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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO-LETTERALI, STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI

Relazione per il Corso di Diritto Penale progreditonel Corso di Laurea in Giurisprudenza, LMG-01

A.A. 2017/201812 aprile 2018

IL CASO CAPPATO

Alessio Bigi, Sara Nicchi

Relatore: Dott. Nicolò Amore

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INDICE:

1. La ricostruzione della vicenda

1.1. Lo svolgimento dei fatti………………………………………………………………………….3

1.2. Il processo all’On. Cappato: dalla richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero, all’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale della Corte d’Assise………………………………………………………………………………………………4

2. Il quadro normativo: la tutela della vita nell’ordinamento italiano

2.1. Il bene della vita nel codice fascista……………………………………………………………..6

2.2. Dall’epoca fascista all’epoca repubblicana: la Costituzione e il principio di autodeterminazione………………………………...............................................................................7

3. L’istigazione al suicidio come delitto

3.1. La ratio politico-criminale e la struttura della fattispecie…………………………………………………………………………………...……….10

3.2. Le condotte incriminate: L’istigazione e il rafforzamento del proposito suicidiario…………………………...................................................................................................11

3.2. L’agevolazione al suicidio……………………………………………………………………...11

3.3. L’evento e il nesso di causalità………………………………………………………………………………….………….12

4 Alcuni spunti ricostruttivi sul caso Cappato

4.1. L’inadeguatezza della spiegazione causale dei nessi tra condotte e le sue conseguenze………………………………………………………………………………….……...13

4.2. Una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 580 al suicidio………………………………………………………………………………………….…..16

4.3. L’aiuto a morire può costituire un diritto?.............................................................. …..............17

BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………………...……19

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1. La ricostruzione della vicenda

1.1. Lo svolgimento dei fatti

Il 13 giugno del 2014 Fabiano Antoniani fu vittima di un incidente stradale che gli cagionò una

paralisi totale e la cecità; ne rimanevano, tuttavia, inalterate le capacità intellettive e la sensibilità al

dolore. Le sue condizioni apparvero da subito molto gravi, ma egli non si rassegnò. Per tentare di

migliorare le sue condizioni, decise di sottoporsi a molteplici trattamenti, tra cui un trapianto di

cellule staminali che si fece somministrare in India. Quest’ultima terapia apportò inizialmente

alcuni miglioramenti, ma, al pari delle altre, si dimostrò in fin dei conti non risolutiva. In seguito a

questo ennesimo fallimento, il sig. Antoniani maturò il proposito di porre fine alla sua vita, che

ormai percepiva come una “prigione”1. Il suo corpo, infatti, era percorso da “spasmi di sofferenza”2;

la nutrizione e la respirazione erano assistite; i farmaci prescritti alleviavano il dolore, ma

pregiudicavano le poche capacità di interazione che ancora gli rimanevano3.

Di fronte ai tentativi della madre e della fidanzata di farlo desistere dall’intento suicidiario, il sig.

Antoniani rispondeva con il silenzio.

La fidanzata Valeria Imbrogno decise allora di reperire tutte le informazioni necessarie a dar seguito

alla sua volontà, ed entrò in contatto con Marco Cappato, esponente dell’Associazione Luca

Coscioni, che offre assistenza in questo ambito. Quest’ultimo incontrò personalmente l’Antoniani, e

gli prospettò le diverse alternative che aveva a disposizione per realizzare il suo intento. In

particolare, gli prospettò la possibilità di ricorrere alla “strada svizzera, ma c’era anche la strada

italiana, che avrebbe potuto consistere nell’interruzione di qualsiasi trattamento accompagnato

dalla sedazione profonda”4. Il sig. Fabiano Antoniani decise infine di optare per la procedura di

accompagnamento alla morte volontaria, non volendo andare incontro alla lunga agonia derivante

dalla mera rinuncia alle cure. Si affidò pertanto all’associazione elvetica Dignitas.

Il giorno 25 febbraio 2017 Cappato accompagnò l’Antoniani e la madre in Svizzera, seguiti dalla

fidanzata Valeria. Dopo essere stato sottoposto a tutti gli accertamenti medici richiesti

dall’associazione5, il 27 febbraio Fabiano si suicidava, premendo con la bocca lo stantuffo di una

siringa contenente un narcotico che procura dapprima un coma profondo, e in seguito la morte.

1 Cfr. SIT di Veneroni, 4.4.2017.2 Cfr. SIT di Enriquez Montecel, 6.4.2017.3 Cfr. verbale di interrogatorio di Cappato Marco, 3.4.2017.4 Cfr. verbale di interrogatorio di Cappato Marco, 3.4.2017.5 Per procedere al suicidio assistito l’associazione Dignitas prevede che: l’interessato paghi la quota associativa, divenendo membro; abbia una capacità di discernimento; sia in grado di compiere azioni fisiche minime, in modo tale che sia egli stesso a compiere l’ultimo atto, costituendo l’eutanasia attiva reato anche in Svizzera; abbia dolori insopportabili e/o un handicap intollerabile e/o una malattia che determini inevitabilmente la morte. Tutte le procedure di accertamento previste sono volte a verificare la sussistenza di tali requisiti (cfr, www.dignitas.ch/).

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Il giorno seguente, l’On. Marco Cappato si presentò spontaneamente presso la stazione dei

Carabinieri di Milano per esporre la vicenda.

1.2. Il processo all’On. Cappato: dalla richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero,

all’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale della Corte d’Assise.

La Procura instaurò immediatamente un procedimento contro l’On. Cappato, qualificando la sua

condotta come agevolazione materiale al suicidio di cui all’art. 580, I c. c.p. Veniva, infatti, esclusa

sia l’applicabilità dell’art. 579 c.p. ( “omicidio del consenziente”)6 sia la possibilità di ricondurre la

condotta di Cappato all’istigazione o al rafforzamento del proposito suicidiario, tipizzata anch’essa

dall’art. 580 c.p. Secondo la Procura di Milano, infatti, all’indagato non sarebbe stato possibile

contestare la partecipazione morale al suicidio, non avendo egli influito sul processo di formazione

della volontà suicida dell’Antoniani7. Il sig. Cappato, infatti, si sarebbe limitato ad accompagnare

l’Antoniani alla clinica, partecipando poi in minima parte agli accertamenti prodromici alla

somministrazione del farmaco letale. Invero, per la consolidata giurisprudenza della Corte di

Cassazione, “perché si realizzi la suddetta ipotesi criminosa, è sufficiente che l’agente abbia posto

in essere, volontariamente e consapevolmente, un qualsiasi comportamento che abbia reso più

agevole la realizzazione del suicidio”8. Nondimeno, il Pubblico Ministero decide di proporre

un’interpretazione più restrittiva del concetto di “agevolazione”, circoscrivendo la rilevanza penale

della condotta alla sola fase esecutiva del suicidio, restata estranea all’indagato.

