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IL RESTAURO DEI GIARDINI STORICI IN ITALIA DAL 1980
di Luigi Zangheri
I GIARDINI STORICI PRIMA DELLA CARTA DI FIRENZE
Il 1981 è stato un anno memorabile per il giardino storico e per la cultura italiana. Il fatto che si
fosse riunito a Firenze il Comitato internazionale giardini storici ICOMOS-IFLA, e che sia stata
redatta la „Carta‟ del restauro dei giardini storici detta „di Firenze‟, occupò gli esperti italiani del
settore su un argomento ritenuto, fino allora, del tutto marginale. Un argomento che veniva risolto
dalla prassi comune con “empirismo, consuetudine, intuizione, estro”1, quando i “principi e metodi
già annunciati e perseguiti per i monumenti restavano ben lontani dal giardino storico”2. Non a caso
“i giardini si documentavano quasi esclusivamente con fotografie, e rari, rarissimi, erano i rilievi
quasi mai condotti con le metodiche ben collaudate sull‟architettura”3. Eppure non erano mancate,
nel secondo dopoguerra, le occasioni per affrontare i vari aspetti del restauro del giardino storico.
Nel 1972, il Ministero della Pubblica Istruzione aveva elaborato la „Carta italiana del restauro‟,
quale interpretazione della Carta di Venezia, per i monumenti architettonici, le pitture, le sculture,
gli scavi archeologici, e i centri storici, ma senza affrontare la tutela dei beni paesaggistici. Nel
secondo articolo di questo documento venivano ricordati i giardini e i parchi, senza articolare
specifici criteri di una loro corretta conservazione4.
La carta del 1972 dimenticava quanto già definito dalla legge 1089 del 1.6.1939, relativa a «le
cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico,
compresi [...] le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico e storico»5. Nella stessa
legge si era vietato che le testimonianze monumentali fossero «demolite, rimosse, modificate o
restaurate senza autorizzazione», così come si era negato che venissero «adibite ad usi non
compatibili con il loro carattere»6. Prevista la notifica «ai privati proprietari, possessori o detentori a
qualsiasi titolo» degli immobili «di interesse particolarmente importante»7, e furono incaricati «i
rappresentanti delle provincie, dei comuni, degli enti e degli istituti legalmente riconosciuti» di
predisporre gli elenchi degli immobili di interesse storico artistico di loro spettanza, immobili che
rimangono «sottoposti alle disposizioni di legge»8.
A tutela dell'ambiente su cui sorgevano gli oggetti architettonici si prescrisse che non ne fosse
«danneggiata la prospettiva o la luce», o ne fossero «alterate le condizioni di ambiente e di
decoro»9, e ciò nell'ottica della valorizzazione estetica dell'elemento singolo e di un limitato
contorno. Anche la coeva legge 1497 del 29.6.1939 sulle bellezze naturali mantenne il medesimo
atteggiamento. A quest'ultima legge furono soggette «1. le cose immobili che hanno cospicui
caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica. 2. le ville, i giardini, i parchi che, non
contemplati dalla legge per la tutela delle cose d'interesse artistico o storico, si distinguono per la
loro non comune bellezza. 3. i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto
avente valore estetico e tradizionale. 4. le bellezze panoramiche considerati come quadri naturali e
1 F. GURRIERI, Il giardino storico dall’empirismo al metodo: un itinerario difficile, in Ministero per i Beni Culturali e
Ambientali – Ufficio Studi, Tutela dei giardini storici. Bilanci e prospettive, (a cura di V. Cazzato), Roma, Arti
Grafiche NEMI, 1989, p. 152. 2 Ibidem 3 Ibidem. 4 L. SCAZZOSI, Le carte del restauro, in Ministero per i Beni Culturali e Ambientali – Ufficio Studi, Tutela dei giardini
storici. Bilanci e prospettive, (a cura di V. Cazzato), Roma, Arti Grafiche NEMI, 1989, p. 128. 5 Articolo 1 della legge 1089 del 1939. 6 Articolo 11 della legge 1089 del 1939.
7 Articolo 3 della legge 1089 del 1939. 8 Articolo 4 della legge 1089 del 1939. 9 Articolo 21 della legge 1089 del 1939.
2
così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di
quelle bellezze»10
.
Ad ulteriore chiarimento degli intendimenti del legislatore, il R.D. 1357 del 3.6.1940 per
l‟applicazione della legge specificò che: «nota essenziale di un complesso di cose immobili
costituenti un caratteristico aspetto di valore estetico e tradizionale è la spontanea concordanza e
fusione fra l'espressione della natura e quella del lavoro umano». Anche per la legge 1497/1939
venne prescritta la redazione di appositi elenchi delle località da tutelare, e vennero previsti «piani
territoriali paesistici [...] al fine di impedire che le aree di quelle località siano utilizzate in modo
pregiudizievole alla bellezza panoramica»11
. Nei piani si sarebbero dovute stabilire: «1. le zone di
rispetto. 2. il rapporto fra aree libere e aree fabbricabili in ciascuna delle diverse zone delle località.
3. le norme per i diversi tipi di costruzione. 4. la distribuzione e il vario allineamento dei fabbricati.
5. le istruzioni per la scelta e la varia distribuzione della flora»12
. Per i lavori sugli immobili
contemplati negli elenchi delle località era fatto obbligo ai proprietari di chiedere l'autorizzazione ai
soprintendenti (ora ai Comuni per delega della Regione).
Sulla base di quanto sancito dall'articolo nove della Costituzione della Repubblica Italiana del
27.12.1947, che tra i principi fondamentali enunciava la tutela del paesaggio e del patrimonio
storico e artistico della Nazione, anche la successiva normativa in materia urbanistica, sia nazionale
che regionale, avrebbe dovuto tener conto dell'esigenza di tutelare i beni architettonici, il loro
ambiente, e le bellezze naturali. Purtroppo però a questi intendimenti si sono frapposti ostacoli
dovuti all'inadeguatezza degli strumenti operativi, e all'incapacità dei piani comunali di dare una
soluzione ai problemi della tutela e della valorizzazione del patrimonio esistente, ivi compresi i
giardini e i parchi storici. Nello stesso tempo, sono mancati o sono stati eseguiti in maniera
sommaria gli elenchi previsti dalle legge 1089 e 1497 del 1939.
La Carta italiana del restauro del 1972, nel trascurare i giardini storici, non tenne conto delle
sollecitazioni internazionali dell‟IFLA che, nel 1967, aveva creato una sezione sui giardini storici
con lo scopo di redigere una lista dei giardini storici del mondo, e di individuare i mezzi della
protezione, conservazione, restauro, e manutenzione dei giardini riconosciuti degni d‟attenzione13
.
Una iniziativa che invece portò l‟ICOMOS ad organizzare il primo “Colloque international sur la
conservation et la restauration des jardins historiques” a Fontainebleau nel 1971. A questo
convegno intervennero Pietro Gazzola e Raymond Lemaire come presidente e segretario generale
dell‟ICOMOS, assieme a René Pechère, presidente della sezione storica dell‟IFLA, e numerosi
esperti tra cui per l‟Italia gli architetti Pierfausto Bagatti Valsecchi e Piero Porcinai l‟ispettore dei
giardini del Comune di Roma, Paola Hoffmann, e il direttore generale dei musei vaticani Regid De
Campo.
René Pechère intervenne ripetutamente al colloquio dell‟ICOMOS per affermare che “les jardins
historiques sont des monuments vivants”, e che il giardino “est le résultat d‟une composition
architectural et d‟une composition végétale réunies”14
. Al termine di quell‟incontro vennero
espresse raccomandazioni per la costituzione di un comitato internazionale per i giardini storici che
riunisse gli esperti dell‟ICOMOS e dell‟IFLA, e per l‟organizzazione di successivi incontri utili ad
approfondire i problemi della conservazione dei giardini storici. Inoltre si osservò come per la
manutenzione e la conservazione dei giardini storici fosse necessaria “l‟integrité de leur
composition architecturale et végétale”, per cui si rendeva necessario il “renouvellement en temps
voulu des plantations (una attention spéciale devra être apportée à la reconstitution de l‟architecture
végétale dans son esprit d‟origine), et l‟entretien minutieux du décor architectural et sculptural”15
.
10 Articolo 1 della legge 1497 del 1939. 11 Articolo 5 della legge 1497 del 1939. 12 Articolo 26 del regolamento della legge 1497 del 1939. 13
ICOMOS, Colloque international sur la conservation et la restauration des jardins historiques, Paris, ICOMOS,
1973, p. 17. 14 Ivi, p. 19. 15 Ivi, p. 231.
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René Pechère avrebbe voluto un maggiore consenso per le operazioni di ripristino negli interventi
nei giardini storici, ed espresse in un suo intervento che: “l‟ors des restaurations, il ne faut pas
s‟attacer à refaire à la lettre ce qui a disparu. Il faut plutôt refaire dans l‟esprit d‟une époque. Il se
peut que des imperfections de détails se trouvent dans les jardins historiques. Ce n‟est pas parce
qu‟un jardin est ancien qu‟il est pourvu de toutes les perfections. Si une de ces imperfections a
disparu, il ne faut évidemment pas la recréer au moment d‟une restauration. Il faut simplement
veiller à remplacer le défaut en recréant l‟eprit de l‟époque”. Tesi che Pechère riprese anche nei
successivi colloqui, e che a Fointembleau vennero mitigate dalla commissione formata per la
formulazione delle raccomandazioni16
e che, poi, furono vivacemente contestate in occasione della
formulazione della Carta di Firenze.
Quanto venne dibattuto a Fontainebleau e non considerato nella Carta italiana del restauro del
1972, fu invece oggetto di attenzione nell‟assemblea di Europa Nostra tenuta a Parigi nel 1974, che
emise la seguente risoluzione: “la conferenza raccomanda che i poteri statutari e gli aiuti finanziari
per la protezione e il mantenimento degli edifici storici siano ugualmente applicati ai giardini di
interesse storico” e “di accellerare la pianificazione del territorio e la sua distinzione in zone
destinate all‟agricoltura, alle foreste, all‟edilizia, allo svago e alla protezione naturale”17
.
Raccomandazioni che in Italia portarono Desideria Pasolini dall‟Onda ad esprimersi sulle
conclusioni del colloquio di Fontainebleau, e a considerare come: “partendo dalla realtà d‟oggi per
cui spesso il giardino nel corso dei secoli ha subìto varie sovrapposizioni vegetali, ne possiamo
dedurre che occorre guardarlo e studiarlo quasi come un palinsesto vegetale. Il restauro, perciò,
piuttosto che consistere in un ripristino impossibile, deve essere affrontato con altro occhio: si tratta
infatti di un equilibrio tra colori, linee, volumi e proporzioni che rispettino o interpretino o magari
ricreino l‟antica armonia originaria o salvino l‟attuale nuova fusione di elementi; non bisogna
dunque rifugiarsi soltanto in un freddo e pedissequo ripristino vegetale, che a volte, ragioni di
mutamento di clima o per altre cause come l‟aumento enorme dei costi, rischia di diventare
artificiale e finire spesso nell‟insuccesso”18
.
LA CARTA DI FIRENZE
Nel 1981, al convegno indetto a Firenze dal Comitato internazionale dei giardini storici
ICOMOS-IFLA, il delegato italiano dell'ICOMOS Bagatti Valsecchi lamentò la complessità del
degrado in Italia in materia di giardini storici dovuta a varie cause, tra le quali precisò quelle di
origine culturale, turistica, e tecnica. Culturale perché i giardini storici non erano considerati
monumenti ma come aree verdi aperte indiscriminatamente al pubblico. Turistica in quanto il flusso
sempre più consistente del turismo non era regolato. Tecnica dovuta all'inadeguatezza
dell'amministrazione pubblica perché nelle soprintendenze non erano previsti ruoli specifici né di
botanico né di architetto paesaggista, e il personale operativo specializzato si andava
pericolosamente rarefacendo. Bagatti Valsecchi enucleò anche cause di natura economica dovute
agli scarsi sostegni previsti dall'amministrazione per i restauri e le manutenzioni, e di natura
urbanistica dovute alla speculazione immobiliare in vari casi tacitata anche dagli organismi statali e
parastatali nel caso della realizzazione di grandi infrastrutture pubbliche. Ne conseguivano necessità
tra le quali intravide la diffusione della nozione di giardino storico come monumento; il rifiuto della
considerazione secondo la quale il settore dei beni culturali fosse da considerare secondario rispetto
alle altre componenti che concorrono alla formazione di piani per lo sviluppo culturale, economico,
urbanistico del territorio; l'avviamento della catalogazione e schedatura dei giardini storici e dei
16 La commissione era composta da Gerda Gollwitzer, Olga Baséova, Jacques Dupont, Jean Feray, Alfred Marie, René
Pechère, Piero Porcinai, Jean Trouvelot. 17
Cfr. D. PASOLINI DALL‟ONDA, Restauro del verde storico nella pianificazione del territorio, in Ministero per i Beni
Culturali e Ambientali – Ufficio Studi, Tutela dei giardini storici. Bilanci e prospettive, (a cura di V. Cazzato), Roma,
Arti Grafiche NEMI, 1989, pp. 64-65, ripreso dal bollettino di “Italia Nostra”, 128, 1975, pp. 33-40.. 18 Ivi, p. 68.
