delle nostre comunità, perché sono indicatori diquanto si lavori con diversi attori per realizzazioni complesse.

Il bisogno del buon abitare è necessità di tutti, ma è più com-plesso da realizzare per le fasce deboli della popolazione - per-sone con disabilità, migranti, giovani coppie, studenti fuori se-de, anziani -, che sono parte di una progettazione partecipata ilcui denominatore comune è la casa.

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come Petrosino tiene a osservareche «tra questi due verbi quelloche presenta più difficoltà di com-pimento è il secondo, cioè il cu-stodire. Perché noi, in qualche mo-do, il coltivare lo conosciamo, neabbiamo una maggiore pratica».

Petrosino premette che il “colti-vare” biblico, oggi può essere trasla-to anche in un “costruire”. E se ciòè vero, allora «il costruire è un mec-canismo ormai entrato nel Dna ditutti». Ecco perché riavvolgendo ilfilo del ragionamento sul tema del-l’abitare, lo studioso spiega che «sedobbiamo erigere una casa, sappia-mo benissimo che ci vuole un gran-de lavoro: nei calcoli statici, nellascelta dei materiali, nella posa delcalcestruzzo». Ma non solo: «Nellacostruzione degli edifici, pensiamoper esempio, a quanta attenzione unarchitetto, o un ingegnere, mettonoper soddisfare i bisogni delle perso-ne, oppure per migliorare la qualitàdella vita delle persone svantaggia-te, o portatrici di disabilità. Sottoquesto aspetto è innegabile che ne-gli ultimi decenni ci sono stati pas-si in avanti incredibili. La tecnica,in questo campo, ha fatto passi dagigante. Basti pensare che adesso cisono persino le case domotiche. Ec-cezionale. Bellissimo. L’uomo hacreato con il suo ingegno e la sua in-gegneria strumenti, macchine, ap-parecchi che semplificano e rendo-no più facile la vita anche ai piùdeboli. Sul costruire siamo tuttid’accordo nel ritenere che siamo di-ventati abilissimi».

Più complicato, ma anche più in-

teressante, è invece il tema del

custodire. Che cos’è esattamente?

E’ il custodire le memorie, lerelazioni, gli affetti e persino lasessualità. Perché mangiare, dor-mire, riprodursi vanno custoditi.Possiamo persino azzardare chebisogna arrivare a custodire addi-rittura le proprie manie. Per capi-re pienamente quest’ultimo pun-to faccio il seguente esempio: unaragazza disabile si trovava male inuna casa famiglia in cui vivevaperché rispetto alla precedente co-munità non aveva più un vaso difiori sulla tavola. Per lei l’abitareera strettamente connesso conl’avere sempre dei fiori in casa.

Un altro concetto fondamentale

dell’abitare è quello dell’intimità.

Di sicuro. Anche perché taleconcetto si sposa con un altroelemento, sempre biblico, quellodella nudità. Si potrebbe dire chela casa è il luogo in cui si puòstare nudi, cioè senza doversi di-fendere, che invece è quello chefacciamo fuori casa. E senza do-ver dimostrare nulla. Questo èinteressante perché laddove sirealizzano queste condizioni, lìc’è la vera casa, anche se non c’èla casa in quanto edificio. Alpunto che si può sostenere chel’abitare va al di là della casa co-me edificio. Ma si può parlare diabitare, solo se ci sono quellecondizioni di intimità, di acco-glienza e di custodia. Cito a que-sto riguardo il film “Irina Palm”,che è la storia di una donna che,siccome ha un nipote malato che

Capovolgimento di senso:l’uomo esiste abitandosolo se coltiva e custodisce

Petrosino

«IL PUNTO DI PARTENZA perdefinire che cos’è l’abita-re è scritto nel libro della

Genesi: “Dio prende l’uomo e lomette nel giardino dell’Eden affin-ché lo coltivi e lo custodisca”.Quindi se devo dare una defini-zione all’abitare, la coniugo con ilcoltivare e il custodire». Va drittoal centro della sua teoria, che sem-bra sovvertire l’ordine delle cose,Silvano Petrosino, professore al-

l’Università Cattolica di Milano,intellettuale che ama le sfide ri-schiose, autore prima di “Babele”(Il Melangolo Genova 2003), in cuiaffronta il delirio del senso del-l’abitare umano simboleggiato dal-la celebre torre, poi di “Capovolgi-menti” (Jaca Book, Milano 2008),un testo in cui porta alle estremeconseguenze il nesso ontologicofra l’uomo e il luogo che abita, per-ché «l’uomo non può che abitare,dunque esiste abitando». Ma subi-to ritorna sulle direttrici del “colti-vare e custodire”, sostenendo che«l’elemento interessante di questidue verbi e che vanno saldati in-sieme, cioè lo specifico umano staproprio nel tentare di tenere insie-me queste due esperienze». Così

Silvano Petrosino, docenteall’Università Cattolica, da anni è impegnato nel ripensare i concetti di abitare, ospitalità ed accoglienza

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Petrosino

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deve curarsi in Australia, perraccogliere i soldi necessari tro-va un lavoro in cui deve mastur-bare gli uomini senza mai spo-gliarsi; lei non vede mai questiuomini e quest'ultimi non la ve-dono mai, tutto avviene attraver-so un buco nella parete. A uncerto punto lei porta la foto delnipote in quella stanza compien-do un gesto enorme che riscattatutta quella terribile situazione.Quindi un luogo disumano, iniziaa diventare per lei un luogo uma-no, inizia ad essere abitato graziea quella fotografia. E ancora: an-che i pendolari che ogni giornoprendono il treno salgono sempresulla stessa carrozza, aspettanosempre allo stesso posto dellabanchina. Così come nei campirom ognuno cerca di crearsi un“suo” spazio. Da questi esempi,quindi, possiamo dedurre chenon è il luogo che fa l’abitare, maè l’abitare che fa il luogo.

E’ difficile far passare questa idea

del custodire perché di solito si

censura il fatto che il custodire

contenga delle manie.

Questo vuol dire che l’abitareè più forte del funzionalismo. Peril punto di vista del funzionali-smo, che è di un’assoluta corret-tezza, gli oggetti vanno dispostiin un certo modo, con un certoordine, sulla base di date regole,senza tenere conto della soggetti-vità delle persone che, invece,hanno una loro personale visionedella disposizione, dell’ordine.Quindi bisogna coltivare e fare le

cose bene. Solo che il fare bene avolte non coincide con una rego-la astratta per cui il bene è il be-ne per l’uomo, comprese le suemanie. E, a questo riguardo, nonva dimenticato che, noi spessochiamiamo disordine l’ordinedell’altro. Questo causa tantissi-mi conflitti sia nelle famiglie chenelle comunità. Io penso che nonci sia soluzione per l’uomo di po-ter vivere al di fuori del conflittose non accettando di custodirel’ordine dell’altro. Perché se nonsi impara a custodisce l’altro allafine l’altro diventa insopportabi-le e quindi si tenta di distrugger-lo. Quando il coltivare non tieneconto del custodire diventa undistruggere. C’è allora un costrui-re che è distruggere. Pensiamo,per esempio, all’inquinamento: èchiaro che il custodire implicaun limite, cioè l’accettazione diun limite.

Ma il custodire e il coltivare che

tipo di relazione hanno con la

“tecnica”? Prendiamo in conside-

razione, per esempio, la tecnolo-

gia e balza agli occhi quanto ha

migliorato la qualità di vita delle

persone con disabilità…

Questo è il motivo per cui nel-la Bibbia Dio dice all’uomo dicoltivare e di nominare le cose.Quindi la tecnica è una meravi-glia, ma al tempo stesso da benerischia di diventare un male. Latecnica ci sfugge di mano, quan-do per esempio l’adesione a unmodello porta a negare la memo-ria, la tradizione, i ricordi, gli af-

fetti, le manie. Ci può essere og-gettivamente una cosa sbagliata.Dunque il coltivare diventa undistruggere perché l’adesione aun modello impedisce di vederel’altro. Ma al centro di tutto ci de-ve sempre essere l’uomo.

Quando lei parla di manie possia-

mo parlare anche di culture? Per

esempio, se prendessimo in con-

siderazione “l’abitare” dei rom,

quello che per noi è disordine per

loro invece è ordine?

Quando io parlo di mania èper descrivere un elemento concui noi non ci troviamo in sinto-nia. Invece bisogna, anche se èdifficile farlo, tenere conto dellacultura dell’altro. E allora il cu-stodire è comunque un custodireinsieme, che comporta venirsi in-contro, cioè un incontrarsi. Tor-nando all’esempio sui rom: vadetto che il coltivare e il custodi-re è di tutti, sia da una parte comedall’altra. Anche gli extracomu-nitari, quindi, devono impararead ospitare e non solo ad essereospitati. Ecco in che senso ri-guarda tutti. Le manie dunque so-no le tradizioni, le abitudini diciascuno, così come di una co-munità. C’è poi una ragione percui bisogna fare questo sforzo,perché se non si fa così è facilevenire alle mani. Se non ci siospita prima o poi ci si distrugge.Di conseguenza i progettisti, gliurbanisti, gli architetti devonoaccettare un limite alla propriacasa. Un architetto non costruisceuna casa, perché la casa la fa chi

ci abita. Un architetto deve accet-tare di non essere colui che co-struisce una casa, ma colui chemette le condizioni perché possaesistere una casa. E’ tutto un gio-co difficilissimo di accettazionedel limite. Per cui custodire vuoldire accettare che c’è dell’inco-struibile. Custodire vuol dire ac-cettare il fatto che non posso co-struire tutto. Perché custodiscociò che non ho fatto io.

Ma allora può fare casa solo con

chi abiterà quella casa? E il vo-

lontariato che ruolo può ritagliar-

si? E perché gli architetti dovreb-

bero coinvolgere le associazioni

nella progettazione?

La gente, le persone che vivo-no queste esperienze sono il de-posito di un sapere enorme chenon necessariamente poi troveràuna soluzione tecnica. Perché peri fiori della ragazza disabile, checitavo nell’esempio precedente,non ci sarà nessun architetto chepossa progettare quei fiori in ta-vola. E ribadisco che nelle orga-nizzazioni di volontariato c’è undeposito enorme di piccole cose.Per esempio ho visto un’espe-rienza di una casa per ragazzegiovani che erano state violenta-te, dove gli operatori mi raccon-tavano che il loro lavoro consi-steva nell’insegnare loro unarieducazione del corpo. Per farequesto avevano previsto attenzio-ni semplici ma importanti comel’aver costruito dei bagni moltobelli e molto colorati. E ancora: ilcomprare della biancheria piùfemminile e delicata. Tante pic-

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Petrosino

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La casa come servizio E quella riforma mancata che immobilizza il mercato

Rabaiotti

NON È SEMPLICE CAPIRE che cosa non stia funzionando, ma lecose faticano a partire, anzi le case faticano a partire. So-no passati oramai più di dieci anni da quando, proprio

nella città di Milano, con una certa preoccupazione e anticipa-zione, veniva lanciato un segnale di allarme sulla necessità di ri-considerare in modo serio e concreto la “questione della casa”.

A ragione del vero va detto che dal 1997 al 2002 una serie dimodificazioni importanti nelle politiche abitative ridefiniscono imeccanismi regolativi alla base del settore di policy: nell’ordineviene deciso di chiudere il fondo Gescal, distribuendo propor-zionalmente le risorse residue alle Regioni e nei fatti dichiaran-

do terminata la stagione del fi-nanziamento pubblico a fondoperduto, attraverso il qualeavevamo sostenuto negli ultimicinquant’anni la costruzione dinuove case popolari, attraversol’edilizia sovvenzionata, e pre-

di Gabriele Rabaiotti

dossier settembre 2011

cole cose che potessero far rias-saporare loro il gusto della vita.Ecco che, se io dovessi dire cos’èl’abitare, è proprio questa atten-zione, questa sintonia emoziona-le. Ma questa attenzione ai parti-colari delle persone non potràmai essere progettata da altri chesono al di fuori della storia dellepersone. Quindi bisogna accetta-re il limite che c’è dell’improget-tabile, dell’incostruibile, che inuna parola potrebbe essere defi-nito il quotidiano. Per esempio:sono stato ad un convegno di me-dici, in cui si azzardava la tesi se-condo cui oramai i medici hannoperso l’occhio clinico. Ma l’oc-chio clinico che cos’è? E’ appun-to l’occhio che è attento all’uni-cità. In teoria non ce ne sarebbebisogno, perché ci sono strumen-ti e apparecchiature diagnosticheprecisissime; poi ci sono le sche-de, gli standard, i protocolli. Sa-pete invece che cosa manca oggiai medici? La capacità di leggere

il corpo, di penetrare lo sguardo.Cito per farmi capire la serie tele-visiva “Dottor House”, la cuistruttura narrativa è incentratasul tema “tutti sanno tutto, masolo lui vede”. Lui, il protagoni-sta, vede delle cose che tutti glialtri non hanno visto anche se lesanno perché sono tutti mediciformati. E’ interessante questanarrazione perché in un mondosupertecnologico riemerge l’uma-no. E’ interessante anche il nomeHouse, che appunto significa “casa”.

Se per un momento ci mettiamo

nei panni di chi deve fare un in-

tervento di housing sociale a Mi-

lano, non conoscendo chi saran-

no gli abitanti di quella casa, che

cosa bisognerebbe fare e a chi bi-

sognerebbe rivolgersi?

Già il fatto di chiedere, di ascol-tare chi conosce direttamente i bi-sogni sarebbe positivo. Non c’è bi-sogno di grandi sforzi. Basta ilminimo. Servono, innanzitutto,case sicure e con una suddivisio-ne intelligente degli spazi. Di sicu-ro il volontariato potrebbe portareil tema dell’esperienza, perché ilvolontariato è il luogo dell’espe-rienza maturata sul campo. E il te-ma dell’esperienza è ciò che si op-pone all’idea di progetto. Ancheperché il progetto è sempreun’astrazione. Se è vero che non sipuò vivere senza progettare, è al-trettanto vero che la vita non è ri-conducibile a un progetto. Così co-me è la politica che deve decidere,ma per decidere deve parlare mol-to e soprattutto ascoltare molto.

Silvano Petrosino Capovolgimenti. La casa non è unatana, l'economia non è il businessJaca Book, 2008

Silvano PetrosinoBabele. Architettura, filosofia e linguaggio di un delirioIl Nuovo Melangolo, 2003

Martin HeideggerCostruire abitare pensare in Saggi e discorsiMursia, Milano, 1985

Film“Irina Palm - Il talento di una donna inglese”del 2007 di Sam Garbarski, Cecchi Gori Home Video, 2008

GRANDANGOLO

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Gabriele Rabaiotti, espertodi pianificazione urbana e docente al Politecnico,lancia l’allarme sullaquestione abitativa e indicaalcuni spunti di riflessione

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Rabaiotti

valentemente in proprietà a costi contenuti, attraverso l’agevola-ta e la convenzionata. Così come si ridefiniscono le regole delmercato delle locazioni introducendo un regime di libero merca-to e un secondo canale di affitto concordato a canoni inferiori de-finito a partire da accordi locali stipulati tra associazioni dei pro-prietari immobiliari e sindacati inquilini. E ancora: sono trasferitealle Regioni le competenze in materia di programmazione abita-tiva e territoriali unitamente alle risorse derivate dalla soppres-sione del fondo Gescal di cui sopra; in Lombardia (come in altreparti del Paese) l’Istituto Autonomo Case Popolari viene trasfor-mato in Azienda regionale (Aler, nel caso specifico).

Nel 2002 la stessa Regione disegna il primo programma trien-nale di indirizzo della spesa pubblica per la casa, introducendo,in un regime concorsuale di accesso alle risorse, dodici differen-ti tipologie di intervento cui corrispondono complessivamente1.200 milioni di euro (stanziamento che subirà un taglio secconel secondo programma triennale riducendosi della metà).

Nell’arco di cinque anni ci siamo trovati a lavorare in un cam-po in cui le regole del gioco erano state profondamente cambia-te e, di conseguenza, le stesse possibilità di azione: eravamo, a ra-gione, impreparati. A fronte di queste importanti sollecitazioni,che hanno in particolare puntato a modificare il sistema degliattori coinvolti e implicati nelle politiche abitative socialmenteorientate e a modificarne il “comportamento” risultando, in que-sto, spiazzanti, non si è avuto modo di registrare una trasforma-zione particolare. Non abbiamo assistito a uno shock, a uno ve-ro spiazzamento. Tutto è apparso più o meno come prima; tuttihanno continuato a fare quello che avevano sempre fatto. Certodieci anni potrebbero non essere sufficienti per una valutazioneprofonda, ma una prima serie di considerazioni possono aiutar-ci a capire che cosa non abbia funzionato ieri e, ancora oggi, fa-tichi a funzionare.

Lavorare nell’ambiguità può non essere poi così maleTra i problemi più importanti della mancata “riforma” del mododi intervenire sul problema casa un ruolo decisivo è stato gioca-to dalla scarsa chiarezza degli obiettivi pubblici di fondo, traditadefinitivamente con il “Piano Casa”, l’ultimo atto del governo

che, speriamo, sia rapidamente sottoposto ad una seria revisionedai prossimi amministratori dello Stato. A che cosa devono ser-vire i soldi pubblici quando li collochiamo sul capitolo “casa”?Detto altrimenti che cosa vogliamo finanziare, che case vogliamofinanziare? Dove e a chi ci interessa arrivare?

Negli anni Cinquanta, con i primi programmi pluriennali diintervento pubblico in materia abitativa era chiaro che si stavasostenendo il sistema della produzione edilizia per due diffe-renti ragioni che trovavano, al tempo, un punto interessante diconvergenza.

Da un lato, c’erano le famiglie uscite dal secondo conflittomondiale senza casa, sfollate, in movimento verso le aree più ric-che e infrastrutturate del Paese in cerca di fortuna; in generaleuna situazione socio-economica di estrema fragilità. La casa di-ventava una risposta decisiva per restituire certezza e stabilità,per permettere uno spostamento massiccio di persone e famigliedal Sud al Nord (movimento migratorio che, pur ostacolato dauna minoranza di attivisti nel Meridione, tesa a portare la gente– e le case – dove c’era il lavoro rinunciando definitivamente aportare il lavoro laddove già c’era la gente – e quindi le case -), perridare un tetto a tutti coloro che erano stati bombardati durantela guerra. La ricostruzione (delle case) diventava condizione ne-cessaria, anche se non sufficiente, per la ripresa di fiducia dellepersone e delle comunità.

Accanto a questo il bisogno di intervenire sulle possibilità oc-cupazionali, di introdurre politiche economiche dirette a soste-nere aree di mercato non particolarmente qualificate, ma con for-ti impatti in termini di indotto e di movimentazione di settorifunzionalmente connessi, veloci nel produrre effetti e risultati:sostenere la produzione edilizia e il mercato immobiliare potevaessere un’idea economicamente (e non solo socialmente) vin-cente. Domanda (le famiglie senza casa o in cerca di un’abitazio-ne) e offerta (la produzione di alloggi) rappresentavano i due do-mini della stessa politica abitativa.

A distanza di circa sessant’anni, dentro ad un processo di pro-gressiva dismissione dello sforzo pubblico a sostegno della casa,troviamo un “Piano Casa” che tradisce i bisogni espressi dalla do-manda (basti pensare all’unica misura che ha avuto qualche ri-

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dossier settembre 2011

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sultato in termini di “attivazione” degli interessi e cioè quella del-le addizioni volumetriche agli immobili in proprietà che nullaproduce in termini di capacità di soddisfare le domande delle fa-miglie senza casa) e sostiene apertamente il mercato (quello del-le costruzioni) rispetto al quale viene da chiedersi se ancora oggiquesto rappresenti un comparto strategico per lo sviluppo di unPaese sempre più “avanzato” e soggetto alle richieste della com-petitività europea e mondiale.

Un Paese che non riesce a vedere altre strade per lo sviluppoeconomico se non quelle già percorse e che fatica a capitalizzarele sue risorse rileggendole in una chiave nuova, avanzata, pro-spettica. Un Paese infine “distorto” dalla produzione edilizia chegià c’è stata, in cui esistono 130 case ogni 100 famiglie e piùdell’80% risultano proprietari della casa in cui abitano. Se pochihanno protestato ritenendo profondamente e socialmente ingiu-sto e, in sostanza, economicamente fallimentare un “Piano Casa”che fin dalle sue premesse suonava male è forse perché qualcu-no, nella sua posizione arroccata e conservativa, ha pensato chequesta ambiguità poteva essere funzionale al mantenimento diuna posizione faticosamente conquistata negli anni.

Fare case non a casoSe l’intervento pubblico dovesse invece con più serietà e corag-gio porsi il problema di quale “offerta” possa (e debba) servire adare casa a chi non ce l’ha, in una situazione qual è quella italia-na, che tipo di casa dovremmo realizzare?

Qualcuno, timidamente, da qualche tempo (forse anche datroppo tempo) sostiene che sia il comparto dell’affitto quello dasostenere. Per diverse ragioni che di seguito riprendo sintetica-mente. Chi doveva acquistare, tra libero mercato, edilizia age-volata e convenzionata, lo ha fatto (al punto che, le ultime duetipologie citate, oltre a garantire l’accesso alla prima casa in pro-prietà a molte famiglie, sono, oramai da tempo, utilizzate in mo-do distorto essendo quelle case diventate oggetto di puro inve-stimento e speculazione immobiliare “mascherata”, sicuramenteper quanto riguarda i primi acquirenti).

La nuova domanda abitativa è spesso costituita da persone efamiglie con situazioni socio-economiche fragili e l’affitto a ca-

noni calmierati (se ci fosse) potrebbe rappresentare una soluzio-ne ad impatto economico contenuto, facilmente reversibile, adat-tabile all’evoluzione di percorsi sempre più incerti.

Le famiglie giovani e i nuclei di nuova costituzione (non so-lo italiani) vivono una fase d’avvio e di stabilizzazione del red-dito mediamente più lunga rispetto a qualche decennio fa (nonsiamo più nella stagione del boom economico – nonostante ilfatto che qualcuno continui ossessivamente a dire il contrario -;il nostro Paese, negli ultimi dieci anni, è passato da una fase distagnazione ad una più recente fase di recessione economica) erestano in una condizione di “precarietà” per diversi anni primadi essere in grado di risparmiare e quindi di immaginare un pro-getto di sviluppo abitativo (incluso l’eventuale acquisto di unacasa). La mobilità crescente, dettata da un mondo del lavoro or-mai trasformato, chiede di infrastrutturare diversamente i terri-tori, in particolare le aree metropolitane e le città più in genera-le, e dunque la casa in affitto rappresenta un elemento deciso diquesta nuova “infrastrutturazione”. Infine le famiglie povere,nuove e antiche, continuano con insistenza e determinazione, achiedere una casa in affitto a canoni bassi e molto bassi (si pen-si al fatto che, nonostante i tempi biblici, le domande per l’asse-gnazione di una casa popolare segnano un trend crescente) ri-sultando l’acquisto, per quanto sostenuto e supportato, unamossa inaccessibile e, per certi aspetti, impropria.

Se il “Piano casa” di questo ha un po’ parlato, sicuramentepoco ha fatto (non è questa la sede per una disamina del Siste-ma Integrato dei Fondi, in cui lo Stato ha deciso di interveniredirettamente, per capire in quale direzione rischia di andare an-che questa importante misura, ma chi scrive non nasconde diavere qualche dubbio circa la possibilità, attraverso i fondi im-mobiliari, di colpire il bersaglio – e cioè di intercettare la do-manda abitativa che “soffre” – attraverso uno strumento di in-vestimento che impiega, vale la pena ricordarlo, quasiesclusivamente risorse pubbliche). Siamo passati da un fondo dierogazione che prendeva le risorse dai contribuenti (fondo Gescal)per costruire case popolari ad un fondo di investimento che pren-de le risorse dai contribuenti (sistema integrato dei fondi) per rea-lizzare (al momento in teoria) case in affitto e, perché no, case in

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proprietà convenzionata. Anche la nostra Regione, molto più pro-diga nell’indicare con nettezza la necessità di intervenire (solo)sul comparto della locazione pubblica (a canoni molto contenu-ti) e privata (a canoni “calmierati”’ e accessibili), ha mantenuto trale misure del suo programma di spesa il “mutuo prima casa” evi-dentemente non finalizzato alla locazione ma di grande interes-se dal punto di vista del consenso politico.

In un Paese “culturalmente” rivolto alla proprietà la spintapubblica verso la locazione è risultata non sufficientemente for-te e non abbastanza convinta. Forse la politica per prima ha ri-tenuto opportuno evitare di esagerare. Se l’attore pubblico è ri-sultato alla fine troppo freddo i soggetti privati (promotori,investitori, costruttori, cooperative edilizie e abitative) hannoagito di conseguenza interpretando l’affitto come un onere, uncosto aggiuntivo del loro intervento, ma mai come una possi-bilità di diversificazione del portafoglio immobiliare e quindidell’investimento.

In assenza di un sistema regolativo più rigoroso e prescrittivo,troppo pochi sono stati quelli che ci hanno creduto e, nonostan-te il moltiplicarsi di convegni, seminari, studi e ricerche, non siè riusciti a creare un “movimento per l’affitto”, una pressione ca-pace di lavorare sulle consapevolezze e sulla maturazione tantodella domanda quanto del sistema di offerta.

L’ambiguità, generata dalla mancanza di coraggio nel prende-re posizione a vantaggio dell’affitto, si è riversata tutta all’internodel Decreto Ministeriale delle 22 aprile 2008 finalizzato esclusi-vamente a definire che cosa si intende in Italia per “edilizia so-ciale”: un vero capolavoro che ci riconsegna un Paese con unapolitica della casa debole e incerta, affidata agli umori degli ope-ratori di un mercato conservativo e tradizionale che non intendeguardare verso altre linee di investimento e di sperimentazionesentendosi ancora sufficientemente tutelato dal pubblico e dallarendita di posizione conquistata nel tempo.

Se guardiamo all’Europa scopriamo che l’Italia è agli ultimiposti per quantità di affitto e che Paesi ad economie e democra-zie più mature presentano un comparto immobiliare in locazio-ne che, percentualmente, è doppio rispetto al nostro. In modo unpo’ contro intuitivo scopriamo che la capacità di risposta alle sol-

lecitazioni e alle sfide poste dalla nuova condizione socio-eco-nomica vengono meglio affrontate e risolte laddove è possibilecontare su una dotazione elevata di “case in affitto”. E’ una que-stione legata a quello che sopra è stato indicato come processo dinuova “infrastrutturazione territoriale”.

Una società necessariamente più flessibile, mobile, incerta,sempre più spesso chiamata ad inventarsi che non a stabilizzar-si (basti in questo senso pensare al mondo del lavoro e ai regimicontrattuali), ha bisogno di trovare casa spostandosi. Queste ca-se sono dotazioni territoriali, servizi, al pari di un asilo nido, diun ospedale, di un impianto sportivo, di una biblioteca. Se la po-litica (italiana) assumesse questa posizione in modo netto anchenoi potremmo registrare effetti interessanti in termini più gene-rali. In linea di massima, aumentando lo stock in locazione, siandrebbe a produrre un effetto di calmieramento del mercato de-gli affitti attuali.

Il ritornello che amiamo ripetere “costa meno il mutuo del-l’affitto” è connesso alla strutturazione del mercato immobiliareitaliano che offre molte case in proprietà e trattiene il patrimonioche potenzialmente potrebbe essere rivolto all’affitto (questo an-che perché, in un Paese dove il mercato immobiliare è animato dapiccoli investitori, la scelta di affittare la propria “seconda casa”non è sufficientemente tutelata e non risulta, alla fine conve-niente/interessante dal punto di vista economico; la cedolare sec-ca qualche effetto, in questo senso, potrebbe produrlo). In secon-da battuta l’intervento pubblico diretto (dello Stato, delle Regioni,dei Comuni) potrebbe (forse meglio dire dovrebbe) orientarsi asostenere e favorire iniziative rivolte all’affitto a canoni calmierati(e non ad altro). In questo modo non solo si andrebbe ad accele-rare il processo appena richiamato, ma si garantirebbe un’offertaintermedia, collocata tra la casa popolare e il libero mercato, ri-ducendo le distanze presenti in un mercato fortemente polariz-zato e quindi pressoché immobile.

Nessuno abbandona la casa popolare (che, anzi, è trasmessaagli eredi) anche perché le vie di uscita non esistono, così comenon è possibile, per chi si trova in affitto sul libero mercato, riu-scire a retrocedere quando non è più in grado di sostenere il ca-none di locazione. Ci troviamo in un sistema rigido che produce

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zio (pubblico) è di proprietà pubblica o, come si usa dire oggi, diproprietà di chi si impegna a garantirne un utilizzo nel pubblicointeresse (e quindi ad agire in vece pubblica). Strettamente con-nesso all’apertura vi è l’aspetto delle regolamentazione dell’uso,dei criteri di accesso utili ad indicare con maggiore precisione, so-lo nel caso in cui l’utilizzo non sia estendibile senza difficoltà, iltarget di riferimento (destinatari) e le eventuali priorità. Questa se-lezione e gli eventuali meccanismi di ordine (graduatorie) sononecessari non solo quando il servizio è finalizzato a dare rispostaa particolari domande (l’accudimento dei minori, la cura dei ma-lati, l’inserimento degli immigrati), ma anche quando la doman-da supera la capacità di risposta (liste d’attesa). Quanto più cre-sce questo scarto tanto più è necessario definire regole stringentiche dicano con chiarezza quali sono i soggetti privilegiati, cioè achi si rivolge una determinata politica di servizio innanzitutto.

Un terzo aspetto è legato alla “reversibilità”, importante nei ca-si in cui esiste un regolamento che limita e disciplina l’accesso.La domanda intercettata in un dato momento e ritenuta “acco-glibile” potrebbe rivelarsi, successivamente, non più prioritaria(vuoi per ragioni di evoluzione positiva rispetto alla situazioneiniziale, vuoi per l’emersione di domande più critiche). Se il per-corso è chiaro (e mi auguro condiviso) va da sé che la casa in pro-prietà, per quanto a costi contenuti, non può rappresentare unservizio in senso pieno; la locazione “calmierata” risulta inveceuno strumento in grado di dare risposta ai requisiti sopra espres-si a partire dai quali una funzione (quella residenziale, tradizio-nalmente interpretata come “speculativa”) può legittimamenteessere assunta come servizio di interesse pubblico.

