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CARMEN MARGHERITA DI GIGLIO WERDENSTEIN Trilogia Nazista 2 NEMO EDITRICE

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Un romanzo di Carmen Margherita Di Giglio. A novel by Carmen Margherita Di Giglio.

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CARMEN MARGHERITA DI GIGLIO

WERDENSTEIN Trilogia Nazista

2

NEMO EDITRICE

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ATTENZIONE!

Questo e-book gratuito contiene i seguenti capitoli del romanzo Werdenstein:

Preludio e Alexander (estratto dal cap. 3, libro primo, parte seconda). E’ possibile distribuirlo gratuitamente senza effettuare modifiche.

Potete richiedere Werdenstein a

Nemo Editrice via Biancardi, 4 - 20149 Milano

Tel. 0291701376 Cell. 3701001546 Fax 1786054545

[email protected] www.nemoeditrice.it/werdenstein.html

Copyright © 2005-2010 Carmen Di Giglio Nemo Editrice (Nuove Edizioni Milano Ovest)

via G. Biancardi, 4 - 20149 Milano www.nemoeditrice.it/ [email protected]

ISBN: 978-88-902507-2-9

Direzione grafica: Elisa Saraceno Supervisione editoriale: Stefania Dessolis

Proprietà letteraria riservata Printed in Italy

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PRELUDIO

Casa von Rosenberg sorge su un angolo di Maximilianstrasse. È una dimora austera e massiccia di stile neorinascimentale, come molte in quella via. Dalla strada, fra le tegole del tetto, si può scorgere un abbaino. L’angusta apertura del suo lucernario sbieco dà luce a una soffitta a cui, dall’interno dell’abitazione, si accede tramite una porticina posta all’ultimo piano, in cima a una stretta e ripida scaletta di legno, così diversa dalle sontuose scale di mar-mo che dominano il resto della casa.

«Perit ut vivat»,1 è scritto su quella piccola porta, sotto le ali di una fenice ardente, fra tralci di vite, fiori color arancio e voli di uccelli del paradiso. Ma è un uscio che si apre molto di rado e so-lo di nascosto da occhi indiscreti. Un’unica persona ne oltrepassa talvolta la soglia... Finché una sera come tante di un giorno come tanti, davanti alla porticina chiusa non avviene qualcosa di insoli-to: una donna e un fanciullo, madre e figlio, sostano insieme, nell’attesa di varcarne l’uscio. La madre è bella, ha capelli scuri, zigomi alti e un’aria imperiosa negli occhi di un azzurro quasi ne-ro che risplendono come quelli della fenice che li osserva dall’alto. Il figlio ha il suo stesso sguardo, i suoi stessi lineamenti, persino lo stesso colore di capelli e di occhi, tanto da sembrare fatto a sua immagine e somiglianza... e se ne sta lì, irresoluto, a fissare ora lei, ora una chiave che ha appena inserito nella toppa.

– Non tremare, Philipp – dice sua madre fermandogli la mano con la propria, – e ricorda che sotto il soffio della paura la chiave arrugginisce, e la chiave arrugginita si rifiuta di aprire. 2

A quelle parole il fanciullo non esita più. Chiude forte gli occhi,

1 «Morire per vivere», motto latino relativo alla fenice, il leggendario uc-cello che brucia in un rogo e risorge dalle proprie ceneri.

2 Cit. da Le sette porte («The seven portals»), tratto da Il libro dei precetti aurei («The Book of the Golden Precepts»), 1889, di H. P. Blavatskij.

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gira la chiave e sospinge piano la porta... – Entra, tesoro! E sappi che tutto questo ti appartiene! Riapre gli occhi. Qualcosa rifulge attorno a lui scintillando di

riverberi multicolori. Dall’alto tintinnano campanelle, con un suono lieve come di cristalli mossi dal vento, mentre una luce irre-ale svela a ogni suo passo nuove meraviglie: ampolle di vetro ver-de-blu, simili a iridescenti alambicchi da fiaba orientale; variopinti bauli traboccanti di maschere e costumi; antichi secrétaire e arma-dietti dalle mille porticine e dai mille scomparti racchiusi l’uno nell’altro come un regno nel regno. E tutto sembra sussurrargli: «Vieni! Ti stavamo aspettando!» Anche i quadri sussurrano, i mobiletti sussurrano, gli orologi ticchettano e sussurrano...

