viewpoint #02 2013 marzo aprile

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Periodico bimestrale - ViewPoint anno IV n. 2 - euro 2,50 - Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. - 70% DCB PERUGIA In Copertina La Madonna di Mongiovino gioiello da recuperare era una delle tappe del pellegrinaggio che terminava alla Santa Casa di Loreto ANNO IV NUMERO 2 EURO 2,50 View oint P marzo aprile 2013 LUMBRIA NEL MONDO IL MONDO DELLUMBRIA numeri di ViewPoint prima dello switch-offset... dopo saremo in digitale -43 Il Santuario di Mongiovino Il cammino della Rosa d’oro Sociale Evolution Driving School la forza di volontà di Gianluca Tassi per superare ogni ostacolo Cultura Il Palazzo Ducale di Gubbio si è messo il vestito buono Eccone le meraviglie Amarcord Walter Novellino la mezzapunta terribile del Grifo dei miracoli Musica Dal 2000 ad oggi i colori dell’Umbria nelle note dei Solisti di Perugia Artigianato Tela Umbra nel tifernate un’arte antica al servizio della modernità

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In CopertinaLa Madonna di Mongiovinogioiello da recuperareera una delle tappe del pellegrinaggioche terminava alla Santa Casa di Loreto

anno IV numero 2 euro 2,50View ointP

marzo aprile2013

l’umbrIa nel mondo Il mondo dell’umbrIa

numeri di ViewPoint prima dello switch-offset... dopo saremo in digitale-43

Il Santuario di Mongiovino Il cammino della Rosa d’oro

SocialeEvolution Driving Schoolla forza di volontà di Gianluca Tassi per superare ogni ostacolo

CulturaIl Palazzo Ducale di Gubbiosi è messo il vestito buonoEccone le meraviglie

AmarcordWalter Novellinola mezzapunta terribiledel Grifo dei miracoli

MusicaDal 2000 ad oggii colori dell’Umbrianelle note dei Solisti di Perugia

ArtigianatoTela Umbranel tifernate un’arte anticaal servizio della modernità

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Periodico bimestrale Iscriz. Trib. di Perugia

n° 36 26/05/2010

Direttore editoriale Silvia La Penna

Direttore responsabile Massimo Pistolesi

Staff di redazione Barbara Maccari

Floriana Lenti Pier Paolo Vicarelli

Con la speciale collaborazione di Brunella Bruschi

Progetto Grafico a cura di Fat Chicken s.n.c.

Foto e trattamento immaginiMatteo Vicarelli

Hanno collaborato: Annamaria La Penna,

Teresa Luise, Silveria Quadrano, Mariangela Musolino, Valentina Pannacci, Francesca Caproni,

Marco Morello, Giovanni Belia Diego Mecenero,

Paolo Caucci von SauckenLuigi Zeppetti e nonna Marcella

(per la rubrica di cucina)

Concessionaria pubblicitaria Fat Chicken s.n.c.

Silvia La Penna 329.6196611Responsabile commercialeDaniele Donati [email protected]

Contabilità e diffusione

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Servizio abbonamenti Abbonamento annuale € 15,00 (estero € 20,00)

Intestato a: Fat Chicken s.n.c. Iban.

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Stampa a cura di Arti Grafiche Celori sncwww.grafichecelori.com

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P. Iva 03143490542 Tel. 3296196611 www.fatchicken.it

04Santuario di Mongiovino Gioiello Mariano

Madre Perlal’opera primadi Maria Letizia Giontella

18 POETICHE

ARTI&MESTIERI

Sulle traccedella ferrovia perdutadegli Appennini

45 BIBO’S LAND

MODAA spasso nel tempo e nel mondosulle ormedella Charta Bambagina

25La musica nei bambiniper favorire lo sviluppocognitivo del cervello

29 PAPPA DI MUSICA

Claudio Cutulitradizione e qualitàall’insegna della personalizzazione

48Nasce a Perugial’archivio della memoriacondivisa

50 INIZIATIVE

in questo numero

Il Palazzo Ducaledi Gubbioin udienza da Federico

34 La nostra consueta sfidamette in tavola i dessertBuon appetito e vinca il migliore

52MONUMENTI SFIDA AI FORNELLI

in copertina

ANNIVERSARIO

15Evolution Driving School, per andare oltre l’ostacolo

SOCIALE

21Tela Umbra, l’arte antica al servizio della modernità

TRADIZIONI

41Walter Novellino la mezzapunta terribile

AMARCORD

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CONTROLUCE Foto Studiodi Nazzareno MargaritelliCittà della Pieve - PG

Le tinte e gli ambienti umbrinelle notedei Solisti di Perugia

37 “Racconti diVini” di Anna Iavarone“Vestirsi diVino” di Angelo ValentiniCantine Goretti innovazione e marketing

MUSICA DIVINARTE

PER LA COLLABORAZIONE SI RINGRAZIA

Speciale vinocopertina disegnata

dal maestro Giuseppe Fioroni

DIVINARTEAltare del Santuariovisto dall’obiettivodi Santino Bordini

MONGIOVINO

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anniversario

Una struttura di pregio che rappresentava una delle tappe del pellegrinaggio verso la Santa Casa di Loreto. Un luogo in parte ristrutturato che cerca fondi per tornare all’antico splendore

Santuario di MongiovinoGioiello Mariano

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Uno splendido luogo. Tanto splendido quanto poco noto. E’ il Santuario di Mongiovino, a Panicale, due passi dal lago Trasimeno. Luogo sacro, noto per

i miracoli già dai primi del 1500. Un luogo che ha visto una ristrutturazione parziale nel 2000 ma che avrebbe bisogno di un’attenzione più profonda. Esiste già un progetto, ma a mancare sono i fondi per affrontare i lavori. Facciamo un viaggio tra i vari aspetti del Santuario mariano, da quelli religiosi a quelli artistici.

strutturaIl progetto originale del Santuario, che risale a 500 anni fa, da alcuni è stato attribuito al Bramante. Pur non essendovene certezza rimane il fatto che la struttura ha una forma tipica delle opere dell’architetto rinascimentale, esternamente quadrata e con una pianta interna a forma di croce greca. Molti furono gli scalpellini che lavorarono nel Santuario della Madonna di Mongiovino tra cui Lorenzo da Carrara e Bernardino da Siena che decorarono con bassorilievi a tutto tondo gli stipiti degli archi dei portali abbellendoli con decori di eccezionale bellezza. Il Santuario si presenta come un grosso cubo le cui quattro facciate sono caratterizzate da altrettante “lastre prospetto” o “ventarole” in pietra arenaria intagliata a grossi blocchi scandite da ordini di lesene giganti; sono, poi, completate da timpani a terminazione orizzontale e quattro rosoni al centro. Sulla facciata di ingresso si trovano due grandi portali riccamente scolpiti, posti simmetricamente uno sul fronte nord ed uno sul fronte sud, ornati da doppi ordini di colonne e protetti da due tetti sporgenti

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che, formando dei pronai, preannunciano l’altare interno, anche questo caratterizzato da colonne sporgenti e racchiudente l’immagine miracolosa della Madonna. L’interno, quadrato, caratterizzato da quattro cappelle (entrando dall’ingresso principale, partendo da sinistra e procedendo in senso antiorario: Cappella della Resurrezione, Cappella dell’Ascensione, Cappella della Madonna del Rosario, Cappella della Madonna) sugli spigoli attestate sugli angoli che formano, così, la croce inscritta nel cubo. Ogni cappella sormontata da una piccola cupola più bassa. L’effetto che se ne ricava entrando da entrambi i lati è di visione-contemplazione della Vergine, mentre al centro e lungo l’asse direzionale, alzando lo sguardo, si può ammirare la “croce gloriosa”. L’apparato architettonico della chiesa si pone anche come elemento unificante con l’apparato decorativo che, commissionato dai Massari del Santuario nella seconda metà del ‘500, verrà completato a settori, e che vede come colore predominante il verde unito a dorature. Impianto architettonico e decorativo vogliono essere così la rappresentazione simbolica del Paradiso Terrestre. Alla decorazione del Santuario si alternarono i maggiori pittori operanti nel territorio perugino a quell’epoca.La chiesa fu consacrata nel 1646 dal Vescovo di Città della Pieve Reginaldo Lucarini. Nelle cappelle angolari gli altari originali contemporanei alle pitture cinquecentesche furono demoliti e sostituiti dalle attuali macchine d’altare.Il completamento del Santuario fu portato a

Nella primavera del 1602 giunge a Mongiovino una singolare carovana promossa e guidata dalla Arciconfraternita della Santissima Trinità

dei pellegrini di Roma. La confraternita dopo aver accolto, in occasione dell’anno santo del 1600, oltre duecentomila pellegrini, dopo averli curati e ospitati nel proprio ospedale di san Giacomo di via del Corso, aveva deciso di compiere un pellegrinaggio a Loreto. Si trattava essenzialmente di una gratificazione per il lavoro svolto. Il pellegrinaggio del 1602 era stato preceduto da uno simile nel 1578 che aveva fatto seguito anch’esso al giubileo romano del 1575. Entrambi i pellegrinaggi avevano goduto della benevolenza papale che, in quello del 1575, aveva concesso il privilegio di liberare numerosi detenuti lungo il percorso, inseriti poi come penitenti nella carovana e, in quello del 1602, di consegnare ufficialmente a Loreto una Rosa d’oro, opera di alta oreficeria e, allo stesso tempo, la distinzione papale più prestigiosa. La meta era ambita e di gran moda, dopo che nel 1515, con un moto proprio di Leone X, godeva degli stessi privilegi di

Roma e Santiago. Durante tutto il Cinquecento il pellegrinaggio alla Santa Casa di Loreto si era rafforzato con il miglioramento delle strade, la costruzioni di ospizi e perfino con l’istituzione di una milizia che ne curava la sicurezza dai numerosi briganti.

