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Verifica, valutazione e certificazione delle competenze
1. Valutazione di competenza e valutazione di profitto
La valutazione delle competenze è senza dubbio una questione delicata che me-rita approfondimento. Abbiamo già detto che la competenza è una dimensione che si sviluppa dinamicamente in tempi medio-lunghi e che si può apprezzare soltanto mettendo l’alunno in situazione, di fronte a compiti significativi, per i quali possa agire e mobilitare le conoscenze e le abilità allo scopo di risolvere problemi.
Abbiamo anche detto che la competenza è costituita da conoscenze e abilità, anche se queste, da sole, non bastano a rendere una persona competente.
Nella didattica tradizionale, invece, viene effettuata una valutazione del profitto. In questo caso sono implicate quasi esclusivamente conoscenze e abilità, magari anche complesse, relative alle diverse discipline.
Profitto e competenza sono due concetti differenti e non sovrapponibili. Avremo modo di approfondire la questione nel corso di questo capitolo.
Prima, però, riteniamo utile ripassare alcuni concetti fondamentali relativi alla valutazione, che si tratti di valutazione di profitto o di valutazione di competenza.
Le fasi della valutazione
La valutazione, innanzitutto, non è un’operazione, ma un processo. Essa è im-manente al processo di apprendimento/insegnamento e ne costituisce il momento “intelligente”.
Il processo di apprendimento/insegnamento inizia con un atto valutativo: «Che cosa sanno già i nostri allievi? Che cosa hanno bisogno di imparare di nuovo? Quali conoscenze e abilità sono utili per affrontare i nuovi apprendimenti?». Questo pas-saggio viene chiamato “valutazione iniziale”, ed è estremamente importante, perché serve a contestualizzare il curricolo generale rispetto ai bisogni degli alunni di una specifica classe.
Nel corso dell’anno scolastico, conduciamo continuamente osservazioni e veri-fiche sull’andamento dei nostri allievi con strumenti di diverso tipo: osservazioni, verifiche strutturate e non, interrogazioni, esercitazioni pratiche ecc. I dati raccolti da tutte queste osservazioni servono a valutare il profitto degli allievi, ma ancora di più a tenere sotto controllo e registrare l’efficacia del nostro lavoro e delle nostre
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proposte. Servono, inoltre, a dare informazioni sistematiche di ritorno agli allievi rispetto al proprio andamento e a centrare l’attenzione sui punti di forza e quelli di debolezza. Questa fase del processo è chiamata “valutazione in itinere”, o, ancor meglio, “valutazione formativa”, proprio perché ha lo scopo principale di aiutare la formazione dell’allievo, attraverso il monitoraggio costante dell’apprendimento e dell’insegnamento.
Alla fine del percorso, viene espressa la “valutazione finale”. È chiaro che più accurate sono state la valutazione iniziale e quella formativa più possibilità ci sono che i risultati della valutazione finale siano positivi. La valutazione finale al termine di una classe intermedia ha comunque un rilevante valore formativo per il lavoro dell’anno successivo. Comporta sempre la “promozione” dell’allievo, non la sanzio-ne delle sue lacune. La valutazione serve a tenere sotto controllo il processo e a fare in modo di migliorarlo perché l’alunno consegua il maggiore successo possibile.
2. Verifica, valutazione, comunicazione
Analizziamo ora tre concetti distinti, tra loro certamente legati, ma diversi: veri-fica, valutazione e comunicazione della valutazione.
La verifica è la raccolta sistematica di dati attraverso strumenti diversi, strut-turati e non: test, prove strutturate, saggi, elaborazione di testi, questionari, prove pratiche, interrogazioni, osservazioni ecc. Nel momento della verifica, il docente si limita a raccogliere dati, a misurare dei fenomeni e a registrare dei comportamenti. In questa fase egli sospende il giudizio, nell’attesa di avere abbastanza dati da con-frontare per poi valutare. Una volta raccolto un numero sufficiente di dati, legge i diversi risultati, li raffronta e li interpreta in base a dei criteri.
Soltanto a questo punto potrà esprimere un giudizio, ovvero la valutazione vera e propria. La verifica, quindi, è la raccolta dei dati, mentre la valutazione è l’inter-pretazione del loro significato.
Da questa distinzione si può evincere che i dati desunti dalle verifiche, specie se con strumenti strutturati e standardizzati, possono essere di carattere prevalente-mente quantitativo, mentre il giudizio, la valutazione, rispondono a criteri qualita-tivi. Le verifiche registrano conoscenze, abilità, talvolta aspetti della competenza, mentre il giudizio valutativo rende conto anche dell’andamento dell’apprendimento in relazione a progressi, ristagni, regressi, impegno, motivazione, capacità critiche, abilità metodologiche.
Il giudizio, quindi, è una scelta che rientra nel campo della responsabilità de-gli insegnanti: questi debbono sempre essere in grado di esplicitare puntualmente le ragioni e i criteri che hanno supportato un giudizio piuttosto che un altro. La valutazione, in quanto scelta, è dunque un atto di responsabilità, basato su dati quantitativi e qualitativi assunti nel tempo e interpretati alla luce di criteri. Prefe-ribilmente essi dovrebbero venire esplicitati, condivisi e resi trasparenti all’interno del Consiglio di Classe e del Collegio dei Docenti.
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Per questo, la formulazione della valutazione mediante automatiche medie arit-metiche è la negazione della responsabilità. Si lascia alla sterilità dell’aritmetica un compito che deve essere dei docenti. Non si faccia ricorso alla pretesa che la media garantisca l’oggettività del giudizio, poiché nulla è più iniquo di uno strumento che pretende di negare variabili e differenze. Piuttosto che a una pretesa oggettività, della cui esistenza è lecito dubitare, dovremmo tendere all’“oggettivazione” della valutazione, ovvero a un giudizio in cui inevitabilmente esistono dei margini di discrezionalità e soggettività, ma che, sulla base di criteri trasparenti e condivisi, agiscono allo stesso modo per tutti gli alunni.
A questo proposito, in nota segnaliamo un testo fondamentale, in cui l’autore, Charles Hadji, docente presso l’Institut Universitaire de Formation des Maitres (IUFM) di Grenoble, esamina proprio le suddette questioni e dedica un intero capitolo alla questione della valutazione oggettiva e «oggettivata»1.
Metodi di verifica e prove (strutturate e non strutturate)
La verifica va condotta con un certo rigore metodologico. Innanzitutto, ci si aspetta che le prove siano “valide”, ovvero che misurino effettivamente ciò per cui sono costruite. Ad esempio, i testi teorici per conseguire la patente hanno lo scopo di misurare la conoscenza del codice della strada da parte dei candidati. Essi sono di tipo “oggettivo”, cioè prevedono risposte univoche a ogni quesito. Tuttavia, per come sono formulati, in diversi casi si presentano più come una prova di compren-sione del testo che come una prova di conoscenza del codice. È ragionevole, quindi, pensare che abbiano una dubbia validità.