Sua madre lo osserva compiaciuta: vede i suoi occhi, così simili ai propri, luccicare di meraviglia, e le sue mani lunghe e sottili, dalle nocche un po’ marcate, sfiorare le bambole della corte di Versailles che oscillano dall’alto sorrette da fili quasi invisibili e sembrano animarsi a quel tocco.

«Grazie per essere qui!» pare che gli dicano. «Tutta la nostra corte ti è riconoscente per averci ridato la vita!» Ed è proprio co-me se l’intera corte di quegli insoliti sudditi, vestiti di raso e crino-line, coi visi di porcellana imbellettata di biacca sotto le candide parrucche incipriate, si inchinasse a ringraziare il suo re.

Poiché da questo momento Philipp è davvero un re. Sua ma-dre, Helena von Waldenburg, gli ha dischiuso le porte del Regno: quello che, dal castello nobiliare di Werdenstein dov’è nata, ha fatto trasferire lassù, nella soffitta della casa borghese di Monaco di Baviera, sulla Maximilianstrasse. Il trasferimento è avvenuto ben dodici anni prima, nel lontano 1895, anno in cui Helena ha sposato Heinrich von Rosenberg, ufficiale del Deutsches Heer, l’esercito imperiale tedesco. Da allora, bambole, ninnoli, tappeti, mobiletti e libri, retaggio della sua fanciullezza a Werdenstein, so-no stati stipati tutti in quella stanza; e di tanto in tanto, all’insaputa del marito, dei figli, della servitù, quando più inten-samente avverte lo struggimento e il rimpianto del passato che la vita coniugale le ha sottratto, essa corre a rifugiarsi lassù, nel suo Regno segreto, fra i giochi, le giostre, i travestimenti, i libri dell’antica sapienza e i personaggi delle favole amate.

Stasera, però, per la prima volta c’è qualcuno a condividere il segreto con lei: Helena, nel corso degli anni, ha sempre avuto cura di custodire gelosamente le chiavi del Regno, e Philipp è il primo

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e l’unico a cui abbia consentito di accedervi. Certo ha appena un-dici anni, è soltanto un bambino... ma chi meglio di lui può com-prendere? Poiché Philipp è lei stessa e lei stessa è Philipp, non c’è nient’altro da aggiungere.

Philipp ha esplorato ogni angolo di quel mondo incantato e si è

fermato a contemplare la giostra in miniatura posta su un cassettone in fondo alla soffitta, nel vano del lucernario. Le figurine di resina e legno si rincorrono in cerchio, l’una dopo l’altra, al gracile suono di un carillon: l’uccellatore ricoperto di piume, il principe inseguito dal drago, le tre damigelle coi loro doni fatati...

«Das klinget so herrlich, − Das klinget so schön!»3: senza solu-zione di continuità, il vecchio carillon intona con la sua vocetta stridula le note di un motivo del Flauto Magico, opera di cui egli conosce bene ogni verso per averla ascoltata più volte al fonografo insieme alla mamma:

Che suono incantevole, che suono meraviglioso! Non ho mai udito né visto nulla di simile! È così rapito nell’ascolto da non accorgersi che sua madre non

è più con lui. Ma di colpo si volta e, non vedendola, si guarda in-torno smarrito.

− Madre? − la chiama. Il carillon ha smesso di suonare; anche la giostra si è fermata, e

tutto nella soffitta sembra tacere. Come sbucata dal nulla, Helena ricompare a un tratto: ha preso

da un baule un vecchio mantello nero e se l’è gettato addosso − lo spadino al fianco, i neri guanti di cuoio sotto le maniche rimboc-cate, e sui capelli disciolti un grande cappello piumato da cavaliere.

Philipp la guarda con stupefatta ammirazione. – Vedi, tesoro – gli spiega lei cingendogli le spalle con un brac-

cio, – nel mondo delle idee non esiste separazione tra realtà e fan-tasia, tra il pensiero e la sua manifestazione... fra me e te. Tutto è Uno. Noi siamo un unico corpo e un unico spirito, il confine che ci divide è soltanto un’ombra: il fragile velo dell’illusione, che la parola e il pensiero possono lacerare in un colpo solo! − Con la

3 Coro dall’opera Die Zauberflöte («Il flauto magico»), di W. A. Mozart

(17561791).

