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VII LEGISLATURA ESTRATTO DAL PROCESSO VERBALE DELLA SEDUTA N. 295 28 gennaio 2003 – ore 14,30 Presidenza del Presidente ROBERTO COTA e dei Vice Presidenti LIDO RIBA PIETRO FRANCESCO TOSELLI Nel giorno 28 gennaio 2003 alle ore 14,30 in Torino – nel Palazzo Lascaris, via Alfieri n. 15 – sotto la Presidenza del Presidente ROBERTO COTA e dei Vice Presidenti LIDO RIBA e PIETRO FRANCESCO TOSELLI, con l’assistenza dei Consiglieri Segretari MARCO BOTTA, ALESSANDRO DI BENEDETTO e GIUSEPPE POZZO, si è adunato il Consiglio regionale come dall’avviso inviato nel termine legale ai singoli Consiglieri. Sono presenti i Consiglieri: ALBANO N. - ANGELERI A. - BOLLA E. – BOTTA M. – BRIGANDI’ M. – BURZI A. CANTORE D. – CARACCIOLO G. – CATTANEO V. – CAVALLERA U. – CONTU M. – COSTA R. – COSTA E. – COTA R. – COTTO M. – D’AMBROSIO A. – DEORSOLA S. - D’ONOFRIO P. – DI BENEDETTO A. – FERRERO C. – GALASSO E. – GALLARINI P. – GHIGO E. - GIORDANO C. – GODIO G. – LEO G. - MANICA G. – MANOLINO G. – MARCENARO P. – MARENGO P. - MELLANO B. – MERCURIO D. – MULIERE R. – PALMA C. – PAPANDREA R. - PEDRALE L. - PICHETTO FRATIN G. – PLACIDO R. – POZZO G. – RACCHELLI E. - RIBA L. – RIGGIO A. – RONZANI G. - ROSSI G. - ROSSI O. – SAITTA A. – SCANDEREBECH D. - SUINO M. – TAPPARO G. – TOMATIS V. - TOSELLI P. – VAGLIO R. - VALVO C. Sono in congedo i Consiglieri: BOTTA F. - BUSSOLA C. – CARAMELLA L. – CASONI W. – DUTTO C. Non sono presenti i Consiglieri: CHIEZZI G. – MORICONI E. E’ inoltre presente l’Assessore esterno: LARATORE G. (o m i s s i s) DCR 280 – 2996 “Documento di programmazione economico-finanziaria regionale (DPEFR) 2003-2005. Legge regionale 11 aprile 2001, n. 7, art. 5”. (Proposta di deliberazione n. 350)

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VII LEGISLATURA

ESTRATTO DAL PROCESSO VERBALE DELLA SEDUTA N. 295

28 gennaio 2003 – ore 14,30

Presidenza del Presidente ROBERTO COTA e dei Vice Presidenti LIDO RIBA PIETRO FRANCESCO TOSELLI Nel giorno 28 gennaio 2003 alle ore 14,30 in Torino – nel Palazzo Lascaris, via Alfieri n. 15 – sotto la Presidenza del Presidente ROBERTO COTA e dei Vice Presidenti LIDO RIBA e PIETRO FRANCESCO TOSELLI, con l’assistenza dei Consiglieri Segretari MARCO BOTTA, ALESSANDRO DI BENEDETTO e GIUSEPPE POZZO, si è adunato il Consiglio regionale come dall’avviso inviato nel termine legale ai singoli Consiglieri.

Sono presenti i Consiglieri: ALBANO N. - ANGELERI A. - BOLLA E. – BOTTA M. – BRIGANDI’ M. – BURZI A. CANTORE D. – CARACCIOLO G. – CATTANEO V. – CAVALLERA U. – CONTU M. – COSTA R. – COSTA E. – COTA R. – COTTO M. – D’AMBROSIO A. – DEORSOLA S. - D’ONOFRIO P. – DI BENEDETTO A. – FERRERO C. – GALASSO E. – GALLARINI P. – GHIGO E. - GIORDANO C. – GODIO G. – LEO G. - MANICA G. – MANOLINO G. – MARCENARO P. – MARENGO P. - MELLANO B. – MERCURIO D. – MULIERE R. – PALMA C. – PAPANDREA R. - PEDRALE L. - PICHETTO FRATIN G. – PLACIDO R. – POZZO G. – RACCHELLI E. - RIBA L. – RIGGIO A. – RONZANI G. - ROSSI G. - ROSSI O. – SAITTA A. – SCANDEREBECH D. - SUINO M. – TAPPARO G. – TOMATIS V. - TOSELLI P. – VAGLIO R. - VALVO C.

Sono in congedo i Consiglieri: BOTTA F. - BUSSOLA C. – CARAMELLA L. – CASONI W. – DUTTO C.

Non sono presenti i Consiglieri: CHIEZZI G. – MORICONI E.

E’ inoltre presente l’Assessore esterno: LARATORE G.

(o m i s s i s) DCR 280 – 2996

“Documento di programmazione economico-finanziaria regionale (DPEFR) 2003-2005. Legge regionale 11 aprile 2001, n. 7, art. 5”. (Proposta di deliberazione n. 350)

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Punto 3) Esame proposta di deliberazione n. 350: “Documento di programmazione economico-finanziaria regionale (DPEFR) 2003-2005. Legge regionale 11 aprile 2001, n. 7, articolo 5”.

(o m i s s i s)

Tale deliberazione, nel testo che segue, emendato, è posta in votazione mediante procedimento elettronico: il Consiglio approva.

IL CONSIGLIO REGIONALE VISTI gli articoli 73 e 74 dello Statuto regionale in merito alla programmazione regionale ; VISTO l’articolo 1 del decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 (Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell’articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208); VISTO l’articolo 5 della legge regionale 11 aprile 2001, n. 7 (Ordinamento contabile della Regione Piemonte), che stabilisce le modalità di redazione, approvazione e presentazione al Consiglio Regionale del documento di programmazione economico-finanziaria regionale (DPEFR); RICHIAMATO il DPEFR 2002-2004 formato nel 2001 in prima attuazione della l.r. 7/2001, adottato con deliberazione Giunta regionale n. 1-4371 del 12 novembre 2001 (divenuta proposta di deliberazione del Consiglio regionale n. 277 del 29 novembre 2001); CONSIDERATO che tale documento costituisce il documento base al quale si richiamano le nove linee di intervento strutturale del DPEFR 2003-2005, e che pertanto è da questo superato; VISTA la Deliberazione Giunta regionale n.1 – 6612 del 9 luglio 2002 con cui si propone al Consiglio l’approvazione del DPEFR 2003-2005; VISTO il parere favorevole della Conferenza Permanente Regione-Autonomie Locali sul DPEFR 2003-2005, espresso in data 25 settembre 2002; ESAMINATO il DPEFR 2003-2005, la sua nota di aggiornamento della situazione congiunturale (novembre 2002), nonché la nota di accompagnamento che contiene le schede di sintesi delle politiche settoriali della Regione; RISCONTRATO che il DPEFR è stato redatto in conformità della legislazione in materia; PRESO ATTO che il DPEFR è stato licenziato dalla I Commissione consiliare in data 30 dicembre 2002;

d e l i b e r a di approvare il documento di programmazione economico finanziaria regionale (DPEFR) 2003-2005 nel testo di cui all’allegato A, che costituisce parte integrante della presente deliberazione.

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DPEFR

DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO FINANZIARIA REGIONALE

2003-2005

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SOMMARIO

PARTE I Stato e tendenze della situazione economica e sociale della Regione pag. 5 PARTE II Quadro e obiettivi di finanza pubblica “ 32 PARTE III Linee di intervento strutturale “ 47

PREMESSA “ 48

• Valorizzazione delle opportunità finanziarie esterne “ 51

• Razionalizzazione e qualificazione della

spesa sanitaria “ 58

• Sviluppo delle imprese e delle attività produttive “ 62

• Modernizzazione e riordino della Pubblica Amministrazione “ 76

• Innovazione, istruzione, cultura, valorizzazione delle risorse umane “ 88

• Apertura all’esterno e internazionalizzazione “ 98

• Politiche attive territoriali ed ambientali per uno sviluppo di qualità “ 109

• Ricostruzione post-alluvione, prevenzione “ 119 e protezione del territorio

• Welfare e coesione sociale “ 123

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P A R T E I

STATO E TENDENZE DELLA SITUAZIONE

ECONOMICA E SOCIALE DELLA REGIONE

La prima parte del Documento di Programmazione Economico-Finanziaria Regionale (DPEFR) 2003-2005 è stata predisposta con la collaborazione dell’IRES in base alle disposizioni dell’art.5 della l.r. 7/2001. Essa rappresenta una sintetica valutazione sullo stato e sulle tendenze della situazione economica della regione alla luce dei più recenti indicatori congiunturali e nel quadro degli scenari complessivi di sviluppo del Piemonte elaborati e periodicamente aggiornati dall’Ires. Analisi e informazioni statistiche più complete e dettagliate sono contenute nella pubblicazione dell‘Ires, Piemonte Economico sociale 2001, Torino, 2002 (www.ires.piemonte.it) e nell’Annuario statistico regionale - Piemonte in cifre, pubblicato dalla Regione Piemonte insieme all’Istat ed all’Unioncamere Piemonte. (www.piemonteincifre.it)

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1. Tendenze di medio periodo: scenari in movimento? Gli eventi dell'ultimo anno sono stati, agli occhi di molti osservatori, tali da mettere in forse una traiettoria evolutiva dell'economia internazionale che si era consolidata nel corso degli anni Novanta, e che si riassumeva nel concetto di una inarrestabile globalizzazione dell'economia e della società mondiale: progressiva integrazione della produzione, tendenziale omologazione dei valori e dei modi di consumo, smantellamento delle barriere commerciali, liberalizzazione delle economie nazionali, allargamento dei mercati e delle economie di scala, crescente finanziarizzazione economica, perfezionamento dei meccanismi autoregolativi dei mercati attraverso sofisticati processi allocativi governati dalle preferenze dei consumatori e da dispositivi specializzati di certificazione e controllo. Benchè non sussistano a tutt'oggi i presupposti per considerare ormai superato tale quadro tendenziale, è indubbio che gli ultimi mesi hanno introdotto nel panorama un insieme di forti perturbazioni, tali da giustificare un forte investimento di attenzione da parte di tutti gli attori sociali, economici e istituzionali1: il clima di guerra strisciante aperto - o rivelato - dall'attentato dell'11 settembre 2001:

• l'affermarsi di diffuse forme di resistenza socio-culturale alle pressioni omologanti connesse alla globalizzazione;

• le persistenti difficoltà nei settori traenti della "new economy", protagonisti negli anni passati dei maggiori processi espansivi;

• situazioni di stagnazione o quasi collasso in importanti economie nazionali, dal Giappone all’Argentina;

• la crisi di fiducia nella trasparenza dei mercati azionari e nei dispositivi di certificazione aperta dall'afflosciamento dei titoli tecnologici e quindi confermata da altri eventi, come il caso Enron- Arthur Andersen e quello OneWorld;

• il riaffacciarsi in molti paesi di tentazioni protezioniste, che allo scopo di ammorbidire urti temporanei potrebbero condurre ad un freno duraturo al commercio internazionale, imbrigliando la crescita degli scambi che nel decennio trascorso aveva costituito la componente più dinamica dei processi di espansione economica.

La concomitanza di queste perturbazioni appare in grado di ritardare ancora per molti mesi la ripresa congiunturale nelle economie europee e in quella statunitense. Più controversa è fortunatamente la loro effettiva portata strategica, ossia la probabilità che esse possano sfociare in un arresto o in un'inversione dei fenomeni di integrazione mondiale, che nell'ultimo scorcio del XX secolo avevano contribuito fortemente alla crescita economica internazionale, ed anche - secondo analisi attendibili - alla riduzione della povertà e ad un'incipiente diffusione su scala mondiale dei benefici dello sviluppo per i paesi emergenti coinvolti dal processo di apertura delle frontiere. In un simile contesto, sembra di vitale importanza un investimento di fiducia da parte di tutti gli attori economici e istituzionali rilevanti, allo scopo di corroborare, e semmai accelerare, l'attuazione dei programmi e delle strategie di crescita elaborate negli anni passati. Anche su scala regionale, dove peraltro - come emerge dall’analisi della congiuntura piemontese - gli elementi di preoccupazione appaiono ben compensati da indicatori positivi, scenari e progettualità formulati negli scorsi anni da osservatori e protagonisti non appaiono complessivamente compromessi dalle turbative intervenute, le quali invece sembrano raccomandare un più vigoroso e convergente impegno nella promozione dell'innovazione. Uno dei dati emergenti di maggiore rilievo in questo primo scorcio del nuovo secolo è rappresentato in Piemonte dal rapido riassorbimento della disoccupazione, scesa nella media 2001 a livelli che possono essere considerati fisiologici sul piano sociale, e che nascondono in alcuni casi situazioni di tensione nel reclutamento di personale da parte delle imprese. Un "Piemonte senza disoccupati" è al tempo stesso la testimonianza della risoluzione di un assillo piemontese dello scorso decennio, e il preannuncio di un nuovo fattore di affanno che potrebbe minacciare le opportunità di crescita regionale nel decennio venturo. La riduzione della disoccupazione nel 2001 ha una evidente componente demografica. Tra il 2000 e il 2001 il numero dei disoccupati in Piemonte scende di 27 mila unità; di queste, 16 mila vanno ad ingrossare il numero di occupati, ma oltre 10 mila persone escono dal mercato del lavoro. Si tratta naturalmente di un fenomeno connesso all'invecchiamento della popolazione: nello stesso volgere di tempo, gli

1 Cfr.. Mario Deaglio, Giorgio S. Frankel, Pier Giuseppe Monateri, Anna Caffarena, Economia senza cittadini? Settimo rapporto sull’economia globale e l’Italia, Guerini, Milano, 2002.

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ultrasessantacinquenni in Piemonte aumentano di 15 mila unità. Già da diversi anni le fasce di età in entrata nella vita lavorativa erano più ridotte delle fasce in uscita; tuttavia grazie a fenomeni di compensazione (movimenti migratori, aumento del tasso di attività femminile) le forze di lavoro nel loro insieme non risultavano contrarsi. Il dato 2001 inaugura quindi la fase nella quale il Piemonte dovrà confrontarsi con un'offerta di lavoro cedente. In base alle simulazioni elaborate dall'Ires, tra il 2001 e il 2010 la dinamica demografica naturale produrrebbe (in assenza di migrazioni) un restringimento delle forze di lavoro superiore al 10% (quasi 200 mila lavoratori in meno), e solo l'operare congiunto di un sensibile apporto migratorio (in dimensioni simili a quelle sperimentate negli scorsi anni) e di un innalzamento robusto dei tassi di partecipazione (tali da colmare il gap che la regione manifesta nei confronti della media europea) consentirebbero di mantenere l'offerta di lavoro a livelli prossimi agli attuali2. Prime proiezioni effettuate dall'Ires ed altri enti di ricerca ci mostrano che dopo il 2010 la situazione demografica è destinata ad un rapido peggioramento, per l'entrata in massa nella popolazione in età lavorativa delle leve dimezzate nate dopo il 1980. Si tratta di un problema demografico, che però nel medio termine non consente una "soluzione demografica". Per quanto importanti e ineliminabili possano essere – come già evidenziato - politiche migratorie (per attrazioni mirate e per trattenere la popolazione residente), e anche politiche di sostegno alla famiglia (per arrivare alle scadenze cruciali del 2020-2030 con una struttura demografica meno compromessa), il sistema economico e sociale dovrà elaborare strategie e adattamenti in grado di generare un meccanismo di sostentamento e di sviluppo compatibile con una progressiva contrazione della popolazione attiva, e in misura minore, della popolazione tout court. Ne discendono alcune importanti conseguenze. In primo luogo, occorre puntare più ad uno sviluppo in qualità che a un'espansione in quantità. Il parametro da prendere in considerazione in forma privilegiata non è il prodotto regionale, ma il prodotto regionale per abitante. Lo sviluppo di produzioni labour intensive si scontrerebbe rapidamente con il vincolo demografico, mentre lo sviluppo di settori qualificati, producendo un elevato reddito pro capite, offrirebbe risorse in grado di attivare ricadute economiche (attraverso la spesa locale), dinamiche redistributive a gestione pubblica o familiare, procedure di accantonamento individuale in grado di alleviare l'onere che si verrà a scaricare sul sistema assistenziale e previdenziale pubblico (o meglio di rendere socialmente tollerabile l'inevitabile alleggerimento della protezione). Si torna dunque agli scenari di qualificazione tratteggiati nel DPEFR piemontese dello scorso anno, quando si indicava un percorso di qualificazione indirizzato "verso l'economia della conoscenza". Nella fase attuale dello sviluppo economico, caratterizzata da processi di automazione integrale e da quotidiane spinte alla delocalizzazione dei processi produttivi standardizzati, nelle aree avanzate come il Piemonte si può produrre valore soltanto attraverso la differenziazione dei prodotti, così da creare nicchie di mercato protette dalla concorrenza di costo per qualità tecnica o per eccellenza di gusto: è un dato che accomuna la produzione di apparecchiature innovative in funzione delle esigenze del cliente e l’attrazione di flussi turistici attraverso l’offerta di esperienze paesaggistiche ed enogastronomiche non banali. Di fatto, la differenziazione si produce attraverso la valorizzazione dei saperi radicati al territorio, tanto di quelli derivanti dall’aggiornamento delle culture tradizionali, quanto di quelli incorporati nelle reti di impresa o nelle istituzioni scientifiche e culturali. Non è un percorso da iniziare: la seconda metà degli anni 90 e l'inizio di questo nuovo secolo rappresentano per il Piemonte l'esplicitazione di una notevole capacità creativa, tanto sul piano dell'innovazione economica e sociale, quanto sul piano della governance: iniziativa, coordinamento e progetto. Una conferma macroscopica: nel decennio trascorso il Piemonte perde occupati industriali più di altre aree del paese, vede ridursi di un sesto il suo peso sull'export nazionale, eppure non perde terreno della graduatoria della ricchezza per abitante e arriva alla situazione presente con un livello mai così basso di disoccupati. Segno evidente che il processo di selezione/qualificazione delle funzioni distintive è in corso, sospinto dalla pressione delle cose o dalla saggezza dei suoi attori. La prospettiva per i prossimi anni può dunque essere quella di potenziare e programmare questo upgrading diffuso.

2 Cfr.:Ires, Scenari per il Piemonte del Duemila. Primo rapporto triennale, Ottobre 2001, Torino, cap. 14

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Rég.Wallonne

Vl.Gewest

Baden Württ.

Bayern

Nied.sachsen

N.rhein-Westf.

Attiki

Cataluña

Nd P.de Calais

Rhône-Alpes

Pr.Alp.C.d'Azur

Lombardia

Piemonte-Ven.

Em.Romagna

W.Nederland

Ostösterr.

Westösterr.

Stockholm

Gr.Manchester

East MidlandsWest Midlands

South East UK

70

80

90

100

110

120

130

140

1995 1996 1997 1998 1999

Piemonte

Figura 1. P.I.L. regionale per abitante in alcune regioni europee, 1999

Fonte: Eurostat Un semplice confronto europeo (Figura 1) conferma la forza competitiva del modello Piemonte. Anche negli ultimi anni (come già nel decennio precedente) questa regione è apparsa in grado di conservare il suo margine di vantaggio, in termini di ricchezza prodotta per abitante, rispetto alla media dell’UE. Delle 211 regioni “Nuts2” che compongono l’Unione Europea, il Piemonte risulta al 1999 (Tabella 1) la 29a per reddito pro capite, a parità di potere d’acquisto, con un vantaggio sulla media UE superiore al 20%. Anche nel 1995 la graduatoria vedeva la nostra regione al 29° posto. Va sottolineato il fatto che tra le “Nuts2” che ci superano figurano diverse agglomerazioni metropolitane (quali Londra, Bruxelles, Brema, Amburgo, Stoccolma) che per densità demografica e urbanizzazione non possono essere confrontate ragionevolmente con un territorio composito come quello piemontese.

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Tabella 1 Le prime 30 regioni europee (NUTS2) nella graduatoria del PIL per abitante nel 1999 a parità di potere di acquisto

Numero indice Regioni dell’Unione Europea Euro UE15=100 Inner London 51392 242 Région Bruxelles-capitale/Brüssels hoofdstad gewest 46179 217 Luxembourg 39500 186 Hamburg 38850 183 Île de France 32801 154 Oberbayern 32149 151 Wien 31951 150 Darmstadt 31218 147 Utrecht 31088 146 Bremen 30197 142 Uusimaa (suuralue) 29663 140 Åland 29340 138 Lombardia 28959 136 Trentino-Alto Adige 28849 136 Noord-Holland 28363 133 Stockholm 28330 133 Stuttgart 27985 132 Emilia-Romagna 27970 132 Berkshire, Bucks and Oxfordshire 27846 131 Valle d'Aosta 27479 129 Salzburg 26963 127 Groningen 26699 126 Mittelfranken 26306 124 Antwerpen 26276 124 Karlsruhe 26030 122 North Eastern Scotland 26026 122 Southern and Eastern 25964 122 Veneto 25788 121 Piemonte 25661 121 Düsseldorf 25601 120

Un confronto con altre regioni europee a tradizione industriale mostra un apprezzabile vantaggio del Piemonte e delle altre regioni italiane più sviluppate nella capacità di generare prosperità per i propri residenti. Le determinanti di tali performance sono essenzialmente due: il livello di produttività per occupato, e il costo della vita. Le regioni italiane presentano un livello dei prezzi correnti sensibilmente più basso di quello delle altre regioni europee più sviluppate, e ciò amplifica un vantaggio che in termini puramente monetari risulterebbe assai più contenuto. D’altro canto, il Piemonte risulta ai primi posti tra le regioni italiane in termini di valore aggiunto prodotto per occupato, mostrando che i parziali processi di delocalizzazione produttiva non hanno attenuato le pressioni competitive che insistono sulle strutture economiche di questa regione, orientandola ad una riorganizzazione permanente e ad un costante sforzo innovativo.

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Riquadro 1.2. La dotazione infrastrutturale del Piemonte

Un aspetto che merita considerazione nel quadro dei fattori di competitività regionale è rappresentato dagli indici di dotazione infrastrutturale. Un'analisi in merito relativa alla situazione di metà anni '90 rilevava un quadro tutto sommato positivo, con risorse di eccellenza nelle province di Torino e Novara. La stessa fonte, l'Istituto Tagliacarne, ha ora aggiornato l'analisi alla situazione di fine decennio, con sensibili modificazioni metodologiche che non consentono una immediata confrontabilità dei risultati. Tuttavia il giudizio d' insieme non sembra mutato. La regione piemontese si mantiene complessivamente allineata alla media nazionale ove si considerino tutte le funzioni infrastrutturali ad eccezione dei porti. Novara e Torino restano punti di eccellenza, pur se nettamente distanziati dalle province più servite, quali Milano, Genova, Bologna. La provincia di Cuneo risulta invece la più svantaggiata, e ciò appare in stridente contrasto col dinamismo socioeconomico che la contraddistingue, confermando l'esigenza di intervenire onde evitare possibili strozzature alla crescita. Tra le innovazioni introdotte dal Tagliacarne nella elaborazione appena presentata, l'aspetto più stimolante è offerto dall'informazione sulle infrastrutture immateriali: reti finanziarie, connessioni telematiche, servizi culturali e formativi, strutture sanitarie. E proprio in questo ambito di infrastrutture per la crescita post-manifatturiera la provincia di Torino evidenzia situazioni di vantaggio rispetto alla media nazionale, che la pongono in condizioni di affrontare con determinazione le ultime sfide che la transizione post-fordista sta ponendo a questo territorio. Tabella 1.2.1. Indicatori di dotazione infrastrutturale nel 2000 (Italia=100)

Province Totale Strade Ferrovia Aeroporti Reti Reti Banche Strutture Strutture Strutture e Regioni Energia Telecom. Culturali Istruzione Sanitarie

Alessandria 101,8 180,8 214,3 74,6 120,4 64,6 85,0 56,9 58,8 60,3

Asti 93,3 139,0 181,1 86,9 108,6 59,6 90,3 90,2 53,5 36,0 Biella 98,3 75,1 16,0 177,8 189,0 87,1 125,0 62,4 73,0 89,6 Cuneo 64,9 99,0 84,0 41,8 67,5 55,5 73,4 53,7 51,4 61,2 Novara 127,1 168,4 210,2 160,0 137,8 97,3 124,4 70,6 96,4 91,5 Torino 114,5 97,3 72,5 79,2 112,5 153,4 162,5 129,3 121,4 116,9

Verbania 71,5 77,5 98,0 71,0 79,5 44,2 74,2 87,5 35,7 79,1 Vercelli 91,1 208,5 100,3 134,3 89,8 59,4 78,3 54,6 65,8 31,7

PIEMONTE 97,8 119,9 108,4 83,9 105,4 98,5 116,2 88,8 83,1 83,4

LOMBARDIA 132,6 82,2 84,3 189,6 165,4 177,1 143,1 100,7 117,7 154,4 VENETO 108,7 105,0 84,2 90,0 147,6 104,9 127,4 108,7 104,6 120,8

TOSCANA 114,7 107,8 137,2 97,3 97,7 114,4 128,6 178,7 90,0 88,3 PUGLIA 79,1 79,4 110,1 43,6 80,0 68,2 64,0 48,7 97,1 107,2 SICILIA 76,3 87,4 64,7 81,7 65,9 72,1 63,2 47,6 97,7 89,3

Fonte: Istituto Tagliacarne 2001

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Tabella 2 Vantaggi e svantaggi dell’economia piemontese in termini di struttura e performance.

Vantaggi e svantaggi di struttura Vantaggi:

Settori a bassa produttività, Settori ad alta produttività, sottorappresentati: sovrarappresentati: Agricoltura Energia Pelli e cuoio Istruzione Costruzioni Alberghi e ristoranti Servizi domestici

Nel complesso, vantaggio di struttura pari al 3,0% Svantaggi:

Settori a bassa produttività, Settori ad alta produttività, sovrarappresentati: sottorappresentati: Prodotti in metallo Chimica Finanza

Vantaggi e svantaggi di performance Settori in vantaggio Settori in svantaggio di produttività: di produttività:

Trasporti e comunicazioni (++) Alberghi e ristoranti (- -) Alimentari e bevande (++) Finanza (-) Commercio (++) Energia (-) Agricoltura (+) Varie manifatturiere (+) Tessile e abbigliamento (+) Prodotti in metallo (+) Macchine e mezzi di trasp. (+) Cartario-editoriale (+) Costruzioni (+)

Nel complesso, vantaggio di performance pari al 3,8%

Nel complesso, vantaggio complessivo pari al 6,8% Nota esplicativa. Il Piemonte è la terza regione italiana per produttività dal lavoro (cioè per valore aggiunto prodotto per ora lavorata). Questa tabella evidenzia le radici di tale vantaggio, che vede il Piemonte distanziarsi in positivo dalla media nazionale per quasi sette punti percentuali. Esso può dipendere dal fatto che il Piemonte si è specializzato sui settori “buoni”, quelli che anche a livello nazionale presentano una produttività del lavoro maggiore; o può dipendere dal fatto che – all’interno di ciascun settore di attività, o di molti di essi – la produttività del lavoro nelle imprese piemontesi è superiore alla produttività riscontrabile nella stessa attività a livello nazionale. Di fatto, entrambi i versanti contribuiscono al vantaggio piemontese, con un effetto leggermente più accentuato per il secondo di essi: entro la maggior parte dei settori, anche in quelli “tradizionali” caratterizzati in genere da minor valore aggiunto per addetto, il Piemonte riesce a spuntare risultati migliori della media nazionale. Merita ricordare che anche in questo fenomeno può esistere una componente di selettività: le imprese piemontesi delocalizzano le funzioni produttive esecutive e trattengono quelle più qualificanti, che danno più valore per unità di lavoro. Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat per determinare la posizione competitiva dell’economia piemontese in termini di produttività per unità di lavoro. Le informazioni di contabilità regionale consentono di specificare meglio le ragioni di questo vantaggio nei confronti delle altre regioni italiane (dove peraltro una parte notevole del divario di reddito per abitante è spiegato dai differenziali nei tassi di occupazione). Il Piemonte risulta favorito in termini di produttività rispetto alla media nazionale sia perché evidenzia una minor presenza dei settori a basso valore aggiunto per addetto (come effetto di un processo selettivo pluridecennale) sia perché in molti settori (anche in alcuni

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"tradizionali") il prodotto per addetto presenta uno scostamento positivo rispetto alla media delle altre regioni (Tabella 2). Una configurazione di questo genere per un verso si presenta come un'opportunità nell'affrontare una fase di prolungata recessione demografica, che potrebbe invece dimostrarsi assai penosa per regioni tuttora caratterizzate da uno sviluppo di tipo estensivo. Per altro verso, un ragionamento di benchmarking che raffronti il quadro piemontese alle 28 regioni europee che ci precedono nella graduatoria di prosperità evidenzia come il divario maggiore, su cui regge la miglior performance delle regioni leader, non sta in differenze di ordine demografico o nei tassi di attività o di disoccupazione (che pure esistono), quanto in un divario di produttività3. Il fatto di concentrare la propria attenzione su questo aspetto - con le naturali conseguenze sul piano della selezione delle specializzazioni, delle politiche di differenziazione e di immagine dei prodotti, dell'innovazione tecnologica e organizzativa, della qualificazione del personale, della ricerca - si presenta dunque per il Piemonte come un palese suggerimento scaturito dalle esperienze delle regioni di punta dell'UE. Sulla base degli ultimi indicatori di confronto al momento disponibili, il Piemonte conferma il suo buon piazzamento tra le regioni europee in vario modo ad esso assimilabili per quanto concerne l’impegno nelle attività di ricerca tecnologica. In particolare nel campo della ricerca svolta dalle imprese (Tabella 3) è l’unica regione italiana che si avvicini alle regioni forti d’Europa, con un orientamento che appare in grado di fornire risultati operativi più tangibili sul piano della competitività (anche se il minor sviluppo della ricerca pubblica e della ricerca di base potrebbe avere effetti penalizzanti nel lungo termine). Tabella 3 Percentuale delle spese in Ricerca e Sviluppo sul PIL regionale

Regioni europee Totale1 Spese delle

imprese2 Région Wallonne 1.15 Vlaams Gewest 1.44 Baden-Württemberg 3.76 2.90 Bayern 2.72 2.08 Niedersachsen 1.74 1.06 Nordrhein-Westfalen 1.69 1.06 Attiki 0.68 0.23 Cataluña 0.93 0.69 Nord - Pas-de-Calais 0.69 0.36 Rhône-Alpes 2.36 1.54 Provence-Alpes-Côte d'Azur 2.11 1.23 Lombardia 1.18 0.84 Piemonte 1.67 1.39 Veneto 0.50 0.22 Emilia-Romagna 0.83 0.48 West-Nederland 2.02 0.80 Stockholm 3.88 North West (incluso Merseyside) 1.75 1.41 East Midlands 1.72 1.39 West Midlands 1.44 1.01 1 1996-97 2 1997-98

Fonte: Eurostat In buona misura, l’eccellenza tecnologica del Piemonte nel contesto italiano rappresenta il “lascito” di una presenza pluridecennale di grandi imprese di rilevanza nazionale o multinazionale. Uno dei punti chiave dell’attuale evoluzione economica è rappresentato dalla capacità di mantenere e sviluppare questo “plus” in presenza di una riorganizzazione – spesso traumatica – delle maggiori imprese regionali. Nel corso degli anni ’90 la riorganizzazione Olivetti ha contribuito in modo evidente a deprimere alcuni classici indicatori di performance tecnologica regionale, come l’export piemontese di prodotti classificabili come “science

3 Cfr.: Ires, Scenari per il Piemonte del Duemila. Primo rapporto triennale, 2001, cap. 14

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based”; tuttavia il potenziale di competenze dell’area canavese non sembra essere andato disperso, riposizionandosi invece in una miriade di iniziative nei settori “new economy”, oltreché nell’ambito della Telecom. Le attuali vicissitudini Fiat ripropongono la medesima questione: come ridefinire e aggiornare due caratteristiche distintive del Piemonte – la presenza di grande impresa e la qualità del suo potenziale tecnologico – che rappresentano un importante atout competitivo per l’intera economia nazionale. Nello scenario che apriva il DPEFR piemontese 20014 l’elemento centrale di diagnosi era costituito dalla percezione che – pur in un quadro di persistente turbolenza – le capacità reattive del sistema Piemonte avevano preso abbrivio e cominciavano a produrre risultati. Questo giudizio appare complessivamente confermato dalle evenienze più recenti anche se la crisi del settore automobilistico apre nuove sfide e sollecita l’economia regionale in direzione di una struttura più diversificata e pluralistica, sviluppando e accelerando un’evoluzione già ampiamente impostata nel passato decennio. In questo quadro, le turbolenze non inaugurate ma evidenziate e rese critiche dall’evoluzione post 11 settembre 2001richiedono però un maggiore impegno per il controllo sulla transizione, onde evitare che una trasformazione anche fisiologica, ma troppo brusca, possa intaccare alcune prerogative strategiche del sistema competitivo regionale. L’evoluzione dell’area canavese negli ultimi anni ’90 ci mostra la capacità delle competenze distintive possedute dal territorio piemontese di riposizionarsi e aggiornarsi anche in concomitanza di una intensa riorganizzazione dell’economia locale: tuttavia, un decorso favorevole non può essere dato per scontato, ma deve essere sostenuto e agevolato da strategie attente da parte dei maggiori attori economici e sociali regionali. Lo scenario 2001 prevedeva due percorsi alternativi, entrambi suscettibili di condurre il Piemonte ad una più matura configurazione di “economia della conoscenza”: una crescita polarizzata (denominata allora come un “volo dei cento fiori”) affidata sostanzialmente all’iniziativa di singoli individui, o singole imprese, o singole comunità locali, assegnando il ruolo più rilevante alla liberazione di energie creative dei soggetti; e una crescita integrata (definita come un “volo in formazione”) sorretta da una maggiore capacità di regolazione – o autoregolazione – da parte della società locale, delle sue istituzioni, dei suoi dispositivi di governance. L’evoluzione dell’ultimo anno sembra far pendere la bilancia verso un sentiero di quest’ultimo tipo, richiedendo maggiori sforzi collettivi per il monitoraggio della transizione e l’aggiornamento delle strategie di qualificazione dello sviluppo regionale.

4 Basato sulla relazione triennale di scenario presentata nell’Ottobre 2001: cfr. Ires, Scenari per il Piemonte del Duemila. Primo Rapporto triennale, Torino, 2001.

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2. Tendenze di breve periodo5 Il 2002 è iniziato all’insegna di una quadro congiunturale notevolmente appesantito, ma con aspettative di una ripresa a breve termine che si sarebbe consolidata nel corso dell’anno. Gli andamenti rilevati finora ed il clima economico prevalente denotano invece una situazione ancora difficile. Infatti nel primo trimestre del 2002 il PIL americano cresceva ad un tasso del 5,0%, effetto di un rimbalzo dovuto alla ricostituzione delle scorte, ma di entità tale da avvallare auspici favorevoli, tanto che il clima di fiducia dei consumatori negli Stati Uniti, ma anche in Europa, permaneva improntato in chiave ottimistica, nell’attesa di una ripresa che il consenso degli analisti collocava nel terzo trimestre dell’anno. Le indicazioni successive, tuttavia, mettono in luce una situazione meno rosea circa le prospettive della ripresa, con un peggioramento del clima di fiducia dei consumatori ed una notevole cautela per quanto attiene le prospettive di mercato e di investimento delle imprese. Il clima di fiducia è avversato non solo dall’andamento dell’economia reale e dal ritardo con cui la ripresa sembra manifestarsi rispetto alle attese, ma anche dal quadro critico per la politica internazionale e dalle conseguenze dell’evidenziarsi oltreoceano di una diffusa situazione di illegalità nei bilanci societari che mette in crisi quei comportamenti economici delle famiglie nei confronti del mondo delle imprese che erano alla base della esuberante crescita degli anni novanta. Mentre la revisione dei dati trimestrali del PIL statunitense ha ridisegnato, in peggio, il quadro che ha connotato l’economia americana nel 2001, - rilevando tre trimestri successivi di contrazione e dunque una vera e propria recessione, anche in senso tecnico più stretto - per il secondo trimestre dell’anno in corso la crescita è apparsa notevolmente contenuta (+1,1%) rispetto alle attese (+2,2%). Ha tenuto la domanda per consumi, anche se con una crescita ridottasi all’1,9% per le famiglie ed all’1,8% per i consumi pubblici. Sono risultati in calo gli investimenti non residenziali mentre sono rimasti più vivaci quelli residenziali, alimentati dai bassi tassi di interesse: l’apprezzamento degli immobili rappresenta un sostegno alla ricchezza delle famiglie, altrimenti pesantemente erosa dalla discesa delle quotazioni azionarie, ma vi è il rischio che anche in questo caso si generi una bolla speculativa. In Europa la crescita, ha segnato una lieve ripresa -in termini congiunturali- nel primo trimestre del 2002, dopo la contrazione del quarto trimestre del 2001, con la disoccupazione in riduzione. Nel secondo trimestre la ripresa si è rafforzata, ma traducendosi in un aumento del PIL ancora contenuto, grazie ad un certo miglioramento dei consumi e delle esportazioni, mentre gli investimenti hanno persistito nella tendenza alla contrazione. La perdurante stagnazione dell’economia europea ha condotto nell’estate ad un rialzo dei tassi di disoccupazione. Le previsioni per il terzo e quarto trimestre dell’anno per l’area Euro riflettono aspettative di una crescita ancora lenta, che facilmente si collocherà al di sotto dell’1% a consuntivo, viste le incertezze che caratterizzano in questi mesi l’evoluzione dell’economia tedesca. I rischi che non possono essere esclusi nello scenario dei prossimi mesi sono dovuti all’eventualità che i consumi negli Stati Uniti possano cedere, anche in considerazione dell’esaurimento dei margini per una politica monetaria espansiva, dell’andamento stagnante dell’occupazione oltre che per gli effetti di possibili aumenti del prezzo del petrolio. In generale molto dipenderà anche dal clima di incertezza circa l’evolversi della situazione politica internazionale. Nel medio periodo l’evoluzione dell’economia internazionale sarà ancora strettamente dipendente da quella americana e ciò comporterà il persistere, e forse l’accentuazione, degli squilibri che già erano evidenti al culmine della precedente fase espansiva, con un rilevante deficit estero e pubblico

5 Questo paragrafo si basa sul Capitolo 1 della Relazione annuale sulla situazione economica, sociale e territoriale del Piemonte del 2001. Cfr: Ires, Piemonte Economico Sociale 2001, Giugno 2002, Torino.

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statunitense da finanziare. Inoltre possono preoccupare eventuali tensioni protezionistiche, che già si stanno manifestando in alcuni casi settoriali, nonché la persistenza di situazioni di fragilità finanziaria di numerosi paesi in via di sviluppo, con l’estendersi della crisi nell’area latino americana ed i rischi di contagio che ne derivano. In Italia la situazione di incertezza si è prolungata nel 2002, con i principali indicatori congiunturali che presentano una situazione ancora critica: prosegue infatti il calo della produzione industriale, che nei primi nove mesi dell’anno ha fatto registrare una caduta del 2,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e non si riprendono le esportazioni, mentre anche il clima di fiducia dei consumatori e delle imprese, che era rimasto inizialmente favorevole, accusa un peggioramento nei mesi più recenti. I primi tre trimestri del 2002 sono stati quindi caratterizzati da una sostanziale stagnazione dell’economia italiana, la cui crescita, rispettivamente +0,1% e 0,2% in termini congiunturali nei primi due e solo del +0,3% nel terzo, è inferiore a quella europea. La domanda di consumi è stata debole, mentre gli investimenti hanno denotato una dinamica recessiva (-2,4% nel primo e –0,6% nel secondo), con una contrazione più accentuata nella componente dei macchinari e delle attrezzature -e, meno, nei mezzi di trasporto - ed una stazionarietà per quelli in costruzione. Le esportazioni, penalizzate dalla rivalutazione dell’Euro e dalla debolezza del ciclo in Europa, si sono contratte del 2,1 nel primo trimestre (in termini reali): sono successivamente aumentate del 2,9%, anche se la loro dinamica rimane al di sotto dei livelli raggiunti nell’analogo periodo dell’anno passato. Gli obiettivi programmatici, sebbene ridimensionati nel DPEF di luglio 2002 rispetto a quanto indicato nei precedenti documenti di programmazione economico finanziaria, collocavano la crescita per l’anno in corso all’1,3%. Anche questo risultato appare suscettibile di ridimensionamento dal momento che il ritardo nella ripresa internazionale -se non persino l’eventualità di una ulteriore recessione- giustifica le previsioni dei principali centri studi situate ben al di sotto di tale valore, e prossime ad una crescita zero, nonchè le valutazioni del Governo che indicano una dinamica del PIL dello 0,6% per il 2002.

LA CONGIUNTURA NEI PRIMI MESI DEL 2002: L’ECONOMIA PIEMONTESE

Dopo un 2001 nel quale la crescita dell’economia piemontese è ritornata ad essere inferiore a quella nazionale, soprattutto per il meno favorevole andamento in regione dell’attività manifatturiera, i primi mesi del 2002 indicano il persistere di una situazione critica che non accenna a migliorare alla luce dei diversi indicatori disponibili. La produzione industriale, dopo essere diminuita dell’1,5% nel 2001, denotava un andamento ancora sfavorevole nel primo trimestre del 2002, con una contrazione tendenziale del 7,2%, – secondo le stime Unioncamere - a carico prevalentemente delle imprese maggiori e di quelle più piccole, che registrano nella fascia dei 10-19 addetti una contrazione superiore al 10%: la dinamica recessiva della produzione industriale piemontese, di entità superiore a quella dell’industria nazionale nel primo trimestre, si estende a quasi tutti i settori dell’economia regionale con punte di particolare accentuazione nell’ambito dei mezzi di trasporto (-16,2%), - che rappresenta un’area di particolare criticità per le difficoltà di mercato e finanziarie della Fiat Auto, che potrebbero trasferirsi negativamente all’insieme della filiera automobilistica - ma anche nella meccanica e nella gomma (-9,1%), negli apparecchi elettrici ed elettronici e nel tessile (-7,9%). Il settore alimentare e quello della costruzione di apparecchi meccanici manifestano al contrario una pur debole dinamica espansiva. L’andamento dell’industria nel secondo trimestre dell’anno sembra delineare un quadro ancora persistentemente negativo, nonostante le attese degli imprenditori piemontesi, rilevate dall’indagine Federpiemonte, si fossero inizialmente orientate ad un maggior ottimismo: non a caso il persistere della debolezza della domanda sperimentata nel corso della primavera ha nuovamente fatto prevalere un peggioramento delle attese per il terzo trimestre dell’anno confermate nelle recenti indagini riferite al quarto trimestre.

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Anche la situazione della domanda estera appare ancora critica. Nei primi sei mesi le esportazioni del Piemonte sono diminuite in valore del 6,4 % rispetto allo stesso trimestre del 2001, contrazione di entità lievemente superiore a quella rilevata a livello nazionale (-5,2%), da attribuire soprattutto alla riduzione delle vendite dei prodotti del tessile abbigliamento e di quelli metalmeccanici, in particolare dei mezzi di trasporto. In effetti, per quanto le previsioni sull’andamento della domanda nazionale di autovetture stiano diventando meno drammatiche, anche per il sostegno anticiclico degli eco-incentivi predisposti dal governo nazionale, occorre rilevare come, nei primi sette mesi dell’anno, le vendite delle case nazionali siano diminuite in Italia di oltre il 20%, con una sensibile perdita di quote di mercato, analogamente con quanto è avvenuto nel mercato europeo . In corrispondenza con una fase di prospettive più incerte dell’ economia regionale, l’occupazione nel corso del 2001 ha rallentato la sua dinamica espansiva , che era stata particolarmente elevata nei due anni precedenti. Nell’insieme delle prime tre rilevazioni del 2002 emerge una sostanziale stagnazione rispetto all’anno precedente (+0,1%), con una diminuzione tendenziale a gennaio seguita da una crescita ad aprile e luglio, che si confronta con una tendenza nazionale più nettamente espansiva. Il tasso di disoccupazione ritorna a luglio sui livelli di un anno prima, collocandosi al 4,7%, dopo un certo aumento nelle rilevazioni precedenti.

Le prospettive di crescita nel periodo 2002-2005

Le previsioni a scala regionale effettuate dal centro di ricerca Prometeia a ottobre 2002 (Tabelle A e B) aggiornano le precedenti, formulate a luglio. I mesi estivi hanno messo in evidenza una situazione congiunturale ancora difficile per l’economia italiana che ha costretto a rivedere al ribasso le stime di crescita per il 2002, che assegnano all’Italia una crescita inferiore all’economia europea. La debole dinamica economica del 2001 si riflette anche in una revisione sostanziale delle stime di crescita per il 2003 e, meno rilevante, per gli anni successivi.

Si assume, comunque, un rafforzamento del ciclo economico internazionale nel 2003, escludendo i rischi, sia di ordine economico che politico, che potrebbero procrastinare la fase di ristagno o persino condurre ad una recessione.

Nel periodo di previsione 2002-2005, dovrebbe manifestarsi una ripresa dell’economia internazionale, e dunque della domanda estera, che, insieme ad una ripresa del clima di fiducia e della domanda interna per consumi, consentirebbero di conseguire un tasso di crescita dell’economia italiana all’1,8%, un valore comunque inferiore a quanto conseguito fra il 1993 ed il 2001, il periodo successivo alla fase recessiva dell’inizio anni novanta e contrassegnato dal processo di aggiustamento finalizzato all’ingresso nella moneta unica che ha condizionato considerevolmente le possibilità di crescita.

Il quadro previsivo sconta una ripresa delle esportazioni (+4,8% annuo): la loro dinamica si collocherebbe a livelli superiori a quelli che hanno caratterizzato il recente passato, anche se inferiori alla media del periodo 1993-2001, che include il considerevole sviluppo del commercio estero italiano a seguito della svalutazione della lira. Anche la domanda interna risulterebbe in ripresa, ma finirebbe per collocarsi su valori non dissimili da quelli degli anni scorsi: i consumi delle famiglie infatti, dopo una sostanziale stagnazione nel 2002 (-0,1%, il dato peggiore dal 1993) crescerebbero in seguito solo dell’1,1% all’anno, in seguito ad una moderata crescita del reddito disponibile delle famiglie, in seguito alla riduzione della pressione tributaria ed la crescita sostenuta dell’occupazione, in aumento dell’+1,4% all’anno in termini di unità di lavoro. Gli investimenti, per quanto sostenuti dalle agevolazioni fiscali, subiranno nel 2002 una considerevole contrazione: la ripresa della domanda dovrebbe assicurare un loro recupero negli anni successivi, anche se la crescita annua fra il 2002 ed il 2005 si collocherebbe al 2,3%, un valore inferiore alla dinamica 1993-2001. Sotto il profilo settoriale proseguirebbero i processi di

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terziarizzazione con una evoluzione del valore aggiunto dei servizi superiore rispetto a quella dell’industria (rispettivamente +2,1% e +1,5%). La crescita dell’economia risulterebbe piuttosto differenziata tra le regioni, disegnando per certi versi una situazione di maggior riequilibrio fra le circoscrizioni, con una più sostenuta crescita di quella Centrale, ma anche del Mezzogiorno, ed una dinamica meno accentuata nel Nord, in particolare nel Nord-ovest. Si confermerebbe la tendenza affermatasi nel periodo più recente ad un allineamento della crescita delle regioni meridionali rispetto al resto d’Italia, che caratterizzerebbe anche il periodo di previsione, grazie al contributo di una dinamica più accentuata degli investimenti, favoriti dalle politiche pubbliche di aiuto all’investimento privato ed all’impulso ad una maggior infrastrutturazione del territorio meridionale. In questo quadro l’economia piemontese, con un tasso medio annuo di crescita di solo l’1,1%, risulterebbe connotarsi per una crescita ancor più contenuta rispetto al Nord-ovest, evidenziando uno scostamento negativo nei confronti dell’economia italiana che contrasta con il sostanziale allineamento fra andamento regionale e nazionale che era prevalso negli anni scorsi. Il divario di crescita si ripropone anche a livello di PIL per abitante, anche se, grazie alla minor dinamica della popolazione piemontese rispetto a quella italiana, esso risulta un poco meno ampio che per il Pil complessivo: tuttavia, metterebbe in luce, a differenza del passato, un arretramento relativo della regione nei confronti della media nazionale. La componente più dinamica dell’economia piemontese sarebbe costituita dalle esportazioni verso l’estero che, con una crescita del 6,3%, supererebbero la performance nazionale ed anche quella della regione negli anni scorsi. L’evoluzione della domanda interna presenterebbe, invece, un andamento meno sostenuto rispetto al passato per quanto riguarda i consumi delle famiglie, in crescita dell’1,3% all’anno, ma più sostenuto per i consumi pubblici (+1,1%), mentre la ripresa degli investimenti nella componente dei macchinari ed attrezzature (+3,3% annuo), non compenserebbe la performance negativa delle costruzioni, dando luogo ad una dinamica complessiva degli investimenti relativamente moderata. Le previsioni scontano una dinamica del valore aggiunto piemontese decisamente più sostenuta nell’industria in senso stretto rispetto al terziario (+1,9% annuo contro +1,0%), assegnando quindi un ruolo consistente alla ripresa dell’apparato manifatturiero regionale. Infine la crescita dell’occupazione regionale risulterebbe considerevole e superiore rispetto agli anni passati, sebbene inferiore al dato nazionale (+1,0% contro +1,4%). Il tasso di disoccupazione del Piemonte subirebbe una contrazione di 1 punto percentuale nel periodo collocandosi nel 2005 al di sotto del 4%.

