viewpoint #2 settembre
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Il mondo dell'umbria l'umbria del mondoTRANSCRIPT
Percorsi d’Umbria
l’umbria nel mondo il mondo dell’umbria anno i numero 2 euro 2,50View ointP
settembre 2010
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segreti l’intimo da svelare festeggia un anno di attività in vostra compagnia
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La Farmacia del futuro è realtà
A Perugia uno dei punti vendita
più moderni d’Italia
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13Conversazione con Franco Venanti
L’ artista perugino dialoga
con gli esponenti di scienza e fede
Il Butoh danza oltre gli schemi
L’ arte e la tradizione giapponese
raccontata dal coreografo Pintus
La trebbiatura di una voltaA Spina per un giornotorna l’antico rito contadino
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Diario da KabulEmanuele Giordanapresenta il suo libro
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Tutti a scuola di posturaIl fisioterapista Boila risponde alle vostre domande
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Le nozze rosse dei BaglioniIl matrimonio dei nobili perugini finisce in tragedia
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Il cinghiale è in tavolaIl nuovo capitolo della sfida tra chef e cucina tradizionale
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www.viewpointumbria.it
La copertina di questo numero è stata realizzata con inchiostri UV, oro a caldo e stampa su superfice lucida... spazio per descrivere tecnicamente il tipo di stampa
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Periodico mensileIscriz. Trib. di Perugia n° 36 26/05/2010
Direttore editorialeSilvia La Penna
Direttore responsabileMassimo Pistolesi
Staff di redazioneFrancesco Fini, Ramona Premoto, Alfiero Bigaroni
Progetto Grafico a cura diFat Chicken s.n.c.
In questo numero hanno collaborato:Floriana Lenti, Pier Paolo Vicarelli, Fabrizio Bandini, Federico Boila, Luca Pisauri e nonna Tina(per la rubrica di cucina), Carlo Fini e Maria Elena Porzi (per le foto)
Concessionaria pubblicitariaFat Chicken s.n.c.Silvia La Penna 329.6196611
Contabilità e diffusioneSilvia La Penna [email protected]@fatchicken.it
Servizio abbonamentiAbbonamento annuale (10 uscite) Euro 20,00Intestato a: Fat Chicken s.n.c. Iban. IT79S 01030 03008 000000 257931
Stampa a cura diTipografia Pontefelcino S.r.l. www.tipografiapontefelcino.it
View P ointE’ un’ edizione
Fat Chicken s.n.c. di La Penna Silvia e Inches Anna Maria
Str. Colomba Pecorari, 3906134 - Bosco - Perugia
P. iva 03143490542 Tel. 3296196611 www.fatchicken.it
37Umbria doc per i trekker
Zaino in spalla e via
per i sentieri dell’Umbria
Krav Maga l’arte del “mordi e fuggi”
Tecnica di lotta corpo a corpo
nata dall’esercito israeliano
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21Il Bosco didattico di Ponte Felcino
Un parco sempre aperto
ed un museo vegetale vivente
Fat Chicken s.n.c
Fat Chicken s.n.c. di La Penna Silvia e Inches Anna Maria Str. Colomba Pecorari, 39 - 06134 - Bosco - Perugia Tel. 3296196611 P.Iva 03143490542 [email protected]
PER CHIPREFERISCELA GALLINAGRASSADOMANIg r a f i c a p u b b l i c i t à e d i t o r i a m a r k e t i n gw e b d e s i g n
www.fatchicken.it
Internet o cartaceo. Il futuro dell’informazione naviga, è proprio il caso di dire, nel dualismo tra la rete e il mezzo su carta. Ma oltre ai due partiti principali, quello di chi crede che domani per leggere una notizia si dovrà accendere un pc o il telefonino e quello che vede, nonostante il calo di vendite degli ultimi anni, invincibile il
giornale tradizionale, ve ne è un terzo. È il partito di coloro che sono convinti che i due mezzi possano camminare a braccetto offrendo, ognuno, un servizio diverso basato sulle proprie peculiarità. Internet, e di conseguenza tutta la tecnologia applicabile, e il giornale fatto di carta sono due mezzi molto più diversi tra loro di quello che si possa immaginare. È vero che la stessa notizia si può leggere su uno o su l’altro supporto ma è altrettanto vero che le loro caratteristiche permettono approfondimenti e usi differenti e complementari. È proprio da questa convinzione che da questo mese di settembre nasce il sito della rivista che state leggendo. Uno spazio web che, a questo punto del discorso è superfluo dirlo, non sarà semplice “ripetizione” del cartaceo. Certo non mancherà anche quella, con un archivio completo dei numeri passati e la possibilità, grazie ad un programma specifico, di sfogliarlo come se fosse un giornale.Ma se fosse solo questo saremmo in schizofrenica contraddizione con quanto fin qui affermato. Il sito www.viewpointumbria.it vuole infatti sfruttare al meglio le potenzialità che la rete generosamente ci mette a disposizione. Saranno così possibili anteprime ed approfondimenti dei temi trattati sulla rivista cartacea nonché la possibilità di inserire commenti e pareri da parte dei lettori. Sfruttando poi la tecnologia multimediale si potranno vedere foto e ascoltare le interviste ad alcuni personaggi di cui, nel giornale classico, avrete letto un sunto. Il tutto con lo scopo di avere due prodotti, internet e tradizionale, che siano alternativi e al tempo stesso complementari, ma mai pedissequamente sovrapposti. Sarebbe inoltre un peccato non sfruttare la velocità, fast news, che la rete permette. Così, ad esempio, di un evento potrà essere pubblicata in internet l’anteprima quasi in tempo reale per poi leggere ogni particolare sulla rivista che troverete qualche settimana dopo in edicola. In pratica il portale avrà una periodicità ed un aggiornamento quasi continuo e alla fine del mese i due prodotti si fonderanno in un unico contenitore virtuale che sarà a disposizione dei lettori. E in questo panorama anche la pubblicità prende una forma nuova ed interessante per gli inserzionisti ma anche per i lettori. I primi, infatti, potranno differenziare i messaggi pubblicitari da supporto a supporto, un cliente potrebbe decidere di affidare un messaggio istituzionale alla rivista ed un messaggio rivolto ad un target differente sul web. E proprio sul web potrà linkare il suo sito o mostrare attraverso il nostro portale i prodotti che il cliente, a sua volta, potrà apprezzare e acquistare direttamente on line. In buona sostanza, la rivista digitale diventa una specie di mega contenitore dove troveranno posto link di aziende, gruppi teatrali, istituzioni, approfondimenti culturali, negozi online e contenuti testuali e multimediali che hanno come filo conduttore l’eccellenza umbra. Una vetrina privilegiata di tutto quello che rende importante l’Umbria e gli umbri nel mondo. Alla fine di questa descrizione, mi rendo conto che non è semplice spiegare una cosa che, invece, con grande semplicità scoprirete tenendo da un lato la rivista sulla scrivania e dall’altro navigando nelle nostre pagine elettroniche. Come sempre, buona lettura. Cartacea e internettiana ovviamente ●
Pronti per la rete per iPad e gli smart phone
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www.viewpointumbria.it il nuovo portale che affiancherà il magazine
Massimo Pistolesidi
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MENTRE LAVORANOVOI VI RILASSATE
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La farmacia del futuro è gia realtà
Ma chi l’ha detto che modernità e tradizione non possano andare a braccetto? Fuori al negozio, l’insegna porta scritto 1833,
anno di nascita dell’attività. Appena si varca la porta, però, non ci si trova in una struttura ancorata al tempo andato ma emerge prepotente l’attenzione ai minimi particolari, con una disposizione dei prodotti e degli spazi figlia di progrediti studi di marketing e architettura. E poi, dietro le quinte, al di là dei banconi, una tecnologia unica in Umbria, e rara nel resto dello stivale, che permette di sistemare i prodotti in maniera automatizzata.Storia e strutturaNon è un nuovo centro Nasa alla periferia di Houston, ma più semplicemente una farmacia alle porte di Perugia. Bolli 1833, a Ponte Felcino, frazione che ha visto nascere quasi 200 anni fa la tradizione della famiglia di farmacisti Bolli, oggi guidata dal dottor Giuseppe Cenci, cognome diverso ma stesso dna.“La nostra attività – racconta il dottor Cenci - è stata tramandata da padre a figlio, passando anche per zii e madri. Io, infatti, non mi chiamo Bolli, ma ho mantenuto il nome e il marchio di una famiglia storica conosciuta nel territorio perugino da 177 anni”.Si nota subito che nel punto vendita c’è un vero e proprio studio in merito all’uso degli spazi. Su cosa si basa?“Il cliente – continua – si deve trovare a suo agio e avere facilità di raggiungere il reparto
Nasce a Perugia uno dei punti vendita più moderni d’Italia:Bolli 1833
Massimo Pistolesidi
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Grande varietà di prodotti e un vero market per i celiaci
che gli è più congeniale. Così i due principali banconi sono alla stessa distanza dalle due entrate. E da ogni bancone si può acquistare qualsiasi medicinale. Ma non basta. Infatti nei vari settori il farmacista a disposizione della clientela ha una competenza
specifica dei prodotti in vendita”.Per fare un esempio, se si va a comprare o a chiedere consiglio nel settore degli integratori sportivi, il farmacista è un esperto in materia?