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spada fende l’aria, ed è davvero come se un velo invisibile si fosse lacerato fra loro.

− E ora ascoltami bene − riprende sedendo accanto a lui su un divanetto di broccato un po’ consunto. − Quello che hai visto sta-sera non è che un presagio del futuro. Un giorno dominerai su un regno molto più grande di questo. Avrai numerosi sudditi ai tuoi piedi, e il potere sarà nelle tue mani: il potere di realizzare de-sideri! Poiché tutto ciò che vorrai ti sarà concesso, qualunque vo-lontà formulerai si avvererà, e nessuno al mondo potrà mai privar-ti di tale dono; soltanto a te spetta accettarlo o rinunciarvi per sempre! – E sollevatogli il mento, gli traccia qualcosa sulla fronte con un dito, come se vi scrivesse sopra. – Ma ricorda − soggiunge in tono più grave − che il Maestro può solo indicarti la via e che il potere può essere utilizzato in ogni senso. Capisci, Philipp? In o-gni senso.

La giostra come per incanto ha ripreso a girare, o forse non si è mai fermata. Col fiato sospeso Philipp attende l’arrivo della Regi-na della Notte, la successiva figurina del cerchio, e gli sembra dav-vero di udire il rombo di tuono che preannuncia la sua venuta...

Ma che accade? Qualcuno, da qualche parte, picchia furiosa-mente su un uscio! Anche se lontano, quel rumore li scuote all’i-stante dall’incantesimo. Helena balza in piedi. Getta in un canto cappello, spadino, guanti e mantello, trae Philipp con sé sul pia-nerottolo, richiude a doppia mandata la porticina con la fenice e i fiori color arancio, e tirando suo figlio per una mano, corre giù per la stretta rampa di legno che conduce al piano inferiore, lungo un percorso che sbuca direttamente nel vestibolo della camera matrimoniale. I pugni martellano più forte sulla porta principale di quella stanza.

Helena si rimette a posto le ciocche spettinate, e mentre avanza verso l’uscio con passo veloce, si riabbottona alla svelta i polsini dell’abito. Philipp, trattenendola per un braccio, solleva lo sguar-do su di lei. Ma gli occhi di sua madre lo fissano colmi di rimpro-vero.

«Perché temi, Philipp?» sembra che gli dicano. «Non è degno di te: tu sei mio figlio!»

Philipp conosce bene quello sguardo terribile. Allora ricaccia dentro di sé ogni paura e attende che lei apra la porta.

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– Vieni avanti, Philipp! Philipp non si muove. Rimane nascosto nell’ombra della stanza

buia. – Non hai sentito che cosa ho detto? Vieni avanti! Di nuovo la stessa scena, quante volte Philipp l’ha vissuta? Per-

sino nei sogni lo tormenta quella visione: la sagoma di suo padre nel vano della porta, e la sua mano − mano d’uomo solida, robu-sta, dalle nocche marcate − stretta attorno al frustino; e il rumore di quell’oggetto, così esile eppure così doloroso, che, un passo do-po l’altro, batte ritmicamente sul fianco di uno stivale. Risuona minacciosa alle sue orecchie la cadenza di quei passi, e non impor-ta che cosa suo padre calzi realmente, sono sempre i passi dei pe-santi stivali da ussaro, quelli che i von Rosenberg hanno indossato per secoli nella Königlich-Preussische Armee, il glorioso esercito di Prussia.

– Allora, Philipp, non hai sentito che cosa ho detto? Heinrich è forte e vigoroso: un uomo scolpito nel legno delle

querce prussiane, la tempra forgiata con l’acciaio delle fabbriche d’armi dei von Rosenberg. In contrasto col capo dai capelli biondi tagliati cortissimi, le larghe spalle sembrano ancora più possenti. La mascella inferiore squadrata pare essere stata intagliata a colpi d’accetta e gli occhi dallo sguardo azzurro freddo fendono la pe-nombra come bagliore di lama. Forse che anche il suo cuore sia stato impastato col piombo e l’acciaio delle sue fabbriche?

