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Via Circonvallazione delle Vigne - 12013 CCHHIIUUSSAA DDII PPEESSIIOO - CN

C.F.: 96060150040 - e 0171.734611

[email protected] [email protected]

SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO DI PEVERAGNO

INSEGNANTE: prof. Ferraro Igor

CLASSE: II A

ANNO SCOLASTICO: 2016-17

Gli allievi della II A, divisi a gruppi, hanno dato vita a 13 carte da

gioco, su compensato, colorate con apposite vernici ad acqua,

ispirate ad alcuni dei più memorabili personaggi danteschi della

Divina commedia, o, più precisamente, dell’Inferno. Le opere

pittoriche, che ornano in modo permanente il corridoio del

secondo piano della scuola, sono state accompagnate da una breve

scheda riportante alcuni versi del poeta ed una sintetica nota di

commento. Il materiale prodotto, per poter essere meglio fruibile, è

stato poi raccolto nel presente libretto.

Prof. Ferraro Igor

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Dante Alighieri

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura

che la diritta via era smarrita.

(Inferno, I, vv. 1-3).

BURDESE GIOVANNA - TOSELLI CRISTINA

Dante nasce a Firenze nel 1265 da una famiglia della piccola nobiltà fiorentina. Ancor giovane

s’innamora di Beatrice, che morirà nel 1290 all’età di 24-25 anni. Dante nel 1295 si sposa con

Gemma Donati. Nel 1300 viene eletto priore di Firenze (la più alta carica cittadina), schierandosi

con i guelfi bianchi, che vogliono mantenere l’autonomia della città dall’influenza politica di papa

Bonifacio VIII. Nel 1301 Dante si allontana da Firenze per recarsi dal pontefice come

ambasciatore, i guelfi neri, suoi avversari politici, prendono il potere in città e, in sua assenza, lo

condannano all’esilio. Questo fatto lo costringe a vivere presso le corti signorili del tempo (Della

Scala, Da Polenta), chiedendone ospitalità. Muore nel 1321 a Ravenna, dove è sepolto.

Oltre alla Divina Commedia, scrive la Vita nuova (in cui narra del suo amore per Beatrice), le

Rime (una raccolta di versi influenzati dal dolce stil novo) ed il Convivio. In latino invece

compone il De vulgari eloquentia (sulla lingua volgare) ed il De monarchia (sul rapporto tra il

potere imperiale e quello papale).

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Beatrice

Cosí dentro una nuvola di fiori

che da le mani angeliche saliva

e ricadeva in giù dentro e di fori,

sovra candido vel cinta d‟uliva

donna m‟apparve, sotto verde manto

vestita di color di fiamma viva.

(Purgatorio, XXX, vv. 28-33).

MANCA MARGHERITA - MICHELI GIULIA

Anche se di Beatrice non si sa nulla di certo, secondo molti storici la figura dantesca corrisponde

a Bice Portinari, nata a Firenze nel 1266 da Folco Portinari, un uomo ricco e importante che

aveva fondato nella città l’ospedale di Santa Maria Nuova. Nel 1287 Beatrice viene data in

sposa al banchiere Simone dei Bardi, ma muore pochi anni dopo, nel 1290, a soli 24-25 anni.

Nella Vita Nuova Dante afferma di aver incontrato per la prima volta Beatrice all’età di nove

anni e di averla rivista a diciotto, scambiando con lei solo un saluto.

Nella Divina Commedia essa viene rappresentata come una creatura celestiale che accompagna il

poeta in Paradiso. I tre colori della sua veste sono simbolo delle virtù teologali: verde-speranza,

rosso-carità e bianco-fede.

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Virgilio

[…] li parenti miei furon lombardi,

mantovani per patria ambedui.

Nacqui sub Julio, ancor che fosse tardi,

e vissi a Roma sotto „l buono Augusto

al tempo delli dei falsi e bugiardi.