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paesaggi culturali; la creazione nelle soprintendenze di ruoli per architetti paesaggisti ed esperti in
materia di giardini storici; l'istituzione di corsi e relativi diplomi per specializzazione in architettura
del giardino e del paesaggio; la formazione di corsi professionali per giardinieri; l'adozione di
misure di esenzione fiscale a favore dei proprietari privati per la manutenzione e la conservazione
dei loro giardini19
.
Sempre al convegno di Firenze del 1981 intervenne Pechère, che illustrò la sua posizione con i
suoi “Prolegomeni a una Carta dei giardini storici”, e col confermare l‟intenzione di arrivare ad “un
insieme di principi per la conservazione, il restauro e il ripristino dei giardini storici”20
. Un
documento che, in previsione della redazione della Carta, irritò profondamente gli italiani presenti.
Tra gli altri Marco Dezzi Bardeschi, il quale riconobbe in quella proposta e nel termine „ripristino‟
“uno sconcertante ulteriore grimaldello per incoraggiare nuovi interventi di manomissione del
delicato patrimonio del verde storico. Mentre infatti la nuova cultura italiana della conservazione si
impegnava, sia pur faticosamente e non senza persistenti dilacerazioni di „scuole‟, a chiudere i conti
con la non brillante storia del „restauro‟, esprimendosi ormai con chiarezza contro tutte quelle prese
di posizione teoretiche – storiche e non – che avevano preteso di eludere l‟obiettivo fondamentale e
prioritario della permanenza del monumento-documento, considerato nella sua singolarità e
irripetibilità di testimonianza artistica e storica; mentre di conseguenza si attuava una storica
revisione dell‟ambiguo ambito disciplinare del restauro espungendo di conseguenza da esso, ne l
nome della permanenza (restaurare è conservare) sia ogni soggettivo desiderio di
remozione/selezione di parti (magari per ricostruire il presunto „testo critico‟ originario), sia ogni
ulteriore apporto progettuale o comunque di diversa riscrittura del testo (e con ciò dunque di fatto
ogni disinvolta tendenza alla ri-creazione) contrapponendo invece il dovere elementare della
concreta salvaguardia della materia segnata ricevuta in eredità dalla Storia, ecco con quella
inopportuna „Carta‟ franco-belga improvvisamente riprendevano consistenza antichi e ben noti
pregiudizi […] e in effetti, con un paradossale salto all‟indietro di quasi un secolo e mezzo, proprio
per tardivo omaggio alla grande persistente tradizione francese del restauro/ripristino stilistico, il
documento mostrava di attestarsi con fin troppa esplicita affinità ideologica su posizioni
culturalmente non più proponibili, riducendo dapprima la materia dei giardini ad astratta immagine,
con totale indifferenza ai fattori fisici, e perseguendo poi di questi ultimi una tranquilla
manipolazione-riproduzione sotto il ben noto falso obiettivo della riproduzione analogica”21
.
Si giunse quindi alla redazione della Carta che, comunque, dopo molte vivaci discussioni, previde
all‟articolo nove una scala di interventi „differenziati‟, che andavano dalla manutenzione, alla
conservazione, al restauro, e infine al ripristino che “si può eventualmente raccomandare”. Il testo
della Carta formulata dal Comitato ICOMOS-IFLA non soddisfece il gruppo italiano che, qualche
mese più tardi, si riunì nuovamente a Firenze presso l‟Accademia delle Arti del Disegno, dove fu
elaborata una Carta „italiana‟ per il restauro dei giardini storici volta al „restauro conservativo e
preventivo‟. Entrambe le Carte si riferirono alla Carta internazionale del restauro di Venezia del
1964, ma con asserzioni distanti tra loro. Al primo articolo della Carta del Comitato ICOMOS-
IFLA si poteva leggere che “il giardino storico è una composizione architettonica e vegetale”, dove
gli elementi rilevanti “sono definiti dai suoi caratteri formali: la sua pianta e i differenti profili del
terreno, le sue masse vegetali: le loro specie, i loro volumi, il loro gioco di colori, le loro spaziature,
le loro altezze rispettive; i suoi elementi costruttivi e decorativi; le acque in movimento o stagnanti,
19 P.F. BAGATTI VALSECCHI, Situation actuelle des jardins historiques en Italie, in Il giardino storico. Protezione e
restauro, (a cura di P.F. Bagatti Valsecchi), Firenze, Ufficio Editoriale Regione Toscana, 1987, pp. 21-28. 20 R. PECHÈRE, Prolegomini a una Carta dei giardini storici, in Ministero per i Beni Culturali e Ambientali – Ufficio
Studi, Tutela dei giardini storici. Bilanci e prospettive, (a cura di V. Cazzato), Roma, Arti Grafiche NEMI, 1989, p.
100. 21 M. DEZZI BARDESCHI, La Carta dei giardini storici otto anni dopo, in Ministero per i Beni Culturali e Ambientali –
Ufficio Studi, Tutela dei giardini storici. Bilanci e prospettive, (a cura di V. Cazzato), Roma, Arti Grafiche NEMI,
1989, p. 196.
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che riflettono il cielo”22
. Il giardino storico come “espressione dello stretto rapporto tra civiltà e
natura”, e “immagine idealizzata del mondo”23
, veniva trascurato per la sua concretezza materica.
Invece, per la coeva Carta italiana risultava fondamentale proprio l‟“insieme polimaterico” del
giardino, il quale come “artefatto materiale, costituisce un unicum, limitato, peribile, irripetebile,
che ha un proprio processo di sviluppo, una propria storia, (nascita, crescita, mutazione,
degrado)”24
. Una notevole differenza rispetto all‟”interesse storico o artistico”, al “luogo tranquillo
che favorisce il contatto, il silenzio e l‟ascolto della natura”, espresso dalla Carta ICOMOS-IFLA25
.
Per quanto riguarda gli interventi ammissibili, il suo restauro “dovrà rispettare il complessivo
processo storico, perché tale processo materializza l‟evoluzione della struttura e delle
configurazioni assunte nel tempo. Pertanto ogni operazione che tendesse a privilegiare una singola
fase assunta in un certo periodo storico e a ricrearla ex novo, a spese delle fasi successive,
comporterebbe una sottrazione di risorse e risulterebbe riduttiva e decisamente antistorica.
L‟intervento di restauro perciò dovrà identificarsi con un intervento di conservazione, e tale
obiettivo dovrà essere conseguito e garantito nel tempo attraverso un processo di continua,
programmata, tempestiva manutenzione”26
. Posizione che si differenziava sostanzialmente
dall‟enunciato nella Carta ICOMOS-IFLA, per la quale era ammissibile, sia pure
“eccezionalmente” il “ripristino”, ovvero la riproposta di un assetto formale del passato quando “il
degrado o il deperimento di alcune parti lo giustifichino”27
.
Sull‟uso, la tutela e la valorizzazione del giardino storico le due carte conversero, ed entrambe
sollecitarono la conoscenza, l‟inventariazione, “l‟uso non distruttivo del manufatto, definito in base
a un esame dei suoi caratteri, l‟acquisizione del suo valore alla coscienza collettiva attraverso
attività di valorizzazione e di didattica, la salvaguardia dell‟unitarietà del complesso, formato da
giardino, edifici e arredi e del suo rapporto con il contesto paesistico, il collegamento con gli
strumenti della pianificazione territoriale”28
.
I GIARDINI STORICI DOPO LA CARTA DI FIRENZE
In occasione del convegno “Il giardino come labirinto della storia” tenuto a Palermo nel 1984,
intervenne Lionello Puppi per ribadire che per affrontare il progetto di un restauro di un giardino
“non si possono tollerare l‟improvvisazione e l‟arbitrio”, e che “il rigore culturale, la cura
filologica, e la competenza storica” erano indispensabili, altrimenti “rischiamo danni ancora più
gravi di quelli prodotti dalla speculazione urbana e territoriale”29
. L‟esercizio della disciplina storica
era determinante per procedere ad un intervento in un giardino storico perché “fragile, effimero,
deperibile, il giardino – dal punto di vista storico e filologico – in quanto testo leggibile e
decifrabile in quel somigliare solo a sé stesso, chiede di essere, innanzi tutto, e quasi sempre,
idealmente restituito e ricomposto”30
. Contemporaneamente, assieme a storici dell‟arte come
Lionello Puppi, si fecero avanti altri operatori di campi diversi, e senza una specifica competenza
nel campo della conservazione dei beni culturali, Da quegli anni, botanici, agronomi, naturalisti e
geologi iniziarono a fornire importanti contributi metodologici, e utili riflessioni proprie al loro
campo specifico. Tra questi Patrizio Giulini nel convegno da lui curato “Uso pubblico del giardino
storico. Problemi di conservazione, restauro e gestione del parco storico acquisito” tenuto a
22 Articolo 4 Carta ICOMOS-IFLA. 23 Articolo 5 Carta ICOMOS-IFLA. 24 Articolo 1 Carta Italiana. 25 Articolo 19 Carta ICOMOS-IFLA. 26 Articolo 2 Carta italiana. 27 Articolo 16 Carta ICOMOS-IFLA. 28
L. SCAZZOSI, Il giardino opera aperta. La conservazione delle architetture vegetali, Firenze, Alinea, 1993, p. 40. 29 L. PUPPI, Il giardino come labirinto della storia, in Il giardino come labirinto della storia, (atti convegno), Palermo,
Zangarastampa, 1987, p. 19. 30 Ibidem.
6
Castelfranco Veneto nel luglio del 198631
, ed ancora Carlo Maria Marinoni con l‟intervento su “Le
alberature nel parco storico” al convegno Flormart della Fiera di Padova del 198732
.
Intanto nel 1983, a seguito della ratifica della "Carta di Firenze" da parte dell'assemblea generale
dell'ICOMOS, il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali aveva ritenuto opportuno di costituire
un “Comitato nazionale per lo studio e la conservazione dei giardini storici” ad imitazione di quello
allora operante in Spagna33
. Dal 1983 al 1986 il Comitato è stato presieduto da Isa Belli Barsali, nel
1986 le successe Rosario Assunto, al quale subentrò dal 1993 Pierfausto Bagatti Valsecchi. Nel
2004 il Comitato è stato rinnovato con la presidenza di Marcello Fagiolo. Il Comitato aveva il
compito di compilare una mappa dei giardini storici italiani, promuovere ricerche e studi sulla storia
e sulla conservazione dei giardini, contribuire alla formazione di tecnici e di maestranze nel settore,
e attivare iniziative culturali. Fra i lavori del Comitato si possono ricordare la scheda per il
censimento dei giardini demaniali in consegna alle soprintendenze, e varie pubblicazioni prodotte
tramite l'Ufficio Studi del Ministero tra le quali:
- Tutela dei giardini storici. Bilanci e prospettive, (a cura di V. Cazzato), Roma 1989.
- Ricerca sul lessico di parchi e giardini, (a cura di P. Roccasecca), Roma 1990.
- Ville, parchi e giardini. Per un atlante del patrimonio vincolato, (a cura di V. Cazzato), Roma
1992.
- La memoria, il tempo, la storia nel giardino italiano fra 800 e 900, (a cura di V. Cazzato), Roma
1999.
- Capitolato Speciale d'Appalto per il Restauro e la Manutenzione dei Parchi e Giardini Storici.
Bozza per la sperimentazione ad uso degli istituti periferici del Ministero per i beni e le attività
culturali, (a cura di C. Guarino), Napoli, 2002.
- Ville e giardini italiani. I disegni di architetti e paesaggisti dell'American Academy in Rome, (a
cura di V. Cazzato), Roma, 2004.