– Sai cosa sono questi? − Heinrich gli para davanti i suoi qua-derni di studio. − No? Eppure erano in biblioteca, sul tuo scritto-io...

Philipp li fissa senza battere ciglio. – Ti avevo ordinato di non muoverti da quel tavolo se prima

non avessi terminato i tuoi studi. Invece come al solito sei qui, in camera di tua madre, a trastullarti in stupidi giochi da femmina! – Il frustino si abbatte su una delle bambole della mamma, la più bella, quella col viso di porcellana, l’abito di seta color corallo guarnito dalla collarina di pizzo. Per anni, ritta sulla coiffeuse, si è rimirata nello specchio dandosi la cipria al suono del carillon; ma ora ha finito di pavoneggiarsi e giace per terra ridotta in pezzi.

– Lascialo stare, Heinrich: è soltanto un bambino! E poi è col-pa mia, sono stata io! Era chino sui libri da stamattina, l’ho visto così pallido...

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– Scansati, Helena. − Dopo avere lanciato un’occhiata di bia-simo, o forse di ironia, ai capelli di sua moglie mezzo disciolti e ai polsini del suo abito mal abbottonati, Heinrich la scosta col gesto secco di una mano. − E tu di’ un po’, Philipp − domanda scrutan-dolo con uno sguardo che sembra volergli leggere nel pensiero: − Come mai non aprivate tu e la mamma?

Philipp avanza lentamente. I suoi occhi si fissano in quelli del padre con la fermezza di un adulto. Non una sola parola gli sfug-girà di bocca, la mamma può starne certa. Gli tende i palmi di en-trambe le mani senza neppure un tremito. Heinrich serra le ma-scelle, per un istante guarda ancora in quegli occhi... e giù il primo colpo. Brucia forte. Philipp stringe i denti ma resta impassibile e non sottrae le mani.

– Basta, Heinrich, basta! – Mamma!... − Risvegliato dal tono imperioso di suo padre e

dalle suppliche di sua madre, il piccolo Sebastian è apparso in camicia da notte sulla soglia del vestibolo, coi boccoli biondi scompigliati.

– Va’ dentro, caro. Presto, torna a dormire... – Ma che succede, mamma? – Nulla, caro. Va’ a dormire, va’. – Philipp ha disobbedito di nuovo? – domanda Sebastian men-

tre Helena si affretta a ricondurlo nella sua cameretta. – Sì, caro, purtroppo Philipp è stato cattivo ancora una volta, e

il babbo ora lo punisce. – Punirà anche me? Io sono stato buono, vero, mamma? – Sì, sei stato buono. Ma ora dormi, Sebì, dormi... Dopo avergli rimboccato le coperte, siede sul lettino, accanto a

lui. Dalla camera a fianco giunge ancora lo sferzare della verga e la voce di suo marito che incalza: – Parla, Philipp, parla! – E ogni colpo sembra ricadere su di lei, che, mordendosi il labbro inferio-re, sussulta di volta in volta, proprio come se la verga avesse lace-rato la sua stessa carne. Per un attimo un lampo di ferocia le attra-versa lo sguardo vitreo, fisso nel vuoto, mentre con una mano sfio-ra i riccioli biondi del suo Sebastian. Poi i colpi cessano. Si sente solo un’ultima sferzata, più violenta, a distanza di tempo da quelle che l’hanno preceduta. Infine il silenzio.

Sebastian si è addormentato. O forse finge di dormire... Helena si alza e rientra in camera.

Philipp giace bocconi sul letto, la camicia rialzata sulle spalle.

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Sembra svenuto. Gli corre accanto, lo solleva con delicatezza, av-vertendo contro di sé il tremore del suo corpo, tutto teso nello sforzo di trattenere i singhiozzi che gli gonfiano il petto.

Nello specchio di fronte, Heinrich si ravviva all’indietro i corti capelli biondi. Di riflesso può scorgere gli occhi di sua moglie che lo fissano colmi di odio. Ma lui non vi dà peso: quell’odio è soltan-to impotenza. Un’ultima sistemata al colletto della camicia, poi Heinrich abbandona la stanza.

