zorzi lo iubilus in agostino

23
Cerca Invia | Commenta Autonomia della musica e mistica cristiana. Lo iubilus in Agostino d'Ippona di M. Benedetta Zorzi (1º settembre 2003) Negli scritti di Agostino è facile notare una grande sensibilità per la musica, derivata in parte dalla formazione retorica, in parte dall'esperienza della vita ecclesiale, nella quale il canto svolgeva una parte importante. Malgrado un'intera sua opera, il trattato De musica, sia dedicata al tema, non è in esso che va cercato il contributo più originale: la musica viene infatti qui considerata solo nel suo aspetto teorico, in connessione con la matematica. L'aspetto pratico, cioè la musica come canto, non riceve invece una trattazione sistematica, per la quale forse Agostino non ebbe il tempo. Molte tracce del suo pensiero in merito si possono però raccogliere dalle Enarrationes in Psalmos, nelle quali spicca con un rilievo tutto particolare il tema dello iubilus. Questo era il vocalizzo che accompagnava il canto dei salmi (e al quale i salmi stessi invitavano), grazie al quale Agostino tematizza il «canto senza parole», un canto cioè non sottomesso alle parole ma puramente musicale. Una profonda riflessione sull'ineffabilità era stata già compiuta nella filosofia neoplatonica, che influenzò in maniera decisiva molti elementi concettuali del cristianesimo. In essa il concetto di «culto logico», l'unico accetto a Dio, veniva associato strettamente al silenzio: essendo l'Uno divino totalmente indicibile, solo cessando ogni parola l'uomo può onorarlo. Tale silenzio esclude dunque anche ogni espressione musicale (che rientra nel dominio del sensibile) e simboleggia l'unione mistica con l'Uno, in cui l'individualità umana deve perdere i propri contorni. In Agostino lo iubilus riprende alcune caratteristiche del «culto logico» neoplatonico, ma se ne distacca per un elemento decisivo: il giubilo esprime una gioia incontenibile, che tutt'altro che sfociare nel silenzio non può fare a meno di comunicarsi. Il vocalizzo puramente musicale significa così il paradosso della necessità di dire ciò che non può essere detto. In questo modo la dimensione corporea e sensibile dell'uomo non solo non viene disdegnata, ma diventa il necessario tramite della lode a Dio, il quale a sua volta si è voluto perfettamente comunicare nell'incarnazione del Verbo. Integrata in una prospettiva mistica, la pratica musicale acquista dunque in Agostino una dignità mai prima riconosciuta, grazie ad un nuovo concetto di relazionalità dialogica: alla parola di Dio l'uomo non è in grado di rispondere con un'altra parola, ma può e deve rispondere con il giubilo. 1. Agostino e la musica Un attento lettore di Agostino non può che restare sconcertato per la spiccata M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm 1 di 23 16/01/15 07:11

Upload: marco-lombardi

Post on 26-Dec-2015

27 views

Category:

Documents


1 download

DESCRIPTION

Zorzi, Lo Iubilus in Sant'Agostino

TRANSCRIPT

Page 1: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

CercaInvia | Commenta

Autonomia della musica e mistica cristiana.Lo iubilus in Agostino d'Ipponadi M. Benedetta Zorzi (1º settembre 2003)

Negli scritti di Agostino è facile notare una grande sensibilità per la musica, derivata inparte dalla formazione retorica, in parte dall'esperienza della vita ecclesiale, nella quale ilcanto svolgeva una parte importante. Malgrado un'intera sua opera, il trattato Demusica, sia dedicata al tema, non è in esso che va cercato il contributo più originale: lamusica viene infatti qui considerata solo nel suo aspetto teorico, in connessione con lamatematica. L'aspetto pratico, cioè la musica come canto, non riceve invece unatrattazione sistematica, per la quale forse Agostino non ebbe il tempo. Molte tracce delsuo pensiero in merito si possono però raccogliere dalle Enarrationes in Psalmos, nellequali spicca con un rilievo tutto particolare il tema dello iubilus. Questo era il vocalizzoche accompagnava il canto dei salmi (e al quale i salmi stessi invitavano), grazie al qualeAgostino tematizza il «canto senza parole», un canto cioè non sottomesso alle parole mapuramente musicale.

Una profonda riflessione sull'ineffabilità era stata già compiuta nella filosofianeoplatonica, che influenzò in maniera decisiva molti elementi concettuali delcristianesimo. In essa il concetto di «culto logico», l'unico accetto a Dio, veniva associatostrettamente al silenzio: essendo l'Uno divino totalmente indicibile, solo cessando ogniparola l'uomo può onorarlo. Tale silenzio esclude dunque anche ogni espressione musicale(che rientra nel dominio del sensibile) e simboleggia l'unione mistica con l'Uno, in cuil'individualità umana deve perdere i propri contorni.

In Agostino lo iubilus riprende alcune caratteristiche del «culto logico» neoplatonico, mase ne distacca per un elemento decisivo: il giubilo esprime una gioia incontenibile, chetutt'altro che sfociare nel silenzio non può fare a meno di comunicarsi. Il vocalizzopuramente musicale significa così il paradosso della necessità di dire ciò che non puòessere detto. In questo modo la dimensione corporea e sensibile dell'uomo non solo nonviene disdegnata, ma diventa il necessario tramite della lode a Dio, il quale a sua volta siè voluto perfettamente comunicare nell'incarnazione del Verbo. Integrata in unaprospettiva mistica, la pratica musicale acquista dunque in Agostino una dignità maiprima riconosciuta, grazie ad un nuovo concetto di relazionalità dialogica: alla parola diDio l'uomo non è in grado di rispondere con un'altra parola, ma può e deve risponderecon il giubilo.