Il volume del 1989, Tutela dei giardini storici. Bilanci e prospettive, fu particolarmente stimolante
nel capitolo sulle “attuali linee di tendenza e orientamenti metodologici”. Vi furono inseriti i
contributi dei più apprezzati docenti di restauro delle università italiane. Tra questi Amedeo Bellini,
Renato Bonelli, Giovanni Carbonara, Marco Dezzi Bardeschi, Francesco Gurrieri, Mari Manieri
Elia, Pietro Petraroia, Giovanni Pirrone, e Maurizio Boriani con Lionella Scazzosi. Docenti di
chiara fama ma impegnati, a parte alcuni, per la prima volta sul tema del restauro dei giardini, e in
particolare quello del restauro della loro materia vegetale. Renato Bonelli, fedele al dettato della
Teoria del restauro di Cesare Brandi, ponderò la difficoltà di una corretta definizione del „giardino
storico‟ “considerato quale materia vivente e forma mutevole che sviluppa nel tempo, come unità di
natura e cultura”, e rilevò “la sostanziale differenza fra la materia costitutiva dell‟opera artistica
rispettivamente usata nei monumenti architettonici e nel giardino storico”. Nel giardino si trattava di
materia viva, sostituibile, tanto da “rendere persino possibile il ripristino o la ricostruzione generale
e totale, se condotta sulla guida di una sicura, precisa e completa documentazione”. Ma se “il primo
assioma della Teoria del restauro di Brandi stabilisce l‟incontestabile principio che „si restaura solo
la materia dell‟opera d‟arte‟”, diversamente, nel campo dei giardini storici, il restauro e la
manutenzione “non consistono solamente nel mantenere e rinvigorire la materia che concretizza
l‟immagine, e cioè le essenze materiche originarie (o le altre posteriormente inserite), ma
richiedono la loro completa o parziale sostituzione”. Per questo “il giardino restaurato o
semplicemente mantenuto secondo tali metodi, perde inevitabilmente il proprio carattere di
autenticità ed originalità, e di conseguenza diventa gradatamente una copia, una riproduzione della
forma assunta all‟inizio”. La materia „dinamica‟ del giardino, la sua appartenenza alla vita vegetale
31 Cfr. Uso pubblico del giardino storico. Problemi di conservazione, restauro e gestione del parco storico acquisito,
(atti convegno a cura di P. Giulini), Padova, Provincia di Padova, 1990. 32
C.M. MARINONI, Metodiche operative nel restauro conservativo di parchi e giardini storici, (atti convegno a cura di
F. Maniero), in “L‟informatore agrario”, Verona, XLIV, 1988. 33 L‟iniziativa fu presa dall‟allora giovane funzionario dell‟Ufficio Studi Vincenzo Cazzato che col direttore generale
Italo Carlo Angle ne ebbe autorizzazione dal ministro Nicola Vernacola.
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lo portava ad “ammettere che il giardino possa mutare aspetto, e quindi alterare, convertire e
trasformare la propria immagine figurata, senza per questo cambiare qualificazione formale,
carattere linguistico e valore artistico; e ciò è inammissibile. In armonia con la cultura storico-
critica, il giardino storico può essere definito opera d‟arte, che perciò, in quanto tale, non può
assumere il carattere di un oggetto mutevole, figuralmente polivalente secondo apparenze
provvisorie e precarie, poiché esso non vive nel tempo, dato che la sua immagine è un eterno
presente; per questi motivi la sua forma è una soltanto e la sua materia non può essere rinnovata”34
.
La cultura italiana più accademica, che aveva fatto propri gli indirizzi metodologici di Brandi, era
sconcertata nel vedere applicato il termine „restauro‟ ai giardini storici, e più specificatamente alla
loro componente vegetale. Dopo Bonelli, anche Pietro Petraroia ritenne che “il giardino non è
assimilabile ad un‟opera d‟arte”, con la conseguenza che “il giardino sembra potersi restaurare solo
nella sua immagine, non nella sua materia, almeno per quanto attiene alle sue parti viventi:
conclusione che si pone agli antipodi di quella raggiunta da Brandi in relazione alle opere d‟arte”35
.
Ugualmente intervenne Giovanni Carbonara che, nel riprendere i punti di vista di Bonelli e
Petraroia, concordò che non si può parlare di „restauro‟ nel caso dei giardini “né in quanto vivente,
né in quanto arte l‟opera può quindi essere restituita operando in termini di restauro, e, tantomeno,
in termini di conservazione”36
. Infatti “nella maggior parte dei casi si tratterà di intervenire su copie
o reinterpretazioni, con nuove produzioni e riproduzioni; operazione lecita stante il fatto che non si
tratterà più, in effetti, di restauro, ma di qualche altra cosa, pur socialmente, didatticamente od
artisticamente meritoria. Né risulta corretto caricare la parola „copia‟ di significati negativi, come d i
„falso‟ mancando in essa l‟intenzionalità d‟ingannare”37
. Comunque consapevole delle conseguenze
operative che derivavano da queste prese di posizione, Carbonara propose un nuovo indirizzo
metodologico per riconoscere un valore documentario ad una materia, quella vegetale, che non
poteva essere riconosciuta opera d‟arte originale: “potremmo quindi concludere in favore d‟una
concezione critica del restauro dei giardini storici, vista sotto la prevalente, anche se non assoluta
istanza della storicità: vuoi per lo stato di rudere che molti giardini oggi hanno assunto, vuoi per la
loro condizione di copie o di espressioni di letteratura „paesaggistica‟ o „architettonica del verde‟,
non più certo opere d‟arte originali”38
.
Considerazioni utili quanto autorevoli quelle offerte da Bonelli, Petraroia, Carbonara e degli altri
docenti universitari che, se non vennero apertamente contestate, si smorzarono con l‟esercizio del
restauro vero e proprio del giardino storico e delle sue componenti materiche. Ne fanno fede i
contributi presentati ai convegni tenuti in Italia a partire dal 1985, e a cui parteciparono tecnici ed
esperti di ogni settore del restauro. La prima grande occasione di un dibattito sul restauro del
giardino storico fu offerta a Roma, appunto nel 1985, dall‟École Française e dalla Soprintendenza
Archeologica su Gli Orti Farnesiani sul Palatino. Suddiviso nelle sezioni dell‟archeologia e della
cultura antiquaria; delle fabbriche e della sistemazione del giardino; della tutela, della
conservazione e del restauro, ebbe 42 relazioni documentate dagli atti39
. Sul tema della
conservazione si distinsero quelle di Franco Bruno attento ai termini con cui, allora, si dibatteva sul
34 R. BONELLI, Giardini storici: necessità di una teoria, in Ministero per i Beni Culturali e Ambientali – Ufficio Studi,
Tutela dei giardini storici. Bilanci e prospettive, (a cura di V. Cazzato), Roma, Arti Grafiche NEMI, 1989, pp. 178-183. 35 P. PETRAROIA, Riflessioni sul restauro dei giardini storici, in Ministero per i Beni Culturali e Ambientali – Ufficio Studi, Tutela dei giardini storici. Bilanci e prospettive, (a cura di V. Cazzato), Roma, Arti Grafiche NEMI, 1989, p.
176. 36 G. CARBONARA, Problemi di restauro dei giardini storico-artistici, in Ministero per i Beni Culturali e Ambientali –
Ufficio Studi, Tutela dei giardini storici. Bilanci e prospettive, (a cura di V. Cazzato), Roma, Arti Grafiche NEMI,
1989, p. 185. 37
Ivi, p. 192. 38 Ivi, p. 187. 39 École Françoise de Roma – Soprintendenza archeologica di Roma, Gli Orti Farnesiani sul Palatino, (atti convegno a
cura di G. Morganti), Roma, Scuola Tipografica San Pio X, 1990, pp. 1-947.
8
restauro della componente vegetale40
; di Marco Quattrocchi sulla morfologia degli impianti e
sull‟organizzazione spaziale dei giardini romani del Cinquecento in cui venivano suggeriti
interventi di „ripristino‟ per alcuni casi specifici41
; di Giulia Caneva sulla crescita delle radici della
vegetazione e sui danni provocata da queste nelle strutture della Domus Tiberiana42
; di Giuseppe
Morganti con la messa a punto di un programma articolato “teso al recupero delle virtualità
espressive latenti nell‟attuale stratificato palinsesto degli Orti farnesiani”43
.
Nel 1989 fu la volta del convegno Boboli 90 organizzato a Firenze presso l‟Accademia delle Arti
del Disegno, e finalizzato alla salvaguardia e alla valorizzazione dei giardini. Anche questa volta i
lavori furono suddivisi in sessioni dedicate alla storia dell‟arte, biologia, vita e uso del giardino,
architettura e idraulica, archeologia, e conservazione. Venne confermata l‟interdisciplinarietà degli
studi sul giardino, e tra le 62 relazioni che appaiono negli atti fanno testo per la conservazione
quelle di Francesco Pantani sulle deposizioni acide in Toscana44
; di Pietro Tiano sulla vegetazione
infestante e la sua influenza sulla conservazione del patrimonio monumentale45
; di Franco Piacenti
sui problemi della conservazione delle opere in pietra all‟aperto46
; e di Annamaria Giusti sui
restauri delle statue di Boboli47
.
A questi due memorabili convegni fecero seguito quelli organizzati dal “Comitato nazionale per
la conservazione e lo studio dei giardini storici”, che hanno costituito una sorta di bilancio periodico
e nazionale di come si intendeva e si provvedeva al restauro dei giardini in Italia. Di volta in volta,
furono invitate le soprintendenze a presentare i loro progetti in questo settore. Il primo convegno
ministeriale fu tenuto a Maratea sul tema dei "Parchi e giardini storici. Conoscenza, tutela e
valorizzazione" con una mostra aperta nella Certosa di Padula nel 199148
. A queste manifestazioni
seguì nell'anno seguente un analogo convegno con mostra nella Villa Reale di Monza49
. Nel 1993, il
terzo convegno divenne internazionale per avere accolto il confronto con numerosi operatori
stranieri. Questo si tenne a Pompei con oggetto i "Paesaggi e giardini del Mediterraneo"50
mentre,
nel 1994, è stata la volta del castello di Racconigi ad ospitare il convegno dedicato a "I giardini del
40 F. BRUNO, Restauro e manutenzione del verde antico, in École Françoise de Roma – Soprintendenza archeologica di
Roma, Gli Orti Farnesiani sul Palatino, (atti convegno a cura di G. Morganti), Roma, Scuola Tipografica San Pio X,
1990, p. 653. 41 M. QUATTROCCHI, Morfologia degli impianti e organizzazione spaziale nei giardini romani del Cinquecento, in
École Françoise de Roma – Soprintendenza archeologica di Roma, Gli Orti Farnesiani sul Palatino, (atti convegno a
cura di G. Morganti), Roma, Scuola Tipografica San Pio X, 1990, p. 684-685. 42 G. CANEVA, Gli Orti farnesiani e la loro vegetazione, in École Françoise de Roma – Soprintendenza archeologica di
Roma, Gli Orti Farnesiani sul Palatino, (atti convegno a cura di G. Morganti), Roma, Scuola Tipografica San Pio X,
1990, pp. 687-719. 43 G. MORGANTI, Orti farnesiani: progetto o destino?, in École Françoise de Roma – Soprintendenza archeologica di
Roma, Gli Orti Farnesiani sul Palatino, (atti convegno a cura di G. Morganti), Roma, Scuola Tipografica San Pio X,
1990, p. 905. 44 F. PANTANI, Deposizioni acide in Toscana: recenti acquisizioni, in Boboli 90, (atti convegno a cura di C. Acidini
Luchinat e E. Garbero Zorzi), Firenze, Edifir, 1991, II, pp. 695-690. 45 P. TIANO, La vegetazione infestante del Giardino di Boboli e la sua influenza sulla conservazione del patrimonio
monumentale, in Boboli 90, (atti convegno a cura di C. Acidini Luchinat e E. Garbero Zorzi), Firenze, Edifir, 1991, II,
pp. 691-698. 46 F. PIACENTI, La conservazione delle opere in pietra all’aperto: le pietre di Boboli, in Boboli 90, (atti convegno a cura
di C. Acidini Luchinat e E. Garbero Zorzi), Firenze, Edifir, 1991, II, pp. 699-706. 47 A. GIUSTI, Le statue di Boboli tra restauri passati e conservazione, in Boboli 90, (atti convegno a cura di C. Acidini Luchinat e E. Garbero Zorzi), Firenze, Edifir, 1991, II, pp. 707-715. 48 Di questo primo convegno non sono stati pubblicati gli atti, ma rimane il catalogo della mostra: Ministero per i Beni
Culturali e Ambientali, Parchi giardini storici, conoscenza, tutela e valorizzazione, (cat. mostra), Roma, De Luca
Editori, 1991. 49 Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Parchi e Giardini Storici, Parchi letterari. Conoscenza, tutela e
valorizzazione, (atti convegno), Monza, E.Bi Arti Grafiche, 1992 (con 73 relazioni registrate). 50 Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Parchi e Giardini Storici, parchi Letterari. Conoscenza, tutela e
valorizzazione. ‘Paesaggi e Giardini del Mediterraneo’, (atti convegno), Salerno, GRG. Tipolitografia, 1993 (con 100
relazioni registrate in tre volumi).
9
Principe"51
. Nel 1998, seguì il quinto convegno sugli "Artifici d'acque e giardini. La cultura delle
grotte e dei ninfei in Italia e in Europa" organizzato a Firenze e a Lucca, che ha portato alla
pubblicazione di un censimento delle grotte e dei ninfei italiani52
.
L'ultimo convegno, di particolare rilievo, si è tenuto a Napoli e a Caserta nell'anno 2000 sul tema
"Il governo dei giardini e dei parchi storici. Restauro, manutenzione, gestione"53
. Un tema tecnico e
pratico affrontato con grande impegno, dove ad una “arretratezza della situazione reale e ai pericoli
insiti in una scarsa capacità o possibilità di intervento puntuale, tempestivo, professionalmente
adeguato”, si rispondeva spesso con “una elaborazione teorica di notevole vastità e una ampiezza di
discussione certamente positiva, ma talvolta non scevra di sconfinamenti vagamente accademici”54
.