“Sì, le dirò di più – sottolinea Cenci – la nostra farmacista che si occupa di integratori è un’appassionata di maratone che lei stessa fa. Per cui può dare consigli adeguati sia grazie agli studi sia per esperienza personale. Così come, per esempio, capita nella zona dedicata all’omeopatia”. Prima di spostarci nella zona che i clienti non possono vedere ma che è l’area più tecnologicamente avanzata, rimaniamo ancora nel cuore del punto vendita perchè oltre ai tanti prodotti cosmetici, naturali, fitoterapici, per l’infanzia a colpire è il settore per i celiaci: un vero e proprio supermercato.“Il celiaco non deve vivere la sua condizione come se fosse un malato. Ma semplicemente come colui che ha esigenze alimentari diverse. Noi proponiamo ogni tipo di alimento dalle pizze alla pasta, dai gelati ai biscotti. Nessuna rinuncia per il palato di chi è colpito da celiachia”.Automatizzazione e filosofiaÈ arrivato il momento di oltrepassare il bancone. Di vedere cosa c’è che nel silenzio lavora senza conoscere stanchezza. “Questo è uno dei nostri fiori all’occhiello – confessa Cenci – una tecnologia avanzata che ci permettere di sfruttare al meglio il magazzino e di avere in pochi secondi il prodotto richiesto direttamente sul bancone di vendita”.Sono due bracci meccanici gemelli. All’interno di un magazzino. Due macchinari, due magazzinieri Wall-E (il robottino del film della Pixar) che leggono attraverso il codice a barre il prodotto, e dopo averlo memorizzato nel computer lo dispongono
A lato nella pagina a fiancoil Dott. Giuseppe cencititolare della farmaciaFoto di Maria Elena Porzi
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negli scaffali non a seconda della tipologia del medicinale, ma considerando gli spazi a disposizione, ottimizzandoli al meglio.“Funziona come una sorta di tetris – spiega Cenci scherzando - il computer ordina al braccio dove sistemare il prodotto e
quando noi lo richiamiamo attraverso il terminale, il braccio lo prende, lo mette su un nastro trasportatore e in pochi secondi il medicinale arriva nelle mani del farmacista in qualsiasi bancone egli si trovi”.Un bel risparmi di tempo dunque...
“Sì, ma non solo. Quel tempo risparmiato e il fatto che il farmacista non si debba muovere dalla propria posizione facilita il rapporto con il cliente. Un rapporto che non si interrompe per andare a cercare il farmaco in magazzino e che permette di utilizzare il tempo che si è in farmacia per dialogare, per dare e ricevere consigli professionali”.Una volta tanto, dunque, la tecnologia non è “fredda” ma anzi aumenta il rapporto tra umani.“Tutta la struttura, e tutta l’automatizzazione serve proprio a far sì che vi sia una nuova filosofia. Una farmacia è un negozio “particolare”. Non mi piace un rapporto in cui il cliente chiede il prodotto e se ne va. Il farmacista è un professionista preparato che può e deve dare i giusti consigli. Se si chiede un farmaco che ha bisogni di ricetta, noi non possiamo darlo, ma possiamo chiedere quale è il disturbo e magari trovare un sostituto valido da banco. Oppure dare consigli specifici in merito ai piccoli problemi di salute con i quali facciamo i conti ogni giorno”.Pare di capire che il farmacista diventa così un filtro pre-medico.“La maggior parte dei sintomi che sentiamo quotidianamente non nascondo patologie gravi. Se non digeriamo bene o non riusciamo a recuperare dopo uno sforzo o abbiamo difficoltà ad addormentarci, o ancora abbiamo uno sfogo cutaneo, il farmacista può consigliare il giusto rimedio, dopo aver fatto ovviamente alcune domande e aver individuato il problema”. Il giusto rimedio può essere anche un consiglio sullo stile di vita?“Certamente. Puntiamo molto sullo stile di vita. È un sano comportamento quotidiano che elimina i disagi e le piccole patologie. Associato, quando serve, al giusto prodotto. È per questo che organizziamo dei corsi per i nostri clienti che toccano numerosi argomenti come ad esempio la cucina per celiaci o il corretto uso dei cosmetici”.Insomma ogni prodotto al posto giusto, così come fa il robot-magazziniere. Una farmacia che diventa un punto di incontro per tutelare la propria salute, per capire cosa e come utilizzare il prodotto più adatto alle proprie esigenze. Una farmacia dove la tecnologia strizza l’occhio alla filosofia. E dove anche i robot sembrano avere un’anima. ●
il computer ordina al braccio dove sistemare
il prodotto e quando viene richiamato
un nastro trasportatoreporta il farmaco al banco
in pochi secondi
tecnologia avanzata,ed un’attento
studio degli spaziunito alla competenza
di chi sta al bancoper soddisfare al meglio
i nostri clienti
Orario continuato:a disposizione del pubblicotutti i giorni dalle 9 alle 24
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L’artista dialoga con gli esponenti della scienza e della fede sullo stato di smarrimento dell’uomo contemporaneo
Francesco Finidi
Conversazionecon Franco Venanti A
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In via Bruschi al numero due si trova l’angusto studio di uno fra i più significativi pittori umbri contemporanei: Franco Venanti. Ci
si arriva passando per via Caporali, una ripida discesa spesso sferzata dalla gelida tramontana che soffia costantemente, a volte anche d’estate, tagliando i vicoli del centro storico di Perugia. Tra gli innumerevoli scaffali del suo studio spicca un catalogo nero intitolato: “Entropia”. Che cosa intende Maestro per entropia?“Ho voluto lanciare una “provocazione” rivolta alle istituzioni culturali, politiche e religiose della città che hanno risposto
prontamente, aiutandomi a realizzare una mostra sul tema dell’entropia presso il Palazzo della Provincia, seguita da un convegno. Una mostra-dibattito per approfondire il tema del rapporto cosmico tra “ordine” e “disordine” che si è svolta alla fine di maggio. E’ stata l’occasione per stimolare le coscienze dei singoli, per guardare sotto una nuova luce il rapporto che ognuno di noi ha con l’ambiente e la società, in vista del futuro che ci attende. Il tema dell’entropia, intesa come disordine, è un concetto che ricorre fin dall’inizio della mia produzione artistica. A voler tracciare un ideale solco, il cardo
La gioia di vivere e l’amore per la natura e l’uomo sono il fuoco che ha alimentato tutta la produzione dell’artista perugino
e il decumano di questo complesso percorso si può tornare indietro fino al 1950, anno in cui ho realizzato il dipinto “Hiroshima”, una protesta nei confronti dell’esplosione dell’atomica sul Giappone. E’ una riflessione sulla disintegrazione interiore dell’uomo moderno che genera la violenza della guerra. Attorno al bagliore rosso che si staglia al centro del dipinto si sviluppa un carosello di figure umane appena accennate, teste di uomini e animali scomposti, cadaveri appoggiati l’uno all’altro la cui ricchezza cromatica, come in un film, rappresenta il caos e le sovrapposizioni disordinate che albergano nell’uomo. Nel corso degli anni sessanta rimasi affascinato dalla conquista dello spazio, l’uomo muoveva i suoi primi timidi passi verso l’ultima frontiera. Tutto il mondo rimase incollato alle radio e alle tv durante il primo storico viaggio sulla Luna. Sulla scia di questi eventi epocali dipinsi astronauti nelle loro pose goffe a causa delle ingombranti tute spaziali in assenza di gravità, come ce li mostrava il tubo catodico. In quest’epoca i mezzi di comunicazione sono molteplici, si sovrappongono creando volutamente fastidiose interferenze che
distorcono ogni messaggio, non svolgendo più la funzione primaria per cui erano stati creati. Ciò ha sancito il mio ingresso nella ‘battaglia per il linguaggio’, una riflessione sulle profonde trasformazioni sociali causate dai mass-media, con le opere “Impegnato sul canapè e “La regina di carta” in cui esprimo una critica al cosiddetto
“quarto potere” quello dell’informazione. Si arriva così alle opere in cui pongo maggiormente la mia attenzione al tema dell’entropia e della fine del mondo, descritta nell’Apocalisse di San Giovanni. Nel corso degli ultimi vent’anni mi sono chiesto che direzione avessimo preso. Questo fiorire di ipermercati ricolmi di prodotti di consumo, una parte dei quali vengono destinati inesorabilmente al macero, quindi la sovrapproduzione, lo spreco, il disordine, e in tutto questo il venir meno di una
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Nel corso degli anni sessanta rimasi affascinato dalla conquista dello spazio, l’uomo muoveva i suoi primi timidi passi verso l’ultima frontiera
Franco Venantiuno degliesponenti più in vistadell’arte umbra
Franco Venanti è nato a Perugia nel 1930, dove attualmente vive in via XX
settembre. Il suo studio di via Bruschi, 2 è sempre apertoai giovani artisti e a tutti coloro che vogliono scambiare con il Maestro riflessioni e pensierisull’arte e la vita. Insieme a Gerardo Dottori e ad altri artisti e intellettuali ha fondato nel 1963 l’associazione “Luigi Bonazzi” di cui è presidente. Ha ottenuto nel corso della sua carriera importanti riconoscimenti in Italia e all’estero, come il “Valentino D’Oro” conferitogli dalla città di Terni nel 1978. La città di Perugia lo ha inserito nell’Albod’oro dei cittadini più illustri. E’ stato nominato Commendatore, Grande Ufficiale e Benemerito della Cultura e dell’Arte dal Presidente della Repubblica.Le sue opere sono state esposte