1. Agostino e la musica

Un attento lettore di Agostino non può che restare sconcertato per la spiccata

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

1 di 23 16/01/15 07:11

Page 2: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

sensibilità con cui egli parla della musica. Agostino è letteralmente affascinato dallamelodia e dimostra un insolito approccio nei suoi confronti, approccio che Marrounon ha esitato a chiamare «moderno».

La notevole sensibilità musicale gli deriva probabilmente anche dalla formazioneretorica, ma non si spiega solo così: si pensi al fatto che è ascoltando la soavità delparlare di Ambrogio («delectabar suavitate sermonis») che egli si avvicina sensim etnesciens al contenuto della dottrina cattolica; ma si pensi anche a quella misteriosacantilena di fanciulli (fondamentale per la sua adesione totale al cristianesimo) che lospinse a prendere il Vangelo e a leggere il passo della lettera ai Romani nel famosoepisodio del giardino (Confessioni VIII,12,29); si pensi a quel canto che dovette esserela sua prima esperienza di chiesa, giacché anche lui cantava assieme ai cattolici riunitiper resistere alla presa delle chiese da parte degli ariani (Confessioni IX,4); infine aquei passi che esulano dai limiti della nostra ricerca, ma che costituiscono delle perleriguardo a questo tema (del resto non ancora adeguatamente esplorato): la musica èper Agostino un modo per spiegare la memoria, la creazione, il tempo, l'armoniadell'universo, la vita, un paragone per evocare la soavità dell'esperienza mistica, percercare vestigia della Trinità.[1]

Agostino ha dedicato alla musica un'opera specifica probabilmente incompiuta, il Demusica, che doveva far parte di un più ampio trattato enciclopedico sulle settediscipline liberali concernente un percorso per corporalia ad incorporalia (forse nonalieno da una certa polemica nei confronti del suo stesso manicheismo e comunqueancora molto legato ad idee neoplatoniche), risalente al periodo del suo battesimo.Nelle Retractationes egli stesso ci informa che in questi sei libri ha avuto tempo ditrattare solo del rhythmus, ma che sarebbe stato suo intendimento dedicare altrettantilibri anche al melos (il canto, appunto). E proprio questo desta meraviglia: che cioè inlui, il teologo dell'interiorità, la musica, dominio dei sensi, assuma uno spazio cosìnotevole.

Già Marrou aveva avanzato l'ipotesi di una certa evoluzione nel pensiero di Agostinosulla musica all'interno del De musica stesso e di una notevole e duratura presenza diquesto tema.[2] Marrou però con perentorietà (troppa?) afferma che «per Agostino lamusica è scienza matematica nello stesso modo dell'aritmetica e della geometria» (p.179) e fa notare che questo concetto di musica è tutt'altro da quello che noiintendiamo. D'altra parte lui stesso si trova costretto ad ammettere che «Agostinostesso ha un'esperienza musicale, nel senso moderno del termine. Una sensibilitàfremente come la sua non poteva rimanere insensibile alla potenza emotiva dellamusica» (p. 179). Strano è che anche quando il celebre studioso riconosce cheAgostino non si serve mai del termine musica / musicus per parlare della musicaartistica, ma sempre e solo del termine cantare, canticus, cantilena, non veda lapossibilità di una diversa linea di ricerca e concluda (tornando poi stranamente adanalizzare solo il De musica) che su questo argomento egli non ha innovato nulla. Èvero che il fraintendimento sui termini rischia di portare fuori strada, ma a maggiorragione è vero che per approfondire il concetto di musica pratica bisognerà battere lapista dei termini cantatio, cantus, iubilus, iubilatio e così via. È chiaro quindi ancheche tale concetto non va cercato nel De musica.

Chi infatti volesse studiare più a fondo quale sia stata la concezione di Agostino sullamusica resta un po' a bocca asciutta sia quando legge il suo De musica, sia quandocerca in altre opere: né lì né qui Agostino affronta e sviluppa il tema del melos. Non

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

2 di 23 16/01/15 07:11

Page 3: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

nel De musica, perché Agostino è ancora troppo legato a concezioni neoplatoniche chegli fanno considerare la musica dal punto di vista meramente filosofico, né d'altraparte nelle opere in cui la musica è trattata sì, ma solo in quanto metafora per altrerealtà. Del resto quest'ultimo fatto, che cioè sia proprio la musica a costituire ilsupporto metaforico di molti concetti della teologia agostiniana, lascia evidentementecapire che egli ebbe di questa disciplina una concezione molto alta, sicuramente moltopiù alta di quella che ne ebbero i suoi contemporanei.