Nella locazione “calmierata” bisogna includere non solo i cano-ni bassi e molto bassi (il canone moderato e sociale disciplinato daRegione Lombardia e che solitamente rende necessario un cofinan-ziamento pubblico per dichiararsi sostenibile), ma anche i canoniconcordati e convenzionati che, tendenzialmente più elevati, per-mettono di ottenere una sorta di “offerta terza” che va a coprire, inun modello a tendere, quella distanza oggi riscontrabile nel merca-to, tra casa popolare e affitto di libero mercato che rende complica-ti (e quasi impossibili) i passaggi, le uscite, gli scambi tra il primo eil secondo comparto inibendo la mobilità abitativa e sociale. Riten-

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distorsioni (il 25% delle famiglie che abitano nelle case pubbli-che hanno superato i limiti di reddito consentiti dalla legge) esofferenze (crescono le famiglie che, in affitto sul mercato libero,non riescono a sostenere il canone per l’eccessiva incidenza diquest’ultimo sul reddito). E’ chiaro che la conformazione del mer-cato immobiliare produce (certo non in modo automatico e di-retto) una serie di effetti e conseguenze sociali ed economichedove, per esempio, la rigidità del comparto abitativo tende a com-primere gli spazi di azione delle persone e della comunità ren-dendo i percorsi altrettanto rigidi e bloccati. Diventa un proble-ma spostarsi, inseguire un progetto professionale, avviare unpercorso di sviluppo alternativo, immaginarsi in un altrove per fa-re quello che si desidererebbe fare e ci si ritrova sempre nellostesso posto a fare, più o meno, le stesse cose rinunciando ad in-vestire su se stessi, a tentare di inseguire un idea, un sogno, unprogetto, ritardando la costruzione di una prospettiva di autono-mia. Un Paese che ha costruito per la proprietà si trova, nelle con-dizioni attuali, ad avere cementato anche la società che si scoprerigida, anch’essa (come il mercato) “immobile”.

Non più “immobili”Dentro a questa cornice, che mi auguro abbia aperto il pensiero adimmaginare qualche cosa di diverso, per noi e per le nostre co-munità, si collocano due questioni decisive per la costruzione diuna proposta di lavoro sulla casa capace di mettere al centro co-loro che, più di altri, hanno bisogno di un supporto abitativo perpoter sviluppare la loro autonomia di vita.

La prima questione è relativa alla casa come servizio. Come hoavuto modo di dire altrove e di riprendere in questa sede la casarappresenta un servizio di interesse generale (così peraltro recitail Decreto Ministeriale sopra citato) se soddisfa alcuni requisitifondamentali. Il primo è connesso all’apertura, potenzialmenteuniversale. Nessun servizio può diventare proprietà di alcuno.Non è possibile comprare un metro cubo di acqua di una pisci-na, non posso acquistare il banco e la sedia della scuola, non pos-so acquisire un ettaro di terra in un parco. La proprietà del benedeve permettere, almeno in potenza, un’accessibilità universale;nessuno ha titolo per appropriarsene. Per questo motivo il servi-

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intermediazione a fronte della quale i (piccoli) proprietari di im-mobili vuoti sono incentivati a far passare il loro patrimonio nelmercato dell’affitto “calmierato”. Le misure che facilitano questo“scivolamento” sono differenti nei diversi Comuni e dipendonoda molteplici fattori che in questa sede non è possibile riportare;vale solo richiamare il fatto che qualche intervento può esseremesso in campo; la mancanza di una agenzia per la casa a Mila-no è il segno di un percorso che ha bisogno di essere aperto. For-se è arrivato il tempo di voltare pagina.

L’aver tenuto in posizione marginale le politiche per l’affittopremiando sempre di più la casa in proprietà ha prodotto evi-dentemente anche un effetto sul sistema di organizzazione deglioperatori. Non abbiamo, al momento, realtà che si sono specia-lizzate nella gestione immobiliare, in particolare “sociale” o “in-tegrata”. A parte l’Azienda Lombarda Edilizia Residenziale, cheha vissuto in una situazione di quasi monopolio nella quale lesollecitazioni e le spinte al miglioramento sono state sempre mol-to deboli, nel nostro territorio non ci sono state le occasioni perdare origine a nuovi attori e al consolidamento di capacità e com-petenze utili a dare risposte non solo al problema della gestioneimmobiliare intesa in senso stretto ma anche, data la particolaretipologia di inquilini che si potrebbero intercettare, al problemadella “presa in carico” delle persone accolte e ospitate. Speri-mentazioni interessanti in questa direzione, a distanza di più diun decennio, restano contenute all’interno di un quadro già no-to; alludo al cosiddetto Terzo settore abitativo all’interno del qua-le si muovono associazioni, cooperative, fondazioni quali adesempio Casa Amica a Bergamo, Immobiliare Sociale Bresciana,DAR Casa e La Cordata a Milano.

Altre iniziative interessanti sono state promosse in questi an-ni da diverse organizzazioni di volontariato che, in particolare inLombardia, hanno avviato progetti puntuali la cui significativi-tà per le politiche è risultata ridotta a causa delle dimensionecontenuta, dello scarso rilievo comunicativo assegnato, della for-te dispersione territoriale, della mancanza di un quadro istitu-zionale all’interno del quale inserirle e leggerle. Ancora una vol-ta la questione torna sulle politiche, ma questa volta potrebbetornare con elementi di contenuto e di merito che spetta anche

go infatti che proprio la costruzione di questo spazio di azioneintermedio rappresenti la necessità per le politiche abitative.L’esistenza di case in locazione a canoni inferiori al mercato nonsolo può soddisfare la domanda delle persone che già vivono inaffitto, ma che “soffrono” economicamente per l’eccessiva inci-denza del canone sul reddito (calcolata indicativamente nella mi-sura del 30%), ma andrebbe ad incontrare quelle famiglie che,dopo aver abitato per anni nel sistema “protetto” delle case pub-bliche, possono (e devono) aspirare ad una ascesa, ad uno svi-luppo del percorso abitativo uscendo dal comparto dell’ediliziaresidenziale pubblica e quindi liberando alloggi per le situazionidi maggiore difficoltà. Dobbiamo pensare che, nonostante la cit-tà di Milano abbia un patrimonio pubblico pari al 10% dell’inte-ro stock (il doppio rispetto alla media nazionale), le sue case po-polari sono una risorsa “bloccata” solo potenziale: ogni anno, suun patrimonio di circa 65 mila alloggi se ne rendono disponibiliun migliaio (meno del 2%) potendo quindi soddisfare una parteminima della domanda abitativa sociale.

Spetta alle politiche pubbliche, nel nostro Paese, promuo-vere, sostenere, favorire la nascita e lo sviluppo di un settoreabitativo intermedio, destinato alla locazione a canoni calmie-rati, accessibili.

Questo orientamento servirebbe a dare mobilità in quel siste-ma che oggi appare drammaticamente immobile, a generare undinamismo in un settore che rischia di rappresentare un bloccoallo sviluppo della società. La mossa deve essere decisa dal mo-mento che il sistema degli attori e degli interessi che questi rap-presentano sta guardando nella direzione opposta e continua afarlo nonostante il fatto che, complice la crisi economico finan-ziaria, la capacità di spesa delle famiglie si sia ridotta al puntoche, le stesse cooperative edilizie che ancora realizzano per laproprietà, cominciano ad avere quote importanti di invenduto.L’esistenza di appartamenti non venduti introduce peraltro an-che la possibilità/necessità di costruire meccanismi e strumentioperativi finalizzati a portare questo patrimonio verso la locazio-ne per un tempo limitato (8/10 anni). In qualche città (tra le altreTorino, Bergamo, Vicenza, Forlì, Bologna) sono state istituite del-le Agenzia Sociali per la Casa che svolgono questa funzione di

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nanziamenti pubblici diretti al costo di realizzazione, abbiamobisogno di realizzare l’operazione ad un costo complessivo nonsuperiore ai 1.500 euro al metro quadro. Ciò significa ottenerel’area a titolo (quasi) gratuito, avere un azzeramento degli oneri diurbanizzazione e del contributo del costo di costruzione, ottene-re un immobile esistente (in diritto di superficie/in concessioned’uso) per il quale i costi di ristrutturazione e ripristino non sia-no complessivamente superiori a 600 euro al metro quadro. Que-sto trattamento pubblico “speciale” rispetto allo sviluppo di in-terventi immobiliari ordinari è proprio legato al fatto che stiamorealizzando servizi abitativi avviando un’operazione che, dalpunto di vista economico-finanziario genera un rendimento del-l’investimento (al netto del tasso di inflazione) non superiore al4-5% ed introduce un piano di ammortamento che ha durate me-die comprese tra i 20 e i 25 anni.

Proprio la natura di “servizio di interesse pubblico o genera-le” permette di utilizzare aree destinate a servizi e quindi o giàpubbliche o ottenibili dal pubblico, o dal privato a costi conte-nuti. In aggiunta a questo primo passaggio (e a costo di qualchecomplicazione aggiuntiva) si potrebbe introdurre una variante in-teressante. Fermo restando il fatto che tutti gli alloggi sono daconsiderarsi “servizi”, alcune unità abitative “speciali” (mini al-loggi, comunità alloggio, appartamenti protetti) potrebbero addi-rittura rappresentare un incremento della volumetria ammissibi-le in quanto già normati (a livello regionale) come servizi socialie assistenziali al pari di un centro socio educativo per disabili,un centro diurno integrato per anziani, un micro-nido, etc.

Quanto stiamo dicendo non trova al momento spazio all’inter-no degli strumenti di governo del territorio (il PGT) e fatica a trova-re sede nei Piani di Zona dei Servizi Sociali. Questa sinergia va ri-chiesta alle amministrazioni locali facendo in particolare riferimentoalle procedure che regolano il Piano dei Servizi, strumento deputa-to ad esplicitare che cosa intenda includere l’amministrazione sot-to la voce “servizi” la cui regolazione potrebbe risultare rafforzata daun rimando al trattamento che la questione casa trova nel Piano diZona. Il lavoro che le organizzazioni raccolte intorno al progetto“Far casa (non a caso!)” hanno insieme sviluppato rappresentaun materiale importante che si aggiunge a quanto già sperimen-

a noi riuscire ad apprezzare e a valorizzare nella consapevolez-za che non stiamo più parlando solo di intervento e di politichesociali, ma di iniziative e prospettive di lavoro segnate da unaforte integrazione tra la dimensione immobiliare ed edilizia e ladimensione immateriale e sociale. Per le realtà di volontariatoche si sono avventurate in questo campo si tratta allora di di-mostrare quali capacità nuove questi percorsi sono stati in gra-do di generare e quali prospettive di intervento a questo puntopossono ragionevolmente aprirsi.

Non è una questione di esigibilità generata dall’evidenza (“sele cose stanno così … non si può fare a meno di …”), ma di con-quista progressiva che chiede di “mettere in scena” quanto è sta-to fatto fino ad oggi nel vuoto generale e nonostante il disinteres-se delle istituzioni pubbliche e quindi mostri che cosa si potrebberiuscire a fare in una diversa condizione. Fino a quando non si de-finirà con più precisione che cosa si intende per “edilizia socia-le” non sarà facile indicare quali caratteristiche dovranno averegli operatori che, in questa parentesi carica di ambiguità e scarsadi risorse, stanno cercando di accaparrare le ultime risorse di-sponibili senza troppo preoccuparsi di rispondere alle istanzedella domanda abitativa sociale e di portare il loro contributo almiglioramento di un sistema di risposta ancora parziale e com-plessivamente insufficiente. Nel dibattito mancano le voci perl’affitto. Non escludo che sia anche questo un punto qualificanteche il volontariato maturo può essere in grado di portare al tavo-lo della negoziazione pubblica.

A quali condizioni?Se dovessimo scendere nel dettaglio e capire a quali condizioni,in mancanza di risorse economiche, la partita dell’”offerta terza”,della locazione calmierata, può essere giocata (prima di rinun-ciare arrivando anche noi ad affermare che l’unica soluzione per-corribile è quella della proprietà convenzionata), dovremmo pre-cisare alcuni aspetti tecnici. Tenendo fermo il canone di locazione(il costo che una famiglia può permettersi di pagare per avere ladisponibilità di un alloggio) e fissato questo canone entro una for-bice che varia tra i 65 e gli 80 euro mq/anno (quindi tra i 350 e i430 euro al mese per un alloggio di 65 mq), in mancanza di cofi-

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Dall’abitare all’inclusione,dal volontariato alla rete: le quattro gambe del tavolo

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L’OBIETTIVO DI QUESTE NOTE è rappresentare e raccontare ilpercorso di progettazione “Far casa, (non a caso!)”. No-te di uno staff di progettazione che oltre me, compren-

deva anche Tiziana Ferrittu e Silvia Cannonieri. “Apriamo” il nostro “diario di viaggio”: un file in word dal

titolo “facendo casa” che raccoglie in (dis)ordine sparso paro-le scritte e dette dentro e fuori questo percorso di tre anni: ap-punti, bozze di progetto, mail, verbali, report, liberi spunti eriflessioni. Tracce avidamente “copiate” e “incollate” a com-porre una mole magmatica di 130 pagine che mette a dura pro-

va il nostro narcisismo e lanostra scarsa propensione al-la sintesi. Il primo sforzo èquindi di provare provocato-riamente a muoverci nella di-rezione opposta, rispondendoalla domanda “e se dovessimo

di Paolo Aliata*

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tato da diverse realtà locali e che chiede di essere inserito all’in-terno di un ragionamento di prospettiva attorno al quale convo-care istituzioni pubbliche e private sensibili alla questione abita-tiva. Penso a Regione Lombardia, a Fondazione Cariplo e aFondazione Housing Sociale, ad alcuni Comuni dell’area metro-politana milanese, alla stessa Aler. E’ necessario trovare spondeforti ed interlocutori disponibili a dare fiducia e credito, ad avan-zare nella sperimentazione, ad assumere con coraggio una nuo-va direzione di lavoro e a contribuire a spostare gli interessi (al-meno in parte) verso un diverso orizzonte d’azione. L’inversioneda compiere è tutt’altro che banale ed è per questo che l’accordosulla casa ha bisogno di includere e di trovare presenti istituzio-ni significative ed autorevoli. Stando ai pronunciamenti ufficialisembra che le risorse economiche siano disponibili, in particolareattraverso i fondi di investimento immobiliare etico.

L’accesso a queste risorse è però complicato e lo strumento “fon-do” ha delle sue specificità che è opportuno conoscere. Non è pe-rò ancora chiaro attorno a quali dimensioni è possibile ed insiemeutile costruire relazioni e connessioni tra questo strumento di rac-colta e di investimento (a rendimento contenuto) e le capacitàespresse dal mondo del volontariato che di sicuro ha bisogno dipresentarsi meno scomposto e frammentato. Rispetto alle funzio-ni di gestione e di accompagnamento diverse sono le organizza-zioni locali che potrebbero mettere in gioco le proprie competen-ze e valorizzare il proprio contributo per la riuscita di progetti di

housing a forte connotazione socia-le. La direzione da seguire è quelladi avviare un percorso di accredita-mento che riconsegni alle organiz-zazioni di volontariato le necessarietecnicalità da un lato e di avviaremodelli di partenariato all’internodei quali vengano precisati ruoli,compiti e responsabilità dall’altro.

Una strada che si presenta in sa-lita; i tempi sono maturi ma i nodi alpettine restano ancora, in larga par-te, da sciogliere.

Gabriele RabaiottiRitorno a casa: le politicheabitative nel territoriolombardo tra analisi e prospettive di ridisegnoCitta Aperta Edizioni, 2007

Giuseppe A. MicheliLa questione anziana.Ridisegnare le coordinate di una società che invecchiaFranco Angeli, 2004

webhttp://www.kcity.it

GRANDANGOLO

*consulente Ledha per Ciessevi

Combinare queste quattro parole chiave che rappresentano oggetto,finalità e scelta di campodel progetto “Far casa, (non a caso!)”

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dire cosa è “Far casa (non a caso!)” in meno di 450 battute, spa-zi compresi?”. Ecco: «”Far casa (non a caso!)” è un percorsoprogettuale con cui Ciessevi ha proposto di raccogliere, primae sostenere poi, desideri, idee e ipotesi delle organizzazionidi volontariato che, mettendosi in rete, volessero investireenergie e risorse anche in piccole ma significative progettua-lità sul tema dell’abitare inclusivo, garantendo alle stesse ilproprio accompagnamento sia nella fase di ideazione che direalizzazione».

In queste righe “cosa” e il “come” di “Far casa (non a ca-so!)”, da cui partire e su cui stare per caratterizzare il percorsoe per poterne svelare anche il perché.

Il “cosa” in quattro parole chiave da combinare: abitare, in-clusione, volontariato e rete. Il “come” nell’impegno di Cies-sevi di esserci, di accompagnare il percorso fin dall’inizio, op-zione che si è da subito qualificata con la scelta dello strumentodell’avviso di selezione “aperto”, sinonimo di “accompagna-mento” e prossimità nel processo a tutti i livelli.

Il perché nel provare a capire il possibile o necessario ruo-lo del volontariato all’interno delle politiche per l’abitare in-clusivo, il cui approfondimento lo lasciamo ad altri contributiin questa pubblicazione.

Cosa, come (e da cui il perché) si sovrappongono e reci-procamente compongono e si ricercano. Simbolicamente te-nuti insieme anche da titolo del percorso: il “far casa” richia-ma la dimensione dell’oggetto, del contenuto da cui partire;mentre il “non a caso!” identifica un ricerca costante di sensoe di cura nel e del processo (ed il punto esclamativo richiamala necessità, la vivacità ed il desiderio di tale scelta). Difficil-mente separabili, artificialmente li allontaniamo (a fatica per-ché il loro reciproco richiamo com’è naturale è costante) pereconomia di trattazione.

Far cosa per “far casa”?Su “cosa” il Ciessevi nel gennaio del 2009 ha “aperto” l’invitoalle organizzazioni di volontariato della provincia di Milano edi Monza e Brianza a pensare e presentare progetti? Su “cosa”li ha valutati e selezionati poi nel giugno e luglio 2009? Su “co-

sa” li ha accompagnati dal settembre 2009 al dicembre 2010,garantendo agli undici selezionati un contributo ciascuno pa-ri a 11 mila euro?

Su “cosa” raccontandone l’esperienza, ha rilanciato la ri-flessione durante il convegno conclusivo “Far casa (così!)” chesi è tenuto il 24 novembre 2010.

Sulle quattro “gambe del tavolo”, come poi in gergo condi-viso sono stati identificati i cardini di “Far casa (non a caso!)”:abitare, inclusione, volontariato e rete.

Quattro parole che in combinazione hanno rappresentato erappresentano contestualmente oggetto, finalità e scelta dicampo di “Far casa (non a caso!)”, contenuti su cui le orga-nizzazioni sono state chiamate a progettare, elementi su cui,come vedremo, è stato costruito il percorso di accompagna-mento (tematico). Ora proviamo a dar luogo, contenuto e sen-so alla quattro parole.

Nell’abitare…Le organizzazioni di volontariato sono state chiamate a pensa-re e “far casa”, a proporre idee che abitassero nell’abitare: que-sto è l’oggetto della proposta progettuale. Un oggetto, da quelche sappiamo, nuovo sia per le associazioni invitate alla sele-zione, sia per Ciessevi che con l’avviso di selezione aperto“apre” anche ad una strategia di attenzione inedita sul temadell’abitare. Le ridondanze in “apertura” sono quanto mai ri-cercate e volute.

Questa opzione nasce dal desiderio di dare “cittadinan-za” al diritto di abitare. Si parte dal luogo dell’abitare, la ca-sa, per arrivare al significato dell’abitare ed alla necessità didare ad esso riconoscimento e valore.

Ben sintetizza questo valore e dimensione identitaria esociale dell’abitare Salvatore Petrosino nel libro “Capovolgi-menti”: abitare è più che vivere significa soprattutto pren-dersi cura di sé e del mondo circostante”.

Partiamo quindi “da casa”. Casa è soltanto un luogo, o me-glio proprio essendo un luogo, è anche il fascio di significa-ti, valori, sentimenti associati ad esso. E’ sinonimo di luogo divita, di identità, base per lo sviluppo e la realizzazione per-

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sonale e sociale. Casa è anche luogo di raccolta e cura di emo-zioni, affetti e storie private che possono aprirsi agli altri pro-prio perché hanno una casa e con gli altri provenire. Luogo“proprio”, sicuro e accogliente dove si torna e da cui si par-te. Dove ci si riconosce e ci si ritrova. Luogo di maggior li-bertà ed espressione. La “casa” va a definirsi quindi come lamatrice stessa della soggettività.

L’azione simbolica realizzata dalla “casa” sulla vita psi-chica degli individui si riflette anche su quella sociale, an-dando a rappresentare un costrutto chiave che riunisce, e inparte sovrappone, tre campi: oltre che quello intrapsichico,anche quello interpersonale e quello sociopolitico. Senza ca-sa quindi è come se venisse meno ogni dato di umanità.

La casa è luogo importante e vitale per ogni cittadino, rap-presentando anche il suo modo di abitare la città. Senza abi-tare è come se venisse meno ogni dato di socialità. E se la ca-sa (il dove) è luogo di vita, l’abitare (il come) diventa unprocesso vitale. “Far casa” non è solo mettere insieme matto-ni, costruire o ricostruire luoghi, ma tenere insieme e signifi-care relazioni, attivare processi.

Il riconoscimento e l’acquisizione di questo significato, chepassano anche dalla possibilità materiale di “avere una casa”non sono dati per tutti. Da qui il secondo elemento che quali-fica il “cosa” di “Far casa”, e che dà una finalità ed un desti-natario, un nome ed un viso al pensare così l’abitare.

per l’inclusione sociale…Un abitare “inclusivo”, si è scritto nella sintesi in 450 battute. Infatti, per le persone in condizioni di fragilità ancor oggi la ca-sa con tutti i suoi significati, non è luogo così facilmente “ac-cessibile” ed “abitabile”, sia per vincoli strutturali e materia-li, sia per elementi “culturali”, legati ad un contesto che fafatica ad includere. Da qui, quindi, un orientamento partico-lare al “fare casa”: “far casa” per chi? L’abitare per una perso-na con disagio sociale diventa così un complesso processo cherichiede cura, accompagnamento, sostegno e attenzione e nonpuò prescindere dal coinvolgimento di tutta la cittadinanza.Nell’ottica non solo di ripensare l’edilizia in termini quanti-

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Pensare

tativi, secondo costi, standard e misure, ma di attivare moda-lità e significati abitativi e del vivere civile che costruiscano le-gami nel territorio e nel contesto in grado di accogliere, aiuta-re e valorizzare chi è in maggior condizione di fragilità,comprendendo in questa operazione in fondo i bisogni e de-sideri di tutti i cittadini.

con il volontariato…Sulla sfida dell’abitare inclusivo è chiamato ad intervenire ilvolontariato, sperimentando la possibilità (o la necessità) nelriconoscere a se stesso e agli altri un ruolo attivo.

In un’epoca di forte frammentazione e individualismo, ilruolo specifico del volontariato può essere di importanza stra-tegica in quanto portatore di relazione, solidarietà, altruismoanche nell’abitare.

Le associazioni sono chiamate quindi ad essere protagoni-ste, ad attivare reti e a proporsi come loro capofila perché an-che in “Far casa (non a caso!)” possano sperimentarsi nella lo-ro competenza specifica e naturale: creare relazioni eprendersi cura in modo inedito e creativo, cogliendo e standonei bisogni dei cittadini e del territorio. Leggere i bisogni e ri-conoscere i diritti di “abitare” delle nostre comunità costitui-te anche da persone a rischio di fragilità, significa scoprire evalorizzare risorse ed opportunità presenti nelle associazionie nei territori anche attraverso traiettorie e interpretazionispesso inedite.

Quindi non mattoni, ma partendo dai mattoni, creare con-nessioni, relazioni, azioni inedite, basate su nuove prospetti-ve, spiazzanti. Il volontariato ha in sé quella “capacità di pren-dersi cura di sé e dell’ambiente circostante”, cui facevariferimento Petrosino, con un prospettiva che può portare a“capovolgimenti”. Ciessevi con il lancio di “Far casa” intra-vede e sostiene questo per il volontariato.

Affrontare e coinvolgersi nel tema dell’abitare delle perso-ne a rischio di esclusione sociale è sicuramente occasione perfavorire la nascita e rafforzare lo sviluppo della solidarietà,della cittadinanza attiva, della capacità di una comunità dicreare relazioni solidali, affinando quella capacità, che è anche

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questa propria del volontariato, di cogliere e rispondere a bi-sogni veri sul territorio. E si sa che il miglioramento della qua-lità di vita per le persone con fragilità è miglioramento dellaqualità di vita per tutti, perché il diritto all’abitare è diritto die per tutti.

in rete…L’ampiezza delle dimensioni geografiche, la varietà e i numeridel territorio della provincia di Milano e della nuova provin-cia di Monza e Brianza, che al momento del lancio del pro-getto era ancora di competenza di Ciessevi, richiedono stru-menti sempre più attenti alle esigenze di partecipazione delleorganizzazioni, andando a rinforzare in particolar modo la lo-ro capacità di mettersi in rete.

Lavorare in rete significa mobilitare le risorse proprie di unapluralità di soggetti verso uno scopo ed un progetto comune, at-

traverso un processo condiviso. Èquindi di fondamentale impor-tanza mettersi al servizio delle as-sociazioni favorendole nel nonisolarsi e nel mettersi in rete. Stra-tegia prioritaria di tutta l’iniziati-va è sostenere, attivare e costitui-re relazioni e partecipazione tra leassociazioni e tra queste ed il ter-ritorio in tutte le sue componenti:cooperative, aziende profit, fon-dazioni, oltre che enti territoriali.I desideri e i bisogni di “casa” edall’abitare non si possono realiz-zare se prima non si costruisceuna rete che li comprenda e li so-stenga. Così come il coinvolgi-mento del volontariato non hasenso, se non ha come esito con-creto la possibilità di migliorare laqualità della vita delle persone acui si rivolge.

James G. BallardIl condominioFeltrinelli, 2003

Tommaso VitaleIn nome di chi?Partecipazione erappresentanza nellemobilitazioni localiF. Angeli, 2007

Paola SavoldiGiochi di partecipazione.Forme territoriali di azionecollettivaF. Angeli 2006

Trillo Anna, Zanni FabrizioInfra luoghiMaggioli Editore, 2010

webhttp://illab.orgwww.spazioresidenzialita.itwww.lacordata.itwww.darcasa.orgwww.mplab.polimi.itwww.cittalia.itwww.regen.net

GRANDANGOLO

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Tra il “Far casa” e il sentirsi a casa c’è il non a caso

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IL PROGETTO “FAR CASA, (NON A CASO!)” si configura come un per-corso sperimentale orientato all’emersione delle buone doman-de, attento non solo ai risultati, ma anche e soprattutto ai pro-

cessi. Se il problema della casa costituisce una sfida urgente eattuale, questa diviene ancora più delicata e complessa nel momentoin cui ci si confronta con situazioni di fragilità e marginalità. E’ pro-prio su questo che le sperimentazioni “Far Casa”, seppur piccole, sisono interrogate attraverso delle buone domande che possono aiu-tare a orientare le politiche dell’abitare per le persone con fragilità.

Come rendere inclusive le politiche per l’abitare? Come con-cepire e progettare soluzioniabitative che consentano nonsoltanto di avere una casa, maanche di sentirsi a casa? Comerendere le case dei luoghi acco-glienti anche per le persone condelle specificità talvolta com-

di Silvia Cannonieri*

Con le sperimentazioni di “Far casa” ci siamointerrogati sulle buonedomande che possonoaiutare a orientare le politiche dell’abitare

*Referente Ciessevi del progetto “Far Casa, (non a caso!)”

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plicate da gestire e che necessitano di percorsi di accompagna-mento non standardizzati?

La nostra tesi è che un ingrediente di successo consista nel coin-volgimento del mondo associativo e del volontariato nella proget-tazione e gestione delle case. Questo a un duplice livello.

In primo luogo ci riferiamo al coinvolgimento in fase di pro-gettazione delle associazioni di rappresentanza di un determinatogruppo di persone, che quindi conoscono a fondo le specificità del-le situazioni, esprimendone bisogni e risorse, come genitori, comeoperatori o, soprattutto, come beneficiari.

In secondo luogo, pensiamo al coinvolgimento dei volontari infase di gestione, per la loro capacità di tessere legami con i benefi-ciari e tra i beneficiari e il contesto in cui si trovano.

Proponiamo pertanto delle esperienze in cui si sono coniugatela sperimentazione diretta, attraverso la realizzazione dei progetti,e la riflessione/ricerca condotta durante il percorso di accompa-gnamento dei soggetti attuatori dei progetti. Proviamo quindi a rac-contare undici progetti che si sono sviluppati all’interno di due fra-mes principali che potremmo definire:

˜ di progetto, cioè dati dall’Avviso di selezione che ha posto exante dei vincoli progettuali chiedendo ai partecipanti di com-binare quattro elementi ritenuti strategici, ovvero volontariato,abitare, rete e inclusione;

˜ delle organizzazioni, dati dalla natura stessa delle organizza-zioni di volontariato che, in quanto tali, sostengono il protago-nismo dei destinatari, di cui conoscono da vicino i bisogni e ri-conoscono la specificità e le risorse. Si tratta, nei casi selezionatidall’Avviso, di organizzazioni orientate all’autonomia e all’em-powerment dei beneficiari.

Il problema nei progettiI progetti muovono da un problema della casa direttamente vissu-to, toccato con mano da associazioni di genitori che si confronta-no con le sfide poste dal “durante noi – dopo di noi”, o da opera-tori che gestiscono strutture residenziali per persone in situazionedi fragilità. Sono problemi comuni, che delineano una situazioneancora piuttosto critica e distante dal mettere a regime modalità in-

clusive di abitare. Definiscono però, al contempo, obiettivi chiari,una vision dell’abitare per persone a rischio di esclusione che, ol-tre a garantire il benessere delle stesse, ne tutela i diritti e costitui-sce un veicolo di inclusione all’interno della comunità locale. Pos-siamo descrivere il problema della casa affrontato dai progettiattraverso alcuni aggettivi significativi:

˜ inaccessibile, perché troppo costosa o troppo difficile da gesti-re nella quotidianità e da mantenere in maniera autonoma;

˜ isolata, perché non integrata nel tessuto sociale che la circonda,perché mondo a se stante sganciato dal resto della città;

˜ data per scontata, perché le soluzioni abitative sono spesso stan-dardizzate e non tengono conto delle specificità di alcuni grup-pi, cosa che la rende inadeguata alle esigenze in quanto, in alcunicontesti, troppo poco flessibile e adattabile alla singola persona;

˜ poca, in termini di disponibilità di case accessibili anche allepersone con minori opportunità;

˜ invisibile, perché contenitore di storie di vita che spesso restanochiuse all’interno delle mura e, non venendo socializzate al-l’esterno, non incontrano la cittadinanza e l’ambiente circostante.

Per le persone più fragili avere una casa non è sinonimo di sentir-si a casa. Per alcuni abitare necessita di uno sforzo ulteriore chesupera il semplice avere a disposizione una casa e che chiama incausa dei processi di accompagnamento e gestione che la rendanovivibile e la integrino nel contesto circostante.