Su queste strade, insieme a pellegrini isolati, si avventurano sempre più frequentemente compagnie e confraternite composte da numerose persone e carriaggi. La carovana che giunge a Mongiovino è composta da oltre 400 persone. Ogni venti pellegrini un carro portava “ le robbe dei fratelli”; altri carri erano destinati ai rifornimenti. Al seguito v’erano perfino dei musici che avevano preteso, oltre a un sostanzioso compenso, un cavallo a testa, carri per gli strumenti e una specifica uniforme.

Importante punto di transito del cammino della Rosa d’oro

di Paolo Caucci von Saucken

Nel 1602 arriva in Umbria

una carovana di pellegrini

composta da oltre 400

persone. Al seguito vi

erano perfino dei musici.

Il complesso del Santuario di Mongiovinoun tempo meta di importanti pellegrinaggi rischia di perdere alcune strutture di grande valore artistico culturale se non si interviene in tempo.il progetto risale al 1500 ma è stato consacrato nel 1646,al suo interno opere di inestimabile valore.

(foto Santino Bordini)

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Avevano la funzione di svegliare la mattina i confratelli “ acciò si mettessero in cammino”, di suonare nelle cerimonie religiose e di precedere il gruppo in occasione di alcune “entrate solenni” in città e santuari, come accadde all’arrivo a Mongiovino. Un gruppo di furieri precedevano la carovana con il compito di predisporre pranzi, cene e pernottamenti e di concordare i ricevimenti e l’accoglienza da parte delle confraternite aggregate, delle istituzioni ecclesiastiche e dei municipi che a volte organizzavano suntuosi ricevimenti. Altre volte, invece, si creavano screzi e conflitti a causa del mancato rispetto del protocollo di accoglienza o perchè la famosa confraternita romana riteneva di non essere stata trattata con il dovuto riguardo. La carovana compie un percorso circolare. Segue per l’andata la via Flamina fino a Foligno, quindi per Colfiorito, Camerino, Macerata e Recanati giunge alla Santa Casa di Loreto. Il ritorno è più complesso e mostra chiaramente l’intenzione di inserire più santuari e devozioni possibili, tra le quali la visita dei luoghi francescani di Santa Maria degli Angeli e di Assisi , del Santo Anello esposto nella cattedrale di Perugia, della Madonna di Mongiovino, del “corporale insanguinato del miracolo del Corpo di Cristo” di Orvieto, della Madonna della Quercia di Viterbo... L’itinerario è di particolare interesse, perché mostra la possibilità di compiere un pellegrinaggio circolare con partenza e ritorno a Roma che permetteva di riunire alcune delle devozioni più famose del Centro Italia. Mongiovino ne costituisce una tappa significativa e in tal senso viene a trascendere di gran lunga il ruolo di meta di pellegrinaggi locali o regionali, per collocarsi nell’ambito di una più vasta mobilità devozionale La collocazione di Mongiovino tra la Flaminia e la Francigena pone il santuario e le sue pertinenze, auspicabilmente restaurate, in un importante punto di transito che potrebbe tornare ad avere, nella ripresa dei pellegrinaggi a piedi della nostra epoca, un significativo ruolo di riferimento. Non solo, ma anche potrebbe costituire una sosta di grande interesse nell’ambito di un suggestivo circuito turistico-religioso che, unendo Roma, Loreto, Assisi, Perugia, Mongiovino, Orvieto e Viterbo avrebbe una grande capacità di attrazione e potrebbe essere chiamato, per quanto detto, della “rosa d’oro”. Ma sappiamo che per far questo ci vogliono volontà, passione e strutture.

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The pilgrimage of the Golden Rose

In the spring 1602 a singular caravan, encouraged and led by the Brotherhood of the Holy Trinity of Rome pilgrims, comes to

Mongiovino. On the occasion of the Holy Year 1600, after welcoming over two hundred thousand pilgrims, after having accommodated and taken care of them in Saint James hospital in Via del Corso, the brotherhood decided to make a pilgrimage to Loreto. It was essentially a reward for the work done up to that time. The pilgrimage of 1602 was preceded by that of 1578, which also followed the Roman Jubilee of 1575. Both pilgrimages had enjoyed the Pope’s favour. That of 1575 had the privilege to release many prisoners along the way, that were included as penitents in the caravan, that of 1602 had the privilege to give officially Loreto a Golden Rose, work of high jewelery and, at the same time, the most prestigious Papal distinction. The destination was coveted and very popular since Pope Leo X gave it the same privileges of Rome and Santiago with a proper act of 1515. Throughout the sixteenth century, the pilgrimage to the Holy House of Loreto was strengthened with the improvement of roads, the construction of homes for the aged and even the establishment of an army that gave protection from many brigands. Besides the isolated pilgrims, other companies and fraternities, composed of numerous people and carriages, ventured increasingly on these streets. The caravan coming to Mongiovino consisted of more than 400 people. For every twenty pilgrims there was a wagon bringing “the Things of brothers” , while other wagons were destined for supplies. Among the group suite there were even some musicians who had demanded, as well as a substantial fee, a horse a head, wagons for the instruments and a specific uniform. They had the task to wake up the brothers in the morning so that they could resume the journey, to play in religious ceremonies and to precede the group during “solemn entries “into cities and shrines, as happened during the arrival at Mongiovino. A group of quartermasters preceded the caravan with the duty to prepare lunches, dinners and overnight stays and organize feasts and reception by the aggregated brotherhoods , ecclesiastical institutions and municipalities that sometimes organized lavish receptions. Other times, however, there were rifts and conflicts due to non-compliance with the reception protocol or because the famous Roman brotherhood thought it was not treated with due regard. The caravan takes a circular path. In the outward journey it follows the Flamina way through Foligno, then Colfiorito, Camerino, Macerata and Recanati and finally it comes to the Holy House of Loreto. The return journey is more complex and it shows clearly the intention of including more shrines and devotions as it is possible, such as the visit of the Franciscans places of Santa Maria degli Angeli and Assisi, the Saint Ring exposed in the cathedral of Perugia, Our Lady of Mongiovino, the “blood-stained corporal of the miracle of Christ’ s Body” in Orvieto and Our Lady of the Oak in Viterbo . The tour is particularly interesting because it shows the ability to make a circular pilgrimage with departure and return to Rome which was used to bring together some of the most popular places of devotion in Central Italy. Mongiovino constitutes a significant step of this tour and, in this sense, it is to be considered in a broader devotional mobility and not only as a destination of local or regional pilgrimages. The position of Mongiovino between the Flaminia and the Francigena places the shrine and its pertinences, hopefully restored, in an important point of transit that might come to have, in the renewal of the pilgrimages on foot of our time, a significant role of reference. But it could be also a very interesting stop in a suggestive touristic and religious circuit that, joining Rome, Loreto, Assisi, Perugia, Mongiovino, Orvieto and Viterbo, could have a great ability of attraction and could be called, as mentioned, the “golden rose”. But we know that to do this we ought have will, passion and structures.

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”Uno specchio in cui la popolazione si guarda. Un’esperienza dell’uomo e della natura. Un’espressione

del tempo. Un’interpretazione dello spazio.” Hugues de Varine

oppure

“Un patto con il quale una comunità si prende cura di un territorio.” Maurizio Maggi

Sono solo due delle tante definizioni che sono state date al concetto di Ecomuseo che è di fatto un “Museo diffuso” che si occupa di tutelare restaurare e valorizzare tutti gli ambienti di vita tradizionali, i beni storico – artistici ed il patrimonio naturalistico che caratterizza un territorio. L’obiettivo principale è quello di dare spazio alla comunità nella ricerca del suo passato mettendo al centro dell’attenzione il suo patrimonio materiale ed immateriale fatto di paesaggi, architetture, saperi e tradizioni, al fine di contribuire allo sviluppo presente e futuro di una comunità. Gli Ecomusei nascono negli anni ’70 del ‘900 in Francia, proprio grazie a Hugues de Varine, e furono pensati come strumenti per la tutela e la rivitalizzazione delle aree rurali, con l’obiettivo di preservare quelle tracce della cultura contadina che i nuovi mutamenti sociali stavano rischiando di far scomparire a favore di una globalizzazione sempre più vicina. Si sono diffusi in Italia, principalmente nelle zone del nord alla fine del secolo scorso e, oggi nascono un po’ in tutto il territorio nazionale. Anche la Regione dell’Umbria con la L.R. 34/2007 ha favorito il nascere di queste realtà e tra queste l’Ecomuseo del Paesaggio del Trasimeno, supportato e finanziato dal Gal Trasimeno – Orvietano con i fondi dell’iniziativa comunitaria Leader. Preservare il paesaggio nella sua eccezione più ampia, all’interno della filiera Turismo, Cultura e Ambiente è per l’area del Trasimeno fondamento del proprio sviluppo economico ed occupazionale, basato principalmente sui settori dell’agricoltura di pregio e del Turismo di nicchia. Saper conservare il nostro patrimonio, naturalistico, storico – artistico, la nostra cultura delle tradizioni e delle peculiarità, significa, non solo tramandare alle generazioni future questo immenso valore, ma anche creare una sviluppo sostenibile. Sulla base delle esperienze degli Ecomusei in Italia, in Europa e nel mondo, sta nascendo un vero e proprio filone che riguarda il Turismo ecomuseale, un nuovo modo di viaggiare legato ai progetti e alle peculiarità del territorio che si vuole visitare, ai percorsi e alle proposte che i vari Ecomusei propongono. E’ un tipo di Turismo legato principalmente all’ambiente, alla natura, ai percorsi culturali e storico artistici, collegato anche molto spesso al turismo di tipo religioso. Ed è in questo contesto che, il Santuario di Mongiovino è stato censito nel patrimonio materiale ed immateriale del costituendo Ecomuseo del Paesaggio del Trasimeno, e, nel momento in cui questo Ente avrà una sua autonomia ai sensi del riconoscimento sulla base della legge regionale, fra qualche mese, potrà rappresentare un importante contenitore per lo sviluppo turistico locale e Mongiovino entrerà a far parte del circuito internazionale degli Ecomusei.