Inoltre, si sottolineava che sarebbe in ogni caso da escludersi la sussistenza del nesso di causalità tra

le condotte del Cappato e il suicidio del sig. Antoniani, in quanto l’esecuzione dell’atto contra

vitam era avvenuta sotto il controllo e la direzione dei soli operatori della Dignitas; le condotte del

Cappato, pertanto, rappresenterebbero meri atti preparatori all’esecuzione del suicidio, come tali

penalmente irrilevanti.

Infine, il Pubblico Ministero si è interrogato sulla libertà di scegliere quando e come morire in

rapporto “all’assoluta indisponibilità del bene giuridico della vita”9 prevista dal Codice Rocco,

giungendo ad affermare che il diritto alla vita, nel caso di specie, debba incontrare un limite nella

libertà di autodeterminazione del soggetto, a salvaguardia della c.d. “dignità della figura umana”.

Infatti, il diritto alla vita, implicitamente riconosciuto dalla nostra Costituzione ed espressamente

disciplinato, tra l’altro, dall’art. 2 CEDU, può anch’esso entrare in bilanciamento con altri beni

6 L’art. 579 c.p. presuppone che l’atto finale venga compiuto da un soggetto terzo, mentre nel caso di specie il Sig. Antoniani si è dato la morte autonomamente.7 Procura della Repubblica di Milano, Richiesta di archiviazione del 26 aprile 2017, proc. 9609/2017 R.G.N.R.., PP.MM. Siciliano e Arduini, ind. Cappato, in Diritto penale contemporaneo, 2017.8 Cfr. Cass. Pen., Sez. I, 6.02.1998 n. 3147, in Riv. Pen., 1998, p. 466 ss.9 Procura della Repubblica di Milano, Richiesta di archiviazione del 26 aprile 2017, proc. 9609/2017 R.G.N.R., PP.MM. Siciliano e Arduini, ind. Cappato, in Diritto penale contemporaneo, 2017.

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giuridici di pari rango, e può perciò essere anche ritenuto soccombente in determinati casi. Nel caso

di specie, il PM ha ritenuto che il diritto alla vita poteva soccombere poiché se il sig. Antoniani non

avesse optato per la strada svizzera avrebbe potuto o continuare a vivere in condizioni da lui stesso

considerate degradanti, ovvero interrompere le cure andando incontro a una lunga agonia. In

entrambi i casi, vi sarebbe stata una lesione della sua dignità umana.

Sulla base di queste argomentazioni, il Pubblico Ministero chiedeva al GIP l’archiviazione del

procedimento o, in subordine, che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 580

c.p. per escludere la punibilità della condotta di agevolazione al suicidio quando sia volta a attuare

la volontà di un soggetto, malato terminale o irreversibile, che consideri la propria vita non più

dignitosa.

Il Giudice per le Indagini Preliminari ha inquadrato la fattispecie concreta nell’art. 580 c.p.,

qualificando, tuttavia, la condotta del Cappato non solo come partecipazione materiale al suicidio,

ma anche come rafforzamento del proposito suicidiario. Egli, infatti, ha ritenuto che il sig.

Antoniani sia venuto a conoscenza della possibilità di suicidarsi in Svizzera solo a seguito

dell’intervento dell’indagato, che avrebbe perciò indubbiamente contribuito a rendere concreta la

volontà precedentemente maturata.

Rispetto alla nozione di agevolazione, il Giudice ha respinto la lettura restrittiva fornita dal

Pubblico Ministero, sposando la già richiamata interpretazione della Corte di Cassazione10, ritenuta

più conforme al tenore letterale della norma. Inoltre, in ossequio alla teoria condizionalistica, il GIP

ha ritenuto sussistente il nesso di causalità, in quanto ha sostenuto che eliminando le condotte di

Cappato, il suicidio dell’Antoniani non si sarebbe mai realizzato con quelle specifiche modalità.

Pertanto, il GIP ha rigettato la richiesta di archiviazione ed ha ordinato al PM di formulare

l’imputazione per l’art. 580 c.p., nei confronti di Marco Cappato, anche per la condotta di

rafforzamento del proposito suicidiario.

Nel prosieguo dell’ordinanza, il GIP si richiama ad alcuni precedenti11 per corroborare l’inesistenza

del “diritto a una morte dignitosa” sostenuto dal PM. Secondo il giudice, infatti, non vi sarebbe

un’esplicita previsione normativa che legittimi una simile scelta, poiché dal combinato disposto

degli artt. 2 e 32 Cost. sarebbe desumibile solo un diritto a “lasciarsi morire”12. D’altra parte, se si

riconoscesse il diritto a una morte dignitosa in assenza di un’apposita previsione normativa, si

configurerebbe una violazione della riserva di legge, non potendo il giudice sostituirsi al legislatore.

10 Ib-idem.11 Sentenza GUP di Roma del 23.7.2007 (caso Welby); Cass. Civ., sez. I, 16.10.2007 n. 21748 (caso Englaro).12 Esso consiste nella libertà dell’individuo di esprimere il rifiuto ad un trattamento sanitario, a prescindere dalle conseguenze che ne deriverebbero. Il diritto a morire, invece, consisterebbe nella possibilità di scegliere quando e come porre fine ad un’esistenza concepita come non più dignitosa.

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Analizzando, poi, la giurisprudenza della Corte EDU in relazione agli artt. 2 e 8 CEDU 13 –

rispettivamente “diritto alla vita” e “diritto al rispetto della vita privata e familiare” – il GIP ha

osservato che l’incriminazione di condotte di aiuto al suicidio non contrasta neppure con la

Convenzione, in quanto, in caso contrario, la Corte avrebbe contestato la violazione dei predetti

articoli a quegli Stati che prevedono fattispecie analoghe all’art. 580 c.p. Dalle decisioni richiamate,

invece, si evincerebbe come dalla CEDU non discenda alcun divieto né obbligo di incriminazione

delle condotte di aiuto al suicidio, ma solo l’esigenza di proteggere tutti quei soggetti deboli che, a

causa delle condizioni patologiche in cui versano, non sono dotati della piena capacità di

discernimento, e che, dunque, potrebbero essere indotti da terzi soggetti a compiere atti

pregiudizievoli per la loro esistenza ovvero essere aiutati a morire, pur non avendo piena coscienza

del gesto suicidiario14. La Corte, a tal proposito, richiederebbe agli Stati di esercitare un controllo

sulle attività che possano mettere in pericolo la vita e la sicurezza dei terzi, in particolar modo

quelle dei soggetti più vulnerabili. Peraltro, l’art. 580 c.p., secondo il GIP, assicurerebbe una tutela

di questo tipo poiché punisce proprio condotte che favoriscono la realizzazione del suicidio, anche

in presenza di situazioni di fragilità e debolezza.