Quando si costruisce una prova strutturata, è abbastanza semplice formulare quesiti che misurano conoscenze; molto più complesso, invece, è formulare buoni quesiti che misurino abilità complesse, capacità di inferenza, di transfert e di pro-blem solving. In questo caso, potrebbero essere poco discriminanti, perché quasi tutti gli allievi, a patto che studino, sono in grado di rispondere a quesiti di co-noscenza, mentre non è detto che tutti risolvano con la stessa perizia quesiti più complessi che vanno oltre la mera conoscenza o abilità strumentale.
Ugualmente, un allievo studioso, ma esecutivo, potrebbe essere meglio valutato in simili prove rispetto a uno studente meno assiduo, ma più brillante e intuitivo. Già queste considerazioni minano alla base la pretesa di “oggettività” delle cosid-dette prove oggettive, poiché, come si è visto, possono dare risultati differenti a seconda di come sono formulate.
Beninteso, esse danno preziose informazioni: se costruite accuratamente, for-niscono indicazioni non solo sulle conoscenze, ma anche su aspetti rilevanti della competenza. Ne sono testimonianza le prove OCSE PISA (che in verità sono semi-strutturate, dato che prevedono anche item a risposta aperta articolata) o le ultime INVALSI, specie di matematica. L’avvertenza è che le cosiddette prove oggettive non
1 C. Hadji, La valutazione delle azioni educative, Editrice La Scuola, Brescia 1995.
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possono essere assunte in modo assoluto, ma vanno accompagnate da altri stru-menti, soprattutto se non siamo certi che rispondano alle caratteristiche delle grandi prove nazionali e internazionali citate, le quali, non a caso, richiedono per la loro costruzione un lungo lavoro di équipe di specialisti interdisciplinari e di una messa alla prova di tipo statistico per la validazione.
Non sosteniamo, quindi, di evitare le prove strutturate, anzi, la raccomandazione è di costruirne di sempre più accurate e sofisticate o di utilizzare quelle scientifica-mente migliori disponibili sul mercato. Si raccomanda anche, però, di non trattarle come strumenti assoluti, e di usarle insieme ad altri, in modo da costruire una va-lidazione concorrente.
Le prove strutturate, con le avvertenze illustrate, sono le più semplici da leggere e interpretare, poiché prevedono risposte univoche con un punteggio predetermina-to. La loro vera difficoltà, come detto, è piuttosto nella costruzione.
Le prove non strutturate (questionari a risposta aperta articolata, saggi brevi, testi e relazioni, interrogazioni) hanno l’indubbio vantaggio di fornire indicazioni sulle capacità di ragionamento, di inferenza, di operare collegamenti e relazioni e di argomentare. In questo senso, sono più potenti delle prove strutturate per dare informazioni che vadano oltre la conoscenza e l’abilità strumentale. Esse, d’altro canto, sono più difficili da interpretare e necessitano di solidi criteri di lettura e di “accettabilità” delle risposte. La pratica ha dimostrato che è possibile arrivare a una buona univocità di lettura dei risultati delle prove non strutturate tra docenti diversi, se a monte è stata costruita e condivisa una precisa griglia di lettura dei risultati attesi e se si sono corrette collegialmente un certo numero di prove, al fine di “tararne” la lettura e l’interpretazione.
Effetti di distorsione della valutazione
Il professor Hadji, nel libro già citato, argomenta sulla «psicologia del valutatore scolastico»2 e mette in luce alcune distorsioni che inficiano l’affidabilità della valu-tazione, in base a ricerche sperimentali condotte tra gruppi diversi di insegnanti. A questi docenti sono stati dati da correggere gli stessi compiti di alunni ignoti, ac-compagnati, però, da informazioni diverse circa gli alunni che li avrebbero prodotti e senza l’ausilio di criteri aprioristicamente stabiliti per la lettura delle prove.
Le distorsioni opererebbero in base a tre grandi serie di fattori studiati dal dise-gno sperimentale:a) il possesso di informazioni date a priori sull’autore del compito da valutare;b) l’ordine di correzione dei compiti;c) la dinamica della raccolta dell’informazione.
2 C. Hadji, cit., 1995, pp. 75 e ss.
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In base alla prima serie di fattori, sembra assodato che gli stessi compiti sia-no valutati diversamente quando si danno ai valutatori informazioni diverse sugli alunni che avrebbero prodotto il compito.
In particolare:
1) la conoscenza dei voti precedenti influenza la valutazione della prova: uno stes-so compito ottiene voti più alti quando viene attribuito a un alunno che ha già ottenuto in passato voti alti, rispetto a quando viene attribuito a un alunno che ha già ottenuto voti bassi (in questo caso l’informazione giocherebbe un effetto “alone” che assimila il compito ad altri, stabilendo una indebita “dipendenza tra valutazioni” che non gioca certo a favore della valutazione come “promozione delle potenzialità”);
2) allo stesso modo, i compiti ottengono un voto migliore quando sono attribuiti ad alunni di livello alto (in riferimento alla situazione complessiva dell’allievo, non dei singoli compiti), rispetto a quando sono attribuiti ad alunni di livello basso;
3) il possesso di informazioni riguardanti l’origine socio-economica dell’alunno influenza i correttori: gli stessi compiti sono meglio valutati quando vengono attribuiti ad alunni di una scuola ritenuta d’eccellenza o prestigiosa; lo stesso effetto di distorsione interviene al riguardo dell’origine etnica dell’alunno.
In base alla seconda serie di fattori di distorsione, si sono registrati effetti d’or-dine o di contrasto, in relazione alla sequenza in cui vengono corretti i compiti:
1) effetti d’ordine: i compiti corretti per primi sono sopravvalutati, quelli corretti alla fine sono sottovalutati (tranne il primo compito, che viene sottovalutato);
2) effetti di contrasto: uno stesso compito è sottovalutato o sopravvalutato a seconda che i compiti corretti immediatamente prima siano stati giudicati ottimi o pessimi. In questi casi emerge un effetto comparativo in base al quale i compiti non sono corretti per se stessi, ma risultano ancorati a quelli precedenti e successivi.
In base alla terza serie di fattori, si sono messi in evidenza effetti propri del-la dinamica di raccolta dell’informazione. I valutatori, cioè, durante la lettura del compito raccolgono informazioni in base a criteri espliciti, ma più spesso impliciti, e questi criteri condizionano la lettura stessa del compito. Ad esempio, una ricerca ha permesso di verificare che gli insegnanti di lettere utilizzerebbero, nell’ordine, quattro categorie per valutare i testi: lo stile, l’espressione delle idee, l’ortografia, la presentazione; in matematica un’altra ricerca ha mostrato che gli errori di calcolo possono giocare un ruolo più importante degli errori di ragionamento.