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Tab A - Andamento del Pil nelle regioni italiane

1993 2001 2005 1993-2001 2002-2005 1993 2001 2005 1993-2001 2002-2005Piemonte 75.721.5 88.850.2 92.950.6 2.0 1.1 17.6 20.4 21.5 -0.6 1.0Valle d'Aosta 2.642.5 2.811.8 3.035.1 0.8 1.9 22.4 23.1 24.6 0.0 1.4Lombardia 177.380.9 212.062.2 224.451.9 2.3 1.4 19.9 22.9 24.0 -0.7 0.9Trentino AA 18.421.5 21.509.0 22.990.7 2.0 1.7 20.5 22.6 23.6 1.1 0.9Veneto 77.541.5 95.853.4 103.214.1 2.7 1.9 17.6 20.8 22.1 1.3 1.3Friuli VG 20.284.9 23.586.3 24.802.0 1.9 1.3 17.0 19.7 20.7 0.5 1.1Liguria 27.081.3 30.507.3 32.916.2 1.5 1.9 16.3 18.6 20.6 0.4 2.2Emilia Romagna 74.892.0 90.564.1 96.006.2 2.4 1.5 19.1 22.3 23.4 0.7 1.0Toscana 59.441.7 70.314.0 75.434.4 2.1 1.8 16.8 19.4 21.0 0.6 1.5Umbria 12.408.3 14.562.1 15.526.4 2.0 1.6 15.2 17.0 18.1 1.1 1.2Marche 21.928.1 26.943.6 29.633.7 2.6 2.4 15.3 18.0 19.7 0.4 1.9Lazio 90.807.5 101.501.4 112.953.3 1.4 2.7 17.6 19.0 20.8 0.6 2.2Abruzzo 16.721.2 19.318.6 21.668.1 1.8 2.9 13.3 14.8 16.7 -0.2 2.6Molise 3.959.8 4.651.7 4.956.3 2.0 1.6 11.9 13.8 15.2 0.4 1.6Campania 57.831.4 66.279.2 72.177.2 1.7 2.2 10.2 11.2 12.3 -0.8 1.9Puglia 41.505.8 47.741.8 51.279.7 1.8 1.8 10.2 11.6 12.4 0.1 1.6Basilicata 6.131.5 7.885.3 8.596.9 3.2 2.2 10.0 12.9 14.3 0.9 2.3Calabria 19.661.2 22.531.3 24.323.3 1.7 1.9 9.5 10.7 11.9 1.7 2.0Sicilia 53.098.1 60.733.6 66.625.6 1.7 2.3 10.6 11.7 13.1 0.6 2.3Sardegna 19.999.7 22.702.6 24.296.8 1.6 1.7 12.1 13.4 14.7 1.4 1.7NORDOVEST 282.826.2 334.231.6 353.353.7 2.1 1.4 18.9 21.7 23.0 -0.5 1.1NORDEST 191.140.0 231.512.8 247.013.0 2.4 1.6 18.3 21.4 22.6 1.0 1.1CENTRO 184.585.6 213.321.1 233.547.8 1.8 2.3 16.8 18.8 20.5 0.6 1.9MEZZOGIORNO 218.908.6 251.844.1 273.923.9 1.8 2.1 10.6 11.8 13.1 0.2 2.0ITALIA 877.460.4 1.030.909.6 1.107.838.4 2.0 1.8 15.4 17.5 18.9 0.2 1.5

Fonte: elaborazioni su dati Istat e Prometeia (previsioni -ottobre 2002)

PIL PRO CAPITEPRODOTTO INTERNO LORDO

Valori assoluti (milioni di euro prezzi 1995) Variazioni % medie annue

Valori assoluti (migliaia di euro prezzi 1995)

Variazioni % medie annue

Tab. B - Previsioni per l'economia piemontese e italiana (Prometeia - Ottobre 2002)

Valori assoluti (milioni di euro a prezzi 1995)

Variazioni % medie

annue

2001 2002 2003 2004 2005 1993-2001

2002-2005

PIEMONTE Pil 88850,2 88618,7 89267,2 91102,6 92950,6 2,0 1,1Esportazioni nette -6641,8 -6147,8 -5732,2 -5640,2 -5436,1 4,7 -4,9 Consumi famiglie 50329,2 50154,6 50786,9 51893,5 53023,0 1,8 1,3Consumi collettivi 12375,5 12616,2 12739,4 12835,3 12927,8 0,3 1,1Investimenti fissi lordi 19641,8 18937,7 19090,8 19763,9 20557,3 3,2 1,1Costruzioni 6977,5 6632,9 6264,1 6067,6 6149,3 1,3 -3,1Macchinari ed attrezzature e mezzi di trasporto 12664,2 12304,8 12826,7 13696,3 14408,0 4,3 3,3Variaz. Scorte e ogg. Valore -138,1 762,5 917,8 969,6 1006,4 Valore aggiunto 83683,3 83505,0 84116,3 85845,2 87586,4 2,1 1,1Agricoltura 1993,7 2123,0 2224,1 2297,1 2358,4 0,4 4,3Industria in senso stretto 25048,3 25140,2 25591,5 26318,3 26977,4 2,2 1,9Industria costruzioni 4077,9 3938,6 3683,6 3493,5 3492,9 1,0 -3,8Servizi 52563,4 52303,2 52617,2 53736,3 54757,8 2,1 1,0 Esportazioni verso l'estero 27752,6 28192,1 29787,3 32636,2 35484,7 4,3 6,3Importazioni verso l'estero 19270,8 19553,9 20672,7 22381,2 24135,7 3,6 5,8 Unità di lavoro totali 1938,8 1953,8 1971,0 1993,1 2019,1 0,7 1,0Agricoltura 78,2 76,6 77,0 77,4 77,6 -3,4 -0,2Industria in senso stretto 537,4 536,4 535,1 535,8 535,9 0,0 -0,1Costruzioni 121,9 123,4 126,0 129,0 132,4 0,0 2,1Servizi 1201,4 1217,4 1232,9 1251,0 1273,2 1,5 1,5 Tasso di disoccupazione 4,9 4,5 4,5 4,2 3,8 -6,3

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ITALIA Pil 1030909,6 1036533,2 1052487,2 1081185,6 1107838,4 2,0 1,8Esportazioni nette -9205,4 -5280,2 -1785,0 -2650,0 -2534,2 -7,9 -27,6 Consumi famiglie 627521,0 627135,2 636878,5 652631,5 668756,9 2,2 1,6Consumi collettivi 181320,8 184846,9 186653,0 188058,3 189413,7 0,5 1,1Investimenti fissi lordi 214464,4 210352,8 216349,2 226338,2 235138,9 3,8 2,3Costruzioni 87899,0 87698,9 88174,7 89215,6 90696,1 0,9 0,8Macchinari ed attrezzature e mezzi di rasporto 126565,4 122653,9 128174,6 137122,6 144442,8 6,2 3,4Variaz. Scorte e ogg. Valore -1602,0 8918,2 10821,5 11507,5 11994,8 Valore aggiunto 970033,3 975787,5 990806,5 1017823,0 1042913,8 2,0 1,8Agricoltura 29806,7 29687,5 29984,3 30344,1 30799,3 1,0 0,8Industria in senso stretto 230637,9 230385,4 233610,8 239451,1 244719,0 2,1 1,5Industria costruzioni 48979,0 49628,3 49393,2 48932,4 49083,1 0,8 0,1Servizi 660609,7 666086,3 677818,1 699095,4 718312,4 2,1 2,1 Esportazioni verso l'estero 243766,3 243417,0 253325,4 273861,1 294251,4 5,9 4,8Importazioni verso l'estero 234059,6 236435,7 249249,2 269359,9 290103,8 6,7 5,5 Unità di lavoro totali 23860,9 24132,4 24444,9 24815,4 25238,8 0,6 1,4Agricoltura 1359,3 1324,8 1327,5 1330,2 1332,9 -3,2 -0,5Industria in senso stretto 5230,7 5235,5 5235,0 5251,1 5260,3 0,1 0,1Costruzioni 1634,1 1659,8 1699,7 1743,8 1792,7 0,3 2,3Servizi 15636,8 15912,2 16182,7 16490,2 16853,0 1,2 1,9 Tasso di disoccupazione 9,5 9,2 9,2 8,9 8,4 Fonte: elaborazioni su dat Istat e Prometeia (previsioni - ottobre 2002)

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Riquadro 2.1. I problemi delle filiera automobilistica In una cornice che ha visto il mercato automobilistico ancora in espansione la perdita progressiva di quote di mercato da parte della Fiat ha provocato una robusta contrazione della produzione nazionale, ed un peggioramento della situazione finanziaria che ha fatto precipitare in rosso il bilancio del Gruppo. Nel 2001 in Europa ed in Italia il mercato automobilistico ha smentito le previsioni negative che erano state formulate alla luce del generale rallentamento dell’economia, crescendo per l’ottavo anno. In questo contesto, Fiat Auto ha venduto il 10,8% autovetture e veicoli commerciali in meno rispetto al 2000; con le società collegate, il cui andamento è stato penalizzato dalla forte crisi economica in Turchia, il totale delle unità vendute ha registrato una riduzione ancora superiore. La difficoltà a misurarsi con una concorrenza sempre più aggressiva sul mercato nazionale e su quello mondiale ed europeo, con perdite di quote di mercato su entrambi, si è tradotta in una robusta contrazione dei livelli produttivi nazionali, che già erano risultati depressi nell’ultimo triennio. I deludenti risultati economici della Fiat nel 2001 vanno quasi tutti messi sul conto dell’auto mentre nel complesso è risultata meno pesante la situazione degli altri settori del gruppo, con performance peggiori per le attività legate al mercato automobilistico ed una situazione migliore per le nuove realtà dei servizio e nei veicoli industriali, che pure hanno risentito dell’andamento sfavorevole della congiuntura. La crisi del mercato automobilistico continua nell’anno in corso. Con una caduta delle vendite a livello europeo del 4% e dell’11% in Italia nei primi 5 mesi, Fiat perde il 22,6% con un ulteriore perdite della quota di mercato in quasi tutti i paesi. I recenti eventi ripropongono una ipotesi drastica ristrutturazione delle attività automobilistiche. Se il minor peso assunto nel corso degli ultimi anni della filiera autoveicolistica nell’economia regionale e della provincia di Torino e i processi di internazionalizzazione e qualificazione della componentistica possono rendere meno forte un eventuale impatto negativo, l’eventuale indebolimento delle relazioni di tipo distrettuale nella filiera, o il restringimento o la scomparsa di funzioni di rango superiore e direzionali, possono però originare effetti cumulativi non favorevoli nel lungo periodo. Ciò richiederà misure per accompagnare il riposizionamento delle risorse umane, tecnologiche organizzative che ne potranno essere coinvolte verso nuove e qualificate configurazioni produttive.Più precise indicazioni in merito sono contenute nella seconda parte del DPEFR.

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3. La situazione istituzionale

Nel prossimo triennio l’evoluzione istituzionale sarà contrassegnata da due nodi problematici principali, il processo di decentralizzazione conseguente alla riforma del Titolo V della Costituzione e la ridefinizione dell’assetto della finanza decentrata del nostro paese. Ambedue avranno profonde implicazioni sulle politiche regionali Il processo di decentralizzazione. La riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione (Legge Costituzionale n. 3/2001), confermata dal referendum del 7 ottobre 2001, ha aperto una stagione senza precedenti per quanto concerne il processo di decentralizzazione politica nel nostro paese. Essa si salda alle trasformazioni introdotte con la precedente legge costituzionale n. 1/1999, che ha previsto l’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni, ma lascia ancora aperto il problema del completamento della riforma costituzionale in direzione di un modello organico di federalismo. Gli studiosi della materia ritengono che per raggiungerli sia necessaria l’ introduzione di una seconda Camera rappresentativa del sistema delle autonomie in senso lato in luogo del Senato e probabilmente anche la revisione dell’ordinamento della Corte Costituzionale. Così come sarà necessaria una riconsiderazione di tutte le misure del “federalismo amministrativo” conseguenti ai provvedimenti Bassanini, che tanto hanno trasformato la pubblica amministrazione centrale e locale nell’ultimo quinquennio. E’ iniziata una terza fase nel processo di regionalizzazione del nostro paese, dopo le riforme del 1970-1972 e del 1977-78, che fa intravedere la sua trasformazione in un modello federale compiuto? Oppure, siamo di fronte ad un evoluzione complessa di un modello originale di tipo policentrico che dovrebbe mantenere un equilibrio politico istituzionale tra i vari soggetti delle autonomie? Quale l’impatto dei rapporti finanziari delineati dal nuovo articolo 119 della Costituzione e dalla legge delega per la riforma fiscale? Quali saranno gli effetti della decentralizzazione politica sulle grandi politiche pubbliche di welfare? E quali quelli sulle politiche di sviluppo economico e territoriali? Come sarà possibile governare le tensioni tra autonomie locali e Regioni? Per il Piemonte la possibilità di forme di decentralizzazione asimmetrica introdotte dalla riforma costituiscono una chance da perseguire o un’ipotesi da rigettare? Quale il ruolo della Regione nell’innovazione legislativa a partire dalla riforma degli Statuti? Si tratta di questioni cruciali, tra le molte altre che si potrebbero sollevare, in un momento in cui vi è ancora notevole incertezza circa i contenuti della legislazione attuativa, tuttora in via di definizione, in merito al trasferimento delle nuove competenze alle Regioni e gli enti locali, in assenza di disposizioni costituzionali transitorie per il passaggio dal vecchio al nuovo regime. Prime risposte a queste domande potranno essere trovate a livello nazionale attraverso vari provvedimenti attuativi tra i quali un primo disegno di legge attuativo del nuovo Titolo V della Costituzione (ddl n. 1545 c.d. La Loggia) è stato recentemente approvato da parte del Governo, mentre altri- quali la legge di attuazione del nuovo articolo 119 della Costituzione e la revisione del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (d.lgs. 267/2000) 6-. sono allo studio. A livello regionale, si può fare riferimento agli orientamenti sulle politiche istituzionali e settoriali della Regione Piemonte, all’interno delle linee più generali della Conferenza delle Regioni, contenuti nelle successive parti di questo documento. La nostra riflessione si limita invece ad individuare alcune macrotendenze nel processo di decentralizzazione in corso insieme ad alcuni nodi problematici emergenti Già nella precedente edizione del DPEFR abbiamo fatto riferimento ai due principali modelli di evoluzione istituzionale delineati nella analisi di scenario dell’Ires7. In particolare, si riteneva che la crescita dei poteri regionali (modello del “regionalismo forte”) dovesse trovare un equilibrio con un evoluzione istituzionale policentrica, basato, cioè, su Regioni, Province e Comuni (modello del “federalismo a tre punte”), in cui- sempre nel quadro di una forte decentralizzazione politica dal centro alla periferia- ogni livello di governo

6 Una proposta di schema di disegno di legge per l’individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni delle Province delle Città metropolitane e la conseguente revisione della disciplina contenuta nel d.lgs. n. 267/2000 è stata recentemente predisposta da Anci, Upi e UNCEM congiuntamente. 7 Cfr: Ires, Scenari per il Piemonte del Duemila. Primo Rapporto triennale, Ottobre 2001, Torino, Cap. 18.

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dispone di competenze proprie garantite dalla Costituzione e non è subordinato gerarchicamente a quello superiore. Questa interpretazione è desumibile soprattutto dal nuovo articolo 114 della Costituzione che inizia: “La repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane e dalle Regioni”. Ugualmente, l’articolo 117 lascia la parte prevalente della disciplina degli enti locali in capo allo Stato, a differenza di quanto previsto per le Regioni a statuto speciale che hanno potestà legislativa primaria in materia. La nuova formulazione dell’articolo 118 presuppone poi una generale competenza amministrativa per i Comuni, rinviando di fatto alla legislazione ordinaria attuativa la distribuzione effettiva delle competenze. La “pari dignità” dei diversi livelli di governo è stata recentemente riconosciuta dal d.p.c.m. n. 576 del 20 Giugno 2002 che ha recepito l’accordo recante intesa inter-istituzionale fra Governo, Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane al fine di individuare le linee guida per l’attuazione della riforma del titolo V della Costituzione.

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Tabella 6 Stima degli effetti della riforma del Titolo V della Costituzione in termini di trasferimento di risorse dallo Stato alle Regioni nei principali settori di spesa. Valori in milioni di euro al 1999.

Regioni S.O. Istruzione e cultura

Università e ricerca

Edilizia

Assistenza sociale

Igiene e sanità

Trasporti comunicazioni

Agricoltura alimentari

Industria art. comm.

Finanza reg e loc.

Protezione civile

Totale

Personale (numero)

Piemonte 1495 564 223 75 2552 386 49 745 992 120 7201 3768 Lombardia 3114 691 252 248 3266 1232 65 644 1690 280 11482 5594 Veneto 1596 386 121 120 2606 393 146 218 947 93 6626 3829 Liguria 540 223 92 62 1545 501 19 123 519 54 3678 2107 Emilia R. 1145 587 133 133 2515 531 131 160 1009 125 6469 3713 Toscana 1361 763 235 68 2700 268 76 173 970 105 6719 5421 Marche 642 147 47 54 1165 85 21 58 443 72 2734 1216 Umbria 384 140 39 29 780 183 19 80 339 69 2062 1632 Lazio 2475 1177 329 150 3072 1270 370 589 1923 199 11554 8479 Abruzzo 607 125 38 44 1168 176 59 83 367 45 2712 1811 Molise 171 21 11 8 335 18 12 32 128 20 756 820 Campania 3042 766 239 153 5786 1361 52 428 2560 369 14756 6713 Basilicata 376 33 30 23 524 76 25 28 248 47 1410 666 Puglia 1860 253 128 138 3966 854 74 122 1021 62 8478 3870 Calabria 1193 105 71 62 2096 251 48 144 1110 58 5138 2389 Totale RSO 20001 5981 1988 1367 34076 7585 1166 3627 14266 1718 91775 52028 Fonte: ISAE, 2002. Stime basate su una metodologia esposta nel Rapporto trimestrale dell’ISAE del Gennaio 2002, “Le previsioni dell’economia italiana”. I dati di base si basano sulla regionalizzazione della spesa statale predisposta dal Dipartimento della ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’Economia e delle Finanze. In generale, va ricordato che:

a. Per le materie di competenze esclusiva regionale la percentuale di spesa statale da decentrare è stata posta pari al 90% considerando un residuo ruolo dello Stato per la tutela dell’unità giuridica ed economica del paese;

b. Per le materie di competenza concorrente la percentuale di spesa statale da decentrare è stata posta pari al 70% in considerazione del maggiore ruolo dello stato per l’individuazione e la garanzia del rispetto dei principi generali all’interno delle varie materie;

c. Essendo riferiti al 1999 i dati contengono ancora (all’interno dell’intestazione finanza regionale e locale) i trasferimenti erariali sostituiti dal d.lgs. 56/2000 con quote di compartecipazione all’IVA ed all’accisa sulla benzina e con aumenti dell’aliquota base dell’ Irpef, oltre che tutti i trasferimenti dello Stato agli enti locali;

d. Per il numero di personale stime ad hoc sulla base dei dati elementari del conto annuale 2000 della Ragioneria generale dello Stato riferiti al solo personale ministeriale (non sono inclusi gli insegnanti,la polizia e le forze armate, la magistratura e le aziende autonome).

Un modello di questo tipo si collega idealmente all’ipotesi di scenario generale definito come “volo in formazione”, del quale si è parlato in precedenza. Una formazione (Regione ed Enti locali) che si vedrà investita di rilevanti nuove responsabilità considerato che secondo una recente stima dell’ISAE8, riferita a dati relativi al 1999, le risorse necessarie per l’attuazione del decentramento a favore delle Regioni a Statuto ordinario sarebbero ammontate a circa 91 miliardi di euro, a fronte di un gettito di 198 miliardi di euro derivante dalle principali fonti di imposta nazionali (IRPEF, IRPEG, IVA, accisa sugli olii minerali).La stima riferita al Piemonte evidenzia un ammontare di risorse pari a 7,2 miliardi di euro, l’8 per cento circa del totale (Tabella 6), con un trasferimento di personale pari a 3768 unità (il 6 per cento del totale).

8 Cfr.: ISAE, L’attuazione del federalismo costituzionale, in Rapporto trimestrale, Priorità nazionali: trasparenza, opportunità, flessibilità, pp. 101-180, Roma, Aprile 2002. Si tratta dell’unica stima disponibile ad oggi. Un accurato lavoro di stima dei costi delle funzioni da trasferire alle Regioni ed agli enti locali sarà indispensabile e potrà basarsi sull’esperienza compiuta per il trasferimento delle funzioni in base ai decreti Bassanini.

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La trasformazione in atto, per la sua entità da un punto di vista finanziario, comporta potenzialmente un radicale svuotamento delle funzioni di numerosi apparati centrali dello Stato, unitamente alla necessità di un cambiamento dei ruoli da essi svolti (indirizzo e valutazione in luogo della gestione,”steering not rowing”). Sono anche da aspettarsi cambiamenti nelle modalità di coordinamento, controllo e monitoraggio dei principali aggregati di finanza pubblica, così come evidenziato nell’ultima Relazione generale della Banca d’Italia9. A livello regionale ciò può significare un maggiore coordinamento regionale del sistema della finanza locale considerato anche il maggiore peso che hanno acquisito i trasferimenti regionali agli enti locali. E’ per questi motivi che è stata inserita un’appendice (cfr. Appendice A) sulle tendenze della finanza locale in Piemonte sulla base dei dati contenuti nelle Relazioni Previsionali e Programmatiche degli enti locali, elaborati dal Servizio Osservatorio statistico regionale indicatori fisici enti locali, e delle rilevazioni dell’Osservatorio sulla finanza locale dell’Ires. Si tratta di informazioni preziose al fine di migliorare il coordinamento tra la finanza regionale e quella locale, garantendo maggiore tempestività ed accuratezza nella gestione dei flussi informativi di base della finanza pubblica sempre più cruciali per il monitoraggio della spesa pubblica ed il rispetto degli equilibri del patto di stabilità. Verso nuovi assetti della finanza decentrata? L’altro nodo problematico è relativo al finanziamento delle Regioni e degli enti locali. Il federalismo fiscale nel nostro paese continua infatti a presentare un assetto instabile relativamente all’attribuzione di tributi autonomi ed al sistema dei trasferimenti. Il nuovo articolo 119 della Costituzione ha infatti introdotto alcuni importanti principi rispetto all’assetto della finanza decentrata, relativamente sia alle Regioni che agli enti locali10, che richiederanno norme attuative che specifichino l’assetto del sistema garantendo la coerenza tra il sistema dei tributi autonomi e quello dei trasferimenti. Le entrate tributarie. La riforma fiscale dei passati anni ha visto una significativa crescita dei tributi autonomi regionali e locali (IRAP, ICI, addizionali all’IRPEF) aumentando il peso del gettito tributario locale rispetto al totale, avvicinando così il nostro paese ai paesi europei che presentano un decentramento fiscale più accentuato (Tabella 7). Tra il 1985 ed il 1999, l’Italia ha visto quadruplicare il peso delle entrate tributarie regionali e locali rispetto al totale, ma tale indicatore (9,5%) resta nettamente inferiore al valore presente nei paesi federali oltre che in altri paesi unitari dell’Unione Europea come la Spagna (17%), la Svezia (30%) e la Danimarca (32%). Ciò significa che esiste ancora un problema di “squilibrio verticale”, ovverosia di una eccessiva concentrazione delle fonti di prelievo obbligatorio in capo al governo centrale, in particolare di quelle più elastiche, a fronte dei processi di decentramento politico ed amministrativo in atto che- come si è appena richiamato- comporteranno una rilevante crescita della spesa delle amministrazioni regionali e locali. Tale problema dovrà essere risolto anche tenendo presente le già richiamate disposizioni del nuovo articolo 119 della Costituzione che riconoscono in maniera molto più esplicita il principio dell’autonomia finanziaria per le Regioni e gli altri livelli di governo locale sia in termini di tributi propri che di compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio.

9Così come nell’audizione del Governatore della Banca d’Italia per l’Indagine conoscitiva sugli effetti nell’ordinamento delle revisioni del Titolo V della parte II della Costituzione svolta dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato, dove si lamentava il fatto che le evidenze contabili delle autonomie locali risultano disomogenee, incomplete e non tempestive. 10 Il precedente art.119 era riferito solo alla finanza delle Regioni.

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Tabella 7 Percentuale delle entrate tributarie dei livelli decentrati di governo sul totale delle entrate tributarie delle amministrazioni pubbliche nei paesi dell’Unione Europea 1975-1985-1999

Paesi UE 1975 1985 1999 Paesi unitari Danimarca 29,8 28,4 31,9 Svezia 29,2 30,4 30,6 Finlandia 23,6 22,4 21,6 Spagna 4,3 11,2 17,0 Francia 7,6 8,7 10,2 Italia 0,9 2,3 9,4 Portogallo 0 3,5 6,7 Lussemburgo 6,5 6,5 5,8 Regno Unito 11,1 10,3 4,1 Paesi Bassi 1,2 2,4 3,0 Irlanda 7,3 2,3 1,9 Grecia 3,4 1,3 1,1 Paesi federali Germania 31,3 30,9 30,0 Belgio 4,7 5 28,3 Austria 23 23,8 19,5

Fonte: OCSE, 2001. Le amministrazioni pubbliche comprendono il governo centrale, i governi statali (nel caso dei paesi federali), regionali e locali e gli enti di sicurezza sociale. I dati sono ordinati in maniera decrescente nel 1999. Nel disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale nazionale si prevede una graduale riduzione dell’IRAP con prioritaria esclusione del costo del lavoro11, senza peraltro ipotizzare ancora specifiche fonti sostitutive. In sede di prima applicazione il disegno di legge prevede infatti una compensazione attraverso trasferimenti o compartecipazioni. Per dare un ordine di grandezza per il Piemonte, basandosi sul peso (40%) dei redditi da lavoro dipendente sul prodotto interno lordo (Figura 3), si può stimare una riduzione dell’IRAP privata pari a circa 826 milioni di euro12 alla quale andrebbe aggiunta tutta l’IRAP pubblica (che incide solo sul costo del lavoro) pari a 497 milioni, per un totale di più di 1300 milioni. Ciò comporterà un aumento dello squilibrio verticale nella dotazione di risorse tra i vari livelli di governo. Come è stato anche sottolineato durante l’indagine conoscitiva sulla riforma del sistema fiscale statale13, l’IRAP nell’attuale ordinamento tributario delle Regioni rappresenta l’unica leva fiscale che garantisce loro una significativa capacità di manovre fiscali autonome. Le Regioni hanno infatti la possibilità di variare l’aliquota sino ad un punto percentuale per settori di attività e soggetti passivi14.E’ ragionevole pensare che questo tributo debba essere sostituito da una fonte alternativa che consenta comparabili margini di autonomia e non solo dalle previste compartecipazioni al gettito di tributi erariali.

11 Si è parlato di un taglio iniziale del 20 per cento della base imponibile relativa al costo del lavoro, probabilmente a partire dal 2003. 12 Partendo da un valore dell’IRAP privata per il Piemonte pari a 2070 milioni di euro nel 2001. 13 Cfr. VI Commissione Finanze, Indagine conoscitiva, seduta di mercoledì 13 febbraio 2002, Audizione dei rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome. 14 Per il Piemonte si può attualmente stimare un margine di manovra pari a circa 485 milioni di euro

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Figura 3. Peso dei redditi da lavoro dipendente sul prodotto interno lordo regionale.

1995-1999

39,4639,60

41,6441,7141,38

38,0038,5039,0039,5040,0040,5041,0041,5042,00

1995 1996 1997 1998 1999

Fonte:Istat. N.B:la diminuzione a partire dal 1998 è spiegabile con l’introduzione dell’Irap e l’eliminazione dei contributi sanitari I trasferimenti statali. L’assetto complessivo dei trasferimenti dovrà essere adeguato alle disposizioni del nuovo articolo 119 della Costituzione che contiene alcuni punti di novità rilevanti in materia di trasferimenti:

• è prevista l’istituzione di un apposito fondo perequativo, di competenza esclusiva dello Stato e che deve essere regolata con legge statale;

• il fondo perequativo è di tipo generale, senza vincoli di destinazione e deve essere indirizzato ai territori con minore capacità fiscale per abitante e non più come ne precedente testo sulla base dei “bisogni delle Regioni”;

• le risorse derivanti dal fondo perequativo unitamente a quelle tributarie e da compartecipazione devono consentire il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche attribuite alle Regioni ed agli enti locali;

• trasferimenti aggiuntivi vengono previsti per interventi speciali di tipo solidaristico e in genere per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona.

Parte del finanziamento di Regioni ed enti locali rimarrà quindi basato sui trasferimenti statali, anche se probabilmente in misura minore che nel passato. Ma anche su questo fronte il quadro rimane in buona parte ancora indefinito in attesa dei provvedimenti attuativi. Un nuovo sistema di trasferimenti per Regioni ed enti locali in funzione delle esigenze di perequazione connesse all’autonomia impositiva di tali enti aveva cominciato ad operare (d.lgs. n. 56/2000) solo per le Regioni a partire dal 2001 sulla base dell’assetto tributario esistente. Una riforma che intenda abolire l’Irap comporterà la necessità di ritarare tutto il meccanismo per le Regioni in base alle nuove basi imponibili che saranno loro assegnate. Né vi è chiara consapevolezza di quello che accadrà a tutti i finanziamenti specifici legati al finanziamento delle funzioni trasferite a regioni ed enti locali sulla base delle leggi Bassanini che per adesso mantengono il loro vincolo settoriale, ma sono successivamente destinate a confluire nel sistema di finanziamento generale di regioni ed enti locali (art. 10 della l. 133/1999). In generale, l’esperienza internazionale insegna che il disegno di un sistema di trasferimenti costituisce uno degli aspetti più delicati del federalismo fiscale in quanto diverse formule di ripartizione possono dare esiti redistributivi molto diversi. Semplicità, trasparenza, e stabilità ne dovrebbero comunque costituire tratti distintivi15.

Nel complesso, il quadro di riferimento istituzionale offre oggi più interrogativi che certezze per la specificazione delle linee di politica finanziaria regionale per i prossimi anni. Ciò, tra l’altro, rende purtroppo difficile per la Regione elaborare precise strategie economico-finanziarie pluriennali. Nel già ricordato d.p.c.m. n. 576 del 20 Giugno 2002 si è però previsto di introdurre nel DPEF statale 2003-2005 l’impegno per la costituzione di una conferenza mista per definire il nuovo impianto del federalismo fiscale e per l’avvio del trasferimento di una parte delle risorse necessarie per svolgere le nuove competenze esclusive e le funzioni amministrative conseguenti alla riforma costituzionale, da definire in sede di legge finanziaria senza oneri finanziari addizionali. 15 Sul problema dei metodi per la ripartizione dei trasferimenti rinviamo ai lavori dell’Ires, in particolare a Ires, Una proposta di riforma della finanza regionale in Italia, W.P. n.145/2001 e Ires, La perequazione finanziaria degli enti locali. Un modello alternativo per la finanza comunale, W.P.n. 146/2001.

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APPENDICE A: TENDENZE DELLA FINANZA LOCALE16

In questa appendice viene presentata una breve analisi dell’ andamento passato e prospettico della finanza locale in Piemonte, in particolare relativamente ai Comuni, sulla base delle informazione contenute nelle Relazioni Previsionali e Programmatiche degli enti locali raccolte ed analizzate dagli uffici regionali e dall’IRES. Viene anche riportata una sintesi degli aspetti salienti dell’evoluzione normativa nazionale in materia di enti locali.

Le risorse L’andamento delle risorse degli enti locali riflette gli effetti del trasferimento di competenze amministrative avviato in questi anni. Le entrate correnti per il 2000 erano previste crescere del 5% sul 1999, ma i bilanci consuntivi 2000 rivelano una crescita doppia, pari al 10% per i Comuni e dell’11% per le Province.

Fig. A 1 Le entrate correnti dei maggiori Comuni

0

500.000.000

1.000.000.000

1.500.000.000

2.000.000.000

2.500.000.000

1999 2000 2001 Prev. 2002

totaletotale escl.Torino

Fonte: Relazioni Previsionali e Programmatiche dei Comuni maggiori di 15mila abitanti e dei Comuni polo (vedi nota 2). Sono soprattutto i trasferimenti regionali ad aver determinato tali valori, sia per il capoluogo (141 mln euro) che per le Province (127 mln): riguardano in larga misura il trasporto pubblico locale. I trasferimenti crescono soprattutto nel 2001; negli anni successivi non sono invece previsti ulteriori aumenti. La dinamica delle entrate autonome dei Comuni sta invece rallentando: nel 2001 la sua componente principale, cioè il gettito ICI, rimane stazionaria. Anche le previsioni di gettito delle entrate extratributarie (tariffe per servizi e beni comunali, utili e altri proventi) rimangono stabili.

16 Documento redatto congiuntamente dall’ IRES e dall’ Osservatorio statistico regionale indicatori fisici enti locali.

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Riquadro A.1. L’evoluzione dell’ICI. L’Imposta Comunale sugli Immobili continua a rimanere la principale fonte di gettito tributario della amministrazioni comunali. Il trasferimento di funzioni in materia di catasto ai Comuni potrà migliorare la capacità amministrativa di gestione di questo tributo da parte degli enti locali. La componente più rilevante del gettito è ancora relativa alle abitazioni. Nei grandi Comuni –escluso Torino - esso risulta pari al 52% di quello totale, mentre il restante 48% del gettito, proveniente da fabbricati ad uso produttivo, mostra una dinamica contenuta. Nel capoluogo invece il gettito relativo alle abitazioni è preponderante (82%): la parte relativa alla 1^ casa diminuisce (da 84 milioni di euro nel 2001 ai 77 previsti quest’anno), mentre in aumento la componente che grave sulle seconde case (da 84 milioni di euro nel 2001 ai 126 previsti).

Nel complesso, le entrate correnti dei Comuni (Tab.A1) per i prossimi anni risultano stazionarie in totale ed in diminuzione per i 60 Comuni più grandi ad esclusione di Torino17. Addirittura, nel 2002 si assiste ad una lieve diminuzione (da 2353 a 2349 milioni di euro) dovuta soprattutto alla riduzione dei trasferimenti (da 926 a 881 milioni di euro).

Tab. A1 Le entrate correnti previste dei maggiori Comuni (milioni di euro) Entrate 2000 2001 2002 2003 2004 Entrate correnti totali 3590 4205 4111 4110 4181- Torino 1153 1269 1279 1316 1331- altri 60 comuni 1019 1084 1070 1060 1068Di cui trasferimenti 709 926 881 867 891- Torino 443 599 577 576 596- altri 60 comuni 266 327 304 291 295Fonte: Relazioni Previsionali e Programmatiche dei Comuni maggiori di 15mila abitanti e dei Comuni polo. L’evoluzione delle risorse per l’investimento tende invece a crescere nei primi anni per poi diminuire (Tab.A2): dai 1395 milioni nel 2001 (850 milioni nel 2000) ai 1797 nel 2002, ai 1458 nel 2003. Specularmente, il flusso annuo previsto di mutui accesi è sostenuto: 709 milioni quest’anno, 1038 nel 2003, 658 nel 2004. La crescita è però unicamente ascrivibile al Comune di Torino, mentre negli altri 60 Comuni si assiste ad una diminuzione. Vale la pena di ricordare che comunque le previsioni di investimento risultano tanto meno attendibili quanto più ci si allontana dall’anno di partenza.

Tab. A2 Le entrate in conto capitale previste dei 61 maggiori Comuni (milioni di euro) 2001 2002 2003 2004 Entrate in conto capitale complessive 2165 3215 3534 2255- Torino 714 1151 1069 571- altri 60 comuni 681 646 389 428Di cui mutui accesi 385 709 1038 628- Torino 131 483 857 359- altri 60 comuni 254 226 181 269Fonte: Relazioni Previsionali e Programmatiche dei Comuni maggiori di 15mila abitanti e dei Comuni polo. Gli impieghi 17Sono stati considerati i Comuni con almeno 15mila abitanti e gli altri 15 enti considerati come polo di riferimento locale dai comuni limitrofi.

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Le spese correnti dei comuni riflettono l’andamento delle risorse (Tab. A3). Tra il 1998 ed il 200118, la componente più dinamica risulta la spesa per viabilità e trasporti. Assorbe il 9 per cento della spesa complessiva, e nel capoluogo cresce del 125 per cento rispetto al 1998, mentre nei 43 altri comuni del 30 per cento. Elevata anche la dinamica delle spese per amministrazione generale, che assorbe quasi un terzo dei bilanci. Il comparto delle politiche sociali vede una crescita della spesa in tutti i comuni, mentre le spese per l’istruzione risultano in netto declino. Per quanto concerne gli investimenti finali all’interno dei vari comparti del settore pubblico locale piemontese, misurati in termini di pagamenti di bilancio (Tab. A4), il flusso annuo delle spese si è ripreso rispetto ai primi anni ’90, crescendo fino al 2000, mentre prime stime sul 2001 segnalano una diminuzione. La dinamica risulta per differenziata per tipologia di enti in quanto la crescita delle spese per investimento è concentrata nei comuni di maggiori dimensioni (superiori ad 8000 abitanti). Ciò ha comportato una notevole riduzione del flusso annuo degli investimenti dei comuni minori (dai 513.874.615 di euro del 1996 ai 230.339.777 del 1999) che ribalta la precedente posizione relativa di tali enti. Negli anni ’80 e primi anni ’90 essi avevano infatti avuto un peso nelle spese in conto capitale relativamente elevato (nel 1996, 513.874.615 di euro a fronte di 339.3312.183 di euro dei comuni maggiori) Tab. A3 Distribuzione delle spese correnti delle 44 maggiori amministrazioni comunali e dinamica 1998-2001(milioni di euro).

2001 1998 altri 43 Torino

Settori di spesa Torino Altri 43 Totale Torino altri 43 Totale 98-01 98-01

Amministrazione generale 243 271 514 201 234 433 16% 20%

Giustizia 15 5 21 8 5 13 4% 86%

Polizia locale 65 48 113 54 40 94 18% 21%

Istruzione pubblica 174 115 288 197 148 344 -23% -12%

Beni culturali 49 41 90 41 34 74 21% 20%

Settore sportivo e ricreativo 22 21 43 21 20 40 5% 6%

Turismo 6 5 11 4 4 7 34% 48%

Viabilità e trasporti 305 86 391 136 66 201 30% 125%

Gestione del territorio e dell'ambiente 174 216 389 156 206 359 5% 12%

Settore sociale 209 132 341 171 119 289 11% 22%

Sviluppo economico 10 13 23 10 13 23 3% -4%

Servizi produttivi 0,10 21 21 0 24 24 -12% -15%

TOTALE 1271 973 2244 998 913 1902 7% 27%

Fonte: Ires, Osservatorio sulla finanza locale, previsioni di bilancio.

18 Dati tratti dai Certificati di bilancio preventivo degli enti. Non si dispone ancora di previsioni per i prossimi anni.

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Tab. A4 Andamento dei pagamenti per spese finali in conto capitale del settore pubblico locale in Piemonte 1996-2001(milioni di euro).

1996 1997 1998 1999 2000 2001 Comuni 853 951 1133 1041 1292 1081*

>8000 ab. 339 501 664 800 n.d. n.d. < 8000 ab. 514 449 469 241 n.d. n.d.

Province 77 92 108 133 140 147*

Comunità montane 21 78 43 66 77

Regione (solo spese dirette per capitale fisso) 17 20 14 18 28 42

Aa.Ss.Ll. 70 95 127 165 199 209

Fonti: elaborazioni su dati Ministero del Tesoro - RGS (Igespa); Corte dei Conti; Regione Piemonte; stima Ires (*) grazie alla generosità dei contributi statali concessi in tale periodo. Negli ultimi anni il graduale taglio dei contributi ha comportato una riduzione delle loro spese di investimento, in parallelo ad una riduzione dell’accensione di mutui. La riduzione dei trasferimenti statali è stata però in parte compensata dalla crescita dei contributi in conto capitale della Regione, spesso relativi alla programmazione dei fondi strutturali ed erogati soprattutto ai Comuni minori. Vi sono infine numerosi programmi speciali di investimento, concordati con lo Stato attraverso apposite intese, che interesseranno la regione nei prossimi 4-5 anni. Ricordiamo circa 1400 milioni di euro per infrastrutture ferroviarie locali, un volume simile per la viabilità (ex ANAS), circa 500 milioni per impianti di depurazione, ed altrettanti per interventi di riqualificazione delle strutture sanitarie. Infine vanno registrati gli investimenti crescenti delle aziende di pubblici servizi (le ex municipalizzate). In lieve aumento l’indebitamento complessivo, tendenza coerente con il dato nazionale. L’indebitamento di tutti gli enti locali piemontesi era pari all’8% dell’insieme nazionale nel 2000, mentre era pari al 7% nel 1991.

Aspetti salienti dell’evoluzione normativa nazionale sugli enti locali

La normativa sulla finanza degli enti locali per quanto fondata in gran parte su cespiti locali, rimane fortemente vincolata dalla produzione normativa nazionale. Nella legge finanziaria per il 2002 sono stati proposti rilevanti vincoli alle spese per il rispetto del Patto di stabilità, poi rimodulati e affievoliti da un decreto correttivo. Provvisoriamente i Comuni incasseranno una compartecipazione al proprio gettito IRPEF, ma compensata dalla diminuzione dei trasferimenti statali. Ricordiamo che dal 1999 i comuni possono imporre un’addizionale locale alle aliquote IRPEF fino ad un massimo dello 0,5%. Tale facoltà ha avuto un successo crescente ed il gettito incassato dagli enti piemontesi cresce dai 33 milioni di euro del 1999 ai 96 milioni del 2001 (mentre per il complesso dei Comuni italiani il gettito cresce nel medesimo periodo da 254 milioni a 864 milioni). Infine, il riordino del sistema di trasferimenti statali ai Comuni, con finalità di perequazione territoriale, viene ancora rimandato a testimonianza della già ricordata delicatezza e complessità di tali meccanismi. Per quanto concerne il decentramento amministrativo si è aperta la seconda fase del processo avviato dalle “leggi Bassanini”. Vi sono stati due anni di lavoro per la definizione concreta delle materie, e delle risorse finanziarie necessarie a Regioni ed enti locali. Alcune competenze – e connesse risorse - sono già state trasferite dallo stato tra il 1998 ed il 2000 (agricoltura, trasporto pubblico locale, servizi per il mercato del lavoro, incentivi alle imprese) per un volume di 3.196.868.205 di euro annui. Per le altre funzioni definite

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dal d.lgs. 112/1998, tra cui le competenze in materia di edilizia residenziale, opere pubbliche, viabilità e ambiente, il trasferimento inizia nel 2001: gli stanziamenti statali di risorse finanziarie per tali funzioni ammontano a 1.937.229.828 euro annui per l’insieme delle Regioni, oltre ad un trasferimento una tantum, di volume inferiore. Da sottolineare che i trasferimenti statali giungono alle amministrazioni senza più vincoli nella destinazione. Informazioni più dettagliate sono contenute nella seconda partesi questo documento. Riquadro A.2. I trasferimenti finanziari in Piemonte per le funzioni trasferite (leggi “Bassanini”) Di seguito vengono riportati gli importi dei trasferimenti attribuiti al Piemonte: • Trasporto pubblico locale: 181 milioni di euro annui • Funzioni d.lgs. 112/1998: 176 milioni di euro annui (di cui 114 per viabilità) e 116 milioni una tantum • Incentivi alle imprese: 82 milioni di euro annui • Mercato del lavoro: 14 milioni di euro annui • Edilizia residenziale pubblica: 347 milioni di euro una tantum Contestualmente, nel 2001, le singole Regioni hanno iniziato a definire le modalità per l’esercizio delle funzioni stesse, per lo più trasferendole ai propri enti locali. In Piemonte il trasferimento delle funzioni avviene soprattutto verso le Province. Si apre una fase nuova nella relazioni tra ogni Regione ed i suoi enti locali, fatta di consultazioni, progettazioni delle modalità di esercizio, monitoraggio dei costi effettivi delle funzioni. In merito ricordiamo che ogni Regione sta anche ridefinendo il proprio statuto, cioè l’insieme delle regole che disciplinano il processo decisionale di questo ente, in raccordo con gli enti locali, altre istituzioni e attori pubblici e privati. Ulteriori evoluzioni da ricordare riguardano le politiche di welfare. Nella sanità viene proposta una maggior partecipazione ai costi da parte di enti locali e utenti: si rivede la gamma delle prestazioni fornite, i criteri per la copertura dei costi da parte dei bilanci regionali e degli enti locali, ed infine le tariffe a carico degli utenti. Per i servizi socio-assistenziali – di competenza dei Comuni - aumenta il raggio d’azione del settore socio-assistenziale, e vi sono nuove risorse assegnate: in Piemonte ne sono responsabili sopratutti i consorzi, con delimitazioni simili ai distretti sanitari. In entrambi i settori è comunque rilevante le definizione dei livelli di assistenza essenziali, garantiti dall’intervento e dal finanziamento pubblico, statale in primis. Un altro ambito di evoluzione normativa riguarda i servizi pubblici locali, cioè i servizi a rete di rilevanza industriale (dagli acquedotti al trasporto pubblico), gestiti prevalentemente da società a controllo pubblico locale, le ex municipalizzate. Dopo dibattiti e varie formulazioni legislative, la normativa ha trovato una prima definizione in sede di legge finanziaria per il 2002. Per quanto le incertezze interpretative siano ancora rilevanti, viene sancito il bisogno di separare la proprietà delle reti (impianti a rete, dighe, depositi, ecc.) dalla erogazione dei servizi connessi: la proprietà delle reti – e la loro gestione - spetta agli enti locali o a società a controllo pubblico incedibile. Si stabilisce poi il ricorso a gare con procedura competitiva per l’affidamento della gestione dei servizi.

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P A R T E II

QUADRO E OBIETTIVI DI FINANZA PUBBLICA

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1 - L’AUTONOMIA IMPOSITIVA DELLE REGIONI

L’autonomia finanziaria delle Regioni era inserita già nella Costituzione del 1948 che all’articolo 119 prevedeva esplicitamente: “Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni. Alle regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali, in relazione ai bisogni delle Regioni per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali. Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali. La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge delle Repubblica.” Tuttavia nel corso dei primi venti anni di vita delle regioni si sono avuti alcuni significativi e contraddittori comportamenti sia da parte del Governo centrale che delle Regioni. Infatti, se all’inizio con la legge 16 maggio 1970 n. 281 si è cercato di realizzare un mix fra entrate proprie e trasferimenti erariali (pur sbilanciato sui secondi) negli anni successivi si è completamente (o quasi) abbandonata la prima strada a favore della seconda, creando quindi una finanza regionale completamente dipendente dal potere centrale, con sostanziale soddisfazione delle stesse regioni, che avevano certezza di gettito, ancorché vincolato e non troppo abbondante, e nello stesso tempo non erano chiamate a scelte dolorose e spesso impopolari. La prima svolta in senso che potremmo definire pre-federalista, si è avuta con la legge 14 giugno 1990 n. 158.

Con la l. 158/1990 è stato ridefinito il sistema delle entrate regionali assicurando alle Regioni una autonomia più ampia che in passato .La miriade di fondi fino ad allora esistenti viene fatta confluire in 2 fondi, uno di parte corrente ed uno relativo agli investimenti. In questo modo si esercita un più attento controllo contabile sull’erogazione dello Stato e nello stesso tempo si supera la limitazione alle spese imposte alle Regioni attraverso il preesistente vincolo di destinazione delle risorse loro trasferite dallo Stato.

Per garantire maggiore autonomia impositiva l’articolo 6 ha delegato il Governo ad emanare entro 10 mesi dall’entrata in vigore della stessa legge, uno o più decreti legislativi con cui istituire specifici tributi regionali, come l’addizionale all’imposta erariale di trascrizione, oggi soppressa, l’addizionale all’imposta di consumo sul gas metano, imposta regionale sulla benzina per autotrazione. Per l’art. 1 della l. 158/1990 sono fonti dell’autonomia finanziaria delle Regioni: 1) Tributi propri e quote di tributi erariali accorpati in un fondo comune istituito presso il Ministero del Tesoro destinato per il funzionamento di tutte le spese necessarie ad adempiere tutte le funzioni normali compresi servizi di rilevanza nazionale. Al fine di valutare l’opportunità di procedere all’accorpamento nel fondo comune dei flussi correnti del fondo nazionale trasporti e del fondo sanitario nazionale, è istituita nell’ambito della conferenza una commissione con compiti di istruttoria e di verifica. 2) Trasferimenti dello Stato per investimenti accorpato in un fondo per il finanziamento dei programmi regionali di sviluppo. Questo fondo, istituito ai sensi dell’articolo 9 della legge 281/1970 e disciplinato dalla l. 158/1990, a decorrere dal 1991 è stato costituito da una quota fissa ed una variabile determinata con legge finanziaria su base triennale. 3) Eventuali contributi speciali per provvedere a scopi determinati e, per le Regioni meridionali, alla valorizzazione del Mezzogiorno; 4) Ricorso all’indebitamento, nei limiti delle leggi vigenti.

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Il decreto legislativo previsto dall’art. 6 fu emanato a fine dicembre dello stesso anno, reca il n. 398 e ha reso possibile alle Regioni riscuotere fin dal 1° gennaio 1991 sia Ariet che L’Arisgam, benché al minimo dell’imposta. La Regione Piemonte ha poi successivamente legiferato in materia, prevedendo delle aliquote diversificate. L’ultimo intervento legislativo risale al dicembre 2001 con la legge 13 dicembre 2001 n. 34. Il successivo passo sulla strada della realizzazione di una sia pur timida autonomia impositiva per le regioni si ebbe con la legge 23 ottobre 1992 n. 142 che contiene la delega al governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale, a cui è stata data attuazione con il d.lgs. 504 del 30 dicembre 1992. Con legge in oggetto si verifica una netta inversione di tendenza rispetto al passato. Lo stato italiano è colpito da una profonda crisi economica per cui si rende improcrastinabile la decisione di limitare il flusso incontrollato di trasferimenti dallo stato alle regioni per contro assicurando a queste ultime autonome entrate a carattere tributario. La disposizione di maggiore rilievo riguarda l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario delle previgenti tasse automobilistiche erariali. La legge 28 dicembre 1995 n. 549, meglio nota come il collegato alla legge finanziaria 1996 ha dettato i principi per il trasferimento alle competenze regionali di:

• Funzioni in materia di turismo, agricoltura e foreste, edilizia residenziale, pubblica formazione professionale e artigianato;

• Funzioni in materia di industria e commercio, impiantistica sportiva, trasporti di interesse regionale e locale;

• competenze e proprietà di parti di strade dell’ente ANAS ad eccezione di quelle di interesse primario e strategico per lo Stato.