Sulla base delle suddette osservazioni, il GIP non ha ritenuto di sollevare la questione di legittimità

costituzionale richiestagli.

Il 10 luglio 2017 Marco Cappato viene perciò rinviato a giudizio dinnanzi alla Corte d’Assise di

Milano.

La Corte d’Assise, valutate le risultanze istruttorie, ha escluso che le condotte dell’imputato

potessero costituire un rafforzamento del proposito suicidiario, ritenendo invece sussistente la sola

condotta di agevolazione. Attraverso un’analisi dei principi costituzionali dettati agli artt. 2 e 13 co.

1 della Costituzione, degli artt. 2 e 8 CEDU, nonché della casistica già richiamata dal PM e dal GIP,

la Corte ha affermato che esiste un pieno diritto ad autodeterminarsi su quando e come porre fine

alla propria esistenza, non limitato perciò al solo diritto di “lasciarsi morire”. Tale conclusione si

evincerebbe anche dalla legge 219 del 22 dicembre 2017, nella misura in cui il legislatore ha

riconosciuto per ciascun individuo la possibilità di disporre anticipatamente circa i trattamenti

sanitari a cui esser sottoposto, nonché il diritto di scegliere di porre fine alla propria vita

rinunciando alle cure. Tali diritti sono stati subordinati solo al c.d. consenso informato, cioè alla

13 Corte Edu, sez IV, sent. 29.04.2002, ric. n. 2346/2002, Pretty c. Regno Unito; Corte Edu, sez. I, sent. 20.11.2011, ric. n. 31322/07, Haas c. Svizzera; Corte Edu, sez. V, sent. 19.06.2012, ric. n. 497/09, Koch c. Germania; Corte Edu, sez. II, sent. 14.05.2013, ric. n. 67810/2010, Gross c. Svizzera.14 Cosi la Corte, individuando nella predetta esigenza di tutela la ratio della legge inglese che vieta il ricorso all’aiuto al suicidio, ha affermato: «La natura generale del divieto di suicidio assistito non è sproporzionata. La Corte conclude che l’ingerenza in contestazione può essere considerata giustificata in quanto necessaria, in una società democratica, per la protezione dei diritti altrui». (Corte Edu, sez IV, sent. 29.04.2002, ric. n. 2346/2002, Pretty c. Regno Unito).

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consapevole e autonoma determinazione a favore del rifiuto, e sono garantiti indipendentemente

dalle conseguenze che da esso deriverebbero.

Sulla base di tali argomentazioni, la Corte d’Assise ha rilevato come il bene giuridico tutelato

dall’art. 580 c.p. debba individuarsi nella libertà e nella consapevolezza della decisione suicidiaria

del soggetto passivo15. Conseguentemente, dovrebbe escludersi la rilevanza penale delle condotte di

agevolazione al suicidio, poiché queste non incidono sul processo di deliberazione del soggetto.

Peraltro, le persone vulnerabili sarebbero comunque tutelate in quanto è possibile effettuare

un’indagine sul percorso deliberativo del suicida e sulla pluralità di condotte che possono averlo

alterato.

Per questi motivi, la Corte d’Assise ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 580

c.p. nella parte in cui incrimina le condotte di agevolazione al suicidio non lesive del bene giuridico

tutelato, contestando altresì la violazione del principio di proporzione, nella misura in cui sottopone

alla medesima cornice edittale sia la partecipazione morale che quella materiale al suicidio.

2. Il quadro normativo: la tutela della vita nell’ordinamento italiano

2.1. Il bene della vita nel codice fascista

Analizzando più approfonditamente il caso Cappato, occorre innanzitutto soffermarsi sul valore che

il bene della vita aveva in epoca fascista. Il Codice Rocco, infatti, è frutto di un regime in cui si

riteneva che “l’esistenza umana appartenesse a Dio, alla Patria, allo Stato, alla società, alla famiglia:

a tutti questi ordinamenti superindividuali, ma non all’individuo”16. La vita era vista come

presupposto indispensabile per l’adempimento dei doveri sociali del singolo, conseguentemente il

codice penale attribuiva al bene della vita un carattere di “indisponibilità tendenzialmente

assoluta”17. Ciò sarebbe confermato dagli artt. 579 e 580 c.p., dalla cui analisi è possibile desumere

come il legislatore del 1930 abbia voluto fornire al bene della vita una tutela penale oggettiva e

assoluta, a prescindere perciò anche dalla volontà del titolare del diritto alla vita. Nell’omicidio del

consenziente, infatti, il consenso non esclude l’antigiuridicità del fatto18 ma lo sottopone a un

trattamento sanzionatorio più mite19 rispetto all’omicidio ex art. 575 c.p.20. Ne consegue che il

15 Si tratta di tutelare la persona da manifestazioni volontaristiche determinate dalla sua sola condizione di fragilità, in assenza, perciò, di quel processo di scelta più consapevole e meditato che si ritiene indispensabile per sostenere scelte di questo tipo. In poche parole, si vuole evitare che si decida di porre fine alla propria esistenza in situazioni di grave disordine mentale, tali da far scemare grandemente la capacità dell’infermo di determinarsi autonomamente. 16 F. GIUNTA, Diritto di morire e diritto penale i termini di una relazione problematica, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1997, p.74.17 G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale. Vol. I: I delitti contro la persona, 2012, p. 3.18 La non operatività dell’art. 50 c.p., ai sensi del quale “non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne” è sintomatica dell’originaria indisponibilità del bene della vita.19 D. PULITANÒ, Diritto penale. Parte speciale, Vol. I, Tutela penale della persona. Torino, 2014, p. 26. 20 Nel primo caso, la cornice edittale va da sei a quindici anni; nel secondo caso, la reclusione non è inferiore ad anni ventuno.

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titolare del diritto alla vita non possa renderla disponibile ai terzi21. Al contempo, l’art. 580 c.p.,

incrimina le condotte di terzi anche quando agiscano su richiesta del soggetto passivo; pertanto, la

punibilità dell’aiuto al suicidio sarebbe incondizionata22 e non inficiata neanche dal consenso

eventualmente prestato. L’impossibilità di rendere la propria vita disponibile ad altri soggetti, già

sancita dagli artt. 579 e 580 c.p., è altresì testimoniata da un passaggio della relazione del Presidente

della Commissione Ministeriale Appiani, durante i lavori preparatori del Codice Rocco: “non vi è

dubbio, per ragioni […] che si ricollegano con la prevalenza dell’interesse statuale e sociale

sull’egoismo individuale, che la vita umana e l’integrità fisica siano beni, di cui non si può

liberamente disporre”23.