Partiamo in conclusione con una certezza: il filo di Arianna che ci guiderà non sono itermini musica, musicus, ma unicamente cantus, cantatio, canticum e anche iubilus.Sono questi infatti i vocaboli che in Agostino indicano il concetto di musica pratica, dimelodia. Vi è però un altro problema difficile da affrontare. La schizofrenia con cuiegli nell'insieme della sua opera sembra accostarsi alla musica costituirebbe materiada lasciare agli studiosi della psicologia del profondo. Bisogna quindi anchedomandarsi perché Agostino da una parte senta il bisogno di utilizzare proprio lametafora della musica per spiegare i concetti più profondi della sua teologia (lamemoria, il tempo, la creazione, l'estasi), e dall'altra invece risulti così sospettosorispetto al piacere dell'arte. Solo un uomo con una sensibilità musicale vibrante comela sua poteva parlare degli effetti della musica sull'animo nei termini in cui sipresentano nelle Confessioni.

Certo, il problema della coniugazione delle arti con il culto è questione molto antica: lamusica ha sempre esercitato un certo fascino sull'uomo e sul suo rapporto con ladivinità (l'ambiguità del musicale è una costante nella vicenda della sua costituzione,ma del resto la musica e il canto condividono la sorte dell'estetico rispettoall'esperienza religiosa); ma in Agostino questo elemento attira maggiormente lanostra attenzione: la musica può fermare il credente ad un'esperienza diautocompiacimento che non conduce oltre, nella direzione del senso delle parolecantate, nell'elevazione della mente e dell'anima alla Gerusalemme celeste. Basterebbepensare alle descrizioni delle Confessioni, in cui si parla dell'essere presi e del restareimpigliati nel piacere dell'udito: ciò svilirebbe sia la portata del canto, sia l'eventocultuale, per non parlare poi della totale inversione che viene ad instaurarsi nelrapporto di ancillarità tra parola e musica, rapporto che, non diversamente dagli altripadri della Chiesa, anche in Agostino resta il punto di riferimento della sua trattazionesul canto.

Sappiamo che egli superò le sue perplessità e arrivò a legittimare la prassi del cantodei salmi soprattutto in base alla sua esperienza personale, ricordando che le parolecantate e ascoltate in chiesa, allorché era ancora giovane catecumeno, gli strapparonolacrime e commozione. Pur non pronunciando una sentenza irrevocabile, Agostino sicolloca tra coloro che al suo tempo sostennero l'utilità dell'uso del canto in chiesa dalmomento che secondo lui uno spirito debole sarebbe potuto arrivare al sentimentodella devozione anche attraverso il diletto delle orecchie (Confessioni X,33,50).

Davanti a questo elemento d'ambiguità, ci si è chiesti quanto la formazione retorica,con il conseguente giudizio negativo su di essa dell'Agostino convertito, possa averinfluito sulle sue successive concezioni musicali. Considerando infatti l'evoluzionedella melodia, «tecnicamente non esiste soluzione di continuità tra lingua parlata elingua cantata».[3] Come l'antica poesia epica, le narrazioni popolari e la cantillazione,anche il discorso retorico conosceva la portata delle inflessioni e dei gradi melodicidella voce umana sulle emozioni dell'ascoltatore. L'antica querelle tra filosofia e

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

3 di 23 16/01/15 07:11

Page 4: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

retorica si costituiva in fondo come una disputa tra verità e persuasione; ma allora ilcanto si sarebbe trovato tutto dalla parte del secondo termine, nella la sua accezionenegativa.

Da quale opera prendere dunque le mosse? Una sola sembra rispondere ai criteri diquesta ricerca: le Enarrationes in Psalmos. In primo luogo perché la lettura delleEnarrationes in Psalmos suppone una prospettiva imprescindibile, ovvero il caratterepastorale, ecclesiale e liturgico che inquadra ogni tema, quindi anche quello del canto.In secondo luogo (e di conseguenza) perché il canto, in ambito liturgico, ha giàassunto e risolto in sé ogni possibile deviazione, in quanto già sposato alla Parola: ècanto dei salmi. Del resto è proprio a partire dall'esperienza liturgica in una chiesa diMilano, quindi dall'esperienza del positivo connubio tra canto e culto, che Agostinogiunse a convincersi e propendere per la grande utilità del canto. Solo nelleEnarrationes in Psalmos si trova un abbozzo di quella che per Agostino sarebbedovuta diventare una trattazione sul melos, anche se non è presente una visionesistematica di una vera e propria teologia del canto. Le Enarrationes in Psalmospresentano infatti il singolare approfondimento del concetto di giubilo: qui il puromelos prende un suo spazio autonomo. Agostino in questo si dimostra moltomoderno: con lo iubilus il musicale puro prende una sua direzione autonoma rispettoalla parola, al testo della Scrittura, aprendo lo spazio alla sola voce.

Si può dunque ipotizzare che nel periodo successivo al suo ritorno in Africa Agostinoabbia maturato una teoria sul melos, che tuttavia gli impegni del ministero non glipermisero di stendere in trattato, ma di cui forse le Enarrationes hanno raccoltotracce in modo sparso. Secondo S. Corbin il tempo che sarebbe mancato ad Agostinonon fu tanto quello per scrivere il libro quanto quello per documentarsi in modocompleto sull'argomento, che necessitava di cognizioni assai precise,[4] idea del restoforse ripresa da Marrou che rileva le sue notevoli lacune in questo campo.[5]

Comunque stiano le cose, qui cercheremo qualche abbozzo di questo particolareinteresse che non ha potuto ricevere uno sviluppo sistematico.