Un altro effetto agisce durante la correzione del compito, che esige, per essere letto dall’inizio alla fine, un certo lasso di tempo: le prime informazioni raccolte provocano inferenze che guidano la lettura successiva. Ad esempio, se le scorret-tezze si trovano prevalentemente nella prima metà del compito, questo riceve una valutazione meno buona rispetto a quella che otterrebbe se gli errori si trovassero nella seconda metà.
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Migliorare la valutazione
Gli studi sperimentali ci hanno confermato che esistono effetti di distorsione della valutazione che è necessario conoscere per non incorrervi; la pratica, inoltre, ha dimostrato che si può migliorare l’affidabilità della valutazione conoscendone appunto i rischi e adottando misure che controllino gli effetti di cui abbiamo par-lato. In particolare, per le prove non strutturate, è necessario dotarsi di strumenti rigorosi di lettura che aiutino a tenere sotto controllo la discrezionalità delle valu-tazioni implicite. Le stesse misure valgono sia per le prove non strutturate scritte sia per le interrogazioni, dove però è necessario tenere sotto controllo anche i messaggi di valutazione implicita che noi mandiamo attraverso il linguaggio non verbale.
3. Le scale di misurazione
Proseguiamo ora con altri concetti legati alla pratica della verifica e della valu-tazione, utilizzati non sempre con la dovuta consapevolezza.
I risultati delle verifiche vengono collocati su scale di misurazione che devono essere trattate correttamente dal punto di vista statistico e misurativo.
Nella valutazione scolastica, come in tutte le misurazioni di fenomeni sociali, utilizziamo prevalentemente tre tipi di scale. Vediamo di che cosa si tratta.
a) Scala nominale: è la più semplice ed elementare e fornisce anche il minore nu-mero di informazioni. Serve essenzialmente a classificare secondo determinate caratteristiche. Ad esempio, in una prova pratica, potremmo utilizzarla per veri-ficare semplicemente chi ha superato la prova pratica e chi no; chi, ad esempio, riesce a salire sul quadro svedese e chi no. Questo tipo di scala consente di mi-surare frequenze (con quale frequenza si presenta la caratteristica: ad esempio, su 25 allievi, chi ha superato la prova potrebbe avere frequenza 18, chi non l’ha superata, 7), percentuali, proporzioni, la moda (ovvero l’indice con la frequenza più alta, nel nostro caso, 18) ecc.
b) Scala ordinale: è forse la più usata a scuola e consente di collocare su una sca-la graduata le prestazioni degli allievi. Ad esempio, potremmo dire che il testo dell’allievo X è eccellente, quello dell’allievo Y buono, quello dell’allievo Z suf-ficiente, quello dell’allievo K non sufficiente. In questo caso, la scala ordinale è costituita da aggettivi (eccellente-buono-sufficiente-non sufficiente); potrebbe essere costituita da lettere (A, B, C, D, E) con valore decrescente o da numeri: la famosa e utilizzatissima scala da 1 a 10 è una scala ordinale. Essa consente di apprezzare appunto l’ordine della caratteristica, ma non la sua precisa quantità, né l’esatta distanza dal grado precedente o successivo. In pratica: io posso dire che la prova dell’alunno A è migliore della prova dell’alunno B e che la distanza tra le due è di un grado della scala, ma non posso stabilire la quantità precisa di quella distanza, anche perché gli aggettivi, le lettere o i numeri costituiscono
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una fascia, una gamma, dove potrebbero collocarsi prove molto diverse. Infatti, dentro il voto 8, potrebbero essere collocate prove con caratteristiche diverse, ma che vengono tuttavia classificate buone, trovandosi il grado 8 nella fascia alta della scala. È come se dicessimo che oggi fa molto freddo, che ieri faceva freddo e che l’altro ieri non faceva molto freddo. Io posso inferire che negli ultimi tre giorni la temperatura si è gradualmente abbassata, ma non so di quanto. Per sa-pere di preciso la quantità e la distanza tra un grado e l’altro, dovrei introdurre un altro tipo di scala, ad esempio la scala Celsius dei gradi centigradi. Quindi potrei dire che oggi ci sono 2°, ieri 3° e l’altro ieri 4°. Così confermerei il progres-sivo abbassamento della temperatura, ma saprei dire anche di quanto, cosa che la semplice scala ordinale non permette di fare. Dal punto di vista statistico, la scala ordinale consente di rilevare frequenze, percentuali, di effettuare propor-zioni, di registrare la moda e la mediana.
c) Scala a intervalli: è la scala che permette di mettere in ordine le prestazioni dei soggetti secondo le loro caratteristiche, ma anche di apprezzare la distanza delle posizioni, poiché è costituita da intervalli numerici uguali e continui, in cui lo zero è fissato convenzionalmente (la scala Celsius che abbiamo appena citato è una scala a intervalli). Dal punto di vista statistico, è la più ricca di informazioni, perché consente tutte le operazioni matematiche e statistiche, sia descrittive sia inferenziali. È particolarmente adatta alle prove strutturate e semi-strutturate, dove sia possibile attribuire dei punteggi agli item. Solo questa scala, al contrario delle prime due, consente di operare la media; ciò significa che, dal punto di vi-sta matematico, operare la media con una scala ordinale, come quella decimale, sarebbe in realtà operazione scorretta e impropria. La media avrebbe senso come criterio per la valutazione nel solo caso di prove strutturate o semi-strutturate applicate su larga scala a cui si applicasse il criterio di lettura e valutazione rela-tivo. Questo introduce il concetto di criterio di lettura e valutazione delle prove.
Le soglie e i criteri
Quando somministriamo delle prove di verifica, possiamo attribuire loro dei punteggi o dei giudizi descrittivi che possono collocarsi su scale diverse; all’atto dell’interpretazione, abbiamo bisogno di stabilire delle “soglie”, in base alle quali dare un valore alla prova.
Ad esempio: poniamo di somministrare a una classe una prova strutturata su un punteggio variabile da 0 a 100. L’alunno A ottiene 80, l’alunno B 65, l’alunno C 72. I punteggi grezzi assoluti non dicono più di tanto. Abbiamo bisogno di stabilire quale valore assume allo scopo valutativo una prova di 80 punti, piuttosto che una prova di 65.
La lettura e l’interpretazione possono avvenire in base a due criteri: il criterio assoluto e il criterio relativo.