2.2. Dall’epoca fascista all’epoca repubblicana: la Costituzione e il principio di

autodeterminazione

Con la fine dell’esperienza fascista, sono state introdotte nell’ordinamento fonti sovraordinate alla

legislazione ordinaria, che sono espressione di valori non coincidenti con quelli propri del regime

totalitario. Occorre, pertanto, valutare come la “statualizzazione”24 del bene vita, e la conseguente

indisponibilità delineata dal codice fascista, si rapporti ai nuovi valori costituzionali affermatisi in

età repubblicana.

Nella Carta costituzionale non vi è un esplicito riconoscimento del diritto alla vita, ma questo viene

pacificamente annoverato tra i diritti inviolabili dell’individuo riconosciuti dall’art. 2 Cost., di cui

costituisce il presupposto. Il fondamento costituzionale del diritto alla vita, pertanto, viene

rinvenuto innanzitutto nell’art. 2 Cost., e altresì nell’art. 27 co. 4 Cost., in quanto il divieto della

pena di morte è considerato “proiezione della garanzia accordata al bene fondamentale della vita”25.

Peraltro, anche nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il diritto alla vita - espressamente

riconosciuto all’art. 2 – viene assunto come presupposto degli altri diritti e libertà in essa

riconosciuti26.

Già da questa breve ricostruzione è possibile evincere come, con l’avvento della Costituzione, la

concezione collettivistica del bene della vita di stampo fascista sia stata messa in discussione a

favore di una concezione dell’individuo come “entità autonoma”, svincolato da logiche prettamente

statualistiche. Infatti, fin dalla Prima Sottocommissione dell’Assemblea Costituente, competente in

materia di diritti e doveri dei cittadini, si affermò l’esigenza di riconoscere “la precedenza

21 D. PULITANÒ, Diritto penale. Parte speciale, Vol. I, Tutela penale della persona. Torino, 2014, p. 26.22 Ib-idem.23 Relazione introduttiva del Presidente della Commissione Ministeriale Appiani, in lavori preparatori 1929 pt. I, 478.24 Cfr. F. GIUNTA, op. cit., p. 4.25 C. Cost., sent. 25.06.1996 n. 223, § 4, in https://www.cortecostituzionale.it/actionPronuncia.do.26 Corte Edu, sez IV, sent. 29.04.2002, ric. n. 2346/2002, Pretty c. Regno Unito, § 37.

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sostanziale della persona umana (intesa nella completezza dei suoi valori e dei suoi bisogni non

solo materiali, ma anche spirituali) rispetto allo Stato e la destinazione di questo a servizio di

quella”27. Da qui emerge chiaramente la volontà di attribuire all’individuo un’importanza

preminente rispetto allo Stato, differentemente da quel che era accaduto durante l’esperienza

fascista, in cui l’individuo era concepito invece come sua funzione. Di tale volontà – che costituisce

l’essenza del principio personalistico – è imperniata l’intera Costituzione, che del predetto principio

fa la sua colonna portante. Infatti, sono innumerevoli gli articoli della Costituzione da cui è

possibile desumere la centralità dell’individuo: si pensi, ad esempio, agli artt. 2 e 3 co. 2 Cost., che

sanciscono rispettivamente l’inviolabilità dei diritti dell’uomo e il dovere dello Stato di assicurare il

pieno sviluppo della persona umana; al principio dell’habeas corpus, previsto dall’art. 13 Cost.; alle

libertà religione e di manifestazione del pensiero, di cui agli artt. 19 e 21 Cost.; nonché all’art. 32

Cost. che sancisce il diritto alla salute e individua nel “rispetto della persona umana” un limite ai

trattamenti sanitari obbligatori.

È proprio quest’ultimo articolo che consente di ritenere superata la concezione collettivistica del

bene della vita e l’indisponibilità assoluta che ne discendeva. Partendo dal divieto di trattamenti

sanitari obbligatori consentiti solo su espressa previsione legislativa e comunque nel rispetto della

dignità, infatti, la Corte di Cassazione, nel già richiamato caso Englaro, è giunta ad affermare che

“il diritto all’autodeterminazione terapeutica del paziente non incontra un limite allorché da esso

consegue il sacrificio del bene della vita”. Con tale pronuncia, la Corte ha riconosciuto che

l’individuo possa disporre della propria vita, rinunziandovi, mediante la decisione di interrompere i

trattamenti terapeutici che lo tengono in vita, purché il rifiuto sia informato, autentico ed attuale28.

Risulta, quindi, evidente come la preminenza riconosciuta all’autodeterminazione (terapeutica)

abbia attenuato l’assoluta indisponibilità del bene della vita. Inoltre, essa non può neppure essere

riaffermata in base al principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost.: difatti, seppur l’art. 2 cit. richieda

ai cittadini “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”,

tale principio non ha più la portata che aveva nel regime fascista. Invero, l’assetto personalistico

della Costituzione impone di non considerare il principio solidaristico come assoluto, facendo

perciò prevalere le istanze collettivistiche solo laddove l’esercizio di un diritto individuale cagioni

un danno effettivo alla collettività29.

Anche nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che pure sancisce che il principio della

sacralità della vita30, la Corte EDU ha riconosciuto la rilevanza della volontà dell’individuo anche

27 On. G. DOSSETTI, Ordine del giorno 9 settembre 1946, in Resoconto sommario della seduta di lunedì 9 settembre 1946, p. 21, (v. http://www.camera.it/_dati/costituente/lavori/I_Sottocommissione/sed003/sed003.pdf).28 Cass. Civ., sez. I, 16.10.2007 n. 21748. 29 Cfr. F. GIUNTA, Op. cit., p. 19.30 Articolo 2 CEDU «Diritto alla vita»:

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con riferimento alle scelte che implicano la disposizione del bene della vita. Sia nella sentenza Haas

che nella sentenza Gross, infatti, la Corte ha affermato che il diritto dell’individuo di decidere

quando e come finirà la propria esistenza è espressione del diritto al rispetto della vita privata e

familiare, espressamente tutelato dall’art. 8 CEDU31.

Alla luce di questo quadro normativo, occorre valutare se e in che misura la tutela del bene della

vita delineata dal Codice Rocco, e in particolar modo dall’art. 580 c.p., debba essere ripensata.

3. L’istigazione al suicidio come delitto

3.1. La ratio politico-criminale e la struttura della fattispecie

L’art. 580 co. I c.p. recita: “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di

suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la

reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a

cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima .”

La fattispecie in esame punisce la partecipazione dolosa ad un fatto che non costituisce reato: il

suicidio32. Appare evidente che il bene giuridico tutelato sia la vita umana e l’incolumità della

persona, in quanto si punisce anche il suicidio nella sua forma tentata ove da esso derivino lesioni

gravi o gravissime.