Se l'ipotesi è corretta, bisogna osservare anche che il tema della musica, che nel Demusica risente ancora fortemente di un influsso neoplatonico, si sarebbe andatoliberando dei suoi elementi più filosofici (pitagorici) contemporaneamente allosviluppo pieno della fede cristiana, aprendo così un varco al concetto moderno dimusica. Capiamo quindi i dubbi e le incertezze dei primi studiosi dell'introduzione delcanto nella chiesa, ma soprattutto l'importanza di uno studio su questo specifico tema.

2. Connotazioni dello iubilus

Veniamo dunque al canto senza parole. Questo, a nostro avviso, è il tema in cui piùspiccatamente emerge l'originalità di Agostino. Per lui, il canto che piace a Dio haanzitutto la caratteristica di essere ineffabile, senza parole; egli connota questo attodel cantare con il verbo «giubilare».[6] Lo iubilus ebbe molta importanza nellosviluppo dell'arte musicale cristiana, raccordandosi alle origini del canto melismatico.È tuttavia errato identificare lo iubilus con l'alleluia: infatti tutti i passi in cui Agostinoparla dello iubilus si riferiscono a salmi, mentre l'alleluia è paragonato «al keleumache era in origine il canto dei vogatori, canto cadenzato ritmicamente allo scopo discandire i tempi della remata ... Agostino parla dello iubilus tutte le volte che ne haoccasione -- vale a dire appena ricorrono nel salterio i termini iubilare, iubilatio -- ma

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

4 di 23 16/01/15 07:11

Page 5: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

non ne fa parola quando parla dell'Alleluia».[7]

Registriamo quindi una connotazione biblica del giubilo: è sempre a partire dallascrittura che si parla del giubilo, e sempre i presenti devono rispecchiarsi in essa. C'ècome un percorso della lode (come anche della fede) che inizia dalle Scritture. Infatti,dice Agostino, Dio ha tratto perfetta lode dalla bocca dei bambini e dei lattanti,affinché coloro che desiderano pervenire alla conoscenza della gloria inizino dalla fedenelle Scritture, ma la gloria si innalza sopra le Scritture stesse, in quanto trascende esupera le espressioni di ogni parola e di ogni linguaggio (Enarratio 8,8).

Offertorium «Iubilate Deo universa terra» (Graduale triplex, pp. 227-228).Benché molto posteriore ad Agostino nella sua forma classica, il canto gregoriano affondale sue radici nel primitivo canto della Chiesa. Tra le molte composizioni che possonoesemplificare le osservazioni di Agostino, particolarmente adatto è l'offertorium ricavatodal testo del salmo 65, che inizia con un invito al giubilo: «Giubilate a Dio, terra tutta,giubilate a Dio, terra tutta». L'intera composizione è molto ornata, ma spicca soprattutto illungo «melisma» sulla a del secondo «iubilate», che si sviluppa per quasi cinquanta note.L'invito al giubilo, ripetuto per due volte per maggiore enfasi affettiva, viene così realizzatoproprio quando lo si pronuncia.

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

5 di 23 16/01/15 07:11

Page 6: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

[Offertorium in formato midi, Offertorium in formato mp3 (estratto, 350 K, da NovaSchola Gregoriana / Alberto Turco, Adorate Deum. Gregorian Chant fron the Proper ofthe Mass, Naxos 8.550711, 1993).]

2.1. Il retroterra filosofico

Ciononostante, bisogna sottolineare che nella Bibbia non è presente alcuna riflessionesul musicale come incarnazione o forma trascendente del mondo, ovvero comerivelazione di una particolare verità divina. Il tema compare solo quando ilcristianesimo interagisce col platonismo, in cui il musicale è visto come eco oimmagine sensibile di una forma trascendente. La musica nel suo enigmaincomprensibile è del resto sempre stata oggetto di una particolare attenzione da partedella filosofia. Considerata in un nesso oscuro con il divino, la si trova collegata ad unateologia già negli antichi miti cosmogonici orientali. Quando però la filosofia in Greciacercò di svelarne il segreto, si divise in due linee interpretative. Più volte nella musicasi distinse

una musica puramente pensata, musica come scienza teoretica, a volte strumentoprivilegiato di ascesi mistica o musica come attrazione dei sensi, e una musicaconcretamente udita ed eseguita, come suono fisico e corporeo e perciò possibile strumentodi perdizione. La musica come ascesi risale all'estetica pitagorica dei numeri; la musica comeconcreto fluire di suoni, oggetto di piacere sensibile, ci riporta ad una estetica di carattereempiristico a sfondo aristotelico e ad una concezione della stessa come imitazione dellepassioni.[8]

Spesso questi due campi non sono però molto ben distinti negli autori. Già Filone, cheè molto critico nei confronti di ogni tipo di piacere sensibile e ammette la musica solocome preparazione alla filosofia, in un passaggio rilevato da Gérold la rivalutasoprattutto nello strumento della voce, che considera il più perfetto.[9] La musica èimmagine di un modello originale, la rappresentazione fuggitiva di qualcosa di eterno.Filone distingue il canto dell'uomo da quello degli altri animali, perché quellodell'uomo può articolare la parola e può fare melodie che raggiungono non solo leorecchie, ma anche la mente (De opificio 70-71). Ci sono reminiscenze pitagoriche, maegli va oltre, perché introduce una mistica della musica. In riferimento al problemadell'estasi parla infatti di una musica che conduce all'unione con Dio. Gérold fa notareal riguardo che nel culto di Dioniso i partecipanti pervenivano ad uno stato di estasi,lasciandosi trasportare da una musica molto violenta; ma la concezione di Filonesull'unione con Dio è molto diversa: l'anima deve elevarsi (è chiaro il riferimento alSimposio di Platone) verso il luogo della musica perfetta, e può farlo tramite una sortadi entusiasmo, ma è Dio ad operare un'attrazione sull'anima -- paragonata a quella diuna musica -- e a tirarla fuori dalla prigione del corpo (Quis rerum divinarum heressit 69). Secondo Filone, la gioia della presenza divina arresta la parola, perché lacontemplazione dell'essere supremo si fa nel silenzio, non nei canti a voce spiegata,ma in quelli proferiti dallo spirito interiore invisibile. Secondo la più classicatradizione apofatica filosofica, il termine che indica questa ineffabilità è árrheton.[10]