– Un giorno tuo padre la pagherà cara – dice Helena a suo fi-glio. – Sì, Philipp, te lo giuro, la pagherà cara!

«Ma quando, quando?» vorrebbe gridarle. Perché, sebbene lei continui a ripeterglielo ogni volta, quel giorno sembra non arriva-re mai. Ma la parola gli muore sulla bocca e di lacrime non ne può più: quelle poche che gli hanno bagnato gli occhi senza trovare la forza di scorrere lungo le guance, si sono già asciugate.

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LIBRO PRIMO

1907-1911

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Ti ho forse chiesto io, Artefice, dalla creta di modellarmi uomo? Ti ho sollecitato io a liberarmi dalle tenebre?

J. Milton, PARADISO PERDUTO, X,743-451

1 John Milton fu scrittore e poeta inglese (1608-1674). Il suo poema epico

Paradise Lost («Paradiso perduto », 1667) narra la leggenda biblica della caduta dell’uomo: la tentazione di Adamo ed Eva a opera di Satana e la loro cacciata dal giardino dell’Eden.

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Parte seconda

3. ALEXANDER

– La duchessa Maria Sofia vostra nonna vi ha fatto convocare in mia presenza per discutere la questione del patrimonio del de-funto duca di Werdenstein e della parte di eredità a voi spettante. E’ bene sappiate che ogni lascito a vostro favore rimarrà vincolato fino al raggiungimento dei vostri ventun anni; che vostra nonna potrà disporne fino al giorno della sua morte; e che solo a partire da quest’ultima data vi potrete considerare a pieno diritto unico proprietario di Werdenstein e di tutti i possedimenti dei Walden-burg.

Seduto come in trono dietro alla lunga scrivania di quercia massiccia nella grande sala da studio della torre medioevale di Werdenstein, l’abate Alexander parlava con voce bassa e unifor-me, priva di inflessioni. Philipp, che gli sedeva di fronte, ascoltava distrattamente quella cantilena, studiando in segreto l’aria di au-stera sacralità che spirava attorno a lui.

Negli affreschi alla sua sinistra, come in quelli sul soffitto, grot-tesche figure mezzo umane e mezzo animalesche facevano capoli-no dal ventre di corpi mozzati, nell’intrico di misteriosi simboli alchemici. Alla sua destra, affrescate in colori accesi e violenti, come in certi dipinti del Grünewald e del Bosch, scorrevano in progressione le scene della Madonna ai piedi della Croce, e sotto di esse, ben evidenti, i versi della sequenza latina:

Stabat Mater dolorosa, jusxta crucem lacrimosa dum pendebat Filius.1

1 Stava la Madre addolorata / in lacrime ai piedi della croce / da cui pendeva il

Figlio: versi iniziali dello Stabat Mater, componimento sacro del XIII secolo, attribuito a Jacopone da Todi.

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Quei versi, chissà come, chissà perché, si erano conficcati come chiodi nella sua testa, mentre l’abate Alexander continuava a par-lare ed egli quasi non lo ascoltava più...

Stabat Mater dolorosa... Era la prima volta che entrava in quelle stanze. Nonno Luit-

pold, che non aveva mai amato la lugubre torre medioevale, le a-veva tenute chiuse per decenni. Ma adesso quell’estraneo dal lun-go cranio lucido e calvo, gli occhi immobili di un torbido colore indefinibile, il viso solcato da due profonde pieghe ai lati della bocca, le aveva riaperte per farne il suo regno. E intanto continua-va a parlargli, con quel tono calmo e piatto che egli trovava così esasperante...

Stabat Mater dolorosa... dum pendebat Filius... Philipp si sentiva soffocare. Detestava quell’uomo, detestava la

sua voce, detestava tutto di quel posto! – E’ per questo che mi avete fatto venire qui? – proruppe

all’improvviso, scattando in piedi. – È per questo che mi avete fat-to interrompere gli studi proprio alla fine dell’anno scolastico? Per un’informazione che avrei potuto ricevere in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento? Quale autorità avete per procedere in tal modo?