Il criterio assoluto stabilisce delle soglie a priori, già al momento della costruzio-ne della prova. Queste sono generalmente stabilite in relazione alla struttura della
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prova e allo standard fissato in base alla programmazione. Di solito nella valuta-zione scolastica delle singole classi viene utilizzato il criterio assoluto. Ad esempio, nella nostra prova i docenti potrebbero aver individuato delle fasce a priori in base alle quali i compiti che avessero ottenuto meno di 65 punti sarebbero stati giudicati non sufficienti; le prove da 65 a 75 sufficienti; quelle da 76 a 90 buone; quelle oltre il 90 ottime. Le fasce sono convenzionalmente fissate e generalmente dipendono dalla struttura della prova e dall’ampiezza della parte di curricolo che coprono. Ad esempio, in una prova di conoscenza e abilità strumentale che indaghi un ristretto settore di curricolo (un circoscritto argomento), i docenti potrebbero ragionevol-mente fissare la soglia della sufficienza anche a 80/100. Su batterie di prove molto articolate che coprono ampi settori di curricolo, generalmente la soglia di sufficien-za si aggira intorno al 60%.
Il criterio relativo attribuisce la valutazione solo dopo la somministrazione della prova e dipende dal suo andamento medio. Infatti, quando si giudica un compito con il criterio relativo, i risultati vengono elaborati calcolando la media e la devia-zione standard delle prestazioni del gruppo di alunni considerato. La soglia di suf-ficienza viene stabilita nella fascia compresa tra mezza deviazione standard sotto la media e mezza deviazione standard sopra. Le altre fasce vengono calcolate con un’ampiezza di una deviazione standard rispetto alla fascia media.
È necessario fare una precisazione importante: il criterio relativo ha senso e funziona bene se la stessa prova è somministrata a un campione molto ampio di persone, sicuramente oltre i 100 individui, ma ancora meglio oltre i 200. Questo perché l’attribuzione dei giudizi intorno alla media funziona equamente presuppo-nendo che i risultati della popolazione abbiano un andamento “normale”, secondo la curva di Gauss, o curva a “campana”, nella quale la media si colloca all’incirca a metà della distribuzione e coincide con la mediana e la moda. In realtà, gruppi piccoli come le classi non hanno mai un andamento gaussiano: la media è quasi sempre collocata nella parte alta o nella parte bassa della popolazione, perché in un ristretto campione di individui le caratteristiche individuali della maggioranza con-dizionano notevolmente l’andamento della popolazione. Ed è giusto che sia così: non ci dovremmo mai augurare che una classe abbia un andamento “normale”, perché questo corrisponde alla distribuzione casuale dei grandi numeri. In una clas-se sarebbe preferibile che la media si collocasse nella parte alta della distribuzione, costruendo una curva a “J”.
Il criterio relativo non va mai utilizzato per valutare classi singole, a meno che non utilizziamo prove presenti sul mercato (come le MT o le prove criteriali di ma-tematica), che sono state costruite e testate su ampi campioni di popolazione e le cui soglie sono state fissate sull’andamento di questi, detti campioni “normativi”. In questo caso, però, la nostra classe viene paragonata al campione normativo: è come se i suoi risultati entrassero a far parte del grande campione; letto in altri termini, il campione normativo funziona da criterio assoluto per la valutazione dei risultati della classe.
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4. Per riassumere: aspetti della verifica, della valutazione e della comunicazione
Verifica
Abbiamo quindi esplorato aspetti della verifica che riassumiamo: essa misura conoscenze, abilità e aspetti della competenza mediante prove strutturate, semi-strutturate, non strutturate, i cui risultati vengono posti su scale di vario tipo (nomi-nali, ordinali, a intervalli), e poi letti, confrontati e interpretati in base a determinati criteri (assoluti o relativi). La verifica non è espressione di giudizio, ma solo raccolta di elementi che poi vengono confrontati, letti e interpretati secondo criteri.
Valutazione
La valutazione è il processo di verifica, lettura, comparazione, interpretazione dei dati relativi all’apprendimento, condotto attraverso strumenti, contesti, condizioni diversi, e assunto in base a determinati criteri. Si rifà a caratteristiche di validità, at-tendibilità, equità e trasparenza. La valutazione è sempre personale e non compara-tiva; è legata a ciascun alunno, cioè deve essere condotta a partire dai suoi risultati, definibili in base a criteri fissati per tutti, ma questi stessi risultati non devono mai essere interpretati in base a quelli degli altri allievi. A questo proposito, abbiamo vi-sto che c’è un aspetto rischioso di valutazione comparativa anche leggendo le prove dello stesso allievo, quando tendiamo a sottostimarle o sovrastimarle non in base a criteri definiti sulla singola prova, ma a risultati di prove precedenti.
È vero che nell’espressione della valutazione dobbiamo tenere conto degli anda-menti nel tempo dell’allievo, ma sempre in funzione di promozione, considerando se vi siano stati progressi, se questi sono stati continui o discontinui, se vi siano stati regressi e perché siano avvenuti. Questo però non significa che noi leggiamo e valutiamo una prova paragonandola ai risultati di altre; ogni singola prova viene letta, interpretata, valutata per se stessa e solo successivamente i risultati vengono semplicemente confrontati e messi accanto ai risultati di altre prove e osservazioni per registrare un andamento.
La valutazione, abbiamo visto, è un processo complesso, sistematico e continuo.
Comunicazione
La comunicazione della valutazione è cosa diversa dalla valutazione, ma spesso viene confusa con essa. Mentre la valutazione è un processo che si inserisce or-ganicamente nell’apprendimento/insegnamento, la comunicazione è un’operazione che viene condotta in momenti stabiliti del percorso, mediante strumenti ammini-strativi (pagella, scheda di valutazione, tabelle degli esiti ecc.), generalmente ac-compagnati da una comunicazione personale agli allievi e ai genitori, che serve a
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illustrare appunto i criteri con cui si è pervenuti a quella valutazione, nell’ottica della trasparenza.
Le modalità di comunicazione della valutazione sono generalmente fissate per legge: ad esempio, attualmente è stabilito che la comunicazione del profitto av-venga mediante voti in decimi attribuiti alle discipline; che vi sia un voto per la condotta (a eccezione della scuola primaria, dove per la condotta si esprime un giudizio descrittivo); che la valutazione finale in esito agli esami di fine ciclo sia espressa sempre in decimi (scuola secondaria di primo grado) o in centesimi (scuola secondaria di secondo grado).