Tra gli interventi di maggiore interesse registrati al Convegno di Napoli si ebbero quelli di Guido
Gullo sul restauro del Real Bosco di Capodimonte55
; di Francesco Canestrini56
, Maria Rosaria
Iacono57
e Anna Capuano58
sui restauri condotti nel parco di Caserta gravemente danneggiato da un
violento nubifragio che, nel 1997, aveva provocato la caduta di alberi secolari in prossimità del
Bagno di Venere. Ed ancora gli interventi di Giuseppe Rallo sulla complessità nella conservazione
del giardino59
; di Cristina Masetti e Federico Fontana sul restauro del parco di Villa della Regina a
Torino60
; di Massimo Iori sul recupero e sull‟integrazione del patrimonio vegetale del Parco Ducale
di Parma61
; di Ermenegildo Spagnolli sul progetto di „ricostruzione‟ del giardino di Colorno
avvenuto con modalità che sarebbe piaciute molto a Pechère62
; di Isabella Pasquini Barisi e
51 Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, I Giardini del ‘Principe’. IV Convegno Internazionale. Parchi e giardini
storici, parchi letterari, (atti convegno), Racconigi, L‟artistica Savigliano, 1994 (con 91 relazioni registrate in tre
volumi). 52 Atlante delle grotte e dei ninfei in Italia. Toscana, Lazio, Italia Meridionale e Isole, (a cura di V. Cazzato, M. Fagiolo, M.A. Giusti), Milano, Electa, 2001; Atlante delle grotte e dei ninfei in Italia. Italia Settentrionale, Umbria e
Marche, (a cura di V. Cazzato, M. Fagiolo, M.A. Giusti), Milano, Electa, 2002; 53 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Il governo dei giardini e dei parchi storici, restauro manutenzione
gestione, (atti convegno a cura di F. Canestrini, F. Furia, M.R. Iacono), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001,
(con 36 relazioni registrate). 54 P.F. BAGATTI VALSECCHI, Introduzione, in Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Il governo dei giardini e dei
parchi storici, restauro manutenzione gestione, (atti convegno a cura di F. Canestrini, F. Furia, M.R. Iacono), Napoli,
Edizioni Scientifiche Italiane, 2001, p. 17. 55 G. GULLO, Il Real Bosco di Capodimonte, in Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Il governo dei giardini e dei
parchi storici, restauro manutenzione gestione, (atti convegno a cura di F. Canestrini, F. Furia, M.R. Iacono), Napoli,
Edizioni Scientifiche Italiane, 2001, pp. 29-35. 56 F. CANESTRINI, Il parco ed il Giardino Inglese della Reggia di Caserta, in Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Il governo dei giardini e dei parchi storici, restauro manutenzione gestione, (atti convegno a cura di F. Canestrini, F.
Furia, M.R. Iacono), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001, pp. 44-52. 57 M.R. IACONO, Analisi storica, in Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Il governo dei giardini e dei parchi
storici, restauro manutenzione gestione, (atti convegno a cura di F. Canestrini, F. Furia, M.R. Iacono), Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 2001, pp. 53-64. 58 A. CAPUANO, Il restauro dei giardini della Castelluccia nel Parco Reale di Caserta, in Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, Il governo dei giardini e dei parchi storici, restauro manutenzione gestione, (atti convegno a cura di
F. Canestrini, F. Furia, M.R. Iacono), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001, pp. 73-81. 59 G. RALLO, Conservare per restituire complessità al giardino: alcuni esempi italiani, in Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, Il governo dei giardini e dei parchi storici, restauro manutenzione gestione, (atti convegno a cura di
F. Canestrini, F. Furia, M.R. Iacono), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001, pp. 127-144. 60 C. MASETTI, F. FONTANA, Villa della Regina a Torino. Il restauro del giardino e del parco, in Ministero per i Beni e
le Attività Culturali, Il governo dei giardini e dei parchi storici, restauro manutenzione gestione, (atti convegno a cura
di F. Canestrini, F. Furia, M.R. Iacono), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001, pp. 149-159. 61 M. IORI, Il parco ducale di Parma, in Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Il governo dei giardini e dei parchi
storici, restauro manutenzione gestione, (atti convegno a cura di F. Canestrini, F. Furia, M.R. Iacono), Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 2001, pp. 160-169. 62 E. SPAGNOLLI, Il restauro del parco ducale di Colorno, in Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Il governo dei
giardini e dei parchi storici, restauro manutenzione gestione, (atti convegno a cura di F. Canestrini, F. Furia, M.R.
Iacono), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001, pp.170-177.
10
Leonardo Lombardi sul restauro delle fontane sonore di Villa d‟Este a Tivoli63
; di Stefano Gizzi e
Sonia Bruno sui problemi di restauro del verde nel parco archeologico di Villa Adriana a Tivoli64
;
di Mirella Di Giovane sui restauri al parco della Caffarella e ai Giardini Segreti di Villa Borghese a
Roma65
; di Mirella Macera sulla gestione e valorizzazione dei giardini del castello di Racconigi e
della Venaria Reale in Piemonte66
.
Altri convegni di cui rimangono utili testimonianze scritte sono stati quelli de “Il restauro del
giardino paesaggistico” curato da Mariapia Cunico e Giuseppe Rallo a Villa Pisani a Stra nel 1995
per conto della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Veneto Orientale e dal
Dipartimento di Progettazione Architettonica dell‟Istituto Universitario di Venezia67
; sulle
“Metodologie di studio per i giardini storici” voluto a San Quirico d‟Orcia dalla Società Botanica
Italiana nel 1999 e curato da Paolo Grossoni68
; de “Il restauro del giardino storico. Metodologie per
la conoscenza e strumenti operativi per gli interventi di conservazione” disposto dal CNR,
Consiglio Nazionale delle Ricerche, nel 2000 a Roma e curato da Marco Devecchi e Francesca
Mazzino69
.
Negli stessi anni, contemporaneamente ai progetti e agli interventi di restauro documentati negli
atti dei convegni, veniva pubblicata una consistente serie di altri testi sul restauro dei giardini. Alla
conservazione delle architetture vegetali, nel 1993, Lionella Scazzosi dedicava il volume Il giardino
opera aperta, dove individuava come nodo centrale di un progetto di conservazione “l‟incontro fra
caratteri del manufatto, funzioni attribuibili, allestimento del palinsesto” che dovevano costituire “la
finalità con cui il progetto dovrebbe di volta in volta fornire soluzione”70
. Anche Giovanni
Carbonara destinò un capitolo al restauro del giardino storico nel suo fondamentale Restauro
Architettonico del 1996, in cui riconobbe “validi i criteri conservativi del restauro criticamente
inteso”71
. Infatti “il rispetto dell‟autenticità storica del giardino deve comportare il mantenimento
delle modifiche eventualmente introdotte nel tempo, ritenute criticamente valide, ed evitare quanto
più possibile il ripristino. Le indispensabili modifiche possono essere datate o distrutte con opere
moderne”72
.
Da non dimenticare inoltre come l‟Università abbia recepito l‟esigenza di un insegnamento
specifico nel campo del restauro dei parchi e dei giardini. Dopo i primi corsi di formazione
professionale in questo settore organizzati dall‟Accademia delle Arti del Disegno di Firenze per
63 I. PASQUINI BARISI, L. LOMBARDI, Il restauro delle fontane sonore di Villa d’Este, in Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, Il governo dei giardini e dei parchi storici, restauro manutenzione gestione, (atti convegno a cura di
F. Canestrini, F. Furia, M.R. Iacono), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001, pp. 189-199. 64 S. GIZZI, S. BRUNO, Problemi di restauro del ‘verde’ nel parco archeologico di villa Adriana a Tivoli, in Ministero
per i Beni e le Attività Culturali, Il governo dei giardini e dei parchi storici, restauro manutenzione gestione, (atti
convegno a cura di F. Canestrini, F. Furia, M.R. Iacono), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001, pp. 247-264. 65 M. DI GIOVINE, Manutenzione ai fini della conservazione, alcune esperienze del Comune di Roma; il Parco della
Caffarella, i Giardini Segreti di Villa Borghese, in Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Il governo dei giardini e
dei parchi storici, restauro manutenzione gestione, (atti convegno a cura di F. Canestrini, F. Furia, M.R. Iacono),
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001, pp. 274-279. 66 M. MACERA, Il piano operativo per l’amministrazione del parco del Castello di Racconigi e le prime proposte per la
valorizzazione e la gestione dei Giardini della Venaria Reale, in Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Il governo
dei giardini e dei parchi storici, restauro manutenzione gestione, (atti convegno a cura di F. Canestrini, F. Furia, M.R.
Iacono), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001, pp. 301-314. 67 Il restauro del giardino paesaggistico. Teoria e tecniche di intervento, (atti convegno a cura di M. Cunico e G.
Rallo), Venezia, il Cardo Editore, 1997. 68 Archivio Italiano dell‟Arte dei Giardini – Comune di San Quirico d‟Orcia, Metodologie di studio per i giardini storici, (atti convegno a cura di P. Grossoni), in “Quaderni dell‟Archivio”, 8, 2002, con interventi, tra gli altri, di Elena
Accati, Marco Devecchi, Patrizio Giulini, Paolo Grossoni, Paola Lanzara, Guido Moggi, Ettore Pacini, Andrea Ubrizsy
Savoia, Sofia Varoli Piazza, Luigi Zangheri, e Mariella Zoppi. 69 Consiglio Nazionale delle Ricerche. Progetto finalizzato Beni Culturali „Giardino Storico‟, Il restauro del giardino
storico. Metodologie per la conoscenza e strumenti operativi per gli interventi di conservazione, (atti convegno a cura
di M. Devecchi e F. Mazzino), Roma, Flortecnica, 2002. 70 L. SCAZZOSI, op. cit., 1993, p. 263. 71 G. CARBONARA, Restauro Architettonico, Torino, UTET, 1996, III, p. 549. 72 Ivi, p. 554.
11
conto della Regione Toscana nel 1994 e 199673
, nelle Università sono stati attivati corsi regolari di
“Storia del giardino e del paesaggio” dal 1997, e dal 2002 di “Restauro di parchi e giardini storici”,
non più soltanto nelle Scuole di specializzazione in architettura del paesaggio e nei Master in
paesaggistica. Per questo nuovo ambito disciplinare sono stati editi i volumi di Maria Chiara
Pozzana Materia e cultura dei giardini storici. Conservazione, restauro e manutenzione nel 199974
;
Francesco Gurrieri e Filippo Nobili, Prime nozioni istituzionali per il restauro dei parchi e dei
giardini storici nel 200375
, e di Maria Adriana Giusti Restauro dei giardini teoria e storia nel
200476
.
Inoltre sono stati oggetto di pubblicazione i progetti di restauro di importanti giardini a partire da
quello di Pratolino, che si sono offerti, dopo le molte enunciazioni teoriche, come una traccia
pratica e metodologica da seguire e su cui meditare. Risale al 1985 il volume Il ritorno di Pan.
Ricerche e progetti per il futuro di Pratolino77
illustrante gli studi condotti da Giuliana Campioni,
Claudio Cantella, Marco Dezzi Bardeschi, Guido Ferrara, Romano Gellini, Paolo Grossoni,
Salvatore Lentini, Luigi Zangheri, che si impose all‟attenzione internazionale per il metodo con cui
erano stati eseguiti. Studi che riguardavano il degrado riscontrato in quel parco, la conservazione
delle fabbriche e dei manufatti, del muro perimetrale, e per la conservazione del suo ambiente
naturale. Utile complemento alle relazioni di questi studi fu ritenuto utile pubblicare la descrizione
analitica degli interventi e il preventivo della spesa relativa. Sempre concernente Pratolino fu edito
nel 1988 il volume Risveglio di un colosso. Il restauro dell’Appennino del Giambologna78
, dove
vennero partecipati i dati emersi nelle indagini archeologiche, sulle decorazioni ritrovate, sulle
canalizzazioni ipogee, di carattere mineralogico-petrografico, i rilievi e la fotogrammetria, le analisi
chimico-fisiche sulle malte del complesso, con infine il progetto di conservazione di quel
monumento. Ancora, nel 1999, Giuseppe Rallo riferiva con un‟apposita monografia del suo
progetto di restauro per il castelletto neogotico del Belvedere a Mirano79
.