memoria condivisa. Ecco allora la moltitudine di immagini del presente e del passato che si intrecciano, si scontrano come treni in corsa senza mèta. Santi, militari, alti prelati, eserciti del passato che combattono una inutile lotta contro invisibili mulini a vento. Personaggi in cerca
d’autore accanto a me che li dipingo muto, alla ricerca dell’origine di tutto ciò, di una spiegazione che racchiuda in sé anche la chiave per uscire e trovare nuove strade percorribili. L’artista secondo lei deve quindi cercare la ‘verità’, la ‘conoscenza’?“Certamente. Se abbiamo riscoperto le antiche civiltà è solo grazie all’arte figurativa, alle sculture, ai templi monumentali le cui pareti ricche di dipinti e geroglifici rappresentano dei preziosi
fotogrammi del passato. L’arte è stata il veicolo più importante del pensiero umano, il suo mezzo espressivo più diretto e duttile, ed è indispensabile per capire anche l’attuale disordine. Ma quando viene usata esclusivamente come mero elemento di intrattenimento perde la sua forza creativa, la sua incisività. L’artista oggi deve lottare contro l’impoverimento delle coscienze e la mancanza di spunti di riflessione e alimentare un dialogo costruttivo in seno alla società. E’ ora di invertire la direzione di marcia. L’uomo gode oggi dei più moderni ritrovati della scienza e della tecnologia, ma è ugualmente insoddisfatto. Perché accade tutto ciò? Forse perché ha perso le coordinate. Il suo viaggio disordinato non lo sta portando verso quella serenità e quella fiducia nel futuro che lo ha guidato fino ad oggi. All’arte quindi il compito di interrogare gli uomini e interrogarsi su un tema, l’entropia, che implica il concetto di dilatazione, disgregazione e caos. Un’avventura che l’artista deve vivere e percorrere fino alle conseguenze ultime, in maniera critica e allo stesso tempo fantastica, immaginifica, affinché attraverso la catarsi e l’accettazione del proprio destino superi la paura ottocentesca della “fine”. Ho voluto lanciare un messaggio positivo, viste anche le recenti scoperte scientifiche sull’evoluzione dell’universo, che non si raffredderà e perirà, come pensavano nell’Ottocento, ma sembra sia destinato a evolversi come del resto è in continua evoluzione l’entropia e la società umana”.●
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Nei quadri dell’artistac’è la ricerca del significato più profondo del nostro esistere perchè l’arte con la sua forza creativa deve stimolare gli uomini a interrogarsi sul proprio futuro
L’arte deve comunicare
emozioni e conoscenza,
non è un mezzo di intratteni-
mento o sterile ricerca
di originalitàFoto di Carlo Fini
Danza oltre gli Schemi il Butoh ammalia l’Umbria L’arte e la tradizione coreutica Giapponese raccontata dal coreografo Pintus
Ramona Premotodi
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Una smorfia, le mani si muovono lente, il corpo si trasforma in ogni cosa…va in scena il Butoh. La danza-teatro nata in
Giappone negli anni ’50 ha scelto l’Umbria per diffondere la sua antica tradizione fatta di giocosità e movimenti astratti ma anche di profonda visceralità. Irriverente. Il Butoh scansa ogni tipo di definizione, non è balletto classico né danza moderna: “Potrebbe definirsi il prodotto del dialogo intimo tra il movimento delle mani e quello dei piedi, tra calma e violenza, tra Apollo e Dioniso. Non una regola, ma una relazione profonda tra il fisico e la natura”. Alessandro Pintus racconta ciò che il suo corpo da anni esegue con estrema naturalezza. Danzatore e coreografo, Pintus fonda nel 2000 la “NON Company”, un network di artisti-danzatori mosso dalla comune necessità di diffondere il significato recondito della danza Butoh in Italia e che da tempo opera in Umbria, con incontri, corsi e stage.Ma che cos’è il Butoh?“Il Butoh non ha mai avuto e non ha tuttora un modo di espressione fisso e ben definito - spiega Pintus -. Non è una tecnica che possa essere sviluppata secondo un sistema, anzi ha sempre rifiutato una forma definita, non ha aperto alcuna scuola. E’ una evoluzione personale e individuale, un processo per risalire, attraverso il corpo, al “primitivo” di noi stessi dove è necessario abbandonare le proprie abitudini e le proprie tradizioni per trovare qualcosa di nuovo. Non si intende comunicare qualcosa utilizzando il corpo, ma lasciare che questo mostri la sua verità e risponda così alla domanda “chi siamo?”. Danzare dunque per esprimere la propria “verità” interiore?“Ad essa ciascuno risponde secondo la propria esperienza di vita quotidiana, i suoi incontri, il suo modo di vedere, di fare, di sentire. Per cominciare, il corpo stesso del danzatore è oggetto e fondamento principale della ricerca e del lavoro quotidiano. Il Butoh mostra
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l’incapacità del corpo a fare ciò che detta la volontà; non è il corpo che si adegua al movimento astratto, ma è il movimento che si adatta al corpo, esaltando i sensi e il legame con la terra. Si, danzare per esprimere più intensamente possibile i propri mondi interiori. Danza, quindi, come scelta di vita e non scienza di organizzazione dello spazio: il legame inscindibile tra uomo e natura. Il Butoh dunque è ciò di cui il corpo si è impossessato spontaneamente e direttamente, nel corso degli anni”.E’ il Giappone che ha trovato te o viceversa?“Ho iniziato ad interessarmi alla danza Butoh a partire dal 1996 come risultato di una approfondita ricerca teatrale e oggi faccio parte della prima generazione di danzatori Butoh italiani. Ma prima ancora ero un maratoneta, uno di quelli che preferisce continuare a correre invece che fermarsi al traguardo. Abebe Bikila, il maratoneta etiope vincitore delle olimpiadi romane del 1960, è stato, indirettamente, un grande maestro di vita. Per 25 anni ho solo corso. Corso senza curarmi del traguardo, solo la strada, il paesaggio intorno, il momento, il processo. Indossavo e indosso ancora quel paesaggio come un costume, sotto la pelle. Lo cucio attentamente, punto per punto, attimo per attimo. Sono un artigiano, così come lo era mia nonna, sarta, quando aveva la mia età”. A cosa si ispira il tuo lavoro e che legame c’è con l’Umbria?“Hijikata Tatsumi è considerato un rinnovatore della danza contemporanea giapponese e precisamente egli è il fondatore dell’Ankoku Butoh, letteralmente tradotto: Danza delle Tenebre.Hijikata ha ricercato a lungo tutti gli aspetti legati ai lati oscuri del corpo, cioè ciò che
potremmo definire da un punto di vista filosofico “l’Ombra del Corpo che danza”. Ombra non in senso negativo, ma in senso di parti di noi e del rapporto che abbiamo con il nostro corpo che risultano inconsapevoli. Ecco il Butoh è la ricerca dell’ombra del corpo che vuole venire alla luce, che vuole rendersi consapevole. Hijikata ha dunque esortato gli altri danzatori a ricercare il proprio Butoh (cioè la propria tenebra, l’ombra del proprio corpo che danza), nella cultura di appartenenza. Seguendo il suo insagnamento da tempo approfondisco la ricerca d’ombra nelle mie radici culturali, in Italia. E da alcuni anni anche nella terra dei miei legami
affettivi, l’Umbria. Elena Angeli, danzatrice della compagnia e mia compagna di vita, è di Orvieto.Umbria terra d’ombra dunque?Si, intuitivamente considero l’Umbria regione d’Ombra e cioè il luogo geografico italiano che più di tutti incarna (e non solo per le ovvie assonanze grammaticali umbria = ombra) lo spirito di questa ricerca. La radice di Umbria in latino è la parola “umbra”, che significa ombra, ma ha anche il significato letterale di: riparo, difesa, schermo,
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La danza Butoh è nata in Giappo-ne alla fine degli anni ’50 come mezzo espressivo per metabo-
lizzare ed esorcizzare il fantasma della bomba atomica, iniziando poi a rendersi visibile in occidente dopo circa vent’an-ni. Tatsumi Hijikata è considerato il fondatore e l’ideatore dell’Ankoku Butoh (danza delle tenebre), creò e sviluppò un preciso metodo che ha portato ad un risultato individuale, inimitabile. Dal suo lavoro in collaborazione con altri artisti si forma la prima generazione di danzatori Butoh, tra i quali Kazuo Ohno, che è riconosciuto come il massimo interprete. Il Butoh prende vita dalla profonda esigenza di rigetto della cultura imposta e delle forme di danza esistenti in Giappone. Fino a quel momento le uniche espressioni di danza conosciute erano le danze tradizionali e quelle occidentali come il balletto classico e la danza moderna, le quali non erano più rappresentative dei profondi cam-biamenti e delle necessità createsi nella società giapponese del dopo guerra. L’esigenza originaria del Butoh è quella di rompere le regole prestabilite e codificate in forme rigide, assieme al rifiuto di ogni tipo di definizione. Attra-verso il Butoh il corpo riscopre la sua natura, si rivela con tutta la sua ingenua e assurda autenticità. Una ricerca personale totaliz-zante, che coinvolge la storia, le esperienze, le memorie dell’indi-viduo. Un viaggio a ritroso verso l’origine di sé, dell’uomo, dell’uni-verso. Il maestro Kazuo Ohno, che ha rappresentato l’anima stessa del Butoh, è morto lo scorso 1 giugno alla venerabile età di 103 anni.