Per individuare la ratio originaria della norma occorre ricordare che essa è stata introdotta in una

società fondata sul principio della sacralità della vita, in cui, pertanto, il suicidio era visto come un

fatto disapprovato. In quest’ottica, l’irrilevanza penale dall’atto contra vitam deriverebbe sia

dall’impossibilità materiale di punire colui che ha realizzato l’offesa al bene giuridico, ossia il

suicida33; sia, al contempo, da una scelta politico-criminale: minacciare una sanzione penale anche

per colui che si suicida, infatti, potrebbe spingere il soggetto a cercare nuovamente la morte, o a

«Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena. La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: (a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale; (b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta; (c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione».31 Corte Edu, sez. I, sent. 20.11.2011, ric. n. 31322/07, Haas c. Svizzera, § 51: «La Corte considera che il diritto di un individuo di decidere con quali mezzi e a che punto la propria vita finirà, ammesso che egli o ella sia in grado di raggiungere liberamente una decisione su questa questione ed agire di conseguenza, è uno degli aspetti del diritto al rispetto della vita privata entro il significato dell’art. 8 Convenzione». Corte Edu, sez. II, sent. 14.05.2013, ric. n. 67810/2010, Gross c. Svizzera, § 60: «[…] la Corte considera che il desiderio della richiedente di essere dotata di una dose di Pentobarbital, così consentendole di terminare la propria vita, ricade all’interno del diritto al rispetto della vita privata, entro l’art. 8 Conv.». 32 Cfr. G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 43; Cfr. A. VALSECCHI e T. TRINCHERA, sub art. 580, in Codice penale commentato (a cura di E. DOLCINI e G. L. GATTA), Milano 2015, p. 2934.33 Il nostro ordinamento, infatti, non conosce misure applicabili al cadavere o al patrimonio del suicida. Cfr. G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 42.

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Page 11: dirittopenaleunitus.files.wordpress.com · Web viewper corroborare l’inesistenza del “diritto a una morte dignitosa” sostenuto dal PM. Secondo il giudice, infatti, non vi sarebbe

progettarla ancor più minuziosamente, anziché avere un effetto deterrente34. Per tali ragioni il

legislatore ha scelto di prevedere una fattispecie ad hoc che incriminasse le condotte di istigazione e

aiuto all’altrui suicidio, affinché potesse essere assicurata la tutela del bene della vita.

Al fine di assicurare una tutela più ampia possibile, il legislatore ha pensato il reato di cui all’art.

580 c.p. come reato comune a più fattispecie. Le condotte che vengono in rilievo sono l’istigazione

al suicidio, ovvero il rafforzamento del proposito suicidiario o l’aiuto materiale al suicidio. Inoltre,

l’assenza di una nota modale (si tratta di un reato a forma libera) consentirebbe di ritenere integrata

la partecipazione anche in presenza di una condotta omissiva35. Infine, l’art. 580 c.p. si configura

come reato di danno, poiché le predette condotte sono punibili in tanto quanto si verifichi l’evento

morte o lesione grave o gravissima36.

3.2. Le condotte incriminate: l’istigazione e il rafforzamento del proposito suicidiario

L’art. 580 c.p. incrimina forme di partecipazione morale (o psichica) e materiale al suicidio. Tra le

prime rientrano l’istigazione e il rafforzamento del proposito suicidiario.

Per istigazione si intendono tutte quelle condotte che determinano – ossia fanno sorgere – nel

soggetto passivo un intento suicidiario prima inesistente. Il rafforzamento, invece, si sostanzia in

una condotta che consolida l’altrui volontà suicida, precedentemente maturata37.

Entrambe le forme di partecipazione, quindi, agiscono sul piano psicologico, e stante l’assenza di

una tipizzazione modale, possono realizzarsi in qualsiasi forma, purché diretta per l’appunto a far

sorgere o a rafforzare in altri un “impulso autodistruttivo”38.

3.2. L’agevolazione al suicidio

La partecipazione materiale, invece, è integrata da condotte che agevolano, materialmente e

dolosamente, l’esecuzione del gesto suicidiario. Qualora l’aiuto dovesse esplicarsi sul piano

34 La relazione del progetto definitivo del Codice Rocco affermava: “il principio che l’individuo non possa liberamente disporre della propria vita, inteso in senso assoluto e rigoroso, indusse taluno ad affermare la penale incriminabilità del suicidio […]. Prevalenti considerazioni politiche, ispirate a ragioni di prevenzione, ossia precisamente allo scopo di contribuire alla conservazione del bene giuridico della vita, impedendo che di essa si faccia scempio con più mediata preordinazione dei mezzi e con più ponderata esecuzione per tema di incorrere negli errori della legge penale, hanno indotto le legislazioni più recenti ad escludere il suicidio dal novero dei reati, limitando la punizione ai casi di partecipazione all’altrui suicidio”.35 Muovendo dall’art. 40 c.p., potrebbe ritenersi che un’ipotesi del genere possa configurarsi in caso di inosservanza di obblighi giuridici di custodia o assistenza volti ad impedire l’altrui suicidio. Va comunque rilevato che il dovere di impedire l’evento incontra un limite nell’autodeterminazione del soggetto passivo.36 Cfr. G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 44; A. VALSECCHI e T. TRINCHERA, sub art. 580, in Codice penale commentato (a cura di E. DOLCINI e G. L. GATTA), Milano 2015, p. 2937.37 Cfr. D. TASSINARI, sub art. 580, in Codice penale (a cura di T. PADOVANI), Milano 2014, pp. 2-3.38 Cfr. A. VALSECCHI e T. TRINCHERA, sub art. 580, in Codice penale commentato (a cura di E. DOLCINI e G. L. GATTA), Milano 2015, p. 2935.

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Page 12: dirittopenaleunitus.files.wordpress.com · Web viewper corroborare l’inesistenza del “diritto a una morte dignitosa” sostenuto dal PM. Secondo il giudice, infatti, non vi sarebbe

psichico, traducendosi in un “aiuto morale”, si configurerebbe una forma di partecipazione morale,

riconducibile alle altre condotte contemplate dall’art. 580 c.p.39.

Rispetto al concetto di “agevolazione al suicidio” si sono posti dei problemi interpretativi che sono

stati risolti in maniera differente sia in dottrina che in giurisprudenza.

Una delle prime interpretazioni ravvisa nell’incidenza della condotta di agevolazione sul processo

decisionale del suicida un elemento essenziale della partecipazione materiale: le condotte di aiuto al

suicidio, per essere penalmente rilevanti, dovrebbero determinare anche un rafforzamento del

proposito suicidiario e non solo dare attuazione ad una volontà già precedentemente maturata40.

Tale impostazione, tuttavia, non ha trovato seguito nella giurisprudenza di legittimità, secondo la

quale le condotte contemplate all’art. 580 c.p. sarebbero tra loro alternative: muovendo da tale

presupposto, infatti, la Corte di Cassazione è giunta ad affermare che la condotta di agevolazione

sarebbe integrata da qualsiasi contributo materiale che faciliti, volontariamente e consapevolmente,

la realizzazione del suicidio. Pertanto, non sarebbe necessario che le condotte influiscano sul

processo di formazione della decisione suicidiaria, essendo, invece, richiesto che la decisione si sia

liberamente formata41.