Contestualmente sono apparsi numerosi articoli su riviste specializzate, che testimoniavano
anch‟essi dell‟avanzamento degli studi in questo settore. In particolare nella rivista ‘ANAKH
diretta da Marco Dezzi Bardeschi, dove nel n. 3 del settembre 1993 intervennero Amedeo Bellini
con il saggio “Visitare i monumenti prima che arrivi il FAI?”80
, Maurizio Boriani con “Sedici
regole per la conservazione di un parco”81
, e Giulio Pane con “Come si restaura un‟opera di
Gaudì”82
. Saggi molto polemici sugli esiti di alcuni restauri di quegli anni. Così il n. 7 del 1996 di
73 Regione Toscana Giunta Regionale, Percorsi Formativi. Sperimentazioni. Restauro di Giardini e Parchi Storici per
Architetti, Firenze, Centro Stampa Giunta Regionale, 1996; Provincia di Firenze, Assessorato alla Cultura e Villa
Demidoff, Nuovi progetti per Pratolino, Firenze, 1997. 74 M.C. POZZANA, Materia e cultura dei giardini storici. Conservazione restauro manutenzione, Firenze, Alinea, 1989,
a cui ha fatto seguito il volume Giardini storici: principi e tecniche della conservazione, Firenze, Alinea, 1996. 75 F. GURRIERI, F, NOBILI, Prime nozioni istituzionali per il restauro dei parchi e dei giardini storici, Firenze, Alinea,
2003. 76 M.A. GIUSTI, Restauro dei giardini, teorie e storia, Firenze, Alinea, 2004. 77 Provincia di Firenze, Il ritorno di Pan. Ricerche e progetti per il futuro di Pratolino, (cat. mostra a cura di M. Dezzi
Bardeschi), Firenze, Alinea, 1985. 78 Risveglio di un colosso. Il restauro dell’Appennino del Giambologna, Firenze, Alinari, 1988. 79 M. LEVORATO, G. RALLO, Torre e grotta: dal mito al giardino. Il Belvedere di Mirano, Venezia, Marsilio, 1999. 80 A. BELLINI, Visitare i monumenti prima che arrivi il FAI?, in “‟ANAKH Cultura, storia e tecniche della conservazione”, 3, 1993, pp. 42-54 con allegate schede critiche sui lavori all‟Abbazia di San Fruttuoso a Capodimonte
(La Spezia), e Villa e giardino Dalla Porta-Bozzolo a Casalzuigno (Varese). 81 M. BORIANI, Sedici regole per la conservazione di un parco, in “‟ANAKH Cultura, storia e tecniche della conservazione”, 3, 1993, pp. 54-65 con allegate schede critiche su il Sacro Bosco di Vicino Orsini a Bomarzo (Viterbo);
il giardino prospettico del palazzo Bettoni Cazzago a Gargnano (Brescia); il parco Borromeo Arese a Cesano Maderno
(Milano); le Désert de Rètz a Marly (Parigi). 82 G. PANE, Come restaurare un’opera di Gaudì: il parco Güell a Barcellona, in “‟ANAKH Cultura, storia e tecniche della conservazione”, 3, 1993, pp. 66-71.
12
A-LETHEIA veniva tutto dedicato al “Giardino e paesaggio. Conoscenza, conservazione, progetto”
con un numero unico curato da Maurizio Boriani e interventi di studiosi del Politecnico di Milano83
.
Un‟ultima pubblicazione in tema di restauro di giardini storici che merita ricordare è quella del
Capitolato speciale d’appalto per il restauro e la manutenzione dei parchi e giardini storici84
,
voluta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Un volume che ha costituito “una bozza per la
sperimentazione ad uso degli istituti periferici” dello stesso Ministero. Curato da Carmine Guarino,
ha restituito i lavori di una commissione che ha messo a punto la normativa generale per il restauro
dei parchi e giardini, e quella tecnica riferita al rilevamento, alle ricerche e alle analisi, ai saggi
archeologici e stratigrafici, alla qualità e provenienza dei materiali, alle categorie di lavoro e alla
manutenzione dei giardini.
DAI GIARDINI STORICI AI PAESAGGI CULTURALI
Contemporaneamente al dibattito tutto italiano sul giardino storico, in campo
internazionale venivano precisate le procedure di selezione dei beni culturali e naturali, quelli dal
„valore universale eccezionale‟, che avrebbero potuto figurare nella World Heritage List in base alla
Convenzione del patrimonio mondiale formulata dall‟UNESCO nel 1972. Una selezione fondata su
dieci criteri, di cui sei culturali e quattro naturali, che erano precisati nel testo della Convenzione e
negli Orientamenti che devono guidare l’adozione della Convenzione del patrimonio mondiale. In
base a questi documenti l‟inserimento di un bene nella World Heritage List veniva subordinata,
oltre alla dimostrazione della sua corrispondenza ad almeno uno dei criteri, alla presentazione delle
garanzie necessarie alla loro tutela a alla loro gestione, ma ancora si doveva dimostrare il valore
della loro autenticità e della loro integrità. A Nara in Giappone, nel 1994, vennero riuniti 45
specialisti della conservazione dei beni culturali rappresentanti 26 organizzazioni internazionali per
chiarire in cosa consistesse l‟autenticità e l‟integrità nei beni da iscrivere nell‟elenco del patrimonio
mondiale. I convenuti, tra i quali figuravano Herb Stovel, Bernd von Droste, Ulf Bertilisson, Jukka
Jokilethto, Nobou Ito, Henry Celere, Michael Petzet, Françoise Choay, David Lowenthal e Roberto
di Stefano, stilarono il testo noto come Documento di Nara sull‟autenticitá.
In Italia. qualche mese prima dell‟incontro giapponese, Roberto Di Stefano, dopo avere letto
l‟articolo di Raymond Lemaire Authenticité et patrimoine monumental, ritenne opportuno
sollecitare la riflessione degli studiosi sull‟argornento a trenta anni dalla formazione della Carta di
Venezia. A tale fine interpellò Roland Silva, Michel Parent, Jean Barhélemy, Teodor Krestev,
Franco Borsi, Giovanni Carbonara, Renato De Fusco, Paolo Marconi e Mario Federico Roggero. Le
loro considerazioni, pubblicate in “Restauro. Quaderni di restauro dei monumenti e di urbanistica
dei centri antichi” del luglio-settembre 199485
, per quanto caratterizzate da opinioni anche
contrastanti, costituirono la base di un dibattito che ebbe i suoi esiti nella giornata di studio
“Autenticità e patrimonio monumentale” tenuta a Napoli il 29 settembre 1994. Intervennero Franco
Borsi, Raymond Lemaire, Michel Parent, Jean Barhélemy, Giovanni Carbonara, Roberto Di
Stefano, Paolo Marconi, mentre parteciparono alla discussione Jorge O. Gazaneo, Aldo Trione,
Giuseppe Proietti, Urbano Cardarelli, Marco Dezzi Bardeschi, Michele D‟Elia, Giuseppe Cruciani
Fabozzi, Ruggero Martines, Krzystos Pawlowski, Almerico Realfonzo, Raffaele Mormone,
Giancarlo Nuti, Andrai Roman, Amerigo Restucci, Jukka Jokilehto e Mounir Bouchenaki. I loro
interventi furono raccolti nella rivista di Di Stefano dell‟ottobre-dicembre 1994 assieme al testo del
83 Giardino e paesaggio. Conoscenza, conservazione, progetto, (a cura di M. Boriani), numero unico di “A-LETHEIA”,
7, 1996, pp. 1-159 con saggi, tra gli altri, di Lionella Scazzosi, Marco Dezzi Bardeschi, Sergio Vannucci, Massimo
Venturi Ferriolo, e Alberta Cazzani. 84 Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Capitolato Speciale d’Appalto per il Restauro e la Manutenzione dei
Parchi e Giardini Storici. Bozza per la sperimentazione ad uso degli istituti periferici, (a cura di S. Barletta, A.
Capuano, C. Guarino, G. Gullo, P. Nicoletti), Napoli, Paparo Edizioni, 2002. 85 “Restauro. Quaderni di restauro dei monumenti e di urbanistica dei centri antichi”, XXIII, 1994, n. 129.
13
Documento di Nara86
. Interventi che videro delinearsi due diverse interpretazioni del tema
dell‟autenticità. La prima tesa a separare l‟autenticità formale o estetica da quella materiale o
storica, la seconda che sosteneva l‟unitarietà del concetto di autenticità nelle opere sempre
determinate da materia e forma.
Degli esiti del dibattito, spesso appesantito da distinguo lessicali bizantineggianti proposti da
alcuni partecipanti, si era fatto interprete Roberto Di Stefano nell‟incontro di Nara con affermazioni
apparentemente sorprendenti, come quando affermò che “l‟autenticità della materia non é
fondamentale”87
, col considerare che “sarebbe sbagliato applicare uniformemente gli stessi principi
di conservazione del patrimonio culturale, perché i valori elementari che distinguono tutti gli
uomini (come la bellezza, la memoria, la tradizione, ecc.) si ordinano secondo una scala (sempre
rapportata alle necessità) differente da una civilizzazione all‟altra, in funzione del grado di sviluppo.
Cosa che comporta altre difficoltà per stabilire il valore del documento, o principi di conservazione
ugualmente validi per ciascun paese. Questo mostra il pericolo - nel quadro della cooperazione per
la protezione del patrimonio mondiale - di applicare i criteri propri alle nazioni più avanzate a tutti
gli altri paesi (ivi compresi i meno sviluppati), anche per proteggere e conservare dei beni che sono
considerati da alcune culture dominanti, di un valore eccezionale e universale. Se si vuole evitare di
cadere in una sorta di colonialismo intellettuale e di prevaricare sui più deboli e i più poveri e se si
tiene a rispettare i tanto declamati diritti dell‟uomo, bisognerà conservare, innanzi tutto, la capacità
che hanno questi beni di fornire un giovamento spirituale alle popolazioni locali, ricche di una loro
propria civilizzazione. Sarà molto più opportuno di seguire l‟ipotesi consistente nel formulare una
„carta universale‟ con l‟identificare le posizioni comuni, accompagnate da testi complementari
corrispondenti alla realtà delle diverse zone geografiche e culturali”88
.
Ad ogni modo cinque furono gli articoli del Documento di Nara che chiarirono cosa si dovesse
intendere per autenticità:
Art. 9 - “La conservazione del patrimonio storico in tutte le sue forme e di tutte le epoche trova la sua giustificazione nei valori che si attribuiscono a questo patrimonio. La percezione più esatta di questo valore dipende, tra l‟altro, dalla
credibilità delle fonti d‟informazione relative. La loro conoscenza, comprensione, e interpretazione in rapporto alle
caratteristiche originali e successive del patrimonio costituisce il giudizio di autenticità del bene da valutare, e concerne
tanto la sua forma che la sua materia.
Art. 10 – L‟autenticità, così come considerata nella Carta di Venezia, appare come il fattore qualitativo essenziale
quanto alla credibilità delle fonti di informazione disponibili. Il suo ruolo è capitale in tutti gli studi scientifici,
interventi di conservazione o restauro, che nelle procedure d‟iscrizione nella lista del patrimonio mondiale o in tutti gli
altri inventari del patrimonio culturale.
Art. 11 – Tanto i giudizi sul valore riconosciuto al patrimonio, che i fattori di credibilità delle fonti di informazione
possono differire da cultura a cultura, e allo stesso tempo anche in seno ad una stessa cultura. Perciò è escluso che i
giudizi di valore dell‟autenticità si basino su criteri unici. Al contrario il rispetto dovuto ad ogni singola cultura esige
che ciascuna opera sia considerata e giudicata in rapporto a criteri che caratterizzano il contesto culturale al quale essa appartiene.
Art. 12 – In conseguenza è della più grande importanza e urgenza che siano riconosciuti, in ciascuna cultura, i caratteri
specifici che si riferiscono ai valori del suo patriminio così come alla credibilità e alla affidabilità delle fonti di
informazione che le concernano.
Art. 13 – Dipendendo dalla natura del monumento o del sito e del suo contesto culturale, il giudizio sull‟autenticità è
legato a una varietà delle fonti di informazione. Queste ultime concernono la concezione e la forma, i materiali, l‟uso e
la funzione, la tradizione e le tecniche, l‟ubicazione e l‟ambiente, lo spirito e il sentimento, lo stato originale e il suo
divenire storico, oltre ad altri aspetti interni o esterni. L‟utilizzazione di queste fonti offre la possibilità di descrivere il
patrimonio culturale nelle sue dimensioni specifiche sul piano artistico, tecnico, storico e sociale.
Sempre nel 1994, il Comitato per il patrimonio mondiale incaricò l‟ICOMOS di verificare le
ragioni di uno squilibrio riscontrato nel suo elenco dei beni culturali e naturali. Occorreva
86 “Restauro. Quaderni di restauro dei monumenti e di urbanistica dei centri antichi”, XXIII, 1994, n. 130. 87
R. DI STEFANO, L’ authenticité des valeurs, in Conference de Nara sur l’ authenticité dans le cadre de la Convention
Du Patrimoine Mondial. Nara Japon, 1-6 novembre 1994 (a cura di Knut Einar Larsen), Paris, UNESCO-ICCROM-
ICOMOS, 1995, p. l42. 88 Ivi, p. 145.
14
comprendere perché vi fossero nazioni che vantabano molti beni culturali e naturali inseriti nella
World Heritage List, mentre altre erano presenti solo marginalmente, e 50 non figuravano con alcun
bene. Allo stesso tempo, alcune categorie di beni erano ben rappresentate mentre altre erano quasi
assenti o del tutto assenti. A questo proposito l‟ICOMOS è intervenuto attraverso l‟analisi di tre
quadri complementari:
- un quadro tipologico fondato sulle categorie utilizzate per la classificazione del patrimonio
culturale nelle precedenti valutazioni.
- un quadro cronologico-regionale che individuava il patrimonio culturale in funzione del tempo e
dello spazio.
- un quadro tematico che identificava le risposte dei singoli popoli al proprio ambiente culturale.