Nel neoplatonismo la musica era considerata una delle vie per giungere all'unione con

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

6 di 23 16/01/15 07:11

Page 7: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

l'Uno, anche se per lo più era ritenuta una espressione della matematica. Plotinoafferma:

Il musico è commosso e trasportato dal bello e, incapace di commuoversi da sé, è apertoall'influenza delle prime impressioni e come gli uomini timidi di fronte ai più piccoli rumori,è sensibile ai suoni e alla loro bellezza, evita sempre nei canti il disaccordo e la discordanza enei ritmi si compiace delle misura e dell'accordo. Dopo i suoni, i ritmi e le figure sensibili,egli deve separare la materia in cui si attuano gli accordi e le proporzioni e intuire la bellezzadegli accordi in se stessi e comprendere che le cose che lo incantavano sono intelligibili.[11]

Anche Plotino (come poi farà Agostino) usa volentieri la metafora della voce e delsuono per spiegare l'essere (VI, 4,12; VI,9,8). Non solo, ma egli cita la musica parlandodel Bello e afferma: «Il bello è nella vista, è anche nell'udito, nella combinazione delleparole e nella musica in genere: belli sono infatti le melodie e i ritmi» (I,6,1). E ancora:«le armonie impercettibili al senso sono quelle che fanno le armonie sensibili e peropera di quelle l'anima può intuirne la bellezza, poiché esse le rivelano l'identico neldiverso. Per conseguenza le armonie sensibili sono misurate da numeri non in unrapporto qualsiasi, ma in uno che è subordinato all'azione sovrana della forma»(I,6,3). Ma il suono è movimento (VI,3,19) e quindi la musica fa ancora parte deltemporale, della realtà sensibile e materiale. Per giungere all'unione con l'Uno invecebisognerà trascendere anche la musica e inoltrarsi al di là dei suoni.

Mentre in Plotino la musica è ancora utilizzata almeno come metafora, in Porfirio nonresta più neanche la minima possibilità di esprimere alcunché per mezzo dei sensi.Quest'ultimo si interessò molto della musica, ma pare che il suo trattato (andatoperduto) fosse stato redatto con minor sensibilità artistica di quella che abbiamoincontrato in Plotino. La musica per Porfirio è solo teoria.

Anche Giamblico ha delle interessanti affermazioni sulla musica: egli distingue estasied entusiasmo. La prima è demoniaca, il secondo è divino. Non è la musica a crearel'entusiasmo, ma il contrario: esso procede dall'armonia divina. Insomma, anche quila musica stabilisce un rapporto tra Dio e l'uomo, ma il culto più perfetto resta quellodel silenzio.[12]

Sembra perciò che non siano tanto le concezioni musicali della tradizione filosofica,ma il concetto di «ineffabilità» e il collegamento di questo con l'esperienza del divinoad aprirci una chiave di lettura del concetto di iubilus agostiniano. La nostra ipotesi èche Agostino sia stato attratto dall'elemento dell'ineffabilità del giubilo a causa di uninflusso della dottrina neoplatonica sul silenzio, o meglio da quella che è statachiamata la teologia negativa, con il suo corrispondente concetto di ineffabilità, e inparticolare dal rilievo che in questo sistema filosofico tale concetto assume riguardo alrapporto con Dio e all'esperienza mistica. «Senza parole» (árrheton) infatti, per ifilosofi platonici e neoplatonici, era una caratteristica del divino; conseguenzaimprescindibile di questa ineffabilità di Dio nell'uomo era l'atteggiamento di silenzio,considerato anche l'unico vero culto. In molti filosofi, infatti, la musica non avevaassolutamente un carattere spirituale, anzi era disprezzata, essendo riservata al cultomateriale degli déi inferiori.

Per cercare di fondare più incisivamente le nostre conclusioni, ripercorriamo a granditratti come questo concetto di ineffabilità emerga e vada congiungendosi con

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

7 di 23 16/01/15 07:11

Page 8: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

l'esperienza mistica nella tradizione filosofica. Nella prima ipotesi del ParmenidePlatone afferma al termine della sua riflessione sull'Uno assoluto: «A lui nonappartiene alcun nome, non vi è in esso né definizione, né scienza, né sensazione, néopinione... Non vi è persona che lo nomini, che lo esprima, che lo concepisca o loconosca» (Parmenide 142a).

