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Lo Spirito Santo detta le parole divine all'orecchio di S. Gregorio. Particolare di un intaglio francese in avorio. IX secolo. Farsi un libro Edizioni clandestine Si pensa che il desiderio di rivalsa che è o può essere u molla potente per l'iniziativa di fare, o farsi, il libro, de ba essere cosa strettamente contempora nea, legata al se so di frustrazione che si prova dinanzi alla sordità, o strapotere del sistema editoriale insensibile alle ragio della verità o della bellezza ma solo attento alle ragio del budget. Nulla di piu errato. Il secolo che ha conosciuto i co dizionamenti piu negativi nei confron ti degli autori stato il Seicento, quando la pressione del potere, con suoi meccanismi di censura e di veto, venne esercita pesa ntemente p er impedire l'emergere di un qualch anticonformismo o innovazione culturale (cioè, politi e religiosa). Conformismo e fossilizzazione inquinaron la stampa quanto piu essa diventava formalmente pr tenziosa e graficamente magnifica mentre gli auto ri no gr aditi, rifiutati e perseguitati, dovevano affidare le lor opere ad una editoria semiclandestina, risicata, mald stribuita, costosa in ragi one dei pesantissimi rischi eh essa correva e faceva co rrere ad auto ri e stampatori. una parte, la biblioteca di Don Abbondio e di Don Fe rante, dall'altra i testi poveri e malcurati di Galileo e G.B. Vico. Di chi è il libro I ruoli che si intrecciano nella operazione ed itoriale eh vive sul mercato reale, e dunque all e sue regole deve sot tomettersi, non sono cosi chiarame nte distinti e indivi duati come appare dalla loro design az ione corrent Autore del libro, per esempio, non può essere sempr chiamato colui che sten de iJ testo scritto e di questo ' sicuramente, autore. Si può anche sospettare, ed an affermare, che l'autore del testo in terviene solo in u secondo momento , quando il libro è stato già ideato progettato. Di questa ideazione e progettazione non v ritenuto responsabile (o non sempre) neanche l'editore In certa misura, e sotterraneamente, il libro preesiste si all 'autore del testo che all 'editore: viene richiesto, solle citato, dal mercato con le sue spinte cd esigenze, com anche con i suoi condizionamenti. Qu i va collocato i baricentro creativo del libro, merce anch'esso in un mo n do mercificato. Solo tenendo prese nte questa realtà l'autoeditore, l'a spirante editore, dovrebbero azzardarsi a progettare l'o pera, a definirne le cara tteristiche (finanche i caratteri) la forma, l'immagine, come il contenuto. E infine - fat tore non trascurabiJe - i costi. f(, 1 111died his book, 1tl I hc wrcns and thc rooks... " I" ml Lcar, 1 ,,, , 1111dred 110111e11w pictures I rbymes - - - ---- ----- Le avventure dcl testo Scrittore "Molto tempo fa, mia moglie, i nostri due bambini e io ci trasferimmo da Yakima, nello Stato di Washington a una cittadina nelle vicinanze di Chico, in California (. .. ). Per sostenere le spese di questo trasferimento avevo dovuto farmi prestare centoventicinque dollari da un fa rmacista per il quale lavoravo come fattorino(. .. ). Volevo scrivere, e volevo scrivere qualsiasi cosa - narrativa naturalmente, ma anche poesia, drammi, copioni, articoli per Sport A/ ield, True, Argosy, e Rogue, pezzi per iJ quotidiano loca- le - qualsiasi cosa comportasse di mettere assieme delle parole allo sco po di fare qualcosa di coerente e tale da suscitare l'interesse di qualcun altro o ltre me ... ". Raymond Carver Autore (I) "Il testo è un oggetto feticcio e questo feticcio mi deside- ra. Il testo mi sceglie, attraverso tutta una disposizione di schermi invisibili, di cavilli seletti vi: il vocabolario, i rife- rimenti, la leggibilità, ecc.; e, perduto in mezzo al testo (non dietro, quasi un dio da macchinario), c'è sempre l'al- tro , l'a utore. Come istituzione l'autore è morto: la sua persona civile, passionale, biografica, è scomparsa: spos- sessata, essa non esercita piu sulla sua opera la paternità formidabile di cui la storia letteraria, l'insegnamento , l'o- pinione, avevano il compito di rinnovare il racconto; ma nel testo, in qualche modo, desidero l'autore: ho bisogno della sua fi gura (c he non è né la sua rappresentazione .la sua proiezione) come lui ha bisogno della mia (salvo 'balbettare')". Roland Barthes Autore (II) È bene essere auto re non di un solo libro, ma di piu libri, co ntemporaneamente.

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Lo Spirito Santo detta le parole divine all'orecchio di S. Gregorio. Particolare di un intaglio francese in avorio. IX secolo.

Farsi un libro

Edizioni clandestine Si pensa che il desiderio di rivalsa che è o può essere u molla potente per l 'iniziativa di fare, o farsi, il libro, de ba essere cosa strettamente contemporanea, legata al se so di frustrazione che si prova dinanzi alla sordità, o strapotere del sistema editoriale insensibile alle ragio della verità o della bellezza ma solo attento alle ragio del budget.

Nulla di piu errato. Il secolo che ha conosciuto i co dizionamenti piu negativi nei confronti degli autori stato il Seicento, quando la pressione del potere, con suoi meccanismi di censura e di veto, venne esercita pesantemente per impedire l'emergere di un qualch anticonformismo o innovazione culturale (cioè, politi e religiosa). Conformismo e fossilizzazione inquinaron la stampa quanto piu essa diventava formalmente pr tenziosa e graficamente magnifica mentre gli autori no graditi, rifiutati e perseguitati, dovevano affidare le lor opere ad una editoria semiclandestina, risicata, mald st ribuita, costosa in ragione dei pesantissimi rischi eh essa correva e faceva correre ad autori e stampatori. una parte, la biblioteca di Don Abbondio e di Don Fe rante, dall'altra i testi poveri e malcurati di Galileo e G.B. Vico.

Di chi è il libro I ruoli che si intrecciano nella operazione editoriale eh vive sul mercato reale, e dunque alle sue regole deve sot tomettersi, non sono cosi chiaramente distinti e indivi duati come appare dalla loro designazione corrent Autore del libro, per esempio, non può essere sempr chiamato colui che stende iJ testo scritto e di questo ' sicuramente, autore. Si può anche sospettare, ed an affermare, che l'autore del testo in terviene solo in u secondo momento, quando il libro è stato già ideato progettato. Di questa ideazione e progettazione non v ritenuto responsabile (o non sempre) neanche l'editore In certa misura, e sotterraneamente, il libro preesiste si all 'autore del testo che all 'editore: viene richiesto, solle citato, dal mercato con le sue spinte cd esigenze, com anche con i suoi condizionamenti. Qui va collocato i baricentro creativo del libro, merce anch'esso in un mon do mercificato.

Solo tenendo presente questa realtà l'autoeditore, l'a spirante editore, dovrebbero azzardarsi a progettare l'o pera, a definirne le caratteristiche (finanche i caratteri) la forma, l'immagine, come il contenuto. E infine - fat tore non trascurabiJe - i costi.

f(,

1 111died his book, 1tl I hc wrcns and thc rooks ... " I" ml Lcar,

1,,, , 1111dred 110111e11w pictures I rbymes

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Le avventure dcl testo

Scrittore "Molto tempo fa, mia moglie, i nostri due bambini e io ci trasferimmo da Yakima, nello Stato di Washington a una cittadina nelle vicinanze di Chico, in California (. .. ). Per sostenere le spese di questo trasferimento avevo dovuto farmi prestare centoventicinque dollari da un farmacista per il quale lavoravo come fattorino(. .. ). Volevo scrivere, e volevo scrivere qualsiasi cosa - narrativa naturalmente, ma anche poesia, drammi, copioni, articoli per Sport A/ield, True, Argosy, e Rogue, pezzi per iJ quotidiano loca­le - qualsiasi cosa comportasse di mettere assieme delle parole allo scopo di fare qualcosa di coerente e tale da suscitare l' interesse di qualcun altro oltre me ... ". Raymond Carver

Autore (I) "Il testo è un oggetto feticcio e questo feticcio mi deside­ra. Il testo mi sceglie, attraverso tutta una disposizione di schermi invisibili, di cavilli selettivi: il vocabolario, i rife­rimenti, la leggibilità, ecc.; e, perduto in mezzo al testo (non dietro, quasi un dio da macchinario), c'è sempre l'al­tro, l'autore. Come istituzione l'autore è morto: la sua persona civile, passionale, biografica, è scomparsa: spos­sessata, essa non esercita piu sulla sua opera la paternità formidabile di cui la storia letteraria, l'insegnamento, l'o­pinione, avevano il compito di rinnovare il racconto; ma nel testo, in qualche modo, desidero l'autore: ho bisogno della sua figura (che non è né la sua rappresentazione né .la sua proiezione) come lui ha bisogno della mia (salvo 'balbettare')". Roland Barthes

Autore (II) È bene essere autore non di un solo libro, ma di piu libri, contemporaneamente.

farsi un libro

Autore ed editore (I) L'autore firmerà, alla prossima fiera del libro, il suo ulti­mo lavoro: ma dopo che il visitatore ne avrà acquistato, allo stand dell'editore, una copia. In verità è l'editore che presenta al pubblico l'autore, accreditandolo non solo con il suo prestigio, la sua forza commerciale e finanzia­ria, ecc., ma finanche con le peculiarità della sua esclusi­va grafica. Essere accolto in una collana e.li grane.le diffu­sione o comunque pregevole è per l'autore un riconosci­mento di status. Variazione sul tema: si pensi a certi edi­tori che per decenni hanno connotato come 'progressisti' autori che da questa connotazione hanno tratto vantaggi, se non sproporzionati certo immeritati; con buona pace degli sforzi di Walter Benjamin per definire il rapporto 'corretto' tra letteratura e rivoluzione.