Poeta fui, e cantai di quel giusto

figliuol d‟Anchise che venne da Troia

poi che „l superbo Ilion fu combusto.

(Inferno, I, vv. 68-75).

ROSA SOFIA - SARDINA VIRGINIA

Publio Virgilio Marone nasce a Mantova nel 70 a.C. e muore a Brindisi nel 19 a.C. Figlio di

modesti proprietari terrieri, studia a Cremona, poi a Milano, a Roma ed infine a Napoli. Virgilio

frequenta la corte dell’imperatore Augusto ed il circolo culturale di Mecenate. Nel 19 a.C. si reca

in Grecia ed in Asia. Ad Atene incontra Augusto e rientra con lui in Italia. Durante il viaggio,

però, si ammala e muore poco dopo l’arrivo a Brindisi. Il suo prematuro decesso gli impedisce di

completare l’Eneide. Nel suo testamento chiede che il suo poema venga bruciato in quanto

imperfetto, ma l’imperatore Ottaviano decide di pubblicarlo comunque, anche se incompiuto. Fra

le opere di Virgilio, oltre all’Eneide, si possono ricordare le Egloghe o Bucoliche (37 a.c.) e le

Georgiche, un poema sull’agricoltura che esalta i valori del mondo contadino.

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Il leone

Questi parea che contra me venisse

con la test‟alta e con rabbiosa fame,

sì che parea che l‟aere ne tremesse.

(Inferno, I, vv. 46-48).

SARDINA VIRGINIA - KOSTADINOVA TEODORA - ROSA SOFIA

Dante, uscendo dalla selva oscura inizia a salire per un colle, ma il suo procedere è ostacolato da tre fiere, ossia animali selvatici. Essi sono una lonza, forse una lince, simbolo della lussuria, una lupa, emblema dell’avidità ed un leone, che procede con testa alta, che rappresenta la superbia, la presunzione.

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Caronte

Ed ecco verso noi venir per nave

un vecchio, bianco per antico pelo,

gridando: “Guai a voi, anime prave!

[…]

Quinci fuor quete le lanose gote

al nocchier de la livida palude,

che „ntorno a li occhi avea di fiamme rote.

[…]

Caron dimonio, con occhi di bragia,

loro accennando, tutte le raccoglie;

batte col remo qualunque s‟adagia.

(Inferno, III, vv. 82-84, 97-99, 109-111).

GIORGIS SARA - GIANOLIO CATERINA

Caronte è il nocchiero della mitologia greca che trasporta le anime dei morti da una riva all’altra del fiume Acheronte. Dante riprende questo personaggio da Virgilio, che lo aveva inserito nell’Eneide descrivendolo con barba folta, incolta e bianca e con gli occhi fiammeggianti.

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Minosse

Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:

essamina le colpe nell‟entrata;

giudica e manda secondo ch‟avvinghia.

Dico che quando l‟anima mal nata

li vien dinanzi, tutta si confessa;

e quel conoscitor delle peccata

vede qual luogo d‟inferno è da essa;

cignesi con la coda tante volte

quantunque gradi vuol che giù sia messa.

(Inferno, V, vv. 4-12).

KIBANGOU CELIMA GRACE - LAMBLIN GRACE

Minasse è il leggendario, sapiente e giusto re di Creta trasformato dalla mitologia in giudice

infernale insieme ad Eaco e Radamanto. Con questa funzione compare nell’Eneide di Virgilio.

Nell’inferno di Dante, Minasse avvinghia con la coda il proprio corpo un certo numero di volte

per indicare in quale cerchio è destinata l’anima dannata.

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Paolo e Francesca

Siede la terra dove nata fui

su la marina dove „l Po discende

per aver pace co‟ seguaci sui.

Amor, ch‟al cor gentil ratto s‟apprende,

prese costui della bella persona

che mi fu tolta, e „l modo ancor m‟offende.

Amor ch‟a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte

che, come vedi, ancor non m‟abbandona.