Infine, un’ulteriore interpretazione avanzata in giurisprudenza considera penalmente rilevanti solo

quelle condotte di agevolazione che “siano direttamente e strumentalmente connesse all’attuazione

materiale del suicidio”42. Infatti, le uniche condotte che avrebbero un disvalore tale da giustificare il

trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 580 c.p. sarebbero le condotte che renderebbero più

agevole l’esecuzione del suicidio. Ciò, d’altronde, sarebbe imposto anche dal tenore letterale della

norma, nella misura in cui fa espressamente riferimento all’esecuzione43.

In ogni caso, sia la dottrina che la giurisprudenza sono concordi circa l’esigenza che l’atto esecutivo

sia posto in essere esclusivamente dal soggetto passivo: in caso contrario, infatti, si configurerebbe

il reato di “omicidio del consenziente” (art. 579 c.p.)44.

3.3. L’evento e il nesso di causalità

L’intero disvalore del fatto di reato risiede nell’evento, che può consistere alternativamente nella

morte o nelle lesioni del soggetto passivo. Esso, pertanto, come si è già precedentemente

39 Cfr. Cfr. Cass. Pen., Sez. I, 6.02.1998 n. 3147, in Riv. Pen., 1998, p. 466 ss.; A. VALSECCHI e T. TRINCHERA, sub art. 580, in Codice penale commentato (a cura di E. DOLCINI e G. L. GATTA), Milano 2015, p. 2935 e 2936.40 Cfr. Corte di Assise di Messina, 10.06.1997, imp. Munaò; C. SILVA, Suicidio assistito in Svizzera. Riflessioni in ordine alla rilevanza penale della condotta di agevolazione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2017, p. 308. 41 Cfr. Cass. Pen., Sez. I, 6.02.1998 n. 3147, in Riv. Pen., 1998, p. 466 ss.42 Cfr. Sentenza GUP di Vicenza del 14.10.2015, imp. Tedde.43 Ibidem.44 Cfr. G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 43; A. VALSECCHI e T. TRINCHERA, sub art. 580, in Codice penale commentato (a cura di E. DOLCINI e G. L. GATTA), Milano 2015, p. 2936; D. TASSINARI, sub art. 580, in Codice penale (a cura di T. PADOVANI), Milano 2014, p. 2.

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Page 13: dirittopenaleunitus.files.wordpress.com · Web viewper corroborare l’inesistenza del “diritto a una morte dignitosa” sostenuto dal PM. Secondo il giudice, infatti, non vi sarebbe

sottolineato, rappresenta un elemento costitutivo del reato ex art. 580 c.p., e non una condizione

obiettiva di punibilità, come sostenuto in passato da una parte della dottrina45.

Affinché possa configurarsi un suicidio, oltre all’esigenza che la morte si realizzi manu propria, è

necessario che il soggetto passivo sia giunto alla decisione in assenza di costrizioni esterne,

prefigurandosi le conseguenze di un tale gesto46.

Ad ogni modo, dalla rilevanza centrale dell’evento e dall’assenza di una nota modale delle condotte

partecipative, discende che queste siano rilevanti solo qualora si traducano in un concreto ed

effettivo contributo causale alla realizzazione del suicidio47. Nello specifico, applicando la teoria

condizionalistica che la giurisprudenza prevalente adopera per qualificare i nessi tra condotte

penalmente rilevanti, sarà necessario dimostrare che, eliminando mentalmente il contributo48, il

suicidio non si sarebbe verificato in quel momento e/o con quelle modalità49.

4 Alcuni spunti ricostruttivi sul caso Cappato

4.1. L’inadeguatezza della spiegazione causale dei nessi tra condotte e le sue conseguenze

A ben vedere, una spiegazione in termini di causa-effetto dei nessi tra condotte di partecipazione

morale, o materiale, e l’evento tipizzato dall’art. 580 c.p. presenta notevoli criticità.

Si ponga l’attenzione sulle condotte di istigazione e rafforzamento del proposito suicidiario. Queste

operano sul piano psicologico, pertanto la causalità dovrebbe esprimersi in termini psichici50: si

dovrebbe accertare, cioè, avvalendosi di leggi scientifiche, che senza la condotta istigatoria (o di

rafforzamento), il suicida non si sarebbe dato la morte in quei tempi e/o con quelle specifiche

modalità. Le leggi scientifiche, tuttavia, presuppongono, da un lato, la verificabilità empirica della

correlazione tra antecedenti e conseguenze, e dall’altro, la possibilità di operare generalizzazioni

con riferimento ad essa. Tali possibilità generalmente non sussistono ove si voglia verificare che

una condotta istigativa abbia indotto un soggetto a tenere una determinata condotta. Si profila,

innanzitutto la difficoltà di individuare tutte le condizioni che hanno concretamente influito sulla

45 Ivi, p. 46; A. VALSECCHI e T. TRINCHERA, sub art. 580, in Codice penale commentato (a cura di E. DOLCINI e G. L. GATTA), Milano 2015, p. 2937; D. TASSINARI, sub art. 580, in Codice penale (a cura di T. PADOVANI), Milano 2014, p. 3 ss.46 Cfr. A. VALSECCHI e T. TRINCHERA, sub art. 580, in Codice penale commentato (a cura di E. DOLCINI e G. L. GATTA), Milano 2015, p. 2938.47 Cfr. G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 44. 48 Si dovrà preliminarmente verificare che la condotta sia contemplata da leggi scientifiche come antecedente di eventi del tipo di quello che in concreto si è realizzato. Infatti, il giudizio controfattuale può portare ad affermare una condotta sia condicio sine qua non di un evento, solo se si sappia preliminarmente che da quella condotta possa derivare o meno quel determinato evento. 49 Cfr. A. VALSECCHI e T. TRINCHERA, sub art. 580, in Codice penale commentato (a cura di E. DOLCINI e G. L. GATTA), Milano 2015, p. 2934; Cfr. G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 44.50 Cfr. T. PADOVANI, La concezione finalistica dell’azione e la teoria del concorso di persone nel reato, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2003, p. 395.

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scelta di porre in essere quella condotta; al contempo, i processi decisionali variano da individuo a

individuo e, pertanto, difficilmente sono suscettibili di generalizzazioni idonee a esprimere le

successioni tra condotte con un elevato grado di certezza. Si palesa, perciò, la difficoltà di

individuare leggi scientifiche che dimostrino che la condotta di un soggetto sia “causa” della

decisione o del rafforzamento di un proposito altrui51.