Per la verità, la legge interviene in questo caso anche sulle modalità con cui si debba pervenire al voto finale in esito agli esami di fine ciclo, cioè stabilendo di ricorrere a una rigida media aritmetica per la scuola secondaria di primo grado, pre-vista dal DPR 122/2009, e a una serie di voti ponderati per la scuola secondaria di secondo grado. La nostra opinione è che il metodo con cui si perviene al voto finale nell’esame di Stato della scuola secondaria di primo grado sia rigido e sostanzial-mente iniquo, mentre è equilibrato e sostanzialmente equo il sistema di pesi previsto per l’esame di Stato della scuola secondaria di secondo grado; sarebbe augurabile che i due sistemi fossero omogeneizzati, ma tenendo a modello il secondo grado e non il primo.
5. La certificazione delle competenze
La certificazione è un’operazione che attesta il possedimento di requisiti o titoli (il diploma, la certificazione linguistica, la certificazione di competenza). La certi-ficazione può essere esterna (ad esempio, la certificazione linguistica) o interna (la certificazione delle competenze, il diploma), a seconda delle normative nazionali e internazionali. È esterna se viene condotta da un organismo terzo indipendente (un ente certificatore accreditato, come nel caso della patente ECDL o della certificazione linguistica), interna se la certificazione è rilasciata dalla stessa autorità responsabile del percorso formativo, come accade per la certificazione delle competenze o per i diplomi di Stato nella normativa italiana.
Profitto
Nelle valutazioni scolastiche usuali viene valutato il profitto: esso misura preva-lentemente conoscenze e abilità disciplinari, attraverso strumenti e prove tradiziona-li, e si esprime per mezzo di voti numerici, letterali o aggettivali, assegnati, appunto, alle discipline, che oscillano tra una polarità positiva e una negativa (dove quella ne-gativa indica una mancata corrispondenza degli esiti a soglie attese fissate a priori).
In base agli esiti di profitto, vengono assunte decisioni sulla carriera scolastica dell’allievo (promozione, bocciatura).
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La valutazione del profitto, poiché, almeno allo stato attuale, misura prevalen-temente conoscenze e abilità, può essere condotta anche a scansioni ravvicinate di tempo: trimestri, quadrimestri, annualità. Dato che si esprime attraverso giudizi sin-tetici numerici, aggettivali o letterali attribuiti alle discipline, il voto di profitto ha bisogno di essere ulteriormente spiegato con una descrizione verbale o scritta, che illustri i criteri e le dimensioni sottostanti al giudizio sintetico. In pratica, il giudizio sintetico sulla disciplina o il voto finale apposto sui diplomi non rendono conto di preciso di che cosa sappia e sappia fare l’allievo e della qualità del suo apprendi-mento. Inoltre, uno stesso giudizio sintetico potrebbe avere significati profonda-mente differenti per docenti diversi, in scuole diverse o anche nella medesima. In qualche modo, quindi, il voto di profitto è “opaco” e non trasparente: per acquisire significato ha bisogno di una comunicazione ulteriore.
Altre possibilità di comunicazione
Esistono altre modalità per rendere più trasparente la valutazione di profitto? In passato se ne sono messe formalmente in atto alcune: la scheda di valutazione in uso nella scuola primaria in seguito all’OM 236/1993, ad esempio, scomponeva la disciplina in indicatori che rappresentavano grandi prestazioni ed evidenze, legate ai nuclei fondanti della disciplina, e che indicavano la padronanza della stessa. È vero che a ogni indicatore doveva essere attribuito un giudizio letterale su una scala pen-tenaria A-B-C-D-E, ma certamente la valutazione, rendendo conto di aspetti diversi della padronanza disciplinare piuttosto espliciti, era più trasparente di un voto sinte-tico. Prima di questa, era in uso la scheda descrittiva prevista dalla L 517/1977. Essa prevedeva che per ogni disciplina si esprimesse un giudizio descrittivo sull’allievo, che rendesse conto del suo andamento. L’intenzione era lodevole: descrivere la padronan-za, lasciando la possibilità di rendere conto dei risultati, dei processi, degli andamenti ecc. Il limite piuttosto sensibile era che esprimere giudizi individuali per ogni disci-plina diventava estremamente laborioso; inoltre i giudizi potevano essere comunque estremamente soggettivi o ripetitivi, per la difficoltà di articolare descrizioni persona-lizzate per ogni trimestre o quadrimestre. Un altro rischio concreto era l’utilizzo di un linguaggio tecnico “pedagogichese”, non sempre accessibile a tutti gli utenti.
Per questo, la scheda del 1993 ha introdotto una sintesi, concettualmente anche molto elevata, con gli indicatori di padronanza. Essa certamente ha rappresentato una mediazione molto alta e riuscita fra trasparenza e semplificazione nella comu-nicazione degli esiti del profitto e ha anche introdotto, nel periodo in cui è stata in vigore, un virtuoso dibattito nelle scuole sul processo di valutazione adatto a supportare una tale comunicazione. Infatti, si era posto il problema di come verifi-care e valutare con rigore le dimensioni sottostanti gli indicatori; in molte scuole il pretesto della scheda aveva introdotto una programmazione centrata su di essi, de-clinati a loro volta in abilità più specifiche e conoscenze: di fatto, un’articolazione non molto diversa da quella introdotta dalle Raccomandazioni Europee e assunta recentemente dalla Provincia di Trento e dal DM 139/2007.
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Nel 1995 è stata poi introdotta una “semplificazione”, che riportava il giudizio sintetico per disciplina: lungi dal semplificare, opacizzava nuovamente la comunica-zione, dato che la scala aggettivale non è molto diversa dalla scala decimale dei voti.
Comunicazione della valutazione delle competenze
La valutazione delle competenze, come abbiamo già avuto modo di spiegare, è essenzialmente diversa dalla valutazione del profitto e risponde anche a esigenze differenti.
Abbiamo già detto che la competenza non è un oggetto fisico: si vede solo in quanto “sapere agito”, ed è quindi necessario mettere gli alunni in condizione di svolgere un compito significativo che preveda la soluzione di un problema, la mes-sa a punto di un prodotto materiale o immateriale in autonomia e responsabilità, utilizzando le conoscenze, le abilità, le capacità personali, sociali, metodologiche in loro possesso o reperendone di nuove.
La valutazione della competenza si esprime mediante brevi descrizioni che ren-dano conto di che cosa l’allievo sa (conoscenze), sa fare (abilità), in che condizione e contesto e con che grado di autonomia e responsabilità, rispetto a una competen-za specifica e non rispetto a una disciplina. Come già spiegato, le descrizioni della padronanza delle competenze vengono differenziate in livelli che rendono conto del dispiegarsi della competenza da uno stadio embrionale, nel quale la persona possiede conoscenze essenziali e limitate, abilità strumentali, autonomia e ambito di responsabilità ridotti, fino a stadi molto elevati, in cui la persona possiede cono-scenze articolate, abilità strumentali e funzionali anche complesse, capacità di agire in autonomia e con ambiti di responsabilità progressivamente più ampi di fronte a problemi e in contesti sempre più complessi.