Autore ed editore (II) Come, insomma, entrare in contatto, e in rapporto, con l'editore? Un gran discutere. Eco suggerisce una via len­ta e apparentemente perigliosa: farsi ospitare dapprima su una rivistina sperimentale, passare poi ad un 'altra piu solida e affermata e cosf, salendo pian piano la scala del­l'affermazione, e delle conoscenze, arrivare al sospirato libro.

Ma c'è la rivistina sperimentale, ci sono le riviste sulle cui pagine maturare e lievitare in dialogante rapporto con una editoria attenta a scrutarsi intorno e vegliare il nuo­vo? Che Arcadia ...

"Ero arrivato nel suo ufficio con un giubbotto da motociclista di cuoio nero e un sacchetto di plastica pie­no di manoscritti (. .. ). Misi sulla scrivania di Segal i tre manoscritti che mi ero portato in moto e dissi: 'Signor Segai, mi piacerebbe che lei leggesse questi romanzi', e dopo una pausa aggiunsi: 'Adesso'. David Segai (. .. ) cominciò a leggere, esaminò attentamente due o tre pagi­ne e poi disse: 'Signor Gardner, non posso leggere la sua narrativa mentre mi guarda' (. .. ). Al mattino dopo, alle dieci, mi disse che avrebbe preso tutti e tre i romanzi ... ". John Gardner

"Con la 'nuova' industria è nato un nuovo mercato a monte del prodotto, quello degli agenti. Essi costituisco­no negli Stati Uniti un 'anomalia rispetto a qualunque altro paese. Sono pochissimi, hanno in portafoglio tutti gli autori che contano, bloccano ogni altro percorso e sono in grado di rispondere alla nuova immagine di mer­cato dei nuovi leader editoriali con risposte potenti. Pos­sono - lo hanno fatto - far lievitare i costi dei nomi che hanno in scuderia (. .. ). Separano, con un vasto fossato di totale sconnessione e di non conoscenza e contatto, le

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Le dVVCnture del testo

imprese editoriali dai nuovi autori. Gli agenti non li cer­cano, non li conoscono, non li vogliono ... ". Furio Colombo

Editing "[ve. ingl., gerundio di (to)edit 'dare alle stampe', 'cura­re per la stampa', che ha la stessa radice dell'it. edito] s.m.inv. Elaborazione e messa a punto redazionale del testo originale, scritto e consegnato o comunicato dal­l'autore, prima della composizione". Il Nuovo Zingarelli

La definizione non dà ragione sufficientemen te della varietà delle operazioni, degli interventi, ecc., che posso­no verificarsi nella fase dell'editing. In realtà, sotto edi­ting si intendono operazioni diverse e non tutte omoge­nee, non dotate di un protocollo uniformato. Pound ridusse drasticamente il testo di The Waste Land inviato­gli da Eliot: compiendo cosf una operazione di editing vero e proprio, o qualcosa d 'altro, piu malizioso?

Dattiloscritto Aggredito dal persona] computer o dal word processor il dattiloscritto resta pur sempre, quantitativamente, il sup­porto piu importante e diffuso di un testo destinato alla stampa (il manoscritto resta confinato nella bottiglia). Si prega di organizzare il testo dattiloscritto in modo che risulti chiaro e leggibile, condizione prima per favorirne quanto meno la prima lettura -la piu desiderata - da par­te dell'editore. Quindi, evitare le pagine troppo fitte e con scarsi, risicati margini bianchi: è un segno sgradevole, spesso, di avidità e di furberia. Non piu di trenta righi, di 62165 battute per rigo quando si usino caratteri medi (corpo 12), con interlinea uno e mezzo o due. Si ricordi che, oltre alla persona che dovrà darne il giudizio ai fini della pubblicazione, i dattiloscritti hanno anche per desti­natari il o i redattori incaricati della messa a punto (edi­ting) nonché, alla fine di un percorso fortunato, il tipo­grafo o il compositore. Un dattiloscritto leggibile è segno di rispetto per questi ultimi due.

Piero <li Cosimo Vis11avone co111 santi Nicola e Anto1110 Abate. Particolari.

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/ ;1 stampa e Il furor poetico. Incisioni tratte da J)cf/a l/OV/fflf/10 /COllOlogìa di Ces;in: Ripa. 1';1dov;1, 1625

!'arsi un libro

Tipografia Inutile per il 'fai-da-te' librario, andare in cerca della tipo grafia a piombo, il regno del proto, aristocratico artigia no. La vecchia struttura, rimasta pressoché immutata ne suoi processi se non nei macchinari dall'epoca di Gutem berg, è pressoché scomparsa, in una dissoluzione che ' culturale non meno che tecnologica. L'ottocentesc· linotype, con i suoi derivati, ha ceduto il posto alla foto compositrice, il cui tastierista può direttamente seguire promuovere l'intero processo, <lai momento in cui egl" riceve il testo fino all'uscita della pellicola, o del foglio, con la pagina composta e riprodotta fotograficament nella sua impaginazione definitiva grazie a un appropria to 'programma'. Con la recentissima introduzione dell scanner si è ottenuto un ulteriore compattamento <lei pro­cesso compositivo, a partire dalla ' lettura' elettronica de testo. Si produce oggi in minuti quanto al proto, ai suo· linotipisti, agli impaginatori, ecc., costava giorni <li impe­gno.

I procedimenti tradizionali <li composizione, stampa allestimento, giu giu fino alla legatoria, presupponevan tempi di apprendistato lentissimi, oggi impossibili. L'in traduzione di sempre nuove tecnologie non sembra per' aver prodotto un'analoga, adeguata cultura operaia: i processo è dominato e determinato dal cu11Lrollo <lei rit· mi lavorativi, avendo come obiettivo la massimizzazion del profitto, sotto pena <li rapida fuoriuscita dal merca to. Il deterioramento <lei rapporto con il manufatto h· comportato disaffezione al lavoro, scadimento di qualità ecc., che molti lamentano, impotenti.

Sogno del 'fai-da-te' librario: reperire, in piccole citt~ di provincia, l'ultin10 tipografo a piombo, con qualch cassetta di caratteri a mano: magari, dei mitici legni~ co i quali si componevano i titoli cubitali <lei disastri: "Guer ra!", "Il Re è morto", ecc.

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Le avvcnl ure del 1cs10

Computer Un valente e affermato storico, ancora sufficientemente giovane per non essere scettico d innanzi alle pretese della modernità, raccontava ai commensali di aver com­posto il suo ultimo libro interamente sul persona! com­puter, seguendo le istruzioni fornitegli dall'editore. In questo modo - soggiungeva - l'editore poteva saltare la fase della composizione tipografica. Doveva solo inserire nella stampatrice il floppy disk che lui gli aveva inviato. In tal guisa era anche evitata l'operazione della corre­zione bozze.

Lo storico era molto fiero dell'innovazione. Si sentiva partecipe, coinvolto nella stampa del suo testo. Eppure, era l'editore a risparmiare sui costi senza che a lui, l'au­tore, ne venisse nulla in tasca. Confusione <li ruoli.

Il dentro e il fuori del libro Alle origini, il libro era una raccolta <li fogli, su cui era stampato un testo, cuciti assieme. Niente copertina e, almeno ai primordi, niente titolo.

Oggi, il libro si costituisce come un testo che è però -come dire - awolto <la un certo numero <li altri elemen­ti, verbali o non verbali (nome d'autore, titolo, prefazio­ne, illustrazioni, ecc.) che hanno la funzione, divenuta essenziale, <li p resentare il testo; questi elementi, e i sup­porti su cui essi si inseriscono (copertina, controcoperti­na, fascette, frontespizio, ecc.), fanno <la intermediari ver­so il mondo esterno, quello dei fruitori, dei lettori, di cui il libro non può fare assolutamente a meno. Il complesso di tali produzioni e supporti, ormai oggetto di una anali­si estremamente sofisticata e <li altissimo livello di com­plessità scientifica, ha persino un suo nome, una sua defi­nizione, specifica: è il paratesto.

"È attraverso il paratesto che il resto diventa libro e in quanto tale si propone ai suoi lettori e, in genere, al pub­blico. Pili che di un limite o <l i una frontiera assoluta, si tratta di una soglia o - nelle parole di Borges a proposito di una prefazione - <li un 'vestibolo' che offre a tutti la possibilità di entrare o di tornare sui propri passi. 'Zona indecisa' tra il dentro e il fuori, essa stessa senza limiti rigorosi né verso l'interno (il testo) né verso l'esterno (il discorso delle persone sul testo) , margine o, come diceva Philippe Lejeune, 'frangia del testo stampato che, in realtà, dirige tutta la lettura' ". La citazione è da Gérard Genette, e bisogna che vi rifletta molto chiunque si accin­ga all'operazione di fare il libro.

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Farsi un libro

Jcan Coctcau )-fommage à Pau/ Mora11d.

Copertina Luogo di delizie e di corruzioni, la copertina si porta appresso, nel nome, la povertà delle.origini: inizialmente offriva al libro solo il rivestimento necessario alla conser­vazione. Sui suoi spazi si sono poi progressivamente appuntate ambizioni e ipocrisie.

Oggi, è buona regola non fidarsi di ciò che la coperti­na puramente e semplicemente esibisce e che, molto spes­so, non ha alcun puntuale riferimento ai contenuti del libro, a! ~es~o. Quando le sue lusinghe non bastino, l'op­portumta viene raddoppiata e triplicata, grazie alla sovra­copertina e alla/ascella.

. I ~isvolti di copertina e la quarta di copertina hanno dato ongme ad autonome forme di scrittura ed ospitano, golo­s~mente, vere e proprie composizioni letterarie, esercizi d1 superba acrobazia sti listica cui si dedicano specialisti cultori ed ~depti (da non confondere sempre con qucll~ che nelle lmgue anglosassoni viene detto blurb e che i dizionari traducono con borbollio, o so//iello). '

Al confronto con la copertina, il dorso o costola man­tiene un~ s~a ascetica castità, asciutta e sobria, quasi sem­pre credibile. Da consultare, dunque, per controbilan­ciare la copertina.