L’ecomuseo del paesaggio del Trasimeno, il santuario di Mongiovino e il turismo ecomuseale

di Francesca Caproni

Vittorio Sgarbi all’interno del Santuario di Mongiovinoinsiema a Francesca Capronie a Mons. Orlando Sbiccadurante la presentazione del film diretto dalla sorella Elisabetta(foto Nazzareno Margaritelli)

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Sgarbi: “Un santuario rinascimentale tanto bello quantosconosciuto”

“Tra i luoghi mirabili d’Italia, non lontano da Città della Pieve e Campo del Sole a Tuoro

sul Trasimeno, vi è il santuario rinascimentale di Santa Maria di Mongiovino, tanto bello quanto sconosciuto”. Lo dice nel suo libro “Nel nome del figlio” Vittorio Sgarbi. Il critico d’arte segnala il santuario e in particolare alcuni dipinti: “Gli affreschi del Pomarancio in collaborazione con il raro fiammingo Jan Wrage, e una felice congiunzione, di straordinario rilievo, con la facciata del manierismo di Hendrick Van der Broeck attivo a Farfa. Nulla può ripagare come la visita a questo santuario remoto, il quale, fuori dal tempo e pieno di una umanità laica e religiosa, celebra l’apparizione della Vergine in apertura de XVI sec. nell’ascensione di Cristo di Van del Broeck, Cristo ascende, e non basta la dottrina dei libri a spiegarne le ragioni: era morto, e sale nella luce, sfolgorando”. A spiegare il mistero, più eloquenti dei suoi piedi sono i due libri ostinatamente chiusi dai quali non potrà uscire la soluzione dell’enigma. Gli apostoli, inginocchiati, abbagliati, hanno l’animo incerto tra il terrore e l’euforia. Non apriranno i libri e non guarderanno le impronte per capire che Dio, sempre in cielo, si è fatto uomo con loro. Nella Resurrezione di Cristo di Pomarancio, il Cristo di Michelangelo apparso una volta in Santa Maria sopra Minerva, essendo in ogni luogo, sembra risorgere ancora in una luce folgorante, e nell’immaginazione del Pomarancio, poggia tranquillo e statuario su una nube grigioazzurra, davanti allo stupore di angeli lascivi. Sotto i suoi piedi, una gran confusione di armigeri ballerini, che, scomposti, non lo scompongono. Sono da lui abbagliati, travolti, disarmati e sembrano rincorrersi intorno al sarcofago, ormai vuoto, ma ancora sigillato”.

Tratto da “Nel nome del figlio” Ed. Bompiani

di Vittorio Sgarbi

Vittorio Sgarbi e la sorella Elisabetta sono di diritto amici del Santuario di Mongiovino.Il primo rapito dagli affreschi

e dalle rare bellezze contenutela seconda lo ha scelto come

oggetto di un suo lavoro cinematografico

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Our Lady’s shrine of Mongiovino

Andreana, go and say to the men of Mongiovino they clean up these stains around and clean the place in order

to create a square.” These are the words The Virgin Mary told a young shepherdess named Andreana in the spring 1513. We are in the town of Mongiovino (PG) and this event is the main tale of the foundation of the homonymous shrine which is celebrating its fiftieth anniversary. One day the shepherd-girl was herding her sheep in proximity to a well located near a newsstand with a fourteenth-century painting of the Virgin Mary and Her Child. At a certain point the girl heard the Virgin was calling her and asking to report her desire that the newsstand, almost entirely covered with thorns, was properly cleaned and became a place of worship and devotion. The girl told all the words heard but no one believed her. Only a few days later, when Mongiovino inhabitants were spectators of a miracle - the shepherdess asking them if they were thirsty with a jug full of water overturned on her head without letting a drop fall down - that’s how all they believed her words and became available to the will of the Virgin. During the construction of the shrine, one day another extraordinary supernatural event happened. It was said that the bricklayers used to have a meal with the bread Andreana was giving out every day in the surrounding villages. Once the shepherdess came at lunchtime with the bag almost empty but she began to distribute the bread as she usually did. So, the bread was not only enough for everyone, but many pieces were left. It was the 23rd of April 1513, the day dedicated to St. George, for whom people’s devotion is still attested in Mongiovino nowadays. Since then, in fact, every 23rd of April some loaves marked with the letters S. G. (St. George) are distributed to pilgrims at the shrine of Mongiovino . Finally, there is another tale of a miracle that contributes to the foundation of this place of Marian devotion, connected to the promise of a young bride with a troubled pregnancy. She had vowed to enshroud with a veil the image of the Virgin if the birth event had been positive. Everything about the child’s birth was all right and the woman covered the rock image with the veil promised. The priest repeatedly removed the veil, but every time he found it in its initial position in a short time. The priest, sure of the miraculous event, divulged the news so that it attracted a large crowd of people very soon and produced other miraculous events, as the numerous votive offerings preserved by the shrine give evidence .

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di Diego Mecenero

“Va’ Andreana e di’ agli omini di Mongiovino che ripuliscano queste macchie attorno, nettino

il luogo e vi facciano una piazza”. Queste le parole che furono rivolte nella primavera del 1513 ad una pastorella di nome Andreana dalla Vergine Maria. Siamo nella località di Mongiovino (PG) e questo avvenimento costituisce il principale racconto di fondazione dell’omonimo Santuario che celebra quest’anno la sua cinquecentenaria ricorrenza. La giovane pastorella pascolava un giorno le sue pecore in prossimità di un pozzo collocato vicino ad un’edicola con un trecentesco affresco di Madonna con Bambino. Ad un certo punto, Andreana si sentì chiamare dalla Vergine che le chiese di riferire al sacerdote e alla gente del luogo il suo desiderio che quell’edicola, quasi interamente ricoperta di rovi, fosse adeguatamente ripulita e divenisse un luogo di culto e devozione. La fanciulla riferì a tutti le parole udite ma non fu creduta. Solo quando, pochi giorni dopo, gli abitanti di Mongiovino si ritrovarono spettatori di un vero e proprio miracolo - la pastorella che chiedeva loro se avessero sete con una brocca colma d’acqua sul capo rovesciata all’ingiù senza che ne cadesse a terra una goccia - ecco che tutti credettero alle sue parole e si resero disponibili alla volontà della Vergine. Quando col tempo iniziò la costruzione dell’attuale Santuario, avvenne un giorno un altro fatto soprannaturale straordinario. Si racconta che gli operai addetti alla fabbrica si ristorassero con il pane che Andreana andava questuando quotidianamente nei centri abitati all’intorno. Una volta la pastorella si presentò a loro all’ora di pranzo con il sacco quasi vuoto ma cominciò a distribuire il pane come faceva abitualmente tutte le altre volte. Ebbene, il pane non solo bastò per tutti, ma ne se avanzarono moltissimi pezzi. Era il 23 aprile 1513, giorno dedicato a san Giorgio, per il quale la devozione a Mongiovino è più che attestata ancora oggi. Da allora, infatti, ogni 23 aprile al Santuario di Mongiovino vengono distribuite ai pellegrini delle pagnottelle marchiate con le lettere S. G. (San Giorgio). Esiste infine un altro racconto di miracolo che concorre alla fondazione di questo luogo di culto mariano, legato alla promessa di una giovane sposa con una gravidanza travagliata. La donna aveva fatto voto di coprire con un velo l’immagine della Vergine nel caso che l’esito del parto fosse stato positivo. Con il bambino tutto andò a buon fine e la donna coprì l’immagine rupestre con il velo promesso. Avvenne che il pievano ripetutamente rimuovesse il velo, ritrovandolo però ogni volta al suo posto iniziale poco dopo. Convinto allora della miracolosità dell’evento, il sacerdote divulgò la notizia che presto richiamò gran concorso di popolo e produsse altri eventi miracolosi, come testimoniano i numerosi ex-voto che il Santuario custodisce.