Plotino insiste a più riprese sulla necessità di fare silenzio per rendersi accetti all'Uno(VI,9). L'Uno stesso è ineffabile (V,3,13-14; 4,1; 5,6; 9,4.5.10.11). Parimenti noi siamo«uniti al Dio presente nel silenzio». L'ineffabilità assume largo spazio in questosistema filosofico, essendo intrinseca all'estasi e all'unione fusionale dell'uomo con ilprimo principio (V,3,13.14.17; V,4,1), estasi che Beierwaltes chiama la«de-differenziata unione (hénosis) con l'Uno».[13] Se il primo principio è ineffabile,l'unico atteggiamento che l'uomo può avere di fronte ad esso è il silenzio (sigé). DicePlotino:

[L'Uno-Bene] è al di là dell'essenza e al di là dell'autosufficienza. Dicendo queste cosepossiamo essere contenti ed andarcene? No. L'anima soffre ancora le sue doglie e ancora dipiù. Forse è bene che essa finalmente partorisca dopo essersi slanciata verso di Lui nelmomento culminante dei suoi dolori. Ma dovremmo forse incantarla... e forse l'incantesimoper le sue doglie potrebbe nascere perfino dai ragionamenti fatti finora se li volessimoripetere... L'anima che corre dietro a tutte le verità, anche a quelle di cui soltantopartecipiamo, si eclissa tuttavia quando si esige che essa parli e pensi logicamente, dalmomento che è necessario che il pensiero discorsivo, per poter dire qualcosa, colga i concettil'uno dopo l'altro: solo così infatti si ha il processo del pensiero. Ma in chi è assolutamentesemplice quale processo è possibile? Nessuno; ma basterà un semplice contatto interiore. Madurante il contatto -- almeno finché avviene -- non si avrà affatto né la possibilità, né ilbisogno di parlare: solo più tardi si potrà ragionarci sopra (V,3,17).

L'anima che si riunisce all'Uno quindi non può più parlare, perché in quella unionenon c'è possibilità di dialogo, il quale implicherebbe una certa distinzione, un faccia afaccia. Il primo principio può essere contemplato solo quando si raggiunge l'assenza diogni attività noetica, superiore al pensiero stesso. L'eclissarsi della coscienza quindicorrisponde al contatto con la divinità che esige silenzio, perché vi è solo fusionenell'uno indistinto. Questa unità non ammette distinzione. Per spiegare questa unionesuperiore il linguaggio è costretto a spezzarsi:

Come il linguaggio parlato è un'immagine del linguaggio interiore dell'anima, così questo èun immagine di quello interiore ad un altro essere. E come il linguaggio parlato rispetto aquello dell'anima si frantuma in parole, così quello dell'anima rispetto all'altro superiore èframmentario quando cerca di esporlo (I, 2,3).

Nel trattato intitolato La contemplazione Plotino suggerisce che anche la natura hauna sua attività che è il silenzio: «Se gli chiedi come la produce, egli ti risponderà: nonsi tratta di parlarne ma di comprendere in silenzio come io che resto in silenzio e nonho l'abitudine di parlare» (VI, 8,11). La natura produce spontaneamente silenzio pereffetto della sua sola contemplazione.

Anche Porfirio, discepolo di Plotino, afferma che «a Dio che è sopra ogni cosa non sipronuncia nulla di sensibile» (Abstinentia ad esu animalium II, 34). Come prima, il

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

8 di 23 16/01/15 07:11

Page 9: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

termine usato è árrheton. Secondo lui la preghiera che ci avvicina a Dio è fatta insilenzio e nel pensiero puro. Leggiamo infatti nella sua Lettera a Marcella: «Il saggio,quando fa silenzio, onora Dio» (16), ma «la preghiera dell'indolente è un vano brusiodi parole» (12). È opportuno ricordare che il concetto di Uno-Bene plotiniano èmodificato da Porfirio, il quale (nella sua cosiddetta fase post-plotiniana) sostiene cheil primo Uno non è più senza relazioni, assolutamente separato e trascendente, ma unUno-Trino.[14] Ora, questa «triade intelligibile» ha le caratteristiche insieme dellaprima e della seconda ipotesi del Parmenide di Platone, risultando così sia ineffabilesia enunciabile. L'influsso delle concezioni della metafisica di Porfirio sullaformulazione dei padri del dogma trinitario è dimostrato;[15] c'è da chiedersi tuttaviase anche questa fusione di ineffabilità ed enunciabilità abbia avuto un'influenzasull'idea cristiana di Dio (spiegando forse così, come vedremo meglio, anche ilparadosso dello iubilus).

Più che le idee sulla musica, quindi, serve al nostro scopo l'idea di ineffabilità dellatradizione filosofica, e in particolare il collegamento di questa caratteristica con laconcezione del culto. Quasten ha ben dimostrato come per tutta la tradizione filosoficafino al neoplatonismo il vero «culto logico (logiké thysía)», l'unico degno delladivinità suprema, era un sacrificio interiore, fatto nello spirito, che escludeva in modocategorico non solo i sacrifici cruenti, ma anche la musica.[16] Il vero culto interiore siconsumava senza parole, nel silenzio dell'estasi. Ora, lo iubilus in Agostino presenta lestesse caratteristiche di questo culto logico essendo collegato pure all'estasi: nellaEnarratio 37,12 Agostino dice chiaramente che quel nescio quid intravisto nell'estasi èintrinsecamente collegato a «parole ineffabili».[17]

2.2. Le novità

Tra i padri, Agostino è quello che più si occupa dello iubilus. Il fenomeno dello iubilusnon doveva del resto essere sporadico, ma di larghissimo impiego, altrimenti egli nonne avrebbe parlato così spesso e con così tanto entusiasmo. Si noti però chel'«entusiasmo» con cui Agostino parla del giubilo potrebbe derivare proprio dallaparticolare valenza che egli gli dà, da una parte in polemica -- come dimostreremo --con un certo tipo di esperienza religiosa neoplatonica, dall'altra per affermare lapeculiarità dell'esperienza della fede cristiana.