Frontespizio Il francese/rontispice richiama esplicitamente il frontone del tempio classico; e in effetti fino a un paio di secoli fa la pagina di frontespizio si presentava decorata sontuo­samente, con la scrittura, sovente ridondante, racchiusa in un fastigio variamente e riccamente elaborato. . ~nc~e ?g~! ques.ta pagina, che in definitiva ripete md1caz1om gia fornite dalla copertina, è preceduta da una .sequenza di fogli (sguardie bianche, pagina con occhiello, una o due pagine con indicazioni editoriali v.aric) c~e sembrano farle da rituale e forse inutile sipa­rio o quinta. Potrebbe essere abolita ma la forma-libro ' . ' e conservatrice.

Il nome, frontespizio, ha un che di prezioso e allusivo come evidente nella sua utilizzazione quale titolo di una esclusiva rivista letteraria fiorentina degli anni '30.

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Le avventure del testo

Titolo È il luogo deputato dove si incontrano le strategie (altri ha parlato di "seduzioni ") dell'autore e dell'editore o di altri comprimari, cioè gli attori apparenti della vicenda editoriale. Sulla scelta dcl titolo preme anche con una sua propria strategia, meno immediata ma di grande impor­tanza, il pubblico dci potenziali lettori. La complessità delle awenture del titolo ha fatto nascere una scienza indiziaria che si chiama, appunto, litologia, ricca a sua volta di titoli (in tutti i sensi).

I titoli possono essere descrittivi o connotativi, sem­plici o doppi, composti o complessi (come quando si pre­senta la sequenza titolo/sottotitolo/indicazione generi­ca); combinazioni dei vari clementi si hanno in titoli cele­bri, come ad es. Iperione, o l'eremita in Grecia, di Hol­derlin; Ognuno, il dramma della morte del riccio, di Hoff­mansthal; o infine 1 Promessi Sposi, Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni. Pos­sono variare nel passaggio dalla copertina al frontespizio o al dorso, ecc.

In generale, e in linea di principio, il titolo dovrebbe assolvere a funzioni precise, a partire da quella primaria di designazione/indicazione del testo, o del libro, cui si riferisce. Questo, in uno schema semplificato e che non sempre viene rispettato. Sulla scelta premono infatti, non sempre in modo convergente, l'autore come l'editore (o chi per lui). Ma né l'autore né l'editore rispondono asti­moli omogenei e chiari. In verità, dietro di loro si awer­te la pressione, oscura ma sensibile, del pubblico. U pub­blico è - possiamo dire - una aspettativa, un desiderio che prende corpo in una immagine arbitrariamente mate­rializzata e proiettata aU'esterno. Da questo momento, il pubblico diventa soggetto esigente e impietoso. Il titolo è dunque il tramite di una seduzione, come hanno detto, rivolta verso una assenza desiderata e prefigurata, con piu o meno abilità e candore (c'è un elemento di candore che è fascinoso, perché indiziario di aspetti riposti della psi­cologia dell'autore).

All'ambiguità di nascita si aggiunga l'ambiguità aggiunta della realizzazione tipografica. Il designer, il gra­fico, a volte lo stesso tipografo possono diventare coau­tori vistosi della progettazione di questo elemento del peritesto editoriale. Se vi sono pessimi libri che incontra­no un buon successo in grazia del titolo, o della sua rea­lizzazione grafica, un buon libro, con un buon titolo, può essere rovinato (e non solo sul piano commerciale ma del­la sua identità specifica) da una grafica inappropriata.

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!'arsi un libro

Nome dell'autore La designazione dell'autore è anch'essa soggetta a regole strategiche piuttosto complesse. Comprensibile, l'ansia di vedere il proprio nome in copertina, ma attenzione a non commettere errori - se non altro di buon gusto -nelle proporzioni, nella collocazione, ccc., per non com­promettere il libro. Si consiglia di almeno prendere in considerazione (è un buon esercizio yoga di autocon­trollo) l'ipotesi di usare uno pseudonimo. I:anonimato può essere indizio di cattivo carattere, l'espediente sem­bra indicare che il testo è bassamente pericoloso nei con­fronti di terzi: almeno questo è l'uso che se ne fa spe­cialmente in Italia, dove invece non sembra attecchisca quella forma speciale di orgoglio che è l'anonimato inteso come suprema affermazione dcll'lo nutrita -come è stato osservato - di forme varie di "esibizioni­smo sviato", di " istrionismo controllato", nel gusto de "la maschera e Lo specchio" .

Eleganza irrisoria di Raymond Queneau: "j'ecris quelques poèmcs qui valent je l'espère ceux que j'elaborais lorsque j'avais vingt ans je les signais J'ailleurs de la mème façon q-u-e-n-e-a-u-r-a-i grec mond"

Notizia dell'ultima ora: un editore ha awiato una col­lana che offre opere di esordienti . A questi si chiede solo - con sottile, un po' perverso, intuito - il sacrificio di restare chiusi per quattro anni nella pesante crisalide del­lo pseudonimo.

Carattere (I) Secondo Paul Valéry la pagina del libro, oltre che essere scorrevole alla lettura, oltre ad offrire, cioè, una visione netta e chiara delle righe di stampa e delle singole paro­le, deve (o dovrebbe) possedere una vera e propria qua· lità d'arte, ottenuta lavorando sulle proporzioni e l'equi­librio tra "le masse di nero puro" dei caratteri, disposte sul "campo purissimo" del foglio e.li carta con "potenza e.li contrasto" raggiunta a spese delle interlinee. Questo secondo pregio può essere disgiunto dal primo: vi sono libri bellissimi che non invitano alla lettura, e libri "leg· gibilissimi, molto ariosi, ma che sono fatti senza grazia insipidi all'occhio, o anche francamente brutti".

L'ideale libro è quello che unisce i due pregi, quando cio(· esso "è dolce da leggere, delizioso da esaminare, quando il passaggio dalla k·ttura alla contemplazione, l'

Le avventure del tc;,to

viceversa, (. .. ) sono facili e corrispondono a mutamenti impercettibili dell 'adattamento visivo". Ebbene, prose­gue Valéry, "questo ideale non può essere attinto che attraverso la collaborazione dell'incisore del carattere con lo stampatore. In ultima analisi; tutta la forma deve scaturire dal carattere".

Carattere (II) Alla voce (che è voce dotta e viene dal greco charasso, cioè io incido) il dizionario riporta: "Ciascuna delle rap­presentazioni grafiche delle lettere dell'alfabeto, dise­gnate secondo le stesse regole in un determinato stile". Ma, subito appresso, registra anche: "Insieme dei tratti fisici, morali e comportamentali di una persona, che la distingue dalle altre". Dunque, il carattere tipografico dà impronta, incide e distingue il libro cosi come il carat­tere morale individua e distingue ciascun uomo dagli altri.

Non è significativo, e bellissimo? Fare il libro è ope­razione che prende corpo - non solo metaforicamente -con il corpo tipografico, quello che viene scelto come il piu adeguato in rapporto sia agli altri elementi fisici costitu­tivi dcl libro Oa carta, il formato, ecc.) sia al testo stesso, alla scrittura. t il carallere Liµugraficu , i11su1111ua d1e dà il carattere al libro e al testo che vi è stato translitterato. E, come in morale, anche di un libro si potrà dire che "non ha carattere", è un brutto libro, un libro anonimo. Cosi sentiamo ripetere a piu voci.

il libro

T ritratti <lei disegnatori e dell'incisore delle tavole <li un erbario <lei '500: Fuchsius: De histor10 S11rp1t1m, Basilea, 1542. Incisione su legno, riprodotta in fondo al \'Olume.

Farsi un libro

PICTORES OPERIS,

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Una delle cause della crisi del libro d'oggi non sarà for­se anche da attribuire ad una rottura del rapporto inter­corrente tra libro e immagine, pili grave forse a causa del. l'incertezza dci ruoli che assale sia il testo che l'immagi­ne? Il libro, infine, non è pili l'insostituibile supporto del­l'immagine; questa ha media nuovi e diversi per diffon­dersi capillarmente e mobilmente, mentre vede forse affievolirsi lo stretto rapporto tra l'antica razionalità e la propria funzione iconica.

Illustrazione/immagine Non stupisca dunque se il consiglio migliore è di rinun­ciare all'illustrazione. Fare un libro è operazione già di per sé difficile, la scelta dell'immagine può dare risultati deludenti, o difformi da quelli desiderati, riducendo l'iJ. lustrazione a un 'discorso' aggiuntivo al testo, con un per­corso parallelo che non necessariamente si integra con questo.

Si impari comunque, prioritariamente, a distinguere tra i due termini, illustrazione e immagine, che non sono perfettamente coincidenti tra loro. Sinteticamente, di remo che l'illustrazione ha finito con l'assorbire entro i propri confini l'immagine in senso forte, vale a dire l'arte figurativa: pittorica e grafica. L'arte figurat iva, in cui la qualità artigianale, la tecnica, la manualità, è stata da sempre la prima salvaguardia di certi valori istituzio­nali e costitutivi del suo essere arte, è slittata quasi senza residui nella sfera della pura e semplice illustrazione; in connessione probabilmente, oltre che con la fotografia. con la pratica libraria e la sua omologazione tecnica, per certi aspetti non lontana da quella fotografica. I surrea­listi furono eccellenti grafici e stampatori , con una pro­duzione libraria e, in generale, segnica, di grande impor-

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SCV LPT O R ç;\tuo '!>*llltl· G?"!I~

Le awcnrure dcl ll'SIO

tanza nella storia dell'editoria (e del gusto); insieme, furono ottimi illustratori; ma pessimi pittori, con scarso o nullo interesse per lo specifico (tecnico e semantico) della pittura.