“Va’ Andreana e di’ agli omini che ripuliscano queste macchie”

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termine con la costruzione o la ristrutturazione delle Pie Case sui lati sud-est e sud-ovest in cui fu inglobata anche la fonte, e il rifacimento completo della piccola chiesa di San Martino, nel 1728. Il campanile, a due ordini di timpani sovrapposti in cotto rosso, del 1775, progettato dall’ architetto Francesco Tiroli ed eseguito da Giovan Battista da Lugano. Anche qui sono presenti elementi con forte valenza simbolica in quanto rappresentazione di attributi della Vergine già prefigurati nell’Apocalisse e presenti nelle litanie del Rosario. Interessante anche l’inquadramento territoriale: tra

il XV e il XVI secolo, insieme a quello di Mongiovino vennero costruiti, nella zona, anche altri Santuari che formano una vera e propria corona intorno al Lago Trasimeno

ristrutturazioneIl Santuario è stato in parte restaurato in occasione e con i fondi del giubileo dell’anno 2000, grazie ad un accordo di programma stipulato tra il Comune di Panicale, la Regione Umbria, la Soprintendenza di Perugia, la Curia di Perugia e il Comitato di S. Maria Assunta. Il progetto di restauro ha riportato alla luce affreschi e dipinti nel loro colore e splendore

originale. Stessa sorte, invece, non ha avuto l’esterno del Santuario ma nemmeno la struttura portante e le fondamenta. Vi è infatti un progetto, tra l’altro già approvato, ma a mancare sono i fondi per farlo diventare operativo.Dal racconto del miracolo di Mongiovino si legge “Va’, o Andreana, e di’ agli uomini di Mongiovino che mi levino queste macchie attorno e nettino il Luogo e vi facciano una piazza”. Un’esortazione a far cessare l’incuria e fare del posto un luogo sacro. Quella piazza e quel Santuario, però, oggi rischiano sempre più di sopperire al tempo che passa. Da qui

PROGRAMMA EVENTI SANTUARIO MONGIOVINO 24 e 31 Marzo santa Messa “ripresa televisiva in diretta dal santuario” trasmessa da rete4

23 aprile 2013ore 18 Santa Messa con i parroci dell’unità pastorale: si inaugura l’anno dell’evento “500mo anniversario dal miracolo della moltiplicazione dei pani in Mongiovino” 24 aprile 2013ore 18 Conferenza “Il Santuario di Mongiovino, passato, presente e prospettive future di un tesoro in oblio” a cura dell’associazione culturale Accademia Masoliniana di Panicale 25 aprile 2013ore 18Concerto di musica classica all’interno del Santuario di Mongiovino Federico Galieni, violinoGiovanni Sannipoli, flautoJacopo Zembi, organo 27 aprile 2013ore 16 Convegno “Il Turismo religioso delle grandi vie dei pellegrini: un’opportunità per l’Umbria” interverranno:Marco Vinicio Guasticchi - Presidente Associazione Progetto per l’UmbriaSalutiAntonio Barone - Rappresentante degli itinerari culturali riconosciuti dal Consiglio d’Europa - Direttore della Rotta dei FeniciGli itinerari di cultura e di pellegrinaggio in Europa e loro prospettivePaolo Caucci Von Kausen - StoricoLe vie dei pellegrini nel centro ItaliaDonatella Porzi - Assessore alla Cultura della Provincia di PerugiaGli itinerari culturali e il patrimonio storico artisticoMaura Lepri - AntropologaI Santuari Mariani legati ai Miracoli nel TrasimenoFrancesca Caproni - Direttore del Gal Trasimeno – OrvietanoGli itinerari culturali e storico religiosi e l’iniziativa comunitaria Leader Rita Rossetti - Console del Touring ClubViaggiare per fede una modalità di turismo in crescitaSilvia Costa - EuroparlamentareConclusioniIl convegno è organizzato a cura dell’Associazione Progetto per l’Umbria Via Savonarola, 62 06126 Perugia tel 075/34111 www.progettoperumbria.com 28 aprile 2013ore 11 Messa solenne celebrata dal S.E. il Vescovo Gualtiero Bassetti

Durante tutta la settimana sarà attivo il servizio di visite guidate al SantuarioIl coordinamento di tutte le iniziative è a cura della Confraternita del S. Sacramento in Mongiovino - Piazza del Santuario, 1 - 06068 Panicale (PG) Tel e fax 075/833351

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il progetto di recupero, diviso in due fasi. La prima consiste nella messa in sicurezza della struttura, nel completamento delle demolizioni delle zone pericolanti, nell’allontanamento dei detriti e dei materiali precipitati all’esterno e all’interno dei locali e una seconda fase per il consolidamento vero e proprio partendo dalle fondamenta. Se il progetto troverà i giusti fondi si avranno numerose migliori. Lo scopo della ristrutturazione non è solo quella di conservare un bene culturale ma anche quello dello sviluppo del territorio e del ripristino di uno dei più importanti luoghi di culto dell’Umbria. L’intervento

relativo al Complesso del Suntuario di Mongiovino rientra in un contesto ben più ampio che è quello dello sviluppo e la valorizzazione del territorio del Comune di Panicale. Oggi, infatti, la chiave di lettura di questo settore è “fare sistema”. Non si può più pensare ad un valido sistema turistico senza la valorizzazione del territorio della sua storia ed alla sua cultura né tanto meno al suo mantenimento. Il complesso di Mongiovino è al centro di un sistema che vive di cultura, religione ed attività nel territorio. Non salvarlo e valorizzarlo sarebbe un peccato, in tutti i sensi. I

Il santuario è stato in parte restaurato nel 2000

ma necessita di altri interventi per i quale vi è il progetto

ma non i fondi

Nelle pagine precedenti alcuni particolari degli affreschi, e una vista dal basso delle vele e della cupola.In questa pagina a sinistra un particolare della deposizione, a destra in alto gli affreschi dietro l’altare e nella foto in basso l’organo spicca tra le nicchie in tutto il suo splendore (foto Nazzareno Margaritelli)

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L’incidente di 10 anni fa ha dato a Gianluca Tassi la spinta per ideare il progetto che mira al reinserimento sociale dei portatori di handicap

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di Giovanni Belia “A dieci anni esatti da quella traumatica caduta dalla moto in Perù, costatami la perdita dell’uso delle gambe, mi sono

posto due obiettivi: partecipare alla più importante manifestazione motoristica off-road, la mitica Dakar, tornando proprio in Sud America ed esorcizzando così quell’evento e rendere operativo il progetto Evolution Driving School”. Luca, così lo chiamano tutti, è nato sotto il segno dell’adrenalina 53 anni fa a Perugia. Dapprima campioncino in erba nelle discipline di sci alpino e sci nautico, ha poi l’opportunità di esordire nel 1983 ai Campionati Europei di Enduro come pilota ufficiale di MotoRally. La sua passione per le due ruote prevale. Inizia una brillante carriera costellata da tante vittorie in gara e da 5 titoli Regionali, 16 Italiani ed 1 Europeo. Vincere come pilota off road significa costante ricerca del limite per completare tracciati inediti e ad abbandonare per sempre la moto, ma non lo

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PoEtiche

Madre Perla: opera prima di Maria Letizia Giontella, appena uscito nella collana di poesia la chioma di Berenice, Morlacchi Editore. Il libro, illustrato in

copertina dal talento artistico di Giovanna Bruschi e prefato dalla felice penna di Vittoria Bartolucci, si distingue per una sua compatta ragione poetica espressa, tuttavia, nella leggerezza, nella sommessa vibrazione di immagini che conducono a un vasto mondo interiore. La presentazione, avvenuta da qualche settimana, è stata di grande impatto presso un pubblico attento, emozionato e numerosissimo, tanto da rendere necessario prima dell’avvio di serata il trasferimento in una sala più capiente della prevista sala Fiume a Palazzo Donini. Madre Perla è il titolo chiave di un filo conduttore nella riflessione poetica, il colore dell’esistenza, unico e molteplice, trascolorante nelle mille nuances e tinte che compongono l’arcobaleno, quelle immediatamente visibili, quelle di raccordo e, per dir cosi, di connessione, sfumate, meno evidenti, interiori e altre addirittura invisibili. La luce, le ombre, le oscurità insistono alternativamente (ma a volte anche contemporaneamente) sui colori, che si separano e si legano nella continuità di una lattescenza madreperlacea iscritta nel fluire dei sentimenti, delle emozioni, dell’esperienza, del ricordo. Madre Perla è, dunque, la madre cosmica che tutto investe di sé. Con perfetta coerenza la struttura del libro, che non è banalmente definito in sezioni, affida le sue tante articolazioni a percezioni cromatiche, specchi del vivere interiormente le cose, gli eventi, la gioia e la dissonante pena, il rimpianto, l’amore, la nostalgia, nel costante allaccio fra l’esistenza individuale e quella cosmica.“La luce che fa brillare i colori della vita sfuma nella penombra del crepuscolo e poi su tutto precipita la notte. L’arcobaleno vivace che in armonie di gioia o squilli di fuoco o rifugi di dolcezze consola dalle dissonanze del dolore (componimenti1-23) si stempera nella tristezza e nel rimpianto (componimenti 24-28) e poi tace nel buio cieco della notte dell’anima, del dolore personale e del mondo (componimenti29-36).Ma anche nella tenebra continua a respirare l’arcobaleno lunare (componimento37), che noi non percepiamo se non in un breve chiarore…Anche davanti ai nostri occhi chiusi, nell’aria di fango che sembra strozzare la Speranza, continua a pulsare una scintilla, una mica di luce, un fiocco di neve, un volo di bianco componimenti (38-43)”.Cosi recita l’autrice nella sua breve introduzione,