Le descrizioni dei livelli sono fissate a priori e valgono per tutti, essendo ancorate a un contesto scolastico (nel nostro caso) o professionale. Questo permette di avere a disposizione degli standard di riferimento per tutti gli allievi e, quindi, di orientare an-che il curricolo e le proposte didattiche, per fare in modo che i ragazzi conseguano ef-fettivamente i livelli augurati in tutte o nel maggior numero possibile di competenze.
La descrizione del livello di competenza può essere solo positiva, perché la fun-zione della certificazione di competenza è quella di testimoniare ciò che la persona sa e sa fare, anche se è molto poco, e non ciò che non sa. La certificazione di com-petenza è un’apertura di credito verso le risorse della persona e serve a testimoniare il livello raggiunto, qualunque sia, dal quale poter proseguire.
Mettere in rapporto competenza e profitto
Che relazione può esserci tra valutazione di profitto e valutazione di competen-za? Abbiamo appena detto che la valutazione di profitto ha una polarità positiva e una negativa, in base alle quali vengono prese decisioni sulla carriera scolastica; tale valutazione viene assunta a scansioni ravvicinate. La valutazione di competenza,
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sempre formulata in positivo, su livelli crescenti, viene espressa al termine di grandi tappe: della scuola primaria, del primo ciclo di istruzione, dell’obbligo, della scuola secondaria di secondo grado (o del percorso triennale o quadriennale di qualifica), poiché è una dimensione evolutiva che si esprime in tempi medio-lunghi.
Facciamo l’esempio di due allievi che frequentino un corso di qualifica per diven-tare elettricisti. Il primo, con un profitto molto basso, viene bocciato all’esame di qua-lifica, mentre il secondo, con un profitto brillante, viene promosso con un voto alto.
La certificazione di competenze del primo allievo non riporterà descrizioni del tipo: “Non sa leggere uno schema tecnico, non sa costruire un circuito, non sapreb-be da dove cominciare per installare un impianto ecc.”, ma piuttosto: “Supportato da un esperto, legge uno schema tecnico di un semplice impianto civile; dietro precise istruzioni e supervisione di un esperto, collabora all’installazione di piccoli impianti civili”. La certificazione del secondo allievo potrebbe riportare descrizioni come: “Sa leggere e interpretare in modo autonomo schemi tecnici di impianti civili e industriali; in autonomia, predispone e installa impianti a uso civile e, con la su-pervisione di un esperto, predispone e installa impianti industriali, curandone anche la manutenzione”. Un datore di lavoro che leggesse le due certificazioni potrebbe decidere di assumere entrambi gli allievi, stabilendo che il primo dovrà sostenere un lungo periodo di apprendistato e sarà intanto assegnato a compiti esecutivi e di supporto, mentre il secondo, dopo un breve periodo di apprendistato, potrà essere assegnato a compiti di istallazione e manutenzione in autonomia.
Il punto è che la certificazione è chiara in se stessa, non ha bisogno di ulteriori illustrazioni e specificazioni, è trasparente, rende conto di quanto la persona sa e sa fare rispetto a situazioni specifiche e concrete, e non del suo andamento rispetto a una disciplina.
La scuola, quindi, se lo ritiene opportuno, continuerà ad assumere decisioni di esito negativo rispetto alla carriera scolastica in base al profitto, ma ciò che le si chiede è comunque di rendere conto delle competenze maturate dall’allievo, non semplicemente del suo profitto.
Se la didattica fosse orientata sistematicamente alle competenze, in realtà compe-tenza e profitto ridurrebbero la distanza che li separa, anche se probabilmente non si sovrapporrebbero mai. Con un curricolo e una didattica orientati alla competenza, gli allievi sarebbero messi più di frequente in situazione di compiti significativi e quindi la valutazione non si limiterebbe alle conoscenze e alle abilità possedute, ma terrebbe maggiormente conto degli aspetti di competenza. Diciamo che la valutazione avrebbe a disposizione elementi di osservazione dell’alunno che nella didattica tradizionale non avrebbe e i docenti avrebbero la possibilità di vedere l’alunno in altri contesti, facendosene un’idea più ampia. La valutazione di profitto, quindi, potrebbe essere più completa, sensibile e articolata e tenere conto di maggiori e differenti aspetti.
Riassumendo, come e quando possiamo valutare le competenze? Attraverso l’osservazione degli allievi in contesti ordinari (come discutono e come articolano pensieri, ipotesi, argomentazioni, in che modo affrontano problemi, crisi e diffi-coltà, come si relazionano con altri e trasferiscono apprendimenti ecc.); attraverso i compiti significativi, nei quali, individualmente o in gruppo, devono gestire una
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situazione o risolvere un problema concreto usando ciò che sanno; attraverso le UDA, nelle quali il compito significativo diventa più complesso e articolato e ci si attende la realizzazione di un prodotto, materiale o immateriale; attraverso le co-siddette “prove esperte” o “prove autentiche”.
Nel capitolo precedente, abbiamo spiegato che l’UDA è un “modulo” formativo che serve a costruire aspetti delle competenze, conoscenze e abilità. L’UDA viene valutata in base al processo, al prodotto, alla riflessione-ricostruzione-autovalutazione. An-che il compito significativo può essere valutato alla stessa maniera, configurandosi, in effetti, come una microunità di apprendimento.
Per quanto riguarda la prova esperta, con quest’espressione si intende una prova di verifica che non si limiti a misurare conoscenze e abilità, ma anche le capacità dell’allievo di risolvere problemi, compiere scelte, argomentare, produrre un micro-progetto o un manufatto; in pratica mira a testare aspetti della competenza. Ha il vantaggio di poter essere somministrata a studenti di classi e scuole diverse, e quin-di permette di confrontare i dati. Si differenzia dall’unità di apprendimento perché, mentre questa si connota come percorso formativo (che poi viene verificato), la prova esperta ha il vero e proprio carattere di verifica. Mentre nell’UDA la situazione prevalente è il lavoro di gruppo, nella prova esperta prevale il lavoro individuale, anche se possono essere presenti situazioni di gruppo, ad esempio di brain storming rispetto alle modalità di affrontare la prova o, successivamente, una discussione collettiva su come ciascuno ha affrontato il compito.
La prova esperta mette letteralmente “alla prova” lo studente, privilegiando la modalità del problema, della decisione di scelta, del collaudo/verifica, della ricerca di un guasto o risposta a un reclamo, della soluzione di uno studio di caso basato sulla tecnica dell’“incidente” (ad esempio, ridefinire il progetto di una visita di istru-zione sulla base di un budget inferiore).