Illustrazioni "Basta, col vile abuso delle pagine dipinte! L'occhio sarà ormai tutto, e lingua e orecchio nulla? Dio ci guardi dal cader cosi in basso! ". William Wordsworth

Note "Io credo che non si possa pili scrivere libri. Quasi tutti i libri sono note a piè di pagina gonfiate in volumi (volumina). Io scrivo solo note a piè di pagina". Bobi Bazlen

Retrofrontespizio, colophon Insieme, costituiscono l'impronta d igitale, la carta d'i­dentità del libro. Nel retrofrontespizio troveremo il tito­lo originario dell'opera (se tradotta, o se il titolo è stato mutato), la data della prima edizione e delle successive, l'indicazione dei diversi editori, il copyright; quindi, ancora, vi saranno registrati i nomi dei traduttori, dei redattori, clegli autori delle illustrazioni, del grafico, i rin­graziamenti per quanti hanno collaborato alla buona riu­scita del libro. Il colophon (o 'finito di stampare') dovreb­be contenere alcuni clementi fissi, che però non vengono sempre inseriti. Basti pensare alla data e luogo d i stampa: s.d. (senza data), è indizio di un oscuro imbroglio, fa sospettare.

Un libro benfatto dovrebbe anche riportare lo ISBN (International Standard Book Number), la numerazione standard della Library of Congress, e il Codice a barre magnetiche. P. S. Ricordarsi di inviare due copie del libro appena stam­pato alle Biblioteche Nazionali di Roma e Firenze. Do­vrebbe essere un obbligo, ma per fortuna non è rispettato.

Correzione delle bozze Non c'è editore o tipografo che non odi l'autore, quando pretende di correggere lui le bozze. L'autore pensa di sfruttare questa occasione per migliorare, mettere a fuo­co il testo: in effetti, con muto spavento, si è accorto del­la lontananza abissale che passa tra il suo dattiloscritto e il testo appena stampato. L'autore non riconosce le sue stesse parole. È la diversità di immagine che stravolge il rapporto. Di qui, la sorpresa che sempre fa il manoscrit­to, con la sua misteriosa musicalità.

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Mario Ma rioni Umani, l 988. Fotocolor su alluminio_

rarsi un libro

Epitesto L'autore dovrà tenere in mente che stampare/rsi il libro è un'operazione nuda, anzi uno scheletro di operazione, che attende di essere successivamente rimpolpata e rive­stita di una serie di altre iniziative, sotto pena di restare del tutto inutilizzabile. La strategia, le occasioni, le pos­sibilità da mettere in opera o sfruttare (tutto ciò insom ma che viene definito come l'epitesto) sono infinite, anche se alcune strutture di riferimento restano fondamentali . È epiLesto la recensione editoriale come l'intervista gior­nalistica o televisiva, la presentazione autorevole, la !et tera che raccomanda, il premio letterario; fino a, magari, la commemorazione funebre o la rievocazione per il cen ­tenario. Buona strategia sarebbe, per l'autore, di occu parsi prima dell'epitesto che del testo (per il quale, all'oc­correnza, si potrà utilizzare l'opera del cd. negro, o assi milato). Brillanti carriere letterarie sono state fondate su un'accorta politica di p.r. iniziata ben prima di porre mano all'opera di esordio.

La cultura dell'epitesto non deve sempre essere vista come un fenomeno di corruzione; molto spesso i rituali legati a questa pratica rientrano nelle norme della cultu ra del potfach, lo scambio primitivo dei doni, la loro pre­senza testimonia del fatto che la cd. società di mercato è un curioso impasto di fattori rigorosilmente economici e d i altri di tipo magico-rituale che ne definiscono aspetti anche essenziali (cosa, quest'ultima, recisamente negata da quegli autori/intellettuali le cui attività specifiche sono organicamente legate proprio alle funzioni e alle pratiche dell 'epitesto).

l\r 1\'Cnuto Disertori I libris per Cesare Olschki. \ 1lografia.

Le avventure del lesto

Si può facilmente osservare (pur nella meritata deca­denza degli studi gramsciani sull'intellettuale o rganico) che le pratiche dell 'epitesto fanno proliferare strutture semantiche e linguistiche piuttosto rigide e dotate -nonostante le pretese - di una grande forza conservatri­ce, oltreché autoconservatrice. Nella desacralizzazione che investe le società contemporanee, queste strutture (pur se a disagio: il Re teme sempre di essere scoperto nudo) sopravvivono come elementi di organizzazione del potere e del consenso, e organici a questo. Il processo innovativo passa con difficoltà attraverso di loro (di qui, il rifiuto di T.W. Adorno; rivalutato, del pensiero negati­vo, il solo Leopardi: tanto, lo Zibaldone, chi lo legge?).

Tatto Il piacere del testo si traduca nel piacere del tatto. Sfre­gare tra il palmo e il pollice un libro di dimensioni ben equilibrate, con le masse ben dosate, la copertina e il dorso gradevolmente rilegati , è un piacere impagabile, specialmente passeggiando, senza mèta precisa. Un buon libro deve poter offrire questo piacere aggiuntivo. Conosco persone che si dicono capaci di assorbire il testo anche solo palpando a lungo il volume (per non dire di quelli che leggono un libro già solo tenendolo, chiuso, sul proprio tavolo: ce ne sono) Jura11te una o piu passeggiate, piccoli appositi viaggi cittadini. Leggere passeggiando: una d imensione del tutto scomparsa, e se ne avverte tutto il rimpianto pensando al Don Abbon­dio che "talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il bre­viario tenendovi dentro, per segno, l'indice della mano destra e, messa poi questa nell'altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra", ecc. Viene il sospetto che l'intero romanzo, l'intero racconto dei Promessi Sposi sia, da questo punto in poi, solo una grandiosa fantasticheria del nostro parroco, sollecitata in lui dal contatto evocatore della mano sul dorso del suo breviario. Da approfondire.

Castrante "Il libro, anche quello uniformato dell'industria editoria­le, continua a godere di un 'aura sacrale e a presentarsi come il veicolo della saggezza, messaggio affidato al tem­po, ma nello stesso momento costringe a rispettare la sua ideologia castran te, nascosta dietro l' innocente pagina a stampa che esclude però qualsiasi ricorso alla manualità e vanifica il bisogno/impulso a penetrare nella materia dalla quale pure è nata la scrittura". Luciano Caruso

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Aubrey Beardsley frontespizio. 1896.

Maxfield Parrish, copertina. 1898.

CHAllLU SClll8NEa.'5 SONS Nl\li YOllll.

f'arsi un libro

Lettura Nulla appare piu naturale, nulla è piu artificiale della let­tura. Gestaltismo, associazionismo disputeranno ancora a lungo per stabilire se il tutto viene appreso prima delle sue parti, o se il processo del leggere comincia invece dal compitare le singole lettere dell'abbecedario. Una cosa però è certa: dopo l'acquisizione della stazione eretta, la lettura è quanto di piu innaturale l'umanità abbia esco­gitato nel corso dei millenni. Oggi appare del tutto spon­taneo leggere con i soli occhi, in silenzio; S. Agostino si meravigliava del monaco che leggeva in questo modo spezzando quell'unità tra il parlare, lo scrivere e il legge· re che sembra fosse, ancora nel medioevo, la regola viva.

La fisiologia, la psicologia della lettura sono, dunque, scienze moderne, e forse ancora embrionali , perché un 'al­tra cosa è parimenti certa: nei libri, sui monitor, o sui car­telli luminosi delle autostrade, gli uomini leggeranno sempre di piu.

Appunto in ragione del moltiplicarsi, coi massmedia, delle opportunità, quel che muta è il senso, il valore del­la lettura. In tale ambito, la crisi del libro è nella perdita della sua capacità di trasmettere una progettualità forte, complessa, escl usiva: destinata, in fondo, a pochi.

Anonimo: "Il libro è un amico tragico".

Lettore (I) "H ypocrite lectcur, - mon semblable, - mon frère! ". Charles Baudelaire "Ce vice impuni, la lecture". Valery Larbaud

Lettore (II) L'auto re è geloso del testo, permaloso nei confronti di chi gli suggerisca modifiche, tagli, cancellazioni, correzioni. Pensa di avere col suo scritto un rapporto di proprietà esclusiva. Ciò vale a dire che l'autore non è o non può essere un lettore, il lettore del suo testo. Egli non sospet· ta nemmeno che il primo rapporto che il lettore instaura con il testo che legge è il tradimento.

Lo stile è l'uomo, ma lo stile da considerare è, innan· zitu tto, lo stile del lettore. La scrittura è il tramite di quc· sto allontanamento del lettore dall 'autore e dalla sua ope· ra. La scrittura è stata, storicamente, strumento d i sepa­razione, di selezione, artificio. Secondo Barthes, fino a poco piu di cento anni fa gli scrittori generalmente igno­ravano che vi fossero piu modi, e assai differenti l' uno dal­l'altro, di parlare una lingua (Barthes si occupa della lin­gua francese, ma lo stesso si sarebbe potuto dire, ovvia· mente, dell'italiano: anzi). Essi esigevano quindi che il Jet-

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'>cwndo frontespizio delle I pt •ole hcroiche d1 /\ntonio Bruni. 1{11111;1, 1647.

Le 3\"VCnture del testo

tore dimenticasse la sua lingua - quella che egli usava nei propri rapporti sociali - per adottare, per costringersi dentro la lingua dello scrittore, quella che lo scrittore codificava nell'opera, il libro.

Ancora oggi l'autore si pone davanti ai suoi lettori esi­gendo una adesione totale al testo, alla sua scrittura.