Amor condusse noi ad una morte:

Caina attende chi a vita ci spense”.

[…]

FINA MARTA – MARCHETTI ALESSIA

Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lancialotto come amor lo strinse:

soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fiate li occhi ci sospinse

quella lettura, e scolorocci il viso;

ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso

esser baciato da cotanto amante,

questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi baciò tutto tremante.

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante”.

(Inferno, V, vv. 97-107, 127-138).

Francesca da Polenta nasce a Ravenna da

Guido il Vecchio, signore della città

(morto nel 1310). Si sposa intorno al 1275

con Giovanni Malatesta (detto

Gianciotto), signore di Rimini da cui ebbe

una figlia. Paolo, fratello di Giovanni,

nasce intorno alla metà del 1200 e si

sposa nel 1269. Nel 1282 ricopre la carica

di capitano del popolo a Firenze.

Il duplice omicidio di Paolo e Francesca,

divenuti amanti, ad opera di Giovanni

Malatesta, è databile tra il 1283 e il

1286. Il luogo del delitto rimane incerto:

Pesaro per alcuni, oppure, secondo la

tradizione, il castello di Gradara, vicino a

Cattolica.

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Cerbero

Cerbero, fiera crudele e diversa,

con tre gole canina-mente latra

sopra la gente che quivi è sommersa.

Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,

e „l ventre largo,e unghiate le mani;

graffia li spiriti, scuoia e disquatra.

[…]

Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,

le bocche aperse e mostrocci le sanne:

non avea membro che tenesse fermo.

Lo duca mio distese le sue spanne,

prese la terra, e con piene le pugna

la gittò dentro alle bramose canne.

Qual è quel cane ch'abbaiando agugna,

e si racqueta poi che 'l pasto morde

ché solo a divorarlo intende e pugna,

cotai si fecer quelle facce lorde

dello demonio Cerbero, che 'ntrona

l'anime sì ch'esser vorrebber sorde.

(Inferno, VI, vv. 13-18, 22-33). DUTTO AMOS - CAPELLI SIMONE - MUSANOVIC ARNES

Cerbero, cane mostruoso con tre teste, è figlio di Tifeo e di Echidna ed è il custode dell'Averno

virgiliano. Alighieri segue nel complesso la descrizione fattane da Virgilio e da Ovidio, ma al

Cerbero dantesco mancano i serpenti che si rizzano e vibrano sul collo e sulle tre teste. Inoltre è

retrocesso da guardiano dell'Averno a custode di un solo cerchio dell’Inferno, quello dei golosi.

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Nesso

[…] “Quelli è Nesso,

che morì per la bella Deianira

e fé di sé la vendetta elli stesso.

E quel di mezzo, ch‟al petto si mira,

è il gran Chiron, il qual nodrì Achille;

(Inferno, XII, vv.67-71).

AMORUSO ANGELO

Tra i Centauri, visti da Enea in riposo presso alle porte dell’Averno, il più famoso è Chirone,

artista, medico e scienziato, figlio di Saturno e della ninfa Filira. A lui Teti affida l’educazione

del figlio Achille. Nell’inferno di Dante è il comandante dei centauri che sono a guardia del

Flegetonte, un fiume di sangue bollente entro il quale sono immersi, a seconda della gravità del

peccato, i violenti contro il prossimo. Oltre a Chirone c’è Nesso. Quest’ultimo, innamoratosi di

Deianira, moglie di Ercole, ha tentato di rapirla, ma è stato punito dall’eroe greco col colpo di

una freccia avvelenata nel sangue dell’Idra di Lerna. Nesso morente, a sua volta, si è vendicato

consegnando a Deianira la sua veste bagnata del proprio sangue, facendole credere che, con essa,

una volta indossata dall’uomo, sarebbe riuscita a riconquistarne l’affetto. Ercole, però, messosi la

veste, è entrato in una crisi di furia e ne è morto.