Tenere conto di queste esigenze dovrebbe spingere a diversifi-care l’offerta, sostenendo forme innovative di abitare che rispon-dano al moltiplicarsi e flessibilizzarsi degli stili di vita e che pos-sano costituire un servizio al cittadino, garantendo il diritto allacasa. Riprendendo una definizione dell’architetto Stefano Boeri,esiste una differenza tra l’“abitare adattandosi” o l’“adattare l’abi-tare” agli stili di vita che si stanno moltiplicando molto rapida-mente di pari passo con l’evoluzione rapida e flessibile delle con-dizione di molti, segnando una tendenza inversa rispettoall’immobilismo delle politiche per la casa che restano così ana-cronistiche e inadeguate.

Nel tentativo di delineare una configurazione dei problemi af-

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frontati dai progetto “Far Casa”, abbiamo evidenziato tre direttricitematiche lungo le quali i progetti si sviluppano:

1. il lavoro con il territorio, che rappresenta “un luogo di proble-ma”, ma anche di risorse da riconoscere e attivare. Alcuni pro-getti, quindi, mirano a rafforzare la capacità del territorio di ac-cogliere persone con fragilità;

2. il lavoro con le persone, in particolare quelle marginalizzate oin situazioni di svantaggio. Alcuni progetti avanzano interven-ti di autopromozione e protagonismo, individuale o di gruppo,e di costruzione di relazioni;

3. la vita sociale: constatata la mancanza di legami con l’esterno,l’obiettivo è ridare centralità e pubblicità agli spazi come occa-sione di tessitura di relazioni attraverso un lavoro sui confinidentro/fuori casa, luogo di incontro e reciproca conoscenza.

I progetti “Far Casa” hanno cercato di coniugare, come da Avvisodi selezione, le componenti hardware e software dell’abitare: lacomponente strutturale, ovvero le mura, condizione di possibilitàdell’avere un tetto - casa - e il software, la componente sociale in-tesa come elemento qualificante che conferisce una particolare con-notazione all’abitare e consente il passaggio dal fare casa al sentir-si a casa. Il software che ci interessa in questa sede è quello socialeche ha a che vedere con l’inclusione della fragilità e la facilitazio-ne di relazioni.

A livello di politiche, le due componenti sono ancora troppo di-stanti, tanto che il primo è generalmente di competenza delle po-litiche per la casa, mentre il secondo di quelle sociali. Il tentativodi mettere in relazione due aspetti spesso tenuti distinti si è tra-dotto anche nello sforzo di coniugare l’azione sullo spazio e l’at-tenzione al processo di gestione: se avere una casa non è sufficien-te per stare bene e garantire la qualità dell’abitare e il benesseredell’abitante, allora acquista un significato anche la cura dei pro-cessi, oltre alla cura degli spazi.

La distinzione metaforica tra hardware e software acconsenteperciò di sottolineare come «per qualificare socialmente l’abitaresia indispensabile attivare sinergie e risorse plurime e variegateprovenienti da chi si occupa della «casa» - competenza tecnica –

e chi si occupa del contenuto sociale da includere, ovvero dellepersone che ci abitano». La casa è infatti un luogo di vita in cui siintrecciano aspetti materiali e aspetti immateriali.

Diversi progetti sono pertanto espressione della «necessità diutilizzare un approccio multi-disciplinare e “aperto”, attraverso ilcontributo di competenze differenti già in fase di costruzione» (pro-getto Casa del sorriso).

Fotografia dei progettiAbbiamo ricomposto il “cosa” di “Far casa” attorno a quattro pa-role chiave che combinate “nell’abitare per l’inclusione sociale conil volontariato in rete” su cui si è basato il percorso di “Far casa(non a caso!)”.

Vediamo ora gli undici, dei sedici pervenuti, progetti seleziona-ti: “La strada di casa”, “Salta a tempo, casa per casa”, “La terra delfuoco”, “AbitiamOvest”, “La memoria del futuro”, “Abitare socia-le in Brianza”, “Progetto Paguro”, “Abitare con la porta aperta”,“Sempre più vicini”, “Casa del sorriso” “AbitaRETE”.

Undici nomi che contengono, richiamano, ridefiniscono origi-nalmente il “Far casa” di undici reti con a capofila altrettante as-sociazioni di volontariato: un totale di 87 enti (tra cui cooperative,fondazioni, parrocchie, comuni, scuole) di cui 45 organizzazioni divolontariato in campo per un anno, da settembre 2009 a dicembre2010. Prepareranno il “terreno”, prima di e per pensare insieme“case vere” per persone con fragilità; sensibilizzeranno i territori sultema dell’abitare; costruiranno strade per accompagnare e formarenuove possibilità di volontario vicino, qual è quello che entra nel-la casa vicino a chi è più in difficoltà; creeranno reti permanenti eflessibili per pensare e fare sull’abitare per le persone con fragilità,mettendo insieme case e risorse da e con il territorio; aggregheran-no, racconteranno, studieranno, ascolteranno.

Il percorso “Far Casa” ha sostenuto la realizzazione di undi-ci progetti di cui proveremo ora a mettere in luce gli elementi si-gnificativi ai fini dell’emersione delle buona domande. Scattan-do una fotografia quantitativa delle organizzazioni, rileviamoche delle undici, nove sono iscritte al Registro del Volontariatoe solo due non lo sono. Sono generalmente di piccole dimen-sioni, di ambito provinciale e tre afferiscono a livelli più estesi.

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lare gli elementi di successo e le criticità. Sebbene sia evidente chenon esiste una ricetta preconfezionata (che farebbe venir meno laspecificità del contesto), è stato possibile osservare alcuni elementiche hanno determinato la buona riuscita delle esperienze visitate.Per “Far casa (non a caso!)”, si é ritenuto essenziale in alcune pro-gettazioni preparare il terreno, quindi la cittadinanza, alla costru-zione di una nuova casa allo scopo di predisporre in via prelimi-nare un contesto consapevole e accogliente: «Costruire un contestoculturale e sociale accogliente, una ‘casa come spazio sociale’ pri-ma di costruirne le mura» (Progetto La strada di casa).

A tale scopo sono state realizzate attività di informazione, maanche momenti ludici, quali laboratori artistici, spettacoli teatralie proiezioni cinematografiche al fine di portare il tema dell’abita-re con fragilità all’attenzione degli abitanti del territorio, valoriz-zandone l’apporto di risorsa relazionale e di ricchezza per tutti. Ilprogetto ha coinvolto nove comuni del territorio.

Obiettivo di questi progetti, quindi è stato quello di preparare ilterreno che andrà ad ospitare la casa contestualmente alla predi-sposizione di tutte le azioni necessarie a realizzarla fisicamente(per esempio progettazione struttura, individuazione terreni, ri-chiesta autorizzazioni etc…) allo scopo di renderlo accogliente einclusivo attraverso attività di sensibilizzazione e coinvolgimentodella cittadinanza sul tema della fragilità:«Si sono tessute cono-scenze più approfondite del ‘far casa’ delineando un’idea di abi-tare costruita non solo su strutture murarie, ma anche su emozio-ni » (Progetto La strada di casa). «Troppo spesso le comunità perdisabili rimangono isolate dal flusso della vita, relegate fuori dal-la città e quasi mai in contatto con ciò che accade fuori dal can-cello. Sognavo una risposta diversa, che sapesse, fin dalla fase pro-gettuale, prevedere la reale integrazione dei disabili in unasituazione abitativa inserita in un “villaggio sociale” impostato sul-le logiche del volontariato e del sostegno alle situazioni di maggiordifficoltà. Desideravo un progetto che rispondesse al bisogno di re-sidenzialità e inclusione sociale delle persone con disabilità, mache sapesse anche riconoscere, valorizzare e concretizzare la ca-pacità delle persone con bisogni speciali di influenzare positiva-mente le altre persone con cui interagiscono semplicemente per ilfatto che una persona che manifesta così apertamente e “scanda-

Due sono associazioni di genitori di persone con disabilità. Rispetto ai destinatari, sei progetti si rivolgono a persone con di-

sabilità, tre a persone con fragilità in generale, tre alle famiglie, duea minori e una ai rifugiati. Tre progetti insistono su due tipologie dibeneficiari contemporaneamente. Per descrivere i progetti in ma-niera ragionata, abbiamo provato a posizionarli su una scala cheva dal polo che abbiamo poc’anzi definito hardware a quello cheabbiamo chiamato software. Anche qui, abbiamo scelto questa me-tafora per indicare i due estremi del percorso, che parte da dove sipensano e cercano le mura, passando per dove le mura ci sono già,a dove la casa viene aperta al territorio, sino ad arrivare a dove siprepara il territorio all’arrivo della casa. Alcune esperienze pro-gettuali, chiaramente, abbracciano contemporaneamente più di unaspetto lavorando su più fronti.

Le attivitàProviamo qui di seguito a raccontare e a dar voce ai progetti rag-gruppandoli secondo alcune macro attività che riteniamo partico-larmente significative ai fini del ragionamento complessivo che lapresente pubblicazione intende stimolare.

Case da pensareTre progetti si collocano nell’ambito del pensar casa e nello speci-fico mirano a individuare modelli abitativi che consentano di ren-dere possibile il sentirsi a casa degli abitanti. Pensare casa sia a li-vello di infrastruttura, quindi pensando a un modello abitativo qualè, ad esempio, quello del Villaggio Barona, in cui sperimentare for-me ordinarie di mixité all’interno di complessi abitativi integratie esteticamente curati. Sembra forse di poco conto, invece, è im-portante sfatare la rappresentazione secondo cui esiste un nessoautomatico tra una persona “difficile” e un ambiente “brutto”: lapersona difficile non genera automaticamente un ambiente brutto.

Il percorso di accompagnamento delle reti in fase di implemen-tazione delle attività progettuali ha previsto la visita di due espe-rienze di “case fatte”, cioè il Villaggio Barona e le Quattro Corti diStadera, con l’obiettivo di focalizzare alcuni aspetti da tenere in con-siderazione quando si progetta una “casa” tesa all’inclusione di sog-getti deboli. Dagli esempi, il gruppo di lavoro ha provato a estrapo-

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losamente” la propria fragilità, costringe il prossimo a un atteg-giamento di rispetto, di ascolto, di apertura e quindi la relazionecon una persona “fragile” diventa di per sé percorso di consape-volezza e momento educativo» (Progetto Casa del sorriso).

Un elemento fortemente tematizzato dalle sperimentazioniprogettuali è quello di un abitare adeguato alle esigenze partico-lari di gruppi minoritari. Un progetto, per esempio, mira a indi-viduare modelli abitativi specifici per rifugiati, per via del lorostatus molto particolare e differente da quello degli altri migranti.I rifugiati sono migranti forzati nell’impossibilità di tornare nelloro paese: «Dal dormire all'abitare” significa sviluppare unarete di appartamenti di prima accoglienza che forniscano un'as-sistenza abitativa di tipo familiare, dai quali sviluppare percor-si di integrazione personalizzati che partano dalla risorse delterritorio. Questo permette di instaurare una relazione che creale basi per cultura di convivenza e solidale che ha come primominimo obiettivo quello del “riconoscimento” reciproco. L'ato-mizzazione e l'alienazione che spesso il rifugiato vive sulla pro-pria pelle nei grandi dormitori e per via delle difficoltà di muo-versi in un contesto alieno in condizione di totale sradicamento,possono essere via via attenuate e superate dalla possibilità disentirsi parte di una nuova realtà accogliente, di percepire e po-ter contare su di una rete di relazioni umane che in sé, ristabili-scono il senso di protezione che il rifugiato ha perduto in fugadalla violenza » (Progetto Paguro).

Bisogni di case Strettamente connessi al pensar casa, altri progetti hanno lavoratosull’individuazione di possibili risposte al bisogno abitativo, pro-vando per esempio a mappare, attraverso un percorso di studio econfronto tra diverse realtà locali, possibili idealtipi di servizi perfamiglie fragili presenti nel territorio, sempre tenendo ben presen-te il tema della sostenibilità economica.

Ne sono emersi tre modelli di offerta: «Servizi abitativi, abita-re sociale, mediazione immobiliare sociale sul mercato privato»(Progetto Abitare sociale in Brianza). Lo stesso progetto, prima an-cora, ha proceduto ad una rilevazione della domanda di casa, quin-di a un’analisi dei bisogni resa possibile dalla partnership con en-

ti significativi del territorio che hanno somministrato dei questio-nari agli utenti dei loro servizi, intercettando un ventaglio diversi-ficato di persone in situazione di marginalità. Un altro progetto haeffettuato una rilevazione qualitativa dei bisogni di case rivolta al-le famiglie di persone con fragilità coinvolte in un percorso sul “du-rante noi – dopo di noi”.

«Il tavolo di rete ha infine consentito di volgere lo sguardo ver-so problematiche nuove, come il crescente aumento di “nuovi uten-ti”, tra cui molti padri e persone straniere con una disabilità ac-quisita, che si rivolgono ai servizi di pronto intervento e diresidenzialità; ma anche verso aspetti della residenzialità che ri-mangono in ombra e che non sono oggetto diretto di riflessione nel-l’ambito dei progetti sul “dopo di noi”. Questi ultimi casi com-prendono quelle famiglie che si trovano a vivere in una situazioneeconomica fortemente precaria che li porta a considerare la pre-senza in famiglia della persona disabile come una fonte di sosten-tamento economico garantito. Oppure quelle famiglie che dopo di-versi anni di investimento legati al “dopo di noi” hanno sviluppatouna forte sfiducia nei confronti dei servizi – che non offrono rispo-ste e soluzioni residenziali definitive, collocate sul territorio e in li-nea con le loro esigenze – e che li porta a scegliere di “non sceglie-re”» Progetto AbitiamOvest).

In questo ambito, un’altra azione è la ricognizione dell’esi-stente attraverso la mappatura delle case e/o l’attivazione di per-corsi formativi che hanno raccontato modelli di successo speri-mentati altrove. Nello specifico, un progetto si è focalizzato suesperienze di rete che hanno portato alla costituzione e gestionedi una Agenzia per la casa, nell’ottica della promozione della ca-sa come servizio.

Molti progetti hanno lavorato, anche indirettamente, sulla co-struzione o sul rafforzamento della rete per “far casa insieme”.

Sono reti che si sono allargate, modificate, riequilibrate nel-la distribuzione dei compiti sul e durante il progetto. «E’ nata lavolontà di sognare insieme e disegnare un progetto unitario, checontenesse le idee e gli sforzi dei diversi soggetti. L’esito dei con-fronti è stata la creazione di una rete sempre più ampia di sog-getti che stanno unendo le proprie forze per condurre in porto unprogetto appassionante. Evidentemente non si tratta del proget-

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to da cui eravamo partiti come associazione: il lavoro di ri-defi-nizione da parte della rete di soggetti che si era venuta a costi-tuire ha portato nuove idee, nuovi contenuti e nuovi modelli»(Progetto Casa del sorriso). «Nella realizzazione del progetto haassunto un ruolo fondamentale il lavoro di rete, il quale ha com-portato tutta una serie di necessità “fisiologiche” per la costitu-zione di un gruppo di lavoro che, a differenza del “lavoro di grup-po” è maggiormente orientato alla promozione del senso diappartenenza e alla condivisione degli obiettivi. Per la buona riu-scita del lavoro di rete è stata fondamentale la nascita di una “fi-ducia realistica”, basata sul riconoscimento delle competenzepersonali, ma anche delle complementarità e quindi del bisognodi cooperare con l’altro » (Progetto AbitiamOvest).

Case da conoscere o da far conoscere Due progetti hanno lavorato sulla messa in comune delle risorsesia materiali sia volontarie. In primo luogo, hanno operato un raf-forzamento della rete attraverso la messa in comune di informa-zioni, che ha aumentato la conoscenza reciproca tra i vari nodi, eavviato percorsi formativi comuni per i volontari delle diverse ca-se. Un progetto, inoltre, ha compiuto un ulteriore passo avanti: do-po avere messo in rete otto organizzazioni operanti nell’area dellaResidenzialità per persone con disabilità e gestori di nove case (re-sidenze), ha allestito un magazzino/deposito di materiali da met-tere a disposizione delle case a seconda dei bisogni, in un’ottica dicollaborazione e economie di scala.In tre progetti parte dell’attività è stata orientata alla sensibilizza-zione della cittadinanza a nuove forme dell’abitare promuovendo«la consapevolezza che essere cittadini, abitare un territorio, ma so-prattutto poter vivere in maniera solidale può essere fattibile dachiunque, anche da chi non fa una specifica scelta di vita comu-nitaria come quella proposta dalla nostra esperienza » (ProgettoAbitare con la porta aperta).

Un progetto ha promosso forme “ordinarie” e solidali di abita-re, intese come «cultura della convivenza a partire dalle concretepratiche di un modo di abitare la casa e il territorio caratterizzatida apertura, accoglienza e solidarietà» valorizzando le esperienzedi cinque comunità del milanese (Progetto Abitare con la porta

aperta). Si tratta di stili di vita fondati su una quotidianità di con-vivenza orientata alla solidarietà e all’accoglienza, forme di vita co-munitaria in cui il cittadino, l’abitante, si definisce un “volontarioa tempo indeterminato”. Spostandoci sull’asse sempre più vicinoal polo software troviamo tre progetti in cui sono state aperte allacittadinanza le porte delle case, attraverso momenti culturali e lu-dici. «E’ stata una carovana di persone, idee, stili che ad ogni tap-pa si è trasformata restituendo la diversità e la ricchezza del terri-torio. Ogni casa ha spalancato le sue porte per accogliere ungruppo eterogeneo di viaggiatori: persone disabili, familiari, vo-lontari e operatori provenienti dalle diverse organizzazioni del ter-ritorio» (Progetto Salta a tempo, casa per casa).

Aprire per creare reciproca conoscenza, rendere porosi i confi-ni delle mura e incoraggiare lo scambio e l’interazione sono i nodifocali di queste esperienze progettuali che hanno aperto le porte diquattro case e quattro servizi per persone con disabilità.

Case da colorareLa promozione e formazione del volontariato di casa è un altroambito in cui si sono sperimentati tutti i progetti con azioni fina-lizzate a:

˜ reclutare nuovi volontari di casa/volontari di residenza

˜ rafforzare le competenze e la consapevolezza di questa figura

˜ sperimentare nuovi modelli di volontariato di casa: «Una for-ma di volontariato, per noi nuovo, fuori dalle comunità, doveil volontario porta il territorio in casa e viceversa la casa si apread un elemento nuovo »(Progetto Sempre più vicini).

La costruzione di legami per un abitare comune è l’attività chesi colloca maggiormente sul versante software, su una dimensioneimmateriale dell’abitare, ovvero quella che si crea attraverso le re-lazioni rafforzando il tessuto sociale di un territorio, favorendo l’in-contro tra i cittadini soprattutto in realtà frammentate quali i quar-tieri periferici (cosiddetti ex quartieri dormitorio) della cinturamilanese. E’ quanto è stato fatto in un comune del sud Milano, at-traverso un canale comunicativo di largo impatto quale il video.Un video in cui è stato chiesto agli abitanti di raccontarsi e di rac-

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contare il proprio territorio. «Creare reti e ponti in un territorio, at-traverso lo strumento della creazione di un documentario, ha per-messo ai ragazzi di confrontarsi da una parte con le persone al-l’interno di luoghi sociali importanti per loro, dall’altro sutematiche considerate ADULTE. Attraverso la stimolazione di pro-cessi vitali positivi e riproducibili è stato possibile dare vita ad unpercorso che ha visto coinvolta una cittadinanza sempre più atti-va, recuperando il senso dell’abitare il proprio luogo di vita attra-verso relazioni solidali» (Progetto La memoria del futuro).

Gli ambiti di interventoRispetto agli ambiti di intervento, sette progetti hanno sviluppatoazioni volte alla promozione dell’autonomia e delle risorse indi-viduali e collettive. Questo si è verificato in particolar modo neiprogetti rivolti a un target ben definito (persone con disabilità, ri-fugiati, nuclei monoparentali, mamme con bambini) con l’obietti-vo di dare loro un ruolo da protagonisti nella realizzazione delle at-tività progettuali. Tali progetti muovono dal riconoscimentodell’abitare come componente fondamentale all’avvio di percorsidi autonomia delle persone e della ricchezza del contributo chequeste stesse persone possono fornire in fase di orientamento del-la progettazione.

Altri progetti hanno agito nella direzione dell’inclusione attra-verso la conoscenza e il contatto tra gruppi diversi all’interno delterritorio, favorendone l’incontro. Questi interventi si sono svi-luppati prevalentemente in quei progetti il cui obiettivo era la pre-disposizione di un contesto accogliente e inclusivo, quindi consa-pevole. La reciproca conoscenza ha rappresentato un veicolo diabbattimento degli stereotipi.

I progetti portati avanti da reti già precostituite, quali per esem-pio i tre Poli creatisi nel corso del percorso di Spazio Residenzia-lità, si sono mossi piuttosto sul fronte della mobilitazione di risor-se collettive allo scopo di coordinare i propri interventi e fareeconomie di scala. Le reti inizialmente più deboli hanno invece la-vorato piuttosto alla costruzione di una rete più ampia attorno al-l’idea progettuale.

Vi sono poi i progetti che, attraverso iniziative culturali, espres-sive e artistiche hanno favorito la promozione di alcuni gruppi o

stili di abitare allo scopo di includerli maggiormente nel tessuto so-ciale o diffonderli tra la cittadinanza. La maggior parte dei proget-ti ha una portata promozionale degli stili di vita e/o delle personenelle loro specificità, attenzione senza la quale risulta difficile pro-gettare delle case adeguate.

I progetti che hanno un carattere di sperimentazione di mo-delli abitativi, quindi, hanno lavorato all’individuazione dellespecificità dell’accoglienza che consente a un target determina-to di sentirsi a casa nelle case. La maggioranza dei progetti hatoccato trasversalmente il tema della promozione del volonta-riato e della cittadinanza attiva, con una particolare attenzionealla promozione del volontariato di casa, ovvero quella forma divolontariato che si svolge presso le residenze o gli appartamen-ti protetti per l’avvio all’autonomia. I percorsi hanno portato al-la luce le specificità, le caratteristiche, i contributi ma anche ledifficoltà di questo tipo di volontariato. Due progetti, infine, han-no inciso anche sulla ricostruzione dei legami sociali e interge-nerazionali di un dato contesto, riconoscendo e valorizzando lepotenzialità del volontariato in questo ambito.

I “buoni ingredienti”. Spunti per un abitare inclusivoAbbiamo più volte sottolineato la qualificazione “non a caso” deiprogetti. “Non a caso” perché esito di una costruzione del pensieroin rete che ha permesso sia la lettura dei bisogni di casa delle per-sone con fragilità e dei contesti in cui viviamo sia la scoperta e va-lorizzazione di risorse presenti nelle associazioni e nei territori. Per-ché esito di incontri tra persone, tra organizzazioni, tra esperienzee storie, tra rappresentazioni e sguardi, codici ed emozioni che pen-sano e fanno rete, consapevoli delle fatiche, opportunità, necessità.“Non a caso”, perché non “sul caso”: l’attenzione delle reti nei pro-getti è andata oltre la “categoria” con cui le persone con fragilitàvengono socialmente identificate. La fragilità è diventata natural-mente umanità, il destinatario è il cittadino con i suoi diritti e iprogetti agiscono su tutto il contesto perché l’abitare contiene si-gnificati e diritti per tutti.

Undici traiettorie ed interpretazioni inedite “non a caso”, co-me a richiamare che avvisi di selezione inediti (tale è il fare casaperché compone su dimensioni nuove, l’abitare e la fragilità, di-

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mensioni naturali e indispensabili: il volontariato e la rete) “obbli-gano” a progettualità inedite. Undici progetti che “non a caso” for-se, da Pieve Emanuele a Carate Brianza, vanno a coprire in modouniformemente distribuito il territorio, come a provare a dire chel’abitare diventa tale e di valore se diffuso, se non sviluppa solomattoni verso l’alto, con piani ed ascensori, locali dedicati e arre-di, ma costruisce, senza mura, luoghi e processi di incontro e di re-lazioni primariamente orizzontali. Dove costruire vuol dire primadi tutto mettere, fare e pensare insieme con le porte aperte, dove ilprogettare inizia con l’aprire quelle porte. Un progetto “Far Casa(non a caso!)”, che ha consentito di mettere in luce alcuni esiti a no-stro parere preziosi.

Abbiamo imparato a misurare il potenziale racchiuso in piccolispostamenti, riflessioni o esiti apparentemente piccoli, ma moltorappresentativi nell’economia complessiva dei progetti, utili a ren-dersi flessibili, a interagire con il contesto e la situazione. Utili so-prattutto per la capacità di stare all’interno di progettazioni incre-mentali e complesse, in cui la capacità di cogliere l’opportunità diriorientare costruisce nel tempo la possibilità di essere realmenteefficaci e di non attenersi semplicemente al rispondere-a-quanto-preventivato-dal progetto iniziale.

Proviamo ora ad illustrarne alcuni, nella convinzione che nonesistano ingredienti magici e ricette preconfezionate e sganciate dalcontesto, ma che possano esserci alcuni fattori di attenzione utiliper lo meno a porci delle buone domande in fase di ideazione eimplementazione dei progetti.

Dare un nomeOsservare uno stile di vita dato per scontato e cominciare a dargliun nome, a riconoscerlo, è divenuta in un progetto una condizio-ne preliminare per renderlo riconoscibile dall’esterno. Per vedere,nel suo carattere quotidiano e ordinario, un potenziale di ricchez-za e saperlo comunicare. La dimensione ordinaria del modello abitativo si è così resa unarisorsa per tutto il territorio. Riconoscerne il valore è funzionale aimplementare le capacità di promuoverlo e comunicarlo. Lo stes-so volontariato a tempo indeterminato si è riscoperto come ric-chezza per tutta la comunità.

Riconoscere la permeabilità dei confiniI confini tra l’interno e l’esterno della casa non sono compartimentistagni, ma sono porosi e capaci di influenzarsi reciprocamente. Esi-stono stili dell’abitare capaci di contaminare il quartiere, renden-dolo maggiormente accogliente, solidale e aperto al diversity. Al-cune esperienze progettuali tese alla maggiore conoscenzareciproca tra le case e tra l’esterno e l’interno delle case, dimostra-no che la qualità dell’abitare si costruisce anche nelle interazionicon il contesto. Casa e ambiente, casa e contesto si integrano e nonsono due dimensioni disconnesse tra loro.

«L’innesco creativo identificato nella PELLE ha rappresentato ladimensione “sensibile” della casa, diventando la metafora, com-prensibile, di un modo d’intendere lo spazio abitativo come con-nessione tra “il dietro” e “il fuori” dell’individuo» (Progetto Lastrada di casa).

L’ingaggio del volontariatoNel provare a portare alla luce i contributi che il volontariato puòfornire alle politiche per l’abitare inclusivo, nelle specificità che locaratterizzano e lo distinguono dagli altri attori coinvolti sul tema- pubblici, privati e imprese sociali - sta il senso dell’impegno diCiessevi a favore del progetto e dei progetti “Far Casa”. E che va asostenere il senso del loro coinvolgimento nei tavoli in cui si pro-grammano le politiche per l’abitare.

I progetti hanno sviluppato azioni tese a:

˜ accrescere il numero dei volontari di casa (aspetto quantitativo);

˜ implementare le competenze e la consapevolezza dei volonta-ri di casa (aspetto qualitativo);

˜ favorire una maggior conoscenza dei bisogni di case;

˜ rendere le case più colorate e consapevoli.Abbiamo visto che la casa, intesa come un’adeguata combina-

zione tra il “Far Casa” e il “Sentirsi a Casa”, si compone di due di-mensioni, quella materiale e quella immateriale ed è su questa se-conda che il volontariato costituisce una leva essenziale. «Senza casanon vi è politica abitativa, ma la sola casa non è sufficiente».

Dare la casa a una persona in condizioni di fragilità non è suffi-ciente, se non vi sono azioni “immateriali” di ricerca, accompagna-mento. Il terzo settore può costruire l’infrastruttura sociale che con-

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sente il passaggio dalle politiche dell’edilizia alle politiche abitative.In questo percorso il volontariato ha una sua specificità che, ri-

prendendo le parole del professor Petrosino, potremmo indivi-duare nella metafora del fiore. Possiede il tempo, la relazione, lavicinanza informale che consente di dedicarsi a quelle attenzioniche non rientrano nella quotidianità tecnico professionale del-l’operatore sociale, ma che la integrano in una prospettiva di com-plementarietà e non sostituzione del lavoro retribuito.

Il volontariato, infatti, in quanto espressione di relazione, pros-simità, vicinanza al territorio, spontaneità, può costituire l’ingre-diente capace di “colorare le case” - “colorare l’abitare” e assume-re un ruolo di protagonista in questo ambito, accanto alleistituzioni, ai soggetti che possiedono patrimoni immobiliari, alleimprese sociali.

Alla specificità dell’intervento dei volontari è stato dedicatouno dei momenti del percorso di accompagnamento, di cui ripor-tiamo per intero la relazione dell’incontro a pagina 62 di questonumero di Vdossier, data la centralità del tema.

Creare un mix di competenzeSebbene il vincolo della rete fosse già previsto dall’Avviso di sele-zione (si tratta, infatti, di una delle quattro “gambe del tavolo”), al-cune reti hanno dato esiti inattesi.

In un progetto, in particolare, abbiamo assistito all’aggregazionedi una rete estesa e composita attorno a un’idea progettuale.

Due progetti, uno finanziato dall’Avviso “Far Casa” e l’altro dal“Bando Volontariato 2008”, che miravano a un medesimo obietti-vo, cioè quello di creare una residenza integrata sul modello delVillaggio Barona e insistevano su territori confinanti (area sud-Mi-lano), si sono incontrati e hanno unito le forze al fine di essere mag-giormente rappresentativi e autorevoli di fronte agli interlocutoriistituzionali.

L’incontro ha sicuramente portato maggiore forza, ma anchemesso in moto più idee. Se da un lato, infatti, la rete si è allargata,dall’altro l’idea progettuale ha subito un’evoluzione, trasforman-dosi in un progetto comune che prevede una struttura integrata con“quattro case in una”: una residenza sperimentale per venti perso-ne con disabilità media e grave, venti alloggi a canone calmierato

per persone in difficoltà e “famiglie consapevoli” che fungano dapunto di riferimento, servizi ed esercizi commerciali e spazi co-muni di animazione destinati anche alle realtà associative.

Il risultato concreto è stata la creazione di una rete estesa che haavviato un dialogo con le istituzioni allo scopo di realizzareun’esperienza unica di villaggio solidale anziché tante piccoleesperienze frammentate.

Inoltre le reti hanno messo insieme un gruppo composito cre-ando un mix di competenze sociali e competenze tecniche e ciòha prodotto, da un lato, un aumento della competenza complessi-va della rete; dall’altro ha generato le sinergie necessarie a ragionaresul tema della casa per persone con fragilità e a tenere insieme del-le politiche ancora troppo distanti.

ProtagonismoL’approccio che ritroviamo trasversalmente nei progetti mira a va-lorizzare e a dare voce ai destinatari delle case nell’ottica di coin-volgerli e fornire l’occasione di dire la loro su quanto li riguarda di-rettamente. Nel caso, per esempio, di un progetto sul tema del “pensar casa”, igiovani futuri inquilini si sono espressi sulla loro futura casa at-traverso una modalità che ha lasciato spazio ai loro pensieri e allaloro creatività, ovvero la realizzazione del cortometraggio “La casadel Graal. Esercizi di stile”, frutto del laboratorio di cinema “Di-versa-mente”, che è stato realizzato direttamente dai protagonisti epresentato in numerose occasioni alla cittadinanza in quattro Co-muni del territorio.