Nello stesso tempo è stato disposto a partire dal 1996 la cessazione delle erogazioni statali per le funzioni sopra elencate. Per sopperire a questi trasferimenti, le regioni incassano: - una quota della accisa sulla benzina senza piombo per autotrazione nella misura di Lire 350 a litro (articolo 3, comma 12) - la tassa regionale per il diritto allo studio universitario (articolo 3, commi 20-23) - tassa regionale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (articolo .3, commi 24-41), di cui una quota (10%) va alle Province; e perdono invece a favore delle Amministrazioni Provinciali l’Ariet, ma viene previsto (articolo 3, comma 48) che il minor gettito per le Regioni rispetto alla nuova tassa per il conferimento dei rifiuti in discarica sia compensato dallo Stato (come è poi realmente avvenuto). Nel caso in cui il gettito di questi tributi non fosse sufficiente a compensare la riduzione dei trasferimenti, si ricorre al Fondo perequativo, fondo che è stato costituito a partire dal 1997 ed è costituito dalla differenza tra l’ammontare del gettito realizzato nel 1996 con l’accisa e l’imposta sulla benzina e l’ammontare dei trasferimenti tagliati. Il fondo era poi rivalutato in base al tasso di inflazione programmato. Questo fondo era destinato ad avere vita breve perché il d.lgs. 446/1997 ha previsto la sua soppressione e la sostituzione con il fondo di compensazione interregionale. L’articolo 2, comma 46, così cita: “Il Governo è delegato ad emanare, entro cinque mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti a:

a) trasferire alle Regioni ulteriori funzioni amministrative, in particolare nelle materie di: turismo e industria alberghiera, agricoltura e foreste, edilizia residenziale pubblica, formazione professionale e artigianato; riordinare la composizione e le attribuzioni della Conferenza di cui all’art. 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, ferme restando le attribuzioni di cui all’articolo 6 del decreto legge 23 giugno 1995, n. 244, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1995, n. 341;

b) delegare alle Regioni funzioni in materia di industria e commercio; di impiantistica sportiva; di trasporti di interesse regionale e locale, con qualsiasi modalità effettuati, ivi compresi i servizi ferroviari in concessione e gestione commissariale governativa nonché i servizi locali svolti dalle “Ferrovie dello Stato SpA” fissando criteri omogenei allo scopo di fornire alla collettività servizi di trasporto necessari ai fabbisogni di mobilità ai sensi del regolamento (CEE) n. 1893/91 del Consiglio, del 20 giugno 1991, conferendo la relativa autonomia finanziaria e procedendo al risanamento finanziario del settore;

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c) riclassificare, ai sensi del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, la rete viaria statale e regolamentare il trasferimento, d’intesa con le Regioni interessate, delle competenze e delle proprietà di tronchi di strade dall’ente ANAS alle Regioni competenti, mantenendo alla competenza dell’ente ANAS le autostrade e le strade statali, di cui alle lettere a) e b) del comma 6, lettera a, dell’articolo 2 del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285 e successive modificazioni, individuando altresì le altre strade di cui alla lettera c), d), ed e) del comma 6, lettera a, dell’articolo 2 del succitato decreto legislativo che per la loro natura rientrano nel novero di quelle, di interesse primario e strategico dello Stato, da mantenere alla competenza dell’ente ANAS;

d) delegare alle Regioni ulteriori funzioni amministrative nelle materie di cui alla lettera a), per gli aspetti e per i profili che restano nelle attribuzioni statali;....”

L’articolo 3 così cita: “ 1. A decorrere dall’anno 1996 cessano i finanziamenti in favore delle Regioni a statuto ordinario, in relazione alle materie la cui competenza è stata trasferita alle Regioni. 2. A decorrere dall’anno 1997 è istituito nello stato di previsione del Ministero del Tesoro un fondo perequativo per la corresponsione in favore delle Regioni di un importo pari alla differenza tra l’ammontare del gettito realizzato nell’anno 1996 ai sensi dei commi da 12 a 14 del presente articolo e l’ammontare dei trasferimenti indicati nella tabella C allegata alla presente legge; tale importo è aumentato per gli anni successivi del tasso programmato di inflazione previsto dal documento di programmazione economico-finanziaria...... 12. A decorrere dal 1° gennaio 1996 una quota dell’accisa sulla benzina e sulla benzina senza piombo per autotrazione nella misura di Lire 350 al litro, è attribuita alla Regione a Statuto ordinario nel cui territorio avviene il consumo, a titolo di tributo proprio. 13. L’imposta regionale sulla benzina per autotrazione di cui all’articolo 17 del decreto legislativo n. 398, è versata direttamente alla regione dal concessionario dell’impianto di distribuzione di carburante o, per sua delega, dalla società petrolifera che sia unica fornitrice del suddetto impianto, sulla base dei quantitativi erogati in ciascuna regione dagli impianti di distribuzione di carburante. L’imposta regionale può essere differenziata in relazione al luogo di ubicazione dell’impianto di distribuzione, tenendo conto di condizioni particolari di mercato.... 20. Al fine di incrementare le disponibilità finanziarie delle Regioni finalizzate all’erogazione di borse di studio e di prestiti di onore agli studenti universitari capaci di meritevoli e privi di mezzi, con la medesima decorrenza (dall’anno accademico 1996/1997) è istituita la tassa regionale per il diritto allo studio universitario, quale tributo proprio delle Regioni ..... 24. Al fine di favorire la minore produzione di rifiuti ed il recupero degli stessi di materia prima e di energia, a decorrere dal 1° gennaio è istituito il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi...”. Il tentativo di dare inizio al processo di federalismo fiscale operato dalla l. 549/1995 seppure ancora insufficiente è giudicato dai più molto importante lì dove si cerca di introdurre il principio secondo cui la spesa corrente della Regione deve essere finanziata con risorse proprie anziché ricorrere ai trasferimenti statali stimolando così i governi regionali al controllo della spesa ed a un uso più efficiente delle risorse.

Con la legge 23 dicembre 1996 n. 662 fu disposto, tra l’altro, l’istituzione dell’IRAP e l’abolizione, a decorrere dal 1° gennaio 1998 di una serie di tributi e contributi, tramite emanazione di apposito decreto legislativo. Il 15 dicembre 1997 viene emanato il d.lgs. 446 con il quale viene istituita a partire dal 1 gennaio 1998 l’imposta regionale sulle attività produttive, IV tributo italiano in quanto a gettito dopo l’IRPEF, IRPEG, IVA. La regionalità dell’IRAP per i primi anni è piuttosto limitata: essa viene applicata in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale sia in termini di base imponibile che di aliquota. Il presupposto per l’imposizione è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta a produrre o cambiare beni o a prestare servizi ancorchè questa attività non abbia carattere commerciale. L’IRAP è un tributo: • regionale perché è applicabile alle attività produttive esercitate nel territorio di ciascuna regione;

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• reale perché prende in considerazione non il soggetto di imposta, ma le varie tipologie di attività esercitate dallo stesso produttive di capacità contributiva;

• indeducibile dalla base imponibile delle imposte sui redditi. Con l’introduzione dell’IRAP vengono aboliti molti tributi e contributi: • contributo al Servizio sanitario nazionale e la cosiddetta “tassa salute” • contributo per l’assistenza sanitaria ai pensionati e la quota del contributo per l’assicurazione TBC • ILOR • ICIAP • tassa partita IVA • imposta sul patrimonio netto delle imprese • tassa di concessione comunale • TOSAP (dal 1° gennaio 1999) L’abolizione ha effetto dal 1° gennaio 1998; i contribuenti con periodo di imposta iniziato dopo il 30 settembre, possono scomputare dall’acconto IRAP 1/12 dell’ICIAP e della tassa sulla partita IVA corrispondente alla frazione d’anno ora soggetta ad IRAP nonché i contributi per il Servizio sanitario nazionale versati per le mensilità che cadono nel nuovo periodo di imposta. Gli eventuali versamenti effettuati e non scomputati dall’acconto non sono più rimborsabili successivamente. I soggetti con esercizio anteriore al 1° ottobre 1997 non devono pagare la tassa partita IVA e l’ICIAP se la scadenza si dovesse verificare nella residua parte dell’esercizio; continuano a pagare il contributo al Servizio sanitario nazionale per i lavoratori dipendenti sino al mese di competenza in cui chiude l’esercizio in corso. L’ IRAP entra in vigore dal 1° gennaio 1998 per tutti quei soggetti che hanno il periodo di imposta coincidente con l’anno solare. Se l’esercizio è iniziato prima del 30 settembre 1997 l’IRAP si applica dal primo periodo di imposta successivo al 1° gennaio 1998. Se invece l’esercizio è iniziato dopo tale data l’applicazione dell’IRAP ha effetto dalla data di inizio del periodo stesso. Con lo stesso d.lgs. 446/1997 all’articolo 50 e a decorrere dal periodo di imposta 1998, viene altresì istituita l’addizionale regionale all’IRPEF. Sono obbligati al pagamento dell’addizionale tutti i contribuenti residenti e non per i quali , nell’anno di riferimento, risulta dovuta l’IRPEF, dopo avere scomputato tutte le detrazioni di imposta ad essi riconosciute ed i crediti di imposta indicati negli articoli 14 e 15 del T.U. sulle imposte dirette. L’importo dell’addizionale è determinato applicando l’aliquota fissata dalla Regione in cui il sostituito ha la residenza al reddito complessivo calcolato ai fini IRPF, al netto degli oneri deducibili riconosciuti ai fini dell’imposta medesima. L’aliquota dell’addizionale in origine è fissata tra lo 0,5% e l’1% da ciascuna Regione con proprio provvedimento da pubblicare sulla G.U. non oltre il 30 novembre dell’anno precedente a quello cui l’addizionale si riferisce. Per gli anni 1998-1999 l’aliquota dell’addizionale è stabilita su tutto il territorio nazionale nella misura dello 0,5%. Relativamente ai redditi di lavoro dipendente ed ai redditi a questi assimilati, l’addizionale regionale all’IRPEF era trattenuta in origine dai sostituti di imposta all’atto della effettuazione delle operazioni di conguaglio relative a tali redditi (ed è stata poi scaglionata) al termine del periodo di imposta o alla cessazione del rapporto se antecedente alla fine del periodo di imposta. Successivamente l’aliquota è stata portata con provvedimento del Governo allo 0,9% per tutte le regioni, essendo questa addizionale in partenza destinata a finanziare la sanità. Un ulteriore aumento, questa volta ad opera delle regioni (non tutte) e in modo differenziato si è avuto nel dicembre 2001 per coprire i disavanzi della sanità. La riforma, anche con l’introduzione dell’IRAP, prima e autentica tassa “regionale”, non poteva tuttavia dirsi conclusa, anche perché nel paese da un lato era diventato centrale il dibattito sul federalismo e sulla necessità di partire dal federalismo fiscale, anche per risolvere alcuni gravi problemi (sanità e trasporti in primo luogo) che attanagliavano il bilancio sia dello Stato che delle Regioni. Una volta riconosciuta la necessità di intraprendere la via del federalismo fiscale, il problema si è posto in termini di scelta della forma più adatta al contesto italiano, perché l’obiettivo del rafforzamento delle

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capacità fiscale regionale può essere raggiunto adottando diverse soluzioni. Una via percorribile poteva essere quella dell’ampliamento dell’autonomia tributaria regionale, con possibilità di istituire e disciplinare tributi propri in modo da finanziare i servizi erogati, e il contestuale ridimensionamento dell’incidenza dei tributi erariali in modo da non determinare un aggravio della pressione tributaria sui cittadini. Tale soluzione però avrebbe comportato non solo problemi di trasformazione del sistema tributario, ad esempio con la sostituzione di tributi erariali con tributi regionali, ma problemi di natura tecnica. L’esempio più probante è l’IVA le cui aliquote sono fissate in modo da rispettare il processo di armonizzazione comunitaria: una loro riduzione sostanziale non sarebbe stata consentita dalle autorità comunitarie come tantomeno non sarebbe stato consentito un loro aumento al di sopra dei limiti fissati. Non solo: una soluzione di questo tipo avrebbe comportato difficoltà per le Regioni con minore capacità produttiva, meno ricche, quindi con una minore propensione al consumo, sopperibile solo con il ricorso alla perequazione, che vista le difficoltà finanziarie dello Stato, graverebbe sulle Regioni più ricche, con il prevedibile effetto di annullare per quest’ultime i vantaggi derivanti dall’accentuazione dell’autonomia tributaria. Visti inoltre i dislivelli economici-sociali presenti nel nostro paese la situazione sarebbe peggiorata se si fosse adottato un sistema di federalismo fiscale basato esclusivamente sul rafforzamento dell’autonomia tributaria: ad esempio le Regioni più ricche disponendo di una base imponibile più elevata possono ridurre le aliquote di imposta con evidenti ripercussioni sul piano dell’allocazione delle risorse produttive. Un’alternativa è rappresentata dal meccanismo delle compartecipazioni delle Regioni al gettito dei tributi erariali , che comporta generalmente meno problemi dovendosi solo determinare la quota del gettito da destinare alle Regioni. Il rischio di un sistema fondato solo sulle compartecipazioni è che l’attribuzione certa di una quota del gettito alle Regioni non responsabilizza quest’ultime nella gestione delle risorse assegnate: perché le compartecipazioni siano un valido strumento di finanziamento regionale occorre che il sistema contenga un certo grado di autonomia tributaria. Occorre, in altre parole, che ci sia un decentramento delle responsabilità del prelievo fiscale in modo da riavvicinare i centri decisionali delle spese con quelli dell’entrata, occorre che i governi locali abbiano il potere di decidere se finanziare le maggiori spese con un aumento della pressione fiscale o ridurre le spese e quindi la pressione fiscale, rendendo così più evidente per il contribuente l’identificazione del soggetto a cui versa l’imposta ed al quale può richiedere l’erogazione di un certo servizio. Il raggiungimento dell’obiettivo dell’accountability si raggiunge abbinando all’ampliamento dell’autonomia tributaria una parziale compartecipazione al gettito erariale nonchè un ricorso alle sovraimposizioni (addizionali). Le sovraimposizioni possono avere un vantaggio in termini di gestione amministrativa dei tributi (costi di esazione e procedure di accertamento), se si favoriscono forme di collaborazione tra i diversi enti interessati, purchè non comportino per i contribuenti un aggravio della pressione tributaria. La riforma fiscale operata con la legge 133/1999 e il d.lgs. 56/2000, ha realizzato un sistema che risponde ai principi sin qui illustrati improntando le entrate regionali su tributi propri, compartecipazioni e trasferimenti di natura perequativa. Nel dettaglio le misure più significative introdotte dal decreto legislativo del 18 febbraio 2000, n. 56 sono: • la soppressione di alcuni trasferimenti erariali in favore delle Regioni a Statuto ordinario. Dal 2001 sono cessati per le Regioni a Statuto ordinario alcuni trasferimenti dello Stato, tra cui quello relativo al finanziamento della spesa sanitaria corrente ed in conto capitale (articolo 1). Con il d.lgs.56/2000 le Regioni a Statuto Ordinario dovrebbero completamente finanziare il SS (salvo una parte che continuerà ad essere gestita a livello centrale per finalità o programmi particolari): non potranno farlo con i trasferimenti statali perché ,come abbiamo visto, sono stati soppressi. • A fronte però di questa soppressione il provvedimento arricchisce la finanza regionale con nuove entrate o il potenziamento di quelle esistenti. a) L’articolo 2 infatti prevede a decorrere dal 2001 per le Regioni a Statuto ordinario l’istituzione di una nuova compartecipazione, quella dell’IVA. La quota che compete a ciascuna regione viene determinata sulla base della media dei consumi finali delle famiglie rilevati dall’Istat a livello regionale negli ultimi tre anni; la quota di compartecipazione viene stabilita ogni anno entro il 30 settembre con d.p.c.m. sulla base di parametri riferiti alla popolazione residente, alla capacità fiscale, ai fabbisogni sanitari alla dimensione geografica di ciascuna regione. Con il sistema delle compartecipazioni le Regioni vengono a fruire di una parte del gettito di un tributo erariale senza che per questo si trasformi l’attuale sistema tributario, con

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sostituzione di tributi erariali con tributi regionali ovvero con la modificazione di caratteristiche di tributi erariali; non si vengono a modificare le aliquote che come abbiamo visto nell’introduzione nel caso specifico dell’Iva sono vincolate al rispetto delle disposizioni in materia da parte delle autorità comunitarie. Il problema più evidente è che la compartecipazione all’Iva non è altro che un trasferimento statale camuffato; quello che cambia è il criterio di distribuzione delle risorse che in un caso si basa (compartecipazione) sull’imponibile Iva e nell’altro caso su parametri equitativi connessi con i fabbisogni di spesa. Non crea nuove risorse perché tutta la crescita di gettito più elevata rispetto alla media va a redistribuirsi tra le altre regioni e penalizzate in questo senso sono le Regioni con una economia più florida. Queste regioni cosiddette “ricche” si trovano in parte “spogliate” di quanto si produce, si consuma al loro interno: quale interesse possano avere a far crescere la propria economia, a combattere l’evasione fiscale? b) Per sopperire alla mancanza di gettito derivante dalla soppressione dei trasferimenti, oltre alla previsione della compartecipazione all’IVA, il decreto prevede l’aumento da una parte dell’aliquota dell’addizionale regionale all’IRPEF che a partire dal 2000, ai sensi dell’art. 3, sale di 0,4 punti percentuali portando l’aliquota minima da 0,5% a 0,9% e l’aliquota massima dall’ 1% all’1,4% e dall’altra a decorrere dal 2001 dell’aliquota di compartecipazione all’accisa sulle benzine spettante alle regioni a statuto ordinario che passa da 242 lire a 250 lire per ciascun litro di benzina venduto (art.4). c) Il d.lgs. 56/2000 prevede un nuovo meccanismo di perequazione tramite trasferimenti interregionali effettuati a valere sulle somme derivanti dalla compartecipazione al gettito dell’Iva: l’articolo 7 prevede infatti l’istituzione del Fondo perequativo nazionale al fine di consentire che una parte del gettito della compartecipazione all’Iva venga destinata alla realizzazione degli obiettivi di solidarietà interregionale. In riferimento alle spese sanitarie, per assicurare un uniforme livello essenziale di tutela sanitaria, ciascuna regione per la durata di un triennio (2001-2003) è vincolata ad impegnare una spesa sanitaria stabilita in funzione della quota capitaria fissata dal piano sanitario nazionale; la rimozione del vincolo dopo tale periodo è prevista solo per quelle regioni che hanno attivato le procedure di monitoraggio e di verifica dell’assistenza sanitaria erogata previste dal decreto. L’8 maggio scorso la Camera ha approvato il disegno di legge 1396 “Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale” che contiene all’articolo 8 la previsione della “graduale eliminazione dell’imposta regionale sulle attività produttive”, tramite uno o più decreti legislativi. Le Regioni hanno manifestato in varie sedi e in particolare durante una audizione ad hoc alla Camera tutta la loro preoccupazione per questa “eliminazione”. Secondo le Regioni il disegno di legge non resta fedele allo spirito enunciato. L’articolo 1 del provvedimento definisce il campo di intervento del disegno di legge delega prevedendo la riforma del solo sistema tributario statale. Nella relazione di accompagnamento dove si afferma l’impegno del Governo ad una stretta consequenzialità, logica e cronologica, tra la riforma statale e l’introduzione del federalismo fiscale, tema che sarà sviluppato, si afferma nella relazione, insieme ai soggetti politici che ne sono protagonisti. La contraddizione è macroscopica quando interviene radicalmente sull’Irap, negandone completamente (anche se implicitamente, niente affermando a questo proposito) la sua natura di imposta regionale e ponendola sullo stesso piano delle altre imposte statali. A questo riguardo le Regioni rilevano che il provvedimento contraddice l’impianto dell’art. 119 della Costituzione. L’articolo 8 prevede infatti, la “graduale eliminazione dell’IRAP, con prioritaria esclusione della base imponibile del costo del lavoro”. Nel sottolineare che in tale operazione di eliminazione non è previsto l’intervento delle Regioni, le stesse hanno ribadito che eliminare l’Irap significa togliere alle Regioni una leva fondamentale per la loro politica economica e finanziaria ed hanno espresso forti dubbi e perplessità sulla possibilità di individuare una base imponibile alternativa sulla quale far gravare un tributo proprio che presenti le stesse caratteristiche di manovrabilità, stabilità e di collegamento con la realtà economica territoriale. Questo intervento, l’unico del provvedimento, è disposto al comma 6 dell’articolo 9, e si limita soltanto a stabilire le modalità di compensazione delle minori entrate regionali a fronte della progressiva riduzione del gettito IRAP, mediante “trasferimenti o compartecipazioni”. Fino al completamento del processo di riforma costituzionale, si afferma infatti, “restano garantiti in termini quantitativi e qualitativi gli attuali meccanismi di finanza locale e regionale”. In tal senso il Federalismo viene inteso quale mera attribuzione di risorse, senza attribuire ad essa la valenza della responsabilità politica delle amministrazioni regionali nella determinazione di una propria politica fiscale.

Nello specifico delle singole tasse possiamo considerare che:

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a. A seguito dell’entrata in vigore della legge 23 dicembre 1996 n. 662 (che all’articolo, 3 comma 143, lettera d) ha previsto per le Regioni la facoltà di applicare le tasse sulle concessioni regionali), il numero delle tasse di concessione Regionale si è ridotto dalle 47 originarie alle attuali 13, con un ridimensionamento improntato su criteri di efficienza, economicità, competenza nell’emanazione degli atti, semplificazione per i cittadini, e supporto a categorie produttive (es. turismo e tempo libero). Come si evince dalle tabelle allegate questa azione di riduzione e semplificazione non ha tuttavia compromesso più di tanto il gettito, che resta di per se modesto ed è passato dai 17.665.900.324 di lire del 1998 ai 12.669.249.280 di lire del 2001, come evidenziato nelle tabelle 1 e 2 allegate. La Regione Piemonte con proprio provvedimento legislativo potrebbe prevedere di raddoppiare tale gettito. b. La tassa automobilistica regionale, pur con tutti i problemi di inattendibilità degli archivi e di cogestione degli stessi con il Ministero delle Finanze prima e dell’Economia e Finanze più Agenzia delle Entrate ora, è passata dai 696.330.755.519 di lire del ’98 ai 726.548.606.245 di lire del 2001, come illustrato dalle tabelle 1 – 3 allegate, a cui si devono aggiungere almeno una cinquantina di miliardi, non incassati per interventi legislativi del Parlamento e che dovranno essere ripianati dal Ministero dell’Economia e Finanze. La legislazione vigente, anche in attesa di un momento di chiarificazione rispetto alla portata del nuovo titolo V della Costituzione, attribuisce alle Regioni la facoltà di aumentare o diminuire gli attuali importi di un massimo del 10%. Quindi un incremento tariffario potrebbe portare nelle casse regionali 37/38 milioni di Euro in più. Occorre ancora ricordare che la tassa comporta e comporterà sempre di più in futuro degli oneri di gestione non proprio irrilevanti e dei profondi interventi ai fini della semplificazione e della equità fiscale per i cittadini. c. Sull’IRAP si è detto, occorre solo ricordare che qualora non se ne fosse prevista la soppressione, la Regione avrebbe dovuto dotarsi di una normativa propria, per disciplinare la gestione, dopo il periodo provvisorio iniziale e che avrebbe avuto un discreto spazio di manovra, potendo arrivare ad incrementare l’aliquota fino ad un punto percentuale (+ 600 milioni di Euro annui circa). Dal 1998 ad oggi (tabelle 1–4) il gettito è passato da lire 4.400.697 del ’99 a lire 4.973.637 del 2002. d. L’addizionale regionale all’IRPEF è per il 2002 al massimo previsto dalla legislazione vigente ed i proventi sono destinati alla sanità. Come si evince dalle tabelle 1 e 5, il gettito nei primi tre anni è notevolmente aumentato, anche a seguito del ritocco dell’aliquota disposta dal Governo con il d.lgs. 56/2000 ed è destinata ulteriormente ad aumentare nel corso del 2003 a seguito della l.r. 34/2001, che ha previsto il passaggio dell’aliquota dallo 0,9% al 1,4% con esclusione dei redditi fino a 10.329,14 euro. Come già detto, tuttavia, queste risorse sono in larga massima destinate a finanziare i disavanzi della sanità. e. L’addizionale regionale all’imposta di consumo sul gas metano, disciplinata dagli articoli 9-16 del d.lgs. 398/1990 si aggiunge all’imposta erariale di consumo sul gas metano utilizzato come combustibile. Ciascuna regione può determinare con propria legge l’importo dell’addizionale che deve essere compreso tra un minimo di 10 ad un massimo di 60 lire al metro cubo. Il d.lgs. 504/1995 stabilisce le utenze esenti; per questi tipi di utenze la Regione può prevedere di istituire una imposta regionale sostitutiva. La Regione Piemonte ha previsto di non applicare l’addizionale sul gas metano utilizzato per la produzione di energia elettrica. L’addizionale va versata dalle Società che forniscono il gas metano ai consumatori , mediante versamento nelle casse regionali, in base ai quantitativi di metri cubi di gas erogati in ciascuna regione; in base al d.l. n. 669 del 31 dicembre 1996, convertito nella legge 30 del 28 febbraio 1997, il pagamento dell’addizionale va effettuato in rate di acconto mensili entro la fine di ciascun mese, calcolate sulla base dei consumi fatturati nell’anno precedente. Il versamento a conguaglio viene effettuato entro il mese di febbraio dell’anno successivo a quello cui si riferisce; le somme eventualmente versate in più sono detratte dal successivo acconto. L’accertamento dell’addizionale è effettuato sulla base di dichiarazioni annuali contenenti tutti gli elementi necessari per la determinazione del debito. Le dichiarazioni sono presentate alla Regione in cui territorio è stato erogato il gas entro il mese di febbraio dell’anno successivo a quello cui si riferisce la dichiarazione. Il gettito, che in parte risente anche di fattori climatici, in quanto influenzano i consumi, ad aliquote invariate, è passato (tabelle 1-6) da lire 113.380.967.289 del 1998 a lire 151.621.193.499 del 2001 e per effetto della già citata legge regionale n. 34 del 2001 dovrebbe aggirarsi per il 2002 sui 50 milioni di euro.

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f. La tassa speciale regionale per il deposito in discarica di rifiuti solidi è stata istituita a partire dal 1-1-1996 dalla legge n. 549/1995, articolo 3, commi 24 - 41, al fine favorire la minor produzione ed il recupero degli stessi di materie prime ed energia, ed in sostituzione dell’imposta regionale di trascrizione (ARIER) trasferita alle Province a decorrere dal 1° gennaio 1996, presupposto è il deposito in discarica di rifiuti solidi, compresi i fanghi palabili. Soggetto passivo è il gestore dell’impresa di stoccaggio, definito con obbligo di rivalsa nei confronti di colui che effettua il conferimento. Una parte del tributo spetta alle Province (10%), il 20% del gettito è vincolato ad un fondo regionale destinato prioritariamente a finanziare l’attuazione di sistemi di smaltimento alternativi alle discariche, nonché a realizzare la bonifica dei suoli inquinati. La base imponibile è costituita dalla quantità dei rifiuti conferiti in discarica sulla base di quanto viene annotato in appositi registri. L’ammontare dell’imposta è fissato con legge regionale entro il 31-07 di ogni anno per l’anno successivo. In caso di mancata determinazione dell’importo entro il 31-07, la misura vigente si intende prorogata per l’anno successivo. Le misure sono fissate per kg. di rifiuti conferiti, sulla base di limiti minimi e massimi che variano nelle seguenti misure: - da lire 2 a lire 20 per rifiuti relativi al settore minerario, estrattivo, edilizio, lapideo e

metallurgico; - da lire 10 a lire 20 per gli altri rifiuti speciali; - da lire 20 a lire 50 per i restanti tipi di rifiuti. La misura del tributo varia altresì in ragione di un coefficiente di correlazione dato dalla qualità e dalle condizioni di conferimento dei rifiuti, ai fini della commisurazione dell’incidenza sul costo ambientale. La legge regionale del 3 luglio 1996 n. 39 delega, all’articolo 4, alle Province le funzione relative alla riscossione del tributo, nonché del relativo contenzioso tributario ed amministrativo. Il tributo è versato dai soggetti passivi indicati all’art. 2, alla provincia competente per territorio entro il mese successivo ad ogni trimestre. Con legge regionale del 29 agosto 2000 n. 48 si è provveduto ad aumentare parzialmente le tariffe a decorrere dal 1° gennaio 2001. Il gettito (figura 1 e 7) è passato da lire 37.713.801.387 del 1996 a lire 46.046.444.433. La perdita di gettito per le Regioni è sempre stata ripianata dal Ministero del Tesoro ai sensi del comma 48 dell’art. 3 legge 549/1995. g. La compartecipazione all’accisa sulla benzina è stata introdotta con la legge 28 dicembre 1995, n. 549 a seguito della cessazione, prevista a partire dal 1996 ,dei finanziamenti in favore delle regioni a statuto ordinario del Fondo Comune Regionale, del Fondo per i programmi di sviluppo, e di altri trasferimenti statali, come il finanziamento per il comparto agricoltura: a decorrere dal 1 gennaio 1996 una quota dell’accisa sulla benzina e sulla benzina senza piombo per autotrazione viene attribuita alla regione a statuto ordinario nel cui territorio avviene il consumo, nella misura di lire 350 al litro. La misura della compartecipazione passa da Lire 350 a Lire 242, con la legge 27 dicembre 1997, n.449, ed infine a Lire 250 al litro con il d.lgs. 56/2000. L’aumento della compartecipazione, in una ottica di autofinanziamento regionale, era auspicabile, se si pensa che già la misura originariamente prevista di Lire 350 al litro era insufficiente a coprire i trasferimenti soppressi e che la riforma della tassa automobilistica avviata nel 1998, al contrario delle previsioni, non ha portato maggiori entrate tali da compensare la riduzione della compartecipazione a Lire 242 al litro. Si tratta, come specificato dalla stessa legge istitutiva, di un tributo proprio che tuttavia viene gestito interamente dallo Stato, lasciando alle regioni limitati spazi di manovra: l'ammontare della compartecipazione viene versata dai soggetti obbligati al pagamento dell'accisa e viene trasferita mensilmente. La ripartizione delle somme viene effettuata sulla base dei quantitativi erogati nell'anno precedente dagli impianti di distribuzione di carburante che risultano dal registro di carico e scarico e quantificati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, senza nessuna possibilità di riscontro per le Regioni. Sarebbe auspicabile, in una ottica di autofinanziamento regionale, ai sensi della riforma del titolo V della Costituzione, che le Regioni avessero maggiore autonomia di “stabilire“ questo tributo proprio, istituito con legge statale, e nel contempo in una ottica di risparmio energetico che alle Regioni fosse attribuita una quota di tutte le accise sugli oli minerali e non solo sulla benzina (che per altro è il combustibile destinato a un sempre minore consumo). h. La compartecipazione all’IVA, prevista per le Regioni a Statuto ordinario dall’articolo 2 del d.lgs. 56/2000, è stata originariamente quantificata nella misura del 25,7%. L’aliquota della compartecipazione è stata successivamente innalzata sulla base dei dati consuntivi per il 1999 a 38,55%, dal d.p.c.m. 17 maggio 2001; l’importo di competenza di ciascuna Regione a SO è calcolato utilizzando come indicatore di base imponibile la media dei consumi finali delle famiglie rilevati dall’Istat a livello regionale nell’ultimo triennio disponibile. Si sta attualmente predisponendo il decreto che fissa l’aliquota per il 2002. Al fine di colmare il

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divario tra Regioni dovuto al differente trend di crescita economica, al fine di assicurare ad ogni Regione le risorse finanziarie necessarie per garantire ai propri cittadini un livello minimo di spesa (le risorse tributarie regionali sono collegate alla ricchezza prodotta localmente), il Decreto in oggetto intende conciliare l’obiettivo dell’autonomia finanziaria regionale con quello della solidarietà interregionale e a tal fine istituisce un Fondo perequativo nazionale, finanziato con una quota della compartecipazione all’Iva. Il funzionamento del Fondo avviene sulla base del meccanismo che regola l’assegnazione della compartecipazione all’IVA: innanzitutto si determina l’entità delle risorse statali destinate alle compartecipazioni regionali, nel 2001 pari al 38,55% dell’IVA riscossa sul territorio nazionale nel penultimo anno precedente a quello in considerazione. Ad ogni Regione spetta una quota, cosiddetta teorica, calcolata sulla base dei consumi regionali nei tre ultimi anni disponibili:questa quota viene poi corretta sulla base delle diverse esigenze regionali (spesa storica, popolazione residente,capacità fiscale, fabbisogno). La differenza tra percentuale teorica ed effettiva rappresenta la contribuzione al Fondo di ciascuna Regione. A finanziare quindi la redistribuzione sono Lombardia, Lazio, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Toscana, cioè quelle Regioni cosiddette ricche per cui la quota effettiva di compartecipazione all’Iva risulta inferiore a quella teorica, come si evince dalle tabelle allegate al d.p.c.m. 17 maggio 2001. Per l’anno 2001, si garantisce che venga coperta per intero la differenza tra i trasferimenti soppressi ed il gettito derivante dall’aumento dell’addizionale regionale all’IRPEF e della compartecipazione all’accisa sulla benzina. La frazione di spesa storica coperta con la compartecipazione all’IVA si riduce progressivamente sino a scomparire nel 2013. A regime la perequazione sarà determinata sulla base della quota di popolazione residente, capacità fiscale, fabbisogno sanitario procapite e spesa diversa da quella sanitaria. Nel 2001 la Regione Piemonte ha avuto come quota effettiva di compartecipazione all’IVA lire 4.062.000.000.000 e ha contribuito al fondo perequativo per lire 949 miliardi.

LA TASSA REGIONALE PER IL DIRITTO ALLO STUDIO È STATA ISTITUITA DALL’ART. 3, COMMI 20 E 23, DELLA LEGGE 549/95 COME TRIBUTO PROPRIO DELLE REGIONI, AL FINE DI INCREMENTARE LE DISPONIBILITÀ FINANZIARIE OCCORRENTI

PER L’EROGAZIONE DI BORSE DI STUDIO E PRESTITI D’ONORE AGLI STUDENTI UNIVERSITARI CAPACI E MERITEVOLI, MA PRIVI DI MEZZI. PER IL 1996 L’IMPORTO DELLA TASSA VARIAVA TRA UN MINIMO DI LIRE 120.000 AD UN MASSIMO DI LIRE 200.000, ED ANDAVA APPLICATO NELLA MISURA MINIMA QUALORA LE REGIONI

NON AVESSERO STABILITO DIVERSAMENTE ENTRO IL 30/ 06/1996.

PER GLI ANNI ACCADEMICI SUCCESSIVI IL LIMITE MASSIMO DI TALE TRIBUTO PUÒ ESSERE AGGIORNATO SULLA BASE DEL TASSO DI INFLAZIONE PROGRAMMATO. A FRONTE DELL’ISTITUZIONE DELLA NUOVA TASSA LE REGIONI NON POSSONO PIÙ

USUFRUIRE DEL CONTRIBUTO SUPPLETIVO, EX ART. 4 LEGGE N. 1551/1951, E DELLE QUOTE DI COMPARTECIPAZIONE DEL 20% DEGLI INTROITI DERIVANTI DALLE TASSE

DI ISCRIZIONE, EX ART. 5 LEGGE N. 537/93. CON LA LEGGE REGIONALE 1 AGOSTO 1996 N. 52 È STATA DATA ATTUAZIONE ALLA NORMA STATALE, DETERMINANDO L’IMPORTO DELLA TASSA IL LIRE 170.000 E DELEGANDO LE FUNZIONI RELATIVE ALL’ENTE CHE GESTISCE IL DIRITTO ALLO STUDIO UNIVERSITARIO (DI CUI ALLA

LEGGE REGIONALE 18 MARZO 1992 N. 16).

ENTRATE DELLA REGIONE PIEMONTE

ANNO 1998 ANNO 1999 ANNO 2000 ANNO 2001 TASSA AUTOMOBILISTICA 696.330.755.519 687.806.324.285 693.117.776.741 726.548.606.245

ANNO 1999 ANNO 2000 ANNO 2001 ADD. IRPEF REGIONALE 377.577.539.000 419.967.501.000 529.345.721.000

ANNO 1999 ANNO 2000 ANNO 2001 IRAP PUBBLICA 853.488.453.300 872.556.840.260 963.801.627.740

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IRAP PRIVATA 3.547.208.656.191 3.883.559.424.874 4.009.835.511.252 IRAP TOTALE 4.400.697.109.491 4.756.116.265.134 4.973.637.138.992

ANNO 1996 ANNO 1997 ANNO 1998 ANNO 1999 ANNO 2000 ANNO 2001 TRIBUTO SPECIALEDISCARICHE 37.713.801.387 36.580.111.832 33.899.842.334 34.218.507.855 33.142.611.483 46.046.444.433

ANNO 1998 ANNO 1999 ANNO 2000 ANNO 2001 ADD. REG. IMPOSTA GASMETANO 113.839.967.289 162.481.641.347 153.158.448.940 151.621.193.409

ANNO 1998 ANNO 1999 ANNO 2000 ANNO 2001 ACCISA BENZINA 360.380.201.493 351.012.618.385 329.520.707.981 406.743.940.204

ANNO 1998 ANNO 1999 ANNO 2000 ANNO 2001 TASSE DI CONC.

REGIONALE 17.665.900.324 17.867.883.888 15.865.065.396 12.669.249.280

ANNO 1995 ARIET 76.135.361.595

ANNO 2001 COMP. IVA 4.062.000.000.000

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2 – LA SITUAZIONE FINANZIARIA 2003 – 2005

Lo scenario finanziario per i prossimi tre anni è fortemente influenzato da quanto verrà disposto in attuazione dei provvedimenti concernenti il federalismo amministrativo, quello fiscale e l’attuazione dell’autonomia finanziaria. Il DPEF nazionale è in fase di discussione e non se ne è potuto tener conto, se non in minima parte, nella elaborazione delle previsioni sulle possibili entrate regionali. Non bisogna sottovalutare il fatto che tributi di competenza regionale quali IRAP e bollo auto, sono oggetto di proposte di esenzione o addirittura di soppressione. E’ sicuramente prevedibile che la soppressione di un tributo regionale o la sua riduzione in base ad un provvedimento del governo centrale, saranno accompagnati da un trasferimento sostitutivo però è pur vero che l’esperienza recente in materia di modificazione dei canali di finanziamento, non è completamente rassicurante. I vincoli del patto di stabilità sono stati accettati dalle Regioni, ma ultimamente, pongono problemi di non semplice soluzione anche solo in termini di cassa. In attesa di poter disporre di dati più attendibili, la stima delle risorse acquisibili e delle spese rigide del triennio, è stata fatta secondo le seguenti premesse:

• è stata ipotizzata la copertura della spesa sanitaria senza dover fare ricorso a risorse regionali aggiuntive;

• le entrate tributarie regionali sono state mantenute costanti perché non si intravedono elementi che potrebbero farne registrare un incremento significativo;

• le entrate da mutui sono state quantificate ipotizzando che gli oneri per il mutuo per il disavanzo sanitario 2000 vengono posti a carico della Regione per la quota del 30%;

• è stato ipotizzato che i mutui autorizzati debbano anche essere stipulati e che, di conseguenza, diano luogo ad oneri finanziari nell’anno successivo;

• si è tenuto conto dei mutui in scadenza nell’arco del triennio; • non sono state valutate variazioni significative dei tassi passivi; • le spese di funzionamento sono state incrementate del 1,4% pari al tasso programmato di inflazione; • le spese di Settore rigide sono state quantificate sulla base del fabbisogno finanziato per l’anno in

corso. La stima del “bilancio autonomo” della Regione al netto della Sanità è riportato nella tabella allegata. Il “bilancio autonomo” verrà integrato, non appena note, con le assegnazioni da parte dello Stato e della UE. Nei prossimi giorni le Regioni saranno chiamate ad esprimere un parere sul Documento di Programmazione Economico Finanziaria (DPEF) 2003-2006 del quale sono disponibili, per ora, solo degli stralci. E’ il primo DPEF posteriore alla riforma costituzionale del titolo V e costituirà il quadro macroeconomico di riferimento della “legge di stabilità” che sostituisce la legge finanziaria. Il DPEF è costruito sui seguenti imperativi: stabilità, riforma, sviluppo. Per quanto riguarda la stabilità prevede: un tasso di inflazione dell’1,4%; un tasso di disoccupazione per il 2006 del 6% e un tasso di occupazione che dovrebbe crescere e raggiungere il 60% della popolazione. Il rapporto indebitamento netto della Pubblica amministrazione/PIL dovrebbe scendere, nel 2003, allo 0,8% Le riforme riguardano essenzialmente: il mercato del lavoro, la riforma dello Stato sociale e la riforma fiscale. La riforma fiscale non dovrebbe ridurre la parte di gettito compartecipata dalle Regioni.

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Lo sviluppo dovrebbe essere consentito dal contenimento delle dinamiche di spesa, in particolare quella sanitaria, senza però effettuare tagli, consentendo di liberare risorse per gli interventi. Nella sostanza si tratta di realizzare interamente il Patto di stabilità e crescita. Tenendo conto che la riforma fiscale toccherà molto da vicino le Regioni, si è ritenuto opportuno, nelle pagine successive, fare il punto sull’autonomia impositiva delle Regioni.

ENTRATE PRESUNTE AL NETTO DELLA SANITA’ 2003 2004 2005

ENTRATE TRIBUTARIE 800.485.469 800.485.469 800.485.469

ENTRATE EXTRATRIBUTARIE 19.863.664 19.863.664 19.863.664

ENTRATE DA MUTUI 349.000.000 349.000.000 349.000.000

TOTALE 1.169.349.133 1.169.349.133 1.169.349.133

RIEPILOGO FONDI REGIONALI SPESE VINCOLATE

PER: 2003 2004 2005

FUNZIONAMENTO 269.072.511 272.839.526 276.659.280 SPESE DI SETTORE :

- Lavoro - Ist. Diritto allo Studio - Formaz. Prof. - Cultura - Ass. Sociale - Foreste Ec. Montana Caccia e Pesca Trasporti Artigianato Turismo Commercio Urbanistica Prot. Natura, Beni Ambientali Parchi Trasf. Province

472.535.619

473.000.000 474.000.000

ONERI FINANZIARI

Annualità Limiti di impegno - Garanzie fidejussorie Mutui (Inter. e capitale)

303.791.348 338.883.851 369.192.225

TOTALE 1.045.399.478 1.084.723.377 1.094.300.399

SALDO ( Entrate – Spese Vincolate) 123.949.655 84.625.756 49.497.628

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3 – L’ATTUAZIONE DEL DECENTRAMENTO - (ENTI LOCALI)

La ricerca della definizione già per l’anno 2002 del “Fondo per l’esercizio delle funzioni conferite” partendo dai dati consuntivi dell’anno 2001 (vedasi quadro allegato A). ha ottemperato al dettato legislativo di cui all’art. 10 della l.r. 34/1998, e ha risposto alle richieste degli Enti Locali per l’avvio dell’esercizio delle funzioni conferite con decorrenza 1 gennaio 2000, 21 febbraio 2001 e 22 marzo 2001 rispettivamente per la l.r. 17/1999, 44/2000 e 5/2001. Il percorso “in progress” della costituzione del fondo condiviso e concertato con gli Enti Locali (vedasi quadro allegato B) ha dato certezza di trasferimenti ed un’ipotesi di strumento finanziario prefigurando i passi successivi necessari per il DPEF del triennio 2003-2005. L’unità revisionale di base relativa alle spese sopraindicate dovrà tenere conto degli impegni assunti nel 2002, del fatto che le spese di funzionamento dovranno dare copertura anche alle maggiori spese, stimate in € 1.032.913,80 per la Formazione professionale, e degli accordi assunti con gli Enti Locali. Pertanto per l’anno 2003 si prefigura una dotazione finanziaria di base pari a € 55.000.000,00 da riproporre per gli anni 2004 e 2005 al fine di consentire agli Enti Locali di programmare le proprie attività nello stesso arco temporale. Ulteriori trasferimenti agli Enti Locali dovranno trovare copertura da minori spese relative a settori interessati al trasferimento di funzioni non compiutamente quantificate. Significativi riflessi sul trasferimento delle risorse per l’esercizio delle funzioni conferite deriveranno, anche per la Regione, dall’applicazione del punto 4 dell’Intesa istituzionale recentemente firmata dal Governo, dalle Regioni e dagli Enti Locali, ovvero: - dall’istituzione di una conferenza mista per definire l’impianto complessivo del federalismo fiscale; - dall’avvio del trasferimento di una parte delle risorse necessarie per svolgere le competenze esclusive e le funzioni amministrative derivanti dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, da definire in legge finanziaria, senza oneri finanziari addizionali, con contestuale riduzione delle corrispondenti voci di costo a carico del bilancio dello Stato, con particolare riferimento alle spese per le strutture ed il personale statali. Quanto sopra tenuto conto fin d’ora delle previsioni di cui al comma 2 dell’articolo 5 del disegno di legge n. 1545 recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3” (d.d.l. c.d. La Loggia), il quale espressamente prevede che le disposizioni in esso riportate trovino applicazione fino alla data di entrata in vigore delle norme relative al nuovo sistema finanziario in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.

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QUADRO ALLEGATO A) RENDICONTO DELLE SPESE RELATIVE ALLE FUNZIONI CONFERITE AGLI ENTI

LOCALI ANNO 2001 - LEGGE REGIONALE 17/99

Spese di funzionamento €. 3.460.727,07 Alle Province

Piemontesi €. 3.021.738,70

Alle Comunità Montane €. 438.988,36

Spese di Personale €. 10.899.983,69 Personale trasferito alle Province in n. 259 unità - LEGGI REGIONALI 44/2000 e 5/2001

Spese di funzionamento €. 3.694.231,95 Alle Province

Piemontesi €. 2.650.834,08

Ai Comuni Piemontesi €. 773.394,21 Alle Comunità Montane €. 270.003,67

Spese di settore €. 22.148.986,71

Alle Province Piemontesi

Ambiente €. 1.539.041,56 Energia €. 903.799,57 Cultura €. 1.673.320,35 Edilizia Scolastica €. 3.563.552,60 Politiche Sociali €. 9.597.689,37 Protezione Civile €. 826.331,04 Risorse Idriche €. 1.549.370,70

Spese di Personale Non sono state trasferite unità di personale QUADRO ALLEGATO B) NEL BILANCIO REGIONALE PER L’ANNO 2002 LE RISORSE DESTINATE AGLI ENTI

LOCALI AI SENSI DELLE l.r. 17/1999, 44/2000 e 5/2001 E PREVISTE NEL CAP: 16005 “Fondo per l’esercizio delle funzioni conferite” SONO COMPLESSIVAMENTE PARI A:

A) Spese di Personale € 10.347.185,30 B) Spese di

funzionamento €. 15.012.196,68

C) Spese di intervento €. 24.457.567,83 D) Spese di

investimento €. 3.613.752,22

TOTALE €. 53.430.702,03

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P A R T E III

LINEE DI INTERVENTO STRUTTURALE

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PREMESSA

Le linee di intervento strutturale indicate dal DPEFR della Regione Piemonte per il 2003-2005 concorrono a definire, con un riferimento temporale più delimitato e con un più specifico aggancio con strumenti di intervento, azioni e risorse, le strategie e i principi indicati nel Programma regionale di sviluppo approvato dalla Giunta regionale come documento programmatico di legislatura.

Esse riprendono le linee già indicate nel DPEFR 2002 – 2004 presentato nel novembre del 2001, rivedendole sia per aggiornare i dati e i contenuti, sia per integrare le informazioni e le indicazioni programmatiche, sia per adeguarle ai mutamenti del contesto economico, sociale, politico o normativo.

Il quadro di riferimento programmatico del DPEFR è pertanto costituito da un lato dal PRS (che anche in virtù del nuovo sistema di elezione diretta del Presidente della Giunta regionale viene ad assumere una funzione paragonabile a quella del piano strategico di mandato prevista per gli Enti locali), e dall’altro dai Documenti di programmazione degli interventi cofinanziati dalla UE (Programma sviluppo rurale, POR Ob 3, DOCUP Ob 2, Interreg e Leader).Questi programmi infatti per l’approfondimento delle analisi effettuate, per l’articolazione e rilevanza delle strategie delineate (che riguardano una ampia gamma di tematiche e di settori di intervento e a vario titolo tutto il territorio regionale), per lo sforzo compiuto di coordinare e armonizzare le politiche regionali con quelle nazionali e comunitarie, non sono da considerare semplici atti di programmazione della spesa, ma atti programmatici che integrano a pieno titolo il Programma regionale di sviluppo in fondamentali campi di intervento con un respiro pluriennale.

Le linee di intervento strutturale che vengono in seguito illustrate sono articolate in modo da evidenziare i percorsi fondamentali su cui intende muoversi l’Amministrazione regionale nel prossimo triennio con riferimento alle attività e alle competenze che in modo più significativo incidono dal punto di vista economico e finanziario, delineando un quadro sintetico ma da cui emergono in maniera sufficientemente chiara sinergie e coerenze delle diverse strategie e che consente altresì di evidenziare la convergenza su tali strategie di piani, programmi, politiche settoriali e progetti.

Le linee fanno riferimento anche al quadro di previsioni e compatibilità finanziarie e forniscono indicazioni utili per orientare la formazione del bilancio: si tratta tuttavia soprattutto di delineare strategie d’intervento fornendo una base conoscitiva di riferimento e indicazioni più qualitative che quantitative, non potendo e non dovendo il DPEFR sostituirsi al bilancio di previsione e alla legge finanziaria in cui si verificano i riscontri e le coerenze sotto il profilo contabile e finanziario. Nel documento di strategie si ritiene invece utile fornire una serie di elementi conoscitivi riguardanti risorse finanziarie per investimenti che, in molti casi non troveranno riscontro contabile nel bilancio regionale, ma che sono di fondamentale importanza per lo sviluppo del Piemonte e che interagiscono con le scelte di politica regionale.

Pur riferendosi il DPEFR al triennio 2003-2005, tutta una serie di considerazioni e indicazioni si riferiscono all’intera legislatura, con una necessaria proiezione fino al 2006 ed oltre, per una serie di programmi che coprono un arco temporale più ampio (Fondi comunitari, Olimpiadi, Intesa Stato-Regione, ecc.).

Con le strategie successivamente illustrate nelle 9 linee di intervento strutturale, l’Amministrazione regionale intende perseguire i seguenti principali obiettivi:

Favorire il completamento del processo di transizione e di trasformazione del sistema economico produttivo del Piemonte.

Promuovere l’internalizzazione del Piemonte e il suo organico inserimento nel sistema europeo.

Supportare lo sviluppo economico e sociale con un forte potenziamento delle reti infrastrutturali.

Favorire la crescita, la qualificazione e la competitività del sistema produttivo delle imprese.

Sviluppare il marketing del territorio e la competitività e l’attrattiva dei sistemi territoriali.

Migliorare la qualità dell’ambiente e del territorio per uno sviluppo di qualità.

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Migliorare le tutele e le sicurezze alimentari, sanitarie, di incolumità e salvaguardia delle persone e delle cose.

Decentrare, snellire, qualificare e adeguare alle esigenze del sistema-regione l’amministrazione pubblica.

Rendere efficienti i servizi pubblici in un corretto rapporto costo-benefici.

Favorire la qualificazione della forza lavoro, consolidare il miglioramento della situazione occupazionale, favorire l’inserimento lavorativo delle fasce deboli.

Accompagnare lo sviluppo economico con interventi di coesione sociale, di solidarietà e assistenza.

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LINEE DI INTERVENTO STRUTTURALE

1. VALORIZZAZIONE DELLE OPPORTUNITÀ FINANZIARIE ESTERNE

2. RAZIONALIZZAZIONE E QUALIFICAZIONE DELLA SPESA SANITARIA

3. SVILUPPO DELLE IMPRESE E DELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE

4. MODERNIZZAZIONE E RIORDINO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

5. INNOVAZIONE , ISTRUZIONE, CULTURA, VALORIZZAZIONE DELLE RISORSE UMANE

6. APERTURA ALL’ESTERNO E INTERNAZIONALIZZAZIONE

7. POLITICHE ATTIVE TERRITORIALI ED AMBIENTALI

PER UNO SVILUPPO DI QUALITÀ

8. RICOSTRUZIONE POST-ALLUVIONE , PREVENZIONE E PROTEZIONE DEL TERRITORIO

9. WELFARE E COESIONE SOCIALE

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1

VALORIZZAZIONE DELLE OPPORTUNITÀ FINANZIARIE ESTERNE.