Vanno quindi scelti compiti che non siano un duplicato di quelli delle unità di apprendimento, ma che rappresentino diverse situazioni critiche, che lo studente fronteggia mostrando di possedere effettivamente (e autenticamente) le risorse (co-noscenze, abilità, capacità personali) da mobilitare per la loro positiva soluzione.
La prova esperta è una situazione “multifocale” dove gli aspetti culturali, ad esempio linguistici della comprensione o produzione del testo, e quelli matema-tici vertono intorno a un problema da risolvere, a una situazione da gestire. È un compito di una certa complessità e può impiegare anche molte ore, distribuite in giornate successive, in base alla natura della prova.
La prova esperta, somministrata alla fine di ogni anno, concorre alla valutazione della competenza e alla sua certificazione, insieme agli elementi forniti dalle UDA, dai compiti specifici, dalle attività ordinarie; concorre parimenti alla valutazione annuale del profitto, dove il suo peso potrebbe aggirarsi, in ragione della sua com-plessità, intorno al 20-25% del totale, a giudizio della Commissione di Dipartimento e del Consiglio di Classe.
Nelle tabelle 5.1 e 5.2 presentiamo un esempio di griglia di valutazione dell’UDA, che può servire anche per la prova esperta e, opportunamente semplificata o utilizza-ta in singole parti, per l’osservazione in contesti ordinari e per i compiti significativi.
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estin
atar
io.
Prod
uce
test
i m
ultim
edia
li, ut
i-liz
zand
o l’a
ccos
tam
ento
dei
lin
-gu
aggi
ver
bali
con
quel
li ic
onic
i e
sono
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5Sc
rive
corr
etta
men
te t
esti
di t
ipo
dive
rso
(nar
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o, d
escr
ittiv
o, e
spos
itivo
, reg
olat
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arg
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tativ
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azio
ne, a
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men
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zand
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ccos
tam
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dei
ling
uagg
i ver
bali
con
quel
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i e s
onor
i.
4Sc
rive
test
i di d
iver
sa t
ipol
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rett
i e p
ertin
enti
al t
ema
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lo s
copo
.
Prod
uce
sem
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i mul
timed
iali
con
l’aus
ilio d
ell’in
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ante
e la
col
labo
razi
one
dei c
ompa
gni.
3Sc
rive
test
i cor
rett
i ort
ogra
ficam
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, chi
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coe
rent
i, leg
ati a
ll’esp
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nza
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araf
rasa
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test
i coe
rent
i rel
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i alla
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nza.
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bora
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rasf
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rive
sem
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i tes
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nze
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tte
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te, c
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più
fras
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ime.
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119
▼
COMPETENZA CHIAVE DI
RIFERIMENTO
CR
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CR
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Com
pren
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usa
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nica
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e co
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aggi
or p
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ei t
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rreg
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opri
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4
Com
pren
de e
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ter
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Usa
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pert
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te v
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rifer
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o.
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.
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terv
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o re
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e ut
ilizza
nel
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scr
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dam
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li e
quel
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; cap
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plic
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o ca
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ssic
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nnet
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2
Util
izza
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ompr
ende
il le
ssic
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uso
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li un
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com
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ei c
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o.
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erm
ini a
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osce
nze
fond
amen
tali
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folo
gia
tali
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coes
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ende
e u
sa in
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o ap
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l voc
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li un
a co
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nica
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mpr
ensib
ile e
coe
rent
e.
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▼
COMPETENZA CHIAVE DI
RIFERIMENTO
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ico;
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per
app
rend
ere
argo
men
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che
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scip
li-na
ri di
vers
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olla
bora
fatt
ivam
ente
con
i co
mpa
gni n
ella
rea
lizza
zion
e di
att
ività
e p
roge
tti.
4
Com
pren
de fr
asi e
d es
pres
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so fr
eque
nte
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tive
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es. in
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azio
ni d
i bas
e su
lla p
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lla fa
mig
lia, a
cqui
sti, g
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afia
loca
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voro
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l pro
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Com
pren
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2
Com
pren
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ri e
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ativ
e a
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fam
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, se
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are
ogge
tti, p
arti
del c
orpo
, col
ori e
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tiliz
zand
o i t
erm
ini n
oti.
1
Util
izza
sem
plic
i fra
si st
anda
rd c
he h
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para
to a
mem
oria
per
chi
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e, c
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i, pre
sent
arsi,
dar
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emen
tari
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zion
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uard
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il ci
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Reci
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e c
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ncin
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para
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mem
oria
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i anc
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li, ut
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i ter
min
i che
con
osce
.
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▼
COMPETENZA CHIAVE DI
RIFERIMENTO
CR
ITER
IEV
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LIVELLO ATTRIBUITO
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CR
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RI E
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5
Com
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ente
e p
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critt
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unti
esse
nzia
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ti in
ling
ua s
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.
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olta
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ioni
att
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tudi
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altr
e di
scip
line.
4C
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ende
fras
i ed
espr
essio
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i uso
freq
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e re
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biti
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sona
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sulla
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iglia
, acq
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i, geo
graf
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, lavo
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iliari.
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gnan
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ni.
2Id
entif
ica
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le e
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ritte
, pur
ché
note
, acc
ompa
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illu
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tra
duce
.
1Tr
aduc
e se
mpl
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ime
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i pro
post
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ital
iano
dal
l’inse
gnan
te, u
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.
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rizio
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di o
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ti e
di e
sper
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e).
5Sc
rive
sem
plic
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com
pone
bre
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tter
e o
mes
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i riv
olti
a co
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ei e
fam
iliari.
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escr
ive
oral
men
te e
per
iscr
itto
sem
plic
i asp
etti
del p
ropr
io v
issut
o e
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.
Scriv
e se
mpl
ici c
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icaz
ioni
rel
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e a
cont
esti
di e
sper
ienz
a (is
truz
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bre
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rizio
ni, s
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ici n
arra
zion
i, in
form
azio
ni
anch
e re
lativ
e ad
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ti di
stu
dio)
.
3D
escr
ive
oral
men
te e
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iscr
itto,
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sem
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l pro
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l pro
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emen
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e si
rifer
i-sc
ono
a bi
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i im
med
iati.
2Sc
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paro
le e
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i not
e.