Individuare la pluralità dei bisogni e diversificare l’offertaDue progetti hanno individuato tipologie possibili di servizio abi-tativo e aumentato le conoscenze relative all’offerta abitativa delterritorio. Un progetto, inoltre, ha avviato il processo per la crea-zione di un’Agenzia per la Casa nel territorio del sud-Milano, or-ganizzando un corso di formazione su questo tema rivolto agli en-ti del Terzo settore del territorio e alle istituzioni.

Gli spostamenti (interni alle organizzazioni)Una delle organizzazioni coinvolte nel percorso “Far Casa” ha af-

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Essa infatti implica “nuove connessioni tra problemi e soluzio-ni e interpretazioni più spesse”. Perciò rinvia a quelle dinamichedi cambiamento dei riferimenti normativi e cognitivi che sono allabase dell’apprendimento double-loop e comportano un qualche gra-do di riflessività, cioè la possibilità di riconoscere i propri schemid’azione e le loro trasformazioni»1.

Si tratta perciò di apprendimenti che investono: il contesto, l’og-getto di lavoro (tema), i soggetti (inclusi i destinatari), le strategied’azione, le coordinate cognitive e normative che le fondano, i cri-teri di giudizio rispetto a ciò che può essere definito desiderabile.

Un primo elemento importante che abbiamo osservato attienealla condivisione con la rete, nello specifico alla capacità del ca-pofila di far circolare le informazioni tra i vari componenti.

La condivisione con la rete è un elemento che è stato fortementesollecitato durante il percorso e una delle ragioni che hanno spin-to a intraprendere un percorso di accompagnamento, proprio alloscopo di favorire la possibilità di dedicare alle reti progettuali unospazio di riflessività, di confronto con altre esperienze e scambio dibuone pratiche. Nello svolgimento del percorso, però, abbiamoconstatato che la comunicazione resta un tasto dolente.

Le reti di progetto, infatti, hanno generalmente individuato deirappresentanti che hanno poi concretamente partecipato al per-corso, ma in fase di valutazione abbiamo riscontrato che sovente glispunti e le riflessioni emersi negli incontri di accompagnamento so-no rimasti legati a poche persone e generalmente all’organizzazio-ne capofila.

Fatta salva questa criticità, comunque, il percorso ha prodottodegli esiti interessanti a livello sia di riflessione delle reti sul pro-prio operato, sia in termini di ricadute concrete, che proviamo sin-teticamente a illustrare qui di seguito.

In primo luogo, ha promosso la creazione nel territorio di unlinguaggio comune e condivisione di punti di vista, una co-co-struzione conoscitiva più articolata e approfondita, dando vita anuove forme di legame sociale

In secondo luogo, ha consentito alle reti di strutturarsi mag-giormente assegnandosi dei compiti, una struttura e dei tempi. Inmerito a questo, alcune associazioni hanno segnalato un processodi crescita nella capacità di coordinamento per “fare rete meglio”.1 S. Vicari Haddock, F. Moulaert, Rigenerare la città, Il Mulino, Bologna 2009, p. 115

fermato: «Trattare il tema dell’abitare non é facile, ha una sua spe-cificità e una sua complessità e per chi come noi abitualmente sioccupa di persone, relazioni e servizi, ha la caratteristica distinti-va di avere a che fare, per la prima volta come organizzazione, conqualcosa di materiale - i muri, gli edifici - e con tutto il mondo chedi ciò si occupa, urbanistica, contratti di locazione, agenzie im-mobiliari. Questo da un lato è una difficoltà e una sfida in più, ma dall’altropuò anche essere una risorsa, un’apertura a un mondo in grado dimobilitare anche nuove energie e nuove persone».

Le organizzazioni di volontariato, attraverso i progetti “Far Ca-sa”, testimoniano la capacità di saper cogliere questa sfida.

Attraverso il percorso di accompagnamento “Far Casa”, il grup-po di studio ha ambito a generare apprendimenti che non si limi-tassero a impattare sull’azione, ma anche sulle coordinate cogniti-ve e sulle capacità di apprendimento stesse delle organizzazioni.

L’obiettivo è stato quello di supportarle nel pensarsi come ri-sorse anche all’interno di ambiti di azione ritenuti distanti dall’or-dinario operare socio-assistenziale.

Coerentemente con questa prospettiva, riteniamo importantemettere in evidenza e valorizzare gli spostamenti che si sono ge-nerati nella fase di implementazione dei progetti e nel percorso diaccompagnamento alla realizzazione degli stessi al fine di mostra-re le capacità del volontariato di confrontarsi anche con politichenuove, mobilitando risorse inedite o inespresse.

Spostamenti che, sebbene spiazzanti per alcuni aspetti, provia-mo qui di seguito a raccontare per metterne in evidenza il poten-ziale generativo.

Tenendo lo sguardo rivolto verso gli elementi che producono in-novazione sociale, proviamo quindi ad analizzare gli spostamentigenerati dai progetti all’interno delle organizzazioni e dei target diriferimento prendendo spunto dalla definizione di innovazione so-ciale presentata da Vicari Haddock - Moulaert: «L’innovazione piùprofonda è diversa dalla semplice correzione delle procedure, chepure a volte è quanto basta per far fronte ai problemi di routine inmodo appropriato.

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Tra gli apprendimenti maturati, diversi progetti hanno messo atema la necessità di equilibrare la rete trovando una giusta dimen-sione che ne consenta il governo (una rete allargata, ma non trop-po perché deve essere governabile).

L’allargamento della rete è stato infatti indicato come punto diattenzione data la necessità di governarla e condurla alla concre-tezza.

Durante il percorso abbiamo rilevato anche alcuni spostamen-ti nella configurazione interna delle reti.

Una, in particolare, è quella che attiene al collante delle reti,ovvero all’elemento attorno cui si sono aggregate, che nella fase ini-ziale possiamo individuare nel territorio, nella precedente colla-borazione e nella conseguente conoscenza/fiducia reciproca (peresempio, l’appartenenza ai Poli di Spazio Residenzialità ha rap-presentano il collante di tre reti) e nella convergenza dei framesche orientano l’azione quotidiana delle organizzazioni.

In itinere, si sono aggiunti a questi elementi anche il progetto,quindi l’oggetto di lavoro e l’obiettivo comune, e la competenza, in-tesa come la necessità di coinvolgere attori anche esterni al circui-to, ma portatori delle competenze mancanti.

Nel corso degli incontri di confronto, le stesse reti di progetto cihanno segnalato alcuni fattori di attenzione:1. il governo: una rete deve monitorare il giusto equilibrio tra iden-

tità e apertura e curare la manutenzione attraverso la costante ri-composizione delle pluralità che compongono e animano la rete;

2. investire sulla pluralità: coltivando le interazioni di confine,leggendo le discontinuità come occasione di apprendimento eriorientamento, imparando a “stare nelle contraddizioni”, ri-componendo, in itinere, problemi e soluzioni;

3. mantenere la centratura sul protagonismo dei destinatari (que-sto vale sia per i volontari sia per le persone con fragilità) e sulloro potere di partecipare alla definizione degli interventi cheli vedono coinvolti;

4. fare insieme: favorire l’incontro e la relazione come luogo diapprendimento reciproco.Un’ultima buona domanda centrale per la presente riflessione

attiene al valore aggiunto rappresentato dal coinvolgimento del vo-lontariato nelle reti di progetto.

Dai rimandi delle associazioni coinvolte e da quanto rilevatonel percorso di affiancamento e monitoraggio, possiamo affermareche il volontariato:

˜ ha riequilibrato le relazioni di “potere”/governo tra beneficiari,volontari e operatori. L’introduzione di volontari (formati e con-sapevoli) in una struttura residenziale rimette in moto i rap-porti di governo. Il volontario diviene risorsa preziosa anche infase di progettazione, proprio perché porta degli occhi in più;

˜ ha consentito di dedicare maggiore attenzione alla costruzionedi legami sociali, alla promozione del reciproco riconoscimen-to e alla valorizzazione della pluralità di sguardi;

˜ ha introdotto una diversa dimensione del tempo: più lento, piùa dimensione di beneficiario, legato più al piacere di fare che aldover fare.Sono sperimentazioni da cui è emersa la delicatezza del rap-

porto tra operatori e volontari di residenza, da cui può scaturireperò una complementarità preziosa e arricchente, se adeguata-mente gestita.

La combinazione tra coinvolgimento del volontariato e accom-pagnamento di “senso” fornito dal percorso “Far Casa” ha consen-tito uno spostamento dal “vivere l’esperienza” al “riflettere sul-l’esperienza” e condividerla, ovvero dal “Far casa” al “Pensar casa”per far casa non a caso.

In un progetto, per esempio, la progettazione condivisa con ivolontari ha fatto nascere l’idea di percepire e utilizzare la casa co-me “amica”, ovvero fonte di reciproco apprendimento e di incon-tro di scenari nuovi rendendo la casa qualcosa che va al di là del-la sola unità d’offerta.

Alcune associazioni coinvolte hanno segnalato di essersi reseconto, in itinere, del valore del coinvolgimento dei volontari sindalle fasi di progettazione degli interventi, non solo quindi a livel-lo operativo.

La percorribilità della progettazione, infatti, è collegata alle rap-presentazioni che il volontariato ha dei problemi, quindi degli og-getti di lavoro, o delle iniziative da realizzare.

Il volontariato, infatti, porta lo sguardo della comunità localedi cui è espressione. Facendo riferimento alla letteratura sociologicasu questo tema, vale la pena evidenziare che «il coinvolgimento

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Ciessevi accompagna le organizzazionilungo tutto il progetto

Percorrere

APRENDO E ACCOMPAGNANDO. Adottando l’avviso di selezioneaperto come strumento e metodo di lavoro, Ciessevi ha scel-to di stare con le organizzazioni di volontariato per tutto il

percorso di progettazione, dalla fase di ideazione alla chiusura delprogetto. L’avviso di selezione aperto, diversamente dal bando, im-plica appunto l’assunzione di una funzione di accompagnamentoda parte di Ciessevi alle organizzazioni di volontariato e alle lororeti nella fase di ideazione e costruzione progettuale, prima e, unavolta “selezionati” i progetti, nella fase di realizzazione degli stessi.Un modo per Ciessevi per confermare e realizzare la propria missiondi facilitatore ed accompagnatore di processi anche su una linea di

“lavoro” nuova quale l’abitare esu cui “aprire” il volontariato aduna sfida così inedita, quale losperimentare e riconoscere unruolo possibile all’interno dellepolitiche dell’abitare inclusivo.

Aprire è un gesto non solo

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delle comunità locali e la messa in luce delle rappresentazioni cul-turali che queste hanno dei luoghi in cui vivono, spesso sono ele-menti mancanti nei processi di rigenerazione urbana». E ancora:«Molte esperienze dimostrano infatti che la cultura di una comu-nità, le pratiche culturali espressione della vita quotidiana posso-no essere fonte di rigenerazione - nel loro senso di identità, nel-l’esercizio dei diritti di cittadinanza, di partecipazione e diempowerment nell’arena politica - solo attraverso progetti socialicondivisi di cui la comunità possa ritenersi proprietaria, mentre,per converso, progetti che imitano esperienze di “successo” diun’altra città, ma implementati senza attivare connessioni con lastoria e la cultura locale, sono destinati all’insuccesso». «L’assun-zione di modelli di intervento che privilegiano una visione e co-struiscono artificiose unità di intenti laddove diverse identità col-lettive premono per essere riconosciute, invece che favorire lapiena realizzazione delle potenzialità, finisce per riprodurre queimeccanismi di esclusione che è chiamata a combattere»2.

Prima di concludere, riportiamo alcuni elementi catturati conl’osservazione del percorso e della capacità delle associazioni distarvi dentro.

In fase di realizzazione dei progetti e grazie all’accompagna-mento tematico, abbiamo osservato l’emersione della capacitàdel volontariato di ridefinire obiettivi e strategie nel corso delprogetto. Per esempio, un progetto nato inizialmente con l’ideadi concentrarsi sulla prima accoglienza si è trasformato poi, gra-zie a un’attenta lettura, in un percorso orientato alla creazione diun’agenzia per la casa.

Accanto a ciò, abbiamo colto la capacità di creare nuove alle-anze per costruire nuovi servizi (per esempio, guardare al privatoe riconoscere e coinvolgere potenziali nuovi interlocutori); la va-lorizzazione della capacità progettuale dei beneficiari che consen-te di percepirli come portatori di risorse e non solo fruitori “passi-vi”; lo spostamento rispetto al tema della visibilità e della strategiacomunicativa (ad esempio, riservando un ruolo determinante alprocesso di attribuzione di un nome a quelle prassi abitative altri-menti date per scontato).

2 S. Vicari Haddock, F. Moulaert, Rigenerare la città, Il Mulino, Bologna 2009

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di Paolo Aliata

Il Centro servizi ha scelto di stare con le associazionidi volontariato per l’interopercorso del progetto: dalla fase di ideazione alla sua conclusione

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segna dei progetti (maggio 2009) per la selezione; la seconda, dellarealizzazione dei progetti selezionati. Il primo è stato un accompa-gnamento al “pensar casa”, il secondo al “far e ripensare casa”

L’accompagnamento al “pensar casa” è stato di natura consulen-ziale e di supporto alla singola organizzazione e rete ingaggiata nelpercorso: a tutte le organizzazioni e reti interessate a partecipareall’avviso di selezione è stata infatti proposta l’offerta standard didue consulenze a “casa” loro, oltre ad una continuità consulenzia-le tramite mail e telefono. La prima orientata a focalizzare l’ideaprogettuale e a garantirne la tenuta in funzione dei focus originalidell’avviso di selezione (“abitare”, “rete”, “volontariato”, “inclu-sione sociale”) e verificare la stabilità del tavolo di rete, la secondadedicata ad integrare la proposta progettuale più elaborata con da-ti di realtà e i vincoli di budget propri dell’avviso di selezione. Ogniconsulenza si è basata sulla proposta di un documento specifico,con cui elaborare pensieri ed azioni con le reti: per la prima con-sulenza – di focalizzazione dell’idea progettuale – è stata predi-sposta un’apposita “scheda idea progetto”, basata su una semplifi-cazione del formulario; per la seconda consulenza – diaccompagnamento alla redazione finale del progetto – è stato ela-borato il formulario ad hoc ed un prospetto di budget in Excel.

Si tenga conto che all’apertura dell’avviso di selezione, si sonoregistrati un totale di ventitré contatti di organizzazioni che si so-no mostrate variamente interessate a presentare il loro “Far casa”.Di queste, dopo un primo contatto informativo, venti sono rimastein campo ed hanno intrapreso il percorso progettuale utilizzandovariamente l’offerta consulenziale. Dai venti in campo sono perve-nuti sedici progetti, da cui ne sono stati selezioni e poi sostenuti un-dici. Da marzo a maggio 2009 sono state realizzate ventotto consu-lenze a “casa”.

La selezione e l’avvio degli undici progetti ha segnato ovvia-mente un cambiamento dell’orientamento e degli strumenti del-l’accompagnamento. Un accompagnamento al ”fare” e ri-pensarecasa. Permane la consulenza alla singola rete di progetto, orientataal “fare casa”, a sostenere la traduzione operativa del progetto in azio-ne, provando a far fronte a nodi e scostamenti, a monitorare il pro-cesso e ad aprire spazi di riflessione sulle criticità emergenti e a se-

tecnico e operativo, ma anche e soprattutto metodologico e valo-riale. Vuol dire porre all’interno del proprio sistema di premesseun’opzione di approccio e di una costante strategia di senso assuntae ricercata nella conduzione dell’intero percorso di progettazione.

Accompagnare deriva dal latino “cum panem”: condividere lostesso pane. E il pane è simbolo di risorsa e di quotidianità. Ac-compagnare è risorsa e nasce dal condividere risorse: non solo ma-teriali, ma pensieri, riflessioni e vuol dire farlo laddove le cose ac-cadono, vicino ai diversi far casa.

Progettare aprendo e accompagnando vuol dire mettersi a fian-co e vicini a persone, organizzazioni, territori, riconoscendo loroun’innata dignità, fatta di storie, desideri, narrazioni, esperienzeverso le quali il primo atto è l’ascolto, ed il secondo la connessio-ne con altre storie, desideri, narrazioni ed esperienze mosse dallastessa voglia e motivazione. Una vicinanza che non vuol dare ri-sposte, ma comporre benevolenti domande, aprire spazi di inter-rogazione, da cui e con cui farsi influenzare, in un costante pro-cesso di re-visioni e ri-posizionamento.

Impossibile farlo con un bando, che definisce, razionalmente elinearmente a priori e lascia identici ed intoccabili dall’inizio alla fi-ne contenuti e processi. Avviso di selezione aperto vuol dire esser-ci, stare ed incontrare, co-progettare, lasciando che ogni incontroinfluenzi e porti a ridefinizioni costanti contenuti e processi. Un’op-zione tanto fisicamente ed emotivamente faticosa quanto generati-va, richiedendo continue messe in gioco. Vuol dire quindi propor-re a se stessi, alle organizzazioni ed alle loro reti spostamenti nonfacili ed immediati: dal problem solving al problem making, dallecompilazioni alle narrazioni, dalla linearità alla circolarità, dalla ri-gidità alla flessibilità, dall’irremovibilità all’influenzamento, dal-l’oggetto al soggetto, dalla mappa al territorio, dal guardare al vede-re e ri-vedere, dall’osservare al partecipare, dall’informare alcomunicare, dalla chiusura alla contaminazione, dalla certezza al-l’incertezza e ambivalenza, dallo standard alla singola caratteristica.

Come si è scelto di tradurre operativamente questo approccio allaprogettazione? Con quali strumenti si è “accompagnato” ed “aperto”?L’azione di accompagnamento si è articolata diversamente in fun-zione delle due fasi del percorso: la prima, dalla fase di pubblica-zione dell’avviso di selezione (gennaio 2009), dall’ideazione alla con-

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Percorrere

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rienze e dal senso del percorso di progettazione. Il gruppo che haaffiancato lo staff di progettazione di Ciessevi è stato così com-posto da quattro esperti dei relativi quattro temi su cui è statopensato e attivato “Far casa (non a caso!)”: per l’abitare GabrieleRabaiotti, per le reti Paolo Cottino, per il volontariato GianfrancaDuca, per l’inclusione sociale, Claudia Corsolini.

I quattro componenti hanno quindi sia aiutato lo staff di pro-gettazione a raccogliere e sistematizzare le riflessioni di percorso,che condotto interventi formativi calendarizzati durante l’anno direalizzazione del progetto.

Il percorso di accompagnamento, quindi, dopo essere stato con-diviso con le reti, e condivise anche le ipotesi di lavoro si è artico-lato infatti in incontri con cadenza mensile a partire dal gennaio2010, periodo in cui tutti progetti erano in campo. I primi quattroincontri presso Ciessevi sulle “quattro gambe del tavolo”: a feb-braio 2010 “L’abitare” condotto da Gabriele Rabaiotti; a marzo “Re-ti per l’abitare” condotto da Paolo Cottino, ad aprile “Volontariatodi casa?” condotto da Gianfranca Duca, a maggio “Abitare i diritti”condotto da Claudia Corsolini. Si è trattato di incontri aperti al con-fronto su spunti lanciati dagli esperti.

Dopo i primi quattro incontri di riflessione, la necessità poi diincontrare territori ed esperienze. Tra giugno e luglio si sono tenu-ti due workshop, uno a Villaggio Barona, su “La casa che accoglie”,ed uno presso Quartiere Stadera, su “il territorio che include”, in-contrando realtà e testimoni. Due modalità concrete per “Far ca-sa”: la prima partendo da un pensiero denso sulla “struttura”, la se-conda da un azione altrettanto forte sul quartiere.

In chiusura del percorso tematico è stato poi proposto a set-tembre “valutando”, un momento di riflessione sull’impatto sia dimetodo che di contenuto del percorso progettuale cui le organiz-zazione e le loro reti hanno partecipato. Ha chiuso, o diversamen-te aperto, l’intero percorso il convegno di novembre “Far casa (co-sì)”. Un momento sia per raccontare le esperienze progettuali econdividere i punti di forza, le criticità, e le riflessioni emersi in fa-se di realizzazione dei progetti e durante il percorso di accompa-gnamento con un’ampia platea composta da associazioni, enti pub-blici e da tutti i soggetti attivi sul tema dell’abitare, sia per avanzareipotesi sul ruolo del volontariato sul tema: attivare possibili rela-

guire anche tutto il percorso anche da un punto di visto ammini-strativo ai fini della rendicontazione. Ad ogni progetto sono state da-te in questo senso non meno di due consulenze, una nella fase in-termedia ed una in prossimità della conclusione. Da settembre 2009a dicembre 2010 sono state realizzate trenta consulenze a “casa”.

Alla consulenza del “Far casa” e a “casa”, si è affiancato un ac-compagnamento al “ri-pensare casa” aperto a tutte le undici reti diprogetto chiamate a condividere insieme percorsi e riflessioni. Unaccompagnamento “tematico” per sostenere le organizzazioni nelfronteggiare gli elementi inediti del percorso: la combinazione deiquattro elementi cardine su cui sono state chiamate a pensare e fa-re e che nel loro combinarsi vogliono svelare il possibile ruolo delvolontariato in rete nelle politiche inclusive per l’abitare inclusivoe questo nuovo approccio alla progettazione aperta che richiede“spostamenti” e re-visioni non da poco nel proprio stare, uscendoda una logica razionale del “bando” ed entrando nella logica dia-logica aperta dall’avviso di selezione.

Un accompagnamento “tematico”, dunque, volto ad offrire agliundici progetti insieme spazi di condivisione delle esperienze, dipensiero rispetto all’andamento dei progetti e di approfondimen-to dei temi affrontati, in modo tale da offrire loro strumenti fina-lizzati a valorizzare il loro lavoro, a individuare buone domande,nodi e criticità, a non farli sentire soli e pensare insieme a possibi-li sostenibilità al termine delle risorse messe a disposizione da “Farcasa”. Due gli “strumenti” di cui ci si è dotati in questa fase. Unamailing list (“farcasalist”) come strumento tecnico di supporto,aperta alle organizzazioni capo-fila di progetto e alle organizzazio-ni componenti le relative reti con l’obiettivo di condividere infor-mazioni, comunicazioni e pensieri sia sullo specifico progetto in fa-se di realizzazione che sulle tematiche su cui è stato costruitol’avviso di selezione. Uno strumento anche dall’obiettivo simboli-co di mantenere e costruire legami e “fili” anche a distanza.

E la costituzione di un gruppo di studio per offrire da un latouno sguardo esperto, ma “altro” sul percorso in atto, sia a livello dimetodo, di sistema di progettazioni in atto che di singola esperienzaprogettuale e dall’altro per accompagnare e stimolare la riflessionenel corso di diversi incontri con le associazioni, la riflessione pro-gettuale sulle quattro gambe del tavolo, a partire dalle singole espe-

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zioni con gli altri che pensano e fanno casa.

Chiudere aprendo… o aprire chiudendoChiudiamo queste note di percorso, utilizzando una metafora di“casa” : la porta, ed i suoi verbi più correlati: aprire e chiudere.

La porta è segno, è confine. Linea che separa dentro e fuori, sé egli altri. Per bisogno, necessità, scelta. Marcatamente delineata, conun giro di chiavi. Velatamente, lasciandola socchiusa. È anche deci-sione di accedere ed essere accessibili, scelta possibile di apertura omeno alla relazione: di chi bussa e di chi fa entrare. Per entrare e sta-re in casa non si può non varcare quella soglia, passare dalla porta.

Aprire la porta Aprire è il verbo “topico” di “Far casa (non a caso!)”; “aprendo” lasua coniugazione per dire che sta nel “processo”, in relazione enella situazione. Così è stato per le undici porte dei progetti, su cui“Far casa (non a caso!)” prima ha bussato e da cui poi è entrato. Tut-te porte diversamente aperte, da cui “Far casa” è passato per accom-pagnare ogni idea progettuale nel diventare forma e parola, per vede-re fili tra le organizzazioni diventare possibili legami di rete perstimolare e sostenere la costruzione di azioni per l’abitare delle per-sone con fragilità. Essere ospiti ed ospitati permette di riconoscere apriori il valore di chi ospita, vive, abita e fa abitare la casa, di incon-trare “di persona” e di riconoscere il valore creativo e motivazionaledelle associazioni (che troppo spesso faticano a comunicalo), di sen-tire profumi e vedere colori. Porte aperte che hanno permesso so-prattutto l’incontro e la conferma che è dall’incontro che nasce la pro-gettazione. Così è stato anche per la porta del progetto “Far casa”che a sua volta non ha potuto che aprirsi, facendosi “varcare”, sce-gliendo di essere “aperto”. Aprirsi, provando a tenere insieme leundici inedite interpretazioni di “Far casa” e vicine lungo un’uni-ca traiettoria, accompagnandone e mettendo a sistema richieste disenso e punti di domanda. Una porta su uno spazio ed un tempoabitato per più di un anno da sguardi e da esperienze, da riflessio-ni e nuove ipotesi. Chiudere una porta. Non si può aprire nulla, a me-no che non sia stato prima chiuso. Chiudere, con la fatica di incontraree stare nella “fine”, piccola o grande che sia, che ogni chiusura compor-ta di sua natura. Chiudere per poter raccogliere e ricostruire il senso di

un percorso, riscoprirne il “non a caso”, visualizzarne elementi di valore edi criticità.

Così è stato per noi che “chiudendo” il file di 130 pagine “Fa-cendo casa”, abbiamo provato a ricostruirne il percorso. Così è statoper le undici porte, che si sono dovute chiudere entro il 2010, te-nendo aperte riflessioni, desideri, possibilità e progettualità. Così èstato per “Far casa (non a caso!)”, che chiudendosi, riapre con que-sta pubblicazione ad un ingaggio motivato ed inedito del mondo delvolontariato per l’abitare.

Le parole chiave del percorso di accompagnamento

ABITARE

˜ LA CASA COME SERVIZIO

˜ OLTRE I MATTONI

˜ LA SPECIALIZZAZIONE: UN PROBLEMA?

RETE

˜ SPERIMENTAZIONE

˜ INTEGRAZIONE

˜ INNOVAZIONE

˜ COMPETENZE COSTITUTIVE DELLA RETE (ingredienti)

˜ RETE/PROGETTO

˜ ANCORAGGIO AL TERRITORIO

˜ COMUNICAZIONE (visibilità)

˜ MONITORAGGIO (governo)

VOLONTARIATO

˜ CHRONOS-KAIROS

˜ VALORE DELL’AZIONE DEI VOLONTARI

˜ COMUNICARE L’AZIONE DEI VOLONTARI

˜ RELAZIONE GENERATIVA

˜ HERMES E HESTIA

INCLUSIONE LE PERSONE CON FRAGILITÀ: CHI SONO? CHE RISPOSTE IMMAGINIAMO

˜ UN MONDO A PARTE

˜ INSERIMENTO

˜ INTEGRAZIONE

˜ INCLUSIONE BASATA SULLA BENEVOLENZA

˜ INCLUSIONE BASATA SUL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI UMANI

˜ C’E’ QUALCOSA CHE DISTANZIA IL NOSTRO PROGETTO DALL’AP-PROCCIO BASATO SUI DIRITTI UMANI?

CREATIVITÀ, RECIPROCITÀ, SPAZI COMUNI

Percorreredossier settembre 2011

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Se i cambiamenti sociali ci aiutano a scoprire le nuove fragilità

Focus

IL PROGETTO “FAR CASA” si è proposto come obiettivo esplici-to l’inclusione sociale delle persone in situazione di fragili-tà. Una considerazione preliminare doverosa: ci sono situa-

zioni oggettive che portano un essere umano a essere fragile, èbene tenere presente che la fragilità di un gruppo sociale nascedalla società. Per esempio: in Italia siamo abituati a pensare chesia socialmente fragile una mamma sola perché deve far frontea diverse responsabilità, ma ci sono società in cui è fragile unadonna senza figli perché non ha alcuna utilità e non avrà chi sicura di lei nella vecchiaia; oggi, invece, cominciamo ad accor-gerci che rispetto al diritto alla casa è fragile anche un padre se-

parato, perché tipicamente lacasa è assegnata alla mammache ha la responsabilità di cre-scere i figli. In un sistema de-mocratico esiste comunque unproblema oggettivo di visibili-tà per alcune categorie di per-

sone: quelle che non riescono ad avere una rappresentazionesocialmente condivisa del loro rischio di esclusione sono le ca-tegorie più fragili in assoluto. Quindi chi si occupa di inclusio-ne sociale deve essere pronto a leggere i cambiamenti socialiper individuare chi è veramente “fragile”.

Domandiamoci ora cosa intendiamo per inclusione sociale.Una panoramica sui modelli sociali di risposta alle “fragilità”del passato o del presente, in Europa o altrove, ci dimostra che,spogliandoci da qualsiasi riferimento ideologico, ciascun mo-dello risponde a un bisogno del gruppo e quindi ha la stessa“dignità”. Una risposta è l’eliminazione : il gruppo sociale do-minante riconosce l’esistenza di raggruppamenti sociali cheportano una fragilità e ritiene che sia meglio eliminare questofattore che rischia di pregiudicare il benessere di tutti. Un esem-pio è Aktion T4, il nome del programma nazista di eutanasiache, sotto responsabilità medica, prevedeva la soppressione dipersone affette da malattie genetiche. Un’altra soluzione èl’esclusione programmata: il gruppo sociale dominante ricono-sce l’esistenza di fasce minoritarie che portano una fragilità e,per non pregiudicare il benessere di tutti, lo rende invisibile,pur non prevedendo esplicitamente l’eliminazione. Un esem-pio sono le vecchie strutture dei manicomi, oppure le work hou-se così ben descritte da Charles Dickens in Oliver Twist, luoghidi vera e propria segregazione per i poveri dell'Inghilterra Vit-toriana. O in tempi più recenti le famose “scene aperte” delladroga, zone della città riservate ai tossicodipendenti, come iltristemente noto Platzspitz di Zurigo. Oppure la separazione -segregazione: il gruppo sociale dominante riconosce che esi-stono forme sociali diverse e costruisce un sistema di regole daapplicare a ciascuno di questi gruppi escludendoli a vicenda.Un sistema di regole destinate a rimanere tali senza possibilitàdi riscatto. In qualche modo la diversità tra i gruppi è esaltataperché è funzionale alla stabilità dell’insieme. Un esempio èl’apartheid in Sudafrica. Poi c’è il charity approach: il grupposociale dominante riconosce l’esistenza di formazioni socialicon fragilità e promuove iniziative volte a diminuire i fattori didebolezza con un riconoscimento morale e attraverso facilita-zioni oggettive, ma non ritiene che sussistano veri e propri do-

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di Claudia Corsolini

Per Claudia Corsolini,studiosa di diritti umani ed esperta di fragilità,l’inclusione delle fasce piùdeboli della popolazionerafforza la società moderna

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veri e responsabilità a carico dell’organizzazione statuale. Unesempio sono le nascite di strutture di assistenza in Europa a ca-rico di organizzazioni religiose oppure le politiche ufficiali de-gli Stati Uniti sui diritti dei bambini. Un altro approccio è quel-lo basato sui diritti: l’organizzazione dello Stato ritiene di averela responsabilità di agire per tutelare i bisogni definiti come di-ritti dei cittadini. Un esempio sono le politiche sociali europeea partire dagli anni ’70.