Tutto ciò per perseguire un nuovo elenco del patrimonio mondiale più rappresentativo, equilibrato
e credibile, corrispondente all‟idea del patrimonio culturale recepita dalle singole società. Non per
caso venivano riconosciute le nuove categorie dei paesaggi culturali e degli itinerario culturali, e si
è vista la necessità di comprendere anche gli abitati rurali, l‟architettura vernacolare, quella
industriale e quella moderna col sottolineare l‟importanza degli aspetti materici dei beni culturali. I
paesaggi culturali appartengono alla categoria delle opere interrelate tra uomo e natura, e in questo
contesto il termine monumento si deve intendere nel senso più largo dato dalla Carta di Venezia
“non solamente delle grandi creazioni, ma anche delle opere più modeste che hanno acquisito con il
tempo un significato culturale”89
. Inoltre si è considerato come tutti i beni della memoria possano
essere considerati monumento (omnia monumenta sunt quae faciunt alicuius rei recordationem).
Infatti monumenti e siti possono abbracciare lo spirito autentico di uno spazio anche se di questo
non rimangono che poche tracce materiali.
Faceva seguito, nell‟anno 2000, la formulazione della Convenzione europea del paesaggio che
riconosceva come “il paesaggio [fosse] in ogni luogo un elemento importante della qualità della vita
delle popolazioni: nell‟aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati, come in quelli di
grande qualità, nelle zone considerate eccezionali, come in quelle della vita quotidiana”90
. Il termine
paesaggio veniva perciò designato come “una determinata parte di territorio, così come è percepita
dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall‟azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro
interrelazioni”91
. Nel testo della Convenzione europea del paesaggio venivano quindi affrontati i
temi della politica del paesaggio, l‟obiettivo di qualità paesaggistica, la salvaguardia, la gestione, e
la pianificazione dei paesaggi.
La Convenzione europea del paesaggio si dimostrava un documento di notevole rilievo perché
impegnava gli Stati membri del Consiglio d‟Europa a riconoscere giuridicamente il paesaggio, ad
attuare politiche paesaggistiche volte alla protezione, alla gestione e alla pianificazione, ad avviare
procedure di partecipazione del pubblico, delle autorità competenti nella realizzazione delle
politiche paesaggistiche e ad integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio,
urbanistiche, e in quelle di carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico.
I termini di questa politica del territorio non erano nuovi e in Italia, incredibilmente, datavano un
secolo. Dalla conferenza “Dell‟arte dei giardini” tenuta all‟Esposizione di Architettura di Torino nel
1890 da Antonio Caregaro Negrin92
, alla fondazione del Museo del Paesaggio dovuta a d Antonio
Massara nel 190993
, e al fascicolo Il giardino italiano pubblicato da Maria Pasolini Ponti nel
191594
, le maggiori preoccupazioni degli operatori italiani nel campo del giardino e del paesaggio
erano state quelle di far comprendere come il giardino dovesse essere correlato con l‟abitazione, e
89 Articolo 1 della Carta di Venezia del 1964. 90 Cfr. il preambolo della Convenzione europea del paesaggio. 91 Articolo 1 della Convenzione europea del paesaggio. 92 Il testo della conferenza è stato pubblicato in L’ Esposizione Italiana di Architettura in Torino. Conferenze, Torino,
1891, pp. 257-291, e ripreso in M. AZZI VISENTINI, L’arte dei giardini. Scritti teorici e pratici dal XIV al XIX secolo,
Milano, Edizioni il Polifilo, 1999, II, pp. 413-433. 93 Cfr. Giardini e ville del lago Maggiore. Un paesaggio culturale tra Ottocento e Novecento, (a cura di R. Lodari),
Torino, Museo del Paesaggio, 2002, p. 11. 94 M. PASOLINI PONTI, Il giardino italiano, Roma, Loescher & C°, 1915.
15
l‟abitazione e il giardino assieme dovessero essere studiati in relazione all‟ambiente. Tesi che
furono fatte proprie anche dalla giovane Maria Teresa Parpagliolo che, nel saggio “I princip i
ordinatori del giardino italiano” apparso in Domus del 1931, sottolineò ancora una volta come
giardino e paesaggio facessero “parte del medesimo quadro”95
. Nell‟Italia di quel periodo le attività
del Touring Club Italiano, del Club Alpino Italiano, del „Comitato nazionale per la difesa del
paesaggio e dei monumenti italici‟ avevano mobilitato intellettuali e scienziati, avevano sviluppato
una coscienza naturalistica e artistica nella società civile96
, e portato alle Leggi del 12 giugno 1902
n. 185 per la conservazione dei monumenti e degli oggetti di antichità e di arte, e del 13 giugno
1912 n. 362 dove era contemplata la protezione dei monumenti, delle ville e dei parchi. La
questione della protezione del paesaggio era stata discussa anche al convegno di Parigi del 1909, e
fu raccolta dall‟onorevole Giovanni Rosadi in una sua proposta di legge al parlamento nel 1909.
Venne poi ripresa nella conferenza di Berna del 1913 attraverso un documento sottoscritto
dall‟Italia, Austria, Germania, Gran Bretagna, Norvegia, Svezia, Svizzera, Belgio, U.S.A., e
Giappone97
.
Si ebbero, poi, la legge 11 giugno 1922 n. 778 per la tutela delle bellezze naturali e immobili di
particolare interesse storico, e le due leggi del 1939, ma gli eventi bellici e il periodo della
„ricostruzione‟ accantonarono di fatto le pur vigenti disposizioni legislative sulla tutela e sulla
salvaguardia del paesaggio. Seguì il D.P.R. n. 616 del 24 luglio 1977, con cui venne conferita alle
Regioni la delega in materia urbanistica al fine di esercitare anche la tutela delle parti riconosciute
di interesse culturale e ambientale. Nel 1985 si ebbe ancora la legge n. 431, dove all‟articolo 1 bis si
prescrisse che le regioni avrebbero dovuto sottoporre “a specifica normativa d‟uso e di
valorizzazione ambientale il relativo territorio mediante la redazione di piani paesistici e
ambientali”98
. Un notevole passo in avanti rispetto alle finalità dei piani paesistici della legge 1497
del 1939 perché la pianificazione paesistica, diventata obbligatoria proprio per effetto della legge
431 del 1985, aveva previsto una “normativa d‟uso e di valorizzazione ambientale” per le aree
ricomprese negli strumenti pianificatori.
Nel 2004, veniva emanato il Codice dei beni culturali e del paesaggio senza tener conto di quanto
era maturato nel dibattito internazionale in tema di paesaggio, mentre erano recuperate le
disposizioni delle Leggi 1089 e 1497 del 1939. All‟articolo 133 prevedeva comunque che: “le
attività di tutela e di valorizzazione del paesaggio si confermano agli obblighi e ai principi di
cooperazione tra gli Stati derivanti dalle convenzioni internazionali”. Purtroppo però non faceva
cenno con chiarezza a quanto presente nella Convention concernant la protection du patrimoine
mondial, culturel et naturel adottata dall‟UNESCO nel 1972, o delle specifiche nelle Orientations
devant guider la mise en oeuvre de la Convention du patrimoine mondial. Soltanto col successivo
Decreto legislativo 24 marzo 2006 n. 157 l‟articolo 135 dello stesso Codice veniva integrato, e si
proponeva: “particolare attenzione alla salvaguardia dei siti inseriti nella lista del patrimonio
mondiale dell‟UNESCO e delle aree agricole”.
In assenza di validi modelli disponibili a cui fare riferimento per i „piani paesaggistici‟, è ripreso il
dibattito tra gli addetti ai lavori che, in assenza di concrete iniziative ministeriali, hanno avuto la
possibilità di incontrarsi in occasione di alcuni convegni come quelli indetti dall‟Atelier del
paesaggio mediterraneo99
, dall‟ARSPAT100
o dal Comune di Cinisello Balsamo. Nel convegno del
95 M.T. PARPAGLIOLO, I principi ordinatori del giardino italiano, in „Domus‟, IV, 1931, gennaio, p. 69. 96 Le prime sollecitazioni sulla protezione del patrimonio paesaggista si ebbero con la pubblicazione del volume di A. STOPANI, Il Bel Paese, Conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d’Italia, Firenze, Salani,
1873. 97 Del dibattito internazionale e nozionale rimase traccia nelle riflessioni giuridico-estetiche di N.A. FALCONE, Il
paesaggio italico e la sua difesa, Firenze, 1914. 98 G.F. CARTEI, La disciplina del paesaggio tra conservazione e fruizione programmata, Torino, Giappichelli Editore,
1995, p. 94. 99 L‟Atelier è un‟associazione costituita nel 1999, e formata dai comuni di Baggiano, Scansano, Suvereto, Piombino,
Pescia, Fivizzano, Greve in Chianti, e dalla Comunità del Casentino. Collabora a Strasburgo presso il Consiglio
d‟Europa come esperto della Convenzione Europea del Paesaggio, e ha presentato a Firenze e a Pescia lo studio
16
2004 Giardini, contesto, paesaggio. Sistemi di giardini e architettura vegetali nel paesaggio.
Metodi di studio, valutazione, tutela101
è stato illuminante l‟intervento di Lionella Scazzosi che ha
sottolineato le carenze della tutela, e la nuova attenzione al „contesto‟ dovuta proprio ai documenti
internazionali. Si avverte quindi l‟esigenza di nuove modalità di comprensione e di
rappresentazione del paesaggio perché “giardino/architetture vegetali e relativo contesto/sistema,
sono in continua, inevitabile, inarrestabile, irreversibile trasformazione: la vita dei luoghi non può
che essere accompagnata, indirizzata, sapendo individuare continuamente i valori nuovi che sia la
natura, che l‟azione consapevole o inconsapevole degli uomini possono aver aggiunto; senza ri-
facimenti, senza nostalgie per epoche passate, ma, invece, con il più grande rispetto per gli uomini
che ci hanno preceduto, anche le più minute e, nello stesso tempo, per le esigenze, la responsabilità
e la capacità innovativa della contemporaneità”102
.
APPENDICE
CARMEN AÑÓN FELIÚ, Autenticità. Giardino e paesaggio103
.
Il dibattito che inizia oggi sull‟autenticità è complesso e delicato nello stesso tempo perchè
trae origine da un insieme di percezioni, di culture e di concetti dell‟etica, applicati a numerose
materie o soggetti. L‟opera architettonica ci sembra l‟oggetto più importante, ma la riflessione
filosofica ci porta ben oltre perché l‟autenticità si riferisce a qualsiasi opera d‟ arte.
Nel campo specifico del paesaggio culturale, secondo i criteri approvati dalla Convenzione
del Patrimonio Mondiale nel primo articolo, i paesaggi culturali rappresentano le opere combinate
della natura e dell‟uomo. Essi illustrano l‟evoluzione della società e degli insediamenti umani nel
corso del tempo, prodotti da avversità e/o circostanze favorevoli insite nell‟ambiente naturale e
nelle forze sociali, economiche e culturali successive, interne e esterne. Essi dovrebbero essere
individuati sulla base del loro valore universale eccezionale, della loro rappresentatività in termini
di regione geo-culturale chiaramente definita e del loro poter illustrare gli elementi culturali
essenziali e distintivi di tali regioni.
Il termine „paesaggio culturale‟ riguarda una grande varietà di manifestazioni interattive tra
l‟uomo e il suo ambiente naturale.
I paesaggi culturali spesso riflettono tecniche specifiche di utilizzazione vitale dei territori,
prendendo in considerazione le caratteristiche e i limiti dell‟ambiente naturale nel quale si sono
impiegate, così come una relazione spirituale specifica con la natura. La protezione dei paesaggi
culturali può dare un contributo alle tecniche moderne di utilizzazione vitale e di sviluppo dei
„Percezione sociale dell‟ambiente di vita‟ nel 2004, e organizzato a Scansano il convegno „Paesaggi governati e
paesaggi partecipati‟ sempre nel 2004. 100 L‟ARSPAT ovvero l‟Associazione per il Restauro del Paesaggio, dell‟Ambiente e del Territorio con sede a Rimini,
nel 2004, ha tenuto un convegno sul “Degrado del paesaggio e complessità territoriale”. Nel 2005, hanno fatto seguito i
convegni “La tutela del paesaggio tra economia e storia: dal restauro dei monumenti al governo del territorio” e
“Restauro del paesaggio e sostenibilità. Unitarietà d‟azione per la governance territoriale-paesaggistica”. Di questi
convegni sono stati pubblicati gli atti presso Alinea Editrice di Firenze a cura di Silvio Van Riel e Mario Paolo
Semprini. 101 Giardini, contesto, paesaggio. Sistemi di giardini e architettura vegetali nel paesaggio. Metodi di studio,
valutazione, tutela, (atti convegno a cura di L.S. Pelissetti e L. Scazzosi), Firenze, Olschki, 2005. 102 L. SCAZZOSI, Giardini, contesto, paesaggio, in Giardini, contesto, paesaggio. Sistemi di giardini e architettura
vegetali nel paesaggio. Metodi di studio, valutazione, tutela, (atti convegno a cura di L.S. Pelissetti e L. Scazzosi),
Firenze, Olschki, 2005, pp. 13-14. 103
All‟incontro di Nara intervenne Carmen Añón Feliú, allora presidente del Comitato internazionale giardini e siti
storici ICOMOS-IFLA. Affrontò il tema con un contributo tanto apprezzabile quanto ignorato in Italia, il quale merita
di essere conosciuto e che viene qui presentato tradotto in italiano per la prima volta. Cfr. il testo Authenticité. Jardin et
paysage in Conference de Nara sur sur l’ authenticité dans le cadre de la Convention du Patrimoine Mondial. Nara
Japon, 1-6 novembre 1994 (a cura di Knut Einar Larsen), Paris, UNESCO-ICCROM-ICOMOS, 1995, pp. 217-231.