Lettura ed eros "Galeotto fu il libro e chi lo scrisse: quel giorno piu non vi leggemmo avante". Dgnte Alighieri "E venuto per leggere. Ed aprimmo due o tre libri: storici e poeti. Ha letto un po', per dicci minuti, poi ha smesso. Sul divano sonnecchia. Appartiene ai suoi libri: pure - ha solo ventitré anni, è molto bello ... ". Costantino Kava/is

Libro d'artista "Il libro d 'artista non può essere ricondotto al libro illu­strato da un artista, che in genere è chiamato a interpre­tare graficamente testi altrui, con i quali si sente al piu una particolare rispondenza; mentre loggetto del nostro discorso è, invece, yua~i sempre il risultato d i una volontà totalizzante da parte di un unico autore che sceglie quel­la particolare forma per realizzarsi. Neppure può essere confuso con l'editoria autogestita che ebbe una larga dif­fusione tra gli anni Sessanta e Settanta, assumendo di vol­ta in volta il nome di esoeditoria, underground press, small press, ecc., dato che nella maggior parte dei casi questa attività assolveva al compito di documentare il proprio lavoro ed intenzionalmente, con una forte carica ideolo­gica, si poneva fuori dei normali canali di circolazione delle idee. In questo caso il libro, realizzato spesso da un unico autore a sue spese o insieme dai componenti dello stesso gruppo, e stampato con mezzi poveri (ciclostile, macchine a spirito, matrici di carta, ecc.) oppure ricor­rendo ai nuovi sistemi di riproduzione (fotocopiatrice, offset, ecc.) è visto come un comodo strumento di diffu­sione (. .. ) Conta il rapporto che si stabilisce col destina­tario, tendendo alla costituzione di una piccola società estetica e non si investe la struttura del libro in quanto tale; anzi spesso, con la Narrative Art, il Concettualismo, la Body Art, le performances di vario tipo, ecc., si pone ed è usato come naturale strumento per far conoscere il pro­prio lavoro e torna ad essere il tradizionale mezzo di dif­fusione del pensiero e delle opere dell'autore". Luciano Caruso

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Farsi un libro

Garamond

È, tra i cara.tteri in uso, e pur nelle diverse varianti oggi compresenti, quello che si rifà al modello piu antico, l'ar· chetipo sviluppatosi nel grande laboratorio sperimentak· della stampa, tra la fine del quattrocento e la prima meti1 del cinquecento. Straordinaria è la sua persistenza e favo Iosa la sua fortuna. E anche nella presente epoca di gene· razione elettronica del carattere, la realizzazione di un Garamond costituisce una bella sfida.

Le due sorgenti L'alfabeto latino, come oggi viene usato, ha due formt· fondamentali: maiuscola e minuscola.

Il maiuscolo ha come modello diretto la capitalis roma na, il carattere che rappresentava nella scrittura il potere dell'impero. Per secoli si tornerà a rilevare, misurare. disegnare e ricalcare l'iscrizione del basamento della colonna di Traiano (114 d.C.), considerata il modello più perfetto. Ne scrive Jan Tschichold, uno dei grandi mae stri della tipografia del nostro secolo: "Noi dovremmo studiare e ammirare la grande bellezza delle lettere prese ad una ad una, come il ritmo dei rapporti tra loro. Osser vare le distanze tra le lettere, per quanto inusuali e gran di ci possano apparire, e prenderle a guida".

Roberto il Guiscarclo dopo la conquista normanna sce glie questo modello di scrittura monumentale romana per l'is.crizione sulla facciata del Duomo di Salerno, quasi a nchiamare una continuità con l'antico potere imperia le;: e a legittimare il proprio. Per tutto il cinquecento si nfaranno costruzioni ciel lapidario romano, tentando di scoprirne e fissarne il canone geometrico segreto. Ma anche gli schemi piu eleganti (che forse non sono quelli piu noti, quelli di Luca Pacioli e di Di.irer, ma quelli di calligrafi come Wolffgang Fugger e Vespasiano Amphia­reo) appaiono rigidi e costretti, e perdono il 'portamen­to' degli originali. Sono i dettagli, le piccole deviazioni dalla norma, gli aggiustamenti percettivi, mai formalizza­bili in forme semplici, che danno anima alle lettere.

Il minuscolo ci viene dalla scrittura umanistica neocaro­lingia, come la praticavano a Firenze, nella prima metà del quattrocento, Poggio Bracciolini e Niccolò Niccoli. I piu antichi testi latini classici che gli umanisti andavano risco­prendo erano scritti nella scritcura elaborata alla corte neoimperiale di Carlo Magno, la minuscola carolingia (deri­vazione comunque della capitalis romana attraverso la lun­ga e complessa storia della calligrafia romana e medievale).

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Nella pagina a fianco: l'alfabeto .I, I basamento della colonna di I r 1iano (secondo Tschichold). I lettere outline (a solo "'1torno) sono costruite per 1111;1logia. Sotto: minuscola carolingia (I \. scc.), scrittura umanistica horcntina (1480), il marchio d1 Manu zio e alcune righe d..! De Aet11a di Bembo.

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Caratteri eminenti

La neocarolingia umanistica era la scrittura formale quella usata nei libri manoscritti (in quelli laici, mentre nei testi religiosi prevaleva sempre la scrittura gotica). E poi c'era la scrittura corrente (corsiva, appunto), e anche qui gli umanisti cercavano forme piu chiare, equilibrate ed eleganti. Da questa viene il nostro corsivo.

Francesco Griffo Dopo la pubblicazione della Bibbia delle 42 linee nel carattere gotico di Gutenberg (1456), l'arte della stampa dalla Germania dilaga per l'Europa; la prima stamperia in Italia, e che usa già i modelli della calligrafia umanisti ­ca, chiamati da allora romani, è quella di Arnold Pannartz e Conrad Sweynheym (Subiaco, 1465). Segue quella dei fratelliJohann e Wendelin von Speyer (della città di Spi­ra), impiantata a Venezia nel 1469; ed è Venezia che rapi­damente conquista il predominio. Il francese Nicholas Jenson vi incide nel 1470 il prototipo di quello che noi conosciamo come Garamond. Il carattere diJenson, l'im­pressa lt'ttera venettana, è stato definito "il piu perfetto mai inciso", ma le maiuscole hanno un rilievo eccessivo e ancora non si integrano con il minuscolo.

Aldo Manuzio (1450-1515) è il primo grande editore in senso moderno. Nato ai margini della palude pontina, in contatto con l'intellighenzia umanistica, amico di Pico della Mirandola, si trasferisce nell'opulenta Repubblica di Venezia, dove apre la sua stamperia nel 1490. Affida l'incisione dei punzoni al bolognese Francesco Griffo, che gli dà due memorabili serie di caratteri: per il De Aet­na di Pietro Bembo (1495) e per l'Hypnerotomachia Poliphili ( 1499). Griffo inoltre produce il primo corsivo a stampa, che in spagnolo è chiamato ancora !etra grzfa, richiestogli da Manuzio per le edizioni economiche in quanto permetteva di comprimere il testo in formati piu piccoli (il corsivo, quindi, non era ancora usato in coppia con il tondo, ma in alternativa). Il modello calligrafico è la variante 'cancelleresca', il corsivo particolarmente in uso per gli atti di cancelleria (questo tipo di corsivo verrà poi portato a insuperati vertici dal vicentino Ludovico Arrighi). La straordinaria qualità editoriale dei libri di Manuzio li impone in tutta Europa come modelli da imi­tare, se non addirittura da plagiare.

Griffo inaugura una lunga serie di tipografici eccen­trici: collerico e scontroso, dopo aver rotto con Manuzio non si farà scrupolo di incidere nuovi punzoni per le edi­zioni pirata stampate a Lione con il marchio di Manuzio e spacciate per originali. Litigherà poi con Soncino e con altri editori; sarà presumibilmente impiccato nel 1518 per aver assassinato il genero.

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Presumo rierano di Claude Garamond e carattere da lui prcsumibilmence inciso ( 1545).

IVuencus presbyter,natione Hi­fpanus, vir nobalis atquedoailli

mus ,ph1lofophus,1 hetor,pocta,& theologus infignis, & non minus conuerfatione quàm fcientia fcri­pturarum Eccldiz •enerabilis, lit• didit pro adificationc lcgentium. tam metro qulm profa mulu prç­clara •olumina: fed pauca ad n<>ti~ tiam mcam pcrucncrunt. Lcgi op• ill1lane, suod Huuncuil vcdib'

abegp ACPST dF Garamond

Farsi un libro

Il cosiddetto Garamond Le edizioni aldine (di Aldo Manuzio) lasciano il segno. Ma è nella Francia di Rabelais e di Francesco I che c'è la maggior fioritura tipografica del periodo successivo. Claude Garamond (1480-1561), è uno tra i molti stam patori; apprendista prima di Antoine Augerau (forse pro genito re dell 'omonimo maresciallo di Napoleone) si con· quista rapidamente grande prestigio grazie all'eccellenza del suo alfabeto greco. È il primo a usare il corsivo insie· me al tondo (come facciamo adesso) e non in alternativa.

La notevole diversità dei vari Garamond presenti sul mercato si deve al fatto che solo negli ultimi decenni sono stati identificati con sicurezza i punzoni incisi da Claudl' Garamond (conservati nel museo Plantin-Moretus di Anversa). Venivano di volta in volta presi a modello carat teri ritenuti originali, ma invece incisi successivamentl' (da Simon de Colines, Robert Estienne, Robert Granjon e altri). Uno dei piu clamorosi 'casi' della storiografia tipografica è la scoperta fatta nel 1926 dalla brillante stu diosa americana Beatrice Warde (sotto il nome di Paul Beaujon; era difficile per una donna avere credito in un mondo tradizionalmente maschile) , la quale dimostrò cht il Garamond prodotto nel 1922 dalla Monotype Corpo ration era in realtà basato sui caratteri incisi da J ean J an non nella prima metà del seicento.

Alcune caratteristiche sono comunque perlopiu comuni: la lunghezza delle ascendenti e delle discenden ti, le maiuscole pi{1 basse delle ascendenti, il tratto alto orizzontale della lettera e una certa spigolosità del rac cordo tra i due occhi della g, l'asimmetria delle grazit superiori della T, l'occhio della P aperto, l'assenza di gra zie nelle lettere e e s. Inoltre, nel corsivo, le maiuscole sono meno inclinate delle minuscole.

Va infine citato il Sabon del grande Tschichold, pro gettato nel 1960 su richiesta di un consorzio di stampa tori tedeschi. Essi chiedevano un carattere "alla maniera del Garamond" , che fosse disponibile sia per la composi zione a mano che per quelle meccaniche. L'eccezionale qualità del disegno dimostra la vitalità, dopo piu di quat trocento anni, delle formidabili sintesi attuate dai pionieri della tipografia .

Sabon Antiqua 50

Car..ttter i emine nti

Jl• tofa mortC",milCnmmtt u1urndo n6 a quifll.Htu m< ttptntt in mc 11, ;ione 1«1procJU1,tuU1 qucfi1 abfurd1 m1lcd1tl1,conrra la mia PoJLJ.