In linea teorica, tutti i modelli sopra descritti, tranne l’eli-minazione e l’esclusione programmata, possono essere consi-derati modelli di inclusione sociale, cioè una società che dà unospazio anche alle persone fragili, allora come definiamo l’in-clusione sociale a cui vogliamo puntare?

A un primo livello possiamo definire come inclusiva ognisituazione “che non taglia fuori” dal gruppo prevalente. Ma lanostra storia di impegno sociale ci ha messo davanti a diversipassaggi dentro a questo modello, con tutte le difficoltà che neconseguono. 1. L’inserimento del “fragile” nel gruppo con strumenti di ac-

compagnamento per arrivare all’integrazione come assimi-lazione. Eventualmente si possono prevedere strumenti diaccompagnamento, l’obiettivo è arrivare all’integrazione nelgruppo come assimilazione.

2. Un altro passaggio avviene quando la società si riorganizzariconoscendo le diversità per ridurre ed evitare i fattori diesclusione, perchè il gruppo sociale dominante riconosceche esistono delle situazioni di differenza tra le persone eritiene di avere la responsabilità di ridurre le disuguaglian-ze. Questa è una tappa che va oltre il livello precedente, e ov-viamente è più complessa.

3. Ancora più complessa è situazione in cui l’escluso contri-buisce a rivedere le regole del convivere in condizioni di pa-rità. Questa situazione ideale è probabilmente quella che piùpienamente corrisponde all’idea di inclusione sociale cheCiessevi propone: una inclusione basata sui diritti umani.

Più complessa è la situazione in cui l’escluso contribuisce a ri-vedere le regole del convivere in condizioni di parità. Questasituazione ideale è quella che più pienamente corrisponde al-

l’idea di inclusione sociale che Ciessevi propone: una inclusio-ne basata sui diritti umani.

Inclusione basata sui Diritti UmaniCon questa espressione intendiamo la scelta etica che ritieneogni essere umano - a prescindere dalla sua cittadinanza, dallesue qualità, dalle sue doti – capace di essere una parte a dispo-sizione della comunità. Per il solo fatto di appartenere alla fa-miglia umana è portatore di una dignità superiore a quella dianimali e cose. Per esempio non si può negare a una persona lalibertà di pensare, senza offendere la dignità di tutti gli esseriumani. Non si può negare il diritto al lavoro, cioè realizzarsi emantenere sé e la propria famiglia, senza diventare un oggettonelle mani di chi promette di far fronte ai suoi bisogni, e quin-di senza offendere la dignità di tutti gli esseri umani.

I Diritti Umani quindi non possono essere che universali,cioè ugualmente riconosciuti a tutti gli esseri umani, fragili oforti. Questo concetto trova spazio a partire dal 1948 con la Di-chiarazione universale dei diritti umani e, in seguito, con altridocumenti sia a livello internazionale che europeo. Per noi ita-liani hanno un’importanza crescente perché oltre a essere “ri-conosciuti” dalla Costituzione impregnano la struttura stessadell’Unione Europea che ha un peso crescente nella nostra vi-ta. Scegliere il modello di inclusione basato sui diritti umani,impone di accettare tutte le conseguenze della scelta, senza da-re per scontato quello che non è scontato. In particolare, biso-gna avere chiaro che esistono modelli di inclusione basati sul ri-conoscimento di diritti, ma in cui solo ad alcune categorie dipersone sono riconosciuti tutti i diritti nella loro pienezza, co-sa che - se affermiamo di ispirarci all’inclusione basata sui Di-ritti Umani – non è coerente.

In effetti l’Europa di oggi spesso ci presenta un sistema diinclusione “basata sui diritti” che formalmente è egualitario, enei fatti propone un sistema di casta (pensiamo al tema dei di-ritti riconosciuti alle persone straniere), oppure di giustizia ba-sata sulla beneficenza (ti riconosco dei diritti solo se sono incondizioni economiche floride). E’ evidente che sto proponedodi considerare i Diritti Umani non come campo di studio giuri-

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dico astratto, ma come sottofondo che dia un senso al vivere ci-vile. Personalmente mi sono avvicinata a questi studi condi-zionata dalla mia storia di volontariato, alla ricerca di percorsiscientifici che proponessero una idea di Giustizia anche allepersone che vedevo più fragili. Per esempio Amartya Sen (pre-mio Nobel per l’economia nel 1998) propone, in contrasto conuna teoria del benessere sociale centrata sull'appagamento sog-gettivo, una prospettiva tesa all'effettiva tutela di aspetti cen-trali dei diritti umani. E pone al centro il concetto di capacità,cioè l'abilità di fare cose.

Oppure dall’“etica della cura” nella versione di Eva Kittayche ha inaugurato un nuovo ambito di studi sul tema della di-sabilità dove la libertà, la realizzazione, l'indipendenza di cia-scuno sono di fatto rese possibili da una rete di relazioni e di di-pendenze che le sorreggono. E ancora, una concezione dellagiustizia che contempli solo individui sani, autonomi. capacidi reciprocità e rapporti simmetrici non può che fallire il suoobiettivo con pesanti conseguenze sociali. La Kittay afferma chela realizzazione di una società giusta e capace di riconoscere idiritti e i bisogni di tutti i suoi membri richieda non solo rifles-sione teorica e impegno civile ma, non ultimo, un profondocoinvolgimento personale.

I Diritti Umani: Dignità e UguaglianzaScegliere di fare riferimento ai Diritti Umani non risolve i piùgrandi dilemmi moderni, anzi non sappiamo più definire chisono gli esseri umani a cui riconoscere la dignità: l’embrione sio no? Il feto si o no? Le cellule del cordone ombelicale si o no?Non sappiamo dove porre il fondamento della dignità.

Mi preme qui sottolineare qualcosa a proposito dell’altro pi-lastro della Giustizia basata sui Diritti Umani, l’uguaglianza.L’uguaglianza se non è formale ma sostanziale è un concetto nonassoluto ma storico e ci obbliga continuamente a rivedere leconquiste che ci sembravano dei record.

Oggi nel linguaggio dei Diritti Umani il concetto di ugua-glianza viene declinato come “uguaglianza di opportunità e nondiscriminazione”.

Il tema è complesso. Considerato che il Progetto Far Casa è

nato per dare risposte al Diritto alla Casa, rispetto ad alcune ca-tegorie di persone fragili, mi pare importante cercare di attua-lizzare questi concetti altrimenti così astratti. Pensiamo peresempio alle case che sono costruite per dare risposta al temadel “Dopo di noi”: è corretto che proponiamo delle abitazioni “aparte” per alcuni soggetti? La separazione è un modo per pro-teggere il soggetto fragile o quantomeno questo sarebbe l’obiet-tivo; ma allora quando la separazione “positiva” diventa “se-gregazione”? Ovvero: dove si trova il confine tra unaseparazione che protegge la persona fragile e una segregazioneche la mortifica? E’ necessario interrogarsi per identificare i fat-tori di “protezione” della persona fragile con indicatori oggetti-vi e impegnarsi a misurare la realtà con questi indicatori.

Un primo tema cruciale è quello di verificare quanta possi-bilità ha il “soggetto fragile” di esercitare quello spazio di auto-nomia che possiede: il soggetto fragile accetta le regole che sta-biliscono ruoli, diritti, aspettative riconosciute e la conseguenteseparazione? È possibile che il soggetto fragile scelga una viadiversa da quella prestabilita, oppure deve attenersi a una scel-ta preordinata in cui la sua volontà non conta?

Una seconda pista di indagine: la persona fragile ha la pos-sibilità di esercitare tutti i suoi diritti per i quali non ha bisognodi protezione, per esempio è rispettato il suo diritto alla riser-vatezza? Un buon esempio per capirci è quello dello sport perdisabili: ha senso avere un campionato di tiro con l’arco per per-sone in carrozzina, visto che il gesto tecnico è identico sia inpiedi che seduti? Sì se in questo modo permettiamo a personeche a causa della disabilità non avrebbero requisiti per compe-tere nelle gare ordinarie di farlo. Ma la persona con disabilità,che ha le qualità agonistiche per competere, dovrebbe avere lachance di partecipare a campionati regolari, come è successo aPaola Fantato (campionessa italiana disabile, che dopo aver vin-to il campionato italiano sia Fisd che Fitarco, nel 1996 parteci-pò sia alle Olimpiadi che alle Paralimpiadi).

Nel linguaggio dei diritti umani può essere funzionale al-l’uguaglianza sostanziale del soggetto fragile rispetto alle “per-sone normali” adottare un trattamento differenziato, purché sitenga sempre presente la necessità di valutare giorno dopo gior-

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no se il trattamento differenziato continua a trovare giustifica-zione nella realtà. Urge allora adottare un metodo di giudizioqualitativo sulle prestazioni che vengono garantite alle personefragili, perché una prestazione ottima in sé potrebbe essere let-ta negativamente se non incide in nessun modo sull’accesso aiDiritti da parte della persona.

Valutare secondo un approccio basato sui Diritti Umani:alcune piste di lavoroLa “madre di tutte le regole” è che se lavoriamo per i DirittiUmani non esistono “beneficiari” ma protagonisti. Ne derivache la partecipazione degli interessati alle scelte che li riguar-dano è un mezzo e un fine dell’azione sociale. L’obbligo di em-powerment, cioè di trasferire forza alle persone fragili; il “main-streaming”, cioè la ricerca di risposte alla fragilità che siano ilpiù possibile in linea con le politiche che riguardano tutti i cit-tadini, sono una traccia prevalente di intervento. La risposta albisogno è un primo step; poi bisogna analizzare le cause remo-te delle disuguaglianze, perché se non si rimuovono quelle, ogniazione resta simbolica. Inoltre, oltre che la rete territoriale o diprogetto, esiste una rete strategica basata sui diritti umani a cuiè doveroso attingere e contribuire. Per esempio se mi occupo digiovani madri, sono miei partner (magari silenti) tutti i sogget-ti che si occupano della tutela dei diritti dei bambini e delledonneoltre a quelli che si occupano di diritto alla casa e alla vi-ta indipendente. E’ difficile che tutti i partner sopra ricordatipossano essere consapevoli, collegati e attivi: quindi serve unarete anche dentro ad ogni associazione, per cominciare a cono-scere gli altri attori sociali, approfondire, valutare, proporre.

Poi bisogna passare dalla “buona prassi episodica” alla co-struzione della regola.

Per finire: il monitoraggio basato sull’accessibilità ai DirittiUmani e non sulle prestazioni è una cosa molto nuova da af-frontare per tutto il mondo del sociale e per il volontariato inparticolare. La mia esperienza nel campo dei Diritti dei Bambi-ni mi porta a pensare che sarebbe utile per il volontariato pro-vare a partecipare alle rilevazioni basate sugli indicatori indi-viduati nei documenti dei Comitati internazionali.

Gratuità e reciprocità,quando il valore aggiuntoè investire nelle relazioni

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PRENDO SPUNTO PER LA NOSTRA RIFLESSIONE partendo dall’in-tervista a una volontaria e a un’educatrice di un servizio di“Handicap… su la testa” (il video dell’intervista è dispo-

nibile sul canale Youtube di Ciessevi*). Quello del volontariatonella quotidianità e non nella straordinarietà, appare una sfidaper il nostro tempo. Il sociologo Zygmunt Bauman in una recen-te intervista ha dichiarato che «il tempo, nell’era liquido–mo-derna della società dei consumatori, non è né ciclico né lineare,com’era normalmente per le altre società note della storia mo-derna o premoderna. Direi che è invece puntinista, frantumato

in una moltitudine di pezzettidistinti, ognuno ridotto a unpunto che si avvicina sempredi più alla sua idealizzazionegeometrica di non dimensiona-lità… E’ proprio per questa ra-gione che una vita del “mo-

di Gianfranca Duca

Secondo Gianfranca Duca,dell’Anffas di CiniselloBalsamo, fare volontariatoaiuta a capire come la gratuità possa favorire la costruzioni di relazione

*http://www.youtube.com/user/ComunicazioneCiessev.

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mento” normalmente è una vita della fretta». Il volontario, chedona il suo tempo, anche attraverso la “lentezza”, come dice lavolontaria, sconvolge la logica dell’efficienza com’è tradizional-mente intesa. Le ore lente trascorse con il portatore di bisogni ètestimone del passaggio da una considerazione del tempo comechronos – colui che divora i figli – tempo delle scadenze, dei rit-mi; e il passaggio a una concezione del tempo come kairos – tem-po elastico, tempo delle opportunità. E’ questo il tempo del vo-lontariato. E’ necessaria una “rifondazione” della quotidianitàperché è nella quotidianità che prende vita e si dispiega l’impe-gno del volontariato. Così si esprime il filosofo Salvatore Natoli:«Ogni giorno si spezza il pane nel senso reale. Ogni giorno stabi-liamo relazioni, scambiamo parti, diamo qualcosa, riceviamoqualcosa. La dimensione etica, nella nostra pratica quotidiana, èavere dentro di sé l’istanza dell’altro, non sentirsi mai unici, se-parati, assoluti, perché questo condurrebbe a un delirio di onni-potenza... Senza l’alterità non c’è l’etica. Solo attraverso la di-mensione di alterità gli uomini possono incontrarsi e prendere lemisure. Si sviluppa il giudizio etico: in questo momento quantoti dò, quanto ti tolgo, quanto devo, come ti devo amare? E allorala domanda etica diventa: qual è la giusta relazione con l’altro?».

Approccio integrato all’utente volontario/operatoreIl volontario ha alcune caratteristiche che gli operatori professio-nali non possono permettersi di avere: la provvisorietà dell’es-serci, la precarietà nella disponibilità temporale. L’operatore hacome riferimento la propria istituzione. Il suo agire è funzionalealle scelte operative tecnico professionali che sono decise per ilbene dell’utente. Il volontario agisce l’idea di poter condividerecon altri la propria azione, ha poi la disponibilità di un tempo li-mitato, anche se dimostra di saper agire alle richieste di aiuto inmodo più tempestivo dell’operatore specializzato. Importante è lacostruzione di un’intesa fatta di risposte complementari tra quel-le tecniche (sempre garantibili) e quelle provenienti dal volonta-riato. Il volontario non deve viversi come legato a vincoli d’inso-stituibilità operativa, o all’interno di una situazione spaziotemporale troppo codificata. La regola del tempo che delimital’esperienza del volontariato e la qualifica come tale, pone un

confine tra le risposte garantibili e quelle libere (non sempre ga-rantibili, ma rinnovabili); le risposte combinate sono le migliori.

Stile di relazione del volontarioSicuramente la gratuità è premessa fondamentale dell’azione vo-lontaria, non è però sufficiente. Oggi è opportuno ricordare unpassaggio culturale che sposta l’attenzione dalle condizioni for-mali dell’agire volontario (la gratuità) alle condizioni espressivee identitarie del volontario: la relazione. Si è volontari quando siricerca nel proprio agire l’altrui felicità e la propria. Rispetto alledefinizioni “classiche” dell’agire volontario - come quella di Lu-ciano Tavazza: “Volontario è il cittadino che, adempiuti i suoi do-veri di stato (famiglia, professione…), pone se stesso a gratuita di-sposizione della comunità. Egli impegna le sue capacità, i mezziche possiede, il suo tempo in risposta creativa ai bisogni emer-genti, prioritariamente dei cittadini del suo territorio e quella con-tenuta nella legge quadro sul volontariato: «Per attività di volon-tariato deve intendersi quella prestata in modo personale,spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontariofa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente perfini di solidarietà».

Emerge oggi una nuova visione del volontario che mette alcentro delle proprie preoccupazioni non tanto la forma della pro-pria azione (spontaneità, gratuità) quanto la sua sostanza relazio-nale (reciprocità, fiducia, rispetto). Volontariato come punto d’ar-rivo: non si fa volontariato per vivere la gratuità, ma per capiredove l’esperienza della gratuità può portare con produzione direlazioni e quotidianità. Esiste un nesso tra volontariato e felici-tà a partire dal contributo del volontario a costruire beni imma-teriali (beni relazionali). I beni relazionali sono molto fragili, per-ché per essere realizzati dipendono dall’unione di due o piùindividui, è quindi necessario un investimento congiunto. Il co-sto del tempo dedicato a produrre beni relazionali è aumenta-to rispetto ad altre attività: un’ora dedicata alla costruzione dibeni relazionali ha un costo elevato perché le alternative sonomolteplici (internet, tv). Il tempo costa e, mentre la produttivi-tà del tempo lavoro è aumentata sempre più, non è così per laproduttività del bene relazionale.

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Richard Easterlin nel 1974 formulò un paradosso, il parados-so di Easterlin o paradosso della felicità, il quale, ricercando le ra-gioni per la limitata diffusione della moderna crescita economi-ca, evidenziò che nel corso della vita la felicità delle personedipende molto poco dalle variazioni di reddito e di ricchezza.Questo paradosso si può spiegare osservando che, quando au-menta il reddito, e quindi il benessere economico, la felicità uma-na aumenta fino ad un certo punto, poi comincia a diminuire, se-guendo una curva ad “U” rovesciata. Il possesso di denaro dàassuefazione, i beni relazionali danno una soddisfazione di ca-rattere permanente che non diminuisce all’aumentare della quan-tità di beni relazionali consumati. Oggi non vi è niente di più an-tieconomico della “cura alla persona”; molte persone sono piùdisponibili a offrire denaro rispetto al tempo.

ProgettazioneNella realtà non esiste un soggetto che progetta e un oggetto diprogettazione: esistono invece interazioni tra soggetti che svi-luppano processi di costruzione di progetti. Tutto il lavoro deveassumere come riferimento privilegiato la vita quotidiana e deveprocedere nel ricercare significati che in essa si sviluppano. I pro-getti sono pensati e realizzati all’interno di contesti reali di vita enon è pertanto possibile limitare la propria attenzione solo a quel-le variabili che possono essere isolate teoricamente. Proprio perquesto il lavoro progettuale deve emergere da un processo tra tut-ti gli interlocutori, tra “chi progetta” e “chi è progettato”. Nella di-mensione progettuale del lavorare per progetti rientra la consa-pevolezza che le idee nascono all’interno di un’appartenenza a uncontesto, a una cultura, e che le risposte ai bisogni nascono e sisviluppano tra la gente e non al di sopra di essa. Tanto più i vo-lontari non sono coinvolti nello sviluppo dei processi, tanto piùaumenta la parcellizzazione dei compiti e aumentano i rischi diabbandono, percezione di essere un ingranaggio della macchinache può funzionare a prescindere dal contributo personale di cia-scun volontario. Il volontariato nella progettazione può costitui-re un “valore aggiunto”. I volontari, come rappresentanti di unacittadinanza più attenta, perché più vicina e disinteressata, sen-sibile alle frontiere del disagio, hanno competenze di esplorazio-

ne di bisogni del territorio in cui abitano, di animazione del con-testo sociale, di comunicazione pubblica. Che è diversa dallacompetenza di rispondere a un bando se questa è solo la capaci-tà di stesura di progetti che portano il volontariato a essere un en-te attuatore di ciò che è stato pensato dall’ente pubblico di riferi-mento. Possono progettare una presenza sul territorio,indipendente e vigile (una formazione volta a suscitare propostee letture da parte dei volontari dei problemi sociali). Constatiamola difficoltà di reperire giovani volontari: crediamo che l’atten-zione a preservare una prospettiva di sviluppo di processi di cam-biamento in un territorio contro l’appiattimento sul mero svolgi-mento di servizi rappresenti un aspetto cruciale per rilanciareuna credibile proposta per i giovani.

Un’immagine finaleIl volontario di residenza sembra riassumere in sé i caratteri del-la coppia di divinità greche Hermes ed Hestia. Insieme abitano,come recita l’inno omerico ad Hestia, «nelle belle dimore degliuomini che vivono sulla superficie della terra, con sentimenti dimutua amicizia». Mentre Hestia è il focolare circolare, il centroattorno al quale la casa si radica nella terra, Hermes è la transi-tabilità della soglia: il messaggero, il nomade, il mediatore, laguida che accompagna il viaggiatore e lo conduce nell’al di là,dio dello scambio, della mobilità. Hestia senza Hermes mori-rebbe di immobilismo; privato diHestia, vale a dire di origine, fina-lità e limiti, senza territorio di rife-rimento, i ruoli, le attività di Her-mes sarebbero confuse, senzaobiettivi. Mi sembra che la coppiadi divinità possa essere usata comemetafora del profilo del volontarioin residenza, capace di creare unareale corrispondenza tra spazioprivato e impegno pubblico, coluiche consente in residenza il proli-ferare di spazi, di nuove soglie, dinuove porte che si aprono.

Jean Pierre Vernant“Hestia-Hermes.Sull'espressione religiosa dello spazio e del movimentopresso i Greci” in Mito e pensiero presso i GreciEinaudi, 1970

Luigino Bruni, Stefano ZamagniEconomia civile. Efficienza,equità, felicità pubblicaIl Mulino, 2004

Zygmunt BaumanVoglia di comunitàLaterza, 2001

Zygmunt BaumanVoglia di comunitàLaterza, 2001

GRANDANGOLO

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Progetto

Capofila: organizzazione di volontariato “Non ti scordar di me” di Buccinasco.

Partner: associazione “Sviluppo e Promozione”, cooperativa sociale “La Cordata”.

Territorio: Comuni della cintura sud di Milano: Corsico, Trezzano,Buccinasco, Assago (Asl Milano 1).

Ambito: disabilità.

Promozione, costruzione della rete e analisi di fattibilità per la realizzazione di un condominio solidale.

Finalità: il progetto “Casa del Sorriso” nasce dalla volontà dell’associazione“Non ti scordar di me” e dai genitori di disabili gravi che la compongono di trovare una risposta al problema dei "dopo di noi" secondo unamodalità che non isoli, ma integri.

Per questo l’associazione sogna una sorta di “villaggio solidale” in cuiconvivano armonicamente dimensioni diverse, ordinarie e stra-ordinarie,uno spazio di relazione tra persone che possono offrire energie e risorse ed altre che ne possono beneficiare.

Destinatari: persone con grave disabilità; studenti universitari all’interno di mini-alloggi con affitto temporaneo a canone agevolato subordinatoall’impegno a prestare servizio volontario nel progetto; realtà locali e sovra-locali che lavorano con la disabilità; realtà esperte di gestione di interventi di housing sociale; enti locali.

Azioni:

costruzione della rete, preparazione del territorio e raccordo con gli enti locali;

messa a punto del progetto di casa solidale integrata.

Parole chiave: potere educativo dello stare e del far casa insieme;combinazione di competenze per far casa.

CASA DEL SORRISO

Schede Progetti

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Schede Progetti

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dossier settembre 2011

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Progetto

Capofila: organizzazione “Nabad” di Milano.

Partner: Architettura delle convivenze, Centro Naga-Har, associazione “Naga”Onlus, associazione “Casa Morigi”, Consiglio Italiano per i Rifugiati.

Territorio: Milano e hinterland (la ricerca di possibili case viene effettuata sututto il territorio della Provincia di Milano).

Ambito: rifugiati.

Azione di promozione e diffusione ad ampio raggio di modelli diaccoglienza per rifugiati basato sul sostegno del volontari.

Finalità: sviluppare condizioni abitative adeguate alle esigenze espresse dalrifugiato, superando le logiche dei grandi dormitori per pensare realtà piùpiccole che possano dialogare con il territorio coinvolgendo un maggior numerodi realtà e favorendo il processo di integrazione e di costruzione di una nuovaidentità sociale da parte di soggetti che hanno vissuto il trauma dell’esilio.Più di ogni altra esperienza di migrazione, infatti, quella del rifugiato apparecome una forma di sradicamento che necessita di tempi e spazi adeguati allaricostruzione dell’identità di individui segnati dal trauma dell’esilio e spessodalla tortura. La migrazione spesso comincia già in patria con l’elaborazionedi un progetto migratorio che coinvolge l’intera comunità di riferimento, al contrario l’esule costretto alla fuga non ha né una comunità immaginaria a cui poter fare ritorno, né una terra immaginata a cui riaffiliarsi: solo la speranza di trovare protezione nel Paese d’asilo.

Azioni: contatto con i referenti comunali e le associazioni dei territori alloscopo di effettuare una mappatura dei servizi, degli spazi e dei soggettisensibili al tema dei rifugiati nel territorio della provincia di Milano;

azioni di coinvolgimento e di confronto tra associazioni di volontariato, enti religiosi e cooperative sociali che a diverso titolo si occupano di rifugiati e richiedenti asilo di Milano;

formazione sul tema;

individuazione di un modello di «casa» adeguato in cui siano possibilidelicate convivenze.

Parole chiave: una casa per le convivenze.

InformazioniNabad - via Santa Maria 2 - Parabiago (MI)email: [email protected]

PAGURO, UNA RETE A SOSTEGNO DI RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

Progetto

Capofila: organizzazione di volontariato “Volare Insieme” di Vanzaghello.

Partner: Comune di Vanzaghello, Azienda sociale consortile “CastanoPrimo”, ASL 1 distretto n. 5 Castano Primo, cooperativa sociale “Primavera”,cooperativa sociale “Lule”, società sportiva dilettantistica “Ticino”, CroceAzzurra Ticinia, associazione “Famiglie e Amici dei malati psichici”,Ancescao Vanzaghello.

Territorio: Comune di Vanzaghello e ambito di Castano Primo (Asl Milano 1).

Ambito: disabilità.

Sensibilizzazione, promozione ed animazione territoriale sul temadell’abitare In prospettiva della costruzione di una casa per persone con disabilità ed anziane.

Laboratori di progettazione partecipata e di realizzazione di un video sul tema dell’abitare per giovani con disabilità i cui protagonisti sarannoi futuri abitanti della casa.

Proiezione del cortometraggio e di un film “classico” sul tema della disabilità nei comuni del distretto.

Finalità: costruzione di un “terreno adeguato”, ovvero un contesto culturalee sociale accogliente, inclusivo e una comunità attenta in preparazione allacostruzione di una struttura abitativa per persone con fragilità.

Destinatari: persone con disabilità e famiglie; cittadinanza.

Azioni: attivazione di percorsi itineranti mirati a stimolare la partecipazionee il coinvolgimento di tutta la comunità locale, seguendo la filosofia del “fare casa tutti insieme”.

Nello specifico: Abitare di qualità”: convegno su risparmio energetico,bioecologia e domotica; “Le strade del sorriso”: incontri di viaggio conrealtà già esistenti al fine di scambiare esperienze, confrontare buonepratiche e allargare la rete; “I colori di casa”: laboratori di arte terapia pervolontari, operatori e persone con disabilità; “Appunti di viaggio”: raccontodel percorso "la strada di casa’ da parte di ragazzi disabili attraverso mezziaudiovisivi; “Laboratori di progettazione”: costruzione di un laboratorio di progettazione partecipata per "Far casa, (non a caso!)”.

Parole chiave: la casa sulla pelle.

InformazioniVolare Insieme - piazza Pertini c/o nuovo Centro Civico – Vanzaghello (MI)email: [email protected] - web: www.volareinsieme.it

LA STRADA DI CASA

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Schede Progetti

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dossier settembre 2011

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Progetto

Capofila: organizzazione di volontariato “CAV - Centro di Aiuto alla Vita” di San Donato Milanese.

Partner: AVO San Donato, Caritas Cittadina, Comune di San Donato, Distretto sociale sud est Milano, Consorzio “Farsi Prossimo”.

Territorio: San Donato Milanese (ambito Asl Milano 2).

Ambito: persone con fragilità.

Rivitalizzazione della “casa dell'accoglienza”, soluzione abitativatemporanea per persone senza alloggio, tramite un percorso di progettazione condivisa delle associazioni territoriali e l'attivazione dei volontari.

Finalità: progettare una futura “Agenzia per la Casa”.

Destinatari: enti del Terzo settore, volontari, cittadinanza.

Azioni:

corso di formazione rivolto agli enti potenzialmente interessati al progetto per progettare la nuova casa di accoglienza;

creazione di una rete in grado di attivare un'Agenzia per la casa;

incontri informativi aperti alla cittadinanza.

Parole chiave: da quello che pensi di aver capito a quello che nel percorsohai capito;

volontari in ascolto;

volontariato efficace e agganciato a una realtà che pochi vedono.

InformazioniCAV - Centro di Aiuto alla Vita -via Isonzo 40 - San Donato Milanese (MI)email: [email protected] – web: www.beepworld.it/members/cavsandonato/

ABITARETEProgetto

Capofila: organizzazione di volontariato “La Casa di Emma” di Carate.Brianza.

Partner: “Il Mondo di Emma” società cooperativa, associazione “Natur&”Onlus, Comune di Besana in Brianza, Comune di Albiate.

Territorio: Carate Brianza, Besana in Brianza e Triuggio (Provincia di Monzae Brianza).

Ambito: persone con fragilità.

Attivazione della rete locale sul tema dell'housing sociale attraversoanalisi del bisogno ed analisi di fattibilità di esperienze simili in altriterritori.

Finalità: aprire un ambito di lavoro specifico relativo all'abitare per lefamiglie con minori e i giovani in difficoltà. L'associazione sente il bisognodi completare il proprio lavoro territoriale con l'elemento “casa”, in quantolo riconosce come fondamentale strumento di inclusione sociale nellacomunità di appartenenza: abitare significa essere inseriti in uno spaziofisico ma anche sociale che mette in relazione con gli altri. Attorno alla casasi possono avviare percorsi di isolamento ed esclusione, di impoverimentodella propria esperienza di vita, come di inclusione e inserimento in relazioni che promuovono e aiutano il benessere familiare e personale.

Destinatari: nuclei familiari, piccoli proprietari immobiliari, volontari della “Casa di Emma” e gli operatori del “Mondo di Emma”, cittadini.

Azioni:

attivazione della comunità locale, a partire dalla base sociale delleorganizzazioni, per individuare soggetti che possano fungere da figurechiave per il supporto dell'esperienza abitativa delle persone in difficoltà;

individuazione di piccoli proprietari immobiliari da coinvolgere con azionispecifiche per motivarli alla messa a disposizione di appartamenti per accogliere le famiglie in difficoltà del territorio, per promuovere la partecipazione come soggetti fondamentali per la coesione sociale;

raccolta dati e analisi del bisogno.

Parole chiave: tante case diverse.