intenta a indicare la marcatura delle sequenze testuali, la lucida scansione nello sviluppo del pensiero poetico e della sua visione del mondo.A FaridhAvevo scelto per te un nome/che non fosse una prigione/di parole/ma un trillo/una freccia/d’aria,/ FARIDH,/ piccola pantera affusolata/nata da una melodia/sfuggita al vento,/usignolo di musica/che volteggiavi irraggiungibile/sul canto stupito/della vita/ Una vita lunga/da passare insieme/tra capriole d’arpa/e girotondi di fate.../ Non potevo sapere/che il tuo piccolo cuore/era una nota di valzer/troppo lieve/per i pavimenti della terra/e all’apice di un vortice/di danza/sei volato via/lontano/attratto dallo squillo/irresistibile/del telefono invisibile/di nubi in corsa/nell’azzurroGiovanna d’Arco che rideLe scale erte e cieche/ansimavano in fuga/dall’atroce stretta dei muri/Deformati gradini/incrinati di spasmi/ventri devastati/di animali morenti/ammassati nel buio/Onde di polvere unta/ammorbavano l’aula/Dalle pareti scrostate/gocce di scure parole/rivoli densi melmosi/di iniqui osceni verdetti/pozze ripugnanti/di disdegno beffardo/nell’aula del giudizio/dal pavimento fradicio/di corrosione/nell’aula della berlina/coronata di spazzatura/Non un lucore nel livido/piombo

incombente tagliente/minacciante il respiro/dell’aria…/ Fuori/un enorme ippopotamo/appena oltre la soglia/la bocca spalancata/in un sorriso solare/ si sciolse ogni laccio ogni nodo/e si misero a danzare leggeri/lei e lo smisurato il gaudioso/il vittorioso il trionfante/IPPOPOTAMO/a mezz’aria per non sporcarsi/sulle orme degli uomini/ il fango dorato dell’Eden/colava dalla pelle di smalto/e copriva e puliva e annullava/ogni macchia ogni insulto/degli uominiHo riportato questi due testi, a mio avviso tra i più belli della raccolta, anche perché emblematici di diversi aspetti peculiari della poesia della Giontella, tra cui il suo modo di rappresentare l’esperienza concreta, la realtà, in una prospettiva spesso paradossale e deturpante, insensata e arida, a contrasto incastonata (o semplicemente destituita in un batter di ciglia, quasi il tocco di una bacchetta magica) in una fervida sbrigliata immaginazione, a volte quasi fiabesca o anche molto bizzarra, giocosa.L’altro evidente elemento è la presenza decisiva e decisamente protagonista delle creature animali.Nella prima lirica la persona a cui ci si rivolge è colta felicemente nelle sue qualità particolari attraverso, appunto, immagini di animali che, mentre spesso il luogo comune lega ad una riduzione, per cosi dire, ad una condizione un po’ destituita dell’umano,

Madre Perla l’opera prima di Maria Letizia Giontella La presentazione è stata di gran-de impatto tanto che è stato neces-sario trovare una sala più capiente

di Brunella Bruschi

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qui diventano una risorsa vastissima, uno scrigno di valori e sfumature caratteriali, psicologiche, interiori, offrendo accanto alla figura palpitante del personaggio anche la gamma dei sentimenti sottesi al ricordo. Nella seconda l’incubo della vicenda storica e insieme mitica di Giovanna d’Arco, dettagliata nella scansione progressivamente più soffocante e senza uscita di tutti gli elementi agghiaccianti che la connotano, è risolta nell’opposizione dentro-fuori, dove l’animale più goffo e fermo nell’immaginario comune è in realtà un angelo liberatore, una creatura alata che si libra in volo per la salvezza della pulzella. Più che un deus ex machina l’ippopotamo è il trionfo della nostra naturalità, della semplicità onesta, autentica e persuasa che da dentro ci guida, ed è la Madre Perla con le sue precise direttrici che ci riscattano dalla brutalità della storia.Questa singolare osmosi fra una sbrigliata creazione d’immagini e ciò che comunemente riteniamo fenomenico e oggettivo mi fa percepire affinità fra questi versi e in genere, in un carattere abbastanza diffuso, quelli della poesia praghese che amo molto, in particolare dell’autore che preferisco, Jaroslav Seifert, premio Nobel 1984, che fonda la sua scelta stilistica essenziale sul racconto della sua città, della storia, delle vie, dell’arte, della vita e cosi via, osservando queste realtà attraverso il filtro del mito

e dell’immaginario collettivo ricchissimo fiorito nei secoli intorno alle vicende del paese e soprattutto della sua capitale, la città di Praga. Una realtà che resta nella sua essenziale integrità, ma è rappresentata dalle parole del poeta nelle sfaccettature, nelle luci e ombre dell’immaginazione che l’ha nutrita nel tempo, attraverso i secoli, di una vita nascosta, di sue singolari e intrinseche ragioni. Ed anche, per altri versi, restando nell’est europeo, e citare una poeta donna, mi fa pensare all’originalissimo versificare di Marina Cvetaeva intessuto di musica e pensiero. Non so fino a che punto sia condivisibile questa lettura , ma cosi mi suggerisce la mia personale adesione ai testi di questa raccolta di Maria Letizia. Gli autori che ho citato mi sembrano due esempi straordinari di come, se da una parte, ad esempio,secondo l’affermazione di Borges, esiste una poesia di immagini ed una intellettuale che nasce nella veglia, nell’astrazione della parola quasi sfuggente all’immagine e addirittura alla cosa, il grande argentino, non a caso auspichi poi per sé una possibile via intermedia, e cosi anche molti altri poeti per i quali il linguaggio della scrittura è una relazione inedita fra le cose.Questo, credo, riesca a realizzare con naturalezza il verso di Maria Letizia Giontella nella raccolta Madre Perla.

Un’altra poesia che trovo molto suggestiva sia per il ricordo concreto di una pregnanza commovente sia per la dominante valenza del bianco, ricco di diversi sensi simbolici, è “Quanta neve”. “Quanta neve”Quanta neve quell’anno/quanta neve/e la strada sommersa/e l’auto del tassista/che sbandava…/ Quanta neve per non lasciarti sola/nel tuo piccolo presepe/in mezzo ai monti…/ e poi il firmamento/in una candela/e le fragranze del mangiare insieme/e il dolce tepore della brace/nello scaldino/sotto le coperte/di melagrana…/ Quanta neve, nonna,/nella mia vita…/ E non la neve candida/del tuo Natale…/ Neve sporca di smog/e di catrame…/ E nessuna auto arrivava…/ O forse ero io/a non vederla/perché gli angeli…/ Gli angeli viaggiano/in perle/d’aria/e attraversano la neve/delle nuvoleQui la tavolozza dei vagheggiamenti memoriali, l’arcobaleno dei sentimenti che plasmano la vita, i luoghi che la conducono lungo il filo sottile delle parche, mito d’infanzia, età delle consapevolezze e dello smarrimento e, sopra tutto un cielo di nuvole col suo angelo nascosto come la speranza, hanno il comune denominatore della neve e del bianco, appunto, che sembra sempre uguale e privo di colori, un bianco che invece li racchiude tutti, nutrendo la luce immacolata, le fosforescenze, l’opacità stessa che conduce al buio.Questa orchestra di filiformi contrappunti negli sguardi e nella voce della lirica e in genere del libro sono vibrazioni di una generosità che è di vita e di poesia, la generosità del porgere tutte le gamme dell’interiore esperienza, di riconoscere costantemente la propria appartenenza profonda alla sfera naturale, alla realtà delle creature animali, in perpetuo dialogo con le nostre più capillari sensibilità.E di generosità è nutrito l’impegno alla scrittura che si rinnova per essere vita e non rumore di sordi orpelli retorici, di inaridite scorie del cuore.Le parole della poesia“Essere albero tra gli alberi/e gatto tra gli animali”…/ Infrangere lo specchio/dell’io che si delinea/e si appartiene/e narra la fiaba di se stesso/all’eterno mercato/delle parole/ Non ci è dato/se non in brevi istanti/d’estasi/e siamo sogni/ di sirene d’etere/lungamente straziati/dalla nostalgia/dell’Unità/…Parole che declinano dai fasti/delle feste di corte/e senza vergogna si ricoprono/di poveri vestiti rattoppati,/sonnecchiano in panchine scolorite/con dondolii di sole tra le ciglia/….parole che attraversano il silenzio/per ricondurci al Silenzio. I

“Non rinuncerò mai a sperare che i sopravvissuti tornino a vivere, che le rondini morte

risorgano, che Daudelion ritrovi la sua sposa, che il Dio dei fiori

possa sbocciare in noi…”