Cenni storicisul butohdal Giapponeda oltre 50 anni
protezione, rifugio; tutti termini che sottolineano e si riferiscono alla curiosa posizione geografica della regione, collocata nel cuore dell’Italia. Dal 2007 organizzo spesso incontri in questa regione, che considero una delle regioni d’Italia più vicine alla filosofia e ai principi che stanno alla base della danza Butoh giapponese. Abbiamo organizzato laboratori a Orvieto, Amelia e Passignano sul Trasimeno. Il nostro obiettivo attraverso il Butoh è quello di seminare nel corpo e nell’anima delle persone che abitano su questo territorio un piccolo germe di consapevolezza, che passi per il corpo, per la danza, per l’arte in generale.Progetti futuri in Umbria?“Attualmente sono previsti sul territorio umbro tre futuri laboratori: un workshop autunnale presso la casa laboratorio di Vallenera sita in Lugnano in Teverina provincia di Terni. Un laboratorio per la primavera 2011 presso il centro “Daniel danza” di Orvieto, ed in ultimo un workshop residenziale presso il centro Panta Rei a Passignano sul Trasimeno (PG) che nel 2011 giungerà alla sua terza edizione e proporrà uno spettacolo che rappresenta l’ultimo capitolo della trilogia sul territorio umbro. Per il prossimo anno in cantiere c’è anche un lavoro coreografico intitolato “Divine Delizie”, uno spettacolo ispirato all’opera più famosa del pittore fiammingo Hieronymus Bosch, il “Giardino delle delizie”, esposto al museo del Prado di Madrid. Il progetto è in via di definizione e prevedrà la presentazione dello stesso presso diversi comuni e giardini d’Italia, tra i quali: Il Bosco Sacro
di Bomarzo, La Scarzuola di Terni, Villa Fidelia a Spello, Villa d’Este a Tivoli (Roma). Il progetto verrà sostenuto dall’associazione umbra “Faticart (No Profit)” con la quale la NON Company collabora da diversi anni e con la quale ha presentato numerosi lavori in tutt’Italia e a Berlino. Collaboreranno alla realizzazione di tale progetto gli artisti Carlo Fatigoni, Gabriele Quirici, Simone Plama, Riccardo Frezza, Valentina Pintus, Michele Cavallo, Martino Nicoletti, Alessandra Campol e Elena Angeli. ●
Nessuna tecnica rigida a imbrigliare il corpo,
nel Butoh il movimento è libero di esprimersi
naturalmente e di mostrare
la sua verità
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Movimenti esasperati e mimica ispirata al teatro una tecnica antica che affonda le sue radici nella realtà del Sol levante post bomba atomica
Laboratori a Orvieto, Amelia e Passignano. con i ballerini della Non company corsi intensivi per esprimere i propri mondi interiori e ritrovare il senso del sé
NAt
URe
Nato nei primi anni Novanta per volontà del Comune di Perugia allo scopo di tutelare l’ambiente e la biodiversità,
il bosco didattico di Ponte Felcino si inserisce all’interno del tessuto urbano di Perugia e costituisce una vasta oasi naturale che di rado è possibile trovare nelle periferie, spesso cementificate, di altre città italiane. La vocazione ambientale dell’area attorno al Tevere ha favorito la nascita del parco fluviale, un percorso verde ideale per rigenerare il fisico e la mente. Passeggiare in questi luoghi è come compiere un viaggio indietro nel tempo, quando lungo i fiumi si sviluppavano rigogliosi ed estesi boschi ripariali, necessari a garantire sponde stabili, a offrire un riparo alla fauna selvatica e a rallentare il corso delle acque in caso di piena. Nel 1994 il Comune ha acquistato il Molino della Catasta e l’antico canale che attraversa il bosco, ripulendolo e piantandovi specie vegetali autoctone. Il passo successivo è stato l’introduzione di alcune specie di avifauna acquatica, mentre altre un tempo presenti, si sono ristabilite
Bosco Didattico di Ponte Felcino:
un museo vegetale viventeSituato alle porte di Perugia, è un parco sempre aperto e un prezioso laboratorio permanente per l’educazione all’ambiente
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Francesco Finidi
permanentemente in questo tratto del fiume. Il bosco è anche un parco sempre aperto, dove i genitori portano i figli a giocare tra i suoi alberi, i laghetti e le fontane, arredi indispensabili per ogni parco degno di questo nome. Possiamo considerare il bosco anche un ‘catalogo vivente’ della vegetazione del pianeta, creato con l’intento di educare i cittadini e i giovani studenti alla natura, essendo ricco di meravigliose varietà di piante, anche non autoctone e spesso rare. La tutela dell’ambiente e della biodiversità, sancita dalla “Conferenza sulla Biodiversità” di Rio De Janeiro del 1992 cui il nostro paese ha aderito, è un tema sempre attuale e deve diventare patrimonio culturale di tutti. A tale scopo il comitato di gestione del bosco didattico ha organizzato nel 2008 la “Festa degli alberi” coinvolgendo alcune scuole e associazioni del territorio, iniziativa che ha riscosso un discreto successo.
Attualmente si sta adoperando per collaborare con realtà regionali accreditate nella formazione, allo scopo di organizzare corsi specifici riguardanti l’ambiente, il giardinaggio e la botanica. A breve sarà creato anche un servizio di visite guidate su
Nomi e datidel parcofluviale
Superficie totale: 80.000 metri quadri Superficie serre: 750 metri quadri Famiglie
botaniche presenti: 146 Specie botaniche presenti: 1.219 Piante arboree, arbustive ed erbacce: 4.000 circa Il bosco didattico è curato da un Comitato di gestione di cui fanno parte oltre al Comune di Perugia, il consorzio Abn, le Scuole medie ed elementari di Ponte Felcino, la Pro Loco “La Felcinaia”, la cooperativa Aig e l’Associazione volontari e amici del bosco. Il bosco didattico fa parte di una rete regionale C.E.A. (centro educazione ambientale) comprendente anche Legambiente. Presidente del comitato di gestione: dott. Agronomo Carlo Sgromo. direttrice del comitato: dott. Agronomo Lucia Ciambella, entrambe nominati dal Comune e coordinati dal vice sindaco Nilo Arcudi con delega ai parchi e aree verdi del Comune e dai responsabili aree verdi: l’architetto Alberto Corneli e la dott.ssa Gabriella Agnusdei. L’ Associazione volontari e amici del bosco fornisce un valido supporto a titolo volontario coadiuvata dalla cooperativa Abn, nella cura del bosco e delle serre. L’ostello della gioventù adiacente il parco è gestito dalla cooperativa Aig ed ha una capienza di ottanta posti letto.
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prenotazione. I corsi di giardinaggio e di botanica sono importanti per diffondere la cultura dell’autosufficienza alimentare, che consiste nel fornire alle persone i mezzi tecnici e cognitivi per avviare la coltivazione di piccoli orti in nome di
un’agricoltura più sana e a chilometro zero. Tra febbraio e maggio si sono tenuti un corso di giardinaggio e uno di potatura che hanno riscontrato un successo inaspettato. Informazioni dettagliate sui corsi che di volta in volta saranno attivati sono disponibili sul sito del Comune nella parte inerente le aree verdi. Il comitato di gestione è sempre aperto a qualsiasi collaborazione con la Regione dell’Umbria, con l’Università degli Studi di Perugia e le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, enti con cui ha già portato avanti dei progetti in passato. L’obiettivo finale è la valorizzazione della botanica e della biologia vegetale e la tutela dell’ambiente e della biodiversità. Entro la fine di quest’anno è in programma la festa per i diciotto anni di vita del Bosco a cura del neo eletto comitato di gestione, un’occasione per passare tutti insieme un’allegra giornata a contatto con la natura. ●
Un impianto creatoper rinaturare le sponde del tevere che conta oltre 4.000 diversi esemplari di piante
Presenti oltre 140 famiglie botaniche, suddivise in genere, specie e varietà di ogni area geografica del pianeta
il bosco è anche un parco dove i genitori possonoportare i figli a giocare tra alberi, laghetti e fontane.