In un quadro generale di finanza pubblica che, per rispettare i parametri del trattato comunitario di Maastrich e i vincoli del patto di stabilità nazionale, punta ad un contenimento della spesa pubblica e ad un alleggerimento della pressione fiscale, risultano ridotti gli spazi di manovra per la finanza regionale. Per evitare il rischio di gestire uno status quo che conduce al declino, occorre fare ogni sforzo necessario per reperire risorse finanziarie da investire per lo sviluppo.

Nel decalogo delle azioni guida illustrate dal Programma Regionale di Sviluppo viene indicata l’esigenza di ottimizzare le risorse, costruire sinergie con soggetti esterni, potenziare la capacità di convogliare finanziamenti comunitari, incrementare l’efficacia delle attività di lobbyng (quale rappresentanza di interessi complessivi della comunità piemontese).

L’Amministrazione regionale si è quindi mossa nella direzione di attivare risorse esterne di investimento per lo sviluppo del Piemonte, integrandole con le risorse del proprio bilancio, indipendentemente che il destinatario “amministrativo” dei fondi siano la Regione o altri soggetti pubblici o privati del sistema piemontese.

Tale linea di comportamento che privilegia anche le sinergie e la concertazione (orizzontale e verticale) sta producendo effetti rilevanti in termini di risorse disponibili per il prossimo quinquennio, di cui si delinea una panoramica.

1.1 - FONDI COMUNITARI

I fondi strutturali rappresentano una delle principali fonti di finanziamento esterno per le attività che possono ricadere sul territorio regionale.

Come si può vedere dalla tabella allegata garantiscono nel periodo 2000/2006 circa 4000 milioni di Euro di finanziamento pubblico e che attivano complessivamente investimenti per circa 4500 milioni di Euro.

Da qui l’enorme attenzione che si concentra sul loro utilizzo, anche in considerazione delle modalità e dei tempi imposti dai regolamenti comunitari, molto rigidi per la programmazione 2000-2006, che prevedono una verifica di metà periodo, il cui esito può penalizzare o premiare in termini finanziari le autorità di gestione.

La corsa quindi a raggiungere gli obiettivi previsti per evitare tagli nei finanziamenti, porta ad uno sforzo organizzativo notevole delle strutture responsabili dei vari programmi, che devono recuperare il ritardo dovuto ai tempi della fase di programmazione che si sono dilatati notevolmente.

Nel corso del 2001 sono infatti stati approvati i documenti di programmazione previsti dai regolamenti comunitari, per gli obiettivi 2 e 3 e per i programmi di intervento comunitari che interessano la nostra Regione : Interreg III, Leader +, Equal.

Conclusa quindi la fase programmatoria , i fondi strutturali previsti per il periodo 2000-2006 sono ora entrati nella fase dell’attuazione.

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Il FSE (obiettivo3) nell’ultimo Comitato di Sorveglianza ha presentato dati di monitoraggio finanziario di buon livello e, in base a questi dati, è ipotizzabile che il FSE possa superare positivamente nel 2003 la verifica di metà periodo e candidarsi ad ottenere la riserva di performance, cioè un ulteriore quota di finanziamento.

Diversa è la situazione per il FESR che di fatto sta ora partendo con i bandi, dato il ritardo nell’approvazione della zonizzazione e dei documenti programmatori.

Ora quindi ci si trova di fronte ad un grande sforzo per recuperare entro il 2003 gli impegni e le spese delle risorse degli anni 2000, 2001 e 2002.

Sta infine procedendo positivamente, nonostante qualche iniziale difficoltà tecnica anche il sistema di monitoraggio MONIT 2000, promosso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che prevede l’invio trimestrale dei dati di monitoraggio fisico, procedurale e finanziario, per tenere sotto controllo a livello nazionale l’andamento dell’utilizzo dei fondi strutturali.

Denominazione Tipo di intervento Periodo di attuazione

Tipo di fondo

Fondi comunitar

i Fondi

nazionali Totale Fondi

pubblici Fondi privati

Totale investimenti

A B C = A+B D E = C+D

DOCUP obiettivo 2 Riconversione economica e

sociale delle zone con difficoltà strutturali.

2000-2006 FESR 407,46 505,29 912,75 114,00 1.026,75

Programma Phasing Out

Sostegno ai comuni che escono dall'obiettivo 2 o 5b. 2000-2005 FESR 81,14 101,80 182,93 32,25 215,18

POR obiettivo 3 Adeguamento e

ammodernamento delle politiche dei sistemi di istruzione,

formazione e occupazione.

2000-2006 FSE 446,55 545,79 992,34 11,61 1.003,95

Piano di Sviluppo rurale

Interventi per lo sviluppo del sistema agricolo e agroindustriale.

* 2000-2006 FEOGA 363,24 623,14 986,38 485,00 1.471,38

Programma operativo per la pesca

Azioni strutturali nel settore della pesca. 2000-2006 SFOP 0,45 0,70 1,15 1,83 2,98

Interreg III Italia - Francia

Cooperazione,transfrontaliera, transnazionale, interregionale. 2000-2006 FESR 63,34 86,79 150,13 7,41 157,55

Interreg III Italia - Svizzera

Cooperazione,transfrontaliera, transnazionale, interregionale. 2000-2006 FESR 25,56 25,56 51,12 23,32 74,44

Leader III Sviluppo integrato e sostenibile delle zone rurali. 2000-2006 FEOGA 11,32 11,32 22,64 14,25 36,89

Urban Miglioramento di vita delle città con condizioni di disagio. 2000-2006 FESR 10,50 14,29 24,79 24,79

Equal Riduzione delle discriminazioni e della disoccupazione nel mondo

del lavoro. 2001-2003 FSE 394,40 394,40 788,80 788,80

Totale 1803,96 2309,08 4113,03 689,67 4802,70

In milioni di euro

* compresi gli aiuti di Stato regionali aggiuntivi

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1.2 - PROGRAMMAZIONE NEGOZIATA

Con la l. 662/1996 sono stati ridefiniti organicamente a livello nazionale gli strumenti di concertazione degli interventi per lo sviluppo che vanno sotto il nome di “Programmazione negoziata”.

Il Piemonte aveva già avviato il processo di concertazione tra Stato e Regione siglando il 5 maggio 1999 il “Patto per lo sviluppo” che ha costituito un primo quadro di riferimento per i successivi accordi.

Il Piemonte è più direttamente interessato da due strumenti negoziali quali l’Intesa istituzionale di programma e i Patti territoriali, e più indirettamente dallo strumento dei contratti di programma.

1.2.1. Intesa istituzionale di programma

L’Intesa Istituzionale di Programma (IIP), tra il Governo nazionale e la Regione Piemonte, è stata sottoscritta il 22 marzo 2000. Sulla base di quanto contenuto nell’IIP sono stati stipulati specifici Accordi di Programma Quadro (APQ), come specificato nella tabella successiva n. 1, che riguardano: la Sanità, le Infrastrutture idriche di collettamento e depurazione delle acque reflue urbane, i Beni Culturali, e le Infrastrutture idriche di approvvigionamento e distribuzione delle acque destinate al consumo umano.

Sono in fase di definizione un APQ riguardante i Trasporti e la mobilità (Progetto MOVIcentro) e uno riguardante il Turismo. Inoltre, è in fase di definizione anche un APQ per la Difesa del suolo, utilizzando le economie delle risorse stanziate con programmi precedenti all’IIP

Con deliberazione del 3 maggio 2002 il CIPE ha stabilito l’assegnazione delle risorse per le aree depresse per gli anni 2002 – 2004 e la loro ripartizione tra le Regioni per il finanziamento dell’Intesa Istituzionale di Programma. Al Piemonte sono assegnati 52.150 milioni di Euro, sulla base delle stesse quote di riparto applicate nelle precedenti deliberazioni del CIPE 84/2000 e 138/2000.

La delibera è stata assunta in attuazione dell’art. 73 della legge finanziaria 2002, che stabilisce di applicare i criteri della programmazione comunitaria anche ai fondi nazionali sulla base di tre principi.

Il primo è la “coerenza programmatica” dei progetti presentati con i principi della programmazione comunitaria o, laddove essi manchino, con quelli della programmazione regionale.

Il secondo è l’”avanzamento progettuale”, con il quale si intende che verranno privilegiati nella destinazione dei fondi i progetti che presentano un profilo di spesa anticipato, cioè che prevedono una spesa maggiore entro il 2004. A parità di coerenza programmatica dei progetti presentati, l’avanzamento progettuale diventa il criterio principale per la selezione.

Il terzo è la “premialità”, che consente di destinare, alla fine del triennio, una quota pari al 10% delle risorse inizialmente disponibili a quelle Amministrazioni che avranno rispettato il profilo della spesa prevista e che avranno presentato (nel febbraio 2003 e nel febbraio 2004) due relazioni sullo stato di avanzamento dei progetti finanziati. A tali misure si affiancano, da un lato, incentivi per le Amministrazioni a presentare la lista dei progetti da finanziare entro il dicembre 2002 e, dall’altro, sanzioni/decurtazioni per le Amministrazioni che risultino in ritardo rispetto all’impegno delle risorse loro destinate.

La Regione deve presentare, entro il 31 dicembre 2002, un cronoprogramma con l’elenco dei progetti da finanziare e del relativo profilo di spesa annua, previsto per ciascuno di essi.

La Delibera CIPE del 2002, nell’ambito dei settori prioritari dell’intesa Istituzionale di Programma, garantisce la completa attuazione della normativa comunitaria, nazionale e regionale di riferimento, sulla base dei criteri contenuti nel Quadro Comunitario di Sostegno 2003 - 2006.

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ACCORDO DI PROGRAMMA QUADRO (APQ) Legge

662/96 Data di stipula Periodo di

intervento Cofinanziamento

Statale - Euro Investimento Totale

Euro

Sanità 6/9/2000 2000 - 2003 598.555.987 984.908.613 Infrastrutture idriche e di collettamento e depurazione delle acque reflue urbane 4/12/2000 2001 - 2002 50.251.256 65.021.924

Beni Culturali 18/5/2001 2001 - 2005 116.811.705 312.703.807 Infrastrutture idriche di approvvigionamento e distribuzione delle acque destinate al consumo umano 26/7/2001 2001 - 2003 44.157.065 61.492.074

Trasporti Da definire --- 24.273.474 85.896.079 Turismo Da definire -- 9.554.453 13.649.219 Difesa del suolo Da definire --- 6.658.036 6.734.345 Totale 850.261.976 1.530.406.061 Finanziamento nuovi APQ. – Del. CIPE - 3 maggio 2002 52.150.000

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1.2.2 Patti territoriali

Lo strumento concertativo del Patto territoriale ha avuto notevoli applicazioni in Piemonte sia per iniziativa delle amministrazione provinciali, in particolare quella di Torino, sia per quella di alcune dinamiche realtà locali.

Ai 3 iniziali patti (Alta Langa e Val Bormida, Cuneese - Valli Gesso, Vermenagna Pesio, Alessandrino) si è aggiunto il patto territoriale del Canavese e successivamente quelli “generalisti” del Pinerolese, Torino Sud, Torino zona Ovest, Torino Stura, Sangone, Po, Val di Susa, Alpi del Mare I, Alta Val Tanaro, Nord Astigiano, Verbano-Cusio-Ossola e i 6 “agricoli” del Canavese, Alpi del Mare II, Valle di Susa, Zona Ovest di Torino, Val Bormida -Alta Langa, Sud-est alessandrino.

In base agli indirizzi del CIPE e alle risultanze delle istruttorie a livello nazionale risultano essere stati decretati e quindi finanziabili per gli aspetti imprenditoriali, oltre ai patti della seconda generazione, i Patti “generalisti” del Canavese e dell’Alta Langa - Val Bormida, Pinerolese, Torino sud, Torino Zona Ovest, Sangone, Torino Stura, Alpi del Mare I , Verbano Cusio - Ossola e i 6 patti agricoli.

Per quanto riguarda le infrastrutture, per i Patti del Canavese e dell’Alta Langa in base agli accordi intercorsi, sono state finanziate mediante Accordi di Programma tra Regione e Province, mentre per i restanti, la copertura finanziaria è assicurata in quanto il Piemonte è ricompresso nel decreto relativo alle regioni alluvionate.

E’ da definire invece, la copertura delle infrastrutture dei patti agricoli, per altro di limitata incidenza e non determinante per l’avvio degli stessi.

Resta ancora da individuare anche alla luce della contrattazione per la “regionalizzazione” delle Programmazione negoziata, l’iter e l’esito per i patti avviati e non decretati perché in itinere o non giunti a compimento (Po, Val di Susa, Nord astigiano. Alta Val Tanaro).

Si può stimare che i Patti territoriali attiveranno investimenti sul territorio piemontese per quasi 1.400.000.000 € e cofinanziamenti statali per circa 300.000.000 €.

L’amministrazione regionale opererà affinché vengano sciolti gli ultimi nodi a livello nazionale e perché vengano definite chiaramente le modalità di finanziamento dei Patti stessi in modo da assicurare la disponibilità di importanti risorse di investimento per lo sviluppo locale, che vanno a integrarsi con quelle previste dal DOCUP ob.2

PATTI DECRETATI Tipologia N° Patti Cofinanziamento statale In Euro

Investimento previsto In Euro

Patti territoriali generalisti 11 299.064.180 1.269.893.145

Patti territoriali agricoli 6 23.992.005 45.913.534

TOTALE 17 323.056.185 1.315.806.679

1.2.3 - Contratti di programma

I contratti di programma sono stipulati direttamente tra amministrazione statale e imprese per la realizzazione di investimenti in aree depresse e trovano applicazioni principalmente nelle regioni Ob. 1 . Di particolare interesse per il Piemonte è il contratto di programma stipulato dal Ministero con le Ferrovie dello Stato (2001 – 2005) che prevede tra le altre cose nei prossimi anni importanti investimenti per il nodo

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ferroviario di Torino e per i collegamenti internazionali e interregionali (Torino - Milano e Torino - Lione) per 3057 miliardi di lire su fondi statali.

1.3 - ALTRE RISORSE PER GLI INVESTIMENTI

Assai significativa risulta inoltre la dotazione di risorse finanziarie pubbliche a sostegno di investimenti che saranno attuate nei prossimi anni in ambiti di intervento strategico per lo sviluppo regionale. Si tratta di risorse finanziarie che solo in parte sono “amministrate” dalla Regione e sono registrate dal bilancio regionale, ma per le quali la Amministrazione regionale, anche nel nuovo scenario di decentramento federale e di rapporto negoziale fra Stato e Regione, ha già svolto e intende svolgere per il futuro un ruolo di sollecitazione, di coordinamento programmatico, di valutazione strategica per gli impatti territoriali/ambientali e di verifica per le ricadute socio economiche. TABELLA “A” - - PRINCIPALI FONDI STATALI ASSEGNATI ALLA REGIONE O COPROGRAMMATI DALLA REGIONE

PROGRAMMA D'INTERVENTO FONDI STATALI Euro

Fondo Unico per le imprese - (l.r. 44/2000) 67.140.000,00 Stanziamento annuo + 36 mil. € cofinanziamento regionale

L. 488/92 – Industria Commercio Turismo 44.896.000,00 Stanziamento annuo Fondo per la montagna 4.187.000,00 Stanziamento annuo

Contributo energia fotovoltaica e solare 2.934.596,00 Stanziamento annuo

Legge quadro turismo 135/2001 6.422.000,00 Stanziamento biennio 2001/2002

Ricerca e formazione (Delib. Cipe 3/5/2001) 12.516.000,00 Stanziamento annuo

L.21/2001 Edilizia in locazione 42.000.000,00 Stanziamento triennale 2000/2002

Fondi statali indistinti per le politiche sociali (l.328/2000) 35.109.204,00 Stanziamento annuale

Fondo statali finalizzati per le politiche sociali (l. 328/2000/ 285/1997 ecc.) 17.578.441,00 Stanziamento annuale

Fondo solidarietà nazionale assicurazioni agevolate in agricoltura 10.000.000,00 Stanziamento annuale

Fondo per alluvione 2.571.000.000,00 Stanziamenti pluriennali Sisma 2000 61.900.000,00 Stanziamento 2000/2001

Note: Per stanziamento annuo si intende che lo stanziamento è stabilito annualmente dalla legge finanziaria dello Stato. Negli altri casi il periodo di stanziamento è riferito al bilancio dello Stato , mentre l’effettivo utilizzo delle Risorse da parte della Regione avviene negli anni successivi

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TABELLA “B” – ALTRI FONDI –Stime

PROGRAMMA D'INTERVENTO COSTO INVESTIMENTO COFINANZIAMENTO STATALE

Euro Euro

Olimpiadi 2006 (comprese infrastrutture

mobilità) 2001 - 2005 1.763.000.000 1.571.000.000

Edilizia universitaria 1°Programma 2002 - 2004 412.132.605 162.683.923

Infrastrutture ferroviarie di livello sovraregionale 2002 - 2004 17.817.763.019 7.560.929.003

Infrastrutture ferroviarie di livello regionale 2002 - 2004 466.264.002 466.264.002

Infrastrutture ferroviarie di livello locale 2002 - 2004 1.014.063.121 600.639.374

Infrastrutture trasporto su gomma -

Movicentro – Movilinea 2002 - 2004 102.924.695 24.273.474

Infrastrutture viarie di livello sovraregionale 2002 - 2004 1.698.988.261 813.006.451

Programma nazionale per l’approvvigionamento idrico

in agricoltura e per lo sviluppo dell’irrigazione

Previsione programmatica

pluriennale 880.000.000 880.000.000

Come si è detto, l’insieme delle risorse finanziarie per gli investimenti che derivano da fonti esterne costituiranno una importante leva per favorire il riposizionamento e lo sviluppo del Piemonte, forse più significative in termini qualitativi che quantitativi per i comparti e i nodi che va a toccare.

L’Amministrazione regionale punta ad assicurare l’utilizzo di tali risorse nei tempi e per gli obiettivi prefissati:

• predisponendo un quadro di riferimento e un percorso procedurale e amministrativo che faciliti l’attuazione degli interventi previsti

• favorendo l’efficienza nella gestione tecnico-amministrativa (bandi, progettazioni, approvazioni, finanziamenti, liquidazioni)

• garantendo un monitoraggio e una valutazione per il rispetto delle compatibilità (territoriali, ambientali, socio-economiche) e dei risultati.

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2

RAZIONALIZZAZIONE E QUALIFICAZIONE DELLA SPESA SANITARIA

Il contenimento della spesa sanitaria non è una prerogativa italiana ma costituisce un problema comune a tutti i paesi dell’ UE ed incide in modo rilevante sui famosi parametri dei conti pubblici per la convergenza economica. La nostra regione non è esclusa dal fenomeno, pertanto, deve affrontare il problema e ricercare soluzioni che si adattino al meglio alle caratteristiche della domanda sanitaria.

L’allungamento della vita media, con relativa necessità di maggiori cure derivanti dalle esigenze della fascia degli anziani non è la sola fonte di espansione della domanda di servizi e relativi aumento dei costi sanitari; buona parte di tali aggravi economici sono altresì imputabili alla sempre più diffusa richiesta di migliori condizioni di salute.

Alla soluzione del problema sono stati varati, negli ultimi anni, diversi correttivi con risultati non sempre soddisfacenti.

Con il Piano Sanitario Regionale 1997 – 1999, furono introdotti alcuni principi metodologici quali:

• modelli organizzativi basati sulla ricerca di sinergie previo l’aggregazione di Aziende sanitarie e Ospedaliere a livello di Quadrante.

• attribuzione di funzioni sanitarie lasciando alle autonomie locali la decisione di come realizzarle

• ampio risalto all’assistenza territoriale.

Tutto ciò comportava per le Aziende un forte sforzo programmatico delle rispettive attività, per la quantificazione delle relative risorse, da consumarsi attraverso intese inter-aziendali (accordi di quadrante), per garantire livelli uniformi di assistenza, parallelamente al contenimento della spesa nei limiti prefissati dalla Regione.

Il sistema rivelò subito alcune anomalie programmatiche all’interno delle aziende come: il rischio della proliferazione di nuovi servizi e attività , con il conseguente dilatarsi della spesa su tutti i fronti ( personale, attrezzature, materiale di consumo). Inoltre le Aziende cercarono di pareggiare i costi aumentando la produzione, trascurando il contenimento della spesa ed incentivando così un inutile consumismo sanitario grazie al surplus di produzione rispetto al reale fabbisogno. L’esplosione delle prestazioni e della concorrenzialità interaziendale per incrementare le entrate si rivelò un’azione antitetica alla logica della ricerca di ottimizzazione delle risorse disponibili attraverso gli accordi di quadrante.

A correzione di tali storture furono individuati dalla Regione i seguenti correttivi:

• obbligo per le Aziende di soddisfare parte del fabbisogno di prestazioni ospedaliere con strutture alternative al ricovero ordinario quali il ricovero diurno sia medico che chirurgico (day-hospital), l’assistenza ambulatoriale, domiciliare, residenziale

• l’organizzazione dipartimentale degli ospedali

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• la definizione del personale e dei posti letto in base alle quote di produzione assegnate all’Azienda secondo l’effettivo fabbisogno concordato a livello di quadrante

• riduzione dei posti letto ordinari in conseguenza all’attivazione dei day hospital

• attivazione di dipartimenti interaziendali al fine di ovviare inutili e costose duplicazioni

• blocco temporaneo di nuove assunzioni, per altro non sufficientemente rispettato e presto superato

Tali provvedimenti non riuscirono comunque ad arginare la spesa che continuava a viaggiare in largo vantaggio sull’entrata. Sono così risultati indispensabili ulteriori interventi di contenimento quali:

• l’obbligo di mantenere una spesa per singola azienda pari a quella raggiunta nell’esercizio 1998 dedotta dell’1%;

• la riduzione del fabbisogno di posti letto regionali tenuto conto del tasso di utilizzo degli stessi;

• l’equipollenza dei posti per ricovero ordinario e per day-Hospital e lo sviluppo dell’assistenza residenziale finalizzata ad evitare i ricoveri ospedalieri impropri

I primi risultati di tale manovra cominciano sensibilmente ad essere rilevati dai periodici monitoraggi e quello che più conta è che complessivamente l’obiettivo regionale di non penalizzare la sanità a favore delle fasce più deboli risulta perseguito grazie al mantenimento, su valori stabili, dei livelli assistenziali generali.

Il medesimo monitoraggio ha anche il compito di evidenziare eventuali anomalie e conseguentemente individuare possibili correttivi. Nel caso specifico della spesa farmaceutica è stato registrato un incremento rispetto al 2000 del 32,6% a livello nazionale e del 26% a livello regionale. A questo incremento di spesa si aggiunge l’entrata in vigore del DPCM 29 novembre 2001 “definizione dei livelli essenziali di assistenza” che come noto coinvolge soggetti istituzionali diversi : il Fondo sanitario nazionale, gli Enti locali e gli stessi cittadini. Nella fase transitoria, al fine di consentire agli Enti locali di poter programmare la necessaria copertura finanziaria dei maggiori oneri socio-assistenziali, le prestazioni hanno continuato ad essere garantite attraverso il Fondo sanitario. Tutto ciò ha reso inevitabile l’applicazione di quote di compartecipazione a carico dei cittadini sui farmaci e sulle prescrizioni dei medesimi.

I presupposti di base dell’applicazione dei livelli essenziali di assistenza, sono riconducibili ai principi di appropriatezza degli interventi e all’economicità dell’impiego delle risorse. Nell’intento di contrastare inefficienze gestionali e incongruità di utilizzo delle strutture si è resa indispensabile un’altra azione correttiva specificatamente nell’area dell’emergenza-urgenza ospedaliera per tutte quelle prestazioni con evidenti caratteristiche di differibilità, che possono essere di fatto riconducibili all’ordinaria attività ambulatoriale. Il ricorso al pronto soccorso per tutte le sintomatologie non propriamente urgenti crea disparità di trattamento tra i cittadini, inefficienze del sistema emergenza – urgenza ed un uso improprio delle prestazioni. Per limitare questo errato ed improprio utilizzo di detto mirato servizio sanitario, è stato previsto il ricorso al pagamento di una specifica quota di partecipazione alla spesa sanitaria per tutte quelle prestazioni in pronto soccorso non strettamente correlate alla gravità che determina l’urgente ricorso al medesimo.

Le linee programmatiche per il 2001-2003 continuano tale politica di razionalizzazione della spesa nello spirito di salvaguardia e miglioramento qualitativo dei servizi.

In quest’ottica il redigendo Piano Socio Sanitario Regionale prevede la riorganizzazione dell’assetto aziendale mediante aggregazioni territoriali e lo scorporo dei presidi ospedalieri. Tale nuovo assetto contribuirà al risparmio delle risorse a condizione che siano sfruttate tutte le opportunità favorevoli per incidere in modo profondo sulle strutture del sistema quali: l’assistenza ospedaliera, la specialistica ambulatoriale e la residenzialità sanitaria.

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Sul piano territoriale dovrà essere utilizzato al meglio il ruolo del Distretto per garantire percorsi clinico-assistenziali e l’assistenza primaria. La riforma del Servizio Sanitario Regionale così concepita sarà attuata mediante lo strumento della delegificazione.

Dal punto di vista delle strategie gestionali comuni, nell’ambito dei servizi istituzionali di supporto e strumentali al funzionamento aziendale, risulta necessario istituire un’apposita Agenzia regionale derivante dall’aggregazione consortile fra le Aziende Sanitarie Locali e Ospedaliere, finalizzato ad amministrare il patrimonio e gestire le attività contrattuali del medesimo in forma associata.

Altro strumento essenziale nell’ambito delle strategie gestionali comuni è la riorganizzazione del sistema di approvvigionamento dei beni e dei servizi aziendali. Si tratta, in buona sostanza di superare il limitato contesto aziendale a favore di un ambito allargato a più aziende capaci di coordinarsi e lavorare in modo collegiale al fine di rapportarsi sul mercato dei beni e dei servizi sanitari con maggior forza contrattuale.

Il ruolo della Regione sarà prioritariamente quello di definire gli obiettivi regionali ed il relativo valore in termini di attività ed organizzazione, individuandone il budget, quali indirizzi per la gestione delle Aziende, controllando la qualità delle prestazioni.

I soggetti istituzionali e le forze sociali saranno gli interlocutori privilegiati per rafforzare ed incrementare risposte di carattere territoriale parallelamente alla conversione dei fattori produttivi ospedalieri.

A supporto di tale politica di razionalizzazione e contenimento dei costi della spesa sanitaria sono da annoverare i progetti di:

- realizzazione di interventi di riorganizzazione e di riqualificazione dell’Assistenza Sanitaria nella città di Torino previsto dal piano straordinario di interventi di cui all’articolo 71 l. 448/1998, con una copertura finanziaria di € 1.430.299.587,00 (Lire 280.724.899.941) di cui € 101.017.429,39 (Lire 195.597.018.000) a carico dello Stato e € 43.964.881,93 (Lire 85.127.881.941) a carico della Regione.

- completamento e razionalizzazione della rete ospedaliera, con particolare riguardo alla rianimazione e alle terapie intensive; completamento e potenziamento della rete di strutture territoriali con particolare riguardo ai servizi territoriali per programmi di cura per malati terminali; innovazione e potenziamento della dotazione tecnologica esistente con particolare riferimento alla radioterapia; adeguamento delle strutture tecnologiche alla normativa in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro; spazi per l’esercizio della libera professione; facenti parte dell’apposito Accordo di programma che prevede una copertura finanziaria di € 984.908.612,95 (Lire 1.907.049.000.000). di cui € 598.555.986,51 (Lire 1.158.966.000.000) a carico dello Stato e € 386.352.626,44(Lire 748.083.000.000) a carico della Regione.

- creazione di una rete di ospice finalizzati a cure palliative per malati terminali che realizzerà sul territorio piemontese 15 strutture dedicate con un finanziamento statale di € 106.995.465,43 (Lire 21.000.000.000)

- interventi a favore di iniziative di particolare rilevanza per il contrasto delle dipendenze patologiche con uno stanziamento annuo di € 1.446.079,32 (Lire 2.800.000.000) di fondi regionali che si affiancano alla gestione del Fondo nazionale lotta alla droga previsto dall’art. 1 della legge 18 febbraio 1999 n. 45 che per il biennio 2000-2001 ha assegnato alla Regione Piemonte € 13.697.974,05 (Lire 26.522.976.209).

- sviluppo e consolidamento della rete oncologia e del programma regionale screening, potenziamento del Registro tumori e dell’epidemiologia statistica e clinica (CPO Piemonte mediante uno stanziamento complessivo di € 9.714.554,27 (Lire 18.810.000.000) di cui € 9.554.452,63 (Lire 18.500.000.000) di fondi regionali e € 160.101,64 (Lire 310.000.000) di fondi Statali .

- realizzazione di strutture ospedaliere ed ambulatoriali per l’attività intramoenia, mediante un stanziamento di fondi statali al Piemonte di Lire 117.006.334.000. Sono interessate a tale progetto 17 Aziende Sanitarie Locali e 7 Aziende Sanitarie Ospedaliere.

I progetti a valenza strutturale, vale a dire quelli finalizzati al piano straordinario di riqualificazione dell’assistenza sanitaria nella città di Torino, l’accordo di programma per il completamento e la

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razionalizzazione della rete ospedaliera e la rete di Hospice, costituiscono anche una non indifferente opportunità economico – occupazionale legata a: 13 interventi previsti nell’ambito del piano straordinario per la città di Torino, 72 interventi previsti nell’ambito dell’accordo di programma e 15 interventi per la realizzazione della rete di Hospice; i quali, ciascuno per la sua parte, costituiscono altrettanti cantieri.

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3

SVILUPPO DELLE IMPRESE E DELLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE .

Tendenze e scenari .

Le incertezze di una congiuntura difficile, con aspettative in deterioramento che spostano a fine anno le attese di un inversione di tendenza della crescita economica globale e nazionale, costituiscono un significativo banco di prova della capacità del sistema economico piemontese di misurarsi, in termini di dinamica e di evoluzione strutturale, con il nuovo contesto competitivo mondiale.

I processi che costituiranno il quadro entro il quale si definirà l’evoluzione del sistema produttivo regionale sono schematicamente individuabili in:

• Internazionalizzazione (relativa all’estensione globale della concorrenza e delle strutture produttive) e mondializzazione (relativa alla dimensione mondiale di un crescente numero e novero di problemi e di soluzioni)

• Terziarizzazione e diffusione di nuovi stili di vita e rafforzamento della domanda di beni e servizi per il tempo libero

• Sviluppo e diffusione delle tecnologie e dei servizi di rete (net economy) come strumento di riorganizzazione della old economy e come radice di attività innovative

• Invecchiamento e ageing e relativi vincoli ed opportunità sotto il profilo della offerta di lavoro e sotto quello di specifiche forme di consumo

• Federalismo e governo locale, nella fattispecie della messa a regime degli interventi regionali in materia di politiche per le imprese

• Rapporti pubblico-privato, per esaminare potenzialità e criticità di sviluppo di nuove o rinnovate attività di mercato nel campo della fornitura di servizi pubblici

mentre tre specifici “eventi”:

• l’introduzione dell’Euro

• l’allargamento della Unione europea ad alcuni paesi dell’Est Europa

• le Olimpiadi invernali del 2006

rappresenteranno rilevanti banchi di prova delle condizioni di efficienza dell’economia del Piemonte, oltre che delle sue istituzioni, ma anche offriranno nuove potenzialità.

Nel 2001 i contraccolpi negativi di una crisi congiunturale internazionale, acuiti dagli accadimenti dell’11 settembre 2001, hanno rallentato ma non invertito la tendenza alla crescita del sistema economico piemontese, già emersa negli scorsi anni, e si sono intrecciati con una transizione strutturale dell’economia ancora in corso, nella quale si evidenziano i caratteri di una maggior internazionalizzazione e di una crescente tendenza alla terziarizzazione, con la crescita di importanti settori nei servizi, ed una generale qualificazione del tessuto produttivo.

Su questi movimenti si è innestata una ripresa di fiducia sulle potenzialità di lavorare in Piemonte, testimoniata fra l’altro dall’aumento della natalità delle imprese, che sono – nella maggioranza dei casi -

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imprese sempre più moderne, come sembrerebbe indicare la crescita delle Società di capitale, soluzione organizzativa più evoluta rispetto alle Ditte individuali: e le imprese nascono là dove va il mercato, cioè nelle attività terziarie di servizio alle persone o per le imprese.

La minor dinamica della ricchezza prodotta in Piemonte nel 2001 rispetto al dato nazionale può comunque trovare una valutazione di maggior apprezzamento, considerando da una lato che, nell’arco dell’ultimo quinquennio, la ricchezza per abitante e la produttività per occupato del Piemonte sono aumentate in misura superiore a quanto si riscontra ad esempio in Lombardia, in Veneto, in Emilia, dall’altro la coerenza di una evoluzione regionale orientata allo sviluppo qualitativo, anziché alla crescita quantitativa, con i vincoli rappresentati dalla limitata disponibilità di forza lavoro, dalla congestione territoriale e da una limitata dotazione di infrastrutture materiali, che potrà essere superata solo nel medio-lungo periodo, al compimento delle opere avviate o attualmente in avviamento .

In particolare la crescente ristrettezza delle risorse umane presenti nella regione evidenzia un limite all'espansione, non appena questa si discosti leggermente dal profilo “labour saving” prevalso negli anni 90: incrociando le proiezioni demografiche con plausibili alternative di evoluzione della produttività e del valore aggiunto regionale, si nota infatti che l'offerta di lavoro al 2010 risulterà decisamente insufficiente nel caso in cui la produttività attenui il suo ritmo, ovvero la produzione regionale assuma un trend espansivo, come pronosticato da prestigiosi istituti di previsione e analisi econometrica..

Su tali strettoie dovrà esercitarsi nei prossimi anni un attento monitoraggio e la sperimentazione di interventi integrati per la valorizzazione delle risorse umane “endogene” e immigrate e la qualificazione ulteriore dell'apparato produttivo.

Il potenziale di crescita del Piemonte non può dunque essere valutato non tenendo conto realisticamente di questi vincoli e delle politiche volte al loro superamento .

L’evoluzione strutturale .

Sotto un profilo strutturale, lo sviluppo piemontese è evoluto lungo linee coerenti con le realtà produttive più avanzate del contesto europeo e mondiale, dipanandosi attraverso l'interazione di due principali tendenze: la terziarizzazione produttiva e l 'internazionalizzazione. Appare estremamente probabile che anche il prossimo decennio sarà dominato dall'azione di queste due driving forces.

La terziarizzazione ha giocato la parte del leone nel dischiudere nuove opportunità di crescita. Mentre il settore agricolo e quello manifatturiero sono apparsi dominati da processi di razionalizzazione, la crescita dei servizi è stata responsabile della quasi totalità dell'incremento del prodotto lordo regionale: l’effetto propulsivo nel valore aggiunto e nell’occupazione regionale è interamente ascrivibile alla dinamica del terziario, che ha proposto uno sviluppo “estensivo”, con significative ricadute occupazionali, evidenziando una performance particolarmente positiva nel settore finanziario e in quello dei servizi alle imprese.

Il settore dei servizi alle imprese è quello che più ha caratterizzato la crescita dell’economia regionale negli ultimi anni e che più riflette la sua transizione verso un’economia basata sulla conoscenza. Sullo sviluppo di questo settore hanno inciso in misura non irrilevante i processi di riorganizzazione dei cicli industriali locali con intensi fenomeni di scorporo ed outsourcing di funzioni terziarie, prima interne alle imprese industriali.

Per quanto riguarda la valutazione del grado di terziarizzazione attraverso le statistiche dell’occupazione, non bisogna dimenticare che la nuova occupazione creata attraverso il lavoro interinale fa riferimento a imprese fornitrici del settore dei servizi, ma viene prevalentemente utilizzata, nella realtà piemontese, soprattutto da imprese manifatturiere. Ciò potrebbe indurre una sopravvalutazione della effettiva trasformazione della struttura produttiva regionale, pur non smentendone le caratteristiche di fondo.

Occorrerà dunque continuare ad analizzare quanto lo sviluppo del terziario si traduca in effettiva diversificazione del tessuto produttivo regionale, con la costituzione di nuovi operatori in grado di operare su nuovi mercati e proiettando l’economia regionale entro nuove specializzazioni produttive, oppure se si tratti di una, pur virtuosa, qualificazione, ma all’interno dei mercati delle tradizionali specializzazioni manifatturiere.

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Da questo punto di vista, si può rilevare come il maggior dinamismo non avvenga prevalentemente nei servizi più orientati al consumo ma in quelli alle imprese, nel variegato insieme delle attività di servizio per il sistema produttivo.

In un quadro di luci ed ombre, in cui il Piemonte sembra perdere di peso, in termini di numero di operatori del terziario privato nel suo complesso , rispetto alla media nazionale e ad altre regioni come la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, il Lazio, si deve tuttavia registrare l’elevata crescita del comparto dei servizi di informatica, che conferma l’incremento del numero di imprese, ormai superiore alle 5.600 unità, ma anche l’accelerazione nell’incremento del numero degli operatori piemontesi ,decisamente superiore al dato nazionale, nel settore della ricerca e della tecnologia, che risulta quello a più elevata crescita.

Nel loro insieme le attività di servizio al sistema produttivo, molto importanti per il futuro di un’economia avanzata come la nostra, giungono ormai a rappresentare in Piemonte quasi il 13% del tessuto imprenditoriale a fronte dell’8,8% della media italiana.

Nella prospettiva della terziarizzazione può essere utile ancora ricordare che una recente ricerca dell’Istituto Tagliacarne, sulla dotazione infrastrutturale nelle province italiane, mette in evidenza il buon livello che caratterizza in particolare la provincia di Torino, relativamente alle infrastrutture immateriali, costituite da reti finanziarie, connessioni telematiche, servizi culturali e formativi, strutture sanitarie.

La situazione di vantaggio per questo tipo di infrastrutture, individua un ruolo rilevante della provincia torinese per la crescita post-manifatturiera della regione, con opportunità anche a vantaggio delle altre realtà provinciali, per porle in condizione di affrontare con determinazione le continue sfide che la transizione post-fordista sta ponendo a questo territorio.

Inoltre va sottolineato come anche la società e le famiglie piemontesi sembrino attrezzarsi in misura crescente ai cambiamenti nelle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Secondo un recente sondaggio realizzato dall’Ires, ormai circa la metà dei piemontesi possiede a casa un personal computer, con una sensibile crescita rispetto all’anno passato, quanto solo un terzo lo possedeva; se poi si osserva la crescita degli utilizzatori del Pc, sia a casa che in ufficio, se ne può considerare appieno la rilevanza nella vita di tutti i giorni dei piemontesi, dal momento che anche in questo caso, si passa dal 44.2% del 2001 al 54.9% del 2002.

Sotto il profilo dell'internazionalizzazione il Piemonte ha avviato la ridefinizione del proprio posizionamento competitivo, in una gamma di possibilità che include sia le più prestigiose (un Piemonte “globale”, o “partner” o “specialista”), sia quelle più difensive (un Piemonte “gregario” o chiuso in se stesso).

Sotto questo profilo la partita al momento appare del tutto aperta: negli ultimi anni si è assistito ad una divaricazione fra settori “aggressivi” (prevalentemente caratterizzati da investimenti piemontesi all'estero: auto, siderurgia, abbigliamento, carta) e settori “dipendenti” (caratterizzati da investimenti stranieri in Piemonte: chimica, elettronica, gomma, minerali non metalliferi), mentre sono pressoché scomparsi i settori “aperti”, caratterizzati da investimenti nei due sensi.

È un sintomo di un confronto competitivo più aspro, che sollecita i processi di specializzazione e la concentrazione degli sforzi sulle attività territoriali detentrici dei maggiori vantaggi competitivi.

In questa direzione diventa rilevante la capacità di valorizzare le indicazioni del ciclo economico relative alla competitività dei vari segmenti produttivi, per predisporsi a sfruttare, con una struttura produttiva più capace di rispondere in modo pieno ai cicli di ripresa internazionale, tutte le potenzialità di domanda che saranno messe a disposizione dalla soluzione positiva delle attuali criticità congiunturali.

Focalizzando l’attenzione sul sistema industriale è da sottolineare come nel processo di inseguimento multinazionale, completato negli ultimi anni, che ha portato ad una accentuazione della proiezione delle imprese italiane all’estero, l’industria piemontese abbia giocato e continui a giocare un ruolo di indubbio rilievo.

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Sul lato degli IDE ( Investimenti diretti all’estero ) in uscita il Piemonte esprime infatti rispetto al totale nazionale il 9,2% dei soggetti investitori, il 13,9% delle imprese partecipate all’estero, il 29,4% degli addetti e addirittura il 33,5% del fatturato; sul lato dell’entrata, le imprese industriali piemontesi a partecipazione estera rappresentano il 12,8% del totale nazionale, mentre in termini di addetti e di numero di impianti produttivi l’incidenza del Piemonte si attesta rispettivamente al 13,8% e all’11,8%.

Naturalmente, la particolare struttura dell’industria piemontese, con la rilevanza in essa assunta del settore automobilistico, condiziona il quadro dell’internazionalizzazione produttiva della regione, dove meno dell’1% delle imprese industriali piemontesi partecipa in almeno una impresa industriale all’estero, un’incidenza superiore alla media nazionale, ma inferiore a quella delle altre regioni settentrionali, benché il Piemonte presenti il più elevato rapporto tra occupazione estera ed occupazione interna, pari a circa 47 addetti all’estero ogni 100 occupati nell’industria, valore pari a oltre 2,5 volte la media nazionale.

Vanno certo riconosciuti il ruolo e le ricadute che le grandi multinazionali possono avere nello sviluppo regionale ma soprattutto occorre sottolineare come esistano dunque ampi margini per l’internazionalizzazione del sistema delle imprese minori, che peraltro già negli anni più recenti hanno maggiormente caratterizzato i processi di internazionalizzazione, anche del Piemonte.

La crisi dell’auto.

All’interno della cornice e degli orizzonti finora delineati, la crisi della Fiat mette in evidenza il possibile riaffacciarsi, seppure in misura minore rispetto a precedenti crisi dell’area torinese, di problemi occupazionali, e va affrontata in modo tale da scongiurarne una evoluzione tale da costituire un contraccolpo più forte, con effetti cumulativi non favorevoli nel lungo periodo.

Infatti i recenti eventi che ripropongono, in seguito ad una nuova preoccupante crisi di mercato e finanziaria della Fiat, con una ipotesi di drastica ristrutturazione delle attività automobilistiche, pongono interrogativi sull’impatto in Piemonte, e in particolare a Torino, di un eventuale progressivo abbandono della produzione automobilistica, che potrebbe risultare del tutto compatibile all’interno delle strategie di risanamento produttivo e finanziario avviate con decisione dalla Fiat.

Certo l’incidenza del settore dei mezzi di trasporto ha assunto nel tempo, in seguito alla diversificazione dell’economia piemontese, una dimensione quantitativa assai meno significativa di quella storica , per quanto ancora rilevante: l’incidenza della filiera autoveicolistica, che comprende anche la produzione di veicoli industriali, sull’economia regionale è ragionevolmente stimabile nel 1999 a circa il 4% della ricchezza prodotta dal sistema produttivo regionale, anche se negli scambi commerciali del Piemonte con l’estero rappresenta ancora una quota più consistente, superiore al 20 %.

Per quanto riguarda il coinvolgimento della componentistica piemontese possono sussistere effetti negativi dovuti sia ad una eventuale riduzione dei volumi produttivi di Fiat Auto, sia alle conseguenze dell'accordo GM-Fiat Auto, in particolare quello che riguarda gli acquisti. La loro realizzazione dipenderà dal grado di competitività che i componentisti hanno saputo effettivamente sviluppare sul mercato internazionale oppure, invece, da quanto sono ancora legati al mercato Fiat, sia esso locale che internazionale.

Al riguardo si può osservare che, mentre gli effetti dell’accordo Fiat-GM esplicheranno i loro effetti in modo compiuto solo a partire dall’uscita dei prossimi modelli, la componentistica piemontese è divenuta sempre più indipendente da Fiat in termini di forniture e che ha raggiunto livelli qualitativi nel prodotto e nell’organizzazione, grazie ai processi di selezione e di crescita guidata, tali da renderla competitiva, grazie anche ad un livello di costi relativamente favorevole, nel quadro internazionale del settore.

Questa capacità di diversificazione dei mercati, che si è tradotta in un crescente flusso di esportazioni , di cui oltre il 70 % verso la Germania, la Francia, il Regno Unito, la Spagna e altri paesi dove Fiat Auto non è presente con propri stabilimenti, grazie alla capacità di innovazione e ai crescenti standard di qualità, ha reso le imprese della componentistica assai meno dipendenti dal tradizionale cliente dominante e quindi meno esposte alle sue criticità.

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E ancora la flessibilità, elemento costitutivo fondamentale delle piccole imprese, già può aver loro consentito, alla percezione delle criticità dell’auto, la ricerca ed il conseguimento di nuovi mercati o di nuovi clienti.

Recenti analisi sulle trasformazioni della filiera indicano infatti come nel corso dei processi di selezione e rafforzamento delle imprese della componentistica, la riduzione del numero dei fornitori ed il passaggio dalla fornitura di singoli particolari a quella di moduli e sistemi hanno necessariamente indotto, soprattutto le piccole e medie, che in precedenza non ne erano dotate, ad un rafforzamento delle fasi di progettazione e di sviluppo.

Si tratta di una acquisizione significativa perché evidenzia una realtà industriale di PMI ricca ed articolata, con livelli qualitativi e tecnologici di assoluto rilievo, e che pone quindi in discussione l'immagine tradizionale per cui, man mano che si scende lungo la filiera, si hanno imprese sempre più deboli

Dalle considerazioni sul più contenuto peso della filiera auto in Piemonte e sulla capacità competitiva autonoma della componentistica, si potrebbe trarre la conseguenza che la attuale crisi del settore auto piemontese e sul suo indotto, anche nell’ipotesi di una eventuale cessione alla GM nel 2004, possa avere effetti negativi relativamente contenuti, pur richiedendo l’impiego di opportuni ammortizzatori sociali, non limitati alla mobilità o ai prepensionamenti ma focalizzati su percorsi di riqualificazione e ricollocazione.

Si deve considerare, infatti, che, nella gamma di strumenti a disposizione per alleviare nel breve il disagio sociale che potrebbe derivare dagli esuberi occupazionali e per valorizzare nel medio periodo le risorse umane e di know how che si renderanno disponibili, occorrerà tenere conto del quadro delineato di relativa scarsità di risorse per lo sviluppo entro il quale l’economia regionale si muove e dunque adottare misure volte ad evitare che si disperdano potenzialità per la crescita.

Ancora, nella considerazione dell’impatto della contrazione della produzione automobilistica regionale, si deve osservare che negli ultimi anni alla diminuzione delle assegnazioni produttive agli stabilimenti automobilistici torinesi e della relativa occupazione, in provincia di Torino non è corrisposta una contestuale caduta dell’occupazione complessiva: la produzione di auto nel 2001 risulta inferiore del 33% a quella del 1997 mentre gli occupati in provincia aumentano del 4%, nonostante l’assestamento del 2001, a fronte di un calo dell’occupazione manifatturiera contenuto al -4.5% e di un assottigliamento dei disoccupati che ha portato il tasso di disoccupazione dal 10.9% al 6.2 %.

Sembra testimoniata in tal modo la capacità reattiva del sistema produttivo provinciale, e regionale, di assorbire dinamicamente e in positivo i costi produttivi e sociali della trasformazioni in atto: non è detto che ciò che è stato possibile nella precedente fase economica lo sia nuovamente in quella in corso , specie se la ripresa economica tardasse a profilarsi, ma l’aver già sostenuto con buoni risultati le sfide della riconversione sistemica rappresenta comunque un indizio favorevole anche per il futuro, quantomeno grazie alle potenzialità insite nelle esperienze già vissute e nelle conoscenze in esse maturate.

Queste considerazioni hanno il merito indubbio di sollecitare una più serena e meditata valutazione dei possibili effetti a scala regionale e per Torino, tale da evitare la diffusione di aspettative negative ed allarmistiche che potrebbero tradursi in una crisi di fiducia dei consumatori. Se dovesse infatti prevalere un comportamento orientato al rinvio dell’acquisto di autovetture ma anche di altri beni e servizi non essenziali, che sono ormai la parte dominante dei consumi delle famiglie, si potrebbe determinare un ulteriore appiattimento non solo della domanda automobilistica ma anche del profilo congiunturale complessivo, con l’avvio di una ancor più critica spirale involutiva , in una sorta di profezia negativa che si autoadempie.

Le prospettive dell’industria automobilistica in Italia vanno comunque affrontate con la più puntigliosa attenzione alla ricerca di soluzioni positive, perché riguardano il lavoro di migliaia di persone, la vita di migliaia di famiglie e il futuro di un consistente patrimonio di competenze, perché determinano l’orizzonte evolutivo dell’attività di parte significativa dell’apparato produttivo, perché rappresentano un nodo cruciale delle trasformazioni del sistema economico nazionale e regionale, perché costituiscono un banco di prova delle relazioni industriali e delle relazioni istituzionali e una misura della capacità di rapporti tra stato e mercato e tra politica industriale e strategie di impresa.

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Il sistema auto nella realtà piemontese ha determinato infatti relazioni di tipo distrettuale che per la loro stessa esistenza necessitano della presenza dei diversi attori della filiera con consistenti livelli di attività: un interrogativo cruciale riguarda dunque la possibilità di mantenere ed alimentare i livelli di competitività raggiunti in assenza di determinate soglie produttive locali dell’attore terminale della catena del valore.

Inoltre un conto è ipotizzare il ridimensionamento delle attività manifatturiere, un altro il restringimento o la scomparsa di funzioni di rango superiore, come la ricerca o le attività direzionali.

Una considerazione equilibrata deve quindi tenere conto anche di questi effetti più complessi, conseguenti allo eventuale forte indebolimento a livello locale di un attore, che comunque resta centrale nella filiera autoveicolistica, e della possibile perdita di coerenza nei legami finanziari, tecnologici e produttivi che ne deriverebbe per un sistema, pur competitivo, che non può affidarsi solo su vantaggi relativi di costo ma che, invece, richiede significativi livelli di innovazione e ingenti risorse finanziarie, data l’eventualità di più consistenti criticità territoriali, si dovranno affiancare ad interventi di contenimento del disagio sociale iniziative per valorizzare le potenzialità innovative dell’auto e del sistema dei trasporti, ma anche per accompagnare il riposizionamento delle risorse umane, tecnologiche e organizzative che ne saranno coinvolte verso nuove e qualificate configurazioni produttive, tenuto conto anche della rilevanza che le regioni hanno assunto nella politica industriale.

Le politiche per il sistema produttivo.