. :c.ict,ln mcgh ntorqucu.i.H~1Pol1ph1lt",conm111 tuo bcnc.aducr, (~1b 1ma1uJ.,conru 11 coic ruo,&. aduC"rfo I.i tua fpcuncu (C1 tuJ.ufo te, m 1J.mc11tc l>ullcmuc~Er qud Ucr.mo da omni u1nutc(~lc Hno 1liJ. co)mJ.lcJ1cmdo ncphariammrc 1nu;1dcrc ~ OJ.rnnau.adunquc l.t ra, l•.a J :1oroC..chcmcd1 fororcc.u1fc, &chcmccufi dcmc.nDua, pna.n, .I<> s,11 011 po(c1a per cfTa1ucro 11 ro1ur.ino,6: turto 1n bcncd1dionc nuo r Al ~ . f-iora non p1u apprccu.ndo al monrt, che cufi u1ucrc. cLf.pofim1 d1 r1 rou.uc .ilba hab1lc&. hondlo CODlm10 d1 darli noucu hogun~ dc, slo mro molclh & mfupporub1li J.ngon, & confnorlo il mio «crno con ''i .Pcnfando rcd.J.métc,chc 11 nOccoCi tan10 dura nel core humano 1l)11crct.1,chccU11 foculo dlmorc nO fc mollcfc.1.umca,&tdoma.& la u " • P1lupud1 n>wii:lbb1i< pfifk.Muh1 glod. lo lmpulfo, fu: lof, "''~ ddla fua cncu\au forrru.Pn ulcargum<to cogiu1d1 fcnualo,& di

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A sinistra: una pagina dell'l-lyp11erolomachia Pol1yphili. In basso, costruzioni di lettere: Vespasiano Amphiareo (Venezia, 1572) e Wolfgang Fugger(Norimberga, 1551). Qui sotto: una pagina dcl manuale di Ludovico Arrighi Operina da imparare d1 scrivere lr11era cancdlarescha (Roma, 1523).

Una pagina del libro di poesie d i Majakovskij Per la voce, realizzato da El Lisitski j nel 1922 ("Le mie pagine stanno alle poesie in un rapporto forse analogo a quello del pianoforte che accompagna il viol ino. Come per il poeta dal pensiero e dal suono si formo l'immagine unitaria, la poesia, cosi io ho voluto creare un'unità equivalente con la poesia e gli elementi tipografici").

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!'arsi un libro

Futura

L'avanguardia razionalista degli anni venti del nostro secolo ha nel suo programma la riduzione delle for me ai loro costituenti elementari. E questa è l'opero­zione applicata all' architettura e alla produzione indu striale degli oggetti; ma quando la si tenta sulla forma delle lettere i risultati sono di fatto mediocri .

La tipografia del Bauhaus Il laboratorio di tipografia del Bauhaus (con Josef Albers, Laszl6 Moholy-Nagy, Herbert Bayer e Joost Schmidt) produce lavori notevoli nel campo dell'im paginazione, ma non altrettanto in quello del disegno dei caratteri. Funziona la composizione formale di caratteri dati, e vengono sperimentate soluzioni origi noli che saranno poi la base di una parte dei succes sivi sviluppi della progettazione grafica; ma la prete­sa di ridurre l'alfabeto in gabbie di pura combina zione tra elementi geometrici elementari dà esiti di limitata applicabilità, buoni magari per titoli ma non certo per testi correnti. Il piu noto dei molti caratteri progettati al Bauhaus è I' Universal-Alfabet di Bayer, senza dubbio espressione del sogno razionalista, ma in pratica, oggi, utilizzabile solo con valore di cito zione.

Un acuto critico della tipografia delle avanguardie è il grande Jan Tschichold, che cosi scrive a proposito delle folgoranti composizioni dell'amico El Lisitskij (il quale, tra l'altro, ha influenzato profondamente la tipo­grafia del Bauhaus/ : " Il suo spirito giovanile non vole­va svolgere la rea tà trovata: egli voleva inventarne una nuova. Voleva qualcosa d'altro, che sbocciasse soltanto dal presente e appartenesse soltanto a que­sto. Tutte le sue opere, favole della ventura epoca tec­nica, visionarie anticipazioni di forme future, apoteo­si dell' ingegneria, hanno l' irripetibile incanto dell'e­sperimento rivoluzionario. Ma Lisitskij non sviluppavo le sue forme sulla base della tecnica tipografica; pro­babilmente si curava poco di sapere come il compo­sitore sarebbe venuto a capo del bozzetto. Tutta la suo opera tipografica, per quanto nuova e potente, mostro spesso la lotta faticosa del tipografo dilettante con una tecnica tipografica vecchissima e riluttante".

E infatti le piu convincenti composizioni tipografi­che delle avanguardie degli anni venti sono in defini­tiva quelle prodotte dai professionisti, da chi faceva i

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abcdefGhi iKlmnopqr stuvwxyz a dd Uno pagina del poema tipografico composto da Werkman per la morte di Lenin (1 924). li marchio personale di Piet /wart (zwarl in olandese ~1gnifica 'nero'). I Universal-Alfabet di Herbert lloyer (Bauhaus, 1925).

Caronteri eminenti

conti con questa tecnica tipografica "vecchissima o riluttante" lo stesso Tschichold e gli o landesi Hendr 1k Werkman, Piet Zwart e Paul Schuitema.

La conclusione è che non può essere elusa la spc cificità della scrittura; trattare la forma delle lettere do un punto di vista puramente formale, prescindendo dalla tradizione tipografica e dal suo complesso siste ma di dettagli e di aggiustamenti percettivi, porta ine luttabilmente a esiti fragili .

Renner alla Triennale di Milano L'unico carattere che ci sia venuto, per quanto indi rettamente, dall'ambito del Bauhaus, è il Futura di Poul Renner, prodotto a partire dal 1927. La storia è la seguente. Renner, che insegna allora in una scuola d1 Francoforte, vede i disegni di un alfabeto che un suo studente, tale Ferdinand Kramer, ha preparato per l' in segna della cappelleria del padre. Questo Kramer aveva frequentato il Bauhaus per un semestre nel 1919, ali' apertura della scuola (assorbendone presu mibilmente alcuni insegnamenti fondamentali) ; Ren ner, che non aveva avuto contatti diretti con il Bauhaus, rimane colpito dall'ottimo equilibrio com positivo e ne fa un redesign sostanzialmente identico Ma Kramer aveva disegnato soltanto il maiuscolo e le cifre.

I problemi cominciano con le minuscole: la prima versione, piu marcatamente costruttivista, di alcune lettere (a , g , m, n, r) deve essere abbandonata in favore di forme piu tradizionali , perché la lettura risulta eccessivamente problematica . E la modularità geometrica, seguita quasi rigorosamente nel maiu scolo (la lettera O perfettamente circolare, lo spes sore dei tratti costante, la combinazione di poche forme geometriche di basej, deve essere lasciata da parte; in particolare (nelle ettere a, b, d, g, h, m, n, p, q, r) lo spessore dei tratti curvi si assottiglia in pros simità del raccordo con i tratti dritti. Mantenere lo spessore costante avrebbe portato, in quei punti di raccordo, a inspessimenti percettivamente eccessivi (ed è quello che succede nell' Universal-Alfabet di Bayer) .

Un'osservazione analoga può essere fatta per il rapporto tra lettere ' tonde' e 'dritte' : ad esempio, lo lettera o è leggermente piu alta del tratto della lettera i. Mantenerle uguali avrebbe portato, per un banale effetto di 'smangiamento' ottico ben noto alla tradi zione tipografica , a far apparire la o piu piccola (ed è quello cne succede nell' Universal-Alfabet di Bayer)

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a m Lo primo versione di alcune lettere del Futuro.

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Gl.1~S1:1~ AvontGorde

efghijk Il Kobel di Koch.

Farsi un libro

Il Futura, in sostanza, deve la sua sopravvivenza al compromesso. Avrà un grande successo; Renner stes­so lo presenterà trionfalmente nel 1933 alla V Trien­nale di Milano, dove verrà assunto come modello di base per l'autorappresentazione del regime fascista. In Germania le cose andranno in modo diverso: al suo ritorno dall 'Italia Renner verrà accusato dai nazisti di bolscevismo tipografico e cacciato dalla scuola per le arti della stampa che egli stesso aveva fondato a Monaco. La scrittura gotica sarà quella ufficiale fino al 1941, quando sarà abolita per decreto (causa evi­dentemente l'esigenza di gestire l'informazione nei paesi occupati) in quanto " inventata da un ebreo".

Un 'accattivante elaborazione del Futura è il Neo­Futura di Milton Glaser, commercializzato con il nome Glaser stencil (Glaser per mascherine); e l'Avant Gar­de Gothic di Herb Lubalin, del 1970 (originariamen­te concepito per la testata di una rivista newyorkese degli anni sessanta), è in qualche modo un revival del l'esasperazione geometrica del Bauhaus.

Rudolf Koch Per una consonanza che è il segno dei tempi , nel giro di pochi anni appaiono diversi caratteri senza grazie con qualche qualità: in Gran Bretagna il Gi// Sans, negli Stati Uniti il Metro di Dwiggins (1929) e il Tem po di Middleton (1930), e in Germania, oltre al Futu ra, I' Erbar di Jakob Erbar ( 1926) e il Kabel di Rudolf Koch (1927) .

Animatore della fonderia di caratteri Klingspor di Offenbach (per la quale avevano già lavorato Otto Eckmann e Peter Behrens, e che era frequentata dalla crème della tipografia del tempo, da Morison a Mey nell , a Wolpe e a Reiner), Koch era un uomo profon damente religioso, calligrafo e poeta, quasi un misti co dell'operare artigiano sulla lettera. Il suo Kabel, quasi un neogotico, è agli antipodi del Futura, pur con dividendone una certa ricerca di modularità geome trico profondamente individuale e caratterizzato (quanto invece il Futura è programmaticamente neu tro), ben rappresenta un altro versante dell'epoca che precede il nazismo. Le terminazioni oblique dei tratti richiamano la xi lografia espressionista, e l' inconfon dibile disegno della lettera g gli assicura una qualche memoria .