Un problema analogo si pone altresì con riferimento alle condotte di agevolazione materiale. Una

prima difficoltà nel ricostruire in termini causali la condotta di aiuto al suicidio deriva dal concetto

stesso di agevolazione: agevolare è cosa ben diversa dal causare un evento. L’agevolazione, infatti,

si sostanzia in una mera facilitazione, mentre si definisce “causa” un fatto o un avvenimento che

provoca un determinato effetto, che è origine di un altro fatto52. Si ponga ora l’attenzione su un altro

aspetto: l’evento tipizzato dall’art. 580 c.p. è per definizione realizzato da altri. Un’idea

naturalistica di causalità, incentrata su leggi scientifiche, postula che, in base ad una verifica ex

post, si possa individuare una successione di accadimenti che originano dalla condotta in esame e

conducono all’evento tipizzato. Tuttavia, provare l’apporto causale della condotta alla realizzazione

dell’evento risulta problematico qualora, tra la condotta e l’evento si inserisca un’autonoma scelta

di un altro soggetto, la quale può essere considerata causa dell’evento sulla base di leggi

scientifiche. Non vi sarebbero, infatti, leggi naturalistiche che spiegano le connessioni tra scelte

umane53. Questo ha portato una parte della dottrina a ritenere che le cause da sole sufficienti a

determinare l’evento, di cui all’art. 41 co 2 c.p. siano le condotte umane che si inseriscono tra la

condotta oggetto di giudizio e l’evento, e che possano ritenersi causa dello stesso sulla base di leggi

scientifiche54. Aderendo a questa impostazione si dovrebbe concludere che l’agevolazione

dell’altrui suicidio non possa essere mai “causa” dell’evento tipizzato, nonostante la rilevanza

penale dell’aiuto sia fondata sull’apporto causale alla realizzazione dell’evento: la condotta del

soggetto passivo, liberamente posta in essere, sarebbe causa da sola sufficiente a determinare

l’evento (morte o lesioni).

Da tali osservazioni si desumerebbe l’inadeguatezza della spiegazione in termini di causa-effetto dei

nessi tra le condotte incriminate.

51 Cfr. A. VALLINI, “Cause sopravvenute da sole sufficienti” e nessi tra condotte, in Diritto Penale Contemporaneo, 2012, pp. 32 e 33.52 Cfr. Definizione di “causa” in Treccani (v. http://www.treccani.it/vocabolario/causa/). 53 Cfr. A. VALLINI, op. cit.: L’apporto della condotta alla realizzazione dell’evento verrebbe mediato dalla volontà altrui, e proprio in virtù di ciò si sottrarrebbe alle leggi causali naturalistiche, che sarebbero inidonee, per le ragioni precedentemente esposte, a spiegare le interdipendenze tra libere scelte umane. Solo successioni di eventi ripetibili possono qualificarsi in termini di “causalità”, poiché solo esse sono riconducibili a leggi scientifiche, ossia all’unico parametro che può essere utilizzato per interpretare la realtà fenomenica che il legislatore mira a disciplinare..54 Cfr. A. VALLINI, op. cit.: Solo i “comportamenti umani causali” successivi alla condotta oggetto di esame, potrebbero riempire il concetto di “cause sopravvenute da sole sufficienti” di cui all’art. 41 co. 2 c.p., poiché, tra l’altro, solo con riferimento ad essi si potrebbe tracciare una distinzione tra cause antecedenti, concomitanti e sopravvenute.

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Nondimeno, l’abbandono del paradigma causale ha conseguenze significative: potrebbe determinare

un’eccessiva estensione della punibilità, pregiudicando la garanzia apprestata dal principio di

personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.). Una valutazione ex post fondata sulla mera

connessione “storica” tra i contegni, infatti, potrebbe portare a considerare penalmente rilevanti

condotte, di fatto, neutre, anche notevolmente distanti rispetto al fatto tipico realizzato.

Più che a un abbandono del criterio di spiegazione causale, allora, si deve propendere per una sua

più rigorosa utilizzazione: la ricostruzione in termini causali delle interazioni tra soggetti sarebbe

possibile solo sulla base di leggi psicologiche55, che grazie al progresso delle neuroscienze possono

forse essere in grado, oggi, di fornire alcune informazioni sugli episodi psichici56.

Sotto il profilo della condotta di agevolazione realizzata dal Cappato, infine, va rilevato come non

sussisterebbe alcun rapporto di causalità tra questa e l’evento morte incriminato, poiché esso non

può in alcun caso considerarsi “causato” dal mero accompagnamento presso la clinica. Questo

accadimento, infatti, pur avendo storicamente contribuito alla morte dell’Antoniani, non ne sarebbe

causa in senso scientifico: allo stato, infatti, non si conoscono leggi nomologiche o probabilistiche

in grado di dimostrare che l’accompagnamento presso una clinica determini l’esecuzione, da parte

degli operatori, delle procedure d’intervento previste dalla struttura, né, tanto meno, la morte del

soggetto accompagnato.

4.2. Una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 580 al suicidio

Dopo aver analizzato la struttura dell’art. 580 c.p. e le problematiche che essa pone, è necessario,

ora, porre l’attenzione sul gesto suicidiario e sulla sua repressione penale, per verificare il ruolo

assunto dalla fattispecie nel nostro ordinamento, soprattutto a seguito dell’affermazione dei principi

costituzionali.

Il suicidio può svolgersi attraverso numerose forme e può essere dettato da altrettante ragioni. Può

essere frutto di una scelta consapevolmente presa; il suicida, quindi può aver posto in essere la

condotta autolesiva prefigurandosi e accettando le sue conseguenze. Al contrario, il suicidio

potrebbe essere frutto di una decisione non del tutto consapevole, poiché indotta dalle particolari

condizioni psichiche o fisiche in cui il soggetto versa e che ne compromettono il potere critico.

L’art. 580 c.p., tuttavia, non tiene conto di questa distinzione nell’incriminare le condotte di

partecipazione al suicidio. Come si è detto, infatti, all’origine della sua introduzione, vi era la

considerazione del suicidio come fatto moralmente e socialmente dannoso57, poiché sottraeva

l’individuo all’adempimento dei doveri sociali che su di esso incombevano: le condotte di 55 Cfr. G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, Milano, 2015, p. 461.56 Cfr. R. E. OMODEI, L’istigazione e aiuto al suicidio tra utilitarismo e paternalismo: una visione costituzionalmente orientata dell’art. 580 c.p., in Diritto penale contemporaneo, 2017, p. 158.

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partecipazione erano meritevoli di tutela per il solo fatto di aver contribuito alla realizzazione del

suicidio.

Nel nostro ordinamento, tuttavia, la vita non fonda più un dovere verso lo Stato ma costituisce un

diritto riconosciuto all’individuo in quanto presupposto degli altri diritti. Al contempo, un ruolo

centrale è assegnato alla volontà effettiva dell’individuo, come testimoniato dal ruolo cruciale del

consenso informato in relazione al già richiamato diritto di rifiutare le cure58.