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Sotto il sole estivo, fra spighe dora-te e canti contadini si è celebrata anche quest’anno al vocabolo rurale di Pescino presso Spina, in
provincia di Perugia, la “rievocazione storica della trebbiatura a fermo”. Sull’aia della casa colonica dei signori Felicini di buon matti-no una macchina trebbiatrice, costruita nel 1939 dalla ditta Italo Svizzera, importata
dalla Sas di Bologna, ha ripreso a far muove-re il lungo cintone di cuoio collegato ad un trattore Landini a testa calda del 1940, ca-postipite di quella generazione di macchi-ne agricole che da allora tanta parte hanno avuto nell’alleviare le fatiche dei braccianti. Ma per le vie di Pescino era tutto un sus-seguirsi di veri e propri cimeli agricoli, dagli antichi trattori alle prime pompe ad acqua
con motore a scoppio, fino al motofurgone “Ercole” della Moto Guzzi. Mezzi restaurati con arte e volontà da Simone Felicini, gio-vane rappresentante del Club Auto Veicoli e Trattori d’Epoca Umbro, capace di tra-smettere al nostro presente le ricchezze e le esperienze del passato. Suggestiva ed attesa la dimostrazione di aratura d’epoca, con trattori a testa calda come il Landini Veli-
OLD
StyL
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A Spina la trebbiatura di una volta
Pier Paolo Vicarellidi
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Per un giorno sono tornati a rombare le vecchie macchine agricole che hanno cambiato il mondo del lavoro nei campi
te del ’51, il Carraro o il Fiat 25 CV con le loro esalazioni fumanti e gli inconfondibili colpi di pistone fra zolle e nuvole di polve-re. E alla festa di Spina è successo di più; alla trebbiatura del grano e del grano turco, han-no partecipato non soltanto gli agricoltori di un tempo ma anche giovanissimi agricoltori di oggi, dimostrando così di saper raccoglie-re il testimone di questo antico mestiere. Suggestiva ed ironica la rappresentazione dei personaggi che accompagnavano il rito delle giornate sui campi, con la figura della “padrona” accompagnata dal nobile consor-te possidente terriero a bordo di una Austin Haley del 1959, mirabilmente restaurata dal presidente del Camep, Leonardo Vicarelli. Ad attenderli presso l’aia c’era naturalmente l’odiato e corpulento fattore, così fra giacca a righe con fazzoletto, del conte Bepi, il cor-petto e cappello a falde larghe della signora contessa e le camicie a quadri del contadi-no con le sue scarpe risolate con gli avanzi
del cintone, si è ripetuta l’antica disputa fra padrone e contadino con il fattore che ragguaglia la padrona con i conteggi delle pesate, non un chicco in più, non un chicco in meno! Ma proprio come una vol-
Il CATEU nasce nel 1999 per iniziativa di alcuni appassionati e restauratori di mezzi storici dell’Umbria con
l’intento di recuperare e valorizzare il patrimonio tecnologico ed industriale che questi mezzi hanno rappresentato per la vita ed il lavoro dell\rquote uomo. Il primo presidente è stato Gabriele Beati, un perugino con la pas sione del collezionismo e restauro di auto, moto, autocarri e mezzi agricoli di ogni genere ed età. Dal 2004, presidente è Maurizio Speziali, personaggio legato da lungo tempo all’automobilismo perugino nelle vesti di dirigente e organizzatore, recentemente salito alla vice-presidenza nazionale dell’ ASI (Automotoclub Storico Italiano). Il club conta attualmente circa 150 soci ed ha avuto come prima sede la settecentesca Villa Piccolomini di Colombella, a dieci chilometri da Perugia. Il 19 ottobre 2007 è stata inaugurata la nuova sede di villa Faina che si trova all’interno della struttura comunale del paese di San Venanzo, in provincia di Terni; un luogo dal sapore campestre, immerso fra le colline dell’Umbria, a soli trenta chilometri dal capoluogo. Nel corso della sua decennale attività il CATEU si è reso protagonista di piacevoli manifestazioni e rievocazioni che hanno coinvolto soci e simpatizzanti facendo crescere in essi l’ interesse verso il variegato mondo dei veicoli storici.
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La storiae le attivitàdi chi amai mezzi d’epoca
La rievocazione di Spina da semprepatrocinata dalla Cateu
ta i conti stentano a tornare, i numeri del contadino non sono mai uguali a quelli della signora padrona; ci sono gli “obblighi” da rispettare e qualche cappo-ne che manca all’appello! A sera, quando al suono
della sirena il macchinista ferma il motore, le donne dalle lunghe gonne con il fazzoletto in testa preparano la cena contadina. E’ que-sto il momento più atteso, quello della festa, del ristoro dell’anima e del corpo, con la risco-perta dei giochi di una volta, con i canti popo-lari accompagnati dal suono della fisarmonica, mentre un calesse con cavallo porta a spasso grandi e piccini. La manifestazione è inserita con merito nel calendario nazionale dell’Au-tomotoclub Storico Italiano, ed è patrocinata dagli amici del Club CATEU, sostenitore e pro-motore delle iniziative legate alla rivalutazione dei mezzi agricoli storici. La festa si è conclusa con il saluto del presidente del club Maurizio Speziali e del delegato ASI, Mino Faralli, i qua-li hanno salutato gli intervenuti, sottolineato l’importanza di queste rievocazioni che tra-smettono alla società di oggi, valori storici e tradizioni sociali della civiltà agricola del Novecento, sulla quale si è formato il nostro sviluppo ed il nostro benessere. ●
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Suggestiva ed ironica la rappresentazione dei personaggi che accompa-gnavano il rito delle giornate sui campi, con la figura della “padrona” a bordo di una Austin haley del 1959
A sera, quando al suono della sirena il macchinista ferma il motore, le mogli dalle lunghe gonne con il fazzoletto in testa preparano la cena
Alla trebbiatura hanno partecipato
non soltanto gli agricoltori
di un tempo ma anche quelli
di oggi, dimostrando di saper raccogliere
il testimone di questo antico mestiere
il connubio tra la macchina trebbiatrice ed il Landini testa calda nel suggestivo scenario dell’aia felicini a Spina
L’arrivo del motore a testa caldanon fu soltanto un evento tecnologico
ma contribuì a migliorare la condizionedelle donne, permettendo loro di dedicarsipiù alla famiglia e meno al lavoro dei campi
I riflettori sull’Afghanistan si accendono quando si verificano fatti di cronaca ecla-tanti. Quale rapporto, però, ci lega a que-sta terra? Cosa sappiamo veramente della
vita, della cultura e delle tradizioni dei pashtun o degli apakan? “Diario da Kabul, Appunti da una città sulla linea del fronte” (Obarra edizio-ni) dà luce a fatti e riflessioni di un mondo che spesso reputiamo ostile e distante, un Paese da trent’anni in guerra, che ospita migliaia di soldati italiani. L’autore, Emanuele Giordana, a settembre sarà a Perugia per presentare questo suo ultimo capolavoro letterario. Giornalista e fondatore di Lettera22, conduttore di Radiotre-mondo su Radio3Rai, direttore dell’agenzia on-line Ntnn racconta con disarmante ironia dilui-ta a ferrea serietà gli eventi vissuti, conducendo il lettore sulle strade polverose di un luogo che ha tenui colori, forti profumi, enormi drammi e ospita un vero e proprio miscuglio di popoli. Attraverso gli occhi del reporter in prima linea non si scoprono le ragioni della guerra, che
come lo stesso autore ha spiegato “Sono confu-se, nessuno ormai sa perché è cominciata, dove vada a finire, e che valori voglia difendere”, ma si apprezza lo sforzo di una lucida analisi divisa in due parti: “Noi e l’Afghanistan”, “L’Afghanistan e noi”. L’autore sin dal suo primo viaggio a Kabul nel 1974 ha seguito le vicende ed analizzato le vicissitudini politiche, i fatti accaduti, l’orienta-mento dei diplomatici, delle organizzazioni di cooperazione allo sviluppo, dell’ossessione per la sicurezza, del grande business della guerra e della sua logistica surreale. “Diario da Kabul” as-sembla articoli e reportage in parte presenti nel
blog http://emgiordana.blogspot.com/ e svela “Un grande vuoto politico, dovuto a un’assenza di dibattito, che manca in Italia, come negli Sta-ti Uniti” e che porta a “Conflitti che non hanno limiti temporali, dove non ci sono vincitori né vinti e l’unica vittima è la popolazione civile che continua a morire”.Inoltre, nel testo non mancano considerazioni su alcune spinose questioni che vanno dalle nomine diplomatiche al “caso Emergency”. E’ coinvolgente il racconto di un’operazione d’er-nia che per scelta dell’autore ha fatto in una struttura pubblica afgana, dove i medici senza tac e accertamenti analitici, a cui noi siamo abi-tuati, toccano, sentono e guardano la lingua. Il lettore, poi, scoprirà la vita dei locali notturni, dove le coscienze si ritrovano in anfratti fumosi in cui è possibile vedere donne e bere alcool. Le pagine di “Diario da Kabul” scorrono velo-ci, lasciando nel lettore anche un grande senso di umanità e gratitudine verso parole colme di sincerità. ●
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fatti e riflessionisu un paese
da semprescenario
di conflitti
Diario da Kabul uno sguardo oltre la guerra
Emanuele Giordana descrive nel suo ultimo libro un mondo che spesso reputiamo ostile e distante
Floriana Lentidi
Giordana mentre raccoglie testimonianze
Le nozze rosse dei Baglioni
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L’invidia e la sete di potere armarono le mani dei congiurati guidati da Filippo Baglioni