Supposto anche che il termine implicasse un gioioso vocalizzo «senza parole» (chetuttavia non risulta mai esplicitamente in alcuno testo precedente), Agostino èoriginale nel fatto stesso che si sofferma a spiegarlo, e soprattutto perché sottolineafino ad ampliarla notevolmente l'idea di ineffabilità sottesa al concetto di giubilo.«Immoliamo una vittima di giubilo, di gioia ... quella che le parole non possonoesprimere» (Enarratio 26, II,12). L'idea di «sacrificio spirituale» avvicina moltoquesto concetto a quello della thysía logiké dei platonici, che implicava silenzio eineffabilità. Ma a differenza dell'ineffabilità neoplatonica, qui abbiamo anzitutto lagioia profonda che non può essere espressa a causa della limitatezza della parola:infatti l'abundantissimum et inenarrabile gaudium non può essere detto con nessunaparola. In secondo luogo abbiamo il paradosso di una ineffabilità che tuttavia èenunciata. Il discorso vacilla già riguardo alle creature di Dio, dice Agostino, quantopiù davanti al Creatore stesso, davanti alla cui grandezza però il giubilo (e solo esso) èin grado di reggere (restet). Quindi, se da una parte la caratteristica dell'ineffabilità

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

9 di 23 16/01/15 07:11

Page 10: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

accomuna questo elemento alla thysía logiké, dall'altra vi è una profonda differenza,perché lì l'adorazione sfociava nel silenzio (sigé), qui invece nello iubilus.

Procediamo ora all'indagine delle caratteristiche dello iubilus agostiniano tramiteun'analisi progressiva delle Enarrationes che lo riguardano. Vediamo anzitutto leconnotazioni del giubilo nel contesto della Enarratio 32. Il giubilo viene identificatocon il bene canere (32,II,I,8). Giubilare significa comprendere e non poter esplicareciò che il cuore canta. Rimandiamo l'approfondimento della caratteristica delcomprendere a più avanti; per ora soffermiamoci su questa impossibilità dell'uso di unlinguaggio discorsivo. Il canto interiore e quello esteriore sembrano non collimare: ilcanto interiore risulta infatti maggiore del canto esteriore, così da non poter esseretotalmente espresso da questo. Le sillabe devono perciò come esplodere per lasciarrisuonare la sola voce umana. Il cuore deve emettere, partorire ciò che non può esseredetto (65,2). Si partorisce ciò che è concepito, e questo ci rimanda ancora una voltaalla dimensione del comprendere. Ciò che non può essere detto trae la sua ineffabilitàdall'impossibilità di riuscire ad esprime adeguatamente colui che è grandioso,ineffabile. Ma del resto non si può neppure tacere: tacere non debes! Il giubilo èquel'atto quindi che riunisce in una dinamica paradossale questi due elementi:l'ineffabilità ed l'enunciabilità di Dio. O forse, più semplicemente, la gioia, che è unbene che tende di per sé a diffondersi, comunicarsi e parteciparsi, e la parola chedichiara la sua limitatezza.

Nel 389, nel De Genesi contra Manichaeos, Agostino riteneva che il linguaggio fosseuna conseguenza della caduta susseguente al peccato originale. Infatti, prima dellacaduta, Dio parlava immediatamente all'intelletto dell'uomo. Il linguaggio era quindiconsiderato una necessità nel contesto dell'umanità decaduta, radicalmente segnatada una sorta di impotenza a realizzare un qualche contatto interiore immediato conDio-verità. In questa fase la corporeità sembra avere un carattere negativo. In seguitoAgostino sembrerebbe convincersi del fatto che, dal momento che nessunprocedimento razionale avrebbe mai potuto eliminare il limite posto dalla corporeità,anche quest'ultima sarebbe dovuta rientrare nell'ordine dei signa e avrebbe dovutoperciò costituire un dato irrinunciabile e positivo. Nelle Enarrationes, quindi attornoal 412, sembra compiersi questo passo ulteriore: si arriva infatti a concepire nelloiubilus un tipo di espressione linguistica che pur nascendo dall'intimo, dall'interno delcuore, si esprime tramite lo strumento della voce, cioè tramite la corporeità, anzitramite il limite stesso di questa. Il limite della corporeità costituisce ora un fattorepositivo. Tramite il giubilo il corpo entra a pieno titolo come parte integrantedell'espressione dell'esperienza della fede. Secondo l'immagine offerta da Agostino dellimite delle sillabe che viene spezzato, il corpo, cioè il sensibile, risulta ormai capaceappunto nel suo limite di dire l'indicibile, a differenza di quanto accadeva in Porfirio(«Quanto più si desidera il corpo tanto più si ignora Dio», Lettera a Marcella 13).