Muovendo dai principi costituzionali, allora, potrebbe concludersi che l’art. 580 c.p. dovrebbe

attuare una distinzione tra le ipotesi in cui il suicidio derivi da una libera scelta del soggetto passivo

e quelle in cui non sia mosso da una sua scelta consapevole. La ratio della fattispecie dovrebbe,

infatti, individuarsi nella tutela della vita e della libertà di scelta del suicida.

In quest’ottica, sarebbe comunque giustificata l’incriminazione delle condotte di istigazione e di

rafforzamento del proposito suicidiario. Infatti, non potrebbe escludersi la rilevanza penale di

condotte che portano un soggetto a maturare la volontà di porre fine alla propria esistenza, o volte a

rafforzare l’intento suicidiario precedentemente maturato, in quanto, in questo caso, il suicidio non

è frutto di una scelta autonoma del soggetto passivo, bensì di una scelta presa da altri, volta a

provocarne la morte59. La rilevanza penale delle condotte di agevolazione al suicidio, invece,

dovrebbe essere circoscritta alle ipotesi in cui un soggetto non fosse in grado di comprendere

autonomamente il significato del gesto autodistruttivo. Una tale ricostruzione sarebbe conforme

anche alla giurisprudenza della Corte EDU, la quale ha prospettato, più volte, la necessità di tutelare

le persone deboli e vulnerabili da atti volti a porre fine alla loro esistenza, e da condotte altrui

“egoisticamente” volti ad aiutare il soggetto a darsi la morte, individuando in questa esigenza

l’interesse con cui bilanciare il diritto di autodeterminazione60. In particolare, gli Stati dovrebbero

“valutare il rischio di abuso e le probabili conseguenze degli abusi eventualmente commessi che

implicherebbe un’attenuazione del divieto generale di suicidio assistito”61.

4.3. L’aiuto a morire può costituire un diritto?

La domanda da porsi a questo punto è: come espungere dall’art. 580 c.p. condotte che aiutano a

dare esecuzione ad una scelta consapevolmente formata?

57 Cfr. A. CONTINIELLO E G. F. POGGIALI, Il delitto di istigazione o aiuto al suicidio nell’ordinamento italiano e sovranazionale, in Giurisprudenza penale, p. 4. 58 Si veda, in tal senso, la Legge n. 219 del 22 dicembre 2017. 59 Cfr. A. CONTINIELLO E G. F. POGGIALI, op. cit., p. 19.60 Cfr. P. BERNARDONI, Tra reato di aiuto al suicidio e diritto ad una morte dignitosa: la Procura di Milano richiede l’archiviazione per Marco Cappato, in Diritto Penale Contemporaneo, 2017.61 Corte Edu, sez IV, sent. 29.04.2002, ric. n. 2346/2002, Pretty c. Regno Unito, § 74.

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L’interpretazione letterale della fattispecie non può venire in aiuto. Come detto, infatti, la

distinzione tra l’ipotesi in cui la scelta del suicida sia consapevole ovvero inficiata da fattori esterni,

non trova cittadinanza nel testo della norma. Al contrario, prevedere le condotte di partecipazione

morale e di agevolazione come alternative sembrerebbe svincolare la rilevanza penale dell’aiuto al

suicidio da qualsivoglia considerazione in ordine alle modalità di formazione della volontà del

suicida62.

Una soluzione può essere prospettata partendo da un’osservazione: le condotte di istigazione,

rafforzamento e agevolazione sono sottoposte alla medesima cornice edittale, pur ponendosi in un

rapporto profondamente diverso con il gesto suicidiario63. Ebbene, l’irragionevolezza di tale

equiparazione può essere esclusa solo qualora l’interprete circoscriva la rilevanza penale delle

condotte di aiuto al suicidio alle sole ipotesi in cui la scelta del suicida non sia consapevole. È

proprio l’incriminazione nella medesima fattispecie di condotte con disvalore non equivalente,

quindi, che consentirebbe di rendere l’art. 580 c.p. conforme a un assetto di valori profondamente

diverso da quello in cui è stato pensato. Una tale impostazione, peraltro, non corrisponde ad

un’interpretazione delle condotte agevolative in termini istigatori, già prospettata in passato64 e

criticata dalla Corte di Cassazione65, poiché non impone di ravvisare anche un rafforzamento del

proposito suicidiario in presenza di un aiuto al suicidio.

Qualora si dovesse ritenere la nostra interpretazione eccessivamente macchinosa e inadeguata ad

operare una selezione tra le condotte di agevolazione da considerare tipiche, in assenza di un

intervento legislativo che introduca nella fattispecie una distinzione basata sulla consapevolezza del

gesto suicidiario da parte del soggetto passivo tra le ipotesi in cui il suicidio sia frutto, si potrebbe

prospettare, come unica alternativa, una declaratoria di incostituzionalità da parte della Consulta.

L’art. 580 c.p. dovrebbe essere dichiarato incostituzionale nella parte in cui non opera la predetta

distinzione per contrarietà all’art. 2, 3 e 27 co. III della Costituzione.

62 Cfr. Cass. Pen., Sez. I, 6.02.1998 n. 3147, in Riv. Pen., 1998, p. 466 ss.63 Critici sull’incriminazione delle condotte in un’unica fattispecie: G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., pp. 43 e 44: “Si può peraltro contestare, sul piano politico-criminale, la ragionevolezza della scelta legislativa di aver equiparato, quali condotte dotate di disvalore penale equivalente, da un lato l’attività di determinazione o di rafforzamento e, dall’altro, la condotta di mera agevolazione: com’è stato ben osservato, è evidente che chi si limita ad agevolare la realizzazione di un suicidio già autonomamente deciso dall’interessato non può essere assimilato a chi invece fa nascere o rafforza la volontà suicidiaria; onde la previsione di una stessa pena appare profondamente ingiusta”. 64 Cfr. Corte di Assise di Messina, 10.06.1997, imp. Munaò.65 Cfr. Cass. Pen., Sez. I, 6.02.1998 n. 3147, in Riv. Pen., 1998, p. 466 ss.

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Page 19: dirittopenaleunitus.files.wordpress.com · Web viewper corroborare l’inesistenza del “diritto a una morte dignitosa” sostenuto dal PM. Secondo il giudice, infatti, non vi sarebbe

A. CONTINIELLO E G. F. POGGIALI, Il delitto di istigazione o aiuto al suicidio nell’ordinamento italiano e sovranazionale, in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 4;

R. BIN – G. PITRUZZELLA, Diritto Costituzionale, Torino, 2015;

F. RAMACCI, I delitti di omicidio, Torino, 2016;

P. BERNARDONI, Tra reato di aiuto al suicidio e diritto ad una morte dignitosa: la Procura di Milano richiede l’archiviazione per Marco Cappato, in Diritto Penale Contemporaneo, 8 maggio 2017.

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