– Calmatevi e sedete. È vero, io non possiedo alcuna autorità. Non sono che un servo obbediente di Dio, momentaneamente al servizio di Sua Altezza la duchessa di Werdenstein, vostra nonna. La quale, dopo avermi nominato amministratore delle sue pro-prietà, volle che vi mettessi al corrente della vostra posizione suc-cessoria. Capite, quindi: io sono solo l’umile esecutore dell’altrui volontà.

– Mia nonna vi avrebbe nominato amministratore del patrimo-nio dei Waldenburg? Siete forse un ragioniere, voi? Siete un con-tabile?

Alexander si alzò. Nel vederlo aggirare il grande tavolo della scrivania per dirigersi verso di lui, Philipp poté notare, con un brivido di segreta soggezione, l’imponenza del suo aspetto e l’altis-sima statura, accentuata dalla tonaca nera che si drappeggiava in

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lunghe pieghe fino ai piedi. – Sapete bene che per amministrare un patrimonio non occor-

rono titoli ufficiali, quanto invece sono indispensabili esperienza e pratica. Tuttavia, poiché esigete delle credenziali, sarò lieto di mo-strarvele – gli tese dei fogli che sembravano essere stati preordina-tamente disposti sul tavolo. – Sono stato per cinque anni ammini-stratore delle proprietà dei conti von Reif e per altri tre dei beni dei principi von Thurn und Taxis. Ed è proprio in virtù della be-nevolenza e della fiducia concessami da questi ultimi che ho potu-to intercedere affinché vostro nonno ottenesse quel titolo ducale...

– Tutto ciò non mi interessa! – Philipp mise sdegnosamente da parte le carte. – Voi non avete alcun diritto di interrompere i miei studi, e neppure può farlo mia nonna. È mia madre che risponde di me. Fatemi parlare con lei: dov’è adesso?

Alexander tacque. – Vostra madre non è qui – rispose infine. – Da alcuni giorni è

partita per Praga. Mi meraviglia tuttavia che, sebbene per tanti anni essa abbia manifestato il più palese disinteresse nei vostri confronti, voi insistiate ancora a qualificarla con quell’appellativo di cui indegnamente si fregia.

– Come osate parlare così! Voi non avete... – Vostra madre è una donna perduta! Ed è ormai fuori dalla

grazia del Signore! Poiché non solo è venuta meno al sacro vinco-lo del matrimonio, ma ha anche violato i legami di sangue che la univano ai suoi genitori. È questa la ragione per cui il duca non l’ha neppure considerata nel suo testamento; e nonostante fosse la sua unica figlia, non le ha lasciato nulla, assolutamente nulla! Ma, cosa ancora più grave, essa ha rinnegato la sua prole, venendo meno al compito della maternità che le era stato affidato dal Cielo per redimere l’errore del suo sesso, e ora vive la vita dissoluta di un’adultera. Donne come lei sono la vergogna di questo mondo. Nessun pentimento potrà mai riscattarle, nessun perdono è a loro riservato. Il destino che le attende è l’inferno, la dannazione eterna!

Philipp ebbe la sensazione che, dal soffitto, le immagini mo-struose si precipitassero su di lui, sghignazzandogli intorno in una ridda infernale. La testa gli girava.

– Voglio parlare con mia nonna! Fatemi parlare con lei! – Vostra nonna è in preghiera e non può essere disturbata. E

ora calmatevi. Potete tranquillamente discutere con me. Siamo persone ragionevoli, vero? – L’abate gli aveva posto una mano su

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una spalla: una mano innaturalmente lunga, dalle dita ricurve e dalla pelle lattea, chiazzata da piccole macchie bruno-rossicce. – Poco fa − proseguì rimettendosi a sedere con quell’austera lentez-za di movimenti che pareva effetto di un disciplinato controllo sull’evidente potenza delle sue membra, − parlando in merito alla faccenda dell’amministrazione, ho fatto un nome. Voi conoscete quel nome...

Philipp lo guardò senza capire. – Non ricordate? Andiamo, cercate di rammentare. Il nome dei

conti von Reif non vi dice niente? Via, via, fate un piccolo sfor-zo!... Niente? Allora verrò io in vostro aiuto. Otto von Reif, figlio del conte...