17
territori, il proteggere o valorizzare gli aspetti naturali del paesaggio. L‟esistenza permanente di
forme tradizionali di utilizzazione dei terreni sostiene la diversità biologica in numerose regioni del
mondo. La protezione dei paesaggi culturali è per conseguenza utile a mantenerli con una loro
diversità biologica.
I paesaggi culturali si dividono in tre categorie:
Più facilmente identificabile è il paesaggio chiaramente definito, concepito e formato
intenzionalmente dall‟uomo. E‟quello che comprende i paesaggi dei giardini e dei parchi creati per
ragioni estetiche che spesso, (ma non sempre,) sono associati a costruzioni o insediamenti religiosi.
La seconda categoria è il paesaggio essenzialmente evolutivo. Risulta da un‟esigenza di
origine sociale, economica. amministrativa e/o religiosa, ed ha raggiunto la sua forma attuale per
associazione e in rapporto al suo ambiente naturale. Questi paesaggi riflettono il processo evolutivo
nella loro forma e nella loro composizione. Si suddividono in due categorie:
-Un paesaggio fossile è un paesaggio che ha conosciuto un processo evolutivo che si è
arrestato sia in maniera repentina che nel corso del tempo. Le sue caratteristiche essenziali restano
tuttavia visibili materialmente.
-Un paesaggio vivente ovvero un paesaggio che conserva un ruolo sociale attivo nella
società contemporanea. strettamente associato al modo di vita tradizionale, e nel quale continua il
processo evolutivo di pari passo col corso del tempo.
L‟ultima categoria comprende il paesaggio culturale associativo. L‟inclusione di questo tipo
di paesaggio nella Lista del Patrimonio Mondiale è definito dai suoi aspetti funzionali e
intelleggibili. In tutti i casi, l‟esempio proposto deve essere abbastanza sostanziale per rappresentare
la totalità del paesaggio culturale che vuole illustrare. Non deve essere scartata la possibilità di
designare delle lunghe aree lineari rappresentanti delle reti significative di trasporti o di
comunicazioni.
Più avanti vedremo come i criteri generali di conservazione e di gestione definiti nel
paragrafo 24 (b) (ii) possono ugualmente applicarsi ai paesaggi culturali.
E‟ ugualmente importante avere un‟attenzione particolare per i valori culturali e naturali dei
paesaggi interessati e di preparare le proposte d‟iscrizione in collaborazione e in completo accordo
con le comunità locali104
, insistendo su questa dualità effettiva tra azione umana e quella della
natura, altrimenti si rende difficile la ricerca dell‟autenticità nel paesaggio culturale.
Il giardino storico
Riferendoci al primo paragrafo cercheremo di approfondire la natura e la tipologia ricca e variata
del giardino. In effetti è difficile stabilire una teoria che possa servire da base ad una prassi adeguata
se non si parte da una conoscenza profonda dell‟essenza stessa del monumento da trattare, e nel
caso specifico del giardino. Definizioni e concetti tanto più difficili da stabilire quanto noi
pretendiamo, sin dall‟inizio, voler presentare un‟opera d‟arte sottile e intangibile in una definizione
troppo concreta. Ma si tratta di un concetto che noi dobbiamo innegabilmente affrontare, perché
sarà la chiave della nostra opinione sull‟autenticità del giardino.
Il giardino, considerato dall‟ICOMOS come un‟opera d‟arte e riconosciuto come monumento nella
sua Assemblea Generale di Roma (1982), presenta per la propria specificità, una interpretazione
difficile del senso o del concetto di autenticità in fatto di procedimento e di metodologie degli
interventi, nel pensiero e nell‟attitudine del professionista incaricato di recuperare i valori estetici,
storici e sociali. La Carta di Firenze (1982) definisce già qualche punto di partenza.
104 Cfr. Menagement Guidelines for World Cultural Heritages Sites, Paris, UNESCO, 1994.
18
Art. l “Un giardino storico è una composizione architettonica e vegetale che, dal punto di vista della
storia o dell‟arte, presenta un interesse pubblico. Come tale, è considerato un monumento”.
Art. 2 “I1 giardino storico è una composizione architettonica il cui materiale è essenzialmente
vegetale, e quindi vivente, e come tale deperibile e rinnovabile. I1 suo aspetto è quindi il risultato di
un continuo equilibrio fra il movimento ciclico delle stagioni, dello sviluppo e del deperimento
della natura, e la volontà d‟arte e d‟artificio che tende a eternizzarne lo stato”.
Art. 3 “In quanto monumento, il giardino storico deve essere salvaguardato secondo lo spirito della
Carta di Venezia. Tuttavia. in quanto monumento vivente, la sua salvaguardia è governata da regole
specifiche che sono la materia della presente Carta”.
In quest‟ultimo paragrafo compare il concetto di monumento vivente, cioè che si modifica
secondo il ritmo delle stagioni, concetto che introduce il tempo come un elemento compositore del
giardino. “L‟autore, l‟ architetto, il paesaggista hanno, in tutta coscienza e con intenzione creatrice,
fornito la materia permettendo al tempo di agire sul giardino. I1 tempo è dunque una forza
creatrice”105
. presente al momento della sua creazione, la quale deve essere rispettata poiché tale era
ľ intenzione originale prima di dare corpo al giardino, a questa opera d‟arte.
La „vita‟ e il suo ciclo evolutivo: nascita, crescita, maturità, morte, sono elementi intrinseci
del giardino. Di conseguenza il giardino è una evoluzione permanente, differente in ciascun
momento, paragonabile a una sinfonia temporale e spaziale, che non si può dissociare e che
determina una espressione armonica globale. Spazio del tempo, spazio del luogo. Chiavi che ci
aiutano, forse, a comprendere l‟anima nascosta del giardino. Nel giardino il tempo è vivo ed eterno.
I1 presente è un‟evoluzione costante, un passato effimero. I1 tempo, attraverso un processo di
creazione permanente, mette in valore l‟immagine del presente. Da qui il pericolo dei ripristini
fondati sulla sola documentazione storica o archeologica, prive di sentimento e di emozione.
Insomma una struttura di base la cui analisi ci darà la chiave e il punto di partenza necessari al
recupero del giardino. Se è certo che l‟antichità e il tempo rappresentano un elemento aggiunto, noi
non dobbiamo cadere nell‟eccesso raskiniano che tende a considerare le rovine, il passato e il
degrado come generatori di bellezza. Questo danneggerebbe il monumento, la bellezza iniziale del
quale potrebbe essere avvilita dalla patina e dalla vernice che, spesso, non sono che sinonimi
d‟incultura, di ignoranza e di abbandono.
La materia del giardino
E‟ la materia che fornisce al giardino una delle sue più grandi particolarità. Abbiamo visto
corne l‟artista creatore del giardino abbia fornito, al momento giusto, la materia che si è poi
modificata e trasformata. Un‟azione che converte il tempo in elemento creatore. Un elemento di cui
è necessario tener conto, ma che, nello stesso tempo, sfugge al nostro controllo. Dinamismo di
un‟opera d‟arte che non rimane statica, che si trasforma. Mantenere queste modifiche nei limiti
dell‟intenzione voluta dal creatore dell‟opera d‟arte, questa è la vera scoperta del giardino. Questa
materia può modificarsi, trasformarsi, variarsi, presentarsi con sfaccettature le più diverse, ma
attraverso le proposte e le intenzioni del suo ideatore, esisteva già una certa capacità di controllo e
d‟azione che gli ha permesso di intervenire sugli effetti del tempo e degli elementi.
“… il degrado dei materiali e degli elementi strutturali riduce l‟autenticitâ della materia di
un monumento; questo può essere accettabile nei limiti dell‟unità potenziale se é in gioco la
sopravvivenza dei resti della struttura originale. Fino a quando una tale azione è realizzata in modo
pertinente, con dei materiali e con delle tecniche similari, il risultato può essere compatibile con il
carattere originale della struttura. La sostituzione degli elementi originali dovrà essere strettamente
limitata ed effettuata in un contesto che non neghi il valore della sostanza originale”106
.
105 Cfr. L. SERREDI, Primer Congresso del Patrimonio Histórico, Madrid, Adelpha, l979. 106
Cfr. FILDEN, J. JOKILEHTO, Treatment related to Authenticity, in Material. Conférence sur l‟Authenticité. Norvege.
Conseil pour le Patrimoine Culturel, l994.
19
In questo caso è chiaro che un elemento vegetale debba essere considerato tale e quale era
allo stato originario, ovvero potenzialmente rinnovabile e caduco. Ciò rende ammissibile, da un
punto di vista filosofico, l‟esistenza di un rinnovo costante del giardino, non solamente degli
elementi vegetali, ma ancora delle architetture effimere, deperibili, come possono essere le pergole,
i treillage o anche i vasi da fiori e le piante.
Alla stessa maniera per cui in numerosi giardini, le statue e i vasi erano dipinti
deliberatamente con un colore che imitava il bronzo patinato, anche quando la materia originale era
di piombo o di stagno, si era coscienti che certe tecniche di manutenzione permettevano di
conservare le siepi o certe prospettive in condizioni ben determinate. Questo ci porta allora ad un
altro aspetto fondamentale del restauro di un giardino: la spazialità.
La spazialità del giardino
Se occorre dare una definizione molto più rigorosa al giardino, forse la più significativa sarà
quella di dire che il giardino è soprattutto una elaborazione spaziale. La spazialità e la materia di un
giardino sono fondamentalmente diverse da quelle di un‟opera architettonica. Brandi mostra la
differenza tra l‟architettura e “l‟opera d‟arte in una spazialità differente”; la spazialità che si afferma
attraverso un carattere figurativo dato non viene dall‟ esterno, se non dalla struttura stessa
dell‟opera d‟arte… in architettura, la spazialità adatta a un monumento coesiste con lo spazio
circostante in cui il monumento è stato costruito.
Ma la spazialità fa parte integrante del giardino; allora è necessario riflettere, provare a
cercare quale può essere la vera ragione d‟essere, la vocazione di questo spazio.
Spazio chiuso e claustrale di un monastero, o giardino privato di una villa, prospettiva che
prolunga il giardino fino all‟infinito, orizzontalità di un parterre, giardino che rompe i suoi limiti in
un fossato inatteso e che si integra nel paesaggio circostante, giardino giapponese apparentemente
chiuso ma con l‟altezza della siepe che lo recinge calcolata per ammirare qualche albero vicino, o
per scoprire, attraverso un‟apertura realizzata sapientemente, un nuovo panorama. Autentica
ragione ď essere di questo spazio, il cui recupero anche simbolico giustificherà i numerosi restauri
mal compresi che sono rimasti al livello di aneddoto storico o della superficialità degli elementi
botanici. Essendo la spazialità praticamente una materializzazione di questa struttura spirituale e
fondamentale del giardino, ci può sembrare opportuno - e qualche volta più raccomandabile che
ricostruire un giardino completamente scomparso in una sorta di rinnovamento totalmente falso -
ricordare questa struttura spaziale del giardino, eseguita con materiali attuali e ridotta alla sua più
semplice espressione simbolica.
Un esempio che ci sembra significativo è la situazione attuale di Marly, che non ha
conosciuto solo interventi di pulizia e di manutenzione. Un museo piccolo situato in uno dei
padiglioni dell‟ingresso, ci racconta, attraverso dei plastici, dei video, delle incisioni e dei libri, la
storia e la concezione originale del giardino. Dopo la visita al museo, con lo spirito ancora
impregnato dell‟immagine di un passato glorioso, usciamo per passeggiare nel giardino dove non si
trovano che grandi allineamenti e prospettive aperte nel bosco, con le vasche e gli stagni come punti
di riferimento per permetterci di lasciare spazio alla nostra immaginazione.
Design
I1 design è la colonna vertebrale che articola il giardino e che permette di avere una visione
dell‟insieme recuperando la sua unità potenziale. In questo caso solamente, il recupero delle lacune
documentate che nocciono all‟integrità dell‟opera potrà essere giustificato a condizione che tale
azione sia evidente.
In caso contrario, il giudizio portato sulla presenza di aggiunte e di sovrapposizioni deve
essere capace di distinguere quelli che permettono un arricchimento estetico da quelli che alterano
l‟immagine del giardino e non si integrano per valorizzarlo. Noi crediamo che di fronte a un
20
carattere conservatore ad oltranza o storicamente difendibile, la bellezza e l‟armonia devono
predominare, anche a prezzo di una scelta soggettiva e discutibile, sulla quale sarà chiamato ad
intervenire il restauratore.