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I suicidi

Non fronda verde, ma di color fosco;

non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti;

non pomi v'eran, ma stecchi con tosco:

non han sì aspri sterpi né sì folti

quelle fiere selvagge che 'n odio hanno

tra Cecina e Corneto i luoghi colti.

Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno

che cacciar de le Strofade i Troiani

con tristo annunzio di futuro danno.

Ali hanno late, e colli e visi umani,

piè con artigli, e pennuto 'l gran ventre;

fanno lamenti in su li alberi strani.

(Inferno, XIII, vv. 4-15).

GROSSO GIACOMO - COPPOLA MATTIA

Le anime dei suicidi nell’Inferno sono trasformate in alberi secchi, privi di quella vita che hanno

rifiutato uccidendosi. Spezzando i rami, però, escono voci lamentose e sangue. Quest’ultima

caratteristica deriva dall’Eneide di Virgilio, più precisamente dal personaggio di Polidoro, uno dei

tanti figli di Priamo, re di Troia, trasformato in cespuglio secco. Dopo il giudizio universale i corpi

dei suicidi verranno appesi ai rami degli alberi di questa foresta. Le arpie sono citate da Virgilio

nell’Eneide e cacciano i Troiani dalle isole Strofadi. Sono mostri femminili con testa umana e

corpo da volatile, assomigliano pertanto alle sirene.

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Gerione

“Ecco la fiera con la coda aguzza,

che passa i monti, e rompe i muri e l‟armi;

ecco colei che tutto „l mondo appuzza!”.

[…]

E quella sozza imagine di froda

sen venne, ed arrivò la testa e „l busto,

ma „n su la riva non trasse la coda.

La faccia sua era faccia d‟uom giusto,

tanto benigna avea di fuor la pelle,

e d‟un serpente tutto l‟altro fusto;

due branche avea pilose infin l‟ascelle,

lo dosso e „l petto e ambedue le coste

dipinti avea di nodi e di rotelle.

[…]

Nel vano tutta sua coda guizzava,

torcendo in su la velenosa forca

ch‟a guisa di scorpion la punta armava.

(Inferno, XVII, vv. 1-3, 7-15, 25-27).

MICHELI GIULIA - MANCA MARGHERITA

Gerione, re dell'isola Eritea, ucciso da Ercole, diventa nell’Inferno di Dante la personificazione

della frode, categoria sotto la quale sono compresi tutti i peccati dell’ottavo e del nono cerchio. I

poeti latini, da Virgilio a Silio Italico, concordano nel definire questo personaggio come un essere

gigantesco, mostruoso con tre corpi ed altrettante teste. Dante ne trasforma l’aspetto in modo che

rappresenti simbolicamente l’inganno: volto da uomo buono e giusto, corpo da serpente dalla pelle

ricoperta da disegni molto colorati, appariscenti, seducenti, zampe pelose con artigli nascosti,

coda da scorpione tenuta anch’essa ben occultata.

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Il conte Ugolino e l‟arcivescovo

Ruggieri

[…] io vidi due ghiacciati in una buca

sì che l‟un capo all‟altro era cappello;

e come „l pan per fame si manduca,

così „l sovran li denti all‟altro pose

là „ve „l cervel s‟aggiugne con la nuca:

[…]

La bocca sollevò dal fiero pasto

quel peccator, forbendola a‟ capelli

del capo ch‟elli avea di retto guasto.

[…]

Quand‟ebbe detto ciò, con li occhi torti

riprese „l teschio misero co‟ denti,

che furo all‟osso, come d‟un can, forti.

(Inferno, XXXII vv. 125-129; XXXIII, vv.1-3, 76-78).