Le vicende della Fiat ribadiscono che il nodo generale con il quale dovrà confrontarsi il sistema produttivo regionale sarà quello della capacità del suo modello di specializzazione di sostenere la competitività mondiale, a partire dalle prospettive dei settori tradizionali che sembrano non reggere il ritmo di crescita del commercio mondiale e che sono più sensibili alla competitività di prezzo e di alcuni storici punti di forza dell’economia regionale che stanno ridefinendo la loro identità e le loro strategie ma anche da quelle dei nuovi attori ovvero delle attività imprenditoriali innovative avviate nell’ambito della new economy (call centers,dot-com companies), fondate sulle conoscenze incorporate nelle persone, spesso acquisite in precedenti esperienze professionali, ma anche di quelle di servizio alla persona nate dalla esperienza del mondo associativo e cooperativo o ancora di quelle che possono costituirsi grazie ai processi di liberalizzazione e di privatizzazione dei servizi a rete e del sistema finanziario

Le migliori possibilità di crescita saranno infatti appannaggio dei sistemi economici con la struttura dell’offerta più innovativa ma anche con le istituzioni di mercato più efficienti.

A decidere giocheranno senza dubbio un ruolo determinante le capacità imprenditoriali che la società piemontese saprà esprimere nei vari comparti produttivi e le condizioni di contesto che le renderanno pienamente esprimibili.

Ma anche le nuove responsabilità che le leggi Bassanini e la riforma costituzionale assegnano alla Regione in materia di politiche per il sistema produttivo.

Nell’ultimo biennio le singole Regioni hanno iniziato a definire le modalità per l’esercizio delle funzioni trasferite: particolarmente rilevante per l’economia piemontese riguarda l’attribuzione di funzioni alle regioni in tema di politica industriale, dal cui esame emerge un quadro di radicale cambiamento dell’ordine di grandezza di risorse e competenze programmabili e gestibili dalla Regione, a favore delle imprese e del sistema produttivo .

Questa evoluzione si colloca in un quadro di ridefinizione dello spazio economico a livello globale ed europeo che ha fatto emergere la dimensione comunitaria al di sopra di quella nazionale e, parallelamente, ha assegnato un nuovo ruolo alla scala regionale, sia per il riconoscimento degli incerti risultati delle politiche programmate e gestite centralmente, sia per un ripensamento delle determinanti stesse dello sviluppo economico, che vedono nella dimensione locale un importante fattore di sviluppo, dove si generano esternalità e processi di apprendimento.

Gli aiuti diretti alle imprese programmati e gestiti dalla Regione, passati, al netto delle risorse del FESR- Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, da circa 110 a circa 275 miliardi di vecchie lire annui con le leggi Bassanini, potrebbero aumentare, grazie alla modifica del Titolo V della Costituzione, a oltre 650 miliardi:

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quelli specificamente destinati alle imprese industriali, passati da 16 a circa 140 miliardi annui, potrebbero portarsi a oltre 450 miliardi.

A queste disponibilità sono inoltre da aggiungere quelle derivanti dal FESR-Obiettivo 2 – DOCUP 2000-2006, che prevede aiuti alle imprese per circa 850 miliardi di lire complessivi, nei sei anni di operatività, pari a circa 140 miliardi annui.

Con queste risorse potranno essere messi a frutto i vantaggi della scala regionale per le maggiori conoscenze e informazioni sulle specificità locali, che dovrebbero permettere la messa in atto di politiche più semplici e mirate e una miglior scelta degli strumenti di attuazione, per attivare processi di apprendimento, localmente attivabili presso tutti gli agenti coinvolti, e di partecipazione, che possono influenzare positivamente fiducia e aspettative e quindi orientare i comportamenti in senso cooperativo, ma si dovranno anche evitare i rischi connessi alla scala locale dell’intervento, non sempre la più efficiente, alla possibile duplicazione degli interventi, ripetuti a livello locale e nazionale, con conseguente spreco di risorse, alla creazione di eccesso di concorrenza fra politiche locali, che rende necessari criteri di omogeneità fiscale e massimali nelle incentivazioni finanziarie alle imprese per evitare effetti negativi delle politiche, e alla creazione di rendite locali e di rent seeking , ovvero della cattura dello stato da parte di specifici interessi privati o dell’auto-alimentazione della propria funzione da parte della burocrazia, rischio che si presenta soprattutto quando gli incentivi sono allocati in modo discrezionale e che rende opportuno attivare procedure semplici e trasparenti e monitorare i risultati dei progetti oggetto dell’intervento pubblico.

L’intervento per la filiera autoveicolistica .

Un primo e immediato campo di applicazione e banco di prova di queste competenze e risorse non può che essere a vantaggio della filiera autoveicolistica.

Risulta da escludere la possibilità di interventi governativi diretti alla produzione automobilistica, in quanto settore sensibile a livello europeo, con sovracapacità produttiva, e dunque non rientrante tra le deroghe agli Aiuti di Stato concesse dalla UE, mentre con il salvataggio finanziario da parte delle banche i soldi per gli investimenti, necessari per traghettare Fiat Auto al di là dei due anni critici, dovrebbero essere disponibili grazie al mercato.

Gli incentivi alla rottamazione, o misure analoghe, in questa congiuntura, potrebbero addirittura risultare controproducenti e, nel breve periodo, favorire ancor più i concorrenti Fiat Auto, che hanno per ora modelli più appetibili, e potrebbero rappresentare solo un palliativo se non una diversione, rispetto alla gravità dei problemi.

Gli incentivi per interventi “ambientali”, ad esempio i motori di nuova concezione, possono essere un segnale di impegno ma hanno rendimenti solo nel medio termine e di ridotta consistenza. Ricordiamo a questo proposito il precedente esempio dell’auto elettrica. Inoltre non si può contare su una soluzione solo tecnologica a problemi economici e comunque le innovazioni avranno rendimenti differiti, non certo prima di qualche anno: si può e si deve comunque verificare il patrimonio di tecnologie disponibili e avviarsi su quella strada.

In questo orizzonte i possibili soggetti interessati a interventi di politica industriale sono dunque le imprese della componentistica.

Alla scala delle singole imprese, si può prevedere un ricorso alle diverse fonti di incentivazione già previste - per investimenti, servizi, innovazione - dalle leggi nazionali e regionali di politica industriale, attualmente in vigore ma anche, in funzione anticiclica, di provvedimenti a sostegno del capitale circolante, quali la fornitura di garanzie per lo sconto fatture e gli anticipi su ordini, delle aziende che debbano rivedere i loro programmi produttivi in seguito alla diminuzione di commesse automobilistiche.

Da un punto di vista strutturale occorre ricordare che i mutamenti nella natura e nella struttura di quell’insieme di imprese che appartiene alla filiera autoveicolistica hanno determinato il passaggio dall’“indotto auto”, o meglio ancora “indotto Fiat”, ad una realtà di sistema, cioè da una situazione in cui le imprese della fornitura si trovavano a dipendere dalla Fiat, come mercato di sbocco, ma anche dal punto di vista tecnologico, essendo la progettazione in buona misura concentrata in Fiat, ad una realtà nella quale le

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performance del produttore finale vengono a dipendere fortemente dal comportamento di tutte le imprese appartenenti alla filiera e dunque passando da un rapporto di dominio/subordinazione ad uno di collaborazione tra casa auto e fornitori.

Inoltre con i più recenti cambiamenti da Fiat produttore verticalmente integrato si è passati all’outsourcing non solo di fasi produttive ma anche di quelle terziarie, tra cui quella, cruciale, della progettazione.

Ciò ha condotto all’aumento, o alla creazione, di capacità progettativa da parte di imprese fornitrici, in questo modo innalzandone tanto il livello qualitativo quanto la capacità di aumentare il valore aggiunto.

Tale processo si è poi associato a quello della selezione numerica e qualitativa dei fornitori, legata anche al passaggio alla fornitura di sistemi e moduli piuttosto che di semplici particolari: ne è derivata anche una crescita di tutto il sistema della subfornitura di secondo e terzo livello.

Si è trattato quindi di un processo di selezione/rafforzamento delle imprese della componentistica che ha permesso e stimolato le stesse verso una condizione di ridotta dipendenza da Fiat e di aumento dell’export, come indicato precedentemente.

Si deve comunque distinguere tra i fornitori di primo livello, generalmente imprese multinazionali o gruppi di imprese nazionali indipendenti, che hanno già una propria dimensione internazionale e per i quali sono ipotizzabili interventi volti a incrementare il tasso di innovazione dei prodotti, e i fornitori di secondo e terzo livello, che hanno un carattere più fortemente legato al territorio regionale e sono stati sottoposti negli ultimi anni a processi di razionalizzazione, che devono aumentare le loro capacità di progettazione, sviluppo ed ingegnerizzazione dei prodotti e dei particolari realizzati .

In particolare occorre promuovere le piccole imprese più legate alle competenze tecnico-produttive degli imprenditori e deboli nei confronti delle richieste di assumere responsabilità progettative e di garanzia della qualità attraverso il controllo del processo e del prodotto.

Il sistema locale delle piccole imprese di fornitura deve dunque essere rafforzato in un ottica distrettuale, che privilegi interventi a favore di progetti comuni tra più imprese, accelerando, come strumento di intervento, l’iter di approvazione della nuova legge regionale sui distretti, che può prevedere possibilità di interventi di filiera anche al di fuori dei territori distrettuali formalmente riconosciuti finora e adeguandone in modo confacente le dotazioni finanziarie.

In quest’ottica, l’esperienza della fine degli anni ’90 di processi di “crescita guidata”, messi in atto da fornitori di primo livello e da Fiat Auto nei confronti di una parte significativa di quelli di secondo, offre una importante indicazione di una possibile modalità di intervento, da affiancare alla promozione dei processi di internazionalizzazione.

Le condizioni di successo della politica industriale.

Può essere utile, anche in relazione agli interventi per la filiera autoveicolistica, ricordare che, come in generale viene indicato nei ragionamenti sulla politica industriale, una condizione di successo è individuabile nel coordinamento tra i livelli istituzionali che possono intervenire in essa a vario titolo e in vario modo: si ribadisce in tal modo la necessità, anche per l’auto, di un intervento realizzato in modo coordinato tra Stato, Regione, Provincia e Comune.

Il problema dell’interazione con le politiche nazionali è infatti particolarmente importante in questo momento in Italia, quando le diverse competenze sono state definite ma non ancora perfettamente sistematizzate.

Le politiche di sviluppo regionale, per essere efficienti, necessitano dunque di meccanismi di coordinamento e di cooperazione tra il livello locale e quello nazionale: la Conferenza Stato-Regioni e le Intese Istituzionali di Programma sono due strumenti ideati per realizzare una forma di governo verticale non gerarchico indispensabile per realizzare un quadro coerente di interventi.

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Se la riforma federalista introdotta con la modifica del titolo V della Costituzione è una occasione per ristrutturare l’Amministrazione Pubblica, consentendo ai cittadini più controllo sul finanziamento e la gestione degli interventi pubblici, non si può che concordare con quanto espresso dal Governatore Fazio, nelle sue recenti Considerazioni, in merito ai rischi di aumento del divario di sviluppo tra regioni, di moltiplicazione delle fonti di spesa e della spesa pubblica, di contraddittoria frammentazione decisionale, di inefficacia e di dispersione di risorse impliciti in interventi con inadeguata massa critica.

In quanto detto precedentemente è implicita una prima condizione di efficacia che riguarda le maggiori responsabilità dell’Amministrazione regionale rispetto alle politiche industriali e produttive.

Si tratterà di rispondere alle nuove responsabilità di un approccio locale, cioè contribuire attivamente ad aumentare quella che è definibile come la capacità regionale di produrre in modo competitivo. In questo senso, ad esempio, sarà necessario coinvolgere la comunità imprenditoriale nella formulazione e attivazione delle iniziative, cogliere le esigenze dell’industria nel campo della formazione, saper dialogare con i vari interlocutori della politica nei confronti delle imprese, valorizzare le esperienze manageriali, tecnologiche e finanziarie, favorire il rafforzamento dell’accumulazione di conoscenza.

In secondo luogo, l'esistenza di una responsabilità fiscale locale dovrebbe costituire una ulteriore condizione di efficacia: infatti, se le politiche di sviluppo locale vengono finanziate attraverso un sistema di prelievi fiscali locali, ciò dovrebbe accrescere la responsabilità delle stesse autorità locali che definiscono le politiche di sviluppo, peraltro nel quadro di un sistema fiscale nazionale che operi una adeguata perequazione delle risorse fiscali a favore delle regioni più povere onde evitare un’eccessiva concentrazione di risorse per le politiche di sviluppo nelle aree relativamente più ricche e sviluppate, dagli effetti incerti sulla competitività del paese, oltreché sulla sua coesione sociale e istituzionale.

Nella prospettiva delle nuove sfide che il sistema economico regionale si troverà ad affrontare nei prossimi anni, della probabile attenuazione almeno nel breve periodo dei tassi di sviluppo mondiali ed europei, della relativa intensificazione della pressione competitiva, e delle esigenze di riorganizzazione dei cicli di produzione, si indica dunque come centrale la necessità di riqualificazione e di innovazione in senso ampio del sistema delle imprese ma anche delle dotazioni infrastrutturali e delle esternalità di sistema, mentre meno pressanti potranno risultare in generale, come già ricordato, le esigenze di crescita quantitativa.

Delineando un quadro di politica delle attività produttive, è utile porsi la domanda se la competitività delle imprese abbia bisogno di consistenti e indifferenziati incentivi per ampliare il proprio auto finanziamento e per aumentare l’intensità di capitale, oppure piuttosto di incentivi specificamente finalizzati alla modernizzazione e alla qualificazione del sistema delle imprese oltre che di esternalità di sistema.

E’ infatti ragionevole ritenere che le Regioni possano avere un ruolo decisivo nella sperimentazione di nuovi strumenti di politica industriale, piuttosto che concentrarsi sulla strada degli strumenti agevolativi tradizionali, già ampiamente coperta dai provvedimenti nazionali, per di più con un grado di convenienza maggiore per le imprese e possano superare in questa prospettiva il tradizionale welfare per le imprese, fatto di sussidi indifferenziati.

Ha poco senso infatti che le Regioni ripetano nel loro piccolo la stessa struttura degli interventi statali generalisti, mentre può essere più produttivo considerare gli incentivi regionali come il prezzo che la Regione corrisponde alle imprese come corrispettivo di prestazioni specifiche, restringendo il sostegno generico agli investimenti ad una sua eventuale funzionalità anticiclica, anche per evitare il rischio, spesso concretizzatosi nel passato alla scala nazionale, che gli incentivi, o per meglio dire i sussidi, costituiscano un trasferimento netto di risorse dalle imprese in espansione a quelle in crisi, o più capaci di voce e di rappresentazione. Strategia che non può certo essere vincente nel lungo periodo.

In questo caso gli incentivi previsti dalle leggi settoriali di promozione delle imprese industriali, artigiane, commerciali, turistiche e di creazione di impresa potranno essere indirizzati sugli interventi aziendali orientati alla innovazione (di prodotto e processo, organizzativa, finanziaria, commerciale con un particolare riferimento al trasferimento tecnologico) e alla diffusione dei servizi di rete, nonché sugli investimenti necessari per la crescita e la creazione di imprese, connessi comunque ad una modernizzazione competitiva e che tenga conto delle compatibilità spaziali è ambientali, oltre che delle citate strozzature del mercato del lavoro.

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Si tratta di disegnare profili di intervento che integrino la tradizionale logica dell’innovazione, che ormai è un must e non un plus, con nuovi strumenti favorevoli all’internazionalizzazione (perché a produrre all’estero si va per crescere, non solo per scappare), all’outsourcing, (perché esternalizzare consente miglioramenti di efficienza e di competitività), al business to business (per contenere i costi di transazione e consentire alternative contrattuali meno vincolate), alla finanza innovativa (per impiegare quella massa di denaro che circola incessantemente per il mondo in cerca di buone occasioni), al consolidamento operativo (perché mercati più ampi consentono economie di scala e di impresa e richiedono dimensioni e strutture adeguate) e orientati a promuovere le attività della new economy, che anche in Piemonte si possono insediare, a partire dalla tradizione in campo editoriale, informatico, culturale, e quelle di diversificazione produttiva, con la valorizzazione di settori che offrono buoni margini di espansione (turismo, tempo libero, servizi alla persona o che sono per loro natura attrattori di innovazione. Ne è esempio il comparto chimico che nel Novarese, con l’Istituto Donegani e gli altri nuclei di ricerca, deve essere sostenuto e sviluppato sino a fare sistema ed essere al contempo motore e fruitore di innovazione).

In questa prospettiva occorre considerare con particolare riguardo le prospettive delle PMI con specifico riferimento alla loro capacità di presidio dei rapporti di fornitura e di mercato, sempre più connessi alla padronanza delle tecnologie e dei servizi di rete (con particolare riferimento alle diverse fattispecie dell’e-commerce: B2B, B2C), e di conseguire risultati di consolidamento e di massa critica con strategie di sistema.

La questione dimensionale.

Le grandi imprese a capitale italiano, cruciali per sostenere la ricerca e l’innovazione, per diffondere il progresso tecnologico e formare capacità manageriali, stentano a ricoprire un ruolo da protagonisti e da attori globali nei mercati mondiali, sia perché frenate da diseconomie fiscali e contrattuali che le hanno tradizionalmente poste in condizioni di svantaggio rispetto ai loro concorrenti di minori dimensioni, sia perché, con l’affermazione delle regole comunitarie e dei processi di liberalizzazione, hanno risentito del venir meno di meccanismi di protezione e di assistenza pubblica.

Così in non pochi casi significativi, esse sembrano riorientare i loro assets verso attività nel settore dei servizi a mercato prevalentemente domestico, con predilezione verso quelli caratterizzati da condizioni di monopolio naturale o da oligopolio regolamentativo.

Nelle attività che necessitano di maggiori competenze innovative e organizzative, le imprese italiane sono, con rarissime eccezioni, sempre meno presenti a vantaggio di un ruolo crescente delle imprese a capitale estero, predominanti nei comparti dove il mercato è globale, le scale sono elevate e l’intensità di R&S superiore.

Le imprese italiane rivestono posizioni di leadership nelle produzioni dove le scale in gioco sono circoscritte, nei mercati a forte diversificazione dei prodotti, in attività meno esigenti in termini di capacità innovativa.

In questo orizzonte il sistema delle piccole imprese, che sono state determinanti nella performance dei settori tradizionali di successo, potrà incontrare crescenti difficoltà a mantenere il suo ruolo cruciale nello sviluppo italiano e regionale.

Si tratta infatti di un mondo che, seppure ha mostrato una significativa ‘solidità sistemica’ e notevole capacità dinamica, specializzato in attività a forte intensità di lavoro qualificato ma a basso contenuto di conoscenza tecnologico-scientifica, si fonda su strutture dimensionali fragili, non avendo per lo più saputo elaborare forme organizzate ed evolute di innovazione necessarie per adeguarsi alla mutate condizioni concorrenziali, rimanendo legato a schemi di capitalismo familiare e artigianale, dunque con assetti proprietari e manageriali arretrati, e con una prospettiva strategica sovente prevalentemente nazionale.

Il fatto che la prospettiva strategica sia prevalentemente nazionale è vero anche allorquando un'ampia parte delle vendite viene esportata. Troppo sovente, soprattutto in passato, le piccole imprese italiane, pur facendo parte di settori fortemente esportatori (come le statistiche ci rivelano), hanno avuto un atteggiamento passivo verso i mercati esteri, senza cercare di penetrarli all'interno di una strategia di espansione, ma 'subendo' la domanda estera (si pensi al fenomeno dei buyers esteri e dell'intermediazione dei grandi distributori) o concependo le vendite all'estero come residuali, cioè come collocazione residua della produzione non venduta all'interno.

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Queste considerazioni si ricollegano alla questione dell’anomalia della struttura dimensionale dell’industria italiana e del cosiddetto “nanismo” delle sue imprese. Senza affrontare in questa sede tale complessa questione, è opportuno comunque sottolineare che parlare di "nanismo" - termine che porta con sé una valenza negativa - è inadeguato se non si tiene conto delle ragioni, che sono molteplici, che possono spiegarlo, e solo tenendo conto delle quali si può 'valutare' il fenomeno. In particolare va detto che la dimensione delle imprese va considerata in relazione alla specializzazione produttiva dell’industria italiana e che la questione si pone in termini essenzialmente diversi se si guarda alle singole imprese o ai sistemi di piccole imprese, i cosiddetti distretti.

Le difficoltà del capitalismo delle piccole imprese sono peraltro enfatizzate dal fatto che nel corso degli anni ‘90 si sono rovesciate quelle condizioni macroeconomiche che avevano favorito la crescita dei decenni precedenti.

Il sistema delle piccole imprese si era allora costituito sotto la spinta di una domanda interna trascinante e una politica valutaria accomodante – la cosiddetta svalutazione competitiva ha rappresentato una componente essenziale della politica industriale, contribuendo al suo rafforzamento e quindi alla configurazione settoriale e dimensionale che ha caratterizzato l’industria italiana, allargando la base produttiva del sistema economico nazionale.

Negli anni novanta invece il contesto macroeconomico ha cambiato segno, e invece di esprimere un effetto espansivo ha teso a produrre un effetto recessivo, caratterizzato da contrazione della domanda pubblica, riduzione delle rendite finanziarie e irrigidimento della politica valutaria, in cui si può determinare un rischio di marginalizzazione del sistema industriale italiano nel mercato europeo e internazionale.

Dunque non sorprende che le recenti Considerazioni finali del governatore Fazio abbiano dedicato una significativa attenzione alla analisi strutturale del sistema economico italiano, evidenziando l’affievolimento delle potenzialità di crescita dell’impresa minore, le ridotte performance in termini di produttività e profittabilità, la limitata partecipazione allo sviluppo tecnologico e all’innovazione, i bassi investimenti in informatica e ICT, e, in sintesi, il rischio che una ormai eccessiva frammentazione produttiva si ripercuota negativamente sulla capacità di crescita e sull’efficienza dinamica del sistema produttivo.

In un mondo a cambi fissi, sottoposto ad un’innovazione incessante, caratterizzato dall’irrompere di economie emergenti, dotate di combinazioni produttive con fattori e prezzi molto competitivi, diventa cruciale per le economie sviluppate la capacità di rapido adeguamento dei propri apparati produttivi, pena la perdita di terreno in termini di competitività, a partire dalla incorporazione nella struttura produttiva italiana della prossima integrazione europea, per la quale una serie di attività e di lavorazioni tecnologicamente povere, ad alta intensità di lavoro e con una ridotta capacità di valorizzazione dei fattori produttivi saranno trasferite ad Est oltre che in Oriente.

In questo scenario il sistema delle piccole e medie aziende deve rivedere i propri orizzonti strategici, non risultando più sufficiente la tradizionale capacità di esportazione sui mercati internazionali.

Bisogna cercare di dislocare in avanti il sistema italiano e quello regionale, promovendo le aziende verso l’acquisizione di una dimensione economica, finanziaria, organizzativa tale da garantirne processi di stabile internazionalizzazione produttiva e di mercato e di qualificazione innovativa, con accorte strategie di sviluppo strutturale.

Certo si devono rimuovere i vincoli che impediscono ai piccoli di crescere, semmai evitando ai medi la tentazione di comportamenti regressivi, e consentire a tutti gli operatori quella flessibilità di adeguare rapidamente gli apparati riduttivi al livello della domanda che solo un efficace sistema di garanzie diffuse può assicurare .

Questi provvedimenti non possono peraltro sminuire la crucialità per il sistema delle imprese dell’obbligo di cambiare organizzazione produttiva, strutture finanziarie, e impostazione commerciale, per poter sostenere e valorizzare quegli investimenti in tecnologia e in formazione, con rendimenti differiti nel tempo, ma elevati e insostituibili nella nuova competizione globale.

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Si tratta dunque di convogliare la vitalità imprenditoriale che caratterizza l’economia italiana verso strutture organizzative di dimensioni medie o grandi, che possano disporre di risorse finanziarie e di competenze necessarie a innovare prodotti e processi, all’utilizzo strategico delle tecnologie di rete per creare nuove attività, ad interagire e cooperare con il sistema della ricerca e con i luoghi di produzione delle innovazioni di frontiera, a riconvertire i modelli di gestione familiare verso l’integrazione di professionalità e l’applicazione di tecniche gestionali più sofisticate che finora non hanno avuto molto spazio, all’ingresso di capitali esterni, all’adozione di regole di governance più legate ai risultati che alla tradizione.

Strutture operative capaci di reggere la concorrenza non solo e non tanto sul piano dei costi quanto sul contenuto tecnico e sulla qualità dei prodotti, sulla capacità di gestione dei canali commerciali e sulla affidabilità nei rapporti di fornitura, anche ridefinendo geograficamente le attuali configurazioni produttive, delocalizzando a scala internazionale, in presenza di limiti alla capacità produttiva degli impianti industriali, le fasi manifatturiere meno valorizzabili in Italia, per fare spazio alle funzioni terziarie più pregiate.

Possono risultare istruttive in questa direzione le esperienze dei modelli a rete, di origine e tradizione distrettuale, in grado di combinare flessibilità operativa e possibilità di customizzazione dei prodotti con la capacità sistemica di valorizzazione delle nuove tecnologie e di interazione con i luoghi di creazione delle innovazioni: l’obiettivo del consolidamento dimensionale può essere perseguito anche mediante la costruzione di reti di imprese, di strutture associative e consortili.

A favore di scelte imprenditoriali a favore di un protagonismo che colga tutte le opportunità per crescere, decisivi risulteranno i rapporti con il territorio nelle sua diverse declinazioni - infrastrutture, sistema dell’istruzione e formazione, mercati locali del lavoro, dotazione di servizi alle imprese per la diffusione di tecnologie e di competenze.

Un aspetto particolare, ma tutt’altro che secondario, dei rischi che il sistema delle imprese minori fronteggia è infine individuabile con riferimento alla incombente applicazione della regolamentazione internazionale, prevista dai cosiddetti accordi di Basilea due, in merito ai nuovi meccanismi di determinazione dei requisiti di capitale del sistema bancario.

La previsione di procedure di valutazione automatizzata dell’affidabilità della clientela rischia infatti di creare difficoltà crescenti sul terreno dell’accesso e dei costi del credito per le imprese minori, sia perché esse non sempre possono essere adeguatamente valutate con questi sistemi di controllo del rischio, sia perché oggettivamente presentano una debolezza sul piano formale, non avendo saputo affiancare alle competenze sul piano produttivo, un’altrettanto valida capacità di gestire la propria attività sul piano finanziario.

A questo proposito si sottolinea l’importanza di un’attività di sensibilizzazione e di formazione, anche finalizzata alla predisposizione di rapporti di bilancio più consoni a migliori relazioni con il sistema bancario, oltre che della promozione di rapporti di capitalizzazione più adeguati e della definizione di più solide garanzie accessorie con un estensione del ricorso al sostegno dei confidi.

Le esternalità di sistema.

A fronte delle nuove sfide che il sistema economico regionale si troverà ad affrontare nei prossimi anni, di intensificazione della pressione competitiva e delle esigenze di riorganizzazione dei cicli produttivi, gli interventi finalizzati alla promozione della qualificazione e dell’innovazione in senso ampio del sistema delle imprese dovranno rispettare un’altra condizione di coerenza, riguardante le politiche per la predisposizione di esternalità di sistema, sia in materia di dotazioni infrastrutturali e nodi di sistema - quali a titolo indicativo strutture di servizi privati e pubblici, centri di progettazione e di design, dotazioni di tecnologie di informazione e di comunicazione, poli logistici, spazi espositivi, reti di subfornitura, progetti comuni di internazionalizzazione, strutture di formazione di professionalità, vettori di accesso a competenze esterne, interventi ambientali, iniziative culturali, percorsi e strutture di inclusione sociale - che di processi di sperimentazione e di consolidamento delle relazioni e delle reti tra gli attori economici e sociali locali – imprenditori e associazioni imprenditoriali, istituzioni locali, autonomie funzionali, associazioni, organizzazioni sindacali e professionali, sistema finanziario, enti del sistema dell’istruzione e della formazione, terzo settore – nell’ambito di strategie condivise, orientate alla valorizzazione del capitale sociale e della coesione, che sempre più rappresentano un determinante fattore di sviluppo delle diverse

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realtà territoriali e che possono trovare un’adeguata applicazione con gli strumenti della programmazione negoziata.

Le esperienze accumulate negli ultimi anni hanno consentito un miglioramento nelle capacità di gestione efficiente degli incentivi, come nel caso della velocizzazione dei tempi nell’erogazione dei contributi.

L’impegno di questi anni deve focalizzarsi sull’aumento delle capacità di programmazione e di efficacia.

Sulla base delle considerazioni e degli indirizzi sopra formulati, la Regione Piemonte ha già modificato nell’ultimo triennio le modalità e le tipologie di intervento a sostegno del sistema produttivo, cercando di rendere le azioni di intervento in campo industriale, artigianale, commerciale, turistico, agricolo e di servizi in genere più innovative, specialistiche e mirate, e rafforzando in particolare le azioni di sistema tra imprese stesse e soprattutto tra infrastrutture e imprese (Progetti integrati di sviluppo - PIS, Parchi tecnologici, Aree ecologicamente attrezzate- AIA, Piattaforme logistiche, Progetti integrati di sviluppo turistico- PIST, Progetti di riqualificazione urbana e Progetti integrati del commercio – PIR-PQU, Aree attrezzate artigiane, Interventi di distretto), in una logica di immissione nel territorio di beni pubblici locali.

Si è verificata in tal modo una graduale e significativa convergenza degli strumenti di intervento della Regione e un coordinamento delle tradizionale misure settoriali verso il sostegno dei sistemi produttivi, favorendo le sinergie tra imprese per specializzazione produttiva, per filiera o per territorio e tra esse e i diversi attori istituzionali e funzionali presenti nei vari sistemi economici locali. Questo orientamento trova una organica e precisa traduzione operativa nei programmi cofinanziati dai Fondi comunitari, in particolare nel DOCUP Ob. 2, e costituirà una direttrice di fondo nei prossimi anni.

Inoltre, tra le esternalità con le quali la Pubblica Amministrazione può influenzare il posizionamento competitivo delle imprese e del sistema produttivo regionale un ruolo centrale va riconosciuto a quella legata al costo dei vincoli e delle procedure burocrative-amministrative.

La citata riforma Bassanini prevedeva anche, accanto al trasferimento di competenze dello Stato alle Regioni, due importanti innovazioni organizzative, che permettono una notevole semplificazione delle procedure e un più facile accesso alle informazioni per le imprese: la creazione a livello territoriale dello sportello unico per le imprese, per le funzioni di assistenza e semplificazione amministrativa, e lo sportello per l’internazionalizzazione delle imprese, sulla base dell’intesa tra Regioni e Ministero dell’Industria. Entrambi devono trovare una accelerazione e una maggior incisività attuativa, per evitare che i buoni propositi espressi si perdano per strada..

Nella stessa direzione si può considerare l’impegno dell’Amministrazione regionale perché, nel rispetto delle esigenze di tutela e di compatibilità ambientali e socio economiche, siano semplificate o vengano eliminate una serie di procedure relative a competenze della Regione, che rallentano e rendono più onerose le scelte imprenditoriali, con un più ampio ricorso a processi di responsabilizzazione delle imprese stesse e, come già previsto dalla legislazione in atto, a certificazioni sostitutive, che esternalizzino, secondo un criterio di sussidiarietà orizzontale, necessarie attività di verifica tecnica, che possono essere assolte in modo più efficiente ed economico da soggetti e apparati esterni alla Pubblica Amministrazione.

Infatti non va trascurata la funzione che può giocare nelle politiche di sviluppo l’attività regolativa spettante alla Regione in materie quali i regimi di autorizzazioni e licenze di attività, di condizioni ambientali e di sicurezza, di urbanistica e gestione del territorio, con le quali l’Amministrazione pubblica può influenzare in misura considerevole le condizioni generali di offerta ma anche ed in particolare nel caso del riassetto dei servizi a rete (energia, risorse idriche, rifiuti, trasporti locali) la stessa configurazione delle strutture produttive, obiettivo non secondario rispetto a quelli della massima accessibilità territoriale e strettamente collegato a quello dell’efficienza dei servizi in questione.

La sistematizzazione degli incentivi.

L’ampliamento della la gamma degli strumenti a disposizione regionale per l’attuazione di una politica per le imprese e industriale rende dunque necessaria un’integrazione più ampia tra, strumenti di incentivazione, interventi infrastrutturali materiali ed immateriali, processi partecipativi, iniziative di alleggerimento e di semplificazione burocratica, attività regolativa e quindi anche una normativa di razionalizzazione delle

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diverse provvidenze gestite dalla Regione, a partire da un progetto di sistematizzazione degli incentivi, finalizzato a tre obiettivi sostanziali:

• la contestualizzazione delle scelte di programmazione di tutti gli incentivi a favore del sistema economico-produttivo, riconducendo ad un unico atto (il programma annuale o pluriennale) la sede in cui si decide quali incentivi attivare nel periodo di riferimento e la relativa dotazione finanziaria: ciò dovrebbe consentire, fra l’altro, di integrare ed ottimizzare gli interventi, di eliminare le eventuali sovrapposizioni, di distribuire le risorse in modo da massimizzare gli effetti;

• la delegificazione del sistema degli incentivi, attribuendo al livello legislativo le scelte politiche in ordine all’entità complessiva delle risorse a disposizione ed ai campi d’intervento, lasciando al livello amministrativo (Giunta e dirigenza) la definizione puntuale in ordine ai contenuti applicativi ed alle modalità operative degli interventi e il loro tempestivo adeguamento alle esigenze del sistema produttivo;

• l’impianto di un sistema accurato di monitoraggio che consenta di valutare gli effetti degli interventi attivati e di adattare, conseguentemente, la successiva programmazione in base all’idoneità degli incentivi a disposizione a perseguire efficacemente gli obiettivi di politica produttiva prefissati.

Questi adempimenti potranno rappresentare il primo passo verso la definizione di una normativa unitaria per la promozione delle attività produttive, che disciplini in modo organico e coerente gli incentivi, la realizzazione di infrastrutture e la prestazione di servizi pubblici per le imprese, così come i progetti integrati di sviluppo e l’attività regolativa concernente le imprese stesse.

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MODERNIZZAZIONE E RIORDINO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

La semplificazione normativa assunta come finalità permanente dell’attività legislativa regionale, secondo i principi sanciti dalla l. 59/1997, non può prescindere dall’attuazione del processo di conferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni ed alle Autonomie Locali, avviato con la citata l. 59/1997 e proseguito con i diversi decreti legislativi di attuazione.

La significativa trasformazione del ruolo delle autonomie locali nell’attuale ordinamento come risultante della riforma del Titolo V della costituzione, permette di comprendere meglio le basi normative e sociali su cui si innestano i principi istituzionali della sussidiarietà e del conferimento. Sussidiarietà intesa come canone legale di un indirizzo programmatico alle Autorità di governo affinché si adoperino per la promozione di un pieno e autentico decentramento decisionale interno.

In altri termini, lo sviluppo della autonomia locale nel senso della continua ricerca di ogni tipo di valorizzazione e ponderazione degli interessi comunitari emergenti nella sfera di libertà costituzionalmente riservata, incrementa lo sviluppo del decentramento in quanto, la generalità delle funzioni decentrate insieme a quelle proprie, consentono una imputazione di nuove responsabilità pubblica alle autorità locali.

Sul piano ermeneutico si impone una lettura unitaria e sistematica degli artt. 5, 117 e 118 del novellato Titolo V, cosicché il principio del decentramento e le norme sulle autonomie locali, appaiono essere “espressione di un disegno organizzativo unitario e forze articolate di un unico fenomeno”.

La pari dignità costituzionale di Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, a seguito del novellato articolo 114 Cost., porta ad affermare l’esistenza di una identità tra l’autonomia degli Enti locali e quelle delle Regioni, pur nella diversità dei ruoli e delle rispettive competenze nel diverso e concreto modo di operare nello stesso principio autonomistico.

A seguito del completamento dal processo di delega, attuato in Piemonte con le l.r. 44/2000 e 5/2001, si sta procedendo materia per materia alla ricognizione dell’“esistente” e dell’“unificabile” con interventi abrogativi, di coordinamento e modificativi, al fine di predisporre discipline organiche con l’innovazione delle normative preesistenti.

Nell’ambito della fase attuativa della riforma del Titolo V della Costituzione assumono particolare rilevanza l’accordo interistituzionale tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali firmato il 20 giugno 2002 ed il disegno di legge n. 1545 (c.d. La Loggia) recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”.

Lo Stato e le Regioni, nell’esercizio delle loro potestà legislative assicurano, in fase di predisposizione degli atti normativi, il puntuale rispetto degli ambiti di competenza loro assegnati e la piena coerenza con l’intervenuto processo di delega riconoscendo il ruolo primario svolto dagli Enti locali, secondo il principio di leale collaborazione.

Tutti i soggetti che compongono la Repubblica sono chiamati a fornire un efficace contributo al fine di sostenere e valorizzare il processo di armonizzazione dell’ordinamento giuridico al nuovo dettato costituzionale anche nel rispetto dell’articolo 5 della Costituzione.

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Per l’attuazione del federalismo fiscale l’accordo rinvia ad una conferenza mista per definire l’impianto complessivo e per procedere all’avvio del trasferimento di una parte delle risorse necessarie per svolgere le competenze esclusive e le funzioni amministrative derivanti dalla legge costituzionale 3/2001.

Il provvedimento legislativo attuativo della riforma costituzionale procede, nell’ottica dei principi enucleati dai riformati articoli, ad una profonda ridefinizione dei poteri dal centro alla periferia in linea con le istanze di decentramento e sussidiarietà che hanno caratterizzato l’attività politico istituzionale degli ultimi anni. In particolare vengono ridefiniti i limiti alla potestà legislativa concorrente individuando i criteri diretti a cui dovrà attenersi il Governo nell’emanazione dei decreti legislativi diretti alla ricognizione dei principi fondamentali, anche desunti dalla legislazione vigente, con specifico riferimento ali criteri di completezza, esclusività, chiarezza, proporzionalità e omogeneità.

Sul versante del decentramento, da una parte lo Stato è chiamato ad avviare il trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie, strumentali ed umane necessarie per l’esercizio delle funzioni e dei compiti previsti dagli articoli 117 e 118 Cost. novellati, dall’altra lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze ed in ossequio ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, provvedono a conferire tutte le funzioni amministrative ai Comuni attribuendo a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l’unitarietà dell’esercizio.

Al principio di sussidiarietà cd. orizzontale, ancorché introdotto in chiave esortativa, non può non essere attribuita una valenza generale e quale riconoscimento di una complessiva capacità di organizzare e gestire le funzioni di pertinenza secondo modelli veri, autonomamente prescelti.

Le finalità del riordino e della semplificazione normativa sembra puntare soprattutto sulla ridefinizione della qualità degli interventi, sulla codificazione e i testi unici, la deregolamentazione, la delegificazione e la semplificazione procedimentale oltre che sulla riduzione dello stock complessivo del volume delle norme.

L’azione di riordino della legislazione si è espressa principalmente sotto forma di una più chiara individuazione delle finalità proprie delle diverse tipologie di intervento normativo:

• legislazione intersettoriale e deleghe per gli interventi di riforma generale;

• legislazione ordinaria per la realizzazione degli interventi riguardanti le politiche di settore;

• legislazione destinata alla manutenzione normativa.

Ciò al fine di creare una legislazione “di sistema” attraverso una leale sinergia tra organi istituzionali fondata su “regole condivise” da inserire opportunamente nel nuovo Statuto.

In questo contesto si inserisce anche la semplificazione amministrativa, il cui processo è già stato avviato dalla l. 241/1990, in particolare con l’individuazione dei procedimenti amministrativi.

Il processo di riordino normativo richiederà tempi tecnici e istituzionali differenziati e gradualità di intervento.

Ciononostante alcuni passi verso la semplificazione dei procedimenti amministrativi a diritto vigente possono essere concretizzati anche in relazione al nuovo assetto organizzativo dell’Amministrazione regionale, dando attuazione agli indirizzi di accorpamento delle procedure amministrative contenute nelle linee di pianificazione delle attività delle Direzioni.

Un ulteriore passo potrebbe essere quello di indicare linee di intervento per la semplificazione come di seguito riportato.

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4.1 UTILIZZO DELLO STRUMENTO DELLA DELEGIFICAZIONE

Tale strumento appare quello maggiormente utilizzato per procedere alla semplificazione della disciplina di determinate materie al fine di:

1- accorpare strutture;

2- ridurre il numero degli adempimenti e quindi i passaggi interni ed i meccanismi eccessivamente burocratici;

3- accelerare le procedure e quindi utilizzare termini procedimentali brevi;

4- unificare i procedimenti previsti nelle leggi regionali anche con riferimento agli strumenti di autocertificazione di cui alla l. 15/1968;

5- ridurre le intese, nulla osta, concerti;

6- introdurre conferenze di servizi obbligatorie da istituire in condizioni ordinarie a procedura e legislazione vigente, tenendo presente che la conferenza dovrebbe essere considerato uno strumento eccezionale una volta esaurito il processo di semplificazione;

7- eliminare gli organi collegiali o ridurre il numero dei componenti con l’eventuale introduzione di istituti quali conferenze di servizi;

8- introdurre meccanismi di semplificazione nella emissione di titoli di spesa.

In realtà il solo effetto necessario del procedimento di delegificazione è quello della semplificazione della fonte nel senso di “dismissione della disciplina di una determinata materia o attività ad opera di norme contenute in fonti legali”, siano esse di primo o di secondo grado, mentre gli ulteriori effetti di semplificazione (riordino della materia e riduzione dello stock normativo) possono considerarsi solo eventuali.

La delegificazione è quindi finalizzata a ridurre l’ambito normativo della fonte legge, attraverso l’aumento dell’area di intervento della fonte-regolamento.

L’art. 20 della l. 59/1997 ha previsto l’uso generalizzato del regolamento delegificato disciplinato, in via di principio dalla l. 400/1988, in tal modo “istituzionalizzando” e rendendo periodico il ricorso alla delegificazione, sul modello vigente per le leggi comunitarie.

A questo punto è d’obbligo valutare se in base alle leggi Bassanini ed alle leggi di semplificazione le Regioni, potranno stabilire propri criteri e principi che indirizzino l’Esecutivo nella semplificazione dei singoli procedimenti amministrativi, nonché individuare le materie di intervento.

Ciò anche in considerazione del fatto che, a seguito della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, la potestà regolamentare è in capo alla Giunta. In quest’ottica occorre disporre di una mappatura di tutti i procedimenti di competenza regionale da semplificare, rilevati per materie organiche, tenuto conto di quei procedimenti che risultano già disciplinati con atto amministrativo.

Il programma di riordino delle norme legislative e regolamentari deve avvenire secondo determinate modalità tra cui appunto la delegificazione delle norme concernenti gli aspetti organizzativi e procedimentali, il coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando le modifiche strettamente necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo.

In tale contesto va data attuazione alla direttiva del Dipartimento della Funzione Pubblica dell’8 maggio 2002 sulla semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi, privilegiando la funzione di comunicazione da parte dei destinatari diretti dell’azione amministrativi in termini di comprensione e trasparenza.

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I principi di sussidiarietà e di proporzionalità possono costituire i criteri guida della semplificazione.

Il processo di delegificazione deve essere fatto rilegificando, riregolando.

Non basta diminuire il numero delle leggi e dei regolamenti, bisogna codificare leggi e regolamenti esistenti, adottare dei regolamenti che cancellino quelli precedenti.

4.2 OBIETTIVI PRIORITARI DELLA SEMPLIFICAZIONE

• Sportello Unico

Quella dello Sportello unico per le imprese costituisce per la PA una sfida stimolante, perché impone di ripensare completamente al meccanismo dei rapporti tra pubblica amministrazione e impresa, puntando ad evitare a livello periferico quelle rigidità cui l’idea dello sportello unico vuole porre rimedio.

In caso contrario si finirebbe non col favorire una semplificazione, ma semplicemente nell’aggiungere un ulteriore passaggio al già lungo e farraginoso “calvario” di passaggi burocratici cui sono sottoposte le attività produttive.

E’ dunque essenziale che lo Sportello unico sia visto come un luogo dove si stabilisca un rapporto di partnership tra impresa e amministrazione, nel rispetto dei ruoli ma anche della trasparenza, della chiarezza e dell’assoluta linearità delle procedure.

Lo Sportello unico deve servire a superare la diffidenza nei rapporti tra questi due soggetti. Da un lato ci vogliono leggi chiare - meglio se testi unici - adeguate e flessibili rispetto ai tempi sempre più rapidi dell’economia, dall’altro occorre che la pubblica amministrazione, nell’applicare uniformemente le regole, agisca in modo univoco per dare certezze alle imprese.

L’idea dello Sportello unico è in sé ottima, se dietro allo sportello vi è tutto un meccanismo di referenti che operano in modo coordinato, evitando rimpalli di responsabilità e ritardi che non sono più tollerabili, se vogliamo offrire alle nostre imprese le stesse chance competitive dei concorrenti europei.

Il ruolo che la Regione ha svolto a partire al 1999 con l’entrata in vigore del d.p.r. 447/1998 è andato oltre il coordinamento dei servizi e l’assistenza alle imprese come previsto dal d.lgs. 112/1998, per promuovere invece quelle aggregazioni per aree omogenee che sono apparse subito indispensabili.

Si è consapevoli che se il procedimento di semplificazione ha inciso sui tempi di rilascio dell’autorizzazione per la realizzazione degli interventi di cui al d.p.r.. 447/1998, successivamente modificato dal d.p.r. 440/2000, è di tutta evidenza che non ha affrontato il problema legato al numero dei procedimenti ed alla eterogeneità dei soggetti chiamati ad esprimersi operando, in tal modo, una ricaduta sull’effettiva osservanza di quei tempi che la normativa prevede.

Non ha, quindi, ridotto ma accorpato.

La sfida sta proprio nell’incidere sui procedimenti attualmente disciplinati nelle varie normative in termini di riduzione di fasi procedimentali e di soppressione di procedimenti considerati superflui, realizzando quella semplificazione sostanziale che sta alla base del processo di modernizzazione della PA.

L’operatività e la significatività degli sportelli unici si valuta sulla complessità dei procedimenti presentati, intendendo quei procedimenti che coinvolgono più enti – e non ad esempio delle DIA (dichiarazioni di inizio attività), al fine di non aggravare il procedimento unico, lasciando fuori i procedimenti già semplificati.

A seguito dell’azione amministrativa condotta dalla Regione, con lo Sportello unico le amministrazioni comunali hanno fatto un salto di qualità in termini di cultura amministrativa, di investimenti di risorse e di sviluppo di rapporti istituzionali creando una rete tra pubbliche amministrazioni che si parlano e si confrontano.

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Si tratta ancora di implementare un’azione informativa che coinvolga non soltanto le imprese ma anche i singoli cittadini.

Il dato che emerge dall’esperienza condotta sul territorio piemontese e dal confronto con gli operatori è l’organicità degli elementi del sistema Sportello unico che via via si è andato sviluppando ed arricchendo con l’apporto delle varie componenti.

La rete di iniziative strettamente collegate in un’azione sinergica tra i vari livelli istituzionali di governo del territorio va letta, infatti, come un “work in progress” che ora passa alla fase di sperimentazione.

• Diminuire il peso della regolazione

La regolazione pubblica può non essere in sé un male perché spesso protegge interessi meritevoli di tutela, ma l’accumulazione delle regolazioni è divenuta un pericolo in quanto influisce negativamente sull’innovazione, l’efficienza, la reattività al cambiamento dell’impresa e produce disattuazione di norme.

C’è una relazione stretta tra grande abbondanza di norme e basso tasso di rispetto delle stesse.

La regolazione produce un effetto dissimetrico: pesa più sulle piccole e medie imprese, meno sulle grandi.

Per diminuire il peso della regolazione ogni nuova legge andrebbe sottoposta a preventiva valutazione, considerando singolarmente oppure cumulativamente i costi degli adempimenti imposti: questo richiede che l’analisi economica venga applicata alla pubblica amministrazione.

Migliorare la qualità della regolazione significa essere in grado di distinguere gli interventi veramente indispensabili da quelli che si possono evitare (compresa l’opzione zero, vale a dire quella di lasciare inalterata la situazione), così come essere in grado di scegliere le forme di regolazione che, a parità di risultato, siano più vantaggiose, in termini di costi e benefici, per i soggetti destinatari. A tal fine la legge di semplificazione n. 50/1999 ha previsto l’introduzione dell’AIR (analisi dell’impatto della regolamentazione), mutuata dalle raccomandazioni del rapporto OCSE sul sistema di governo, che deve caratterizzare la produzione normativa.

E’ fondamentale che tramite l’AIR vengano rilevate in modo appropriato le esigenze dei cittadini, delle imprese e delle PA interessate dall’intervento normativo attraverso la consultazione.

Essa costituisce uno strumento per acquisire le percezioni dei diretti interessati e dei testimoni privilegiati in relazione alla natura, alla entità ed alla distribuzioni sociale, temporale e spaziale dei costi e dei benefici.

Mette in luce eventuali conseguenze inattese della regolazione e contribuisce ad aggregare consenso su nuove proposte di intervento, anche alternative alla regolazione diretta.

Attualmente la Regione, in collaborazione con il Formez , ha avviato la sperimentazione dell’AIR su alcuni provvedimenti in itinere.

Essa è finalizzata alla verifica degli effetti applicativi di tale metodologia che, dopo la fase sperimentale, informerà l’attività legislativa e regolamentare di questa Amministrazione.

Gli uffici pubblici sono i maggiori produttori di norme: è necessario, pertanto, istituire un ufficio con lo specifico compito di semplificare.

• Riduzione delle procedure

La riduzione delle procedure è uno degli strumenti per favorire lo sviluppo, gli investimenti e l’occupazione, in quanto incide sui tempi favorendo una maggior certezza nell’individuazione del termine finale di risposta da parte della Pubblica Amministrazione riducendo, altresì, le forme di contenzioso tra i diversi soggetti coinvolti.

Corrispondendo alle indicazioni contenute nella raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea n.

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90/246 del 28 maggio 1990 relativa all’attuazione di una politica di semplificazione amministrativa a favore delle piccole e medie aziende degli Stati membri, occorre operare una sostituzione delle procedure formali con il ricorso al silenzio-assenso.

Infatti, al procedimento suscettibile di concludersi con il silenzio si applicano i principi di partecipazione al procedimento, di trasparenza dell’azione amministrativa e dell’obbligo di istruttoria, del responsabile del procedimento e della comunicazione del provvedimento al destinatario.

• Certificazioni tecniche

Nel caso in cui la normativa regionale sia caratterizzata da documentazione tecnica o progettazione (es. l.r. 45/1989 in materia di vincolo idrogeologico, autorizzazioni sanitarie,…), al fine di ridurre la discrezionalità dell’Amministrazione e snellire i tempi del procedimento, è opportuno trasferire in capo ai professionisti l’onere di certificare la regolarità della documentazione prodotta.

Riguardo alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) è attualmente in atto una sperimentazione della legge regionale 14 dicembre delle procedure e unificazione dei procedimenti in premessa enunciati.

• Certificazioni antimafia

Le modalità attuative del nuovo regolamento di semplificazione rischiano di non produrre gli effetti voluti.