InformazioniLa Casa di Emma - via Riverio 3 – Carate Brianza (MB)email: [email protected] – web: www.casadiemma.org

ABITARE SOCIALE IN BRIANZA

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Schede Progetti

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dossier settembre 2011

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Progetto

Capofila: organizzazione di volontariato “Il Gabbiano - Noi come gli altri” di Milano.

Partner: Handicap su la testa!, AIAS, Presente e Futuro, cooperativa sociale“Azione solidale”, cooperativa sociale “Cascina Bianca”, cooperativa sociale“Gabbiano Servizi”, cooperativa sociale “Co.esa.”, cooperativa sociale“Fraternità e Amicizia”, cooperativa sociale “Kykos”, cooperativa sociale “La Cordata”, Fondazione Caritas Ambrosiana.

Territorio: Polo Ovest Spazio Residenzialità, quindi Milano zone 6-7-8,comune di Rho, ambiti Asl Milano e Asl Milano 1.

Ambito: disabilità.

Creazione di una rete territoriale permanente e flessibile sul nododell’abitare per le persone con disabilità, con sostegno alle famiglie e sviluppo del volontariato di residenza

Finalità: l’obiettivo del progetto AbitiamOvest è quello di affrontare il bisognodi “casa” costruendo percorsi verso l’autonomia delle persone disabili in condivisione con le loro famiglie. L’ottica ispiratrice resta quella del “durante noi-dopo di noi”, ovvero la progettazione con la famiglia primadi arrivare all’emergenza.

Il senso del progetto si fonda quindi sull’opportunità di creare occasioni di incontro e confronto tra enti per farli dialogare, mappare gli interventi già attivi e far conoscere la dimensione del problema “casa”.

In sintesi, il progetto AbitiamOvest, con il suo lavoro di rete, è orientato a promuovere e consolidare il volontariato attraverso attività di formazione, di sensibilizzazione e di condivisione, allo scopo di sviluppare progetti sul volontariato in residenza che divengano dei modelli replicabili di intervento.

Destinatari: volontari degli enti di riferimento, famiglie.

Azioni:

creazione di una rete permanente e flessibile;

sostegno alle famiglie;

promozione del volontariato di residenza

Parole chiave: una casa con forti occhi

InformazioniIl Gabbiano - Noi come gli altri - via Ceriani 3 - Milanoemail: [email protected] – web: www.gabbiano.org

ABITIAMOVESTProgetto

Capofila: associazione “Comunità e Famiglia” di Milano.

Partner: Amici Celim, CAST, CAM, Celim, cooperative sociale “Diapason”,cooperativa sociale “San Martino”, Operazione Mato Grosso, Gruppo Romania.

Territorio: il progetto prevede una divisione “virtuale” della città di Milano e provincia in due realtà: Milano est (il cui centro é Basiano) e Milano ovest (il cuicentro é Milano zona 8, Villapizzone), definiti rispettivamente nodo territorialedi Milano ovest e nodo di Milano est. Ambiti Asl Milano e Asl Milano 2.

Ambito: famiglie e persone con fragilità.

Azione di promozione di un nuovo stile dell'abitare e di accoglienza di tipo comunitario sia all'interno di comunità familiari, sia all'interno di condomini problematici.

Finalità: diffondere lo stile abitativo delle comunità familiari (per esempioVillapizzone). Sostenere nei territori forme di "abitare diverso".

Destinatari: volontari che vivono un'esperienza comunitaria e volontari che abitano vicino all'esperienza comunitaria senza condividerne gli spazi. Persone che abitano nel territorio del “nodo” sollecitati a vivere il propriosenso di cittadinanza più inseriti nel quotidiano.Persone con fragilità che trovano un luogo di supporto, vicinanza, ascolto e che a loro volta diventano una risorsa per altri.

Azioni: in entrambi i “nodi” saranno realizzati:

momenti di formazione e di riflessione per i “volontari a tempoindeterminato”;

giornata di incontro per e con il proprio territorio presso una dellecomunità - casa in cui le famiglie con esperienza comunicano il proprioabitare insieme alle associazioni che propongono esperienze di volontariatoterritoriale (affido, supporto a famiglie fragili, mutuo aiuto, eccetera);

giornata di presentazione dell'abitare di comunità aperta a tutta la cittadinanza con animazione e visita delle comunità-nodo: Villapizzone a Milano e Castellazzo a Basiano.

Parole chiave: casa con le porta aperte (ma non troppo).

InformazioniComunità e Famiglia -piazza Villapizzone 3 - Milanoemail: [email protected] web: www.comunitaefamiglia.org

ABITARE CON LA PORTA APERTA

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Schede Progetti

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dossier settembre 2011

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Progetto

Capofila: organizzazione di volontariato “Sarepta” di Milano.

Partner: Centro Accoglienza Ambrosiano, Con Voi, Istituto “Mater DivinaeGratiae”, Sindacato delle famiglie, Consiglio di Zona 8.

Territorio: Zona 8 San Siro, Milano (ambito Asl Milano).

Ambito: persone con fragilità.

Sperimentazione di un modello di volontario di residenza pressoappartamenti di mamme con bambini con interventi fortemente integrati a quelli dell’équipe professionale

Finalità: costruire il senso dell’abitare per nuclei familiari monoparentaliprovenienti da strutture residenziali caratterizzate dalla mancanza di una gestione diretta della quotidianità, al fine di sostenerle nel percorso di acquisizione dell’autonomia.Sostenere un volontariato attivo e tutelato nell’assunzione del suo ruolo di pertinenza e responsabilità di fronte a situazioni di fragilità con cui si verrà a relazionare, al fine di creare nuove competenze per i volontari che operanonei tre enti.Interventi che mirano a promuovere una cultura della casa e del territorio in cui è inserita: importanza di una giusta comprensione delle regole di gestione della casa; doveri di una “buona padrona di casa”; costi connessi e coinvolgimento attivo dell’utente basato sullo sviluppo delle risorse personali.

Destinatari: persone con fragilità, volontari.

Azioni:

individuazione dei volontari di casa;

inserimento di nuclei monoparentali in difficoltà all’interno dei quattroappartamenti;

diffusione della cultura della casa tramite visite domiciliari periodiche del personale educativo e dei volontari;

affiancamento e sostegno nel percepire e svolgere il ruolo genitoriale tramiteconsulenze pedagogiche individuali e/o di gruppo;

affiancamento e sostegno nel percepire e svolgere il servizio di volontariato“in casa” tramite consulenze pedagogiche individuali e/o di gruppo.

Parola chiave: ti accompagno nel far casa.

InformazioniSarepta - via Tonezza 3 - Milanoemail: www.sarepta.it – web: [email protected]

SEMPRE PIÙ VICINIProgetto

Capofila: organizzazione di volontariato “UILDM” Milano.

Partner: Agèha, A Piccoli Passi, Il Centro del Sorriso, cooperativa sociale “Il Balzo”, associazione “L’Impronta”, Istituto Don Calabria, cooperativasociale “Sette”.

Territorio: CASE (residenze per disabili) presenti nel territorio Sud Milano(Milano Sud, Rozzano) e afferenti al Polo Sud di Spazio Residenzialità -ambiti Asl Milano e Asl Milano 2.

Ambito: disabilità

Promozione di una cultura del volontariato rispetto all’ambito di vitaquotidiana della persona disabile all’interno di contesti residenziali,“CASE”, per persone disabili della zona sud di Milano.

Finalità: sostegno alla residenzialità attraverso la promozione e valorizzazione del volontariato.

Promozione e valorizzazione e formazione del volontariato presso “case” di persone con disabilità, coadiuvata da azioni di sistematizzazione ed economie interne.

Destinatari: volontari, gruppi di famiglie solidali, aspiranti volontari.

Azioni:

ricerca e formazione di volontari di residenza;

creazione di una banca domanda-offerta di materiale per le CASE, di condivisione dell’impiego di volontari, specialisti e operatori.

Parole chiave: Far casa insieme

InformazioniUILDM - via Lampedusa 11/a - Milanoemail: [email protected] – web: www.uildmmilano.it

LA TERRA DEL FUOCO

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Schede Progetti

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dossier settembre 2011

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Progetto

Capofila: organizzazione di volontariato “Con Noi Dopo di Noi” di ColognoMonzese.

Partner: associazione “L'Arcobaleno”, associazione “Sorriso”, associazione “La Rondine”, L'Altra Associazione, cooperativa sociale “La Cordata”, cooperativasociale “Lotta contro l'emarginazione”, cooperativa sociale “Diapason”.

Territorio: zona in cui opera la rete Polo Nord di Spazio Resldenzialità (Nodo Nord Milano zona 9 e Nodo Cinisello Balsamo, Cusano Milanino, Sesto S. Giovanni, Cologno Monzese) - ambito Asl Milano.

Ambito: disabilità

Socializzazione delle esperienze di residenzialità attraverso il coinvolgimento diretto delle persone con disabilità, delle famiglie e del volontari In nuove forme di scambio, aggregazione e tempo libero,identificando tre poli di azione territoriale.

Finalità: promuovere e facilitare la conoscenza tra le organizzazioni delterritorio e il territorio, a tutti i livelli: operatori sociali, persone disabili,familiari, volontari al fine di trasmettere la cultura della residenzialità in maniera “orizzontale”, ovvero attraverso le reti informali.

Destinatari: persone con disabilità e famiglie, operatori, cittadinanza.

Azioni:

happy hours, Atelier, momenti aggregativi presso le strutture residenzialipresenti sul territorio e afferenti alla rete di progetto;

saranno aperte ai volontari e alla cittadinanza le porte delle varie struttureresidenziali presenti sul territorio al fine di renderle luoghi di incontro con la cittadinanza e di animazione della comunità.

Parole chiave: Casa mobile; Carovana

InformazioniCon Noi Dopo di Noi - via Pisa 14 - Cologno Monzese (MI)email: [email protected] – web: www.connoiedopodinoi.it

SALTA A TEMPO, CASA PER CASA

Progetto

Capofila: organizzazione di volontariato “Nuovo CERP” di Pieve Emanuele.

Partner: Comune di Pieve Emanuele; Direzione Didattica 3° Circolo di Rozzano(Snodo H); Circolo Didattico 1° di Pieve Emanuele (scuole: M.L. King, Gemelli, Rodari, Collodi); parrocchie: S. Alessandro, Maria Immacolata, S. Paolo Apostolo; AUSER di Pieve Emanuele; Associazione Sportiva “S. Alessandro”; cooperativa sociale “La Familiare” di Pieve Emanuele.

Territorio: sede dell'Associazione Nuovo CERP – Asl Milano 2, la strada, le piazze.Il territorio con gli spazi messi a disposizione dai partner (Parrocchie,Cooperativa La Familiare, AUSER). Comuni di Pieve Emanuele, Rozzano.

Ambito: persone con fragilità, giovani e anziani.

Promozione del volontariato giovanile tramite la creazione di un video cheracconti le esperienze presso le case di persone con disabilità ed anziane.

Finalità: offrire alle persone fragili la possibilità di trovare modi diversi di vivere la propria casa e il proprio territorio attraverso il confronto con le persone. Coinvolgere i giovani del territorio e stimolarli ad attività di volontariato con persone fragili. Stimolare processi positivi e riproducibiliche possano dare vita ad una cittadinanza sempre più attiva, recuperandoil senso dell'abitare il proprio luogo di vita attraverso relazioni solidali.

Destinatari: persone fragili, giovani, cittadinanza.

Azioni:

attivare un laboratorio di video-ripresa con i giovani coinvolti e i volontariin affiancamento;

accompagnare i giovani presso le abitazioni delle persone con disagio per creare una relazione di fiducia e istituire momenti di gruppo fra i giovani coinvolti e i volontari;

documentare il modo di abitare la casa dei soggetti con disagio, e successivamente "portarli" fuori per documentare anche il loro modo di abitare il territorio senza e con i giovani;

presentazione del medio-metraggio alla cittadinanza.

Parole chiave: ponti tra le case; incontri per un abitare comune

InformazioniNuovo CERP - via Binda (quartiere F. Coppi )email: [email protected] – web: http://www.nuovocerp.altervista.org/

LA MEMORIA DEL FUTURO,PONTI VERSO UN ABITARE COMUNE

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Organizzazioni non profit architrave per costruire reti di inclusione sociale

Cottino

IL SUPPORTO METODOLOGICO E TECNICO offerto alle organizzazione coin-volte nell’iniziativa “Far Casa (non a caso!)” si è sviluppato nellaforma di un percorso di accompagnamento alla progettazione e si

è concluso con la stesura di una “Lettera aperta” rivolta alle principa-li istituzioni ed enti interessati dal tema. I contenuti della “Lettera” so-no stati definiti in base ad una certa interpretazione del significato e delportato delle singole esperienze che vi sono state appena descritte.Obiettivo di queste note è dunque quello di chiarire i termini essenzialidi questa interpretazione (elaborata e condivisa dal gruppo tecnico ) e,in tal modo, di introdurre alla “Lettera aperta”, riportata nel capitolosuccessivo. Di che esperienze si tratta? Che cosa ci dicono? Uno dei

partecipanti al percorso di ac-compagnamento ha contribuito afar emergere un aspetto crucialedella questione quando, nell’am-bito dell’ultimo incontro dedica-to alla valutazione, ha posto ilproblema dei “criteri” che stava-

Il percorso di accompagnamento è servito a monitorare quanto le esperienze in atto stavano

contribuendo a mettere in luce e a offrire occasioni di riflessione

su alcune questioni chiave

‘‘

’’

di Paolo Cottino

Paolo Cottino, docente del Politecnico di Milano,spiega il percorso diaccompagnamento allaprogettazione e la genesidella “Lettera aperta”

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individuale/famigliare). Dall’altra a proporre una riformulazione del-le nozioni di rete e di inclusione, a partire dal senso e del ruolo che so-no chiamate ad assolvere all’interno dei processi e dei progetti che ab-biamo considerato. In particolare: il riferimento alla rete è utilizzatoper qualificare la volontà di costruire connessioni e occasioni di si-nergia tra ambiti e scale diverse del progetto, nell’ottica di massimiz-zare il valore delle competenze e delle risorse disponibili (che risulta-no invece depotenziate se confinate in uno spazio d’azione settoriale);il riferimento all’inclusione è stato impiegato per sostenere un ap-proccio rivolto a desettorializzare l’intervento sulle persone con fragi-lità (smettendo di trattarlo come un “mondo a parte”) e, invece, per ar-gomentare l’utilità di considerare le politiche (a tutte le politiche) nellaprospettiva dei diritti umani come primo importante passo verso unosviluppo all’insegna dell’uguaglianza e delle pari opportunità. Nel per-corso di accompagnamento questi spunti sollevati dalle esperienzeconcrete sono stati oggetto di elaborazione e hanno condotto a mette-re a fuoco (e a distinguere tra loro) due piste di lavoro che sembra op-portuno attrezzarsi per sviluppare l’ipotesi di partenza (il volontariatocome risorsa per nuove politiche dell’abitare)

La prima pista attiene l’individuazione delle modalità più efficaciattraverso cui arrivare a progettare e costruire “reti per l’inclusione”, os-sia partenariati che siano capaci e interessati ad affrontare questioniordinarie (tra quelle che alimentano le politiche per la città) secondoun approccio attento alle pari opportunità. L’ipotesi è che la concre-tezza dei processi abitativi possa offrire maggiori chance (rispetto ad al-tri ambiti di intervento) per lavorare in questa direzione, ma si rendenecessaria una riflessione operativa e metodologica in tal senso.

La seconda attiene un ragionamento sul senso e sulle modalitàcon cui impostare il lavoro volto ad “includere le reti locali”, ossia acoinvolgere all’interno dei percorsi progettuali le organizzazioni e isoggetti che già animano il territorio e che in quanto tali sono porta-tori di conoscenze e punti di vista locali. In particolare, senza volerdisconoscere l’importanza del loro contributo, è parso cruciale chie-dersi fino a che punto il radicamento territoriale (più che la compe-tenza di merito) sia da privilegiare nella costruzione di reti che sap-piano garantire la qualità dell’intervento. Si tratta dei principaliinterrogativi che sono emersi come risultato transitorio del percorsodi accompagnamento, rispetto ai quali riteniamo indispensabile con-

mo utilizzando: «Mi aspettavo che venissero utilizzati gli abituali cri-teri per misurare i risultati raggiunti da ciascun progetto, ma mi rendoconto che non state procedendo così…». Niente di più vero: siamoconvinti che non avrebbe senso trattare le diverse esperienze proget-tuali legate a “Far Casa” “come se si trattasse” di iniziative assunte al-l’interno di un quadro di certezze, come semplici occasioni di attua-zione di modelli di intervento noti per perseguire obiettivi chiaramentedefiniti, che in quanto tali possono essere facilmente “misurati”.

Al contrario, le iniziative di cui stiamo parlando hanno valore pro-prio in quanto azioni pionieristiche, occasioni di esplorazione di uncampo dai confini incerti, quello definito dalla relazione tra due ter-mini chiave: volontariato e abitare. Si tratta pertanto di interventi chevanno valutati in prima battuta nella loro capacità di generare inter-rogativi, di aprire piste di riflessione e di orientare il ragionamentocomune circa l’ipotesi originaria del progetto “Far Casa”, quella cheritiene potenzialmente fertile lavorare alla connessione tra il tema del-l’abitare e il tema del volontariato, perché l’uno possa essere di sup-porto all’altro. In particolare si tratta di esperienze che si rivelano ef-ficaci nella misura in cui aiutano a elaborare idee rispetto al modo incui l’intervento abitativo potrebbe beneficiare del contributo del vo-lontariato e come il volontariato potrebbe riconoscere nelle politicheper l’abitare un campo entro cui manifestare e implementare le pro-prie potenzialità. Il percorso di accompagnamento è servito a moni-torare quanto le esperienze in atto stavano contribuendo a mettere inluce e a offrire occasioni di riflessione su alcune questioni chiave.

In estrema sintesi il percorso – che nell’ipotesi originaria era statoimpostato come un “tavolo” di lavoro sostenuto metaforicamente daquattro “gambe” (le gambe del tavolo) corrispondenti a quattro parolechiave (volontariato, abitare, rete e inclusione) - ha condotto da unaparte a confermare e approfondire alcune particolari interpretazionidell’idea di abitare e dell’idea di volontariato che (per quanto semprepiù diffuse) rimangono tutt’altro che scontate. In particolare mi riferi-sco all’idea che il volontariato possa costituire una risorsa per l’attua-zione delle politiche pubbliche (anziché rappresentare solo il contral-tare dell’intervento istituzionale, specialmente laddove questo latita ofatica ad incidere) e che la casa possa essere considerata (e trattata) co-me un “servizio” di interesse collettivo o una “infrastruttura sociale”(anziché prima di tutto e semplicemente come una dotazione materiale

Cottino

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dossier settembre 2011

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La solidarietà migliora la qualità della vita delle persone fragili

Lettera aperta

C ASA È SINONIMO DI LUOGO DI VITA, di identità, base per losviluppo e la realizzazione personale e sociale. Casa è an-che luogo di raccolta e cura di emozioni, affetti e storie

private che possono aprirsi agli altri e dagli altri e con gli altriprovenire. Luogo “proprio”, sicuro e accogliente dove si ritor-na e da cui si parte. Luogo di maggior libertà ed espressione.

La casa è un luogo importante e significativo per ogni citta-dino, rappresentando anche il suo modo di abitare la città.

E se la casa (il dove) è luogo di vita, l’abitare (il come), di-venta un processo vitale.

“Avere una casa” e “sentirsi a casa” rappresentano un di-ritto ancora troppo spesso ne-gato, soprattutto alle personein condizioni di fragilità.

Affinché anche per loroabitare significhi sentirsi a ca-sa, poter disporre di un allog-gio è certamente una premes-

a cura di Ciessevi*

«Abitare è più che viveresignifica soprattutto 'prendersi cura di sé'

e del mondo circostante»S. Petrosino, Capovolgimenti

tinuare a lavorare e coinvolgere intelligenze e punti di vista plurimi. Qualche risposta, tuttavia, abbiamo cominciato a formularla, e la

proponiamo nell’intenzione di alimentare la riflessione collettiva eil dibattito pubblico. Per costruire “reti per l’inclusione” ci sembranecessario orientarsi ad alzare la posta in gioco associata ai proget-ti. Spesso infatti accade che, per gli obiettivi che si pongono e per itemi che scelgono di affrontare, i progetti di inclusione solitamenterimangono confinati all’interno di spazi marginali che non permet-tono e nemmeno stimolano l’apertura di campo e il coinvolgimen-to di soggetti riconducibili a settori di intervento diversi da quello“sociale” in senso stretto.

A tal fine, dunque, può essere strategico invertire l’approccio concui procedere alla definizione dei contenuti dei progetti: anziché co-struire risposte specifiche rivolte a soddisfare i bisogni delle perso-ne con fragilità, si tratta di selezionare temi di rilevanza e incidenzaallargata, capaci di catalizzare attenzioni, interessi e quindi anche ri-sorse, all’interno dei quali ricavare spazio per coltivare la prospetti-va dell’inclusione e affermare logiche progettuali a essa ispirata (ca-paci di tener conto delle persone con fragilità).

Oggi il tema dell’abitare ma domani potrebbe essere un altro te-ma: si tratta di “usare” le questioni che volta per volta si pongono al-l’attenzione pubblica per sviluppare l’approccio inclusivo. Sulla se-conda questione: non ci sembra che l’affidamento dei compiti (e dellagovernance), dei progetti a soggetti locali possa essere considerata(in assoluto) una condizione di efficacia degli interventi; anzi il ri-conoscimento del fatto che le competenze di merito spesso risiedo-no altrove, rende la scelta di ancoraggio del progetto alla dimensio-ne locale come un potenziale fattore di insuccesso.

Altra cosa è la preoccupazione di assicurare, tra i vari compiti delprogetto, (anche) la cura del suo radicamento territoriale: in quest’ot-tica far ricorso alle competenze dei soggetti che già animano e fannovivere il territorio può essere una condizione di efficienza e può es-sere un modo per moltiplicare le finalità conseguibili con il progettodi inclusione (per esempio agli obiettivi di coesione sociale).

La “Lettera aperta” presentata di seguito ha provato a riprenderequeste prime riflessioni e a tradurle in una proposta di cooperazionerivolta a interlocutori sicuramente sensibili, certamente competenti eforse (ci auguriamo) interessati a lavorare nella direzione indicata.

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Riportiamo qui di seguito il documento elaborato a conclusione dell’iniziativa“Far casa, (non a caso!)”. Un testo che si rivolge a istituzioni ed enti locali

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pagnamento, attivato dall’avviso di selezione di Ciessevi “Farcasa (non caso!)”, hanno portato ad evidenziare che la costru-zione di un territorio veramente abitabile per tutti, e dunque diforme dell’abitare inclusive e solidali, muove e si sviluppa apartire da due dimensioni, diverse ma tra loro strettamente col-legate. La dimensione immobiliare (un appartamento protetto,una comunità alloggio, un condominio solidale) che incrociaaspetti tecnici, amministrativi, procedurali e che richiede unacapacità di investimento economico spesso fuori portata.

La dimensione immateriale e più dinamica (la gestione im-mobiliare e sociale, il progetto di recupero delle autonomie, leazioni di re-inserimento, il coinvolgimento delle comunità lo-cali e lo sviluppo delle reti territoriali) che intercettano aspet-ti culturali, identitari, organizzativi e che richiedono una forteintegrazione tra i diversi settori di politiche mobilitati e tra i di-versi attori coinvolti. Un’integrazione che ha bisogno di tempo.

Con il volontariato…Nel tentativo di governare queste due diverse dimensioni, leorganizzazioni di volontariato, che si sono avvicinate al temadella casa per coloro che vivono in situazioni di fragilità e dimarginalità, hanno avviato nuovi progetti e processi di rispo-sta rendendosi immediatamente conto che, a fronte di unamaggiore specializzazione tecnica della loro azione, diventadecisivo trovare un sistema pubblico e privato disposto a col-laborare e ad interagire. “Far casa, (non a caso!)” vuole direnon improvvisarsi, ma anche non procedere da soli e quinditrovare una giusta collocazione all’interno della filiera che or-ganizza le politiche di trattamento e di risposta. In tutte leespressioni e le istanze emerse dai racconti delle organizza-zioni di volontariato che si sono avvicinate al “pianeta casa” simanifesta il bisogno di trovare interlocutori pubblici e privatidisposti a costruire le condizioni affinché ciascuno possa con-correre alla risposta.

Ma non da solo...Le storie interrotte, le partenze difficili, le lentezze e le com-plicazioni del procedere, le sensazioni di impotenza e di smar-

sa indispensabile, ma è altresì necessario trovare intorno uncontesto ed una comunità locale pronti ad accoglierle e ad in-cluderle.

Non è quindi solo un problema di quantità ma anche e so-prattutto di qualità dell’offerta abitativa.

Nuove domande, nuove esigenze, nuovi problemi, nuoveopportunità sollecitano il tradizionale campo delle politicheabitative, giustificando l’ampliamento delle competenze mo-bilitate e spingendo gli attori più sensibili a porsi in un’otticadi innovazione e sperimentazione.

La questione dell’abitare torna così con prepotenza nelleagende pubbliche.

Perché il volontariatoAffrontare e coinvolgersi nel tema dell’abitare delle persone incondizioni di fragilità è sicuramente occasione per favorire lanascita o rafforzare lo sviluppo della solidarietà, della cittadi-nanza attiva, della capacità di una comunità di creare relazio-ni solidali, affinando la capacità di cogliere e rispondere a bi-sogni veri sul territorio. Uno dei modi attraverso i qualisperimentare il bene comune per stare meglio tutti. Una delleespressioni di cui il volontariato è indiscusso protagonista epromotore. Non è un caso dunque che, in una situazione incui l’area della vulnerabilità e dell’esclusione abitativa tendea crescere, il Centro servizi per il volontariato nella provinciadi Milano abbia deciso di affiancare e sostenere le attività pro-gettuali di quelle organizzazioni che hanno scelto di concen-trarsi sul contributo che il volontariato può dare per renderepiù efficaci i percorsiabitativi delle persone e delle famiglieche vivono una condizione di particolare fragilità.

Si tratta di iniziative rivolte a verificare la possibilità d farconvergere risorse molteplici e di integrare situazioni diversenell’ottica di creare progetti e percorsi di inserimento abitati-vo capaci di incidere sulla qualità della vita delle persone.

Case e personeIl lavoro sul campo svolto dalle organizzazioni di volontariatoe le riflessioni sviluppate nell’ambito del percorso di accom-

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rimento, ma anche le potenzialità e le capacità che segnano icammini progettuali raccolti e sostenuti da Ciessevi - attraver-so il progetto “Far casa, (non a caso!)” - rappresentano un ri-chiamo alla responsabilità delle diverse istituzioni che inter-vengono nei territori ed in particolare di quelle che lavoranosul tema della casa e dell’abitare.

Solo una mossa decisa da parte delle istituzioni pubblichee private che agiscono per la crescita e lo sviluppo dell’areametropolitana milanese può essere in grado di risvegliare le co-munità e farle uscire dall’indifferenza dominata dalla curaesclusiva del proprio interesse e dalla spinta alla difesa del pro-prio mondo. Indifferenza e difesa che alimentano la paura del-l’altro e del diverso, vissuto come disturbo e minaccia.

Insieme per...Il percorso di affiancamento e di supporto alla progettazioneattivato da Ciessevi nei confronti delle realtà di volontariato hamesso in evidenza, accanto alle specificità di ciascuna opera-zione, la necessità di trovare una intesa larga attorno al temadel “Far casa”.

Fare casa come disegno sostenuto da una intenzione con-divisa da istituzioni differenti che riconoscono l’importanza didefinire un piano di intervento comune che sia animato dal-l’integrazione tra le diverse competenze, dalla valorizzazionedegli specifici contributi, dalla mobilitazione congiunta dellerisorse disponibili.

Un piano di intervento che, nell’accompagnare le speri-mentazioni territoriali qui e altrove intercettate, sia in grado dirisvegliare nelle comunità locali una cultura della solidarietàsociale e della sussidiarietà da intendere non come atteggia-mento riparatorio, sostitutivo e vicario rispetto all’interventodelle istituzioni pubbliche, ma come modello di azione orien-tato al prendersi cura insieme, al sentirsi parte responsabile,sostenuto dalla ricerca dei modi e delle forme attraverso le qua-li ciascuno possa fare la propria parte.

*scritto coordinato da Paolo Aliata e Silvia Cannonieri

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Non profit in prima fila per far rinascere la banlieue di Lione

Lezione francese

ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIA-TO e semplici cittadinihanno giocato un ruolo

chiave nella riqualificazione ur-bana del quartiere de La Duchè-re a Lione. Tanto che questaesperienza francese mostra comeil non profit e la cittadinanza at-tiva non soltanto hanno poten-zialità nel partecipare alla pro-grammazione delle politiche

abitative, ma possono rivelarsiinterlocutori cruciali della loroimplementazione e realizzazio-ne, per favorire l’inclusione so-ciale delle fasce più deboli esvantaggiate della popolazione.

Negli anni Cinquanta e Ses-santa, la Francia ha duvuto af-frontare una grave crisi dell’al-loggio, un rapporto squilibratofra l’offerta e la domanda dovu-to, fra le altre cause, alle distru-zioni causate dalla SecondaGuerra Mondiale. Lo Stato lan-ciò allora la costruzione deigrands ensembles, complessi ur-banistici di centinaia e migliaiadi appartamenti, sotto la formadi torri e blocchi ispirati ai ca-

Lorana Vincent, del Comune di Lione, spiega il progetto di ristrutturazione del quartiere La Duchère e il ruolo svolto da volontari e cittadini

di Sandrine Greffet*

*volontaria SVE presso Ciessevi.

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noni dell’architettura moderna.Questi complessi hanno permes-so di accogliere una popolazio-ne diversificata in alloggi mo-derni e confortevoli, con accessoall’acqua corrente, al riscalda-mento e ai servizi igienici. Ladecisione di costruire il quartie-re La Duchère risale al 1958. Incinque anni, le nuove tecnichedi industrializzazione hannopermesso di trasformare la terzacollina della città di Lione, finoa allora occupata da zone agrico-le e boschive, in un complessodi 5.300 alloggi costruiti rapida-mente a costo ridotto, grazie aelementi prefabbricati assembla-ti sul posto. La Duchère, che haaccolto i suoi primi abitanti nel1962, è un emblema di moderni-tà. Migliaia di famiglie arrivaro-no da tutti gli orizzonti e lì co-struiscono un’identità forte euna vita sociale molto dinamica.Ma il quartiere, composto perl’80% da alloggi di edilizia so-ciale, nonostante l’attenzionedelle istituzioni, si indebolìsempre di più. Dagli anni Ottan-ta e Novanta, infatti, La Duchè-re, divenne lo scenario di un

contesto con difficoltà socioeco-nomiche: disoccupazione eleva-ta, una qualità della vita semprepiù bassa e un alto tasso di ab-bandono scolastico. Nel 2001 idiversi attori pubblici - il Comu-ne di Lione, la Grand Lyon1, ildipartimento del Rodano, la Re-gione Rodano-Alpi, lo Stato,l’Agence nationale pour la Ré-novation Urbaine (ANRU)2,l’Agence Nationale pour la Co-hésion Sociale et l’Egalité desChances3 e l’Europa - decisero dicreare un partenariato per ilGrand Projet de Ville (GPV)4 conlo scopo di riqualificare e tra-sformare il quartiere, ormai de-gradato, in uno spazio più attrat-tivo, aperto e sicuro.