GROSSO LUCA - RENAUDI LUCA

Ugolino della Gherardesca, titolare della contea di Donoratico e signore di varie terre in

Maremma ed in Sardegna, è una figura di primo piano nelle vicende politiche di Pisa nel

ventennio 1270-1290. Di famiglia ghibellina, successivamente entra nella lega con i guelfi e,

arrivato al potere con l’aiuto di questi, si tramuta in un despota. Dal 1276 conquista una

posizione dominante nel governo della città e, nel 1285-86, per rompere la lega contro Pisa

stretta da Genova, Lucca e Firenze, non esita a cedere (a queste due ultime città) alcuni castelli

dello stato pisano. Catturato dai ghibellini, guidati dall’arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini, viene

gettato in carcere insieme ai suoi due figli (Gaddo, Uguccione) e due nipoti (Anselmuccio, Nino

detto il Brigata). Secondo la tradizione sarebbe morto di fame insieme ai suoi congiunti nei primi

mesi del 1289. Ruggieri, arcivescovo di Pisa dal 1278, muore nel 1295.

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Lucifero Lo „mperador del doloroso regno

da mezzo il petto uscìa fuor della ghiaccia;

e più con un gigante io mi convengno,

che giganti non fan con le sue braccia:

vedi oggimai quant‟esser dee quel tutto

ch‟a così fatta parte si confaccia.

S‟el fu sì bello com‟elli è or brutto,

e contra „l suo fattore alzò le ciglia,

ben dee da lui procedere ogni lutto.

Oh quanto parve a me gran maraviglia

quand‟io vidi tre facce alla sua testa!

L‟una dinanzi, e quella era vermiglia;

l‟altr‟eran due, che s‟aggiugnìeno a questa

sovresso „l mezzo di ciascuna spalla,

e sé giugnìeno al luogo della cresta:

e la destra parea tra bianca e gialla;

la sinistra a vedere era tal quali

vegnon di là onde „l Nilo s‟avvalla.

Sotto ciascuna uscivan due grand‟ali

quanto si convenìa a tanto uccello:

vele di mar non vid‟io mai cotali.

Non avean penne, ma di vispistrello

era lor modo; e quelle svolazzava

sì che tre venti si movean da ello:

quindi Cocito tutto s‟aggelava.

Con sei occhi piangea, e per tre menti

gocciava „l pianto e sanguinosa bava.

Da ogni bocca dirompea co‟ denti

un peccatore, a guisa di maciulla,

sì che tre ne facea così dolenti.

Lucifero, secondo la tradizione, è stato il più

bello degli angeli prima di farsi capo della

ribellione contro Dio. Nell’Inferno di Dante il

suo aspetto fisico è quasi la parodia

caricaturale della Trinità in quanto ha una

sola testa, ma suddivisa in tre facce. La

prima, quella centrale, sovrastante il petto,

rappresenta l’odio (contro Dio e l’uomo).

Questo sentimento sarebbe indicato dal

colore rosso, lo stesso della passione

amorosa, ma volta al male. La seconda

faccia, quella giallognola, simboleggia

l’invidia e l’avarizia. L’ultima, quella nera,

allude all’ignoranza o all’intelligenza

distorta, volta al peccato. Inoltre ha sei

braccia e sei ali da pipistrello e senza le

piume, tipiche degli angeli. Secondo

l’Antonelli il Lucifero dantesco sarebbe alto

1230 metri circa.

Il reato dei peccatori maciullati riguarda Dio

direttamente (Gesù - Giuda) o la figura

dell’imperatore (Giulio Cesare – Bruto e

Cassio). Per Dante la monarchia sarebbe

un’istituzione di origine divina. Nella

mentalità del poeta non c’è la distinzione tra

la sfera politica e quella religiosa, e, perciò,

un reato politico è, automaticamente, anche

religioso. Giuda è il peccatore stritolato dalla

bocca anteriore. Lateralmente, invece, vi

sono Marco Giunio Bruto e Cassio Longino.

Essi, tra i più attivi artefici della congiura

contro Cesare, una volta fuggiti da Roma

muoiono nella battaglia di Filippi (41 a. C).

(Inferno, XXXIV, vv. 28-57).

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GROSSO ERIKA - KOSTADINOVA TEODORA - VERGARO VITTORIA

Fine