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A Città di Castello lo stridore delle carrucole di legno ed i colpi secchi cadenzati del pettine dei telai scandiscono ancora il tempo di un

lavoro difficile e impegnativo eseguito da donne assidue e tenaci che garantiscono la realizzazione di tele rare e preziose. Dai tessuti un po’ ruvidi e grossolani dei primi anni di attività, si è passati a tele eseguite con filati di puro lino di Fiandra e d’Irlanda, sottili e delicati, però sempre con procedimenti esclusivamente artigianali. Le

produzioni di Tela Umbra propongono ancora oggi gli stessi motivi e i disegni originali del periodo rinascimentale, eseguiti secondo una sapiente gestione delle operazioni da parte delle tessitrici. Ad accompagnarci in questo viaggio lungo oltre cento anni è Francesca Peli, una delle sette socie della cooperativa che gestisce laboratorio e museo: “Quella di Tela Umbra è la storia di un laboratorio e di una produzione tessile d’eccellenza, unica nel suo genere al mondo e che dal 1908 è rimasta immutata nei gesti, nei mezzi e nella passione, la

stessa che ha inizio per illuminata volontà di Alice Hallgarten Franchetti, una donna straordinaria che seppe donare alla sua gente la dignità che è propria del lavoro e l’istruzione, diritto inalienabile di ogni essere umano”. Il laboratorio Tela Umbra oggi si trova ancora nel palazzo storico Alberti Tomassini, al centro della città, a pochi passi dalla piazza principale e tutto funziona ancora come agli inizi del secolo scorso, con l’intento di tutelare una produzione realizzata esclusivamente a mano. “La baronessa Alice Franchetti decise di

tradizioni

Il laboratorio tifernate, fondato nel 1908 dalla baro-nessa Alice Hallgarten, è l’unico nel quale vengono prodotti artigianalmente manufatti utilizzando disegni originali di epoca medioevale e rinascimentale

Tela Umbra, un’arte antica al servizio della modernità

di Barbara Maccari

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Che legame c’è tra Campania e Umbria? Per scoprirlo bisogna fare un tuffo nella storia fino al XIII secolo. L’antica tradizione legata all’ideazione e alla lavorazione

della carta bambagina affonda le sue radici nel Medioevo. La Charta Bambagina, chiamata carta di Amalfi, viene ancora prodotta non solo nella città marittima, ma anche a Bevagna dove si trovano cartiere che continuano la produzione rispettando regole e criteri tradizionali. A causa

della sua consistenza e della durata, per gli atti notarili Federico II la proibì nel 1220 sostituendola la carta pergamena, ma, a dispetto del parere regale, tutt’oggi esistono sostituire con ‘documenti ufficiali

del ‘400 perfettamente conservati. In seguito ad una alluvione che nel 1954 colpì Amalfi, quasi

tutte le cartiere – circa 15 - furono distrutte, lasciandone intatte tre. Rimasero attive soltanto due famiglie di cartai: i Milano, che riconvertirono la loro cartiera in museo, e

gli Amatruda, che ancora oggi continuano a produrre la carta a mano. Attualmente

la carta bambagina nelle due regioni viene utilizzata in occasione di annunci di

cerimonie. Alcuni studi però evidenziano che la produzione della carta bambagina è addirittura

arti&mestieri

La medievale carta originaria di Amalfi continua ad essere prodotta non solo in Campania ma anche in Umbria, nelle cartiere di Bevagnadi Floriana Lenti

A spasso nel tempo e nel mondo sulle orme della Charta Bambagina

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Il cervello di un bambino è una complessa struttura in espansione. Per spiegarne le potenzialità e il funzionamento, alcuni scienziati di oggi lo paragonano alla rete Internet

mondiale. Così come la rete, anche il cervello infantile è un organo in evoluzione, in uno stadio di sviluppo speciale che comporta una rapida crescita e costanti cambiamenti, in grado di creare miliardi di miliardi di connessioni. Nel cervello di un bambino ci sono 100 miliardi di neuroni. I neuroni sono collegati tra loro attraverso le sinapsi, vere e proprie connessioni, per continuare l’analogia, paragonabili ai link che collegano le pagine web. Lo sviluppo del cervello avviene proprio grazie al proliferare di queste connessioni. Se in un cervello adulto le

sinapsi sono pari a trecento trilioni, nel cervello di un bambino sono pari a un quadrilione. Per intenderci, le sinapsi nel cervello del bambino sono dieci volte più numerose delle connessioni presenti su Internet oggi.Questo enorme numero di sinapsi, però, non è pre-formato nel cervello, ma si realizza nel corso dei primi cinque anni di età, ogni volta che il bambino vive un qualsiasi tipo di interazione. Questa rete di collegamenti va a costituire l’architettura stessa del cervello. È per questo che, nei primi anni di età, con massima attenzione a quello che accade da zero a tre anni, quando ci mettiamo in relazione con un bambino stiamo effettivamente alimentando la crescita del suo cervello.

È vero che il cervello, se opportunamente stimolato, può esprimere una poderosa matrice di sinapsi tale da garantire un’infanzia piena di voglia di apprendere e una vita ricca di consapevolezza e armonia. Ma è vero anche che se questi stimoli non arrivano – o se ne arrivano di sbagliati – la strada dello sviluppo sarà completamente diversa.Queste le basi scientifiche dello splendido lavoro di Pappa di Musica. Un progetto realizzato in Umbria da due musiciste che hanno coniugato l’amore per la musica con quello per i bambini, decidendo di reinventare la loro passione e di metterla al servizio di scuole e famiglie. Il progetto nasce dopo un lungo percorso di formazione. Maria Letizia Massetti (violino) e

associazioni

Al centro del progetto realizzato in Umbria da due musiciste ci sono i bambini. Il cervello dalla nascita a tre anni ha una capacità di apprendi-mento straordinaria

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Il pomeriggio di una primavera appena sbocciata. Una telefonata “rinascimentale”, desta il mio torpore. La voce della dottoressa Francesca Abbozzo, direttrice dell’allestimento museale della Soprintendenza ai Beni Culturali dell’Umbria, suona come un proclama che non t’aspetti:

vuole mostrarci le meraviglie del Palazzo Ducale di Gubbio appena restaurato. Il tempo di saltare in sella alla mia Ducati e dopo venti minuti di curve, sopra l’antico corridoio bizantino, sono al cospetto della città dei Ceri. Una vigilessa clemente mi fa accedere al centro storico. La città è silente. Fra capitelli in pietra serena e stemmi gentilizi, salgo il ripido selciato che porta al Palazzo Ducale, al di la del quale sembra risuonare una voce Cinquecentesca: “Benvenuti alla corte di Federico!” Un alto portone si schiude dinanzi al cortile d’onore quadrangolare mentre le arcate dei portici sembrano rincorrersi invitandoci all’interno del Palazzo, voluto dal famoso condottiero e mecenate Federico da Montefeltro, già signore di Urbino.

La storiaIl Palazzo Ducale fu costruito dopo il 1470 dall’architetto Francesco di Giorgio Martini, in seguito alla conquista del feudo avanzato di Gubbio da parte dei Montefeltro, ed è dichiaratamente l’espressione di un modello di vita che si ispira alla civiltà umanistica e rinascimentale. Alla morte di Federico, la splendida dimora eugubina passò al figlio Guidubaldo fino al 1508, il quale dapprima spodestato da Cesare Borgia, lo riconquistò per cederlo al nipote adottivo Francesco Maria della Rovere. Oggi il Palazzo Ducale ci viene riproposto nel suo antico splendore dopo

Monumenti

di Pier Paolo Vicarelli

La Soprintendenza ai Beni Culturali dell’Umbria ci porta per mano a sco-prire le meravigle della re-sidenza rinascimentale da poco restaurata

Il palazzo Ducale di Gubbioin udienza da Federico

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Determinante fu la presenza nell’enturage della vita di corte

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Trasformare in note musicali i luoghi che ti appartengono, i colori e le atmosfere della terra umbra, mescolare le proprie emozioni in perfetta armonia

con quelle di altri artisti che portano dentro stessa, la singolare visione della propria realtà. Tutto questo lo fanno magistralmente i Solisti di Perugia, orchestra composta da un nucleo centrale di undici archi e un clavicembalo, tutti di natali umbri, che dal quartier generale di Perugia “esportano” la loro musica in tutto il mondo, con un repertorio che va dal Barocco, attraverso il Classicismo e le rare quanto considerevoli

composizioni romantiche, fino alle più varie espressioni musicali del Novecento italiano e non solo. Il primo concerto dello specialissimo ensemble è avvenuto nel 2000 e ad oggi il gruppo di artisti – tutti professionisti della musica che nel loro tempo “libero” vestono i panni dei “Solisti di Perugia” - compie numerose tournée in tutto il mondo. Una delle tappe più prestigiose del loro tour annuale è il Kusatsu International Summer Music Academy & Festival che si svolge in Giappone, al quale ha spesso assistito e partecipato anche l’Imperatrice Michiko. In un’occasione, addirittura, Sua Altezza ha voluto

cimentarsi al piano con i Solisti perugini, che nel Paese del Sol levante vengono apprezzati fin dal 2003. “Fu allora che ci contattò un produttore discografico nipponico – racconta Paolo Franceschini, presidente e primo violino de “I Solisti” – e da quell’anno abbiamo iniziato ad avere molti estimatori in Giappone. Per noi è un onore annoverare tra questi addirittura l’Imperatrice”.I Solisti di Perugia, quando si esibiscono “in casa”, sostengono varie iniziative benefiche, convinti che la musica possa favorire iniziative utili nel sociale. Inoltre, come spiega il maestro Franceschini,

musica

Il gruppo di musicisti ha tenuto il primo concerto nel 2000. Da allora si sono susseguite date e successo in tutto il mondodi Mariangela Musolino