Philipp trasalì. – Ah, vedo dalla vostra espressione che ricordate! Per qualche

tempo, prima che il giovane Reif fosse chiuso in collegio, fui io il suo precettore. E per volontà del conte, ho ripreso a occuparmi dell’educazione di suo figlio non appena questi, qualche mese fa, fu ritirato dal collegio. Quello stesso collegio che certo conoscete bene, giacché vi avete trascorso gli ultimi quattro anni della vostra esistenza...

– Ma voi che volete da me? Perché mi parlate di questo? Io non ho mai avuto niente a che fare con lui!

– Suvvia, non scaldatevi. Pare proprio che abbiate lo stesso ca-rattere di vostra madre: passionale, facile alle esaltazioni e alle in-temperanze. Ma questo è male, è male! Quando si è innocenti non vi è nulla da temere, nulla per cui agitarsi. Se vi pongo tali do-mande, è per il vostro bene, per la salvezza della vostra anima.

– Ma io non ho fatto niente! Niente! Alexander tese le labbra in una specie di sorriso. Per un attimo

i suoi occhi da ramarro parvero animarsi. – Nessuno vi accusa. Questo non è un tribunale. E ora tornate

a sedere, di grazia: vi spiegherò tutto. Philipp obbedì controvoglia. – Il giovane Reif ha dichiarato di essere entrato in contatto...

amichevole per così dire... con un certo Schultz. Friedrich Schultz.

– Ah, Dio! – Dunque vi rammentate anche di lui. Però forse non conoscete

la vera ragione per cui von Reif fu ritirato dal collegio... Philipp scosse il capo.

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– Ebbene, vi illuminerò io. Quantunque mi ripugni toccare cer-ti argomenti dinanzi a un’anima innocente e pura come la vostra. Perché voi siete innocente e puro... − L’abate lo scrutò con un’occhiata da sotto in su. Philipp lo guardò inorridito.

– Orbene, i rapporti intercorrenti tra von Reif e Schultz non erano né puri né innocenti, mi capite?... No, ovviamente voi non potete capire. Si tratta di questioni delicate, inappropriate a un fanciullo ignaro quale siete. Ma se almeno poteste aiutarmi... Un vostro piccolo contributo, un minimo indizio, potrebbero salvare tante giovani anime dalla dannazione eterna.

– Quale indizio? Quale contributo? Io non so proprio di che parliate!

– Sarò più chiaro. Sappiate che il giovane von Reif ha confessa-to tutto. Tutto! La sua colpevolezza, la natura illecita e peccami-nosa dei suoi rapporti con Schultz. Una commissione medica con-vocata dal conte suo padre ha potuto accertare, dopo un’accurata visita, la condotta innaturale del giovane. Sappiamo anche che è stato Schultz a piegarlo alla sua volontà, e che dunque (Dio ne sia ringraziato!) vi è forse ancora una speranza per la salvezza di quella povera anima corrotta. Sapete, il conte von Reif è un alto funzionario di Sua Altezza Reale il principe reggente, e suo figlio è destinato a un’importante carriera nello stato... Ma per quanto ri-guarda Schultz, noi lo riteniamo irrecuperabile! Satana agisce in lui e attraverso di lui. Egli è come il morbo che attecchisce agli or-ganismi più deboli; e purtroppo, poiché altre giovani anime già sono state contaminate dall’influsso di quel morbo, il male si è propagato e continua a dilagare. E adesso occorrono nuovi indizi per scoprire ove esso abbia diffuso i suoi effetti, cosicché si possa ricorrere a un’epurazione definitiva. Il conte von Reif mi ha dun-que incaricato...

– Ma voi... voi che volete da me? Io non so proprio nulla, non ho mai avuto niente a che fare con Schultz!

– Forse non avete mai avuto a che fare con Schultz, però potete sapere... Conoscerete di sicuro coloro che erano in più stretto contatto con lui. Di certo lo avrete visto parlare con qualcuno, scambiarsi sguardi, atteggiamenti sospetti... Vi rammenterete di qualcuno col quale egli sia stato in intimità... Non ricordate? Ep-pure dovrebbe essere facile per voi!