Oltre un’ulteriore semplificazione delle attuali procedure sarebbe fin d’ora necessario riconoscere la validità delle certificazioni rilasciate dalle Camere di Commercio, anche ai fini antimafia, senza l’ulteriore vidimazione della Prefettura, nonché l’attivazione di collegamenti telematici da parte delle Pubbliche Amministrazioni per la verifica diretta dell’assenza di misure cautelative.

• Valorizzare strumenti civilistici a tutela di interessi pubblici

Evitare di fare troppo affidamento su sanzioni primitive inefficaci e troppo poco su altri tipi di incentivi (es. responsabilità civili, contrattuali).

Dopo aver individuato gli incentivi e le istituzioni attraverso cui le norme acquisteranno efficacia, gli organi decisori dovrebbero programmare multiformi ed opportune strategie di attuazione.

L’attuazione delle norme dovrebbe essere tenuta presente in tutti gli stadi del procedimento di decisione, piuttosto che essere considerate solo alla fine.

Una causa comune di inosservanza delle norme, per esempio, risiede nella incapacità dei gruppi interessati a comprendere la legge, come risultante di regolamenti mal redatti o troppo complessi, o di interpretazioni prive di coerenza da parte dei funzionari chiamati a farle rispettare.

Le valutazioni sull’attuazione avranno forti riflessi sulle decisioni relative a forme alternative di intervento.

Una valutazione realistica degli indici di previsione di adeguamento alle norme fondate sulle strategie esistenti, in merito alla loro osservanza ed attuazione, potrebbe suggerire che una politica di intervento sia preferibile rispetto ad un’altra che sembra più efficace sulla carta, ma che è probabilmente più difficile attuare.

4.3 INFORMATIZZAZIONE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Alla luce delle leggi di attuazione delle deleghe (c.d. Bassanini) emerge sempre più chiaramente la necessità di disporre di un sistema informativo della PA, ottenuto come armonico interagire di sistemi locali delle singole realtà, basato su infrastrutture di rete condivise.

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In questo quadro la Regione Piemonte ha già avviato iniziative rilevanti, alcune con una fruibilità immediata anche da parte di soggetti esterni all’Ente (la costruzione della RUPAR, la costituzione dell’Autorità di Certificazione piemontese, la progettazione di servizi di interscambio), altre con una valenza apparentemente solo interna alla Regione ma potenzialmente utili all’intera comunità (dalla costruzione del datawarehouse regionale, alla messa a punto di strumenti standardizzati che consentono l’interscambio di pratiche amministrative rendendone trasparente il percorso: ampliati all’esterno dell’Ente, questi strumenti permettono di realizzare un effettivo servizio di interscambio di documenti tra le pubbliche amministrazioni evitando gli attuali rinvii tra gli Enti).

Nell’ambito dei servizi di interoperabilità che la RUPAR (la rete unitaria della pubblica amministrazione piemontese) offre alle amministrazioni pubbliche già connesse ed a quelle che si connetteranno, riveste un ruolo fondamentale il servizio della firma digitale per favorire e velocizzare lo scambio documentale ed informativo interno agli enti, tra enti diversi e tra gli enti ed i soggetti esterni (cittadini e imprese).

La firma digitale è l’elemento qualificante per la validità legale dei documenti informatici individuato dal d.p.r. 513/1997, e dalle regole tecniche attuative (DPCM 08/febbraio/1999), che inoltre sancisce l’obbligo di certificazione delle chiavi crittografiche, utilizzate nel processo di firma digitale, da parte di un ente di certificazione iscritto all’albo nazionale dei certificatori tenuto dall’AIPA.

Il 2 marzo 2002 è entrato in vigore il d.lgs n. 10/2002 con il quale è stata data attuazione, nel nostro ordinamento, alla Direttiva 1999/93/Ce relativa a un quadro comunitario per le firme elettroniche. Sono state apportate modificazioni al d.p.r. n. 445/2000 in materia di documentazione amministrativa, sia per ciò che concerne la certificazione delle firme elettroniche, i requisiti e le responsabilità dei certificatori, sia in merito alla forma ed efficacia del documento informatico. Sarà quindi emanato un apposito regolamento per coordinare le disposizioni del d.p.r. 445/2000 con quelle della direttiva e per fissare gli ulteriori requisiti richiesti dai certificatori.

Ulteriore punto di riferimento è dato dal piano nazionale di azione per l’e-government che intende stimolare l’utilizzo delle moderne tecnologie dell’informatica e delle telecomunicazioni nel processo di modernizzazione della Amministrazione del Paese, attraverso tre categorie di azioni:

a) azioni di informatizzazione dirette a migliorare l’efficienza operativa interna delle singole Amministrazioni,

b) azioni dirette ad informatizzare l’erogazione di servizi ai cittadini ed alle imprese, che implicano un’integrazione tra i servizi di diverse amministrazioni. L’obiettivo è offrire ai cittadini e alle imprese servizi integrati e non più frammentati secondo le competenze dei singoli enti di governo,

c) azioni dirette a consentire l’accesso telematico degli utilizzatori finali ai servizi della Pubblica Amministrazione ed alle sue informazioni.

Sono stati presentati 6 progetti regionali e 4 progetti interregionali (Servizi di riconoscimento e abilitazione in rete – Semplificazione amministrativa: Interscambio informativo e servizi per la PA – Sistema Informativo Lavoro: servizi di infrastruttura – Banca Dati delle Attività Produttive - Sistema Informativo Territoriale Ambientale Diffuso – Neutral Access Point del Nord Ovest - Progetto Rupar Nord Ovest: Servizio interscambio documentale - Sistema di Interscambio Anagrafico e Indici della popolazione – Portale del rischio naturale e antropico nel Nord Ovest e gestione delle emergenze) in occasione dei bandi per l’attuazione dell’e-government 2002 coerenti con le linee guida del piano di azione di e-government piemontese. Per facilitare ed accelerare l’attuazione dell’e-government nei sistemi regionali, il DFP (Dipartimento della Funzione Pubblica) ed il DIT (Dipartimento per l’Innovazione e le Tecnologie) hanno convenuto di attivare un intervento di sostegno allo sviluppo di strutture di supporto in questo ambito, denominate Centri Regionali di Competenza per lo sviluppo dell’e-government (CRC- documento pubblicato il 20 marzo 2002). E’ quindi intenzione dell’Amministrazione regionale attivare un Centro Regionale di Competenza che tendenzialmente avrà come obiettivi la realizzazione dei programmi di e-government, la condivisione dei modelli e lo sviluppo della cooperazione tra i soggetti territoriali.

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E’ stata introdotta la “larga banda” in area metropolitana in ottemperanza alle linee strategiche del piano d’azione nazionale, al fine di rendere operativa l’introduzione delle nuove applicazioni multimediali. E’ stato istituito il primo nodo NAP (Neutral Access Point) in Torino al fine di potenziare la connettività Internet di Torino e a tendere del Piemonte creando un terzo nodo Internet nazionale alternativo a quelli tutt’ora operanti a Roma e a Milano. Si tratta di una logica evoluzione della RUPAR per offrire un supporto operativo anche al settore privato (cittadini e imprese). Nell’ambito degli interventi previsti dal Piano per il miglioramento dell’efficienza operativa interna dell’Ente, assume particolare rilevanza il progetto del nuovo sistema informativo di gestione delle risorse umane. La gestione della forza lavoro, anche negli enti pubblici, si sta sempre più evolvendo dalla pura gestione anagrafica ed economica dei dipendenti alla gestione delle competenze; da qui la necessità di “mappare” le proprie strutture organizzative e di assegnare ad esse i dipendenti sulla base delle mansioni e delle posizioni definite e sulle competenze e conoscenze delle singole persone.

In questo contesto assume una rilevante importanza il piano di sviluppo SIRE 2001-2003.

Piano che descrive i macro interventi rivolti all’Ente Regione e finalizzati al potenziamento ed al miglioramento del funzionamento del sistema informativo della struttura regionale.

Le leggi regionali hanno introdotto uno schema di organizzazione dei sistemi informativi della Pubblica Amministrazione regionale che, in questa fase di trasformazione dello stato in senso federalista e quindi di accelerazione dei processi di delega e di decentramento, si sta rivelando un ottimo modello di riferimento, al punto da poter essere proposto alle altre amministrazioni, prime tra tutte quelle regionali. Il Piano, oltre a prevedere interventi per i vari comparti nei quali è convenzionalmente classificata l’attività regionale, prevede altresì macrointerventi rivolti a tutta la Pubblica Amministrazione piemontese, necessari per realizzare un sistema integrato fra le stesse (Sistema Piemonte).

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4.4 – QUALIFICAZIONE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Il processo di modernizzazione del sistema paese Italia sta coinvolgendo e toccherà ancora di più in futuro le Pubbliche Amministrazioni.

A partire dal 1990 sono state introdotte una serie di innovazioni legislative e costituzionali che hanno modificato profondamente status, ruolo e funzioni della PA e lo stesso rapporto tra PA e cittadino o imprese.

Tali innovazioni hanno coinvolto con il decentramento, in misura maggiore le Amministrazioni locali, che d’altra parte trovandosi a contatto con i cittadini si sono dimostrate le più dinamiche e pronte a cogliere i cambiamenti, anche utilizzando i moderni supporti telematici e informatici.

Nello scenario delineato di modernizzazione e trasformazione della PA locale assume una valenza strategica l’attività di formazione e qualificazione delle risorse umane e la funzione di sostegno che la Regione può fornire all’Amministrazione pubblica locale( Enti locali e Autonomie funzionali).

Formazione che non può più limitarsi ai “corsi d’aula”, ma deve collegarsi, arricchirsi e integrarsi nel “posto di lavoro” che diventa il terreno di apprendimento in cui si “impara ad imparare”.

Ciò comporta un diverso modo di intendere i processi formativi, passando:

- da corsi di formazione, a percorsi formativi;

- da formazione/addestramento, a processi di apprendimento;

- da lezione, a piano di lavoro individuale o di gruppo;

- da una formazione “preordinata” verticisticamente, ad una formazione condivisa.

Lo sviluppo dei mezzi telematici e la loro possibilità di connessioni consente un salto di qualità anche nelle possibilità del sistema formativo.

4.5 LA RIORGANIZZAZIONE E L’IMPATTO SULLE STRUTTURE DELL’ENTE DEL PROCESSO DI DELEGA DI FUNZIONI

Il riordino delle norme sull’organizzazione e sull’ordinamento del personale della Regione Piemonte rappresentano un’esigenza ineluttabile per adeguare gli apparati amministrativi regionali ai principi legislativi innovativi introdotti in materia organizzativa, di gestione delle risorse umane e di esercizio delle funzioni amministrative.

Detto riordino mira alla sostituzione di un modello organizzativo fondato su procedure e vincoli, con un modello orientato al perseguimento di obiettivi, che prevede l’incentivazione economica quale conseguenza dei risultati conseguiti.

La riorganizzazione ha anche lo scopo di realizzare principi di semplificazione, di delegificazione e di deregolamentazione, in modo da incentivare l’innovazione e la sperimentazione favorendo, nel contempo attraverso, l’utilizzo dei collegamenti telematici, l’efficienza della Regione Piemonte e del sistema pubblico piemontese.

Essa, inoltre, si prefigge il fine di garantire maggiore flessibilità nelle nomine di direttori e di dirigenti, in un quadro di nuove regole teso ad una maggiore razionalizzazione delle strutture dirigenziali implicante una riduzione generalizzata delle medesime, assicurando del pari una maggior duttilità nelle procedure di assunzione e di impiego del personale secondo una logica che privilegia la qualità delle persone, in un’ottica di valorizzazione del personale.

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Nell’ottica della privatizzazione vi è altresì la necessità di ampliare la casistica di utilizzo del contratto dirigenziale di diritto privato per la realizzazione di progetti di rilevanza strategica, estendendo tale possibilità non solo a dipendenti di altri enti, ma anche a dipendenti regionali.

La riorganizzazione è, infine, tesa a realizzare nuovi assetti strutturali divenuti essenziali a seguito dei c.d. decreti Bassanini in materia di funzioni amministrative trasferite al sistema delle Autonomie locali con l’individuazione degli uffici regionali preposti alle funzioni trasferite ed alla loro riorganizzazione con particolare riferimento a procedure ed ai procedimenti in corso.

Per conseguire gli obiettivi di cui sopra e realizzare i conseguenti programmi si è proceduto all’elaborazione di studi finalizzati da un lato alla revisione della l.r.51/1997 (per questo obiettivo è in corso di approvazione il disegno di legge modificativo), dall’altro alla verifica dell’impatto organizzativo sulle strutture regionali del processo di delega di funzioni in corso di attuazione.

4.6 RAZIONALIZZAZIONE DELLE PARTECIPAZIONI REGIONALI

Il processo di razionalizzazione del sistema delle partecipazioni regionali in società di capitali si articola su due direttrici complementari ma distinte consistenti, l’una, nella verifica della perdurante congruenza rispetto agli interessi regionali di ciascuna mission societaria, l’altra, nella definizione di un modello organizzativo che renda efficiente il sistema costituito dalle partecipazioni che siano riconosciute utili e funzionali al perseguimento di obiettivi a valenza strategica.

L’azione preliminare consiste, dunque, nell’eliminazione delle partecipazioni “inutili”, ritenendo tali quelle strutturalmente inidonee a rappresentare un efficace strumento di intervento in campo economico nonchè quelle relative a società operanti in settori di attività non più di interesse regionale: nell’uno e nell’altro caso si tratterà di attivare procedure con effetti dismissivi delle quote od estintivi delle società.

Più complessa è l’opera di riorganizzazione sistemica.

Al riguardo occorre considerare che le partecipazioni regionali non mutano di significato se hanno carattere diretto od indiretto, cioè se fanno capo alla Regione od ad una sua controllata. L’attuale duplicità della loro veste formale rappresenta, anzi, un elemento di complicazione nell’ottica di una gestione coordinata delle stesse. Appare quindi ragionevole configurare un processo di graduale accentramento della responsabilità gestionale che garantisca più efficacemente sia il coordinamento della politica di gruppo che la direzione economica per settori omogenei di attività.

4.7 UN ASSETTO DI GOVERNANCE PER L’AMMINISTRAZIONE REGIONALE

L’indirizzo aziendalistico - seguito con l’introduzione di fattori di mercato e la diffusione all’interno dell’Amministrazione di logiche manageriali - ha condotto all’utilizzo di meccanismi gestionali sempre più orientati ai risultati. Va però rilevato che una forte cultura interna, non sempre implica, di per sé, che l’ente riesca a soddisfare adeguatamente le esigenze informative dei propri stakeholders (Cittadini, Amministratori, Utenti, Dipendenti, altre Amministrazioni). Il problema può essere risolto attraverso la definizione di un assetto di governance che focalizzi l’attenzione su fattori quali: l’efficienza, la qualità, la tempestività e l’innovazione dell’azione amministrativa. Naturalmente solo con una visione allargata del concetto di governance, è possibile rispondere a tali aspettative, poiché si devono ridefinire l’insieme degli strumenti di controllo, lo sviluppo delle metodologie e dei sistemi di analisi dell’efficienza interna e dell’efficacia delle politiche In proposito pare opportuno richiamare di seguito i caratteri essenziali degli strumenti di controllo già predisposti (o che s’intendono introdurre) al fine di migliorare le performance gestionali e strategiche e che potrebbero essere indispensabili a creare un sistema di business intelligence.

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Strumenti e metodologie per l’attuazione dei controlli interni

• Programma operativo In tema di controllo di gestione, con la definizione del programma operativo si vuole verificare che le linee di attività siano correttamente impostate e monitorate, per cui la prassi consolidata sarà quella di: predisporre dei budget e verificarne a consuntivo il mantenimento; procedere all’individuazione di appropriati indicatori e al controllo dell’andamento rispetto ai target assegnati. Il procedimento di assegnazione e individuazione di indicatori di riferimento che misurano l’andamento dell’attività e garantiscono un’aderenza tra obiettivo con le strategie e l’operatività, ha lo scopo precipuo di determinare l’eventuale spreco di risorse.

• Valutazione delle performance individuali Sempre più importante diventa l’esplicita responsabilizzazione del personale su predefiniti parametri-obiettivo; in stretto collegamento con il sistema di valutazioni delle performance individuali, si è ormai consolidata l’erogazione di incentivi nel caso di raggiungimento di risultati positivi.

• Sistema di supporto alle scelte strategiche Una corretta analisi dei rischi che si possono presentare deve prevedere, tuttavia, che l’Amministrazione sia fornita di misure oggettive di performance, non solo per quanto attiene alle attività interne - valutabili attraverso l’elaborazione di appositi indicatori - ma anche in relazione alle attività esterne. Per cui si deve procedere alla costruzione di indicatori-obiettivo non solo per indirizzare la gestione e verificare/valutare il raggiungimento degli obiettivi programmati, ma anche per l’elaborazione delle linee programmatiche finalizzate a supportare le scelte strategiche. Lo scopo è senz’altro quello di fornire un insieme di informazioni e indicatori oggettivi che consentano di valutare ed eventualmente di riformulare il sistema degli obiettivi strategici dell’Amministrazione. Ciò che si ipotizza è dunque l’introduzione dei seguenti strumenti di controllo in grado di supportare concretamente le scelte di indirizzo politico: Introduzione di un business plan L’introduzione di un business plan per gli enti strumentali e quelli dipendenti dalla regione viene finalizzata a valutare le attività di start up e quelle consolidate, ma soprattutto permette di avere a disposizione uno strumento di programmazione delle risorse. La proposta di un business plan nasce dall’esigenza di voler migliorare il collegamento delle prestazioni ai costi sostenuti per l’erogazione dei servizi. Questa soluzione, sperimentata con successo nel settore privato, contiene per ogni attività svolta, informazioni, dati e notizie che ne illustrano la fattibilità e la convenienza economica. Si tratta, in sostanza di procedere alla redazione di un documento sulla base degli obiettivi che gli Enti intendono perseguire, ai mezzi ed alle risorse di cui dispongono e alle strategie che intendono attuare. Rilevazione degli aspetti della Business ethics Venendo alle finalità dell’Ente contraddistinte da un elevato grado di coesione sociale, non si può prescindere dalla presa in considerazione della business ethics. La soddisfazione della crescente richiesta di informazione sul comportamento tenuto dalla regione in tema di responsabilità sociale si potrebbe prevedere una fase di comunicazione rivolta a tutte le parti interessate inerente alle performance sociali ottenute ed agli obiettivi di miglioramento raggiunti. La ragione della presa in considerazione di questo aspetto della valutazione, risiede nel fatto che la componente sociale è a tutti gli effetti una variabile economica interiorizzata nella mission e nella vision dell’ente. La sfida della business ethics, tuttavia non comporterà aggravi aggiuntivi in quanto il questo monitoraggio specifico rientrerebbe in un sistema di valutazione più ampio che è quello delle politiche. Delineazione di un Sistema di Qualità Più complesso è lo sviluppo di strumenti strategicamente rilevanti da utilizzare per l’introduzione di un "Sistema di Qualità", che mettano in evidenza le correlazioni esistenti tra il controllo di gestione e il controllo dei costi della qualità. Un sistema di qualità pone al centro della mission dell’azienda la soddisfazione del cliente; per cui questo aspetto della valutazione diventa irrinunciabile per la regione che ha come fulcro della propria attività il cittadino. A questo si deve aggiungere che la rilevazione e la gestione dei costi della qualità fornirebbero al

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management uno strumento strategicamente determinante alla verifica del miglioramento dei risultati conseguiti dalle Direzioni e ad una individuazione più realistica dei costi superflui. Lo sviluppo della qualità dei risultati e l’efficiente uso delle risorse comporta l’attivazione di un percorso per giungere alla completa realizzazione di una gestione di tipo manageriale. Sulla scorta delle informazioni raccolte sarà così possibile procedere alla verifica dell’allineamento strategico, con l’identificazione di una scala di priorità. E’ indubbio che ci si dovrà affidare ad uno strumento di business intelligence la cui duttilità, flessibilità ed efficacia grafica permetta di realizzare un cruscotto per il monitoraggio e la valutazione dei risultati. Seguendo questo orientamento, si dovrà predisporre un sistema informativo idoneo a raccogliere con continuità informazioni utili e attendibili sull’utilizzazione delle risorse per la realizzazione degli obiettivi; questa strumentazione di supporto consentirebbe di rilevare, confrontare, analizzare e valutare le performance individuali e organizzative: in grado di produrre preziose informazioni gestionali, che risponderebbero efficacemente alle esigenze degli stakeholders. In quest’ottica la Regione, con una propria mission, con un proprio sistema di programmazione ed un proprio sistema di monitoraggio sarà posta in condizione di tendere sempre più a comportarsi come un’impresa, pur tenendo conto della sua responsabilità sociale.

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INNOVAZIONE, ISTRUZIONE, CULTURA, VALORIZZAZIONE DELLE RISORSE UMANE

Come indicato dal Programma regionale di sviluppo, la conoscenza/sapere costituisce una risorsa di straordinario valore per favorire il riposizionamento e la competitività del Piemonte per i prossimi decenni.

Nel passaggio da un sistema produttivo fortemente caratterizzato dal settore industriale classico ad uno in cui cresce notevolmente l’importanza dei servizi ed esplode l’attività delle telecomunicazioni e dell’informazione, il bene della conoscenza/sapere deve godere di uno sviluppo e di una diffusione sempre più forti e continui.

Il tessuto socio-economico piemontese può contare su un sistema culturale/formativo che ha saputo evolversi costantemente nei tempi e che esprime livelli di assoluta eccellenza in campo nazionale e internazionale. Atenei, centri di ricerca, fondazioni culturali, agenzie formative e scuole di specializzazione di alto livello, collegandosi all’esperienza operativa di un tessuto produttivo avanzato e sufficientemente diversificato, sono una risorsa su cui contare per valorizzare le capacità del patrimonio umano e per accrescere e diffondere la conoscenza /sapere e la cultura scientifica, tecnica, tecnologica e professionale.

5.1 FORMAZIONE E LAVORO

La strategia regionale in materia di lavoro e formazione è strettamente raccordata a quella europea, fondata sui cosiddetti quattro pilastri del processo di Lussemburgo e fortemente orientata verso uno sviluppo integrato delle varie componenti di sistema: politiche del lavoro e dell’orientamento, scuola e formazione professionale. Lo strumento che definisce obiettivi e modalità di azione per il periodo 2000-2006 è il Programma Operativo Regionale Obiettivo 3, approvato dalla Commissione Europea nel settembre 2000, e oggetto di specificazione attuativa nel Complemento di Programma, licenziato nel dicembre 2000 dal Comitato Regionale di Sorveglianza.

L’analisi sviluppata nel POR mette in luce la relativa debolezza del Piemonte nel contesto del Nord-Italia e segnala i problemi posti dalle dinamiche demografiche in corso, caratterizzate da una forte riduzione della presenza giovanile e dal conseguente invecchiamento delle forze di lavoro piemontesi. Ne deriva una progressiva carenza, sia quantitativa che qualitativa, di personale per sostenere lo sviluppo del sistema economico regionale: vanno quindi attivate prioritariamente quelle politiche che garantiscono la piena valorizzazione delle risorse umane disponibili.

Nel biennio 1999-2000 si è registrato nella nostra regione un impetuoso sviluppo, che ha consentito al Piemonte di recuperare parzialmente il gap esistente con le altre regioni del Nord, ma ha portato ad un acutizzarsi delle tensioni sul mercato connesse allo shortage di manodopera.

Nel corso del 2001, pur in un quadro ancora espansivo, si è verificato un progressivo raffreddamento del clima economico, aggravato dallo shock conseguente agli eventi terroristici dell’11 settembre. Nel primo semestre del 2002 la situazione è ulteriormente peggiorata, e le prospettive sono negative, in dipendenza della crisi aperta nel settore automobilistico, che rischia di estendersi a raggiera, con gravi conseguenze su tutto l’indotto e i comparti collegati. Si è costituito al proposito un tavolo di confronto fra istituzioni e parti sociali per mettere a punto gli interventi necessari a contenere gli effetti della crisi, sia sul versante degli ammortizzatori sociali che sul lato delle politiche del lavoro e della formazione.

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In un contesto pre-recessivo come l’attuale, si ritiene comunque di confermare le priorità di intervento definite nel POR, perseguendo un’azione di carattere preventivo volta a realizzare i seguenti obiettivi:

la piena focalizzazione degli interventi scolastici e formativi alle esigenze espresse dal sistema economico;

l’aumento della partecipazione al lavoro delle donne;

il rafforzamento e l’adeguamento delle competenze di base e specialistiche dei lavoratori;

il sostegno alle nuove iniziative imprenditoriali, con priorità a quelle promosse dai giovani e dalle donne.

Andrà comunque approntato un piano d’azione per contrastare la crisi industriale, sulla base degli sviluppi della situazione e delle caratteristiche delle eccedenze di personale che saranno individuate, con interventi formativi finalizzati alla riqualificazione e ricollocazione dei lavoratori in esubero, oltre che con l’utilizzo mirato del ventaglio di ammortizzatori sociali esistente.

Gli obiettivi individuati si realizzano con la molteplicità di azioni previste dal POR, di cui si segnalano qui di seguito quelle più significative, articolate schematicamente per grande area operativa:

5.1.1 Lavoro e orientamento

L’obiettivo primario, strumentale al conseguimento degli obiettivi stabiliti, è la riorganizzazione e il potenziamento dei servizi pubblici per l’impiego a gestione provinciale, sulla base delle linee di intervento previste agli Assi A e B del POR. In questo disegno, i Centri per l’Impiego diventano punti di riferimento strategici sul territorio per le famiglie e le imprese, in grado di fornire servizi personalizzati e finalizzati all’incontro fra domanda ed offerta di lavoro e al sostegno delle politiche di inclusione sociale, a partire dalla gestione del collocamento mirato per i disabili di cui alla l. 68/1999.

Si consolidano, in questa prospettiva, le iniziative di carattere legislativo già avviate dalla Regione a favore della nuova imprenditorialità (Titolo II, l.r. 28/1993), delle fasce deboli del mercato (Titolo III, l.r. 28/1993) e delle Società Cooperative (l.r. 67/1994), ma si sviluppano in particolare, su impulso della Comunità Europea, le politiche di mainstreaming, a cui nel POR si riserva uno specifico Asse di intervento, ma che rappresentano altresì una priorità trasversale per l’insieme della programmazione.

La Direzione Formazione Professionale – Lavoro coordina inoltre un gruppo di lavoro interdirezionale istituito per operare un riordino della legislazione regionale in tema di cooperazione, in seguito al passaggio alle Regioni di nuove competenze in materia.

L’obiettivo è quello di arrivare in tempi brevi alla stesura ed all’approvazione di una legge settoriale che disciplini l’impianto degli interventi regionali di sostegno ed incentivazione al movimento cooperativo piemontese, sulla base di criteri di priorità e modalità di accesso e di erogazione delle risorse disponibili stabiliti in un piano unitario d’azione.

Si prevede, per conseguenza, un aumento dell’impegno finanziario regionale, in modo da disporre di un budget adeguato per promuovere sia il consolidamento delle cooperative esistenti, sia la nascita di nuove realtà imprenditoriali.

5.1.2 Formazione

La formazione professionale costituisce uno strumento centrale per la valorizzazione delle risorse umane essenziali al corretto funzionamento del sistema economico. Le linee di azione prioritarie in materia riguardano la piena operatività delle seguenti aree di intervento:

• l’obbligo formativo, per rafforzare le competenze di base dei giovani, e in particolare la messa a regime del sistema della formazione per l’apprendistato, quale strumento per la formazione in alternanza;

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• la formazione continua e permanente, per assicurare l’adeguamento dei lavoratori alle esigenze poste dall’evoluzione tecnologica ed organizzativa;

• la formazione superiore, per costruire professionalità tecniche e dirigenziali mirate alle necessità del sistema delle imprese.

Strumentale al raggiungimento di questi obiettivi è il miglioramento delle funzionalità del sistema formativo, con le azioni volte a migliorare la qualità delle strutture e della didattica previste nella Misura C1 del POR.

5.1.3 Integrazione formazione - lavoro

L’attuazione delle politiche del lavoro e della formazione citate va realizzata in un quadro unitario e sinergico, con il coinvolgimento di tutti gli operatori competenti, ai vari livelli di governo. L’integrazione si pone quindi in primo luogo come metodo di lavoro, e trova un momento privilegiato di applicazione in alcuni degli interventi prima ricordati:

- la riorganizzazione dei Centri per l’Impiego, che devono diventare il luogo fisico in cui le varie competenze dialogano e interagiscono;

- l’obbligo formativo, che va attuato d’intesa fra scuola, formazione e mondo del lavoro, a partire dall’Anagrafe regionale dei soggetti interessati, che consente ai Centri per l’Impiego di individuare ed orientare i giovani più deboli;

- la formazione superiore, dove l’integrazione fra scuola e formazione si concretizza nella programmazione dei corsi IFTS (Istruzione e Formazione Tecnica Superiore) e nel sostegno assicurato alle Lauree Triennali Professionalizzanti.

Più in generale, va assicurata la “libera circolazione” degli studenti tra i sistemi scolastico e formativo sulla base di un quadro unitario e riconosciuto di certificazione delle competenze, esteso a quelle acquisite nel corso dell’esperienza lavorativa:

- la piena focalizzazione degli interventi scolastici e formativi alle esigenze espresse dal sistema economico;

- l’aumento della partecipazione al lavoro delle donne;

- il rafforzamento e l’adeguamento delle competenze di base e specialistiche dei lavoratori;

- il sostegno alle nuove iniziative imprenditoriali, con priorità a quelle promosse dai giovani e dalle donne.

Tali obiettivi si realizzano con la molteplicità di azioni previste dal POR, di cui si segnalano qui di seguito quelle più significative, articolate schematicamente per grande area operativa.

5.2 SVILUPPO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO, DELLA RICERCA, DELLA FORMAZIONE AVANZATA E DELLA RETE DEI SERVIZI CULTURALI

Tra gli obiettivi strategici per assicurare al Piemonte condizioni favorevoli al suo sviluppo, primaria importanza riveste quello che favorisce il progressivo adeguamento del sistema universitario piemontese ai livelli culturali, scientifici, formativi e strutturali richiesti dal nuovo sistema di produzione globale e quello che individua strumenti per venire incontro alla crescente richiesta di una nuova generazione di scienziati e ricercatori capaci di rispondere efficacemente e tempestivamente all’enorme competitività innescata dal nuovo mercato globale.

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5.2.1 Università, ricerca, diritto allo studio

Si tratta da un lato di migliorare gli standard edilizi e le condizioni di studio e di lavoro degli Atenei, attraverso la razionalizzazione e l’incremento delle strutture didattiche, delle strutture di supporto e dei servizi per il diritto allo studio e dall’altro di instaurare una più stretta relazione fra attività didattica e attività di ricerca, attraverso la predisposizione di opportune strutture e la creazione di centri di ricerca e di formazione avanzata di eccellenza.

Per il raggiungimento di tali finalità, si opererà nelle seguenti direzioni:

- sviluppo delle attività dell’Osservatorio regionale per l’Università e per il Diritto allo Studio universitario, al fine acquisire e pubblicizzare tempestivamente i dati utili alla valutazione dell’efficacia delle attività formative e di ricerca e degli interventi per il diritto allo studio e di favorire di conseguenza il confronto fra Atenei, Amministrazioni pubbliche e forze sociali ed economiche;

-sostegno alla realizzazione dei piani di intervento edilizi degli Atenei, in attuazione della l.r. 29/1999 recante (Interventi per l’ università e il diritto allo studio universitario);

- valutazione dei dati sulle dimensioni, sulle tipologie formative e sulle prospettive delle varie realtà decentrate, per un più efficace coordinamento degli interventi indispensabili ad una idonea azione di sostegno ai programmi promossi dagli Atenei piemontesi, anche nell’ambito di accordi di collaborazione con Università straniere, nella prospettiva di allargare, rendendola competitiva, l’offerta formativa a realtà straniere di interesse socio- economico per il Piemonte;

-valorizzazione del diritto allo studio, non solo per garantire in modo sempre più efficace e moderno il sostegno ai capaci e meritevoli privi di mezzi, ma anche per integrare questi interventi nella politica di governo complessivo del sistema universitario, stimolando la differenziazione dell’offerta didattica e adeguando i servizi alle realtà universitarie europee. In quest’ambito grande impegno sarà destinato ad incrementare in modo sostanziale la disponibilità di residenze per gli studenti fuori sede piemontesi e italiani, per i partecipanti ai programmi di mobilità internazionale, per gli interscambi di ricercatori e docenti;

-valorizzazione della ricerca e della formazione avanzata, per adeguarsi al processo che, a livello mondiale, vede il ruolo guida della ricerca fatto proprio da nuove istituzioni scientifiche, con il compito primario di adattarsi alla complessità delle domande indotte da un sapere scientifico in sempre più rapida evoluzione. In attesa di verificare le ricadute normative e finanziarie derivanti dal dibattito Stato-Regioni in materia di ricerca scientifica, si favoriranno intese tra gli Atenei e i settori regionali competenti per attivare e sostenere la realizzazione di progetti di ricerca di interesse strategico per il Piemonte. In continuità con quanto già da anni positivamente e concretamente realizzato dagli istituti scientifici di Villa Gualino, si promuoverà, inoltre, presso la Villa la costituzione di un centro di eccellenza per la ricerca e l’alta formazione nei settori di frontiera della scienza.

Va segnalato al proposito che a seguito della legge Costituzionale n. 3/2001 con deliberazione del CIPE 3 maggio 2002, sono state assegnate alla gestione diretta della Regione risorse del bilancio statale destinate ai settori della ricerca e della formazione.

Alla Regione Piemonte sono stati assegnati per il triennio 2002- 2004 Euro 12,516 milioni, da utilizzare sentiti il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e il Dipartimento della funzione pubblica.

Anche parte delle quote assegnate residualmente alle Amministrazioni centrali dovrà essere destinata ad interventi da ricomprendere nell’ambito dell’Intesa istituzionale di programma Stato – Regione (l. 662/1996) e dei relativi Accordi di programma quadro.

5.2.2 La rete dei servizi culturali

La modernizzazione delle strutture e dei servizi culturali è un obiettivo che concorre al raggiungimento di altri obiettivi di carattere più generale e che riguardano lo sviluppo della società dell’informazione, il

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sostegno all’adeguamento tecnologico e ai processi innovativi, così come l’innalzamento del livello della qualità della vita in un’epoca in cui si allunga la speranza di vita ed aumenta la disponibilità di tempo libero.

Nel concreto si individuano alcune specifiche linee di impegno.

La funzione sociale della biblioteca come punto di aggregazione e come luogo per un accesso gratuito e guidato alle risorse elettroniche è andato crescendo negli ultimi anni e la Regione è impegnata a favorire questa fruizione contribuendo alla ristrutturazione e al ripensamento delle sedi e degli allestimenti. Si estende la rete delle biblioteche che condividono catalogo servizi e risorse elettroniche e cambia il concetto stesso di biblioteca. La mediateca o biblioteca ibrida non si limita a gestire le risorse possedute, ma è aperta all’indirizzamento verso quanto presente nelle altre strutture culturali e soprattutto verso l’insieme dei servizi informativi oggi acquisibili su Internet.

Per il settore degli archivi il cambiamento interessa la modalità di descrizione delle fonti, per cui è stato messo a punto un sistema informatico rispondente a standard comuni, in modo da facilitare lo scambio e la circolazione delle informazioni.

L’obiettivo strategico che accomuna i due settori - biblioteca e archivio - e che nel prossimo futuro coinvolgerà anche i musei, è la partecipazione piemontese al progetto nazionale per una Biblioteca Digitale Italiana. Il progetto consiste nel mettere in rete non più soltanto il catalogo dei fondi e del patrimonio posseduto da biblioteche e archivi, ma la riproduzione dei contenuti, attraverso la scansione delle fonti cartacee o tramite la costituzione di documenti elettronici originali. Gli strumenti tecnici e le strategie sono in fase di elaborazione in accordo con gruppi di ricerca istituti dalla Comunità Europea. Le aspettative createsi intorno al progetto sono notevoli in quanto le amministrazioni locali, la comunità scientifica e le istituzioni culturali si riconoscono nell’obiettivo di meglio conservare e far circolare la memoria delle identità locali e nazionali.

L’aumento delle informazioni in rete e la volontà di raggiungere un numero sempre più vasto di utenti (in presenza, presso le istituzioni, o in remoto) e di tipologie diverse di fruitori obbligano a dedicare impegno e risorse finanziarie per migliorare i modi attraverso i quali viene proposto sulla rete, anche a livello grafico, il risultato dei lavori scientifici. Il campo delle tecniche della comunicazione connesse alla presentazione dei contenuti scientifici e culturali è un campo in espansione, che richiede l’impiego di figure professionali creative e l’elaborazione di nuovi modelli di interrelazione.

Un altro ambito di intervento regionale è la definizione di modelli, il controllo del raggiungimento degli standard e l’individuazione di incentivi per la gestione e l’erogazione dei servizi, con una particolare attenzione a che questi siano resi in modo affidabile e uniforme in tutta la regione. In questa direzione la Regione opererà al fine di favorire la gestione integrata dei servizi culturali a livello di sistemi territoriali o tematici (art. 124 della legge regionale del 15/marzo/2001, n. 5 di recepimento del d.lgs 112/1998 Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli altri enti locali). Si prefigura infatti un nuovo scenario, con la creazione di strutture preposte all’erogazione di servizi integrati, che mettano in relazione settori una volta rigidamente differenziati come le biblioteche, gli archivi e i musei.

Nei prossimi anni si tratterà pertanto di sostenere quelle situazioni in cui la collaborazione interistituzionale, la qualità delle risorse umane impegnate e l’interesse dei servizi offerti e del patrimonio culturale che viene reso disponibile siano tali da garantire un successo.

Il grado di complessità dei nuovi sistemi presuppone la definizione e il reclutamento di figure professionali nuove e la capacità di aggregare anche soggetti privati, che operino in una logica imprenditoriale. Di qui la necessità di lavorare con i centri di formazione d’eccellenza, che siano attenti a cogliere l’evoluzione dell’offerta di lavoro in un campo così in trasformazione.

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5.3. VALORIZZAZIONE DELLA RICERCA SCIENTIFICA E SVILUPPO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE

Per qualificare il livello generale della competitività del sistema piemontese particolarmente incisiva è la linea di azione regionale diretta a valorizzare la ricerca scientifica al fine di promuovere il trasferimento tecnologico e sviluppare la società dell’informazione. Gli interventi programmati puntano a sviluppare un sistema permanente di scambio bidirezionale tra organismi di ricerca e le imprese, sia in relazione alle tecnologie da utilizzare che alle competenze delle risorse umane coinvolte, dando vita ad attività permanenti di informazione, promozione e orientamento e supporto alla creazione di connessioni stabili tra i due ambiti, nonché interventi mirati per una maggior diffusione delle applicazioni informatiche e telematiche presso tutti i soggetti del sistema economico piemontese.

La strategia sopra illustrata trova una sua specificazione attuativa nelle misure 2.4 e 2.6 del Docup Ob. 2 2000-2006 che si articolano nelle seguenti linee di intervento:

Misura 2.4

• Ricerca applicata di sistema

• Azioni di sostegno alla realizzazione della società dell’informazione

• Azioni di sostegno all’e-business

Misura 2.6

• Incentivi alle p.m.i. per investimenti a finalità ambientale

• Incentivi alle p.m.i. per progetti di ricerca

-Il programma di ricerca applicata al sistema si pone in continuità con le iniziative precedenti e prevede il sostegno ad interventi mirati di disseminazione delle opportunità di innovazione presso le PMI realizzati da un concorso misto tra associazioni di categoria, enti pubblici e strutture di ricerca. Il programma verrà specificamente concepito sulla base delle esigenze manifestate da parte del tessuto produttivo locale in termini di innovazione di prodotto e di processo, e avrà come finalità principe quella di indirizzare progetti di ricerca latenti presso i poli scientifici e di ricerca della regione suscettibili di rispondere a questi bisogni al fine di assicurarne un’ampia diffusione.

-Le azioni di sostegno alla società dell’informazione riguardano lo Sviluppo di un osservatorio permanente sulla “net-economy” (come prosecuzione del progetto IRISI) e lo sviluppo di una piattaforma di comunicazione tra Pubblica Amministrazione e sistema delle imprese.

-Le azioni di sostegno all’e-bussines o commercio elettronico, hanno lo scopo di diffondere le forme di transazione commerciale basate sull’elaborazione e la trasmissione di informazioni digitalizzate nelle piccole e medie imprese, mediante la concessione di incentivi finanziari a parziale copertura delle spese sostenute dalle stesse PMI.

-Gli incentivi alle PMI per investimenti a finalità ambientale intendono contribuire al miglioramento dell’efficienza produttiva in una logica di integrazione fra politica industriale e politica ambientale, migliorando i processi produttivi, favorendo al contempo la diffusione presso le PMI di innovazioni tecnologiche.

-Gli incentivi alle PMI per progetti di ricerca intendono favorire l’accesso delle piccole o medie imprese, singole od associate ,alle strutture di ricerca e di sviluppo,per studi e progetti di ricerca precompetitiva.

La misura di intervento 2.4 sopra descritta comporta un costo totale di Euro 56.196.429.

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Il costo totale della misura 2.6 è quantificato in Euro 28.950.000.

Polo aerospaziale

Tra le iniziative che puntano a sviluppare la ricerca applicata, l’innovazione tecnologica, la competitività del Piemonte anche in settori tecnico scientifici di eccellenza va inoltre citato l’impegno della Regione per la realizzazione a Torino del Polo aerospaziale. Con il progetto si punta a realizzare un Centro Multifunzionale (CMF) per la fornitura di servizi a supporto delle innovazioni spaziali. Il CMF sarà un centro inserito in una rete multifunzionale di infrastrutture higt-tech) che comprenderà anche centri della NASA), destinate ad operare a sevizio delle agenzie spaziali SA e ASI, fornendo servizi avanzati ingegneristici e logistici anche ad utenti commerciali. Completata la fase di realizzazione infrastrutturale, con la costituzione della società operativa è stata dato l’avvio all’attività del Centro.

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5.4 SISTEMA “SCUOLA-TERRITORIO” E SVILUPPO DELLA QUALITA’ DELL’OFFERTA FORMATIVA, DEI SERVIZI E DELL’APPRENDIMENTO

Nella società della conoscenza istruzione e formazione sono un elemento essenziale per lo sviluppo della cittadinanza attiva da coniugare con la mobilità dell’occupazione e con la leva fondamentale dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, per poter stare al passo con i continui mutamenti economici, sociali, culturali e tecnologici propri di una società complessa.

Tutto ciò comporta un allargamento delle opportunità di scelta di istruzione e di formazione, un arricchimento dei percorsi formativi e acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro nazionale ed europeo, un miglioramento della qualità dell’apprendimento e dei sistemi scuola e formazione e, conseguentemente, una messa a punto di strumenti di collegamento tra i sistemi stessi. È quanto sta emergendo dalle linee e azioni formulate a livello europeo e dai processi di riforma del sistema educativo in atto nel Paese in cui la scuola è uno degli assi portanti della politica riformatrice e di innovazione.

In questo contesto, la Regione dovrà svolgere un insieme di azioni finalizzate sia all’esercizio di nuovi poteri legislativi e amministrativi, sia allo sviluppo del sistema e della qualità dell’offerta formativa e dei servizi, nella consapevolezza del difficile compito della scuola di essere sia comunità di apprendimento, sia luogo di inclusione sociale e di educazione alla cittadinanza attiva: un motore di crescita civile e culturale e di investimento in qualità in relazione ai processi di sviluppo economico, sociale e culturale del territorio.

Anzitutto la Regione dovrà dispiegare un’azione istituzionale con l’obiettivo di individuare un percorso condiviso fra Stato e Regioni per effetto delle rilevanti innovazioni normative intervenute o in gestazione a livello nazionale: da un lato, la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 - che ha ridefinito l’assetto dei poteri legislativi dello Stato e delle Regioni in materia di istruzione e di formazione 19 attraverso la modifica al Titolo V della Costituzione - e il d.d.l. n. 1306 che definisce le norme generali sull’istruzione e i livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione, in armonia con la legge costituzionale 3/2001, ridisegnando l’architettura del sistema in cui l’istruzione scolastica e l’istruzione e formazione professionale sono ricomposte in un “sistema educativo di istruzione e formazione”; dall’altro lato, l’articolo 138 del decreto legislativo 112/1998 che delega nuove funzioni amministrative alle Regioni a decorrere da settembre 2002.

Tale azione istituzionale richiederà sia un lavoro ai Tavoli nazionali, sia una forte sinergia fra gli Assessorati regionali dell’Istruzione e della Formazione, per il carattere unitario del sistema educativo di istruzione e di formazione e per gli obiettivi comuni di sviluppo della qualità dell’offerta formativa, ma anche un efficace esercizio delle funzioni amministrative delegate con la messa a punto di nuove strategie di programmazione, oltre alla “rivisitazione” complessiva della normativa regionale alla luce del nuovo assetto.

Nella ridefinizione strategica del sistema “educazione” si dovrà operare anche per introdurre nuovi strumenti e tipologie di intervento e nuovi modelli gestionali, ottimizzare le risorse disponibili e, in particolare, contrastare la dispersione scolastica e il disagio giovanile. In tal senso, anche la Regione Piemonte opererà per attivare un’intesa con i Ministeri dell’Istruzione e del Lavoro per la sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di istruzione e formazione professionale e la progettazione e realizzazione di percorsi formativi sperimentali nella prospettiva della riforma.

L’attuazione delle competenze delegate dall’articolo 138 del d.lgs. 112/1998 comporta un insieme di azioni per lo sviluppo dell’offerta formativa integrata da realizzare con atti di indirizzo e di programmazione indicati alle lettere a), b) e c) dell’articolo 138, tra loro strutturalmente correlati:

19 Allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di “norme generali sull’istruzione e determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Alle Regioni una duplice potestà legislativa: concorrente in materia di istruzione ed esclusiva in materia di istruzione e di formazione professionale.

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• Programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale: preliminare è la individuazione degli ambiti territoriali funzionali entro cui va a collocarsi il sistema educativo di istruzione e di formazione, in direzione della costruzione di un sistema territoriale integrato che risponda ai bisogni formativi e di apprendimento lungo tutto l’arco della vita, garantendo condizioni ottimali e livelli omogenei e la presenza del potenziale di offerta formativa sul territorio.

• Programmazione della rete scolastica: per essere effettiva deve poter verificare annualmente le variazioni del dimensionamento delle istituzioni scolastiche autonome, nonché le variazioni del numero e della dislocazione delle sezioni / classi nelle scuole di ogni ordine e grado e delle modalità relative al tempo scuola in relazione alla ripartizione dell’organico definita annualmente dal Ministero dell’Istruzione. Occorrerà pertanto definire e attivare le procedure per la programmazione sul piano regionale della rete scolastica in armonia con le competenze attribuite in materia alle Province e ai Comuni e in raccordo con le Istituzioni scolastiche, definendo il percorso procedurale, i tempi, le modalità e gli strumenti e le sedi di elaborazione e di informazione/comunicazione, nonché i criteri per la elaborazione dei piani a livello degli ordini di scuola.

• Ambiti funzionali al miglioramento dell’offerta formativa: nella individuazione occorrerà tendere ad assicurare che in ogni ambito siano contestualmente presenti: a) le diverse tipologie dell’offerta di istruzione; b) l’offerta dei servizi e degli interventi nel campo dell’orientamento, della formazione professionale e delle politiche attive del lavoro in raccordo con la rete dei centri per l’impiego; c) l’offerta dei servizi e degli interventi nel campo dell’EDA, in raccordo con l’azione dei Comitati locali valutando anche la coerenza degli ambiti territoriali ipotizzati.

Le azioni per l’innovazione e la qualità dell’apprendimento e per l’accesso e la qualità dei servizi e degli strumenti didattici da porre in atto a livello di sistema scuola-territorio saranno molteplici per sviluppare una scuola legata al territorio, in cui i soggetti pubblici e privati possano collaborare nella realizzazione di un sistema educativo di qualità e per la crescita della innovazione:

a) potenziamento del processo di autonomia delle scuole e sostegno a iniziative di innovazione didattica attraverso un bando rivolto alle istituzioni scolastiche;

b) integrazione delle scuole statali e non statali paritarie nel sistema formativo regionale, ai sensi della legge 62/2000 (parità) ed erogazione dei contributi alle scuole non statali assicurando in questa prima fase attuativa del d.lgs. 112/1998 la continuità dei criteri pregressi in rapporto alle risorse effettivamente trasferite dallo Stato;

c) collaborazione ai vari livelli delle autonomie scolastiche e territoriali e concertazione fra Regione e Direzione regionale MIUR attraverso la definizione di un protocollo di intesa per potenziare l’offerta formativa integrata, quale fattore di sviluppo del territorio, e per costituire un quadro di riferimento per gli accordi e i progetti locali finalizzati al potenziamento del sistema formativo;

d) rilettura del diritto allo studio (interventi per l’accesso all’istruzione e per la qualità del processo educativo e dell’apprendimento) anche attraverso un Tavolo di lavoro e di consultazione, con l’obiettivo di produrre un testo unico in materia di istruzione in cui ricomprendere i diversi strumenti per il sostegno alla famiglia ed alla libera scelta educativa, tra cui il contributo regionale all’educazione (vedi d.d.l. 252 all’esame del Consiglio regionale) e far convergere in un unico fondo le risorse regionali e statali;

e) attività di confronto anche attraverso il “Tavolo Regione- Province- ANCI- UNCEM - Direzione MIUR” nelle sue articolazioni tematiche (d.lgs. 112/1998, Orientamento, Handicap, Conservatori) e promozione di interventi finalizzati alla partecipazione attiva degli studenti, delle famiglie e degli operatori;

f) diffusione e sviluppo dell’uso dell’Information and Communication Technology (ICT) nel sistema scolastico del Piemonte attraverso un accordo di programmazione negoziata tra Regione, Direzione regionale MIUR, ANCI, UPP e Fondazione CRT con l’obiettivo di coordinare e finalizzare le azioni e meglio integrare le risorse, in un più generale sviluppo di rapporti istituzionali e operativi tra soggetti pubblici e privati e di politiche di promozione della società dell’informazione e della conoscenza;

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g) attività di verifica degli apprendimenti degli studenti attraverso l’introduzione di nuovi strumenti di valutazione e la creazione di rapporti di collaborazione fra Regione, Direzione regionale MIUR, Istituti di ricerca e di valutazione, cercando anche collegamenti con metodologie internazionali con l’obiettivo prioritario di verificare in che misura i giovani che concludono la scuola dell’obbligo o si avvicinano alla fine del ciclo obbligatorio abbiano acquisito le conoscenze e le capacità necessarie per svolgere un ruolo attivo nella società.

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APERTURA ALL’ESTERNO E INTERNAZIONALIZZAZIONE

Contrariamente allo stereotipo, i piemontesi hanno sempre saputo essere aperti al mondo: hanno saputo esserlo nella loro storia, nella tradizione politica, nella vivacità culturale, nell’impegno sociale, nelle capacità imprenditoriali e produttive, nell’evoluzione tecnica e scientifica.