Il 28 giugno del 1500 si celebrarono a Perugia le nozze fra Astorre Baglioni e Lavinia Orsini Colonna. L’evento richiamò l’attenzione di tutta la nobiltà italiana. I Baglioni, infatti,
erano i Signori di Perugia. Belli e terribili. Una stirpe di nobili guerrieri e di facitori di storia. Le nozze di Astorre si svolsero con il più grande sfarzo, per mostrare a tutti la potenza di questa schiatta nobile e feroce. “I cronisti dovettero consumare molti fogli di pergamena per descrivere gli sponsali”, scrive il Gurrieri nella sua Storia di Perugia, “avvenuti con la più alta magnificenza, gli archi di trionfo, i cortei, le munificenze, i doni inviati dagli stati, i broccati, gli ori e le gemme”. Il pranzo nuziale
si dovette tenere nella Piazza principale di Perugia, per l’altissimo numero di invitati, mentre Simonetto Baglioni, un altro membro della nobile stirpe, “sopra un carro pieno di confetti li gettava ai popolani”.Questo stupendo affresco di gioia e di bellezza doveva però presto finire. “A ben altri sponsali, che furono chiamate le nozze rosse dovevano partecipare i Baglioni soltanto diciotto giorni dopo” scrive ancora il Guerrieri. Le preparava un altro membro della famiglia Baglioni, Carlo di Oddo, detto il Barciglia, “d’animo fiero e risoluto, cupido di gloria, invidioso della potenza dei parenti”. Facendo leva su alcuni vecchi rancori e sulla gelosia, Carlo riuscì in poco tempo ad organizzare una congiura all’interno della nobile Casa Baglioni. Parenti contro parenti. Trascinò
Fabrizio Bandinidi
Astorre pugnalato al petto nel sonno di fronte alla sposa novella fu trascinato per i capelli e gettato in strada
Lavinia Orsini Colonna, dopo l’assassinio del marito, riparò a Roma presso la casa paterna
Midgard editrice www.midgard.it
con sé nel complotto, Grifonetto Baglioni, nipote di Braccio I Baglioni, “di bellezza un altro Ganimede e quasi più ricco che alcun altro”, il Varano, Girolamo degli Arcipreti, Berardo della Cornia, Filippo Baglioni e altri ancora.La notte fatale del 15 luglio assaltarono le abitazioni dei Baglioni e trucidarono i Signori di Perugia in un atmosfera tetra e sanguinosa, da tragedia greca. “La congiura dei Pazzi e la strage di Senigallia impallidiscono davanti alle nozze rosse dei Baglioni” scrive il Guerrieri. Cadono sotto i colpi feroci dei congiurati Astorre Baglioni, alla presenza della giovane sposa, Simonetto Baglioni, Gismondo Baglioni e Guido Baglioni, il patriarca della famiglia. Le cronache raccontano che Filippo Baglioni, dopo aver ucciso Astorre, gli cavò il cuore e lo morse, in un gesto di inaudita ferocia. Poi i cadaveri degli uccisi furono gettati dalle finestre e lasciati a sanguinare per le strade.Non tutti i Signori di Perugia furono però sterminati. Alcuni scamparono miracolosamente alla strage, come Gian Paolo Baglioni, Gentile Baglioni, Rodolfo Baglioni e Adriano Baglioni. Presto si riorganizzarono e si prepararono a riprendersi la città. L’orribile strage, infatti, aveva inorridito il popolo e i magistrati di Perugia. I congiurati tentarono di presentarsi come liberatori della tirannide, ma ben presto, davanti all’arrivo delle milizie dei Baglioni sopravvissuti, dovettero darsi alla fuga. Carlo il Barciglia e Girolamo degli Arcipreti riuscirono a fuggire in tempo. Grifonetto Baglioni, invece, fu raggiunto dai soldati di Gian Paolo e trucidato. E su quel corpo
presto si gettarono straziate dal dolore Atalanta e Zenobia Baglioni, piangendo colui che aveva colpito così duramente la loro stirpe.Come scrive Oscar Wilde ne Il ritratto di Dorian Gray: “Grifonetto Baglioni col suo giustacuore trapunto, il berretto gemmato e i ricci in forma di acanto, che uccise Astorre con la sposa e Simonetto col suo paggio, e che era di una tale bellezza che quando giacque morente nella piazza gialla di Perugia coloro che l’avevano odiato non potevano trattenere le lacrime e Atalanta, che l’aveva maledetto, lo benedisse” ●
Questa è la dida di una foto sbandiera-ta a destra
interlinea automatica caratter
ci siamo incamminati
felici e dentro di me ho rivissuto
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Dopo averlo ferito a morte filippo
baglioni ne estrasse il cuore e lo prese
a morsi secondo un antico
rito di guerra dei germani
Da tre anni ormai viene insegnata con successo in tre palestre di Perugia, ma non chiamatela
‘arte marziale’. Stiamo parlando del krav maga, una tecnica di combattimento corpo a corpo ideata da un campione di lotta
libera israeliano, Imirich Lichtenfeld, nei primi anni cinquanta. Lichtenfeld fu incaricato dal neonato esercito israeliano di creare un tipo di lotta efficace e rapido da apprendere, che permettesse ai soldati di difendersi
nella lotta corpo a corpo, usando solo le mani e le gambe come armi efficacissime. Letteralmente krav maga vuol dire ‘combattimento a contatto’.Cresciuto nelle strade violente di Bratislava, Lichtenfeld riuscì a fondere le proprie esperienze personali con le tecniche apprese negli sport che aveva praticato: ginnastica, pugilato e lotta libera. Da questo mix è nato il krav maga. Il suo logo è una ‘k’ e una ‘m’ scritte in ebraico dentro un cerchio aperto ad indicare che tale sistema di combattimento può subire ulteriori miglioramenti grazie all’apporto
L’ arte del “mordi e fu ggi” si chiama Krav Maga
SecURity&
DefeN
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Francesco Finidi
Efficace tipo di lotta corpo a corpo creata per l’esercito israeliano, si sta diffondendo rapidamente nelle palestre, dove quasi la metà di chi la pratica è donna
L’obiettivo primario resta quello di evitare a priori lo scontro fisicospaventandol’aggressore
Ogni oggetto che ti circonda può essere un’arma di difesa dalla più banale alla più estrema basta sapere come usarla
E’importante valutare se l’aggressore è solo o in gruppo e quali siano realmente i rischi che si corrono
di tutti coloro che lo praticano. La sua filosofia pragmatica, assolutamente democratica e aperta al contributo di tutti, possiede un fascino indiscutibile ed è forse il segreto del successo che sta riscuotendo in tutto il mondo. Importato dal Maestro perugino Angelo Biondo tre anni fa, ha già ottenuto largo consenso, anche fra il gentil sesso. Essendo una tecnica di combattimento vera e propria a cui vengono addestrati soldati di professione, gli istruttori che la insegnano a dei semplici cittadini, precisano subito che va usata solo in casi estremi, come un’aggressione a mano armata o un tentativo di stupro. E’ anche il motivo per cui non può essere praticata come sport da competizione. I punti sensibili a cui si mira sono proibiti nel karate, nel judo, ju-jitsu, tae kwon do e in generale nelle altre discipline di lotta a contatto. Sono previsti colpi agli occhi, ai genitali, al plesso solare, alla gola, al naso, alla tempia e alla nuca.Per questo gli istruttori, consapevoli della propria responsabilità, insistono sul concetto di ‘autodifesa estrema’ e sul fatto che un approccio troppo anticipatorio potrebbe determinare conseguenze penali, anche gravi, in chi lo attua. Prima di agire bisogna capire le reali intenzioni dell’aggressore e tentare di calmarlo e farlo ragionare. Intanto ci si guarda attorno individuando le possibili vie di fuga. E’ semplice imparare i colpi, più difficile capire quando farne uso. Per questo serve un serio allenamento. Per capirne di più abbiamo deciso di assistere ad alcune dimostrazioni pratiche di krav maga, recandoci dal Maestro Altin Qoku che insegna presso la palestra “Kennedy” di Madonna Alta. Ci accoglie con un sorriso. Ha un fisico massiccio, ma trasmette la calma e
la maturità di chi ha imparato a controllare le proprie emozioni.“Sono vent’anni che mi occupo di arti marziali. Ho fatto karate, ju-jitsu e altre discipline, è un campo molto vasto. Poi ho conosciuto il Maestro Angelo Biondo che mi ha convinto ad insegnare krav maga. Sono rimasto colpito dall’istintività e immediatezza dell’approccio, che permette a chi pratica krav maga di imparare in pochi mesi a difendersi. Per apprendere al meglio una delle tante arti marziali orientali bisogna cominciare da piccoli e applicarsi per anni in duri allenamenti. Significa anche abbracciare una filosofia di vita
vera e propria. E’ affascinante, personalmente è un’esperienza che mi ha arricchito e che ripeterei, ma una volta arrivati all’età adulta si ha meno tempo e pazienza. L’estrema facilità di apprendimento del krav maga è il segreto del suo successo. Sono già una ventina i miei allievi comprese tre donne”. Inizia la lezione e Altin si mette di fronte agli allievi con la gamba sinistra in avanti e la destra un po’ arretrata. Ha le mani alzate e aperte, ma non in modo minaccioso, piuttosto rassicurante.“All’inizio si valuta tutto, si alzano le mani con il palmo ben aperto davanti all’aggressore e
L’ arte del “mordi e fu ggi” si chiama Krav Maga
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Neutralizzare l’avversario con una mossa anticipatoria diretta ai punti sensibili e poi darsi alla fuga per evitare di essere inseguiti
Efficace tipo di lotta corpo a corpo creata per l’esercito israeliano, si sta diffondendo rapidamente nelle palestre, dove quasi la metà di chi la pratica è donna
si cerca di calmarlo con le parole. Tutti i presenti devono vedere bene che io sono l’aggredito e lui è l’aggressore. Se devo reagire, devo farlo tempestivamente prima che mi colpisca, ma sempre dopo che è partito il suo attacco”.