Le tinte e gli ambienti umbrinelle note dei Solisti di Perugia

foto Sergio Fortini

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L’anno 1975. La primavera è già sbocciata ed il calcio mercato è in fermento. Nell’officina di Romolo Rossi a Ponte Felcino, a due passi da Perugia, un

capannello di persone sembra confabulare intorno al cofano alzato di una 127 Fiat. Sebbene le novità tecniche della vettura destassero un certo interesse, i curiosi che si avvicinavano a quell’insolito ritrovo, percepivano che non era quello l’oggetto del contendere. La novità era un’altra: Il Perugia aveva “preso” Walter Novellino. Un ragazzo fino ad allora quasi sconosciuto, cresciuto nelle giovanili della Pomese, per poi salire in serie C alla Cremonese e all’Empoli. Il traguardo raggiunto appariva ambizioso, ma un giorno l’allenatore Olivieri decise di scartarlo perché diceva che era un giocoliere. Non la pensa così Silvano Ramaccioni, rampante direttore sportivo del Perugia calcio che lo propone all’emergente allenatore Ilario Castagner il quale intuisce il suo talento offensivo e decide di utilizzarlo subito come mezzapunta. E’ un successo. Il 30 settembre 1975, nella partita di esordio della Mitropa Cup contro il Rapid Vienna, Novellino viene chiamato

amarcord

E’ entrato a far parte della storia del calcio pe-rugino. I suoi dribbling esaltavano anche i tifosi avversari. Uno dei talenti più naturali scoperto da Ramaccioni e valorizzato da Castagnerdi Pier Paolo Vicarelli

Walter Novellino la mezzapunta terribile del Perugia dei miracoli

Con la maglia del Grifo ha disputato quattro campionati di serie A

con 81 presenze e 11 gol segnati

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Bibo’s land

Si snoda tra i boschi il percorso dei vecchi binari dell’Appennino Centrale, tra stazioni abbandonate, chiuse e mulini

Sulle tracce della ferrovia perduta

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di Marco Morello

La signora Clara sbuca da una casa dall’altra parte della statale 219 “Pian d’Assino” che taglia in due il grumo di case di Camporeggiano. Quando c’era ancora la ferrovia, il paese doveva essere più esteso e la signora Clara

appena bambina. Ci porta con rammarico al punto in cui stavano inchiodati i binari, accanto a una banchina che, come le traversine, le pietre della massicciata o gli scambi di un tempo, possiamo solo immaginare. Lo sguardo però indovina con chiarezza che quel rettilineo, ora inglobato da un tunnel di alberi, era la stazione ferroviaria. Da lì si partiva per raggiungere in treno città più grandi con le quali era possibile, per i contadini e gli artigiani della zona, intrattenere rapporti commerciali. Dal 1886 fino alla seconda guerra mondiale, da questo microscopico borgo passava il treno. E non si trattava di una ferrovia locale di poco conto ma di un tratto di strada ferrata a scartamento ridotto che collegava la Roma-Firenze (versante tirrenico) con la Roma-Ancona (versante adriatico). La “Appennino”, meglio conosciuta come “trenino di Gubbio”, rendeva semplice spostarsi con un mezzo popolare da un mare all’altro, permettendo agli abitanti dell’Appennino Centrale di aggiungere dall’entroterra sia Arezzo sia Gubbio e il resto d’Italia.La ritirata dei tedeschi nel 1944 si portò via tutti i ponti - che furono minati e distrutti dalle forze d’occupazione in fuga. Il

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I l successo di CLAUDIO CUTULI continua e le sue sciarpe di altissi-mo livello conquistano il mondo. Alle fi ere della moda contempora-nea di Milano, Parigi e New York Cutuli incanta con la sua storia attraverso l’anniversario dei 175 anni dell’azienda. Un cultore del

bello, come egli stesso ama defi nirsi, dalla novità sempre a portata di mano; una moda, la sua, che esiste da 175 anni ma è sempre nuova e originale. Continua a stupire con la sua ultima novità: le sciarpe dall’iniziale personalizzata. Si tratta di una stola di fi lato di faggio tinta con elementi della terra, sulla quale è possibile incidere la lettera dell’alfabeto che più si preferisce. Alla base di ogni sua creazione privilegia materiali ricercati e tintura naturale: ricava infatti dalle foglie di frassino e dal melograno il verde, dal mallo di noce il moro, dalla robbia tintoria il rosso e dal sambuco il grigio; i quattro colori che compongono la sciarpa.

Claudio Cutuli’s success is going on and the fashion of his high quality scarves is conquering the world. In the contemporary fashion trade fairs of Milan, Paris and New York Mr. Cutuli enchants people with his history during the

175th anniversary of the company. He likes describing himself as a lo-ver of beauty always in search of novelty; his fashion is 175 years old but it’s always new and original. He goes on amazing people with his latest innovation: the scarves with customers’ initials. It is a beech yarn stole, dyed with earth elements, where it is possible to engrave the letter of the alphabet the customer likes most. For every creation he prefers high quality materials and natural dyes: in fact green colour is extracted from ash tree leaves and from pomegranate tree, brown from walnut husk, red from Rubia Tinctorum and gray from elder; these are the four colours of the scarves.

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bello, come egli stesso ama defi nirsi, dalla novità sempre a portata di mano; una moda, la sua, che esiste da 175 anni ma è sempre nuova e originale. Continua a stupire con la sua ultima novità: le sciarpe dall’iniziale personalizzata. Si tratta di una stola di fi lato di faggio tinta con elementi della terra, sulla quale è possibile incidere la lettera dell’alfabeto che più si preferisce. Alla base di ogni sua creazione privilegia materiali ricercati e tintura naturale: ricava infatti dalle foglie di frassino e dal melograno il verde, dal mallo di noce il moro, dalla robbia tintoria il rosso e dal sambuco il grigio; i quattro colori che compongono la sciarpa.

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“Ciascun uomo è un’umanità, una storia universale”, scriveva Jules Michelet in uno dei suoi scritti pensando alla storia dell’umanità.

Così devono averla pensata anche gli organizzatori dell’originale iniziativa storica chiamata Archivio della Memoria Condivisa che è partita nel nostro capoluogo lunedì 29 ottobre 2012. L’idea è stata promossa dall’Assessorato alla Cultura e alle Politiche Sociali del comune di Perugia e attivata in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura della Regione Umbria. Ma cos’è esattamente l’Archivio della Memoria Condivisa? Un nuovo archivio cittadino in cui raccogliere frammenti del nostro passato? Certamente sì, dato che è principalmente a questo che serve un archivio, ma quello che lo allontana da uno tradizionale è il suo essere un progetto storico interattivo, cioè un progetto pensato per coinvolgere la cittadinanza nella sua realizzazione. L’assetto di questa nuova struttura difatti, pone le sue fondamenta sull’apporto attivo e continuativo di materiale storico da parte di cittadini, enti o fondazioni che possono fornire alla città, nella veste dell’Archivio, tutto il materiale documentario (video, filmati, fotografie, documenti, interviste) in loro possesso inerente la storia cittadina e che ritengano utile per contribuire a ricostruire preziose pagine di storia locale.L’Archivio sarà quindi una struttura permanente che avrà il compito di raccogliere e catalogare in maniera continuativa e duratura tutto il materiale che i perugini, e non solo, vorranno inviare per dare il proprio contributo alla sua realizzazione. Oltre alle attività di raccolta e catalogazione sopra elencate il piano organizzativo prevede che periodicamente vengano programmate mostre, convegni, iniziative editoriali che continuino quel rapporto di interazione con la cittadinanza che sta alla base dell’Archivio, e che permetteranno ai cittadini di avere nuovi strumenti di conoscenza del proprio passato. Il progetto di un archivio condiviso si incastona nel più ampio disegno che candida le città di Perugia e di Assisi a diventare Capitali Europee della Cultura nel 2019, per il quale è necessario realizzare strutture permanenti che valorizzino

iniziative

Una nuova struttura che pone le fondamenta sull’apporto di materiale storico da parte di cittadi-ni, enti o fondazioni

Nasce a Perugia l’Archivio della Memoria condivisadi Valentina Pannacci

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Foto, video, documenti vari si possono portare nei centri di raccolta

di Palazzo della Penna e delle Biblioteche

Comunali

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Budino di cannella con pere al vino rosso

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A confronto la tecnica di uno chef e i segreti e l’esperienza di una casalinga

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Luigi Zeppetti si sono sbizzarriti con due ricette a base di frutta. La nonna si cementa in una classica torta di mele ottima per colazioni e merende. Il cuoco invece ci guida nella preparazione del budino di cannella con pere al vino rosso, una chiusura di pasto da leccarsi i baffi

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Racconti diVini

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Un tuffo al cuore, quando i ricordi riaffiorano alla mente, ritornando alla giovane età rivedo la terra con una giovane erbetta, gli alberi da frutto, di pesche, albicocche, ciliegie con i loro colori e profumi. Ma qualcosa di più profondo

mi viene da ricordare, loro! Dei bellissimi e maestosi filari di viti, curati con estremo amore, da produrre un frutto eccezionale: l’uva fragolina, cosi veniva e viene ancora chiamata per il suo colore rosso, ma soprattutto per il suo sapore dolce fruttato, con un retrogusto, a mio parere, unico. Le viti venivano sapientemente custodite da un uomo straordinario che si dedicava a loro con devozione, fino al giorno della raccolta e tutti ....