La collocazione geografica periferica rispetto all’Italia ha comportato un andamento altalenante nel rapporto con il resto del Paese, mentre la contiguità con le aree forti del continente ha consentito di mantenere un dialogo costante e un confronto con l’Europa e con il resto del mondo.

Con l’integrazione europea e la globalizzazione, non solo economica, il Piemonte può beneficiare di una nuova centralità e inserirsi a pieno titolo dei processi di internazionalizzazione, finalizzati al consolidamento della collocazione del sistema regionale nelle reti di integrazione mondiale dal punto di vista produttivo, commerciale, culturale, infrastrutturale e relazionale.

Nell’Europa delle Regioni che si sta costruendo la necessità generalizzata di ridefinire il ruolo di ciascuna area nel nuovo contesto è tanto più pressante per il Piemonte, sia perché la nostra regione si trova in bilico tra marginalità nazionale e centralità europea, sia perché si trova al termine di un ciclo storico ed economico fortemente caratterizzato dall’attività industriale prevalente.

E’ quindi necessario in primo luogo costruire una forte riconoscibilità delle identità e dell’individualità della cultura e dei territori del Piemonte.

In secondo luogo è indispensabile avviare iniziative di partecipazione a sistemi reticolari di diversa natura, già esistenti o in corso di formazione in Europa.

Non va sottaciuto infatti che l’attuale rete ferroviaria regionale sia sostanzialmente quella impostata dal Ministro del Regno, Cavour, incentrata sul sistema di relazioni orientato alla Capitale Torino e, successivamente all’unità d’Italia, sulla creazione di un sistema relazionante nazionale.

La nascita dell’Unione Europea e successivamente l’allargamento ad Est, ha di fatto allontanato oltre ai confini, anche i centri di relazione produttivi e di mercato.

La Regione Piemonte si trova pertanto, anche per la sua posizione di confine internazionale fortemente condizionata dalla presenza dell’arco alpino, a dover fare un grande sforzo per adeguare la propria infrastruttura alle nuove esigenze del terzo millennio.

La volontà di favorire l’apertura verso l’esterno del sistema Piemonte, richiede inoltre di valorizzare l’immagine sia in ambito nazionale che internazionale, promuovendo elementi di caratterizzazione anche innovativi che consentano di rompere il tradizionale binomio tra Piemonte e azienda automobilistica leader.

Occorre inoltre sostenere gli interventi volti a valorizzare i prodotti e i servizi regionali sui mercati internazionali, stimolando inoltre la definizione di progetti per la cooperazione e l’interscambio socio-culturale e la predisposizione di azioni finalizzate a suscitare occasioni di partnership e di scambio commerciale con l’estero, nonché la creazione di reti europee per la cooperazione e lo scambio di conoscenze ed esperienze.

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6.1. RELAZIONI INTERNAZIONALI E COOPERAZIONE

Le politiche per lo sviluppo e la cooperazione internazionale e le iniziative volte a diffondere una cultura di pace non sono più da tempo appannaggio solamente dei Governi e degli organismi internazionali, ma riguardano anche gli enti locali e la società civile, essendo mutato il modo di concepire i rapporti internazionali tra i popoli, in un mondo sempre più interdipendente.

In tal senso la solidarietà e la collaborazione tra le comunità anche locali sono necessarie per affrontare e risolvere problematiche comuni nonché perseguire aspirazioni comuni per lo sviluppo economico e sociale, in un quadro di valori condivisi: l’allargamento della comunità dei valori è oggi indispensabile per gestire anche a livello locale processi di sviluppo sostenibile e problemi che non sono più costretti nei confini nazionali (terrorismo, fenomeni migratori, criminalità tutela ambientale, disoccupazione, narcotraffico, ecc…).

L’azione politica ed amministrativa della Regione Piemonte deve tener conto del contesto in cui va ad operare, caratterizzato dall’emergere di nuovi fondamentali fenomeni quali la globalizzazione sociale, culturale ed economica, comportante importanti riflessi anche a livello locale, l’internazionalizzazione delle attività economiche, lo sviluppo di sistemi politico-economici a livello macroregionale.

A fronte di tale scenario è necessario lo sviluppo di una strategia internazionale, collaborando attivamente con altre regioni europee ed extraeuropee e operando per il rafforzamento dei rapporti con le istituzioni comunitarie e gli organismi internazionali in genere, per posizionare correttamente la Regione Piemonte in ambito internazionale e per costruire un approccio regionale ai temi internazionali e sviluppare le capacità di interazione con le politiche comunitarie.

La politica internazionale della Regione guarda anche al sostegno e alla collaborazione con Paesi in via di sviluppo e ad economia di transizione, per appoggiare i processi di decentramento, democratizzazione e rafforzamento delle capacità istituzionali delle città dei Paesi Terzi, al fine di permettere una intensificazione di rapporti, scambi e relazioni istituzionali.

Occorre, in questo senso, riconoscere e cogliere anche l’opportunità che offre al nostro territorio il rapporto con altre culture, favorendo la coesione sociale e stimolando le dinamiche sociali e capitalizzando la diversità come valore aggiunto, rendendo maggiormente capaci le varie componenti sociali nelle relazioni con l’esterno (sia nel campo della cooperazione allo sviluppo sia nel processo di internazionalizzazione del territorio).

Le politiche per lo sviluppo e la cooperazione internazionale sono portate avanti grazie al ruolo di regia che la Regione si è ritagliata, per coinvolgere enti territoriali e la società civile e promuoverne le attività, stimolando e sostenendo la progettualità sul territorio, anche con l’utilizzo della metodologia della cooperazione decentrata, che vede le Autonomie Locali intervenire in rapporto di partenariato con omologhe istituzioni Paesi Terzi.

6.2. UFFICIO DI BRUXELLES

Per garantire un collegamento permanente tra Regione ed Istituzioni comunitarie è stato istituito nel febbraio 2002 l’ufficio regionale di Bruxelles, ufficialmente inaugurato l’8 aprile 2002.

L’ufficio ha sede in Rue de l’Industrie n. 22, nello stesso edificio in cui ha sede l’Unioncamere Piemonte, che ha concesso in uso alla Regione alcuni locali tramite apposita convenzione. Tale situazione iniziale, pur essendo provvisoria in vista di un’eventuale scelta di maggior rappresentatività, ha il vantaggio di consentire

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il proseguimento della collaborazione con l’Unioncamere Piemonte e al tempo stesso di utilizzare servizi comuni, contenendo i costi ed utilizzando l’esperienza acquisita in questi anni dall’ufficio di Unioncamere.

E’ ora necessario completare e implementare dal punto di vista organizzativo l’ufficio, approvando la norma che consentirà di regolare i rapporti del personale regionale distaccato presso l’ufficio di Bruxelles.

Completato l’organico sarà quindi possibile sviluppare l’attività dell’ufficio, che dovrà rappresentare per l’amministrazione regionale un riferimento organizzativo per i rapporti con le istituzioni comunitarie, in particolare con la Commissione Europea, il Parlamento e il Comitato delle Regioni, rapporti che dovranno essere resi più facili e continuativi.

L’ufficio sarà una fonte costante di informazioni sulle politiche e le iniziative comunitarie e potrà dare indicazioni utili agli organi e agli uffici regionali, nonché ad altri enti pubblici e agli organismi rappresentativi del sistema economico e sociale, in ordine alle norme, provvedimenti, attività dell’Unione Europea anche allo scopo di conformare la legislazione regionale alla normativa comunitaria, coerentemente con la riforma costituzionale che si sta attuando in Italia.

Fornirà inoltre informazioni tempestive sui bandi per programmi comunitari che possano consentire l’accesso ad ulteriori fonti di finanziamento.

Tutte le notizie che verranno raccolte dall’ufficio verranno messe a disposizione degli uffici regionali per mezzo di un apposito spazio sul sito Internet della Regione Piemonte, attualmente in fase di progettazione.

L’ufficio provvederà inoltre a organizzare riunioni o seminari a Bruxelles su temi di interesse regionale, invitando funzionari della Comunità Europea e svolgerà un ruolo di raccordo con la Rappresentanza Italiana presso l’Unione Europea e con le sedi di collegamento delle altre regioni italiane.

6.3. L’INTERNAZIONALIZZAZIONE NEL DOCUP OB. 2

Promuovere e consolidare il sistema regionale nelle reti di integrazione mondiale dal punto di vista produttivo, commerciale, culturale, infrastrutturale e relazionale, ed estendere il coinvolgimento ad una più ampia base di imprese e soggetti economici e sociali è l’obiettivo strategico dell’Asse 1 del DOCUP Ob. 2 2002-2006, diretto a favorire l’apertura all’esterno del sistema Piemonte, consolidandone la posizione sia in termini quantitativi che qualitativi.

La prima misura in cui si articola l’Asse riguarda la valorizzazione dell’immagine regionale e la promozione internazionale dei prodotti piemontesi e prevede da un lato la realizzazione di progetti a scala mondiale per rappresentare le vocazioni e le attrattive regionali, anche in raccordo con gli eventi e le opportunità che ruoteranno attorno ai Giochi olimpici invernali del 2006; dall’altro lato incentra gli interventi sul rafforzamento delle imprese piemontesi sui mercati internazionali promuovendone i prodotti e i servizi mediante iniziative collettive quali la partecipazione a mostre e fiere, realizzazione di eventi, organizzazioni di missioni conoscitive e indagini di mercato.

La seconda misura dell’asse riguarda il supporto all’internazionalizzazione del sistema economico del Piemonte e si propone di sostenere le imprese piemontesi che intendono proporsi sui mercati internazionali o a rafforzarvi la propria presenza mediante la partecipazione a mostre, fiere e manifestazioni specializzate e parallelamente di realizzare iniziative di promozione finalizzate ad attrarre investimenti in Piemonte da parte di imprenditori esterni (nazionali ed esteri).

L’Asse internazionalizzazione prevede una spesa complessiva di € 122.049.998,20 (£. 236.321.750.000 ) di cui € 918.000.002,06 (£177.749.590.000) di spesa pubblica.

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6.4 SPORTELLO REGIONALE PER L’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Un campo d’azione che si è ormai consolidato e richiede risorse, ma soprattutto coordinamento, concerne la promozione dell’export e l’internazionalizzazione delle imprese piemontesi.

Per politiche per l’export sempre più si intende soprattutto un adeguato marketing territoriale che valorizzi la qualità dei prodotti e li renda riconoscibili e “unici” sul mercato, tanto da renderli indifferenti alla concorrenza del prezzo.

L’internazionalizzazione si sta a sua volta finalmente affermando come capacità dell’azienda di radicarsi nei paesi esteri con partenariati, joint-ventures, in definitiva con ogni tipo di investimento diretto che contribuisca a conquistare stabilmente il mercato stesso.

L’azione regionale deve tradursi quindi, oltre che nel rendere accessibile il maggior numero di informazioni alle imprese, affinché possano seguire una strategia ottimizzante rispetto alle suddette politiche, nell’attivare interventi di promozionalità (in collaborazione con le imprese stesse intese anche come categorie e/o consorzi), nell’individuare ogni altro supporto e strumento aggiuntivo che permetta anche alle aziende medio/piccole, altrimenti non in grado di affrontare i costi elevati del mercato, di affrontare positivamente i processi di mondializzazione.

Ciò è tanto più valido quando si tratti di penetrazione in nuovi mercati, dove l’intervento pubblico è talvolta indispensabile nell’“accompagnamento” delle imprese stesse per sostenerle nel compiere quei passi che da sole compirebbero con grande difficoltà o con tempi molto lunghi.

La rotazione tra settori ed aree subregionali dei programmi promozionali può sollevare a sua volta una vasto consenso delle imprese intorno all’azione pubblica.

La nascita dello sportello regionale per l’internazionalizzazione (SPRINT) costituisce l’ulteriore tassello di un processo il cui obiettivo fondamentale è la riorganizzazione della promozionalità per l’export.

Gli Accordi di programma con il Ministero delle attività produttive, destinati a realizzare sinergie e ottimizzazione delle risorse nel campo della promozione commerciale, si stanno rivelando un efficace mezzo di collaborazione e di integrazione delle attività promozionali nazionali e regionali: si tratta di incrementarne la dotazione rendendo sempre più mirato a livello territoriale l’intervento pubblico. Ciò permette soprattutto di fornire ai privati, singoli e associati, un unico interlocutore in grado di affiancarli nelle operazioni più difficili e di fornire loro tutti i servizi congiuntamente.

E’ questa la filosofia cui si ispira lo “Sportello Regionale per l’internazionalizzazione”, costituito nel 2001 come coordinamento tra Regione, Ministero competente, ICE, Simest, Sace, Unioncamere e Finpiemonte per fornire informazioni e servizi sempre più vicini all’utente e di semplice utilizzo.

Le prime azioni dello sportello si stanno concentrando sulla formazione per giungere ad una vasta condivisione, in tutti i momenti di intervento, delle conoscenze.

La modifica della normativa regionale potrà contenere tutti i nuovi strumenti di collaborazione, compreso il “tavolo di concertazione” che, nel periodo di funzionamento informale, ha già dimostrato di essere idoneo all’elaborazione dei programmi e delle strategie di promozione.

Infine l’incentivazione dell’attività dei consorzi per l’export, ora di competenza regionale, porterà ad un rapporto ancora più diretto e mirato con le imprese, che possono trovare nella struttura consortile specifica il supporto operativo di più semplice utilizzo.

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6.5 UNA RETE TRANSNAZIONALE DI INFORMAZIONE AMBIENTALE

Nel quadro geografico dell’Europa meridionale la zona cosiddetta delle “Alpi Latine”, che vede il Piemonte inserito nel contesto delle Regioni che vanno dalla Catalogna alla Région Rhone-Alpes, al Vallese alla Liguria è caratterizzata da una spiccata specificità: la duplice dimensione, alpina e marittima, ben sintetizza gli aspetti di contraddizione di un area densamente popolata (oltre 31 milioni di abitanti) economicamente attiva e sede di importanti infrastrutture e reti di comunicazione, ma estremamente fragile nella sua esposizione ai rischi naturali: l’area di sviluppo è fortemente limitata dalla situazione geografica e geomorfologia, la situazione climatica è caratterizzata da eventi estremi con ricorrenti gravi danni, le zone esposte sono difendibili con difficoltà ricorrendo ai tradizionali sistemi, la perdita della memoria collettiva rende problematica la percezione dei rischi.

In tale contesto assumono carattere strategico le azioni volte alla creazione di una rete di comunicazione tra i servizi tecnici degli stati e delle regioni, alla realizzazione di strumenti di monitoraggio e di analisi ed elaborazione adeguati alla specificità del contesto delle regioni alpine e mediterranee, alla definizione dei criteri direttori delle politiche di gestione del territorio per gli aspetti legati ai fenomeni climatici, orientate alla sensibilizzazione delle popolazioni e coinvolgimento operativo delle collettività locali.

I Programmi INTERREG Italia-Francia, Italia-Svizzera, Medocc-Mediterraneo Occidentale hanno realizzato un sistema informativo transnazionale sul quale basare la gestione delle risorse nell’area, sviluppando una rete di competenze in termini di cooperazione e scambio di conoscenze, un sistema di strumenti di supporto decisionale per i responsabili istituzionali delle politiche territoriali e della gestione delle risorse, un processo di integrazione e razionalizzazione dell’informazione ambientale su scala interregionale e trans-nazionale. Punto essenziale è la concentrazione delle fonti di dati differenti verso i centri responsabili delle azioni di gestione territoriale e di protezione civile tramite la realizzazione di tecnologie capaci da una parte di diffondere l’informazione a tutti gli utenti/produttori dei dati, dall’ altra di migliorare l’ utilizzazione dei dati di origine differente, sia di osservazione e misura, sia di informazioni sociali sulle aree esposte al rischio, in modo da sviluppare un’analisi ottimale che integra tutte le informazioni e rende più efficiente il sistema delle decisioni.

La Regione Piemonte, capofila per l’ambiente ed il territorio presso la Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province Autonome, intende cogliere le opportunità offerte dalla nuova programmazione INTERREG III 2002-2006, nelle Misure dell’asse 4, per migliorare l’azione pubblica di previsione, prevenzione e monitoraggio in materia, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile approvati dal Consiglio europeo di Goteborg del 15-16 giugno 2001 con l’obiettivo della realizzazione di stabili accordi transnazionali ed interregionali, estesi all’ intero territorio del bacino mediterraneo.

6.6 INFRASTRUTTURE DI MOBILITÀ

Inserire il Piemonte nelle reti continentali e internazionali significa anche dotarlo delle indispensabili infrastrutture fisiche di collegamento per la mobilità.

Viene riconfermato il primo obiettivo del secondo Piano regionale dei trasporti che prevede il potenziamento delle reti sovraregionali, in modo da consentire lo sviluppo della regione sia in ambito nazionale che europeo valorizzando e non subendo, le sue peculiarità territoriali di confine.

Parallelamente e in modo complementare all’obiettivo prioritario si punta ad attrezzare l’area torinese con le infrastrutture di mobilità indispensabili per una città che deve riuscire a svolgere il ruolo di centro forte di

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una regione forte e competitiva nel contesto europeo, nonché ad adeguare e potenziare il sistema dei trasporti regionale in modo da integrare la mobilità locale con le reti sovraregionali e consentire l’inserimento delle diverse aree sub-regionali nel processo di apertura all’esterno e internazionalizzazione.

La strategia di potenziamento delle infrastrutture per la mobilità si articola nelle seguenti linee di intervento:

a) Reti sovraregionali

- Potenziamento del sistema ferroviario di trasporto di rilievo nazionale e internazionale (Linea Lione–Torino–Milano–Venezia): costituisce l’asse sud della direttrice europea est-ovest necessario ad evitare che l’Italia (ed il Piemonte) sia by-passata nei collegamenti dall’asse Nord e che possa collegarsi, tramite Lyon, con l’asse nord-sud: è stato aperto il cantiere della Torino-Novara, mentre per il tratto Novara-Milano si ha previsione di apertura entro il 2002. E’ inoltre prevista l’accelerazione della progettazione per il nuovo collegamento del Frejus. Entro il 2002 si prevede l’apertura della C.d.S. per l’approvazione dei progetti di collegamento fra Torino e Lione e della Cintura Ferroviaria Nord di Torino;

- Terzo valico per la Liguria: sono stati aperti i tavoli della conferenza dei servizi e della VIA nel dicembre del 2000, la cui chiusura è prevista per il 2002;

- Cuneo Nizza e nuovo traforo del Mercantour: la Commissione Intergovernativa sta procedendo agli studi di itinerario stradale e verificando la possibilità di un collegamento ferroviario;

- Potenziamento valorizzazione del sistema aeroportuale regionale: è stato approvato l’impianto normativo che consente il finanziamento delle infrastrutture aeroportuali piemontesi (Torino Caselle, Cuneo Levaldigi, Biella Cerrione).

Il ruolo attribuito a questi grandi progetti deve essere interpretato non solo in termini di risoluzione delle attuali criticità dell’offerta trasportistica, ma soprattutto in chiave di profonda innovazione del sistema dei trasporti nel contesto europeo

b) Reti di integrazione regionali

- Reti ferroviarie: sono previsti interventi in attuazione degli impegni previsti dal Protocollo d’Intesa che la Regione ha sottoscritto con il Ministero relativi al nodo di Torino (quadruplicamento della tratta Porta Susa e Torino Dora e della tratta Torino Dora - Torino Stura) e all’Accordo di programma di Malpensa (variante di Galliate; ingresso/uscita a Novara dell’A.V. e della linea storica; raddoppio selettivo Novara – Malpensa di cui è in corso la progettazione di livello preliminare. Con la firma del Protocollo di Intesa fra Ministero, Regione, Comune di Torino e Satti è stato adeguato, e sostanzialmente ridisegnato, il progetto del Passante di Torino, che, oltre all’abbassamento del piano del ferro alla Stazione Dora che consentirà di evitare la realizzazione di un impattante rilevato stradale tra il fiume Dora e la Stazione Dora, prevede la rilocalizzazione della Stazione di Porta Nuova liberando altri 300.000 m2 di aree nella zona tra Lingotto e Porta Nuova ridisegnando il volto della città in numerosi quartieri. Infine la Regione Piemonte ha richiesto la realizzazione di un collegamento diretto no-stop fra Caselle e/o Torino / Malpensa della linea AC.

- Movicentro: sono state sottoscritte, in attuazione degli accordi di programma con gli Enti Locali, le convenzioni per la realizzazione di una prima fase funzionale, trasportistica, dei nodi di interscambio passeggeri del trasporto pubblico e privato. Contestualmente si sta definendo l’Accordo di Programma Quadro con il Governo, nell’ambito dell’Intesa Istituzionale di Programma, per una mobilità sostenibile che prevede il potenziamento di questi nodi.

- Il collegamento autostradale Asti-Cuneo è stato approvato in tutti e 13 i Lotti e sono iniziati i lavori in 5 Lotti, il completamento è previsto per il 2004.

- Pedemontana Nord: l’intervento è stato inserito nell’elenco degli interventi ritenuti prioritari dalla legge del 21 dicembre 2001, n. 443 (c.d. legge obiettivo). Sono stati proposti a livello di progettazione preliminare i tracciati dei collegamenti tra Rolino ed il casello autostradale di Romagnano Sesia sulla

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A26 e tra Biella ed il casello autostradale di Carisio sulla A4 su cui si dovrà verificare la condivisione a livello territoriale e la validità e la rispondenza alle effettive necessità di collegamento delle aree interessate, prima di procedere ad attivare la fase di progettazione definitiva. Date le caratteristiche del collegamento (di tipo autostradale a carreggiate separate) il progetto dovrà essere sottoposto alle procedure di valutazione di impatto ambientale.

Gli interventi previsti a questa scala sono rivolti a conseguire una equa diffusione di accessibilità all’intero territorio regionale.

c) Sistema dei trasporti nell’area Metropolitana torinese

- Completamento sistema tangenziale: tra le opere strategiche sono previste la chiusura del sistema tangenziale ad Est del capoluogo ed interventi di potenziamento del sistema di adduzione, come la realizzazione del collegamento tra la SS11 e la SS590 attraverso un nuovo ponte sul Po a Gassino, oltre agli interveti previsti nel piano delle opere per le Olimpiadi 2006.

- Interventi completamento del passante ferroviario del nodo di Torino anche in attuazione del progetto di servizio ferroviario metropolitano.

- Realizzazione della linea 1 della metropolitana di Torino (Collegno – P.Nuova e P.Nuova – Lingotto): sono andati in gara d’appalto 4 lotti su 7 linea metropolitana, inoltre è in fase di studio l’ipotesi di un eventuale prolungamento.

- Realizzazione della linea tranviaria 4–metropolitana leggera–progettazione definitiva di 5 lotti su 10.

Si tratta di interventi da valutare nel quadro di una maggiore consapevolezza dei forti limiti alla qualità urbana indotti da una inefficiente gestione della mobilità che va affrontata con una progettazione attenta ai temi della sostenibilità ambientale e della sicurezza.

d) Mobilità per Olimpiadi 2006

La legge 9 ottobre 2002 n. 285 (Interventi per i Giochi Olimpici Invernali Torino 2006) individua gli interventi infrastrutturali indispensabili per adeguare il territorio ad ospitare i giochi olimpici 2006.

1. A livello autostradale risultano strategici:

- Torino – Frejus, con il completamento dello svincolo di Bardonecchia e la realizzazione della IV corsia nel tratto tra Oulx e Bardonecchia

- Sistema Autostradale e Tangenziale di Torino, che prevede tra le altre opere il completamento del secondo tronco della Torino – Pinerolo e la realizzazione della barriera di Beinasco (progetto definitivo approvato in conferenza dei servizi ai sensi della l. 285/2000 e progetto esecutivo in corso), la ristrutturazione dell’interconnessione autostradale di Bruere, l’ampliamento della Tangenziale alla IV° corsia nel tratto tra lo svincolo SITO e l’interscambio di Bruere (progetti proposti a livello preliminare e su cui si sta svolgendo la conferenza dei servizi preliminare ai sensi della l. 285/2000), il Raccordo SP6 – SP174 – SP175 (progetto definitivo in fase di approvazione ai sensi della l. 285/2000 e l.r. 40/1998)

2. Interventi sulla viabilità statale:

SS. 23: Variante di Porte (progetto definitivo approvato in conferenza dei servizi), Adeguamento ed ammodernamento della sede attuale nei tratti Porte – Perosa e Perosa – Cesana Torinese (progetto in corso da parte dell’Agenzia di Torino 2006)

SS. 24 (interventi ANAS): Variante di Cesana, Variante di Claviere, ammodernamenti tratta Cesana - Claviere

SS.589: Variante di Avigliana (progetto in corso da parte dell’Agenzia di Torino 2006), Variante di Saluzzo (progetto in corso Provincia di Cuneo), Ammodernamenti tratta Pinerolo – Saluzzo

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3. Interventi sulla viabilità provinciale

4. Infrastrutture di interscambio modale a Oulx, Cesana, Pinerolo

5. Interventi di viabilità urbana Torinese: sottopasso di C.so Spezia.

6.7 CONSERVARE , CONOSCERE , COMUNICARE IL PATRIMONIO CULTURALE

I temi che saranno al centro dell’attenzione della Amministrazione Regionale nei prossimi anni - e che vengono proposti, oltre che attraverso leggi di settore, quali priorità per i finanziamenti comunitari e per l’Accordo di Programma Quadro in materia di Beni culturali - tendono a porre il sistema del patrimonio culturale piemontese al centro di un processo virtuoso in grado di produrre cultura, da un lato, e risorse economiche, dall’altro e di promuovere a livello nazionale ed internazionale una nuova immagine del Piemonte fortemente caratterizzata e legata all’identità della sua cultura, della sua storia e dei suoi territori.

L’obiettivo che ci si pone è quello di offrire un servizio di alta qualità rivolto a soddisfare la domanda culturale in senso stretto (con un’attenzione particolare al mondo dei giovani e alla scuola), ma anche in grado di dare maggior respiro e qualificazione all’offerta turistica piemontese.

Il settore dei beni culturali rappresenta una grande risorsa il cui potenziale aspetta di essere utilizzato al meglio e presenta ampie prospettive di rilancio: fattori come l’aumentato livello culturale e la ricerca di una migliore qualità della vita contribuiscono infatti a determinare una forte domanda di nuovi servizi culturali. Domanda che - pur orientata sempre di più alla facile fruizione, alla socializzazione, al divertimento - pretende allo stesso tempo dalle istituzioni l’offerta di prodotti di alto livello, culturalmente qualificati.

Si illustrano di seguito le tematiche di fondo, che danno origine a grandi progetti, oggi a diversi livelli di elaborazione, che vedranno nel prossimo triennio la Direzione Beni culturali operare anche in collaborazione, oltre che con altre Direzioni regionali e con gli Enti strumentali della Regione, con le Soprintendenze e con altri uffici del Ministero per i Beni culturali.

Gli interventi previsti dall’Accordo di programma quadro in materia di Beni culturali (comprendente oltre ai Sistemi museali e culturali del Piemonte anche lo sviluppo dei Servizi multimediali nelle biblioteche ed il potenziamento dei sistemi di valorizzazione, gestione e messa in rete dei Beni archivistici) comportano investimenti complessivi fino al 2003 di Euro 312.703.806 (Lire 605.479.000.000) di cui Euro 116.811.704,98 (Lire 226.179.000.000) a carico dello Stato (Ministero dei Beni culturali e CIPE), Euro 77.468.534,86 (Lire 150.000.000.000) finanziati con Docup Obiettivo 2 e il resto a carico della Regione, Enti locali e Fondazioni

Il sistema delle Residenze e Collezioni Sabaude

Il progetto di recupero e di valorizzazione del Sistema delle Residenze sabaude - dichiarate ‘Patrimonio dell’Umanità’ dall’UNESCO – costituisce obiettivo prioritario della Regione Piemonte.

Il progetto in questione porrà il capoluogo subalpino e i comuni sedi delle Residenze e delle Collezioni sabaude - nelle province di Torino e di Cuneo - allo stesso livello di altre aree europee, meta di consistenti flussi di turismo culturale. La Reggia di Venaria, che è l’opera certamente più grandiosa di tale complesso di architetture e parchi, costituisce il più grande investimento europeo per il restauro e la valorizzazione di un bene culturale.

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Il sistema delle Fortificazioni

Il Piemonte è regione ricca di fortificazioni e di incastellamenti, per ragioni storiche e geografiche. Si tratta di un patrimonio architettonico, ma anche storico e culturale, di grande rilievo, il cui recupero - già in atto - assume numerose valenze.

Se da una parte l’insieme delle fortificazioni e dei castelli costituisce un forte richiamo per un certo tipo di turismo culturale già sviluppato in altri paesi europei, non ne vanno per altro verso dimenticate le potenzialità evocativo-simboliche e didattiche.

La suggestione e l’arditezza architettonica di costruzioni come il Forte di Exilles o il Forte di Fenestrelle giustificano di per sé gli investimenti della Regione, che hanno consentito l’inaugurazione del primo e che vedono il progressivo recupero del secondo.

Uno specifico progetto INTERREG, predisposto dalla Regione con gli altri partner interessati su tutta la frontiera italo-francese, sarà finalizzato a favorire la creazione e la valorizzazione di un Sistema delle Fortificazioni alpine, in stretta connessione con un analogo Sistema francese.

La Scuola nazionale di Cinema

In funzione della creazione sul territorio delle nuove professionalità richieste da ipotesi di sviluppo del settore della produzione multimediale legata a progetti culturali, si è stipulata una convenzione con la scuola Nazionale di Cinema che prevede, in una fase iniziale, il trasferimento in Piemonte del Dipartimento animazione ed effetti speciali.

Sul territorio regionale viene così a dislocarsi un punto di eccellenza nazionale per l’alta formazione professionale in un settore trainante della produzione audiovisiva, che può essere sinergicamente correlato, da un lato con le realtà produttive e di ricerca già presenti sul territorio (dal Centro di produzione RAI agli studi di post-produzione video), mentre d’altro canto può interagire con le stesse necessità di produzione multimediale connesse allo sviluppo e alla comunicazione del sistema museale piemontese.

Un Centro per la Cultura contemporanea

Se il patrimonio culturale va conservato e comunicato, la sua conoscenza deve oggi produrre qualcosa di nuovo: si impongono nuove forme di pensiero, di arte e di comunicazione.

I musei potrebbero avere una funzione di supporto per i giovani artisti locali,attraverso l’organizzazione di concorsi, di esposizioni e di premi per le opere prime, ovvero attraverso la messa a disposizione di laboratori e della strumentazione di base.

Ma soprattutto si potrebbe pensare a centri polivalenti di creatività giovanile (produzione di musica, teatro, arti visive, design, multimediale, artigianato artistico).

6.8 GIOCHI OLIMPICI INVERNALI 2006

Con la l. 285/2002 che detta le disposizioni per la realizzazione del programma olimpico, prevede le risorse finanziarie ed istituisce l'Agenzia per lo svolgimento dei Giochi Olimpici, il cui compito è quello di realizzare il piano degli interventi nonché di svolgere la funzione di stazione appaltante per gli interventi di cui alla suddetta legge. Tale legge individua nell’allegato 1 gli impianti, nell’allegato 2 le infrastrutture olimpiche e nell’allegato 3 l’elenco delle infrastrutture viarie, da realizzare come opere necessarie per lo svolgimento dei XX Giochi Olimpici Invernali Torino 2006.

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La realizzazione di tali opere ammonta a circa 1115 milioni di Euro interamente finanziati con fondi statali (l. 285/2000, Finanziarie 2001 e 2002). All’art. 1 comma 1 della suddetta legge si “disciplina, altresì, la realizzazione delle opere connesse allo svolgimento dei Giochi Olimpici, sulla base della dichiarazione di connessione dichiarata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa intesa con il Presidente della Regione Piemonte, previo parere del Comitato organizzatore dei Giochi olimpici, costituito, in data 27 dicembre 1999, dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e dalla città di Torino”. La Regione Piemonte insieme al TOROC e agli Enti locali direttamente coinvolti dall’evento olimpico ha predisposto un Piano delle opere connesse, basandosi su dei criteri che tengono innanzitutto conto della compatibilità ambientale e della connessione temporale. Tra i criteri di connessione volti a dimostrare l’effettivo collegamento con i Giochi Olimpici, si sono identificati la Connessione territoriale: opere site nel territorio olimpico; Connessione funzionale: opere aventi un impatto diretto sulla realizzazione dell’evento olimpico; Connessione strategica: opere che rivestono un’importanza in quanto rispondono anche a una razionalizzazione del sistema di servizi sul territorio in un’ottica post-olimpica. La realizzazione di tale piano pur sfruttando possibili finanziamenti attraverso programmi ordinari di intervento della Regione, degli Enti locali coinvolti e del TOROC, presuppone un costo complessivo di 348,619 milioni di Euro di cui 102,175 milioni con finanziamento da parte di Enti Locali e privati ed i restanti 246,443 milioni con finanziamento statale. Attualmente il finanziamento statale disponibile ammonta a circa 8,150 milioni di Euro che saranno impiegati per effettuare le progettazioni degli interventi; le somme necessarie per il finanziamento delle opere restanti dovrebbero trovare copertura finanziaria statale per il 2003. La Regione Piemonte collabora con gli altri Enti per l’attivazione di investimenti pubblici e privati, anche facendo ricorso alle diverse forme di compartecipazione di finanziamenti pubblico-privati. Essendo interesse della Regione allargare l’ambito di ricaduta dei Giochi promovendo l’intero territorio regionale, si sono individuate inoltre, delle opere di accompagnamento secondo un “Programma di investimenti strategici per strutturare l’industria del turismo in Piemonte in vista dei XX Giochi Olimpici invernali – Torino 2006”. L’evento olimpico deve infatti essere volano per l’economia dell’intera Regione, solo così infatti si possono avere dei risultati che durano nel tempo e che incidono in maniera profonda nella cultura locale. I XX Giochi sono un’occasione unica per dare del Piemonte un’immagine nuova e incisiva per l’immaginario collettivo non solo nazionale, ma anche e soprattutto internazionale. Il programma delle opere di accompagnamento, mira innanzi tutto alla qualificazione dei comprensori sciistici non sedi dei Giochi olimpici per colmare il gap tecnologico che altrimenti questi si troverebbero ad avere nei confronti del comprensorio sede di gare o allenamenti. Il programma si propone inoltre di puntare su un turismo a tema, valorizzando il patrimonio e le risorse presenti sul territorio, in modo da sfruttare l’evento olimpico come occasione di promozione turistica del Piemonte che vada al di là della limitazione temporale dello svolgimento dei Giochi Olimpici. In tal modo si potrebbe arrivare ad un aumento dei flussi turistici indotti dalle Olimpiadi che si stabilizzano nel tempo grazie ad un’offerta turistica differenziata e di qualità. Sulla base di tali premesse, oltre al rilancio delle stazioni sciistiche e alla creazione dei Comuni Montani Turistici, sono stati individuati ulteriori filoni di intervento quali ad esempio: infrastrutture nelle aree termali; interventi nel sistema parchi e nelle aree naturali. Questa categoria di interventi è completata da un programma di sostegno al sistema privato della ricettività e dell’offerta turistica, che affianchi le iniziative degli imprenditori locali. Il programma è da finanziare attraverso le risorse che la Regione Piemonte, gli Enti Locali e l’intero sistema economico e finanziario, metteranno a disposizione per le opere di accompagnamento oltre che attraverso le risorse che lo Stato tramite programmi pluriennali prevedrà di attivare.

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Il disegno di legge statale n. 1246 “Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti” (collegato infrastrutturale) prevede a tal proposito all’art. 19 un apposito stanziamento per i Giochi olimpici invernali Torino 2006 per la “realizzazione e il completamento delle infrastrutture sportive e turistiche, che insistono sul territorio della regione Piemonte, individuate con apposito programma deliberato dalla Giunta regionale della medesima regione, funzionali allo svolgimento dei XX giochi olimpici di Torino 2006”. Sono autorizzati limiti di impegno quindicennali di € 10.329.138,00 per l’anno 2003 e di € 5.164.569,00 per l’anno 2004 con uno stanziamento totale nei 15 anni di € 232.405.605,00 (pari a 450 miliardi di lire). La Regione Piemonte, anche per questo programma, collabora con gli altri Enti per l’attivazione di investimenti pubblici e privati, nella realizzazione di opere pubbliche, facendo ricorso anche alle diverse forme di compartecipazione di finanziamenti pubblico-privati. V.A.S. Valutazione Ambientale Strategica dei Giochi olimpici invernali Torino 2006 La l. 285/2000, all’art. 1 comma 4 recita: “La Giunta della Regione Piemonte approva, d’intesa con il Ministero dell’Ambiente, sentiti gli enti locali interessati, la valutazione di impatto ambientale dal piano degli interventi di cui alla presente legge, denominate ‘valutazione ambientale strategica’, anche sulla base dello studio di compatibilità ambientale definito dal proponente. Tale valutazione ha luogo secondo contenuti e procedure definiti dalla Giunta della Regione Piemonte d’intesa con il Ministero dell’Ambiente e con il Ministero dei Lavori Pubblici, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, in relazione agli effetti sul territorio, diretti ed indiretti, cumulativi, sinergici, a breve ed a lungo termine, permanenti e temporanei, positivi e negativi, al fine di verificare la sostenibilità ambientale del piano degli interventi”. Ciò ha posto in capo alla Regione la definizione di una procedura (approvata con DGR 18 dicembre 2000 n. 61-1774) di valutazione ambientale strategica (nel seguito denominata VAS) che è stata stabilita previa intesa con il Ministero dell’Ambiente e il Ministero dei Lavori Pubblici. Con la Valutazione Ambientale Strategica (assunta con DGR 9 aprile 2001 n. 45-2741) è stata disegnata la VAS come un processo che governa la realizzazione del piano degli interventi per i Giochi Olimpici Invernali - Torino 2006, dalla fase programmatoria e di studio a quella di utilizzo e gestione delle opere, qualificandosi quale sistema in cui confluiscono e si armonizzano i vari settori di interevento per il raggiungimento degli obbiettivi ambientali integrati. La VAS considera pertanto globalmente tutte le attività e gli interventi utili allo svolgimento dei Giochi e tutte le trasformazioni indotte sul territorio e sull’ambiente e indica le iniziative e le strategie necessarie ad un utilizzo delle infrastrutture e dei servizi realizzati anche dopo l’evento olimpico affinché gli interventi realizzati possano da un lato minimizzare gli impatti ambientali, dall’altro massimizzare le positive ricadute culturali, sportive, turistiche e di sviluppo economico dell’intero Piemonte. La VAS, articolandosi in fasi ex ante, intermedia ed ex post, costituisce la premessa per l’affermarsi di una nuova cultura del piano e della programmazione: una pianificazione intesa nel senso di governo dinamico del territorio, che tenga conto dei feedback derivanti dalle trasformazioni e che abbia come caratteristica peculiare quella di essere un work in progress, un processo in cui continuità e rivalutazione garantiscano una reale efficacia. Nella realizzazione del Programma Olimpico, si dovrà garantire un bilancio ambientale positivo attraverso la definizione di una stima economico-finanziaria dei singoli interventi necessari allo svolgimento dei Giochi nella quale sia espressamente prevista l’internalizzazione dei costi ambientali, relativi alle modalità di progettazione e realizzazione e alle relative opere di mitigazione , compensazione, ripristino e adeguamento funzionale post-olimpico.

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POLITICHE ATTIVE TERRITORIALI ED AMBIENTALI PER UNO SVILUPPO DI QUALITA’

Lo sviluppo del Piemonte negli ultimi decenni si è realizzato con una scarsa attenzione alla qualità e alla compatibilità degli interventi e agli impatti da loro prodotti. A fronte di un’espansione più diffusa sul territorio regionale, le politiche messe in atto tendono a riproporre modelli di sviluppo non più consoni con l’attuale richiesta di compatibilità con le risorse esistenti.

Per rispondere a tale esigenza occorre una politica più attenta alle caratteristiche esistenti (non più vincoli che limitano le singole azioni, ma risorse positive per il miglioramento della qualità dello sviluppo) e in grado di superare le conflittualità dei diversi interessi per realizzare un quadro di interventi unitari rispetto ad obiettivi condivisi.

In questa logica il territorio e l’ambiente (intesi come insiemi coordinati di un unico sistema) corrono, in quanto preziose e scarse risorse, al soddisfacimento delle aspettative del sistema regionale. Uno sviluppo, dunque, in grado di realizzare una serie di opportunità, nel rispetto delle risorse, per una migliore competizione del Piemonte nel panorama internazionale.

Ricostruire l’identità e la riconoscibilità del paesaggio, conservare i territori non ancora urbanizzati (considerati non come musei all’aperto, ma come risorsa futura), migliorare la qualità delle risorse naturali (aria, acqua, suolo), realizzare interventi urbani ed infrastrutturali compatibili (attraverso un uso diverso delle procedure autorizzative, quali la VIA), definire scenari di trasformazione non contrastanti con un modello ambientalmente sostenibile, riqualificare le aree urbane (anche attraverso una progettazione partecipata): sono questi alcuni degli elementi caratterizzanti una politica attiva che dovrà essere supportata da una profonda revisione e semplificazione legislativa.

7.1 TERRITORIO E URBANISTICA

La politica territoriale, in una Regione caratterizzata da consistenti trasformazioni, non può che improntarsi sulla qualità degli interventi intesa come fattore di miglioramento per la sostenibilità dello sviluppo dell’intero sistema.

In questo quadro la Regione sta attivandosi al fine di far comprendere come il governo delle trasformazione non è da intendersi quale vincolo allo sviluppo, ma elemento in grado di migliorare la qualità degli interventi.

Per far ciò si sta attuando una politica in grado di migliorare la fruibilità del territorio e governare le regole della trasformazione (formando piani, di competenza diretta, più attenti alle qualità che alle quantità), indirizzare gli interventi urbani (attraverso la progettazione di nuovi strumenti, quali: PRU e PRUSST) ed edilizi (redigendo manuali di indirizzo), sperimentare nuove modalità di valutazione (la VAS per i giochi olimpici), formare gli operatori (attraverso corsi di aggiornamento sulla gestione del territorio e del paesaggio) ed operare con modalità gestionali nuove (la politica nella aree ambientalmente rilevanti anche attraverso la realizzazione di un progetto paesaggio capace di costruire un riferimento propositivo ai diversi operatori).

A fianco delle azioni specifiche la Regione sta intraprendendo una consistente revisione legislativa (l’urbanistica, il paesaggio ed i beni ambientali) in grado di rendere operativo lo snellimento delle procedure con l’obiettivo del miglioramento degli interventi di trasformazione del territorio regionale.

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7.2 AREE PROTETTE ED ECOMUSEI

La politica regionale delle Aree protette (57 aree interessanti 197.814 ettari del territorio regionale) si inquadra nelle strategie nazionali definite in materia con la legge 6 dicembre 1991, n. 394 e partecipa alla costituzione della Rete ecologica europea di Zone speciali di conservazione denominata Rete Natura 2000 prevista dalla Direttiva 92/43/CEE (Habitat); tale Rete comprende anche le Zone di protezione speciale classificate dagli Stati membri a norma della Direttiva 79/409/CEE (Uccelli). Essa si inserisce organicamente nelle politiche per la riqualificazione territoriale, ambientale, ricreativa e culturale di porzioni significative del territorio regionale, proponendovi modelli di sviluppo fondati sulla valorizzazione delle risorse locali, attenti alla qualità ed alla compatibilità degli interventi rispetto alla conservazione ed al recupero delle stesse risorse. Le Aree protette contribuiscono in tal senso a definire iniziative e modelli alternativi ed innovativi di sviluppo economico e sociale delle collettività locali fondati sulla valorizzazione di specifiche e peculiari identità e valori, culturali, ambientali, territoriali. A seguito della entrata in vigore della legge regionale 15 marzo 2001, n. 5 che ha integrato e modificato la legge regionale 25 aprile 2000, n. 44 di attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, si sta procedendo ad attribuire direttamente funzioni amministrative e gestionali agli Enti locali, perseguendo la strategia del decentramento e quindi di una maggiore responsabilizzazione e coinvolgimento del territorio. Tale processo si accompagna parallelamente e naturalmente alla semplificazione, accorpamento ed accelerazione delle procedure. In sintonia con tali strategie si muove dal suo avvio, avvenuto con legge regionale 14 marzo 1995, n. 31, la politica degli Ecomusei, di cui fino ad ora ne sono stati istituiti 13. Essa più di ogni altra contribuisce a fare riemergere e valorizzare le molteplici identità del patrimonio culturale del Piemonte. In tale ambito l’obiettivo della Regione Piemonte è quello di sostenere il sorgere di iniziative che abbiano come riferimento un territorio omogeneo e che, partendo da un’analisi complessiva delle sue realtà, della sua complessità, possano anche svilupparsi e crescere gradualmente documentando e valorizzando temi specifici integrandoli funzionalmente e progressivamente tra loro.

Questa politica di punta della valorizzazione dell’ambiente e del territorio si arricchirà di un progetto che riguarda l’area più antropizzata e segnata dall’evoluzione socio-economica della regione, l’area metropolitana torinese. Il Progetto “Corona Verde” ha come obiettivo la riqualificazione ambientale, urbanistica, ricreativa e culturale dell’area di riferimento, progettando un sistema di “corridoi” da riqualificare dal punto di vista ecologico e paesaggistico e da organizzare e attrezzare per la fruizione, che colleghino il circuito delle Residenze sabaude e le Aree protette. Il progetto Corona Verde è stato preceduto da un approfondito Studio di fattibilità cofinanziato con fondi CIPE ed è specificamente previsto della misura 3.1 lett. B del Docup Ob. 2. 2000-2006 con una previsione di investimento di £. 24.203.750.000 (Euro 12.500.000).

7.3. AMBIENTE RURALE E AGRICOLTURA

Il territorio rurale, intendendo convenzionalmente con tale locuzione le aree esterne a quelle urbanizzate ed urbanizzande, presenta, anche in Piemonte, una pressoché esclusiva destinazione agricola o forestale soltanto ormai in alta montagna ed alta collina, dove, per altro, si manifestano crescenti fenomeni d’abbandono della coltivazione e della cura dei boschi, ed in alcune aree di pianura (per esempio basso vercellese). In Piemonte non c’è più, dunque, coincidenza tra spazio rurale ed agricoltura ed è venuto meno il tradizionale dualismo “città-campagna”, convivendo sul territorio rurale destinazioni d’uso ed attività diverse (agricole e non).

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La quantità e qualità delle componenti ambientali del territorio rurale (aria, suolo, acqua, vegetazione, paesaggio, ecc.) dipendono dal grado e dalle modalità di infrastrutturazione dello stesso e dalle forme che assumono le attività antropiche di produzione, quelle agricole e zootecniche, ma non solo, e di consumo.

Si segnalano in molte aree rurali del Piemonte, anche in quelle di più recente ed intensa trasformazione, situazioni di crescente consumo di suolo fertile e di stress ambientale, legate ad insediamenti civili e produttivi, frutto di politiche che ripropongono modelli di crescita quantitativa più che qualitativa, non in linea con la necessità di superare la conflittualità dei diversi interessi e con la manifesta esigenza di compatibilità ambientale e, più in generale, di ipotesi di sviluppo sostenibile.

Si richiedono politiche attive in grado di elevare la fruibilità del territorio, di governare le regole della trasformazione, di indirizzare gli interventi di infrastrutturazione, urbani ed edilizi, ecc., e che presuppongono anche una revisione legislativa (per esempio della legge urbanistica) e una sperimentazione di uso diverso di procedure autorizzative (quali la VIA), capaci entrambe di riconoscere e tutelare la multifunzionalità dell’agricoltura, intesa quest’ultima come settore a produzioni congiunte, e vale a dire a produzione di beni fisici, di servizi venduti sul mercato locale e prevalentemente di tipo ricreazionale e di esternalità ambientali. Per inciso, si sottolinea come la nozione di multifunzionalità sia uno degli elementi centrali del recente decreto legislativo in materia di orientamento e modernizzazione del settore agricolo, emanato a norma della legge 5 marzo 2001, n. 57; la normativa contiene, altresì, il riconoscimento della pluriattività dell’imprenditore agricolo, che emerge come un soggetto inserito non solo in un contesto economico e sociale ma anche in un contesto territoriale, con compiti di presidio, tutela e valorizzazione delle risorse ambientali.

Accanto alle citate politiche è necessario il proseguimento ed il perfezionamento di politiche attive in materia agricola, agroindustriale e rurale, mirate a:

- ad elevare la qualità della vita delle popolazioni rurali;

- all’ulteriore riduzione dell’impatto ambientale delle tecniche agricole e di allevamento;

- al miglioramento della qualità ambientale e dell’attrattività degli agroecosistemi;

- a sostenere le imprese agricole verso la multifunzionalità e la pluriattività, per rispondere alle nuove e crescenti richieste di funzioni urbane verso i c.d. prodotti della ruralità (prodotti tipici e genuini, salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente, mantenimento dell’assetto idrogeologico, ecc.), la cui tutela e valorizzazione costituisce importante occasione di reddito per le famiglie rurali;

- al consolidamento e sviluppo dei sistemi locali agricoli ed agroalimentari;

- all’integrazione dell’agricoltura nelle economie locali.

Dall’attivazione di specifiche politiche agricole, agroindustriali e rurali discende il miglioramento della qualità dei prodotti agricoli ed agroalimentari, nei suoi diversi attributi, prima di tutto della sicurezza alimentare, nonché della sicurezza ambientale, e l’accrescimento della competitività delle imprese agricole, che, per quanto detto in tema di multifunzionalità, va considerata in termini globali, non solo, dunque, in relazione agli aspetti produttivistici in senso stretto, essendo globale l’offerta del settore; in tale contesto, è corretto affermare che la competitività del territorio (spazio) rurale dipende anche dai contenuti e dalle forme che assume l’attività multifunzionale delle imprese agricole.

Dette politiche costituiscono le linee strategiche del Piano di Sviluppo Rurale 200-2006 della Regione Piemonte e di altre politiche regionali, che si traducono in strumenti di intervento innovativi, la cui efficacia dipende anche dalla loro continuità spaziale e temporale.

In prospettiva, si può sostenere che la prima riforma della PAC del terzo millennio, forse più urgente ed imminente di quanto si fosse pensato, sarà ancora di più incentrata su multifunzionalità e sviluppo sostenibile dell’agricoltura. Proprio perché sempre più sostenibile l’agricoltura multifunzionale meriterà di essere sostenuta anche nel futuro da politiche non più solo agricole, ma anzi sempre più rurali.

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7.4. TUTELA E VALORIZZAZIONE DELLA MONTAGNA E DELLA COLLINA

Le montagne piemontesi coprono oltre la metà del territorio regionale e sono luogo di residenza di circa 800 mila persone.

La Regione Piemonte in questi anni ha intrapreso una politica fortemente innovativa nei confronti della montagna, facendosi interprete delle esigenze di crescita ed investendo grandi risorse ed energie per tutela e la valorizzazione di questo patrimonio, inteso come insieme di risorse storiche, culturali, paesistiche ed ambientali, ma anche economiche.

Tuttavia, la montagna è ancora un territorio marginale, caratterizzato da un costante calo demografico, da un economia prevalentemente rurale, dalla carenza di servizi essenziali che rendono la qualità della vita decisamente inferiore rispetto alle aree urbane.