Il progetto si propone di in-tervenire in maniera trasversalesu tutte le problematiche urba-ne, sociali, economiche, e si fo-calizza su nove priorità: incorag-giare la diversità nell’abitare,migliorare il contesto di vita,adattare i servizi agli abitanti,migliorare e diversificare le fun-zione urbane, favorire il succes-so scolastico ed educativo, in-centivare l’attività economica e

l’accesso al lavoro, dinamizzareil quartiere grazie alla cultura ealla creazione artistica, miglio-rare la sicurezza, condividere ilprogetto e costruire il dialogocon gli abitanti. Concretamente,il progetto si realizza in diversefasi. Tra il 2003 e il 2010 sonostati distrutti 1.200 alloggi e nesono stati ricostruiti mille, ma èanche stato ristrutturato il patri-monio esistente sia pubblico cheprivato. Sono state create nuoveinfrastrutture e spazi pubblici(scuole, biblioteca, ginnasio,piazza), nuove zone commercia-li, strade e spazi per le aziende.

Nel 2010 sono stati demolitialtri 400 alloggi, mentre 600 so-no stati ricostruiti. L’offerta dicase si è diversificata con: ac-cesso alla proprietà, affitto so-ciale e privato. Il tasso delle ca-se popolari è sceso da 80 a 60per cento. E’ stata inoltre creatauna maison des fêtes et des fa-milles (centro ricreativo per lefamiglie) ed è stato rimesso anuovo un grande parco. Il GPVde La Duchère è arrivato oggi ametà percorso e ha sempre fattoin modo di coniugare la compo-nente urbana e quella sociale. Atale scopo, il progetto sostiene leassociazioni esistenti e la crea-zione di collettivi di abitanti nel-l’ottica di promuovere e suppor-tare una concertazione forte eregolare dei cittadini. LoranaVincent, funzionaria del Comu-ne di Lione e addetta allo Svi-

luppo sociale, spiega a Vdossieril progetto di ristrutturazione deLa Duchère e le azioni parteci-pate che hanno visti coinvolti icittadini, le associazioni e i col-lettivi di abitanti.

Con il percorso “Far Casa”, Ciesse-

vi e i suoi partner hanno messo

in luce il ruolo essenziale dei cit-

tadini e del volontariato per la

qualificazione delle politiche del-

l’abitare. Per noi , però, è inte-

ressante sapere cos’è successo in

Europa e nello specifico in Fran-

cia. Qual è stato il ruolo delle as-

sociazioni nel GPV de La Duchère?

È un argomento molto ampio,ma effettivamente la MissionLyon La Duchère5 si pone al cuo-re della problematica: come in-serire le componente sociale eculturale in uno dei maggioriprogetti francesi di riqualifica-zione urbana. Le associazioni so-no pienamente partner del GPVde La Duchère. Come premessa,è importante precisare che que-sto quartiere è, dal 2003, al cen-tro di una ristrutturazione vastae senza precedenti ed è una del-le più importanti di tutto il Pae-se. Sono stati demoliti 1.700 al-loggi e altrettanti ricostruiti, masi tratta anche di un profondocambiamento della sociologiadel quartiere, poiché da un 80%di case popolari, si è passato al55% e questo sicuramente ha ge-nerato un forte impatto sul tes-suto sociale. La gente sarà ob-

1 Grand Lyon è la Comunità Urbana di Lione composta da 58 comuni.2 L’ANRU è l’Agenzia Nazionale per la Ristrutturazione Urbana, approva e finanzia progetti

grazie a fondi pubblici e privati nel quadro del Programme National de Rénovation Urbaine(PNRU – Programma Nazionale di Ristrutturazione Urbana), che prevede entro il 2013 laristrutturazione di 490 quartieri in tutta la Francia, migliorando così il quadro di vita dipiù di quattro milioni di abitanti.

3 L’ACSE è l’Agenzia Nazionale per la Coesione Sociale e l’Uguaglianza delle Opportunitàe gestita dal Ministero. L’ACSE, che contribuisce alle azioni in favore delle persone conminori opportunità (inclusione sociale, professionale), è stata creata con la legge del 31marzo 2006 per promuovere l’uguaglianza delle opportunità e il rispetto delle diversità.

4 Il GPV, grande progetto per la città, è integrato al CUCS (Contratto Urbano di CoesioneSociale) e nasce allo scopo di migliorare le condizioni di vita degli abitanti. Ha attivatonumerose e importanti operazioni di ristrutturazione urbana per garantire la sostenibilitàdel progetto sociale ed economico previsto dal CUCS. 5 Mission Lyon La Duchère

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bligata ad andare via, perché illoro alloggio sarà distrutto, ma alcontempo si prevede l’arrivo dinuove popolazioni e questo sol-leva una questione molto forte,cioè quella del “vivere insieme”.Tutti gli abitanti e le associazio-ni sono toccati da questi cam-biamenti. Al livello nazionale,gli attori istituzionali coinvoltisono da una parte l’ANRU che sioccupa dell’hardware e dall’al-tra il CUCS - Contratto Urbanodi Coesione Sociale - che corri-sponde a quello che voi definitesoftware e il cui scopo è di lotta-re contro le esclusioni nei quar-tieri cosìddetti “svantaggiati”che in Francia chiamiamo iquartiers prioritaires de l’actionpublique (quartieri prioritari del-l’azione pubblica). Questo pro-gramma si focalizza più su com-ponente umana/sociale einterviene anche economica-mente per creare un vero proget-to territoriale che permetta di ri-durre le differenze con gli altriquartieri delle città. Questo è unpo’ per sommi capi il contestogenerale. I sociologi rimprovera-no a queste due agenzie di esse-re troppo disconnesse l’una dal-l’altra rispetto ad altriprogrammi europei, come i com-munity planning in Inghilterra,piani in cui coesistono interven-ti di ristrutturazione urbana e disviluppo sociale comunitario.Ma la forza del GPV de La Du-chère è di essere una squadra in-tegrata, tanto che il progetto so-ciale e il progetto urbano sono

gestiti dalla stessa equipe direttada un unico dirigente. Que-st’elemento è un punto di forzaperché lo sviluppo della “capa-citazione”, dell’empowerment, ilpotere di agire è guidato dallacomponente umana e sociale.Questa parte è strettamente con-nessa con la ristrutturazione del-l’hardware in corso a La Duchè-re che ha ovviamente generatoperplessità e interrogativi. Infat-ti, nel 2003, all’inizio dei lavorila scelta politica fu di non coin-volgere i residenti al programmadelle demolizioni, ma di confe-rire le decisioni esclusivamenteai progettisti. Solo in un secondomomento è praticata la concerta-zione delle scelte: per esempionell’organizzazione delle attivi-tà sociali e culturali mantenedouno spazio di partecipazione al-le scelte. Per quanto riguarda leassociazioni, infatti, abbiamouna ricca rete in questo quartie-re. Ci sono i militanti della pri-ma ora, cioè coloro che vivono aLa Duchère più o meno dalla suacreazione. Si tratta di personeappartenenti a una classe socia-le media e non in difficoltà chesi sono costituti in un collettivoassociativo. Non è una vera epropria organizzazione tanto chenon risponde pienamente allaforma giuridica definita dallalegge del 1901, ma è comunque“un’associazione di fatto” moltopotente e che ha una forte in-fluenza sul progetto in terminidi impulso e di modifica. A li-vello territoriale, esiste uno

stretto legame che permette ditenere in considerazione, nel mi-gliore modo possibile, il puntodi vista degli abitanti. Attual-mente siamo nel mezzo di unpercorso progettuale che ambi-sce a essere sostenibile, ma percostruire un quartiere realmentesostenibile non ci si può limita-re a guardare l’aspetto ambienta-le, occorre concentrarsi anche suquello sociale ed economico.

Abbiamo quindi lanciato unpercorso di consultazione congli abitanti, tuttora aperto, chie-dendo loro un parere su che co-sa occorrerebbe fare per creareuna La Duchère sostenibile e checosa desiderano per il loro quar-tiere. In questo percorso di con-certazione, tutte le associazionie i collettivi di abitanti costitui-scono degli autorevoli punti diriferimento. In questo quartiereabitano diecimila persone e cisono numerose associazioni,due grandi centri sociali, unaMJC6, una Maison de l’Enfance7

e anche un grande cinema gesti-to quasi interamente dal volon-tariato. Tuttavia la maggior partedelle strutture funziona con ope-ratori remunerati che si fannoportavoce degli abitanti; i centrisociali, per esempio, accompa-gnano i collettivi di abitanti deiblocchi di immobili destinati aessere demoliti attraverso per-corsi di sviluppo di comunità.

Queste persone, in posizione disvantaggio, hanno così la possi-bilità di interagire, adeguata-mente accompagnati e formati,con le istituzioni e i rappresen-tanti politici.

Ci può illustrare qualche esmpio

concreto di questi percorsi?

Recentemente i rappresen-tanti politici del Comune di Lio-ne si sono seduti attorno a un ta-volo con gli enti finanziatori - loStato, la Regione Rodano-Alpi, ilConsiglio Generale del Rodano el’ente gestore del parco immobi-liare sociale - e hanno stanziatouna somma importante per fi-nanziare il lavoro di una compa-gnia culturale8 che accompagne-rà per tre anni gli abitantidell’”immobile 230”, la cui de-molizione è prevista per il 2014.Si tratta di una situazione in cuigli inquilini subiscono la sceltaforzata di dover abbandonare lapropria casa, anche se sono affe-zionati al proprio quartiere e al-la propria abitazione. Alcuni vo-gliono restare, altri preferisconoandarsene, ma molti sono com-battuti e non sanno che soluzio-ne scegliere, se rimanere o parti-re. È una situazione quindimolto dolorosa e disorientante,soprattutto per le persone piùfragili. La compagnia viene trevolte alla settimana con piccoleroulotte vintage e propone labo-

6 Maison des Jeunes et de la Culture (casa dei giovani e della cultura)7 Maison de l’Enfance (casa dell’infanzia)8 Le FANAL, Théâtre et Pantins

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ratori di scrittura e piccoli spet-tacoli sotto il condominio. Co-struisce poco a poco il contattocon gli abitanti per guadagnarela loro fiducia e, grazie a questarelazione, accompagna i resi-denti a recuperare i ricordi del-la loro storia di vita nell’immo-bile “230”.

Una delle richieste è quella diportare un oggetto simbolico cherappresenti la loro vita in questoquartiere; un oggetto che li hasempre accompagnati e che li ac-compagnerà ancora nella loro vi-ta. Attraverso questo oggetto“transazionale”, gli abitanti ri-percorrono il percorso della lorovita che la compagnia culturalerestituirà attraverso una perfor-mance artistica. La compagnia haincontrato famiglie provenientida diverse comunità, dalla Tur-chia, all’Est Europa e, grazie al-l’ausilio di traduttori, ha scoper-to percorsi molto interessanti ericchi di persone che, prima diquesto progetto, non erano maistate coinvolte nella vita associa-tiva. Grazie al lavoro artistico,abbiamo realizzato un accompa-gnamento molto sensibile e sere-no a questa transizione che puòessere molto dolorosa, ma che faparte della ristrutturazione urba-na. Un altro esempio è il centrosociale che anima un gruppo didiscussione e di riflessione com-posto dai residenti dell’”immo-bile 230”.

Questo collettivo di abitantisi riunisce una volta a settima-na per dare voce al proprio ma-

lessere, alle proprie ansie e allasensazione di ambiguità altale-nante tra la voglia di rimanerein quartiere, quando le cosevanno bene, e quella di lasciar-lo quando tutto sembra andaremale. Per esempio, gli abitantihanno chiesto di visitare altriquartieri di Lione ed è statomesso a punto un programma divisite attraverso tutta la città,con la partecipazione di un’ani-matrice, affinché gli inquilinipossano provare a immaginareil proprio progetto di vita inun’altra casa e una nuova vitaaltrove.

Un altro esempio è un’azioneculturale di lungo termine ac-compagnata da etnologi e ani-mata dalla MJC, Casa per i Gio-vani e le Culture. Gli abitantidel quartiere, appartenenti acinquanta nazionalità diverse, sisono riuniti per parlare dei lorousi e rituali tradizionali come imatrimoni o i funerali. Così fa-cendo, sono arrivati a parlaredel quartiere, dei loro ricordi,della loro nostalgia e del loroprogetto di nuova vita.

Queste chiacchierate sonodiventate un vero strumentoculturale di accompagnamentoal cambiamento del quartiere.Il lavoro etnografico ha dato vi-ta a una raccolta di racconti e auna mostra visiva e sonora iti-nerante che attraverserà i diver-si quartieri di Lione e sarà espo-sta in un museo municipale.Tutti questi racconti sarannoinoltre archiviati negli Archives

Municipales de Lyon9 e questoè molto importante per tutti icittadini. Rispetto al ruolo chegli abitanti svolgono nelle tra-sformazioni del loro quartiere,attraverso forme di cittadinanzaattiva e volontariato, posso por-tare l’esempio del collettivodell’“immobile 230” che si chia-ma GTI (Groupe de Travail Inter-quartier) che sta organizzandoper il prossimo mese di ottobreun forum aperto a tutti gli abi-tanti de La Duchère il cui nomeè “Vivere e agire insieme a LaDuchère: quali prospettive futu-re?”. Si tratta di residenti cheorganizzano un evento per gliabitanti del quartiere, questo fo-rum di scambi e d’incontri sisvolgerà durante una settimanaintera e sarà realizzato in parte-nariato con tutte le associazio-ni. Sarà un momento di festache prevede anche intensiscambi di confronto sull’avve-nire del quartiere e su tuttoquello che i residenti si auspi-cano per il suo futuro.

Il collettivo è riuscito a coin-vogere i rappresentanti politici eil progettista incaricato della ri-strutturazione urbana; si tratteràdi una vera e propria tavola ro-tonda, un’occasione di confrontoe di riflessione con tutti gli abi-tanti per progettare insieme il fu-turo. All’origine di quest’eventoc’è un reale dinamismo della cit-tadinanza che è riuscita a riuni-re attorno all’iniziativa un nu-

mero impressionante di associa-zioni. Tra alcune richieste avan-zate c’è l’aumento della presen-za di attività commerciali diquartiere. Una proposta che siscontra poi nei fatti perchè i re-sidenti preferiscono andare alsupermercato situato qualchechilometro più lontano, ma me-no caro, contribuendo così inprima persona alla morte dei ne-gozi locali. Un’altra istanza stànel rinnovare le scuole per ren-derle più attrattive. Ma anche inquesto caso tutto poi passa nellemani dei cittadini che, invece diiscrivere i figli negli istituti pub-blici del quartiere, preferisconole scuole private più lontaneperchè hanno una reputazionemigliore. Questo forum saràquindi anche l’occasione per in-terrogarsi sulle responsabilità diciascuno.

Quindi sono le associazioni che

hanno stimolato e sostenuto la

partecipazione dei cittadini a

questo incontro?

Esatto. Soprattutto le associa-zione basate su volontari, men-tre il contesto è fortemente ca-ratterizzato da associazioni diquartiere che funzionano grazieagli operatori remunerati. Il pro-getto alla Duchère, infatti, pre-vede dei finanziamenti per le as-sociazioni di quartiere. Ed ègrazie a queste risorse che moltedi loro hanno la possibilità diavere operatori a tempo pieno

9 Archivi municipali di Lione

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remunerati che giocano un ruoloimportante nello sviluppo delleattività. Ma quello che è vera-mente interessante di questo ap-puntamentoi è che si tratta diun’iniziativa degli abitanti: sonoloro ad essere i promotori e iprotagonisti dell’evento. Questoforum è stato possibile grazie aun finanziamento che si chiamail “Fondo per le iniziative locali.È un piccolo dispositivo (ognicontributo non supera i 1.500euro) la cui attribuzione è vali-data da un rappresentante stata-le e uno del Comune. Non sonograndi contributi, ma permetto-no a gruppi informali di cittadi-ni, che non fanno per forza par-te di un’associazione strutturata,di sviluppare qualsiasi progettoutile all’interesse generale delquartiere.

Quando il progetto è stato con-

cepito le associazioni sono state

coinvolte sin dall’inizio? Questo

aspetto ci interessa molto poiché

ci stiamo interrogando su come

le istituzioni che si occupano di

politiche per la casa, general-

mente distanti da quelle sociali,

possono favorire il coinvolgi-

mento del volontariato in questi

progetti e su come le associazio-

ni e i cittadini possano essere

una risorsa per il design di que-

ste politiche. È quindi molto im-

portante per noi conoscere le vo-

stre esperienze.

Sono assolutamente d’accor-do su quello che dite ma, per es-sere onesta, è importante preci-

sare che all’inizio del progetto,la scelta politica è stata di nonavviare un confronto con gli abi-tanti sul progetto urbano. Laconcertazione è arrivata dopo,con la creazione di un centro ri-creativo per le famiglie e per laristrutturazione di un parco ilcui costo raggiungeva più di tremilioni di euro e per il quale ildibattito tra le parti è stato fon-damentale. Le demolizioni deglistabili invece sono state decisesenza la partecipazione degli in-quilini e questo ha generato pa-recchie critiche da parte delleassociazioni e dei collettivi diabitanti. Ecco perché la demoli-zione dell’“immobile 260” è sta-to fortemente contestata sin dal-l’inizio. Oggi, dopo sette anni dipercorso, la situazione si è evo-luta, sebbene ci siano stati mo-menti difficili. Abbiamo co-munque cercato di mantenereaperto il dialogo con i residenti edi favorire la loro vita associati-va affinché il progetto possa con-tinuare a svilupparsi.

All’inizio ci sono state delleforti contestazioni legate, nellospecifico, a un immobile in cuiinquilini stavano piuttosto bene,ma che strutturalmente ostruivacompletamente il passaggio diuna strada centrale prevista dal-la nuova configurazione delquartiere. Nonostante le richie-ste di non demolire questo edifi-cio, non è stata possibile alcunatrattativa.

La scelta politica è stata dipensare all’interesse generale

del quartiere piuttosto che agliabitanti di un unico stabile. Unaspetto particolarmente interes-sante del nostro percorso è la co-stituzione di un “Comité de Sui-vi Participatif ” (Comitato dimonitoraggio partecipativo), at-tivo già da alcuni anni e compo-sto da rappresentati della socie-tà civile, figure tecniche epolitici.

Questo comitato segue e di-scute in tempo reale l’evoluzio-ne del progetto. E’ composto daun rappresentante dei commer-cianti di quartiere, di diversi co-mitati di inquilini delle case po-polari, ma anche di condominiprivati, da un rappresentante delcollettivo GTI, da volontari, daun rappresentante di ogni strut-tura socioculturale del quartieree un esponente delle struttureculturali. L’obiettivo è di far cir-colare le informazioni, affinchéogni rappresentante possa tenereinformato il suo gruppo di rife-rimento sugli sviluppi e sullenuove decisioni in corso d’ope-ra. Con tale procedura si co-struisce la concertazione.

Quindi la società civile e il vo-

lontariato intervengono sia nel-

la fase di concertazione sia in

quella di gestione delle azioni?

Sì, esatto. Ma è importante ri-cordare che, sebbene si tratti diassociazioni per la maggior par-te composte da operatori remu-nerati che organizzano questeconcertazioni, ogni associazioneha un consiglio direttivo compo-

sto da volontari. Vi faccio l’esem-pio di un altroprogetto interes-sante: da tre anni si è costituitoun gruppo di abitanti che, graziea laboratori-conferenze, ha se-guito una formazione sull’arteurbana insieme a tecnici, rappre-sentanti politici ed esperti. Tuttequeste figure si sono trovatequindi ad avere lo stesso livellodi formazione. In seguito a unciclo di incontri, è stato costitui-to un gruppo di lavoro che, sup-portato dalla Casa delle gioventùe della cultura MJC, ha stilato unelenco di impegni collettivi conl’obiettivo di installare un’operad’arte nello spazio pubblico delfuturo quartiere. Questo generedi attività ha consentito la crea-zione di legami tra la riqualifica-zione urbana del quartiere e le at-tività artistiche in cui gli abitantipossono partecipare facendosianche carico di alcune azioni.

I residenti del La Duchèrehanno così potuto partecipare inprima persona all’iniziativa, maanche essere informati e formatisulle esigenze e i vincoli di que-sti tipi di progetto: regole, obbli-ghi legati ad esempio alla desti-nazione d’uso di uno spazio ealle regole perl’installazione diun’opera d’arte in uno spaziopubblico. Questo ha consentitoai ciitadini di avere un’idea piùprecisa di come funzioni l’azio-ne pubblica attraverso un per-corso partecipato.

Questo mostra come gli abi-tanti possano essere parte attivadi un percorso e partecipare.

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La riflessione

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dossier settembre 2011

Sicuramente è più forte in cit-tà. Anche se c’è da rimarcare chein Italia il territorio è molto va-rio. Per cui ci sono zone dove èmolto diffusa la proprietà e zonein cui gli affitti sono bassi. Sen-za trascurare il fatto che ci sonoregioni più a vocazione turistica,dove anche nei territori menourbanizzati i costi per la casa so-no molto alti.

Cosa intende invece con modelli

alternativi dell’abitare, ci può

spiegare meglio?

Ci sono modi di abitare diffe-renti: c’è il cosiddetto abitaretemporaneo, che contraddistin-gue le persone che si trovano atransitare in un territorio per in-teressi professionali; oppure cisono i casi di famiglie separate,dove uno dei due coniugi deveabbandonare l’abitazione. E an-cora: ci sono, per esempio, le fa-miglie solidali, cioè quei nucleiche decidono di condividere ipropri spazi per poter ospitaresoggetti in situazioni di emer-genza: il bambino in affido, ilprofugo, la ragazza madre, l’exdetenuto. Questo è un modellodi un abitare solidale che non silimita al solo appartamento sin-golo, ma introduce un concettodi abitare in condivisione. Sullastessa lunghezza d’onda ci sonoi condomini solidali, cioè queiluoghi che favoriscono l’incon-tro e l’aggregazione, utilizzati siadagli inquilini; sia dalle associa-zioni presenti sul quel territorioin modo da generare relazioni

Fondazione Housing Sociale:il volontario? E’ un partnercruciale per gli enti pubblici

La riflessione

«C’È UN PROBLEMA dellepolitiche abitative.Negarlo sarebbe co-

me non voler guardare in facciaalla realtà». Invece GiordanaFerri, docente di design al Poli-tecnico di Milano e responsabiledell’area progettazione e svilup-po della Fondazione HousingSociale, vuole entrare nel vivodel problema e disegnare la boz-za di una possibile soluzione.

Prima, però, ci tiene a evi-denziare una distinzione che ri-tiene un architrave del suo ra-gionamento. «Se, dal un lato,esistono numerose iniziative,promosse dagli enti pubblici,per affrontare il problema del di-sagio abitativo; dall’altro invecece ne sono meno per quanto ri-guarda la sperimentazione dimodelli alternativi». Spiega:«Cioè di modelli abitativi che,oltre alla risposta al disagio cheè sacrosanta e indispensabile,iniziano a riflettere e a speri-mentare paradigmi che amplinola possibilità di risposta ai biso-gni che sono sempre più vari, so-prattutto riguardo a persone chevivono all’interno della casa in

Giordana Ferri, dellaFondazione HousingSociale, ritiene che le organizzazioni sianouna risorsa indispensabile per le politiche dell’abitare

modo diverso. Questo è unosforzo ma è anche una grossa op-portunità, perché la possibilitàdi offrire soluzioni differentiamplia la possibilità d’interven-to e di risposta».

Quali sono sulla base della sua

esperienza i disagi abitativi più

diffusi a Milano?

Come Fondazione ci occupia-mo di quel disagio abitativo checolpisce una fascia intermediadella popolazione, quella che pa-ga un prezzo più salato alla crisieconomica, quella che corre ilmaggiore rischio di finire sullasoglia della povertà. Quindi i gio-vani, gli anziani, le famiglie mo-noreddito, le baby coppie. Ossiatutti coloro che non hanno acces-so all’edilizia residenziale pub-blica, perché non hanno i requi-siti, non vivono in una situazionedi disagio estremo. Ma si tratta dipersone che non sono nemmenonelle condizioni economiche perpoter affrontare autonomamente,attraverso le offerte del mercatoimmobiliare, il problema dellacasa. Dunque la perdita del lavo-ro, così come il precariato o unasussistenza garantita solo da unapensione minima, sono un vin-colo che nega la possibilità di co-stituire una famiglia, o di potersviluppare un percorso di vita di-gnitoso, o di potersi assicurareuna vecchiaia senza patemi.

Questo problema è più evidente

nella metropoli, oppure nei pic-

coli centri ?

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La riflessione

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dossier settembre 2011

importanti; sia per la comunitàinsediata che per il quartiere.

Dunque il volontariato e l’asso-

ciazionismo sono alla base

dell’housing sociale

Certamente, perché gli inqui-lini che andiamo a selezionare, lecomunità che noi immaginiamo,sono tutti chiamati non solo adabitare ma anche a partecipare.Di sicuro ognuno con le possibi-lità e le risorse a disposizione, matutti votati alla vita comunitaria.La struttura associativa, attraver-so la quale si mettono in relazio-ne gli inquilini e il volontariato,sono due elementi importanti permantenere sana la comunità e,quindi, l’intervento abitativo cheandiamo a realizzare. Ecco per-ché noi riteniamo che il volonta-riato sia una risorsa.

Secondo lei dunque il volonta-

riato è una risorsa, ma è suffi-

cientemente valorizzato anche

dalle istituzioni pubbliche, dagli

enti locali, da chi si occupa di

politiche abitative?

Ultimamente tutti gli esempivirtuosi presenti sul nostro terri-torio dimostrano che la collabo-razione ha un ruolo preponde-rante. Soprattutto perché si trattadi una collaborazione organizza-ta e non estemporanea. E’ chiaroche sono scelte fatte con la con-sapevolezza di prevedere un per-corso che può riuscire o non riu-scire. Quindi mi rendo conto cheper un’amministrazione pubbli-ca, in un momento di crisi di ri-

sorse, è più difficile mettere inatto delle sperimentazioni. Co-munque, proprio perché siamoin un momento di crisi, valoriz-zare le risorse umane presentisul territorio diventa fondamen-tale anche per ottimizzare i fondia disposizione. L’associazioni-smo e il non profit sono risorsesociali che consentono di predi-sporre degli interventi con unaqualità più alta.

Gli enti locali chiedono al volon-

tariato più una consulenza, op-

pure un impegno diretto nella

redazione delle politiche abita-

tive e nei progetti di housing

sociale?

A Milano questo duplice ruo-lo del volontariato si è realizza-to. Al punto che, quando l’entepubblico ha un rapporto conso-lidato con le realtà associativedel proprio territorio, nella pro-gettazione delle politiche socia-li c’è un pieno coinvolgimentodel non profit. In altri casi, in-vece, il ricorso al volontariatoarriva solo quando c’è un’emer-genza e bisogna correre ai ripari.

C’è però un altro elementoche merita di essere messo in ri-lievo: non va infatti dimentica-to che in questi ultimi anni an-che il volontariato ha saputoevolversi sia dal punto di vistaorganizzativo, sia nell’ottimiz-zazione delle risorse. Tanto cheper gli enti locali è diventatosempre di più un interlocutoreautorevole. Nello specifico, pernoi di Fondazione Housing So-

ciale, il volontariato è un par-tner valido e importante, con ilquale ci confrontiamo e da cuinascono delle idee.

Questa collaborazione ha, secon-

do lei, rafforzato la coesione so-

ciale?

Sicuramente quando si atti-vano queste alleanze c’è un ele-mento che rafforza la coesionesociale.

Ci sono progetti in questo mo-

mento promossi dalla vostra

Fondazione che vanno in questa

direzione?

Il volontariato sta alla basedei nostri progetti. Da sempre.Quello che noi chiediamo agliinquilini è proprio quello di co-stituirsi in associazione per faredel volontariato all’interno deglistabili in cui andranna ad abita-re. Lo spirito del volontariato èconsiderato imprescindibile peri nostri interventi. Nei due pro-getti di housing sociale di viaCenni e di Figino a Milano ab-biamo previsto dei servizi inte-grativi per l’abitare pensati pro-prio per aumentare il grado disocializzazione all’interno dellacomunità, stimolando le perso-ne a organizzarsi e a collaboraretra loro per trovare soluzioni aproblemi legati alla vita quoti-diana (dalla cura dei bambini al-l’acquisto del cibo) spesso atti-vando modelli economicialternativi, per esempio le Ban-che del Tempo, o i Gruppi diAcquisto Solidale. Oltre a servi-

zi residenziali costituiti dall’as-segnazione di alloggi a soggettidel Terzo settore, affinché li uti-lizzino per ospitare persone conbisogni particolari, in condizio-ne di svantaggio e di autonomiaridotta, svolgendo un’esplicita ericonosciuta funzione socio-as-sistenziale. Questi servizi saran-no gestiti da organizzazioni spe-cializzate nei particolari bisogni,che assicureranno l’attuazionedi programmi di accompagna-mento. L’assegnazione dei relati-vi alloggi avverrà con un certogrado di flessibilità in modo darispondere meglio al tipo di bi-sogno specifico e all’andamentodella comunità.

A cura di Giordana FerriIl gestore socialeAmministrare gli immobili e gestire la comunità nei progetti di housing socialeAltra Economia Soc. Coop.Fondazione Housing Sociale, 2011

A cura di Giordana Ferri, Luciana Pacucci, Elisabetta PeroNuove forme per l’abitare socialeCatalogo ragionato del ConcorsoInternazionale di Progettazione di Housing Sociale per le aree di via Cenni e Figino a MilanoAltra Economia Soc. Coop.Fondazione Housing Sociale, 2011

Paolo CottinoAttivare risorse nelle periferie.Guida alla promozione di interventi nei quartieri difficilidi alcune città italianeFranco Angeli 2009

webwww.fhs.it

GRANDANGOLO

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Il Pirellone

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dossier settembre 2011

anno fa avevano possibilità di ac-quistare sul libero mercato, ma cheoggi – a fronte di un mutato conte-sto – sono in difficoltà e quindichiedono alle istituzioni un aiuto».Dall’osservatorio della Regione sievidenzia che “i problemi dell’abi-tare non sono più limitati ad alcunecategorie sociali notoriamente indifficoltà. Ad allargare le fila delladomanda sociale ci sono immigra-ti, lavoratori temporanei, giovanicoppie, genitori separati, nuclei fa-miliari monoparentali, per citaresolo alcuni dei segmenti più recen-ti della domanda abitativa. Esisto-no inoltre tipologie di richiesta“temporanea” che, a differenza diquella “strutturale” di persone e fa-miglie “strutturalmente” in diffi-coltà, riguarda tutte quelle situazio-ni per le quali il bisogno ètemporaneo, ma comunque signifi-cativo: studenti universitari fuorisede, ricercatori, parenti di degentiospedalieri...» Questa evoluzionedel contesto spiega perché «il pro-blema delle politiche per l’abitareoggi consista nell’orientare le poli-tiche del passato verso le nuove esi-genze descritte».