Il confronto comincia sul piano psicologico e solo dopo si passa al contatto fisico. A tale scopo gli istruttori cercano di riprodurre situazioni il più possibile realistiche usando anche coltelli di gomma e bastoni. Altin continua la lezione: “Bisogna disorientare l’avversario e produrgli uno choc sufficiente per avere il tempo di allontanarsi dal pericolo. Non ci si vanta mai di avere messo ko qualcuno. Non è una gara o una dimostrazione di forza. Urlare, farsi notare dai passanti può essere di aiuto per uscire da una brutta situazione, infatti attirando l’attenzione delle persone intorno a noi spesso si riesce a spaventare l’aggressore”. In definitiva qual è secondo te il principio su cui è basato questo tipo di lotta? “Ridurre il più possibile la distanza tra te e l’avversario per evitare che possa nuocerti con il corpo e con gli strumenti offensivi in suo possesso. Se uno si avvicina in maniera minacciosa agitando un bastone unisci le braccia a formare un cuneo che inserisci
fra il braccio che brandisce il bastone e la testa dell’avversario. In questo modo non può sferrarti alcun colpo. Poi lo neutralizzi colpendolo in un punto sensibile, come i genitali, e scappi via”. Quanto conta la mente e quanto la forza fisica in questa disciplina?“Prima si impara l’autocontrollo, bisogna essere maturi e sicuri di sé. Senza equilibrio interiore qualsiasi reazione diventa eccessiva. Potresti rischiare di passare in pochi secondi da aggredito a aggressore! Metà dell’allenamento che facciamo serve per la mente, il resto per il corpo”. Poi si stende a terra, chiama l’allievo più esperto e lo fa mettere sopra di se sistemandogli le mani contro il proprio collo simulando un tentativo di strangolamento. Con facilità, premendo sui pollici dell’allievo, si sblocca dalla presa mortale e lo butta a terra facendolo cadere di lato: “Abbiamo riprodotto molte tipologie di aggressione, per esempio se vieni buttato a terra e l’aggressore è già sopra di te, oppure mentre sei seduto di spalle. Per ogni situazione c’è una diversa tecnica di difesa”.Il Maestro Altin Qoku andrà presto in Israele per un corso di aggiornamento e prima di salutarci confessa: “Per crescere è necessario conoscersi a fondo per cercare di migliorare sempre il proprio livello fisico e aumentare l’equilibrio mentale. Non si finisce mai, questo è il bello”.. ●
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Prima si impara l’autocontrollo, bisogna essere maturi e sicuri di sé. Senza equilibrio interiore qualsiasi reazione diventa eccessiva
Bisogna disorientare l’avversario provocargli uno choc sufficiente a scappare via
Quanto volte capita di rigirarsi nel letto in preda a forti dolori lombari. Il banale mal di schiena spesso cela uno stile di vita disor-
dinato e sedentario, una non corretta postura davanti al computer per chi lavora in ufficio, oppure problemi alla pianta del piede. Il dolo-re, tuttavia, è solo un messaggio che il nostro corpo ci invia per avvertire che qualcosa non funziona a dovere. Un massaggio fatto da un fisioterapista può risolvere in poco tempo problemi in apparenza gravi ed è una pratica conosciuta fin dall’antichità. Tecnicamente si parla di stimolazione manuale o meccanica dei cosiddetti ‘tessuti molli’ ossia della pelle, del tessuto sottocutaneo, dei tendini e dei muscoli che genera diversi effetti benefici a partire dal miglioramento della circolazione sanguigna e linfatica.
La signora Anna ci scrive preoccupata: “Mio figlio lamenta frequenti dolori alla schiena, in particolare all’inizio di ogni anno scolastico. Mentre studia ho notato che non siede correttamente e se cerco di farlo stare dritto sulla sedia dopo poco torna a piegarsi in avanti oppure reclina la testa all’indietro dicendomi che è stanco. Come si correggono questi vizi posturali? E’ necessario sottoporlo alla visita di uno specialista o crescendo si aggiusterà tutto senza problemi?Il dolore alla schiena spesso può dipende-re da carichi eccessivi o mal distribuiti degli zaini che i ragazzi portano a scuola quo-tidianamente. In questo caso la soluzione più semplice è acquistare una valigetta del tipo ‘trolley’ che il bambino trascinerà con il braccio evitando così di stressare la colonna vertebrale. Le problematiche legate alla po-
stura in età adolescenziale vanno trattate con la massima attenzione. Il dolore è il campanello d’allarme di patologie che devono essere individuate quanto pri-ma. Prendere coscienza di ciò è il primo passo per far sì che questi vizi vengano corretti in tempo. Il fisioterapista, dopo una attenta visita e di concerto con un medico specialista, individua quali solu-zioni approntare nella vita del giovane paziente for-nendo gli strumenti per l’autocontrollo in tutte le attività fisiche quotidiane. Il dialogo è importante per rintracciare le abitudi-ni scorrette che il pazien-te tiene quando siede sul divano oppure a tavola durante i pasti. Il vizio po-sturale può anche essere congenito, ma la sostanza del problema non cam-bia. E’ necessario inoltre far seguire alle correzioni posturali anche un ciclo di controlli periodici medico-riabilitativi. Una diagnosi pre-coce è già un otti-mo passo avanti nella risoluzione dei problemi che se presi in tempo vengono corretti con maggiore fa-cilità seguendo, passo dopo pas-so, lo sviluppo del bambino ●
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Tutti a scuola ma attenzione alla posturaIl banale mal di schiena spesso cela uno stile di vita disordinato e sedentario. Il dolore, tuttavia, è solo un messaggio che il nostro corpo ci invia per avvertire che qualcosa non funziona a dovere. Un massaggio fatto da un fisioterapistapuò risolvere in poco tempo problemi in apparenza gravi.