1C
opia
par
ole
e fr
asi r
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ive
a co
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Scriv
e le
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ole
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mat
erna
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di a
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ndim
en-
to)
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ling
ue s
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divi
dua
elem
enti
cultu
rali
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i dal
la li
ngua
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erna
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122
▼
COMPETENZA CHIAVE DI
RIFERIMENTO
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123
▼
COMPETENZA CHIAVE DI
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124
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2 1
COMPETENZE DI BASE IN SCIENZA E TECNOLOGIA - SCIENZE
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▼
COMPETENZA CHIAVE DI
RIFERIMENTO
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126
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127
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▼
COMPETENZA CHIAVE DI
RIFERIMENTO
CR
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LIVELLO ATTRIBUITO
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COMPETENZA CHIAVE DI
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138
▼
COMPETENZA CHIAVE DI
RIFERIMENTO
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LIVELLO ATTRIBUITO
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139
▼
COMPETENZA CHIAVE DI
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140
▼
COMPETENZA CHIAVE DI
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144
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145
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Questa griglia assume come elementi di osservazione le “evidenze” del curricolo riferite alle diverse competenze chiave, e come criteri le voci dei livelli di padronan-za che fanno capo alle diverse evidenze. In pratica, evidenze e livelli di competenza del curricolo vengono trasformati in griglia di osservazione.
La griglia è uno strumento di lavoro e può essere utilizzata in modo flessibile, a seconda della composizione dell’UDA. Possono essere utilizzate tutte o alcune voci, altre possono essere modificate e ne possono essere aggiunte di nuove.
Alcuni criteri riferiti alle competenze di Comunicazione nella madrelingua, Im-parare a imparare e Spirito di iniziativa e imprenditorialità possono essere utilizzati anche per la valutazione della fase di riflessione-ricostruzione-autovalutazione, re-alizzata mediante la relazione finale.
Le voci proposte per la valutazione del prodotto possono senz’altro variare a se-conda del tipo di prodotto e delle sue caratteristiche, ed essere integrate anche con valutazioni più precise e pertinenti, tarate sulle specifiche dell’oggetto.
I criteri di valutazione del prodotto potranno inoltre efficacemente concorrere alla valutazione delle competenze a cui specificamente esso si riferisce (ad esempio, se il prodotto è un manufatto o una ricerca di tipo tecnico-scientifico, servirà a mettere in luce le competenze in scienza e tecnologia; se il prodotto è un’indagine sociale, servirà a supportare la valutazione in matematica – gli strumenti statistici –,le competenze sociali e civiche ecc.).
I criteri di osservazione sono rappresentati dalle evidenze della competenza con-tenute nelle rubriche; i campi di osservazione descrivono i livelli di padronanza rispetto alle diverse evidenze e sono ripresi dai 5 livelli delle rubriche (cfr gli esempi di curricolo all’indirizzo: www.pearson.it/ladidatticapercompetenze).
In questo modo, in base alla padronanza che l’allievo avrà evidenziato nello svolgimento dell’UDA, sarà possibile valutare il suo lavoro immediatamente collo-candolo su uno dei cinque livelli delle rubriche. L’allievo potrà, nei diversi descritto-ri, collocarsi su una gamma omogenea (ad esempio, sempre sul livello 5), oppure in livelli diversi su evidenze diverse. La valutazione generale rispetto alla competenza in quella UDA risulterà da una ponderazione delle differenti risultanze.
Ne scaturirà un profilo di valutazione che, messo insieme ad altri elementi rac-colti nel tempo (UDA, compiti significativi, esperienze ecc.), potrà contribuire pro-gressivamente a costruire quel profilo generale della padronanza dell’allievo, che intercetterà i livelli della rubrica.
Abbiamo visto che un’UDA serve a mettere a fuoco aspetti di diverse competen-ze, ma una sola certamente non basta a costruire la padronanza della competenza. Infatti, la competenza è una dimensione evolutiva che si costruisce in tempi medio-lunghi e per questo serve un lavoro sistematico, intenzionale, protratto nel tempo per permettere agli allievi di acquisire le conoscenze e le abilità, ma anche di im-parare a utilizzarle per risolvere problemi e gestire consapevolmente situazioni in autonomia e responsabilità, relazionandosi con gli altri.
Quindi, i giudizi di diverse UDA condotte nel tempo su prove e in contesti diversi, i compiti significativi, le osservazioni sul lavoro quotidiano e ordinario dell’allievo alimenteranno tutti quel profilo generale che sarà messo a confronto con i profili
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3 La citazione è tratta dal saggio Che cos’è la cultura (1908) di Gaetano Salvemini (1873-1957).
dei livelli della rubrica. Nessun allievo avrà un profilo generale identico e sovrap-ponibile ai livelli della rubrica, come abbiamo già detto; tuttavia gli sarà attribuito il livello che meglio comprende e rispecchia il suo profilo generale.
Abbiamo già avuto modo di dire che la valutazione dell’UDA può servire a va-lutare, oltre che la competenza, anche il profitto. Poiché nell’UDA si costruiscono conoscenze, abilità e competenze e, infatti, certamente serve a valutare anche il profitto, anzi la valutazione avrà quella sensibilità e completezza maggiore che le deriva dall’aver apprezzato l’alunno in situazione. Nell’esempio di UDA che abbiamo riportato nel capitolo precedente, è stato anche previsto nell’apparato di valutazione che l’UDA sia utilizzata per la valutazione di profitto del singolo docente coinvolto e abbia un certo peso nella valutazione finale. Altra avvertenza: gli aspetti mera-mente legati a conoscenze e abilità possono essere valutati dai singoli docenti inte-ressati, ma la competenza è sempre oggetto di valutazione collegiale, poiché solo la visione concertata di più persone che abbiano potuto osservare l’alunno in contesti significativi diversi potrà esprimere una valutazione attendibile della competenza.
6. Conclusioni
È bene ribadire ancora una volta che l’approccio per competenze non significa che non si devono dare conoscenze. Tuttavia occorre tener presente che oggi la scuola non è più l’unica agenzia che fornisce conoscenza: il suo compito specifico è piuttosto quello di offrire metodi per acquisire conoscenza, per organizzarla in sistemi significativi e per contestualizzarla nell’esperienza.
I contenuti sono veicoli e strumenti di competenza, non fini; vanno operate scel-te per la selezione dei saperi essenziali e quindi è necessario uno sforzo di ricerca di metodologie, tecniche didattiche e atteggiamenti educativi che permettano che questi saperi – fatti di contenuti, concetti, teorie, principi – diventino conoscenza, ovvero capitale permanente della persona, possano supportare le abilità e, insieme a queste, fornire i mattoni per la competenza.
Perché insegnare per competenze?
• Perché sono il significato e lo scopo per cui si apprende.
• Perché sono ciò che effettivamente «resta in noi dopo che abbiamo dimenticato tutto quello che avevamo imparato»3.
• Perché permettono di valorizzare l’esperienza, costruire l’apprendimento attra-verso di essa e rappresentarla tramite la parola che opera riflessione.
• Perché è per questo che gli allievi ci vengono affidati dalla società, per aiutarli a diventare persone e cittadini autonomi e responsabili, capaci di realizzazione personale e sociale, cittadinanza attiva, inclusione; senza ciò nessun apprendi-mento, e prima ancora nessun insegnamento, hanno senso e significato.
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