La Regione pertanto proseguirà nel perseguimento di una politica di investimenti strategici, finalizzata all’incremento della presenza dell’uomo in montagna. Si rendono necessari interventi mirati al mantenimento dei servizi essenziali (scuole, uffici postali, telefoni), alla creazione di nuovi e più adeguati sistemi di collegamento, alla messa in sicurezza del territorio attraverso efficaci azioni di manutenzione ambientale, ma anche investimenti finalizzati alla valorizzazione e all’utilizzo sostenibile delle risorse della montagna. L’identità, la tradizione, la cultura, ma anche l’aria, l’acqua, l’ambiente e il paesaggio, punti di forza della montagna piemontese, sono le leve che faranno decollare il nuovo modello di sviluppo dei territori montani.

Affinché si creino le condizioni per uno sviluppo durevole, è necessario investire anche sul fronte della formazione di chi opera in montagna: occorre formare operatori della filiera forestale, professionalità per la prevenzione e l’estinzione degli incendi boschivi, imprenditori dei settori economici per accrescere la loro professionalità e fare si che dispongano degli strumenti necessari ad intervenire in un territorio che presenta delle caratteristiche di complessità superiori ad altri.

E’ inoltre necessario svolgere azioni di informazione e comunicazione per l’immagine della montagna, soprattutto per promuoverne le potenzialità economiche, sociali e culturali. Occorrerà dare impulso e concretezza alla “Agenzia per i nuovi insediamenti” e lavorare in sinergia con le Associazioni di categoria affinché, attraverso un’efficace azione di concertazione con gli operatori economici e sociali, i territori marginali possano recuperare competitività e possano diventare polo di attrazione per nuovi insediamenti produttivi.

Tutta la montagna piemontese deve essere pronta per l’evento Olimpico: affinché Torino 2006 rappresenti una reale opportunità di sviluppo, infatti, è necessaria una seria pianificazione capace di coniugare la necessità di realizzazione di grandi opere infrastrutturali con la messa in sicurezza del territorio e la salvaguardia dell’ambiente naturale. Occorre inoltre caratterizzare l’evento olimpico rispetto alle tipicità culturali delle nostre montagne: la lingua, l’identità, la tradizione dovranno essere valorizzate ed utilizzate come elementi di forza su quali costruire azioni di promozione del territorio.

In prospettiva, l’obiettivo della politica regionale per la montagna - attraverso l’utilizzo di risorse proprie e di risorse comunitarie - sarà mirato all’ammodernamento e all’incremento della competitività dei territori montani, finalizzata ad uno sviluppo equilibrato e durevole, nella consapevolezza che così facendo si svolgerà un servizio per l’intera collettività.

Con l’approvazione della legge 16 del 2000 la Regione Piemonte ha dotato le aree collinari di un nuovo importante strumento di sviluppo: ad oggi si sono costituite ventitré comunità collinari a dimostrazione del fatto che gli Enti locali sono consapevoli della reale opportunità di crescita che l’associazionismo può rappresentare per le aree marginali della collina, in particolare per i piccoli comuni.

Per consentire a queste realtà di decollare e realizzare quella progettualità capace di produrre concrete ricadute economiche e sociali sul territorio, occorre tuttavia che la Regione Piemonte:

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• stabilizzi dotazione finanziaria del fondo regionale per la collina alle cifre previste per il 2002;

• preveda nuove risorse per le comunità collinari di prossima costituzione;

• apporti modifiche all’attuale testo legislativo per renderne più omogenea e incisiva l’azione.

Le zone collinari, come quelle di montagna, possono trovare quindi forza e vitalità attraverso il processo di aggregazione, ma il complesso socio-economico che le caratterizza pur essendo diverso da quello delle aree montane, mostra evidenti e preoccupanti fragilità.

La collina piemontese presenta scenari maggiormente differenziati: accanto ad aree marginali che soffrono dello spopolamento e di contrazione economica, sono presenti aree in forte espansione, caratterizzate da incremento demografico e da un crescente tasso di sviluppo. In entrambi i contesti, però, si assiste ad un progressivo degrado dell’ambiente tradizionale a causa della mancanza di sistemi di collegamento efficaci e di una insufficiente manutenzione ambientale. A ciò si aggiunge la crescente difficoltà al mantenimento dei servizi essenziali a causa della elevata frammentazione amministrativa che vede la popolazione di collina suddivisa in centinaia di piccoli comuni.

E’ necessaria pertanto un’azione politica integrata ed incisiva finalizzata alla costruzione di un modello di sviluppo durevole rivolto a tutte le aree marginali, montane e collinari, capace di incrementare la competitività dei territori, tesa a migliorare la qualità della vita dei residenti.

Indipendentemente dalle risorse per i nuovi investimenti, serve un diverso approccio agli argomenti connessi allo sviluppo dei territori marginali che valorizzando i punti di forza ed aggredendo i punti di debolezza consenta il recupero della competitività, la capacità di creare reddito, l’inversione del trend culturale che vede nei grandi agglomerati urbani il contenitore ideale in cui vivere.

7.5. TUTELA E RISANAMENTO DELL’AMBIENTE

Sia il Piano di Sviluppo Regionale, sia le linee strategiche e il Programma Operativo della Direzione perseguono come finalità una politica integrata della tutela ambientale sia in campo specifico, sia a livello trasversale con le altre politiche regionali, per conseguire gli obiettivi di sostenibilità economica, istituzionale, sociale, oltre che ambientale.

Tali obiettivi, non solo per la peculiarità della Direzione articolata in Settori specifici ambientali, energetici e di sviluppo sostenibile, sono intrecciati in modo particolare per quanto attiene alle attività in campo ambientale ed energetico come presupposto ineludibile per l'efficacia delle azioni e il conseguimento dei risultati.

Il Programma Operativo, infatti, si snoda sia su azioni tra loro integrate, quali ad esempio quelle relative all'utilizzo dei fondi per il sostegno alle fonti rinnovabili e ai progetti dimostrativi in campo energetico e ambientale, anche utilizzando fondi parzialmente stanziati dallo Stato (fotovoltaico e Carbon Tax), sia su azioni da attuarsi in un programma complessivo di interventi che, pur articolandosi su direttrici diverse, interagiscono tra di loro (bonifiche, sostegno al sistema integrato dei rifiuti, formazione, sensibilizzazione dei diversi settori della società piemontese, azioni collegate alle attività quotidiane di prevenzione strutturale degli inquinamenti, dei rischi industriali di valutazione strategica e ambientale dei progetti, di sostegno alle attività industriali volte all'efficienza energetica). Esso è altresì reso possibile attraverso la messa in campo di normative volte allo snellimento, alla semplificazione e all'incrocio delle procedure per la maggiore celerità dell'iter di realizzazione, non solo attraverso le normative già attuate (l.r. 40/1998, 44/2000 e normative collegate), o da attuarsi (IPPC in applicazione della normativa comunitaria e nazionale), ma anche attraverso strumenti amministrativi (disciplina degli accordi volontari, capitolati tipo per il corretto uso delle risorse ambientali ed energetiche nel quadro del coinvolgimento dei capitali privati), strumenti finanziari anche di

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nuova generazione, quali il finanziamento tramite terzi, di supporto finanziario alle diverse politiche ambientali ed energetiche sia a favore di soggetti pubblici (consorzi di Comuni per la gestione del ciclo integrato dei rifiuti, servizi locali di illuminazione pubblica… ecc.), sia di soggetti privati, di associazioni (bandi nei diversi settori), nonché attraverso la promozione dell'autocertificazione ambientale dei cicli e dei processi (EMAS, ISO 14.000) dei soggetti privati e, a seguito del II Regolamento EMAS, dei Comuni e altri soggetti pubblici. Il programma realizza altresì quegli obiettivi di sussidiarietà del sistema istituzionale (Stato - Regione – Province – Comuni – Comunità Montane) che ha orientato non solo la l. 59/1999 ma il nuovo Titolo V della Costituzione.

Elemento di forza del Programma Operativo, ai fini di un più efficace coordinamento e interrelazione delle politiche, della diffusione delle conoscenze e della trasparenza dell'attività della PA particolarmente rilevante in campo ambientale, è costituito poi dal Sistema Informativo complessivo, condiviso con il sistema delle autonomie e con ARPA, e raccordato al SINA nazionale e alla rete europea. Tale sistema è capace di evidenziare l'intera conoscenza dei diversi ecosistemi, le caratteristiche e le criticità del territorio, di monitorare l'interdipendenza dei fenomeni, i risultati delle azioni, le procedure da utilizzare nell'elaborazione dei piani e dei programmi e degli iter di realizzazione. Il SIRA si realizza nell’ambito del progetto regionale “Sistema Piemonte” e degli interventi previsti per il territorio regionale nel piano di e-government.

La ricerca, intesa come ricerca sui fenomeni e sui loro effetti, attraverso la collaborazione degli Atenei e l'approfondimento di ARPA, costituisce un altro degli elementi fondanti, specie nei campi più critici, dove la prevenzione del rischio (basti pensare agli effetti collegati alle radiazioni ionizzanti e non) impone una sempre più approfondita conoscenza da utilizzare nelle azioni, nel confronto continuo con lo Stato e nell'alimentazione funzionale dello stesso sistema informativo.

7.6 SVILUPPO SOSTENIBILE E CAMBIAMENTI CLIMATICI.

I processi climatici hanno un forte impatto su dinamiche territoriali quali ad esempio la desertificazione, le siccità, l'estensione dei ghiacciai e delle superfici perennemente innevate, la gestione delle risorse idriche, la frequenza di eventi estremi come inondazioni, alluvioni e frane e che tali dinamiche richiedono misure di controllo, prevenzione, protezione, mitigazione degli effetti e programmazione degli interventi che sono generalmente gestite dalle regioni. I problemi climatici hanno forti risvolti economici e sono in grado di promuovere processi estremamente significativi dal punto di vista tecnologico.

Di conseguenza la ricerca sul clima ha forti ricadute di carattere territoriale e richiede un sistematico coinvolgimento degli utenti finali.

La nostra conoscenza del sistema climatico è tuttora insufficiente, come sottolineato dall'IPCC, e ciò comporta un forte sforzo legato al miglioramento sia delle osservazioni sia dei modelli previsionali sia dei modelli di impatto. Il sesto programma di Azione per l’ ambiente approvato dal Consiglio Europeo individua tra i principali obiettivi del prossimo decennio, le azioni in relazione al cambiamento climatico

Il sistema delle Regioni in molti casi è già attivo su ambedue tali aspetti sia in quanto le Regioni gestiscono, tramite i propri organi o agenzie, reti operative che tra l'altro acquisiscono anche grandezze d'interesse per documentare i trend climatici in atto e che possono esser utili anche per migliorare la conoscenza dei processi fisici e biogeochimici sia in quanto gestiscono e spesso sviluppano, di concerto con la comunità scientifica nazionale ed internazionale, modelli direttamente connessi alle problematiche climatologiche.

In linea con il pronunciamento della Conferenza dei Presidenti delle Regioni la Regione Piemonte tramite le proprie strutture tecnico-scientifiche e operative e con il concorso organico dell’Agenzia di protezione Ambientale mette a disposizione il sistema di osservazione derivante dalle proprie reti e le capacità modellistiche e interpretative dei risultati connesse all'attività delle proprie strutture, ed è attiva nel sostegno e nella partecipazione ai programmi nazionali di ricerca e sviluppo connessi a problematiche del clima.

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L’obiettivo è quello di coniugare gli aspetti più direttamente conoscitivi con quelli applicativi portando grande attenzione agli aspetti inerenti le dinamiche territoriali ed i problemi di protezione dagli eventi estremi e di mitigazione degli effetti, alle connessioni tra problematiche del clima e sviluppo economico e tecnologico, favorendo i soggetti che si impegnino su studi e sviluppi in tale direzione.

7.7. RISORSE IDRICHE

La politica di tutela delle acque della Regione Piemonte volta a mitigare e risolvere i conflitti tra usi differenti in un’ottica di tutela, riqualificazione e compatibilità ambientale è stata indirizzata al conseguimento dei seguenti obiettivi:

• riconoscere nell’acqua un bene pubblico che, come tale, deve essere adeguatamente tutelato per consentirne la fruibilità ai fini dello sviluppo socio-economico;

• riconoscere il valore economico del bene acqua in quanto risorsa naturale soggetta a scarsità e degrado;

• programmare un uso sostenibile dell’acqua, fondato sulla protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili;

• assicurare, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, una fornitura idrica sufficiente ai diversi usi, con priorità per quello potabile ed in subordine per quello irriguo;

• impedire ogni ulteriore degrado degli ecosistemi acquatici, proteggendo e migliorando lo stato attuale.

Tali fini sono stati perseguiti da anni con una puntuale attività legislativa, pianificatoria e di monitoraggio dei corpi idrici, di disciplina degli usi e di regolamentazione ambientale finalizzata a perseguire uno sviluppo sostenibile del territorio, nonché con la realizzazione di importanti infrastrutture, tra le più avanzate a scala nazionale ed europea.

Grazie al consistente impegno programmatico e finanziario sostenuto in questi anni dalla Regione, il complesso delle infrastrutture idriche di acquedotto, raccolta e depurazione delle acque reflue ha raggiunto un notevole livello di diffusione territoriale. Basti ricordare al riguardo che oltre l’80% della popolazione piemontese è servita da reti e impianti pubblici di acquedotto, fognatura e depurazione.

Ciò nonostante permane ancora elevato il fabbisogno finanziario per lo sviluppo e l’ampliamento delle infrastrutture idriche, nonché per il completamento degli interventi previsti nei programmi regionali avviati più di recente.

Il notevole impegno regionale per lo sviluppo di questo settore ha portato alla predisposizione e al finanziamento di nuovi programmi d’investimento, anche attraverso la definizione specifici accordi con lo Stato e gli Enti attuatori. La realizzazione di questi nuovi programmi è stata avviata nel corso degli anni 2000 e 2001 e sarà completata entro il 2005.

Gli investimenti previsti ammontano a circa 419.000 euro, dei quali circa 314.000 derivanti da finanziamenti pubblici e circa 104.000 da cofinanziamento degli Enti attuatori, come si evince dalla tabella sottostante:

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DESCRIZIONE PROGRAMMA Importo finanziato (Euro)

Cofinanziamento (Euro)

Importo totale (Euro)

Piano straordinario razionalizzazione e completamento dei sistemi di collettamento e depurazione

46.997,58

30.987,41

77.984,99

Interventi integrativi al Piano straordinario razionalizzazione e completamento dei sistemi di collettamento e depurazione. Utilizzo economie e ribassi d'asta di investimenti pregressi

15.493,71

3.098,74

18.592,45

SPP ex art. 31 Legge 183/89 quadriennio 1999- 2002

14.615,73 3.460,26 18.075,99

Investimenti regionali per opere igienico sanitarie Comuni inferiori a 5.000 abitanti)

15.493,71

1.549,37

17.043,08

Accordo di programma Stato Regione del 4.12.2000 per infrastrutture di raccolta e depurazione delle acque reflue

50.251,26

14.770,67

65.021,92

Accordo di programma Stato Regione per l'attuazione della direttiva CEE 91/271. Piani Stralcio fognature e depurazione acque reflue ex articolo 141 legge 388/2000

29.954,50

16.526,62

46.481,12

Accordo di programma Stato Regione del 27.7.2001 per infrastrutture di adduzione e distribuzione idrica

44.157,06

17.335,91

61.492,97

Infrastrutture idriche del Patto Territoriale del Canavese

892,44 730,27 1.622,71

Infrastrutture idriche urbane connesse alle Olimpiadi invernali del 2006 - prima priorità

59.909,00

12.394,97

72.303,97

Infrastrutture idriche urbane connesse alle Olimpiadi invernali del 2006 - seconda priorità

36.151,98

3.615,20

39.767,18

TOTALI

313.916,96

104.469,42

418.386,38

E' da segnalare infine che nell'ambito dell'attuazione del DOCUP 2000-2006 una specifica misura è riservata alle infrastrutture del servizio idrico integrato; la peculiarità delle infrastrutture realizzabili con tale strumento induce a prevedere l'attivazione di interventi per circa 15.000 euro.

Nel prossimo triennio sarà inoltre a regime il processo di riforma dei servizi idrici integrati; l'individuazione dei soggetti gestori degli Ambiti territoriali ottimali (ex l.r. 13/1997) darà avvio quindi all'attuazione dei Piani infrastrutturali d'Ambito.

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7.8 PREVENZIONE SANITARIA PER LA QUALITA’ DELLO SVILUPPO

-Sicurezza in agricoltura negli alimenti e nelle acque.

Il problema della sicurezza alimentare ha inizio dalla produzione agricola, prosegue nelle successive fasi di lavorazione e trasformazione, conservazione e distribuzione fino al consumatore finale; l’irregolarità o la contaminazione in una qualsiasi delle diverse fasi, comporta una maggiore probabilità di rischio per la salute.

Peraltro appare sempre più documentato il ruolo esercitato da una corretta alimentazione nella prevenzione di numerose patologie anche tumorali.

Sono individuati quali obiettivi generali delle attività di vigilanza e controllo sugli alimenti:

• promuovere standard elevati di sicurezza alimentare per tutelare e garantire la salute dei consumatori;

• assicurare la lealtà delle transazioni commerciali;

• promuovere interventi di prevenzione nutrizionale per adozione di comportamenti e di stili alimentari in grado di favorire la salute e ridurre i fattori di rischio.

In particolare per il raggiungimento degli obiettivi sono da perseguire le seguenti azioni (o obiettivi specifici):

1. Incremento quali-quantitativo dei controlli ufficiali sui prodotti alimentari vari con particolare riguardo a:

- residui di fitofarmaci nei prodotti ortofrutticoli;

- ricerca di contaminanti a larga diffusione e di sicura azione tossica come le aflatossine;

- prodotti destinati ad una alimentazione particolare;

- prodotti provenienti da agricoltura biologica.

2. Verifica dell’attività di autocontrollo prevista dal d.lgs. n. 155/1997 da effettuare con particolare riguardo alla ristorazione pubblica ed alle attività di produzione, con particolare riferimento all’approvvigionamento degli alimenti di origine animale.

3. Attivazione di un sistema di sorveglianza attiva e monitoraggio delle malattie trasmesse da alimenti.

4. Controllo della qualità delle acque destinate al consumo umano con particolare riguardo all’applicazione del d.lgs. n. 31 del 02 febbraio 2001 di attuazione della Direttiva CEE 98/1983.

5. Formazione degli operatori addetti al settore alimentari.

6. Completamento in tutto il territorio regionale degli Ispettorati micologici per la prevenzione delle intossicazioni da funghi.

7. Interventi di verifica dell’etichettatura e della qualità nutrizionale ai fini della corretta informazione ai consumatori.

8. Controllo sistematico sulla qualità nutrizionale dei pasti forniti in settori specifici quali la ristorazione scolastica e sanitaria-assistenziale, con sviluppo di linee guida sull’educazione alimentare.

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-Sicurezza negli ambienti di vita e di lavoro (cantieri, lavoro, scuola, ospedali).

Gli interventi in questo campo sono rivolti prioritariamente alla diminuzione degli accadimenti infortunistici e delle malattie professionali in Piemonte (83460 all’anno in totale, di cui 115 mortali) e riguardano:

a) Sicurezza in edilizia.

Si tratta di un intervento, svolto in collaborazione con l’INAIL, l’ARPA e la Direzione regionale del lavoro, che prevede una attività sistematica di controllo e vigilanza sui cantieri edili a salvaguardia della salute dei lavoratori. Il numero minimo di cantieri da sottoporre a sorveglianza è fissato in 2000/anno.

b) Sicurezza in Agricoltura.

Si propone di ridurre la frequenza degli infortuni nel primario (6528 nel 1998, di cui 24 mortali e 430 con inabilità permanente), derivanti dall’impiego di macchine, prodotti chimici e governo degli animali.

Le azioni previste si basano essenzialmente sulle attività di formazione degli addetti e su valutazioni e controlli sulla sicurezza delle macchine agricole.

c) Verifica dell’applicazione del d.lgs. 626/1994, con particolare riferimento alle Aziende che presentano indici più elevati di gravità e frequenza di incidenti.

d) Progetto di decontaminazione, smaltimento e bonifica dai rischi connessi alla presenza di amianto.

e) Progetto per la sicurezza delle strutture sanitarie con particolare riferimento alle camere operatorie.

f) Progetto sicurezza nella scuola, svolto in collaborazione con i dirigenti locali del Ministero della Pubblica Istruzione.

-Sicurezza per i grandi progetti (realizzazione, gestione)

In questo ambito vanno ricondotti quattro progetti ad hoc:

1) OLIMPIADI 2006

2) TAV (Treno Alta Velocità)per la linea TO – MI

3) Metropolitana

4) Autostrada AT – CN

Per la realizzazione del primo progetto è necessario intervenire con le competenze proprie della Direzione Sanità Pubblica per:

- la salvaguardia della sicurezza dei lavoratori impegnati nell’allestimento e nella realizzazione delle opere, intensificando la sorveglianza ed i controlli nei cantieri;

- la verifica dell’idoneità igienico-sanitaria delle strutture alberghiere che ospitano i partecipanti alla manifestazione

- il controllo degli alimenti per garantire la sicurezza ai fruitori del servizio

- la lotta al doping.

Per i progetti di cui ai punti 2-3-4 particolare attenzione sarà rivolta a potenziare e garantire l’assistenza sanitaria per i lavoratori impegnati nella realizzazione delle linee, sorvegliando e monitorando le attività e gli accadimenti infortunistici.

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RICOSTRUZIONE POST-ALLUVIONE, PREVENZIONE E PROTEZIONE DEL TERRITORIO.

L’importanza della tutela dagli eventi naturali emerge sin dall’analisi delle opportunità e dei rischi insiti nel territorio Piemontese, che è caratterizzato da una struttura idrografica e morfologica da tenere in seria considerazione per uno sviluppo equilibrato e duraturo delle attività economiche.

Ricostruire dopo le calamità con criteri di maggiore sicurezza, prevenire gli eventi e difendere il territorio sono elementi che fanno parte di un’unica strategia di sviluppo economico e sociale che richiede interventi di tipo congiunturale di breve periodo per far fronte alle calamità contingenti, ed interventi strutturali di medio e lungo periodo per portare ad un livello più alto la soglia di sicurezza del territorio.

8.1 PROGRAMMAZIONE DEGLI INTERVENTI DI RIPRISTINO E RICOSTRUZIONE CONSEGUENTI AD EVENTI CALAMITOSI.

Gli eventi calamitosi che hanno colpito il Piemonte negli ultimi anni, e soprattutto (ma non solo), la grande alluvione dell’autunno 2000, hanno riproposto con forza la vulnerabilità del territorio, già esposto agli eventi naturali per propria conformazione morfologica e posizione geografica, e reso ancora più precario dall’antropizzazione esasperata e dai suoi effetti più deteriori. L’alluvione dell’autunno 2000 ha solo evidenziato con particolare drammaticità ed estensione gli effetti manifestatisi in sede più locale con i fenomeni presto dimenticati da chi non è addetto ai lavori: luglio e ottobre 1996, maggio e settembre 1998, maggio 1999, maggio e giugno 2000 e infine i recenti eventi di maggio e giugno 2002.

Le ricostruzioni attuate a seguito delle alluvioni precedenti del 1993 e del 1994 hanno dato spesso risultati confortanti in merito alla salvezza degli abitanti e in generale del territorio, ma hanno anche talora mostrato precarietà e inadeguatezza nei confronti del degrado territoriale ed ambientale, suggerendo un radicale ripensamento degli interventi da attivarsi ed una maggiore riverenza nei confronti delle naturali dinamiche fluviali e di versante.

L’opera di ricostruzione non può più essere pertanto limitata al mero rifacimento, ma inserirsi nel quadro più generale della pianificazione di bacino, anche attivando finalmente un riequilibrio e una ridistribuzione delle infrastrutture e degli insediamenti residenziali e produttivi, con l’attivazione delle norme e procedure già previste in parte dalla specifica legislazione nazionale e regionale. L’Amministrazione ha consapevolmente preso atto di ciò, e ha predisposto il piano generale di ricostruzione che prevede anche gli interventi strutturali a spiccato carattere preventivo, di notevole impegno economico, e contemplati peraltro negli intenti pianificatori approvati anche a livello nazionale; le risorse aggiuntive richieste recentemente allo Stato sono in gran parte funzionali a questi intenti, e nei limiti del loro accoglimento, potranno dimostrare che gli eventi calamitosi possono anche essere utili per la soluzione migliorativa di gravi problemi territoriali, con tutta la ricaduta economica del caso.

Il piano generale di ricostruzione dell’evento alluvionale dell’autunno 2000, revisionato ed integrato recentemente (D.G.R. 54-5397 del 25 febbraio 2002), prevede necessità finanziarie per oltre 1.867.000.000= Euro per le opere pubbliche, 193.000.000 Euro per danni a privati, 240.152.458 Euro per danni alle imprese e 270.106.958 Euro per l’agricoltura.

Alcune opere pubbliche di particolare importanza sono già state oggetto di finanziamento con i primi stralci esecutivi e tra queste si evidenziano le ricostruzioni dei ponti distrutti, in specie nella provincia di Torino: i ponti sulla Stura di Lanzo a Robassomero (3.615.198 euro) e a Feletto (oltre 5.681.025 euro), i ponti sul Chisone a Miradolo (5.164.568 euro) e a Villar Perosa (3.615.198 euro) e i ponti sul Sangone a Giaveno e a Rivalta; è in via di finanziamento la ricostruzione del ponte di Pinerolo (9.296.224 Euro). Con gli ultimi

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stralci esecutivi, in particolare l’ottavo, sono stati finanziati alcuni dissesti riguardanti corsi d’acqua classificati di 3a categoria, di competenza del Magistrato per il Po quali: gli argini del Po in loc. Terranova (2.582.000 euro) e la difesa idraulica della discarica ex Bagna (2.055.000 euro) entrambi a Casale M.to, i lavori di sistemazione idraulica Roggia Stura a Trino e Morano Po (2.582.000 euro). Il totale rinnovamento di tali importanti infrastrutture, adeguatamente dimensionate, consente il raggiungimento di livelli di sicurezza idraulica ben diversi dal passato, oltre che di un sensibile miglioramento delle caratteristiche della rete viaria. Data la coincidenza territoriale con i siti teatro delle olimpiadi invernali del 2006, alcune di queste infrastrutture saranno realizzate di concerto e in sintonia con i programmi delle opere da eseguirsi per tale occasione.

L’attuazione degli intenti del “dopo-alluvione” è chiaramente condizionata dai finanziamenti adeguati che devono pervenire in tempi ragionevoli e commisurati al procedere delle progettazioni e delle ricostruzioni, evitando eccessive concentrazioni di fondi, ma mantenendone un regolare afflusso che possa agevolare una programmazione corretta e proficua, con buoni risvolti anche sull’occupazione .

I danni all’agricoltura in relazione all’alluvione dell’ottobre 2000 presentano tre situazioni: per quanto riguarda i danni alle abitazioni e alle strutture agricole sono pervenute domande per un importo totale di 90.896.414 euro ed è in corso la liquidazione di un ulteriore acconto agli agricoltori danneggiati; per quanto riguarda i danni alle opere di bonifica e di bonifica montana (pari ad un importo di 77.984.991 euro) e ai danni alle infrastrutture rurali, in buona parte strade interpoderali (pari ad un importo di 44.931.750 euro) lo Stato non ha ancora attivato pienamente la Legge 185/92 e il relativo Fondo di Solidarietà Nazionale, nonostante le ripetute richieste avanzate dalla Regione Piemonte e dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni. La soluzione non è stata trovata neppure con la Legge Finanziaria dello Stato per il 2002. Il mancato ripristino di tali opere comporta un grave danno per importanti comparti dell’agricoltura piemontese: in particolare le difficoltà di irrigazione dell’area risicola potranno comportare un notevole aggravio economico a causa dell’impossibilità di gestire gli impianti irrigui in modo adeguato. Per fronteggiare questo aspetto, nei casi più urgenti, la Regione ha dovuto intervenire in proprio, con fondi derivanti da precedenti economie. DANNI ALLUVIONALI ( IN EURO)

tipo di danni

stima delle necessità

fondi disponibili

finanziamenti erogati o programmati

ulteriori stanziamenti richiesti

opere pubbliche

1.867.800.000

693.000.000

506.154.000

1.178.000.000

privati

193.000.000 192.700.000 192.700.000 300.000

imprese

240.152.458

154.937.069.

139.443.362

77.468.534

agricoltura:abitazioni e

strutture

90.896.414

33.569.698

33.569.968

57.326.715

agricoltura: bonifiche

77.984.991

6.713.939

fondi regionali

6.713.939

fondi regionali

77.984.991

agricoltura:

infrastrutture

44.931.750

44.931.750

agricoltura:

danni a colture

56.293.802

Prestiti quinquennali

TOTALE 2.571.059.415 1.080.920.706 878.580.999 1.436.011.990 Analogo discorso può essere fatto per il sisma dell’agosto 2000, che ha avuto sul territorio effetti quasi esclusivamente sul patrimonio edilizio, del tutto diversi da quelli delle alluvioni, e che ha sollecitato risposte

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alle quali il Piemonte fortunatamente non è troppo abituato. I fondi messi a disposizione dallo Stato in due riprese (quasi 61.500.000 euro) consentono una pressoché totale ricostruzione e riparazione dei danni, ma con l’importante valore aggiunto del “miglioramento sismico”, e precisamente dell’adeguamento sostanziale, sotto l’aspetto strutturale, delle costruzioni danneggiate e conseguente sanificazione del patrimonio edilizio dei comuni colpiti. L’affrontare emergenze di questo tipo obbliga l’Amministrazione, oltre che ad uno sforzo organizzativo e funzionale particolare, anche al reperimento di procedure più snelle ed incisive che, pur nel rispetto delle norme emanate, possano essere successivamente mantenute anche nell’espletamento dei compiti ordinari d’ufficio, con evidenti vantaggi per il futuro delle attività tecnico-amministrative.

8.2 PREVENZIONE DEI DANNI E PROTEZIONE

Per la Regione Piemonte, la difesa del territorio ora più che mai, rappresenta un obiettivo da raggiungere per dare risposta alle popolazioni sensibilizzate dagli ultimi eventi alluvionali, i quali hanno evidenziato la vulnerabilità del territorio anche per effetto dell’uso non sempre corretto del medesimo, anche sulla spinta di una previsione di sviluppo economico tumultuoso.

Le recenti norme in materia di difesa del suolo indicano, come politica di mitigazione degli effetti delle piene disastrose, la necessità di prevedere interventi di ridisegno degli alvei nei centri abitati esposti al rischio di inondazione con profonde ristrutturazioni dell’assetto urbano, attuabili attraverso la revisione degli strumenti urbanistici generali. Le soluzioni strutturali di questo tipo presentano, per la necessità di investire notevoli capitali, scale temporali di realizzazione dello stesso ordine di quelle del processo che ha portato all’urbanizzazione delle aree esposte. E’ nata quindi la necessità, insieme alla riprogettazione delle aree dei centri esposti, di attuare una strategia di previsione e prevenzione basata su sistemi di allarme in tempo reale, allo scopo di mitigare gli effetti di piena nel periodo fino alla realizzazione degli interventi strutturali.

La nuova organizzazione dello Stato e delle Regioni in materia di gestione del rischio territoriale deve tenere conto, da una parte, dell’autonomia delle Regioni nel disporre le strutture per adempiere alle funzioni di loro competenza e, dall’altra, della necessità di mantenere uno standard tecnico adeguato a dare supporto alle decisioni che devono essere assunte sia alla periferia che al centro del sistema di protezione civile.

In tali materie la Regione svolge azioni di previsione e prevenzione dei rischi naturali, in particolare idrogeologici, quali l’organizzazione del sistema di allertamento da rischio idrogeologico tramite la gestione della rete di rilevamento nivometrica, radarmeteorologica, pluviometrica, idrografica e sismica nonché dell’ufficio periferico del Dipartimento dei Servizi Tecnici Nazionali trasferito alla regione e la partecipazione al Servizio Meteorologico Nazionale Distribuito, e l’assistenza geoingegneristica nelle aree colpite da eventi calamitosi nel campo della progettazione e direzione lavori degli interventi di sistemazione idrogeologica e di monitoraggio geotecnico.

Una conoscenza approfondita dell’assetto del territorio, delle sue tendenze evolutive, nonché delle condizioni di criticità è dunque di grande importanza strategica per la definizione degli strumenti di programmazione e pianificazione di protezione civile.

L’obiettivo delle azioni di previsione e prevenzione è la salvaguardia dei residenti nelle aree a rischio di inondazione e frana: le azioni di salvaguardia da suggerire sono conseguenti alla definizione di scenari di evento. Uno scenario è una descrizione dei possibili effetti al suolo di una perturbazione atmosferica estrema, come osservata dagli strumenti e dai modelli operativi, basata sulla conoscenza approfondita del territorio e del suo sistema idrografico.

I piani di emergenza tengono conto dei possibili scenari di inondazione e frana che possono darsi in una specifica zona della Regione. E’ utile che tali piani siano redatti con specifiche uniformi, in modo da risultare confrontabili a scala regionale ed essere sintetizzati in documenti regionali o sovraregionali di esposizione al rischio.

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Le responsabilità derivanti dalle disposizioni di legge in materia, nonché un livello sempre crescente di sensibilità e consapevolezza della classe amministrativa, evidenziano l’importanza che rivestono gli Enti Locali nell’ambito delle attività di previsione e prevenzione dei rischi.

L’informazione in tempo reale per la gestione del territorio e dell’ambiente

Occorre quindi fornire agli Amministratori Locali sia la possibilità di avvalersi di strumenti di supporto alle decisioni in fase di emergenza sia l’opportunità di programmare le più adeguate politiche di mitigazione del rischio e di sviluppo e gestione del territorio

Lo sviluppo di un sistema informativo della P.A. basato su infrastrutture di rete condivise e di servizi che garantiscono una effettiva interoperabilità, come quella offerta dalla RUPAR alle amministrazioni pubbliche già connesse ed a quelle che si connetteranno, permette in fase di emergenza l’accesso a strumenti di supporto alle decisioni predisposti in una prospettiva regionale non altrimenti raggiungibile per le Amministrazioni Locali.

Inoltre l’implementazione di sistemi di qualità e di certificazione dei procedimenti e dei servizi permette un miglioramento nel controllo dei processi con maggiori garanzie per le Amministrazioni Locali e i cittadini, mentre l’introduzione delle carte dei servizi fornisce uno strumento di informazione agli utenti per aumentare la consapevolezza nei confronti dei servizi forniti dalle strutture di monitoraggio, prevenzione territoriale e protezione civile

D’altro lato la conoscenza dei rischi insistenti sul territorio e la lettura comparata delle differenti dinamiche evolutive permette la programmazione e pianificazione di uno “sviluppo sostenibile” e rappresenta in definitiva il contributo, in termini di “valore aggiunto”, che la pianificazione di protezione civile può esprimere in ossequio alla “cultura della sicurezza” ed in modo complementare ad ogni altra forma o strumento di pianificazione e gestione del territorio.

Proprio la conoscenza dei rischi insistenti sul territorio e la lettura comparata delle differenti dinamiche evolutive permette, infatti, la programmazione e pianificazione di uno “sviluppo sostenibile” e rappresenta in definitiva il contributo, in termini di “valore aggiunto”, che la pianificazione di protezione civile può esprimere in ossequio alla “cultura della sicurezza” ed in modo complementare ad ogni altra forma o strumento di pianificazione e gestione del territorio.

La Protezione Civile

La Regione svolge attività di programmazione delle attività di protezione civile e concorre, insieme aglI altri Enti pubblici, al soccorso nell’emergenza.

Le attività di programmazione hanno un forte supporto nel Sistema informativo di protezione civile, che è cresciuto negli anni con informazioni territoriali strutturate secondo lo schema logico seguito nell’analisi dei rischi. Alle informazioni relative a ciascuna area di rischio possono essere applicati modelli di studio o procedure operative.

La cultura di prevenzione prevede in primo luogo la conoscenza della probabilità di sviluppo e di evoluzione degli eventi naturali, ma è completata dalla qualificazione del personale.

Ciò implica anche la continua attenzione alla formazione di chi opera in materia di protezione civile. Con la nascita in Piemonte del primo corso per esperti in Disaster managemement si preparano tecnici che sanno unire ad una conoscenza delle fenomenologie dei rischi, anche la capacità di coordinamento delle attività finalizzate alla predisposizione dei piani di protezione civile.

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WELFARE E COESIONE SOCIALE

Lo sviluppo economico per produrre effetti positivi e duraturi non può fare a meno di essere socialmente compatibile e solidale.

I benefici dello sviluppo devono poter avere una ricaduta ampia e diffusa non solo per un principio di giustizia sociale, ma per un’esigenza di condivisione e di adesione alle scelte di fondo.

Una solida politica di sviluppo deve inoltre comprendere una gamma d’interventi di solidarietà sociale, di coesione e di inclusione.

Il Piemonte vanta in tal senso una lunga tradizione che è patrimonio diffuso e consolidato dalla società regionale (istituzioni pubbliche, enti locali, organizzazioni religiose, associazionismo e cooperazione, imprese) e che ha consentito di dare risposte, assorbire tensioni, contemperare tumultuosi processi di sviluppo e riconversione con esigenze sociali, e che è preziosa per affrontare le sfide future secondo principi di solidarietà e sussidiarietà.

Va inoltre sottolineato che il comparto dei servizi alla persona e socio-assistenziali tenderà ad assumere in futuro una rilevanza crescente anche sotto il profilo economico e occupazionale. In un contesto caratterizzato dall’invecchiamento della popolazione cresce la domanda di servizi e si prospetta la possibilità di sviluppo di strutture per la loro gestione, organizzate in modo imprenditoriale sia profit che non profit e di assorbimento di forza lavoro sia specialistica che generica, interessando in particolare alcune fasce critiche del mercato del lavoro (adulti, donne).

9.1 – I SERVIZI SOCIALI

Se l’obiettivo generale della Regione è la promozione del benessere individuale e collettivo, l’obiettivo specifico in materia sociale è quello di ordinare, strutturare e promuovere in maniera sistematica il diritto alla fruizione dei servizi, superando la frammentazione delle risposte ai bisogni e realizzando quanto previsto dalla legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (legge 8 novembre 2000, n. 328) e dalla conseguente legge regionale di attuazione già presentata all’esame del Consiglio regionale.

Riprogettare l’insieme delle politiche sociali significa, innanzitutto, creare un nuovo sistema grazie al quale s’instauri una nuova solidarietà tra ceti, fra generazioni, fra soggetti sociali ed economici, fra livelli istituzionali.

Significa, soprattutto, costruire un sistema di protezione sociale con scelte mirate per supportare in primo luogo, la famiglia, le categorie deboli per disabilità ed età e il disagio sociale più in generale.

Conseguentemente, gli obiettivi regionali in materia di politiche sociali possono essere raggruppati in alcune grandi aree:

• sostegno dell’infanzia e delle responsabilità familiari

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• contrasto della povertà

• sostegno alle persone anziane e disabili (realizzato innanzitutto tramite l’assistenza domiciliare e strutture a carattere diurno, notturno o stagionale, di supporto alla famiglia)

• inserimento sociale, nei percorsi formativi e lavorativi di persone in condizioni di debolezza sociale.

In tale ambito una particolare specificità riveste il fenomeno migratorio, che la Regione si propone di affrontare attraverso appropriate forme di concertazione con il Governo centrale, ricoprendo un ruolo fondamentale nelle fasi di programmazione dei flussi migratori. Ciò consentirà di prevedere le opportune misure di integrazione e contingenti tali da non confliggere con lo sviluppo e la struttura sociale su cui vanno a indirizzarsi, governando il fenomeno e finalizzandolo a concreti sviluppi delle occasioni formative e lavorative, nonché ad una reale cultura della legalità.

Accanto ai servizi domiciliari da realizzarsi con priorità occorre anche prendere in considerazione il sistema delle strutture socio-assistenziali, che si rivelano indispensabili per quelle persone che, per vari motivi, non possono permanere al loro domicilio.

Per dare una risposta a queste esigenze, la Regione si è attivata in questi anni per contribuire finanziariamente alla realizzazione e alla ristrutturazione di presidi socio-assistenziali, prima con contributi a fondo perduto, poi con contributi legati alle procedure FIP e ,da ultimo, con contributi in conto interessi.

Si tratta, nel prossimo futuro, di rendere omogenea sul territorio la rete delle strutture – comprese le strutture semiresidenziali di supporto alla famiglia - per rispondere alle reali esigenze delle singole zone e di qualificare le strutture stesse, anche mediante una loro riconversione e anche ai fini del loro accreditamento; in particolare, sarà necessario promuovere il completamento delle strutture residenziali per anziani non autosufficienti, soprattutto nella Città di Torino, per diminuire gradatamente le liste di attesa.

La progettazione del sistema integrato di interventi e di servizi sociali a livello locale dovrà:

• assicurare livelli essenziali e uniformi di servizi in tutte le realtà territoriali regionali;

• favorire la diversificazione e la personalizzazione degli interventi;

• promuovere la partecipazione effettiva di tutti i soggetti pubblici e privati e delle famiglie nella progettazione e nella realizzazione del sistema;

• realizzare il coordinamento dei servizi sociali con le politiche della sanità, della casa, della formazione professionale e del lavoro.

Per la realizzazione di tale sistema gli attori principali sono rappresentati:

1. dai Comuni, effettivi titolari delle funzioni, che dovranno dalla Regione essere indirizzati verso la gestione associata entro ambiti territoriali orientati verso una dimensione che consenta gestioni efficaci ed efficienti, che tenga comunque conto delle peculiarità delle singole zone, in particolare dei territori montani e collinari e che veda, quale punto di riferimento gestionale, il distretto sanitario come ambito ideale per una efficace integrazione tra i servizi sociali e i servizi sanitari;

2. dalle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza (IPAB), dalla cooperazione sociale, dal volontariato, dall’associazionismo e dal privato sociale in genere. L’integrazione tra intervento pubblico, privato non profit, volontariato e il privato in generale favorisce la crescita di risposte nuove, efficaci e flessibili in relazione ai variegati bisogni espressi dai cittadini.

Il sistema di finanziamento per la realizzazione degli interventi e dei servizi sociali sopraindicato è plurimo e spetta, in sostanza, allo Stato (attraverso il Fondo nazionale per le politiche sociali istituito dalla l. 328/2000), alla Regione e ai Comuni.

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Per quanto attiene alle risorse regionali di spesa corrente, la parte più consistente è rappresentata dal Fondo regionale per le attività socio-assistenziali, che viene ripartito tra i Comuni singoli o associati gestori delle attività medesime.

Si ritiene che il Fondo regionale possa assestarsi per il 2003 - 2005 sui 57.000.000 di Euro annuali e che debba essere ripartito privilegiando in particolare:

- gli Enti gestori istituiti entro gli ambiti territoriali ottimali individuati dalla Regione

- gli Enti gestori che assicurano i livelli essenziali previsti e la risposta ai bisogni effettivi del proprio territorio, spostando l’attenzione dalla domanda espressa ai bisogni rilevati.

La spesa corrente complessiva per ciascuno degli anni 2003 – 2005, comprensiva del suddetto Fondo regionale e degli altri interventi promozionali di competenza della Regione, si ritiene debba assestarsi sui 85.000.000 di Euro, ai quali sono da aggiungere circa 17,5 milioni di Euro per le attività trasferite dalla Regione in attuazione della l.r. 5/2001.

Per quanto attiene alle risorse regionali destinate agli investimenti per la realizzazione di strutture residenziali e semiresidenziali, si è preventivata una spesa complessiva di 84 milioni di Euro, come si evince dalla tabella riassuntiva che segue.

ANNO 2003 20043 2005 TOTALE

Importo in milioni di Euro 21 27 36 84

Si ritiene che tali somme possano consentire il completamento della rete di strutture per persone non autosufficienti e l’avviamento di strutture più leggere di supporto a quelle famiglie che si faranno carico della cura dei propri componenti in condizioni di debolezza.

Particolare attenzione sarà data all’offerta dei servizi rivolta a migliorare l’occupabilità di giovani e adulti perseguendo attivamente la politica delle pari opportunità, vigilando in particolare sulla selezione dei progetti e sull’adeguata presenza di donne tra i destinatari delle azioni.

9.2 LE POLITICHE DI COESIONE SOCIALE NEI PROGRAMMI COMUNITARI

Uno spazio di notevole rilievo negli indirizzi di politica comunitaria e nei programmi regionali cofinanziati dall’Unione Europea occupano gli interventi di coesione sociale diretti a combattere i vari tipi di marginalità di carattere territoriale, sociale, economica e individuale e a promuovere le opportunità.

F.S.E. - Obiettivo 3 – P.O.R. 2000 – 2006

Tutto il programma ha già di per sé un forte orientamento alle politiche di sostegno all’occupazione e all’inclusione sociale, pur se in un’ottica nuova diretta a favorire la crescita socio-economica e a fornire pari opportunità.

All’interno del programma, gli interventi di coesione sociale assumono una specificità nell’Asse B che tratta della “Promozione di pari opportunità per tutti nell’accesso al mercato del lavoro, con particolare attenzione per le persone che rischiano l’esclusione sociale” e attraverso la Misura B 1 prevede interventi per “l’inserimento lavorativo e il reinserimento di gruppi svantaggiati”.

L’obiettivo di tale misura è rivolto sia alla lotta alla esclusione sociale, sia alla valorizzazione delle potenzialità professionali di persone disabili e di gruppi sociali in grado di contribuire a fronteggiare le

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carenze dell’offerta di lavoro nella Regione. Il costo della misura ammonta a 65.494.498 € (pari a L. 126.815.031.642 ).

Docup - Obiettivo 2 – 2000 - 2006

Alla coesione sociale è dedicato l’Asse 4 del DOCUP Ob. 2 che prevede azioni mirate per iniziative a livello territoriale finalizzate, con la Misura 4.1 alla riqualificazione dell’edilizia a funzione sociale e, con la Misura 4.2 alla creazione d’impresa. Il costo della misura ammonta a 98.600.000 € (pari a L. 190.916.222.000).

Piano di Sviluppo Rurale

L’Asse 2 di questo strumento d’intervento è dedicato al “Sostegno al miglioramento delle aree rurali”. La Misura N prevede 4 Azioni che riguardano: interventi a sostegno dei servizi pubblici essenziali, servizi essenziali per l’economia, interventi a sostegno delle piccole imprese commerciali ed infine, interventi a sostegno dei servizi socio-sanitari. Il costo totale della Misura ammonta a 17.700.000 € (pari a L. 34.271.979.000) ed il costo pubblico a 14.500.000 €. (pari a L. 28.075.915.000).

Iniziativa comunitaria Equal

Si tratta di un’iniziativa dell’Unione Europea – finanziata dal F.S.E. – finalizzata a rimuovere le discriminazioni e le disuguaglianze che ostacolano l’accesso al mercato del lavoro o determinano l’esclusione dallo stesso. E’ concepito come laboratorio per la sperimentazione di nuove idee in grado di stimolare l’innovazione di politiche e parassi nel campo dell’occupazione e della formazione.

Agli interventi previsti dai programmi comunitari sopra richiamati si collegano e integrano le attività della Regione specificatamente volte a sostenere l’occupazione dei “soggetti deboli del mercato del lavoro” attraverso l’incentivazione delle imprese da essi composte e comunque che ad essi si rivolgono per l’assunzione prevista dalla l.r. 28/1993 modificata e integrata dalla l.r. 22/1997. Il costo della misura ammonta a € 21.086.935,19 (pari a £. 40.830.000.000).

9.3 – L’EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA

Se fino alla prima metà degli anni ‘90, si poteva considerare in tendenziale riduzione il fabbisogno di edilizia residenziale pubblica, in considerazione della cessata crescita urbana, i nuovi flussi immigratori, che in particolare negli ultimi anni sono diventati più ampi, determinano una riconsiderazione del problema casa, con ovvio riferimento a quelle famiglie che si trovano in regola con le norme vigenti in materia di soggiorno.

Altresì, si tratta di agevolare l’accesso alle abitazioni per quelle famiglie che pur disponendo di modesti redditi e limitati risparmi si trovano comunque nelle condizioni di liberare alloggi in locazione, acquistando la loro prima unità abitativa.

Inoltre, non può essere disattesa l’esigenza di contribuire al miglioramento ambientale e architettonico, soprattutto nelle aree ad alta concentrazione insediativa.

Si tratta, in buona sostanza, di dare corso ad azioni di welfare, rivolte alle famiglie economicamente più deboli e ad azioni finalizzate allo sviluppo economico e della qualità della vita, intervenendo con programmi che diano una risposta alle esigenze abitative e sviluppino interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, promuovano la dotazione di infrastrutture e servizi e favoriscono la trasformazione delle città, che da centri privi di attrattiva architettonica, devono, anche in funzione della vocazione turistica e di sviluppo della convegnistica che il Piemonte intende darsi, evidenziare le proprie peculiarità architettoniche e la spazialità urbana.

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Con l’attuazione della riforma Bassanini sono state trasferite al Piemonte le risorse finanziarie relative sia agli interventi già programmati, sia a quelli da programmare, pari circa 413.165.520,00 euro in edilizia sovvenzionata e circa 242.734.740,00 euro in edilizia agevolata. Di tali risorse, circa 103.291.380,00 euro riguardano cantieri che saranno aperti nei prossimi due anni, in attuazione dei programmi regionali.

Sono da considerare, inoltre, le risorse statali, ammontanti a circa 42.000.000,00 euro, derivanti dall’attuazione della legge 8 febbraio 2001, n. 21, (Misure per ridurre il disagio abitativo ed interventi per aumentare l’offerta di alloggi in locazione), che dovrebbero consentire la realizzazione di oltre 800 alloggi da assegnare in locazione permanente per la generalità dei cittadini e per gli anziani. Tali risorse, che attivano investimenti per 84.000.000,00 euro, sono parte di un programma sperimentale per la riduzione del disagio abitativo.

Nella fase di progettazione degli interventi residenziali e delle opere pubbliche, contenute nei programmi di riqualificazione urbana, la Regione intende continuare a promuovere i principi della bioedilizia, del risparmio energetico e dell’ecologia urbana, come è avvenuto negli anni precedenti, con la redazione del prezziario delle opere bioedili e di un apposito manuale sull’ecologia urbana, distribuito agli uffici tecnici comunali. Si intende inoltre sostenere i Comuni nell’individuazione di nuove forme di gestione delle opere pubbliche (impianti sportivi, centri sociali e culturali), con il coinvolgimento degli attori e delle potenzialità locali (cooperative sociali, imprese di servizi, ecc.).

(o m i s s i s)

IL PRESIDENTE (Roberto COTA)

IL VICE PRESIDENTE (Lido RIBA)

IL VICE PRESIDENTE (Pietro Francesco TOSELLI)

I CONSIGLIERI SEGRETARI IL FUNZIONARIO VERBALIZZANTE (Marco BOTTA) (Ornella GALLIERO) (Alessandro DI BENEDETTO) (Giuseppe POZZO) GF/GO/mi

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