Il ricordo dell’uva fragolina

• di Anna Iavarone

Racconto premiato conUna selezionedi prodotti Goretti

Ispirati al vino e dal vino. E’ con questo “spirito”

che nasce Racconti diVini, l’iniziativa che coinvolge

i nostri lettori. In ogni numero pubblicheremo

uno dei racconti pervenuti.

Ecco il pezzo di questo numero.

Buona lettura.

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0 4 Racconti diVini

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Ex V inis sino Ad V inum

Descriveremo il vino e la sua veste. Dalla botte alla damigiana, sino a giungere al fiasco e alla bottiglia con le sue etichette distintive. Ex vinis sino ad vinum. Un discorso che si completa con

la complicità galante del tempo. Il vino che prima di colorare coi profumi il bicchiere si presenta con un abito ogni volta diverso, attraverso l’immagine esterna della bottiglia e della sua etichetta. Attraverso le sue regioni di origine, i caratteri inconfondibili degli uomini che le abitano, la loro arte, la loro cultura, il loro estro latino e mediterraneo. Per l’uomo l’etica è il suo costume, il suo modo di comportarsi nella vita di relazione con gli altri. L’etichetta per un contenitore è la sua veste, il suo modo di presentarsi agli occhi del consumatore. Il suo apparire. Ma l’apparenza può celare virtù nascoste. Può riflettere la realtà, e può anche mascherarla. Così l’etichetta sarà l’oggetto intrigante dei nostri lettori. Potrà essere menzognera ma potrà anche porre in risalto le qualità di un vino.

Vestirsidi... Vini

Da uomo di vino agli uomini di vini

Da questo numero ViewPoint offre ai lettori una rubrica di approfondimento dal gusto piacevole, legata al mondo dell’enologia. Una pagina gradevole che vuol raccontare al lettore la bevanda più antica del mondo. Il vino. Per affrontare questo argomento ci siamo affidati alle conoscenze del professor Angelo Valentini. Enologo, agronomo, enobibliofilo di fama internazionale. Percorreremo insieme le vicende del vino, le sue origini, i gusti e sapori legati alla propria terra, come il grappolo lo è con il tralcio.

• di Angelo Valentini

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Così come la società moderna è in continua

evoluzione, anche il Vino ha cambiato nel tempo la sua veste, tanto da divenire la bevanda alcolica maggiormente utilizzata e diffusa. Quasi

ovunque nel mondo, l’eccellenza di questo prodotto

si è distinta per l’aperitivo che precede ogni pasto, oltre che come

abbinamento ai pasti stessi. Negli ultimi 20 anni si è assistito ad un vero e

proprio trend positivo dove tanti si sono interessati al mondo del vino, grazie anche

alla diffusione sempre più capillare di corsi di

avvicinamento a questo mondo che riassume e racchiude le attività delle più svariate, partendo dall’interessante abbinamento al cibo e dalle analisi dei sommelier. I corsi specializzati e amatoriali sono sempre stati più frequentati da addetti al settore, oltre che da curiosi interessati a conoscere qualcosa in più di questo succo tanto amato dai nostri avi come dalle popolazioni che sono state alla base della nostra storia attuale. Soprattutto in Italia, le cantine stesse in collaborazione con operatori turistici promuovono tour enogastronomici che raccontano le eccellenze del territorio, tipiche e tradizionali che rendono ogni zona d’Italia unica ed irripetibile, in ogni altra zona del mondo. L’Umbria annovera interessanti marchi apprezzati in tutto il mondo, in grado di comunicare un connubio perfetto tra tradizione ed innovazione, tra i quali le Cantine Goretti di Perugia e Montefalco (www.gorettivini.com), arrivate alla quarta generazione per la produzione di Vino, Grappe e Brandy, Olio Extra Vergine d’Oliva, Miele e Condimento Balsamico, appartengono a questa élite di produttori che negli anni si sono affermati grazie ad un valore qualitativo, che si conferma e migliora ogni vendemmia. Di generazione in generazione, l’azienda è sinonimo di tradizione, garanzia di qualità e passione per la propria terra. Le cantine Goretti, espressione della Famiglia Goretti stessa, hanno da sempre ben interpretato le esigenze mutevoli del cliente finale grazie all’estrema versatilità. La decisione di aprirsi ai mercati internazionali ha alimentato nuove idee di prodotto e studi

Racconti diVini Racconti diVini Racconti diVini Racconti diVini Racconti diVini Racconti diVini

Le Cantine Gorettisono presenti al Vinitaly 7-10 Aprile 2013 Pad.7 stand F9

Goretti Winery are attending the Vinitaly 7-10 Aprile 2013 Pad.7 stand F9

Page 55: Viewpoint #02 2013 marzo aprile

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Goretti enterprise

As modern society is constantly changing, even wine has been changing over time his role so that it has become the most widely used and popular alcoholic drink. Almost everywhere in the world, the excellence of this product has stood out for

a drink before each meal, as well as coupled to the meals themselves. Over the last 20 years there has been a real positive trend in which so many people are interested in the world of wine, thanks to the increasingly widespread of introductory courses to that world that summarizes and includes the most varied activities, from the interesting combination with food to the sommelier analysis. The specialized courses and those for amateur have always been attended by employees in the sector, as well as curious people interested in knowing something more of this juice, so loved by our ancestors as well as the populations that have been the basis of our current history. Especially in Italy, the same wine cooperatives in collaboration with tour operators promote wine tours that show the excellence of the typical and traditional products that make every Italian place unique and unrepeatable anywhere else in the world. Umbria includes interesting brands appreciated all over the world, able of communicating a perfect blend of tradition and innovation, including Goretti Wine Cellars of Perugia and Montefalco (www.goretiivini.com), arrived at the fourth generation for the production of Wine,

Grappa and Brandy, Extra Virgin Olive Oil, Honey and Balsamic sauce. These products belong to this élite of manufacturers who have

made a name for themselves over the years thanks to a qualitative value, which confirms and improves every grape harvest. From

generation to generation, the company is synonymous with tradition, quality and passion for their land. Goretti Wine Cellars, expression of the Goretti Family, have always interpreted very well the changing needs of the final customer by the extreme versatility. The decision to open the door to the international markets has fomented new product ideas, research and resolution of critical issues, such as the recognizability of the brand and the need to find a new total-look image of the company and its products, that have always been targets to be on. To join together the pleasure of the products and a sober, elegant and recognizable product image is the target. One of the newest proposals for which the Wine Cellar has gained ground is the original products line for body, made of wine (rich in antioxidants). Not only wine glasses then, but Winetherapy (www.winetherapy.eu) through creams, oils and products related to the cleansing of face and bodycare. In these days, a continuous stylistic renewal has led to present a new packaging for one of the most traditional product manufactured for decades, grechetto100%, our local white grape, named “Saint Wine” called “Il Santo”, originally used in religious ceremonies and today used in conjunction with cookies and pastries. It is now presented with a new look, a modern label that always respects the most typical features of Goretti product line. Efforts focusing on markets and enterprise modernization not only have given good results through a growing appreciation by export markets, but they have also set the conditions for a work continuity between present and future generations and for an analysis of distant cultures and traditions which are interesting and exciting new markets that today Goretti Wine Cellars have taken in consideration.

approfonditi di ricerca e soluzione di punti critici, quali la riconoscibilità del marchio e l’esigenza di studiare un nuovo total-look dell’immagine dell’azienda e dei suoi prodotti da sempre obiettivi inseguiti. Unire la piacevolezza dei prodotti ad un immagine sobria, elegante e riconoscibile, questo l’obiettivo. Una delle nuovissime proposte per cui la Cantina si stà affermando è la linea esclusiva di prodotti per il corpo al vino (ricco di antiossidanti). Non solo calici di vino dunque: ma Winetherapy (www.winetherapy.eu) attraverso creme, oli e prodotti legati alla detergenza del viso e del corpo. Un continuo rinnovamento stilistico ha portato a presentare, proprio in questi giorni, un nuovo packaging per uno dei prodotti più tradizionali in produzione da decenni, 100% grechetto, nostro vitigno bianco autoctono: “Il Vin Santo”, utilizzato inizialmente nelle cerimonie religiose, oggi si abbina per lo più a biscotti e pasticceria secca. Ora presentato con una nuova veste, un’etichetta moderna, che rispetta però sempre i caratteri principali e di tipicità della linea dei prodotti Goretti. Gli sforzi di attenzione ai mercati e di modernizzazione aziendale, non solo hanno dato i frutti attraverso un sempre maggior gradimento anche fuori dall’Italia, ma hanno anche fissato i presupposti per una continuità di lavoro tra la generazione presente e quella che verrà e per una comprensione di culture lontane geograficamente e per tradizioni, nuovi mercati interessanti e stimolanti a cui oggi le Cantine Goretti hanno rivolto il loro focus.

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Le Cantine Gorettisono presenti al Vinitaly 7-10 Aprile 2013 Pad.7 stand F9

Goretti Winery are attending the Vinitaly 7-10 Aprile 2013 Pad.7 stand F9