Quali soluzioni Regione Lombardia,

in particolare l’Assessorato regiona-

le alla Casa, pensa di mettere in at-

to per rispondere a queste nuove

criticità?

Anzitutto con le sperimentatemisure di Welfare: buono per l’ac-quisto della prima casa per giovanicoppie e fondo sostegno affitti. Manon si può nascondere che questistrumenti, che hanno sempre de-

terminato un effetto positivo, po-trebbero oggi richiedere una rimo-dulazione, anche in relazione allacontrazione economica che il no-stro Paese sta affrontando: la decur-tazione delle risorse in nostro pos-sesso comporta una revisione dellepolitiche per continuare a soddisfa-re lo stesso numero di beneficiari.

Come avete affrontato questo pro-

blema?

Cercando di conoscere il muta-to contesto sociale nel quale ci tro-viamo ad operare. A partire dai pri-mi mesi del 2011 l’AssessoreZambetti è stato impegnato in nu-merose iniziative istituzionali sulterritorio lombardo, con lo scopo diascoltare le istanze, le esigenze, leproblematiche locali. Abbiamo rea-lizzato un ciclo d’incontri nelle pro-vince, coinvolgendo i soggetti por-tatori d’interesse appartenenti alleistituzioni, ma anche al mondo eco-nomico, ecclesiastico, della coope-razione, fondazioni, sindacati, Aler– Aziende lombarde di edilizia re-sidenziale pubblica - e Terzo Setto-re. Lo scopo non è stato solo ascol-tare, ma anche condividere le sceltee il percorso da avviare, in un’otti-ca di ripensamento degli interven-ti, sopra descritta. Nelle intenzioni,il percorso culminerà in quello chechiamiamo “Patto regionale per laCasa”, che costituirà lo strumentodi lavoro per individuare le strate-gie e le linee programmatiche, at-traverso il confronto di tutti i sog-getti che parteciperanno a questotavolo di confronto.

Quali sono state e quali saranno le

La Regione disegna il futuro:con il non profit costruiremosocialità e non solo alloggi

Il Pirellone

«IL NODO CENTRALE delle po-litiche per l’abitare è indi-viduare nuove misure e

nuovi interventi per affrontare e ri-spondere adeguatamente ad esi-genze mutate rispetto al passato esempre più diversificate». Tomma-so Mazzei, Dirigente della StrutturaComunicazione, Programmazionee Rapporti Territoriali della Dire-zione Casa di Regione Lombardia,spiega che «le trasformazioni di

questi ultimi anni, di tipo demo-grafico, economico, legate all’anda-mento del mercato immobiliare,evidenziano una crescita esponen-ziale delle difficoltà da parte dellefamiglie, anche del ceto medio, adaccedere al libero mercato dell’abi-tazione». Recenti analisi sottolinea-no un incremento del problemaabitativo sia in termini quantitativi,che qualitativi. Osserva Mazzei: «Ilnumero di persone e di famiglieche in questo momento si trovanoin condizioni di disagio abitativo èaumentato, nuove classi sociali sitrovano a sperimentare le difficoltàlegate all’abitare. L’Assessore regio-nale alla Casa, Domenico Zambet-ti, parla di una fascia “grigia” com-posta da persone che fino a qualche

Tommaso Mazzei, dirigentedell’assessorato alla Casa della Regione Lombardia,anticipa le tappe per la realizzazione del “Patto per la casa”

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Il Pirellone

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tappe di questo percorso?

La prima è iniziata a fine lugliocon un incontro tra l’AssessoreZambetti e i soggetti a vario titoloimpegnati nel territorio sul temaCasa – istituzioni, enti, società edassociazioni lombarde - per “un ta-volo propedeutico” a quello istitu-zionale che partirà invece a settem-bre. La proposta di un “Patto per laCasa”, già presente nel Programmadel Presidente Formigoni, è confer-mata nel Programma Regionale diSviluppo di Regione Lombardia,approvato dal Consiglio regionalelo scorso autunno. L'obiettivo èchiaramente rispondere alle esi-genze abitative dei cittadini, coin-volgendo soggetti, vecchi e nuovi,affinché, nel rispetto delle compe-tenze di ciascuno, si possa fornireuna risposta adeguata alla doman-da abitativa crescente. Il percorso,che mira alla costruzione di un Do-cumento strategico di riforma, si ar-ticolerà in due ambiti di confronto.Il primo è il “Tavolo del Patto”, co-stituito dai soggetti che rappresen-tano gli attori delle future politichedell'abitare; il secondo, l’arena deitavoli tecnici/tematici che sarannochiamati ad approfondire le linee diazione validate dal Tavolo del Patto.

Quali sono i principi ispiratori di que-

sta svolta di Regione Lombardia?

Gli interventi non saranno più li-mitati alla sola costruzione di im-mobili, ma bisognerà aumentare laconsiderazione della componentesociale. Diventare quindi costrutto-ri di socialità e non solo di case, in-vito, questo, più volte rivolto alle

Aler dall’Assessore Zambetti. Delrsto nel Programma Regionale diSviluppo, precedentemente citato,si parla di una nuova “qualità del-l’abitare”. In sostanza non basta piùcostruire degli immobili per dareuna qualità dell’abitare soddisfa-cente, ma servono una serie di ser-vizi e di attività di accompagna-mento per le fasce sociali più indifficoltà, affinché ci sia una quali-tà dell’abitare e del vivere social-mente positiva.

Questo momento di transizione può

essere anche un’opportunità per il

volontariato di inserirsi all’interno

di una fase che va nella direzione di

miglioramento della qualità della

vita in particolare per i cittadini più

disagiati?

Assolutamente si. Anche per-ché si tratta di una fase nuova, dievoluzione che, oltre a consenti-re al volontariato di inserirsi, ri-chiede uno sforzo in più per atti-varsi anche su queste tematiche,soprattutto per quelle organizza-zioni che finora non sono riusci-te a interloquire in modo signifi-cativo con le istituzioni. L’idea èdi lavorare però non solo su sin-goli progetti ma su una rete chearrivi a sistematizzare le azioni.Il peso del volontariato è a mioavviso direttamente proporziona-le alla capacità di coordinamen-to tra le diverse forze, in sintoniacon le Istituzioni, allo scopo divalorizzare le diverse capacità edesperienze, senza disperdere i ri-sultati delle varie iniziative postein essere.

Quando progettate interventi quan-

to dialogo e scambio c’é tra com-

mittenza pubblica o privata, studi di

progettazione della casa e chi lavo-

ra nell’ambito della coesione socia-

le? E’ un dialogo facile, o difficile?

Il rapporto tra queste due com-ponenti è fondamentale. Questamediazione è già stata sperimenta-ta nei “Contratti di quartiere”, stru-menti di programmazione che pre-vedono un intervento incrociato traasse urbanistico, interventi sulla si-curezza, sulla socialità e sul terzia-rio. Ci sono esempi di programmidi laboratori sociali in alcuni quar-tieri di Milano, per accompagnaregli inquilini duranti le fasi di riqua-lificazione degli immobili che pre-vedono la mobilità degli abitanti,interventi che vedono il volontaria-to come coprotagonista. Inoltre Re-gione Lombardia, in quanto ente digoverno, vuole fare rete tra i sogget-ti del Terzo settore. Un modus ope-randi che però dovrebbe perdere ilcarattere della straordinarietà perdiventare un presidio permanente,con una funzione di accompagna-mento per i cittadini. Un’altra espe-rienza su cui abbiamo lavorato ri-guarda invece un intervento diriqualificazione in una zona critica– sotto il profilo della sicurezza - diMilano. Intendiamo realizzare an-che in questo intervento quello cheviene definito il mix sociale, di re-cente disciplinato dalle modificheal Regolamento Regionale 1/2004,in tema di assegnazione e gestionedegli alloggi di edilizia popolarepubblica. Un mix che ha il compi-to di mettere insieme categorie di

persone di diverse fasce sociali. An-che per questa azione abbiamo pre-visto dei momenti di approccio al-la vita in comune che sarannogestiti da associazioni.

Secondo lei quanto è importante

nelle politiche dell’abitare il contri-

buto del volontariato?

La percezione è che tra mondodel volontariato e Regione Lom-bardia nasca sui temi della casauna collaborazione per fare in mo-do che gli interventi sociali possa-no ottenere risultati importanti,sempre nell’ottica di un miglioreservizio al cittadino. Così come iprogetti di “Far Casa”, che abbia-mo avuto modo di apprezzare nelconvegno dello scorso autunno,hanno dimostrato quanto il volon-tariato può realizzare, noi abbiamol’ambizione di ottenere risultatisempre migliori, lavorando insie-me. Anche per questo motivo ab-biamo fortemente voluto la rappre-sentanza del volontariato nella fasedi consultazione del “Patto per laCasa” e nei diversi tavoli tematicidi lavoro che saranno attivati a par-tire da settembre. Riporto il desi-derio dell’Assessore Zambetti, direalizzare tutti questi progetti conil fattivo contributo di chi già vivenella grande realtà dell’ediliziapubblica e di chi invece spera dipotervi accedere, di chi ha bisognodi un aiuto per realizzare un sogno,di chi infine ha necessità di una ca-sa per dare vita ad una famiglia.Accompagnare le persone in que-sto percorso è l’obiettivo delle po-litiche regionali.

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Aler

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dossier settembre 2011

Dunque di fronte ad una se-conda ondata di bisogno di allog-gi sociali, «le possibilità oggettivedi un intervento sul territorio so-no mortificate dalla questioneeconomica. In più si aggiunge unpatrimonio ormai centenario acui bisogna far fronte in terminidi manutenzione, non solo tecni-ca ma anche di rinnovamento de-gli inquilini, che spesso sono an-ziani, o persone sole, con unamonocoltura sociale».

Quindi le due risposte di Alersulle politiche abitative «sono lavalorizzazione del patrimonio intermini edilizi ma anche socia-li». Una questione che «ha sem-pre pesato tantissimo nelle poli-tiche abitative è stata questamonocoltura sociale che ha crea-to una serie di problemi in ter-mini di “desertificazione” delcontesto, cioè una condizioneche non funziona nell’ambito ur-bano dello scambio, della reci-procità, delle relazioni. Averequesto patrimonio un po’ neutrodal punto di vista architettonicoedilizio, ha creato una serie diproblemi ed è su questo nodoche Aler deve lavorare nei pros-simi anni. E qui entriamo nelproblema dell’abitare».

Preso atto che esiste un proble-

ma dell’abitare, quanto le vostre

risposte prendono in considera-

zione anche la cosiddetta infra-

struttura sociale?

Nel territorio di Milano e del-l’hinterland c’è il problema dellagestione del patrimonio quindi

di un territorio saturo di residen-ze con una serie di immobili sot-to-utilizzati. Dico sottoutilizzatiperché spesso alloggi con metra-ture importanti (80-100 mq)spesso sono abitati da una solapersona con scarse possibilità digestire spazi eccessivi per le pro-prie necessità. Inoltre questa si-tuazione diventa una condizioneomologante.

A questo riguardo potrebbe farci

qualche esempio?

Prendiamo il caso di Vimodro-ne, dove Aler ha circa 170 alloggidegli anni ’70, con una superficiedi 80-100 metri quadri, che sonoabitati per l’80-90% da una solapersona, quindi senza rapporti direlazione con altre condizioni so-ciali come nuclei familiari piùgiovani, single, studenti, o altrecategorie che possano integrarequest’unico modello sociale. Lestrategie per la valorizzazione diAler passano attraverso politicheche peraltro sono ancora da svi-luppare, come per esempio l’abi-tare temporaneo, che è caratteri-stico degli studenti o deilavoratori a tempo. Si tratta, quin-di, di coniugare le nostre esigenzecon quelli di altri soggetti e confunzioni di eccellenza, o strategi-che per il territorio, che hanno bi-sogno di dare una risposta a chicerca lavoro e proviene da altriterritori e che a Milano non trovauna casa soprattutto a prezzi ac-cessibili.

Per favorire questa politica è ne-

Il Terzo settore favorisceil dialogo, le buone pratichee la coesione sociale

Aler

«IL PASSATO DI ALER è carat-terizzato da un’attivitàmassiccia nella costru-

zione di case. Dopotutto, dal do-poguerra in poi e fino agli anni’70–’80, c’è stata una grossa famedi alloggi. Essendo la richiestamolto forte, la risposta è stata ditipo quantitativo più che qualita-tivo. Quartieri di Milano comeGratosoglio, Gallaratese, Missa-glia ne sono un esempio. Erano

una soluzione all’enorme do-manda di casa dovuta alla forteimmigrazione avvenuta a Milanonell’immediato dopoguerra».

Leonardo Cascitelli, urbanista,docente al Politecnico di Milanoe direttore dell’area tecnica emarketing territoriale dell’Aler,guarda al passato per ragionaresul presente e provare a immagi-nare il futuro delle politiche abi-tative. «Oggi non è più così. Sia-mo in un periodo in cui Aler haun forte problema di gestione delpatrimonio, ma con scarse possi-bilità sia in termini economici,sia in termini di utilizzo del ter-ritorio per poter fare degli inter-venti significativi dal punto di vi-sta della quantità».

Leonardo Cascitelli, manager dell’Aler, spiega che il volontariato ha un ruolo di congiunzione tra ente pubblico e realtàdel Terzo settore

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Aler

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dossier settembre 2011

cessario creare delle alleanze tra

vari enti del territorio.

Aler può svolgere un ruoloimportante che è quello di cal-mieramento dei prezzi a fronte diun patrimonio importante che ge-stisce non solo in proprio, ma an-che per conto di altri enti pubbli-ci. Come, per esempio, ilpatrimonio del Comune di Mila-no, che è stato riaffidato alla ge-stione di Aler e dove gli inter-venti si possono caratterizzaresoprattutto per una migliore ra-zionalizzazione degli spazi abita-tivi. Quindi lavorare sui tagli de-gli alloggi per creare abitazionipiù piccole ma più aderenti alleesigenze di nuove categorie so-ciali come i singoli, i separati.Molte nuove realizzazioni abita-tive tengono conto appunto peresempio dell’elevato numero dipapà separati che hanno bisognodi un alloggio temporaneo perpoter ricostruire la propria vita.Poi c’è il recupero dei sottotetti,dei sopralzi, le copertura di fron-tespizi ciechi, l’introduzione dinuovi corpi edilizi.

Tutti interventi risolutori che ten-

gono conto sia dell’esigenza ma-

nutentiva degli stabili, sia dei

nuovi bisogni abitativi che emer-

gono.

Questa sperimentazione Alerl’ha verificata nel complesso edi-lizio di via Russoli, in zona Ba-rona, che si inserisce in un con-testo urbano caratterizzato dallapresenza di un importante nododi interscambio ferroviario-gom-

ma e vicino alla struttura univer-sitaria dello Iulm. Ricordiamoche si tratta delle quattro torri diedilizia sociale degli anni ’80,che presentavano dei problemistrutturali di messa in sicurezzae venute alla ribalta della crona-ca per la presenza di pannelli inamianto. Qui è stato approntatoun intervento manutentivo, cheè diventato anche l’occasione perripensare il progetto non solo in-termini edilizi ma anche sociali.L’idea è stata quella di alzare didue piani in altezza gli stabili inmodo da creare circa 100-120 po-sti letto per studenti. Poi abbia-mo cercato di ripensare anche labase degli edifici, il pianoterrache, con lo svuotamento di dodi-ci alloggi nella parte centrale, ciha dato la possibilità di crearespazi collettivi, aggregativi e ri-creativi in modo da ricreare unapiazza. L’idea alla base è stataquella di trasformare il quartierecon una funzionalità monosocia-le ad un quartiere integrato eaperto per sanare anche i proble-mi di sicurezza denunciati daicittadini. Un progetto del generevalorizza non solo il patrimonio,ma integra anche questa funzio-ne di coesione sociale. Tutto que-sto è stato inoltre condiviso congli inquilini. Infatti oltre allamessa in sicurezza degli stabili,Aler si è fatto promotore di un in-tervento che andasse oltre. La ri-sposta è stata quindi molto posi-tiva. Il percorso di buone praticheè proseguito poi nell’individuareuno studio di progettazione qua-

lificato che ha dimostrato moltasensibilità nella ricerca di solu-zioni architettoniche più a misu-ra dell’abitante anche se di edili-zia sociale.

Per Aler, questo vuole rappre-sentare su piccola scala un mo-dello replicabile di intervento sulproprio patrimonio. Quindi nonsolo un intervento manutentivostrutturale ma anche un modellosociale per rinnovare un internoquartiere. Aler crede molto nelcontributo dei giovani studentiche arrivano in una città univer-sitaria come Milano che ha sceltodi non avere un campus separatoproprio per permettere questacontaminazione di generazioni epermettere anche alle universitàdi fare città. Questa può essere lavera risposta di Milano. Dare vo-ce e possibilità concrete agli stu-denti non in luoghi appartati eseparati. Questa è una risorsa perMilano, una città che crea oppor-tunità di studio, ricerca, e prati-che per interagire e condividerealcune problematiche. C’è inoltreda sottolineare che Aler Milanoorganizza il premio di Eire (ExpoItalia Real Estate) per il migliorprogetto di housing sociale perqualità architettonica, tra 50 pro-getti in concorso alla Social Hou-sing Exibition, la più grandeesposizione europea sul temadell’abitare sociale. Il progetto èquello del Campus Martinitt,l’antico orfanotrofio milanese cheè stato interamente riqualificato,attraverso lavori di ristrutturazio-ne, diventando un Campus per

studenti universitari. La residen-za ospita oltre 350 ragazzi prove-nienti da tutta Italia e dall’esteroattraverso il progetto Erasmus.Una sistemazione di pregio manon solo, il Campus Martinitt of-fre all’interno diversi servizi, co-me la palestra, un bar, una salapranzo con spazi per cucinare,sale studio e ricreative, dove gliospiti possono socializzare e de-dicarsi allo studio.

Questi interventi si orientano ver-

so una cucitura dei tessuti urba-

ni cercando di dare anche un va-

lore architettonico a questi

interventi di riqualificazione.

Per gestire e razionalizzare glispazi a Milano ci sono esempi diquesto tipo e c’è un coinvolgi-mento di soggetti sociali per ac-compagnare le persone che viabitano. Un’esperienza impor-tante in Italia sono stati i “Con-tratti di quartiere” di Milano. Leriqualificazioni di zone comePonte Lambro, caratterizzati dal-la presenza di abitanti molto fru-strati perché considerati ai mar-gini territoriali della città estigmatizzato come luogo da nonavvicinare, attraverso la speri-mentazione dei contratti di quar-tiere, ha dato delle risposte mol-to positive. Gli abitanti hannopartecipato e cercato di favorireun riscatto dalla condizione dighetto, grazie all’accompagna-mento caratterizzato da forme dimobilitazione dal “basso”, attra-verso le associazioni e i comitatidi quartiere.

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Aler

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dossier settembre 2011

Quando progettate interventi

quanto dialogo e scambio c’é tra

chi si occupa di casa (architetti,

urbanisti) e chi si occupa di coe-

sione sociale?

Aler è forse l’unico ente cheha un settore dedicato alla parte-cipazione affinché diventi prati-ca. Il nodo fondamentale del-l’abitare sociale oggi è quello dicreare un dialogo fra tutte lestrutture che operano nel territo-rio. Ma terminati i “Contratti diquartiere” tutto questo diventapiù complicato forse perché c’èun sentire comune che non re-puta necessarie queste azioni.Ma portare avanti degli obiettivipassa anche attraverso chi ha ilpolso delle realtà e sa fare questomestiere di accompagnamento.A Vimodrone oltre al problemalegato alle difficoltà economiche,abbiamo in mente un progetto diriqualificazione soprattutto pergli stabili di via Fiume. Un’azio-ne che sarà condivisa con gli in-quilini che si sono costituiti inun comitato e con i sindacati de-gli inquilini cercando di allarga-re il dibattito per impostare ilpercorso che sarà alla base dellaricostruzione. Ma le maggiori dif-ficoltà che abbiamo trovato nonsono tanto legate alla necessitàche gli inquilini si spostino in unnuovo quartiere per poter abbat-tere le case, quanto alle proble-matiche legate a dove collocaregli arredi di una vita con cui lepersone hanno un legame emoti-vo. Perché la casa non è solo unedificio, ma un luogo che racco-

glie più funzioni compresa laparte più privata che è l’alloggio.In questo progetto la prima cosache abbiamo fatto è stata quelladi impostare un ipotesi planime-trica e di spazi costruiti e di ver-de, ma non c’è ancora una ricer-ca sull’alloggio e su cosa devecontenere. Siamo lontani da pro-gettazioni di housing sociale eu-ropee perché in Italia non esisteancora l’idea di immaginarel’abitare come qualcosa di diver-so da un alloggio tradizionale.Quindi non solo in termini dipossibilità aggregative ma anchedi servizi per la casa e di co-hou-sing. Progetti quindi più interes-sati a immaginare un nuovo in-tervento di edilizia pubblica esociale. L’idea di prevedere del-le forme di accompagnamentoper l’housing sociale non è con-siderata, manca un’idea di inter-vento tra enti che si occupano dipolitiche abitative e soggetti chesanno fare accompagnamento so-ciale. Strutturalmente non esiste,non ci sono risorse per questo te-ma perché sono percepite comesterili e non si intuisce invecequanto siano strategiche, sia peril politico che per il tecnico. Dal-l’esperienza posso affermare in-vece che ci sono stati dei falli-menti laddove non abbiamo oabbiamo mal condiviso dei pro-getti di riqualificazione peresempio il caso di via Barzoni aMilano, sessanta alloggi con ipo-tesi di demolizione e ricostruzio-ne. In quel caso ci era stato chie-sto un progetto che tenesse conto

del disagio dello spostamentodegli inquilini, un progetto cheperò non è stato condiviso dal-l’inizio e che ha creato una con-trapposizione, tant’è che è fermoe non si riuscirà a intervenire perla manutenzione, perché si èaperto un conflitto insanabile.

Se pensate al coinvolgimento del

volontariato, lo vedete più in fa-

se di consultazione, di realizza-

zione esecutiva, o in entrambe?

Dipende sempre da caso a ca-so. Non vedo nella nostra tradi-zione una procedura che possaessere standardizzata. Il volonta-riato ha un ruolo di congiunzio-ne tra ente pubblico, che deve fa-re l’intervento, e soggetticoinvolti nell’esperienza. Può es-sere propositore come nel casodel Villaggio Barona dove c’è sta-ta una spinta per un progetto diriqualificazione, ma non vorreiaffidare al volontariato una sortadi specializzazione su questo.Valuterei da situazione a situa-zione, se far intervenire nel pro-getto anche soggetti della societàcivile. Mi piacerebbe immagina-re un volontariato non come unsoggetto che si contrapposte, macome facilitatore tra chi deve fa-re l’intervento e chi lo subisce.Tre nuclei con lo stesso peso, inlinea di principio, che si attiva-no o meno a seconda degli equi-libri che si creano. Tre polmoniche respirano non all’unisono,ma separatamente con il fine diservire a tutti. Il volontariato èun attore gradito nell’intercetta-

re questo tipo di progettazione.Nasce per dare risposte a un’esi-genza e quando questa necessitàsi esaurisce finisce anche il suoruolo. L’essere propositivo inve-ce vuol dire essere più radicatosul territorio con una funzionepiù complessiva e totalizzanteche sia di aiuto nel ripensare acome attuare interventi in unmomento di crisi economica co-me quello attuale. Il volontariatocome un soggetto che favorisca ildialogo, altrimenti ci si limita adelle richieste che sono legitti-me, ma che si risolvono solo conpiccoli interventi specifici cheperò non cambiano il contestopiù generale, così diventa solouno scambio di favori. Occorreche anche il volontariato abbiauna visione più ampia dei pro-blemi altrimenti ognuno rimanechiuso nel suo orticello. Il vo-lontariato potrebbe diventarequel soggetto che nelle politichedell’abitare aiuta a risolvere lecontrapposizioni, favorisce ildialogo, facilita la soluzione deiproblemi, crea delle buone prati-che di percorsi.

Paolo CottinoCompetenze possibili. Sfera pubblica e potenziali sociali nella cittàJaca Book 2009

Bobbio L.Amministrare con i cittadini.Viaggio tra le pratiche di partecipazione in ItaliaIl Rubettino, 2008

GRANDANGOLO

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dossier settembre 2011

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“illab” e quella regia fra associazioni e coop per aiutare i più deboli

L’esperienza

“FAR CASA (NON A CASO!)” è stato come la lente attraver-so cui possiamo contrapporre l’home all’house, cioèla chiave di lettura per mezzo della quale progettiamo

e valutiamo la qualità della vita nelle “nostre” case. Perché “il-lab”, nato nel febbraio 2011, è un coordinamento di associazio-ni e cooperative, che attraverso le aggregazioni territoriali dei“poli” dell’abitare nella provincia di Milano, vogliono soste-nersi vicendevolmente per progettare, creare nuovi spazi abita-tivi, gestire residenze, partendo dalla persona con disabilità, manon solo. Tanto che vuole anche provare a rispondere a un bi-sogno autentico verso i portatori d’interessi: persone con disa-

bilità, familiari, associazioni,cooperative ed enti locali.

Nel nostro cammino ini-ziato in sordina nel 2000, conil Rit (Residenze integrate alterritorio), e grazie alla colla-borazione con Oltre Noi, che

ha creato nel 2004 lo sportello residenzialità, e con Ledha dal2006 al 2010, con il progetto Spazio residenzialità, abbiamo in-contrato tante realtà, tante storie che avevano un punto in co-mune: la profonda solitudine nel progettare e gestire questi ser-vizi, con enti locali spesso assenti, associazioni distratte,cittadinanza indifferente, comunicazione e collaborazione frale realtà scarsa, economie di scala inesistenti.

Se il tema della formazione e dell’informazione può esse-re gestito a livello provinciale, se modificare le regole e au-mentare le risorse è compito della politica, il tema delle col-laborazioni non poteva che trovare in un’aggregazioneterritoriale più definita.

Nasceva così nell’aprile del 2008 l’azione, i cosiddetti po-li/nodi dell’abitare con la visione di poter far cadere al più pre-sto quell’handicap che non aiuta la cultura dell’inclusione so-ciale.

I poli collocati ai punti cardinali della città metropolitanamirano ad aggregare realtà che hanno in comune il tema casaper le persone con disabilità e non solo, per iniziare a supera-re in termine di collaborazioni e sinergie gli stretti confini am-ministrativi della città di Milano, aprendo a una logica di cit-tà metropolitana.

Essi hanno come sfida il conoscersi, le collaborazioni a tut-ti i livelli della gestione dei servizi casa, l’accoglienza dei cit-tadini interessati al tema, la progettazione e realizzazione co-mune di nuove realtà abitative.

Per ora ogni polo/nodo aggrega in media otto realtà (coop eassociazioni), oltre alle due fondazioni di partecipazione mi-lanesi “I care” e “Idea Vita”.

Ogni polo/nodo ha una sfida concreta da giocareOgni polo/nodo ha nel “illab” e negli operatori del territoriodi Ciessevi il supporto possibile ad operare, un aiuto ad atti-vare “la scatola degli attrezzi necessari” per ben proseguire.Ma tutto ciò presuppone che le realtà abbiano la capacità difare un passo indietro mettendo al centro i bisogni e non gliinteressi particolari.

L’incontro con tutti è stato ed è importante, ma Ciessevi e

di Guido De Vecchi

L’esperienza

“il laboratorio” è uncoordinamento di enti non profit che voglionoprogettare, creare nuovispazi abitativi e gestireresidenze per disabili

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A conclusione del 2011, Anno europeo delle attività volontarieche promuovono la cittadinanza attiva, Aim e Ciessevi invitanole associazioni milanesi ad incontrare la città in singoli stand informativie attraverso dibattiti, incontri, filmati e musiche. Un’occasione facilee diretta per conoscere chi lavora a Milano, in oltre 200 associazioni,per far crescere i valori della solidarietà, della non violenza,del rispetto dell’altro e della cittadinanza responsabile.

Sabato 5 e Domenica 6 novembre 2011

dalle ore 10.00 alle 18.30Palazzo delle StellineCorso Magenta 59, 61 e 63, MilanoIngresso libero e gratuito

con il patrocinio di

con il supporto di

OSSERVATORIO NAZIONALE PER IL VOLONTARIATODIREZIONE GENERALE VOLONTARIATO, ASSOCIAZIONISMO E FORMAZIONI SOCIALIMINISTERO DEL LAVORO, E DELLE POLITICHE SOCIALI

Fondazione “I Care” sono stati e sono per noi i riferimenti cul-turali. Fondazione “Idea Vita” invece merita una citazione sutemi specifici, come per esempio l’importante “Progetto di vita”rivolto a un’inclusione sociale a trecentosessanta gradi dellepersone disabili e delle fasce più deboli. Queste realtà ci sti-molano a individuare nuove strategie sui territori, che hanno inembrione l’associazionismo per la funzione di vigilanza e in-novazione sui servizi; la cooperazione per la funzione di ge-stione dei servizi stessi; le realtà emergenti delle fondazioni dipartecipazione per la funzione culturale, di comunicazione,raccolta fondi, di monitoraggio, di garanzia sui lasciti finaliz-zati all’abitare e la possibile funzione di tutela giuridica.

La presenza oggi di Etica Sgr del gruppo Banca Etica, ag-giunge un ulteriore tassello al nostro pensiero: quello del ri-sparmio responsabile che potrebbe creare circuiti virtuosi an-che nella nostra rete.

L’azione successiva sarà sviluppare un nuovo modelloorganizzativo sui territori, che potremmo definire dell’abi-tare diffuso: una rete di persone per una rete di case.

Case di diverse dimensioni e con un grado di protezionecoerenti con il progetto di vita del cittadino disabile.

Case su un territorio ben definito, governate in collabo-razione fra le varie realtà su tutti gli aspetti della gestione:dalla comunicazione alla raccolta fondi, dalla formazione eall’accoglienza del volontariato.

Saremo in grado di servire reciprocamente, o il voler pri-meggiare, la difesa d’interessi personalistici, rovineranno unascommessa che potrebbe essere sintesi di un noi, di un “mi ri-guarda”, troppo spesso dimenticato?

Vogliamo ringraziare tutte le persone che operano e gliamici che hanno creduto in noi. Li ringraziamo per il loro im-pegno, per la passione e il tempo speso per il territorio, percementare la coesione sociale. Si tratta di un investimento in-dispensabile per la crescita delle nostre realtà che trovano ilterreno fertile su cui fiorire. Un territorio che faciliti il lavo-ro di tutta la rete migliorando la qualità di ogni singola real-tà e non solo di alcune, perché tutte, sono importanti e testi-moni di una storia.

dossier settembre 2011

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