I1 risultato di un tale restauro, anche se sarà corretto, sarà in definitiva una ricreazione in
senso stretto del termine. In questo modo, possono esistere diverse maniere di restaurare, tutte
valide, attraverso le quali il restauratore ci lascia intravedere la sua personalità. Non c‟è intervento
di restauro neutro perché, come in tutti i lavori ben eseguiti, un compito così appassionante come il
restauro di un giardino rappresenta una sorta di rapporto amoroso.
Che cosa è più importante per noi: la forma, il tracciato o il messaggio storico? Dobbiamo
forse ricostruire il giardino come era il 18 luglio l788, quando il giorno dopo, era differente?
Noi non dobbiamo dimenticare il fatto che stiamo restaurando un giardino con qualità eccezionali,
una vera opera d‟arte. Questo giardino ha avuto i suoi momenti di gloria, desiderati dal suo creatore,
e questa prima intenzione creatrice deve essere il principale obiettivo del restauratore. Essere, nella
misura possibile, fedele al giardino originario, per potere rafforzare pienamente la sua personalità,
come lo spirito e lo stile del suo ideatore.
Tecniche
La tradizione artigianale è fortemente legata ai materiali impiegati: “il rispetto delle
intenzioni e dei dettagli dell‟idea progettuale è importante quanto la conservazione dei materiali
originari”. L‟impiego di tecniche tradizionali garantisce e fornisce il carattere all‟opera d‟arte, al
giardino. Per questa ragione, per quanto possibile, queste tecniche devono essere sempre
reimpiegate, senza dimenticare che i materiali originari erano al servizio di un‟idea e che questa è la
loro sola ragione d‟essere. Questo giustificherebbe in una certa misura la sostituzione di talune
tecniche o di materiali con altri più attuali, a condizione che il loro impiego non si traduca in un
impatto visivo o in una dissonanza nell‟armonia dell‟insieme.
In questo senso, se si considerano le piante come materiale di base, uno studio tecnico
approfondito dovrà permettere l‟impiego di piante d‟epoca, non in nome di un rigore storico, ma
piuttosto per riscoprire la portata, il colore, il profumo dell‟intenzione creatrice. A questo occorre
aggiungere una componente sensibile del giardino: la sua fragilità; il recupero del suo ambiente
delicato e sensuale può essere interamente rovinato per il semplice fatto d‟impiegare una nuova
varietà di rose o di rompere il silenzio meraviglioso di un chiostro medievale col rumore della
messa in moto di un irrigatore inopportuno.
Questo è in accordo completo con l‟articolo 10 della Carta di Venezia:
“Quando le tecniche tradizionali si rivelino inadeguate, il restauro di un monumento deve essere
realizzato, mediante l‟ausilio di tutti i più moderni mezzi di struttura e di conservazione, la cui
efficienza sia stata dimostrata da dati scientifici e sia garantita dall‟esperienza”.
Potremmo essere ugualmente sorpresi, come ci ha stupito l‟architetto Kiyoshi e il maestro
carpentiere Tsunekazu impegnati nella ricostruzione degli edifici di Hôryu-ji, la cui osservazione
delle tecniche antiche ha permesso di recuperare degli utensili molto più appropriati per certi tipi di
lavori. Questi utensili, adattati alle possibilità attuali, possono dare risultati sorprendenti.
Aggiunte e trasformazioni
Per quel che concerne le aggiunte o le trasformazioni che possono essere state apportate a un
giardino, noi possiamo riferirci alla teoria brandiana del recupero, tendente a ridare all‟ opera d‟arte
la sua unità potenziale, unità estetica e non organica nè funzionale, riflessa delľimmagine
dell‟opera. Le sue connotazioni storiche e artistiche devono essere rispettate, cercando di stabilire
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una dialettica tra le due. “La temporizzazione, convinta e sentita, della doppia essenza storica e
artistica di un giardino rappresenta in definitiva il rigore stesso, la sola via che permette di
comprendere tutta la profondità del linguaggio e dell‟immagine che si riceve, è ugualmente la sola
base concreta a partire dalla quale il restauratore si può permettere, in casi estremi ma necessari di
restaurare o di correggere questa immagine”107
.
Questo problema appare in tutta la sua complessità nel caso di una riabilitazione di un
giardino, per la difficile risoluzione di numerosi conflitti nel voler conservare l‟armonia tra questi
due aspetti. Ma da un punto di vista storico, se si procede nel nostro ragionamento, la conservazione
di un‟aggiunta è accettabile nella misura in cui ha lo stesso valore di tutto quello che è stato
prodotto inizialmente. Di conseguenza, il criterio storico dovrà essere completato, al momento del
restauro, attraverso un approccio estetico, in maniera che nessuno di questi due aspetti predomini
sull‟ altro. Da un punto di vista storico, questo si giustifica se quello che è stato aggiunto non si
differenzia dal nocciolo originale e ha dunque lo stesso diritto di essere conservato come l‟opera
originale.
“L‟eliminazione di un‟aggiunta in definitiva distrugge un documento e non crea niente altro
perchè questa non produce alcun oggetto, cosa che porta a un‟ innegabile falsificazione del fatto
storico. Per questa ragione, dal punto di vista storico, non si può che legittimare la conservazione
dell‟ aggiunta, in quanto la sua eliminazione deve essere sempre giustificata, e soprattutto essere
documentata nel contesto della propria opera; in maniera che l‟eliminazione dovrà essere
eccezionale e la conservazione normale… c‟è da dire che se la volontà umana non intervenisse su
questo invecchiamento, le testimonianze storiche non sarebbero private dell‟immagine della loro
vetustà. Di conseguenza, non si può far apparire della materia con un profilo netto e una freschezza
che porterebbero a contraddire l‟antichità della quale essa è testimone.
Da un punto di vista estetico, il problema è differente, perchè si tratta di elementi o aggiunte
eseguite su un‟opera d‟arte che potrebbe recuperare eventualmente la sua unità potenziale se la si
elimina. La contraddizione con l‟aspetto storico precedente è evidente, poiché in nome
dell‟esigenza artistica l‟aggiunta deve essere eliminata.
Il dubbio è quindi sapere quale dei due criteri debba prevalere sull‟altro. E‟ una questione
che non si può porre su sole basi teoriche, perché il criterio adottato per ciascuna opera di maniera
specifica dipenderà dall‟importanza reale e documentata di ciascuno di questi aspetti, storici o
estetici. L‟opera d‟arte assume tutto un suo valore da parte dell‟atto umano che l‟ha formata e non
attraverso la semplice materia intrinseca, pietra, legno, o tela che la costituisce. D‟altra parte,
conviene sempre considerare il fatto che l‟essenza stessa dell‟opera non appare se non quando
questa è prima contemplata come opera d‟arte - fatto naturalmente estetico poi come documento.
Dunque è chiaro che se l‟aggiunta si sovrappone o snatura l‟opera d‟arte o il monumento, dovrà
essere eliminata pur cercando, nella misura possibile ciò che non è sempre il caso - di conservarla in
parte. In definitiva, quello che determina l‟applicazione di uno o dell‟altro criterio e la sua
preponderanza costituisce sempre un giudizio di valore sull‟opera d‟arte che si restaura”108
.
Il paesaggio culturale
La seconda categoria corrisponde a un paesaggio significativo, prodotto dall‟intervento
umano, ma in seguito a una funzione o un‟azione determinata. Questo ci porta alla considerazione
filosofica della bellezza creata “per se” o ricercata con un intento creativo, che inoltre fa parte di un
processo evolutivo vitale. Si tratta senza dubbio di un criterio più difficile da stabilire. Le risaie
107
Cfr. L. SERREDI, cit. 108 M. MANZANO MONIS, Sobre estructura y arquitectura en la restauración de monumentos, in Actes de Seminare de
Restauration. Ministère d‟Affaires Culturels du Royaume du Maroc, 1994.
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terrazzate delle Filippine ci offrono un esempio attuale molto interessante. Nessuno mette in dubbio
la bellezza di questo paesaggio realizzato dall‟uomo nel corso dei secoli spesi in maniera armonica
con la terra, che era la sua ragione di vivere, ma sarebbe giusto ed etico, in nome di una certa
estetica, fermare questo processo e questa tecnica di lavoro che è destinato inevitabilmente ad
evolversi? I1 contadino che lavora duramente con i piedi nell‟acqua per tutta la giornata desidera
vedere suo figlio abbandonare questa fatica. Tra dieci o venti anni, dovremo assistere a una sorta di
rappresentazione teatrale, a una mummificazione di questa scena, una Disneyland del pdesaggio?
Disneyland che, d‟altronde, fa parte integrante della cultura americana del XX secolo.
E‟difficile rispondere a questa questione attuale, in un mondo dove la distruzione della
natura, la progressione drammatica e smisurata dell‟industria, della tecnologia e delle città
disumanizzate va a promuovere la protezione della natura, della terra e del paesaggio. I politici,
coscienti del valore di questa esigenza, elaborano le leggi e le norme protezionistiche che, mal
eseguite o mal comprese, possono produrre degli effetti contrari a quelli realmente desiderati.
Un paesaggio culturale, rurale o urbano è distinto da valori, percettibili a partire da diversi
punti di vista, culture e tradizioni. Tradizione ecologica, tradizione letteraria, tradizione popolare,
tradizione pittorica. Un paesaggio coltivato è il risultato di numerose circostanze e di forzature che
non hanno niente a che fare con l‟ecologia. Oggi non sarebbe possibile immaginare la Toscana
senza cipressi, Berlino senza i tigli dell‟Unter den Linden, le rive del Potomac senza ciliegi, Londra
senza platani, Madrid senza acacie, Parigi senza i castagni, nessuno di questi alberi è nel suo
ambiente naturale. Ciò nonostante, la loro immagine è percettibilmente ancorata in una memoria
collettiva, sovente a una scala internazionale. Essi favoriscono fortemente la base dell‟identità e
della personalità di ciascuna città, con la stessa forza - e in alcuni casi più ancora - come i loro
monumenti.
L‟ultimo paragrafo si riferisce ai paesaggi associativi. Paesaggi ancorati nella memoria
dell‟uomo in ragione di credenze religiose, artistiche o culturali. Un esempio magnifico sarebbe
dato dalle montagne sacre della Cina, la cui immagine impregna la letteratura, la poesia, la filosofia,
la mitologia, la pittura e tutte le belle arti di quel paese, a tal punto che sarebbe difficile
comprendere il senso del paesaggio e della bellezza in Cina senza ricordare la loro esistenza.
Un paesaggio che, in una certa maniera, é „coagulato‟ su immagini scritte o dipinte, ma di cui non si
nega il carattere che cambia e si evolve con il tempo, la pioggia, il vento o la bruma.
Si tratta al contrario di una condizione intrinseca e circostanziata, atemporale, che
rappresenta un‟evoluzione costante e un valore aggiunto poiché fonte di ispirazione inesauribile.
Questo rappresenta un aspetto più evidente dell‟autenticità, nel senso di un rispetto e di una
conservazione che evita ogni modifica, la deteriorazione o l‟azione fisica umana, col lasciare gli
elementi naturali a conformare il paesaggio al ritmo della loro dinamica.
Uno spirito e un‟essenza del paesaggio che ci parlano attraverso linguaggi culturali variati.
Dei linguaggi che é necessario comprendere se si vuole accettare diversi punti di riferimento, tutti
validi, che ci porteranno a stabilire un‟etica rigorosa ma flessibile, nella quale l‟estetica e la bellezza
saranno la risposta più pertinente; e dove il simbolo, il sacro e il mito si integreranno nel paesaggio.
Questo bisogno di approfondire l‟essenza stessa del paesaggio, necessita di averne una
conoscenza profonda. Conoscenza che non potrà acquistarsi che attraverso l‟esperienza vitale di
ciascuna cultura e delle sue particolarità. Bisogna pensare che in generale - a parte rare eccezioni -
questa decisione apparterrà agli esperti di ciascun paese, ovvero a quelli che, sulla base della loro
rettitudine e della loro etica professionale, saranno i più adatti a stabilire i criteri di antenticità
fondamentali corrispondenti a ciascun caso. A loro volta, questi criteri dovranno essere confrontati
con una visione esterna, che sia capace di valutare la proiezione di questo messaggio all‟esterno,
nella cultura internazionale.
Ci piace continuare la nostra riflessione col riprendere qualche parola del filosofo Rosario
Assunto: “Ma la restaurazione della natura, di cui il restauro dei giardini é il momento più
significativo, non é soltanto la restaurazione estetica: l‟estetica è espressione della logica, dell‟etica.
I1 restauro estetico dei giardini in quanto restauro dell‟arte come natura, della natura come arte,
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vuol essere dunque espressione di un restauro teoretico: recupero del primato del Logos e contro
l‟utilitarismo. Recupero anche, in filosofia, della metafisica contro lo scientismo e contro
l‟utilitarismo. Restauro etico infine: riconquista, vale a dire, di quel primato della contemplazione
come fondante e ultimativa rispetto alla prassi, che gli uomini professano, vivendola, fino a quando
costruirono cattedrali e giardini”109
.
109 R. ASSUNTO, Il restauro dell’idea e l’armonia dell’uomo e della natura. In atti del Séminaire International sur la
Restaurations des Jardins Historiques, Barcelone, 1989.