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Cnr~nreri eminenti

RBCDEFUHl.Jh'Lm naF'CJFi'5TUUWK!:::l2

DENN EINEJEC.Ll<HEKUNST ODERWERK~WIEKLEIN SIE SEIEN*DAS HND ALLEW SAMT GNADEN~UND WIR KET HEALLESAMT DER HEI+ LIC.EC.EHT'"%U NUT%UND %U FRU<HTDERMENS<HEN +WARE l<H Nl<HTEIN PRIE STER~UND WARE UNTER EINERVERSAMMLUNC.+l<H NAHME ES FllR EIN GROHES DINC.JftDAH l<H S<HUHEMA <HEN KONNTEt«UND l<H WOLLTE AU<H C.ERNEMEIN BROT MIT MEINEN HAN~ DENVERDIENENWKINDER *DER FUH NO<H DIE HAND DIESOLLEN Nl<HTDASAUC.E SEIN WOLLEN.,.EIN JEGLI <HER IOLL IEIN AMTTUN~ DAS IHM C.OTT %UC.EFll6T.

In a lto: alfabeto di Theo van Doesburg del 1919. Ou1 sopra, uno pagina rnmposto nel carattere Neuland disegnato da Koch nel 1928. A destra: composizione da un catalogo commerciale

I" >gettato do Piet Zwort 1927) e pagina di un libro di

Kurt Schwitters, Kote Steinitz e Theo von Doesburg (1925). Sotto, Gi// Sons e Futuro a confronto.

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ABCDEFG H IJ KLM NOPQRSTUVWXYZ abcdefgh i j kl m nopq rstuvwxyz

ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghijklmnopqrstuvwxyz

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Stanlcy Mori\on nel 1924 (dio,egnodi William Ro1hen,1ci n).

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Times

In un famoso testo del 1929, First Principles of Typo­graphy (Primi principi di tipografia), ripubblicato nume­rose volte e passaggio obbligato per tutta la grafica ingle­se, Stanley Morison ( 1889- 1967) enuncia la definizione fondamentale, la pietra di paragone: "L'arte della tipogra­fia consiste nel disporre correttamente gli elementi di stam­pa in vista di un obiettivo ben definito; nel comporre i caratteri, nel ripartire gli spazi e nel disporre la composi-1ione in modo da facilitare al massimo lo sfor10 del letto­re e la sua comprensione del testo. L'arte della tipografia è lo strumento appropriato in vista d'un obiettivo essen-1:ialmente utilitario, e che non è estetico se non acciden­talmente, poiché il piacere degli occhi è raramente la preoccupaLione principale del lettore. È per questo che, qualunque sia l'inten1ione, ogni disposi1ione tipografica che si frapponga tra l'autore e il lettore è sbagliata". Spes­so contestata per l'eccessiva dureZLa (quel "se non acci­dentalmente" ha provocato infinite discussioni), questa definizione non è mai stata ritirata da Morison, il quale era ben consapevole delle contraddizioni implicite, ma altret­tanto ben convinto della necessità di porre un solido pun­to di ancoraggio. Per quanto apparentemente banale, que­sta definizione pare debba ancora essere capita. La 'crea­tività' dovrebbe venire dopo.

Alla stazione di King's Cross 11 10 settembre del 1912 Stanley Morison, impiegato di banca ignaro di alcunché di tipografico, compra 'Thl' Times' nella stazione londinese di King's Cross; il giorna le contiene un supplemento sulle arti della stampa. Mori son è folgorato. Nel supplemento trova l'annuncio dell'u scita della rivista 'The lmprint' di Gerard Meynell (chl· diventerà una pietra miliare del rinnovamento tipografico inglese). Morison si procura una copia del primo numero. Qui c'è un'inserzione: "Richiediamo nella reda1ione di 'The Imprint' i servigi di un giovane di buona educazionl' e preferibilmente con qualche esperien1a di editoria e di pubblicità. Preferiamo che le richieste siano fatte prima per le ttera, indiriuate al redattore commerciale". Morison risponde e, ne l colloquio con Meynell, confessa di non ave re alcuna esperien1a specifica. Meynell gli chiede perchl' si sia proposto; Morison risponde che si è stufato di farl· l'impiegato di banca. Al che Meynell dice che lo capiscl' bene, perché anche lui era stato impiegato di banca; e il posto è suo.

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Inc isione di Eric Gill del 1929 ' '" raffigurata Beatrice Warde).

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Caratteri cmincnci

Comincia cosi la carriera di quello che è stato consi derato " la massima autorità mondiale nel campo della stampa".

Beatrice Warde, la studiosa americana già citata a pro posito del cosiddetto Gr.ovmond e della 'trasparen1a' dci caratteri, rievoca il suo primo incontro con Morison, quando egli , nel 1924, era negli Stati Uniti per un giro di visite e di incontri. La giovane donna va a Boston per incontrarlo: "Pareva un gesuita. E quando si girò pc1 vedere chi stesse entrando nella stanza, il momentaneo guizzo di curiosità avvicinò le sue nerissime sopracciglia con un effetto formidabile. Ciò a cui non ero preparata era il modo in cui quel viso austero, quasi cupo, poteva istantaneamente essere trasfigurato da un seducente sor riso da fanciullo che toglieva almeno dieci anni alla sua età apparente. Nel giro dei cinque minuti della conver!>a 1ione generale che segui seppi che ero alla presenta non solo di uno studioso d ' ingegno, ma di una personalità pili vivace e stimolante di quante ne avessi mai incontrate prima".

li carattere del secolo Nel 1922 Morison è consulente della Monotype Corpo ration (con gli esiti accennati sopra), ne l 1925 della prc stigiosa Cambridge University Press; e nel 1929 dcl 'Times'. Qui il problema è la progetla1ione di un nuovo carattere per tutto il giornale, che tenga conto della spc cificità del quotidiano (corpi piccoli e giuste11e strette): un problema quindi di tipo essenzialmente tecnico, di ' ingegnerizzazione'. Morison comincia a lavorare sul Baskef11ille e sullo Ionie (un carattere prodotto dalla Linotype nel 1922 per usi commerciali), e poi sul Pef]w tua di Gill (di questo adattamento del Pe1petua vengono incise alcune serie sperimentali con le quali si compone una pagina del giornale, stampata nel 1930). Finalmente Morison individua come punto di partenza il Plr.o1ti11 (dal nome dello stampatore francese della seconda metà dcl cinquecento Christophe Plantin, ma prodotto dalla Monotype nel 191 3 sulla base dei punJ:Oni di Garamond del Museo Plantin-Moretus di Anversa); esegue gli studi a matita, che vengono passati a Yictor Lardent, dell'ufli ­cio grafico del 'Times', corredati di tutte le note e consi derazioni finali e ricapitolative. Lardent realiua gli csc cutivi e la Monotype incide i punzoni ( 14.750 per tutti gli usi previsti dal g iornale). li 3 ottobre del 1932 'Thc Times' esce interamente composto nel nuovo carattere. che verrà chiamato Times New Ro111cu1 (i l nuovo romano del 'Times'). Avrà fortuna immensa, per tutti gli usi. La base cinquecentesca è percettivamente quasi irricono-,ci

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Monogramma.

Rede<,ign di Mori,on per i moduli dcl \ervi7io 1elegrafìco (circa 1935). Nella pagina a fronte, 'The Time.,· del 3 onobrc 1932 a confronto con il precedente a.,peuo.

l'OST • OfFICE

INLAND

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bile: le lettere sono pili piene, i tratti ascendenti e discen­denti pili corti, lo spessore piu marcato e le grazie piu regolari e uni formi . Ne risulta un carattere straordinaria­mente economico, che permette un 'ottima leggibilità in corpi piccoli.

Scriverà Morison nel 1953: "Oggetto della tipografia. praticata sotto il capitalismo del diciannovesimo secolo come sotto lo pseudo-comunismo del ventesimo, è molti­plicare il massimo numero di copie al costo minore, e il Times si attiene a questa richiesta".

li problema del potere Un lascito particolare di Stanley Morison è il suo Politin md Script (Politica e scrittura. Aspetti di autorità e libertù nello sviluppo della scrittura greco-latina dal sesto secolo a.C. al ventesimo secolo d.C.), raccolta postuma di lezio­ni tenute a Oxford nel 1957, pubblicata in volume nel 1972. È un libro che non piace molto ai professionisti del setto­re, che lo considerano stravagante e fuori dal seminato. In realtà, basandosi su di un enorme bagaglio conoscitivo. Morison, per la prima volta ne lla storia piuttosto speciali ­stica degli studi paleografici , affronta nel suo complesso il rapporto tra scrittura e società, e pone la questione fonda ­mentale della scrittura come rappresentazione dcl potere che la gestisce e che se ne serve per il proprio consolida­mento (in Italia sarà Armando Petrucci a pubblicare un brillante studio in questa chiave).

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Caratteri eminenti

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Nella pagina a fronte: un confronto tra Akzidenz­Grotesk (in alto) e Helvetica; e una pagina della rivista ' Neue Grafik' con la recensione di Hans Neuburg.

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Helvetica

Per un singolare paradosso dovuto all'eccesso d1 disinformazione, l'Helvetica è stato ed è ancora consi derato il nuovo carattere dei nuovi tempi. Associato inestricabilmente al design e alla grafica italiana (o. meglio, italo-svizzera) dei favolosi anni sessanta, nel l' immagine neorazionalista che derivava dall'elabora zione commerciale delle proposte delle avanguardie. l'He/vetica ha avuto un'autorità tale che addiritturn pareva che in sua assenza non si potesse parlare né d1 design né di progettazione grafica (ci si riferisce owia mente ai meno aweduti, a coloro che, anche genero samente, tentavano di mettersi al passo con la comu nità internazionale senza purtroppo avere la necessa ria base conoscitiva).