– Io non so niente! Niente! – Per quale ragione vi ostinate ancora, quando una sola vostra

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parola potrebbe salvare tante giovani anime dalla dannazione e-terna? Con questo stupido, cocciuto silenzio, vi rendete corre-sponsabile dell’oscenità che è stata consumata! Ditemi, allora: non sapete niente neppure del professor Engelhard Walder, né di co-me costui adeschi i suoi allievi per piegarli alla bestialità di am-plessi contro natura?

Philipp ebbe un’espressione di disgusto. – Ah, basta! Non voglio più ascoltarvi! – Si alzò in piedi. Alexander, più veloce di lui, gli sbarrò la strada. – Badate! – disse, fissandolo con occhi immobili. – In questo

momento è la salvezza della vostra anima a essere in pericolo. Il vostro silenzio, il vostro sguardo vi tradiscono. Voi non potete più continuare a mentirmi, Philipp von Rosenberg!

Philipp osservò con ribrezzo l’indice innaturalmente lungo e ri-curvo che si protendeva minaccioso verso di lui.

Voltò le spalle e uscì in fretta dalla sala.

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RINGRAZIAMENTI

Il mio grazie più cordiale e sincero a tutti coloro che, in forme di-verse, mi hanno fornito ispirazione, informazioni e sostegno duran-te la stesura di questo libro. Desidero ringraziare in particolare Elisa Saraceno, Stefania Dessolis, Pippo Boscia, Roberto Cattolico, Piero Chiefa, Julian Dionne, Alessandro Hajek, Benedetta Lando, Elisa-betta Megna, Simona Pala, Luca Prando, Gaia Rosen, Resy Taglia-bue, Carlo Toniolo, Michele Turiello, Oliva Vianello e le bibliote-che Accursio, Gallaratese e Sormani di Milano. Grazie soprattutto a mio padre e a mia madre. Un ringraziamento, inoltre, alla città di Monaco di Baviera, in special modo a: l’Hotel Kempinski, l’Hotel Bayerischer Hof, il Café Tambosi am Hofgarten, la Ludwig-Maximilians-Universität e la Bayerische Staatsbibliothek.

Situazioni e personaggi di questo romanzo sono stati ispirati dalle musiche di

Wolfgang Amadeus Mozart

Die Zauberflöte («Il flauto magico») Das Lied der Trennung («La canzone dell’addio»)

Sinfonia numero quaranta, allegro molto

Jacques Offenbach Les contes d’Hoffmann («I racconti di Hoffmann»)

Giovanbattista Pergolesi

Stabat Mater

Richard Strauss Der Rosenkavalier («Il cavaliere della rosa)

Richard Wagner

Tristan und Isolde («Tristano e Isotta») Götterdämmerung («Il crepuscolo degli dei»)

Franz Schubert

Ständchen («Serenata») Im Frühling («In primavera»)

Fryderyk Chopin

Ballata numero uno in sol minore

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Indice

WERDENSTEIN 5 Preludio LIBRO PRIMO Parte Prima �15 26 �38 �49 6 1

1. I Waldenburg 2. L’angelo caduto 3. Storia di una regina infelice 4. Una lettera fatale 5. Ritorno a Werdenstein

Parte Seconda 6 9 85 98 107 124 12 9

1. Bad Löwenfeld 2. Eventi inattesi 3. Alexander 4. La confessione 5. Le riflessioni dell’abate 6. L’abate scompare

LIBRO SECONDO Parte Prima 143 157 171 193 201 206 216 229

1. Estate a Werdenstein 2. Luise 3. Il cavaliere della rosa 4. Il duello 5. La gelosia di Philipp 6. Una strana profezia 7. La profezia si avvera 8.�Il diavolo a cavallo

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Parte Seconda 238 249 253

1. Il racconto di Frau Becker 2. Visite al castello 3. Götterdämmerung

LIBRO TERZO Parte Prima 269 284 301

1. Dieci anni dopo 2. Le piace Wagner? 3. Notte dei lunghi coltelli

Parte Seconda 310 322 331 343 363

1. Storia di Hans von Rosenberg e di Paolina Ligerio 2. Ballata numero uno in sol minore 3. Il Golem 4. Lezione di letteratura 5. Treno per Dachau

373 Postludio 384 Albero genealogico 385 Ringraziamenti

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