Questa rubrica dedicata alla salute ospiterà gli interventi di Federico Boila, fisioterapista che opera nel settore da oltre quindici anni e che sarà lieto di rispondere alle domande dei nostri lettori scrivendo a [email protected]
Federico Boiladi
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Umbria doc per il trekker
Il territorio umbro è davvero il massimo per trekking ed escursionismo. E poco conta che il trekker decida di procedere su una mountain bike, a piedi o in
sella a un cavallo. La piccola Umbria è facilmente divisibile in comprensori: Amelia, Assisi, Cascia, Castiglione del Lago, Città di Castello, Foligno, Gubbio, Orvieto, Perugia, Spoleto, Terni, Todi… . Tutti sono caratterizzati da Comuni ricchi di storia, attrattive paesaggistiche, culturali e folkloristiche nonché da bellezze naturali che difficilmente trovano eguali in ambito nazionale. L’Alta valle del Tevere, i colli di Gubbio e il monte Cucco, i monti di Gualdo Tadino e di Nocera Umbra, i colli di Perugia e del Trasimeno, i monti della Valle Umbra e i Martani, quelli di Spoleto e della Valnerina. Ma non è finita, perché ci stavamo scordando dei Sibillini, dei rilievi di Cascia e Norcia fino ad arrivare alla Bassa valle del Tevere e alle zone collinari e montane di Orvieto e Terni. E prendiamo come riferimento il corso del Tevere da Todi in direzione di Orvieto. Lungo il Parco del fiume, per le gole del Forello, con la possibilità di seguire, in parte, quello che fu il percorso della transumanza delle greggi verso la Maremma. Di attraversare,
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A piedi, in bici o a cavallo sui sentieri della nostra regione alla scoperta di bellezze incontaminate
Alfiero Bigaronidi
staccandosi dalle vie principali, centri storici come Baschi, Montecchio e Guardea e, per i più allenati, di raggiungere gli abitati di Acqualoreto, Scoppieto e Civitella del Lago. Fino ad ammirare i laghi di Corbara e Alviano. E magari, visto che si parla di escursionismo, con tanto di carta geografica e bussola al seguito. Uno sport da riscoprire. Il trekking non si può considerare uno sport emergente. Questa disciplina, infatti, ha avuto in Italia il momento di massima diffusione negli anni Ottanta. Non che, successivamente, l’entusiasmo e la passione di migliaia di cultori sia andata esaurendosi, ma la sua risonanza ha per lo più coinvolto gli autentici amatori, estraniandosi così da forme di commercializzazione. E’ più giusto, pertanto, parlare del trekking come di uno sport da riscoprire, perché capace, a differenza di altre discipline, di farci assaporare il piacere del naturale, il gusto delle cose semplici, la gioia di un risultato ottenuto con le nostre forze e
armati solo di entusiasmo. Fare trekking significa anche riscoprire la piacevolezza dell’avventura percorrendo, senza fretta, sentieri in mezzo ai boschi, zone incontaminate e talvolta sconosciute, in stretto contatto con la natura circostante. La letteratura riguardante il trekking
E’ bene chiarire subito che il trekking, inteso come esplorazione o viaggio
compiuto a piedi in condizioni anche critiche, affonda le sue radici nella storia dell’uomo. Ed è proprio dal rifiuto di ogni comodità che il termine trekking, oggi come un tempo, acquista il suo pieno e vero significato. Pensare dunque a un viaggio lungo, faticoso e senza comodità, fa capire esattamente quel modo di affrontare la natura attraverso sentieri e percorsi a volte difficili. E’ evidente che ora si può disporre di mezzi e attrezzature più moderne, ma lo scopo di fare certe escursioni conserva immutato lo spirito originario. E’ chiaro che al trekker moderno interessano gli aspetti culturali, umani e naturalistici dell’avventura, mentre i “camminatori” di un tempo erano mossi da fini di sopravvivenza e, dunque, prevalentemente utilitaristici. Per concludere qualche curiosità sul significato del termine. Trekking deriva dalla parola Boera “trek”, ovvero dal solco che le ruote dei carri dei Boeri lasciavano sul terreno durante i loro spostamenti. Quindi trek significa “viaggio compiuto con carri trainati da buoi”. Ma cosa c’entra, dirà qualcuno? C’entra eccome, perché i Boeri – discendenti dei Calvinisti francesi e olandesi – erano un popolo di nomadi che compivano lunghi viaggi interamente a piedi, percorrendo il tragitto sempre e solo a fianco dei propri carri. Il termine moderno “trekking”, inglese, significa invece “compiere un viaggio lento e faticoso”. Cambiano solo i tempi non la sostanza.
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Il trekkingè natoinsieme all’uomo
è davvero abbondante, ma per capirne appieno le peculiarità sarà assai più bello mettersi un paio di scarponi, uno zaino sulle spalle e provare di persona ogni sensazione. Magari per scoprire posti non distanti da casa nostra che per un motivo
o per l’altro ci sono ancora sconosciuti. Per buona parte degli appassionati fare trekking vuol dire trascorrere una vacanza in maniera diversa, oppure conoscere paesi, regioni, culture e tradizioni con un approccio umano più intenso e
gratificante, scartando l’uso dei mezzi di trasporto tradizionali, per evadere dai ritmi frenetici che la vita quotidiana ci impone, rilassando, così, mente e corpo. Le escursioni possono durare un giorno, un week-end, una settimana o il tempo che ciascuno riterrà opportuno. Non vi sono infatti limiti, ma l’itinerario dovrà essere preparato e studiato nei minimi particolari. Per questo occorrerà anche avere a disposizione una carta topografica con il percorso segnato in modo chiaro e le informazioni riguardanti, se la zona prescelta è di montagna, la dislocazione dei rifugi o di altri punti d’appoggio. Altro strumento da portare al seguito, indispensabile per orientare la carta, è la bussola. Almeno nelle prime escursioni è meglio non avventurarsi da soli, preferendo uscire con qualche compagno che possa essere di aiuto in caso di necessità. Lo zaino è pronto? Allora con le precauzioni del caso potete mettervi in marcia. Senza fretta, ovviamente. ●
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e’ proprio dal rifiuto di ogni comodità che il termine “trekking” oggi come un tempoacquista il suo pienoe autentico significato
impossibile stimare la consistenza dei trekker umbri perchè a differenza di altre discipline raramente si iscrivono alle federazioni
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Sfida ai fornelli: il cinghiale è in tavolaA confronto la tecnica di uno chef e i segreti e l’esperienza di una casalinga
Procedimento:
La prima cosa da fare è tagliare il cinghiale a cubi della stessa misura. Poi passiamo a tritare cipolla, sedano e carota. Schiacciamo il pepe e
mettiamo il tutto, con il finocchio selvatico, a marinare nel vino bianco con il sale. Il cinghiale va tenuto in un contenitore chiuso per 2 giorni al’interno del in frigorifero.Passati i due giorni si scola la polpa e si mette da parte la marinata.Infariniamo il cinghiale e rosoliamolo per 5 minuti con olio d’oliva in un tegame largo. Dopo di che aggiungiamo la marinata che avevamo messo da parte,il concentrato di pomodoro e copriamo il tutto con acqua fredda. Lasciamo il nostro cinghiale sul fuoco lento per circa 2 ore mescolando frequentemente. LOMBO DI MAIALE AFFUMICATOCondiamo il nostro lombo affumicato con sale e pepe e rosoliamolo in padella nell’olio per circa 10 minuti. Togliamo dalla padella e teniamo in caldo. Affettiamo finemente e poi serviamolo con il cinghiale dopo averlo cosparso di prezzemolo fresco e un filo d’olio extravergine.
Cinghiale al finocchio selvatico con lombo affumicato
Luca Pisauridi
Chefdell’Osteria il Gufo
di Perugia
Nonna Tinadi
Sfama da oltre 30 anni marito
tre figli
Ingredienti per 4 persone500g di polpa di cinghiale (coscio-spalla) 80g di farina100g di concentrato di pomodoro
500cl di vino bianco1cipolla,1carota,1 costa di sedanofinocchio selvatico (fresco o semi)sale e pepe in grani q.b.olio d’oliva extravergine
Ingredienti per quattro persone:Polpa di cinghiale da 500gr a 1 kgpassato di pomodoro 1 l circa, vino rosso, olio d’oliva aglio, rosmarino, sedano, carota,
alloro, salvia e bacche di ginepropepechiodi di garofano sale
Spezzatino di cinghiale al ginepro
Procedimento:
DPer prima cosa si mette la polpa a pezzi molto grossi in una ciotola con 2/3 spicchi d’aglio in camicia schiacciati (cioè senza togliere
la “buccia”, questo rende più digeribile l’amico-nemico aglio). Poi direttamente dall’orto 1 rametto di rosmarino, 2/3 foglie di alloro e 2 di salvia, 4/5 bacche di ginepro, 2/3 chiodi di garofano, una costa di sedano, un pezzo di carota sbucciata, un po’ di sale e una macinata di pepe. Infine copriamo con vino e poca acqua. Mescoliamo tutto utilizzando l’arnese più importante che abbiamo (ovviamente le mani) copriamo e lasciamo marinare per una giornata (circa 24 ore). La marinatura nel caso del cinghiale è fondamentale, perché la carne si insaporisce e al tempo stesso perde un po’ di quell’odore e sapore di selvatico. Se sono riuscita a farla mangiare a mia figlia Carla, vuol proprio dire che la marinatura funziona… Passate le 24 ore tagliamo la carne a spezzatino togliendo il grasso, ci vuole un po’di pazienza ma soprattutto i bambini e i palati più delicati apprezzeranno la carne magra, anche se detto tra noi il grassetto insaporisce e rende la carne più morbida. Intanto mettiamo a soffriggere l’aglio e l’olio in una casseruola, aggiungiamo la carne , 3 foglie di alloro e il rosmarino fresco. Quando la carne ha perso un po’ d’acqua, e questa è evaporata, versate mezzo bicchiere di vino rosso (umbro eh…), salate
e pepate. Fate evaporare il vino e solo allora aggiungete la passata di pomodoro portando tutto a bollore, quindi abbassare e far cuocere per un paio d’ore. Controllate che il sugo non si attacchi, casomai potete aggiungere un po’ alla volta dell’acqua. Aggiustate
di sale e pepe e poi sapete che fare. Buon appetito. Ah, dimenticavo,
se avanza, cosa rara, tritate la carne e condite la
pasta il giorno dopo. Ricordate, in cucina non si butta niente.
Fuochi accesi, forchettone in resta e nuova sfida ai fornelli. Sul piatto questa volta finirà il cinghiale, prodotto tipico della
cucina umbra. Da un lato lo chef dell’Osteria del Gufo di Perugia che presenta un cinghiale al finocchio selvatico accompagnato da un
lombo affumicato, dall’altro nonna Tina che ci racconta come delizia la sua famiglia con uno spezzatino alle bacche di ginepro. Per quanto alcuni passaggi possano sembrare simili, l’aggiunta o la sostituzione di alcuni ingredienti nelle due ricette fanno sì che il
risultato finale sia ben diverso nel sapore. Leggete bene e cogliete i segreti svelati nelle due ricette, poi scegliete per quale optare oppure createne una terza facendo un mix tra la sapienza tradizionale di nonna Tina e la tecnica e creatività di Luca Pisauri.
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