Un senza grazie tipicamente ottocentesco L' Helvetica segna piuttosto la definitiva sconfitta dei caratteri geometrici razionalisti (primo fra tutti il Futura), con un ritorno alla tradizione appena mitigato dalle pie cole modifiche imposte dal nuovo gusto. Infatti l'He/ vetica non è che un moderato redosign dell'Akzidenz Grotesk, che la fonderia tedesca Berthold produce dal 1896, su modelli che risalgono alla prima metà dell'ot tocento (e che era relativamente diffuso anche in anni recentissimi perché la Berthold lo dava in omaggio insieme alle sue macchine fotocompositrici). Scrivo Hans Neuburg (il grafico svizzero di origine cecoslo vacca che tanta influenza ha avuto in Italia) nella recen sione dell'Helvetica apparsa nel numero 4 della leg gendaria rivista 'Neue Grafik' (1959): "Il carattere sen za grazie della Berthold, al quale non abbiamo alcuna intenzione di rinunciare ... ".

Disegnato da Max Miedinger nel 1957 per la fonde ria Haas (e conosciuto come Haas-Grotesk fino alla sua acquisizione da parte della fonderia Stempel), l'Helve tica ha alcune particolarità che sono la chiave della sua diffusione. Intanto è stata riesumata la zampa a riccio lo, tipica dei 'moderni', della R (che era presente nel l'Akzidenz del 1896, ma che si era poi persa per stra da in omaggio forse alle tendenze di semplificazione geometrica). Poi sono state rese quasi orizzontali (qua si, non del tutto) le terminazioni delle lettere c, e, s, C. G, S. E poi ancora si è un po' appiattita la curva infe riore della g (troppo ingombrante nell'Akzidenz) e si e

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Caratteri eminenti

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aGQ125 Helvetica

aG0125 Univers

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alleggerito il tratto verticale a sinistra della G. Ne risul ta un carattere eccezionalmente neutro, poco caratte­rizzato, compatto, eccellente per l'uso formalistico (vale a dire quel modo di trattare la pagina utilizzando la scrittura non tanto per quello che c'è scritto, quan to come elemento di composizione formale) che infat ti ne è stato abbondantemente fatto.

Univers Secondo le intenzioni, il carattere degli anni sessanta doveva essere un altro: l'Univers progettato dallo sviz zero Adrian Frutiger per la fonderia francese Deberny & Peignot nello stesso anno 1957. Di fatto, nonostan te l'enorme diffusione, l'Univers non è mai diventato cosf tipico come l'Helvetica, cosf connotativo di un gusto e di un epoca, e questo forse proprio per le sue caratteristiche piu peculiari.

CUnivers, già dalla sua prima apparizione, prevede un programma di sviluppo completo, dal tondo al cor sivo, dal piu chiaro al piu nero, dal piu largo al piu stret to, per un totale di ventuno varianti. È il primo caratte re a essere impostato programmaticamente in questo modo. Rilevante, a questo fine, è l'integrazione di tut te le lettere tra loro, come elementi di un unico siste ma, che può poi essere elaborato quasi come un tutt'uno.

CUnivers è insomma la prefigurazione, per la meto dologia progettuale (o meglio metaprogettuale) adot tata, delle attuali tecniche di progettazione per l'elet tronica.

Tra le molte peculiarità del carattere sono partico larmente riconoscibili (troppo, si potrebbe dire) le for me inconfondibili delle lettere G, O, R. E cosf anche 1

numeri 1, 2, 5. La somiglianza con l'Helvetica è solo apparente: i due caratteri, di fatto, sono profonda mente diversi, dal punto di vista filologico, morfologico e 'sistemico'.

Frutiger ha realizzato altri eccellenti caratteri, tutti progettualmente rigorosi quanto espressivamente indi viduali. Tra questi spicca il Frutiger del 1976 (noto pre cedentemente come Roissy, in quanto studiato per In segnaletica dell'aeroporto Charles De Gaulle, vicino al villaggio di Roissy), un ineccepibile e compiuto senza grazie dell'ultima generazione.

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Incisioni su legno di Adrian Frutiger: Si facciano luci nella distesa dei cieli (Genesi, 1, 14) e due saggi calligrafici (minuscola carolingia e, a destra, scrittura umanistica). Qui sotto, marchio per le edizioni Hermann (Parigi).

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The basic character in a type design is determined by the uniform design characteristics of all letters in the alphabet. Il Frutiger e la sua applicazione nella c:pgnaletica aeroportuale. I Gate number 3

!Luggage I

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March i per editori disegnati d,i Hermann Zapf: Philipp von Zabern (Magonza), Suhrkamp (Francoforte) e lnsel (Wiesbaden).

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Opti ma Quando Linn Boyd Benton inventa a Milwaukee I.i macchina per incidere i punzoni, c'è, come si diceva, una grande rifioritura del carattere da stampa. Di fat­to, questa rifiori tura si concretizza in un immenso lavo­ro di repechage all'interno di tutta la tradizione tipo­grafica, e ancora indietro, di tutta la tradizione calli­grafica; tutti i successivi sviluppi sono elaborazioni <' rielaborazioni, adattamenti al le mod ifiche del gusto l' al le esigenze tecnologiche. Si è visto come il Times si.1 il redesign di un carattere cinquecentesco e I' Helveti ca l'adattamento di un carattere del seco lo scorso.

Lo stesso può dirsi di questi anni di universale diffu sione della compos i7ione elettronica, va le a dire di maggiore flessibilità e di costi ridotti per la produzione 1·

l'acquisizione dei caratteri : il problema, e questo va le in modo pressoché assoluto per quel che riguarda i carat teri da testo, non è quello di 'inventare' nuovi alfabeti, ma quello di rimescolare di nuovo l'intero patrimonio. per scoprirne nuove applicazioni. L'epoca elettronic,1 non ha prodotto ca ratteri sostanzialmente nuovi; appc• na è stata disponibile maggiore velocità di elaborazio ne, la composizione elettronica è tornata ai modelli tra dizionali, e sono stati emarginati i rozzi caratteri a ma tric i di punti che per un attimo parevano caratterizzarl,i.

Cosi ritorna a essere fondamentale la ricerca sloric,1. addirittura il puntiglio filologico. Esemplare in questo senso, per quanto ancora realizzato nell'epoca dell.1 composizione meccanica, è l'Oplima di Hermann Zapf, una delle poche rea li novi tà degli ultimi decenni .

La confraternita dei calligrafi Nato a Norimberga nel 1918, Hermann Zapf è per alcuni anni apprendista in una tipografia, come rito< calore di foto (il padre, dirigente sindacale in un' indu stria automobi list ica, era rimasto senza lavoro dopo l,1 presa del potere da parte dci nazisti). A vent'anni rima ne fortemente colpito dalla mostra postuma dei lavori del concittadino Rudolf Koch; studia calligrafia scguen do il leggendario manuale di Edward Johnston (comi· già tanti altri in Germania prima di lui, a partire dt1I grande Jan Tschichold); autod idatta del tipo piu sottile. nutrito di immensa passione, entra in contatto con uno storico della tipografia, Gustav Mori, e con la sua im mensa biblioteca. Già nel 1938 un suo carattere viern· accettato dalla fonderia Stempel di Francoforte.

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Palatino Meli or

Carat1cri eminenti

Dopo la guerra è alla Stempel come dirc llor<· .1111

stico della stamperia interna. Nel 1949 reali//,1 il /~11.1 tino, basato sui caratteri di Giovanbattista Palatino, "rl ca lligrafo dei cal ligrafi", ca labrese operante a ~om,1 nella prima metà del cinquecento. Nel 1952 il MC'lior e nel 1955, con una progressione che dimostra un,1 certa supponenza, la prima seri e dell 'Oplima. Pubbli­c.- nel 1954 il Manuale Typographicum, raffinata rac­colta di sue composizioni tipografiche; edito anche in inglese, il Manuale assicura a Zapf il riconoscimento della confraternita internazionale (ne uscirà un secon­do vo lume nel 1968). Nel 1956, diventato ormai un'autorità del settore, Zapf lascia la Stempel per dedi ­carsi alla ricerca, ai lavori di consulenza, e ai suoi giri di conferenze e di premi e onoreficenze varie. Dise­gna un considerevo le numero di caratteri (175 al 1976), dei quali sono notevoli, oltre a quel li già citati , i I Comenius e i I Marconi, ambedue del 1976.

Continua a praticare incessantemente la ca lligrafia. Scriverà nel 1986: " La calligrafia, oggi come in pas­sato, è la fonte per la forma delle lettere, la quale esprime lo spirito e il gusto del nostro tempo, e per quanto una solida messa a punto degli alfabeti con­temporanei c i venga spesso dai migliori esempi occi­dentali, non deve essere trascurala la vigorosa call i­grafia dei maestri giapponesi. Chi sia affascinato dal­l'arte della calligrafia non proverà mai la noia, per tut­ta la sua vita. La pratica della cal ligrafia ci offre la pos­sibilità di esprimere i molli aspetti dell'emozione uma­na. Ogni esempio ci mostra concentrazione, pazienza e, sempre di nuovo, il confronto cr itico con le forme storiche di una grande tradizione, la quale, perché pos­sa sopravvivere, deve essere trasportata nelle condi ­z ion i del nostro tempo. La call igrafia è il nostro mon­do, un mondo di individualisti consapevo li che si apprezzano l'un l'altro e che apprezzano i semplici strumenti di base di un mestiere umile. Benché una grande parte del mio tempo sia impegnata nel lavoro complicato e rigoroso di progettare al fabeti per la com­posizione elettronica, il mio amore è ancora il penni ­no a punta tagliata; c'è sempre una goccia del nostro cuore nell 'inchiostro che usiamo". Suggestivo, certo; ma il vento impetuoso delle contraddizioni, il vento che trasportava Morison e il grande Tschichold, que­sto vento pare non soffi qui.

La moglie di Zapf, Gudrun van Hesse, è un'altra cal­ligrafa autod idatta, formatasi anche lei, già dal 1934, sul manuale di Johnston (disegnerà in segu ilo alcune belle serie di ca ratteri).

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Caratteri eminenti

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