L'Enarratio che più ci interessa dopo quella sul salmo 32, è la 46,7, che spiega checosa sia il giubilo e lo collega all'estasi dell'ammirazione. Agostino precisa che talesentimento si addice ai riuniti, perché nella liturgia -- riconoscendosi nella Scritturacome in uno specchio (46,2) -- i presenti stanno facendo la stessa esperienza deidiscepoli che vedono Cristo ascendere al cielo, pur restando misteriosamente tra loro(46,7). Qui si parla di una admiratio gaudii e si approfondisce quale sia l'origine diquesta gioia: lo stupore di fronte alla contemplazione del mistero di Cristo, della suacroce e della sua ascensione al cielo. Per questo gaudio verba non sufficiebant. I

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

10 di 23 16/01/15 07:11

Page 11: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

discepoli che guardano il Signore salire al cielo fanno una vera esperienza mistica:sono presi da stupore e da meraviglia e non riescono a dire nulla. L'ek-stasi èsottolineata dal fatto che per l'ammirazione essi erano come andati fuori di sé. Vienealla luce così anche una connotazione liturgica: lo iubilus si presenta come risposta adun aspetto particolare o all'intero mistero di Gesù Cristo Signore celebrato. Agostinotermina questa breve ricostruzione del momento dell'ascensione dicendo ai presentiche l'esperienza di gioia che stanno facendo («et vos gaudetis»), perché comprendonoil significato dell'essere radunati («quia videtis hic vos»), è quella stessa esperienza«mistica» dei figli di Core («ergo vos filii Core»).

Altra Enarratio importante è la 65,2. In questa al concetto di giubilo si aggiunge unacaratteristica ecumenica. Qui il verbo «giubilare» ha una caratteristica universale: chiaderisce ad una fazione (pars) non potrà giubilare, ma solo ululare. Ciò che fa delgiubilo un vero canto è la comunione, cioè la sua caratteristica ecclesiale, comunitaria.Cantare assieme al tutto (totum tenet) fa della vociferazione gioiosa degli uomini unitidal mistero di Cristo, resi partecipi della resurrezione, un grido di gioia e di vittoria enon un lamento o, al modo delle bestie, un ululato: nella fazione non c'è giubilo, masolo un ululato, al pari degli animali. Il vero giubilo è quello di tutta la terra. Comeprima, è sempre la contemplazione del mistero della morte e risurrezione del SignoreGesù a provocare il grido di giubilo. Giubilare significa l'erompere della gioia nella solavoce, senza parole. Non si giubila con parole, con verbi, ma solo emettendo un suonodi gioia che con le parole non si riesce ad esprimere. Anche qui è sotteso il paragonecon la partoriente: avviene come se le cose che si sono concepite (con l'intelletto)partoriscano e diano alla luce la letizia del cuore nella sola voce, perché con i concetti(verba) essa non si può esplicare.

Una piccola annotazione della Enarratio 80,3 sottolinea ancora una voltal'impossibilità di restare muti: «Se non potete spiegarvi con le parole non per questoabbia termine la vostra esultanza; se potete spiegare, gridate, se non potete giubilate».Il grido è qui visto come una dimensione originaria della costituzione di senso dellinguaggio. Tuttavia l'abbondanza delle gioie per le quali non sono sufficienti le paroleè solita erompere in giubilo. Infatti (come nella Enarratio 32,II,8) si parla sì di unaimpossibilità della parola di esprimere Dio, ma si aggiunge anche che Dio non lo sipuò tacere, anzi Agostino sottolinea che chi ha veduto la salvezza di Dio non puòrestare muto davanti a Dio, deve parlare. Restare in silenzio esprimerebbe addiritturaingratitudine.

L'Enarratio 88, I, 16-17 aggiunge un ulteriore connotato al giubilo, fino ad ora vistosolo di sfuggita: l'elemento della comprensione (secundum scientiam). Se il linguaggiodiscorsivo non è sufficiente ad esprimere la letizia, allora beato il popolo che sagiubilare (sciens iubilationem). Cosa vuol dire saper giubilare? Qui Agostino gioca contre significati del verbo latino «intelligere» (che egli sostituisce al testo biblico, cheinvece porta «scire»). In primo luogo significa che è beato il popolo che non restamuto, ma riesce ad esprimere comunque la sua letizia, anche senza le parole. Insecondo luogo è beato il popolo che comprende e sa da dove (unde) gli proviene lagioia che le parole non possono esprimere. In terzo luogo significa vedere e capire checosa significa che qualcuno giubila, che senso ha in sé il giubilare, la comprensioneprofonda di questo atto. Ma se, come afferma Marrou, ars è ciò che si riconduceall'intelligenza, a quella ragione per la quale l'uomo è essenzialmente uomo,[18] eccoallora che ci troviamo non solo davanti ad una nuova concezione di musica, la vera e

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

11 di 23 16/01/15 07:11

Page 12: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

propria arte pratica (secondo il nostro significato moderno, insomma), ma forse giàdavanti ad una «teologia del canto», come vedremo ancora più chiaramente.

Tra le più interessanti Enarrationes che riguardano il giubilo entra in questione anchela famosa Enarratio 94,1-10, che accosta l'idea del giubilo alla gioia (94,1.4), alretroterra popolare (i cantastorie 94,3), spiega il motivo della ripetizione (94,5) einfine espone i motivi del giubilo (94,6-10). Il paragrafo 3 è tutto dedicato alladefinizione del giubilo, di cui vengono ripetute le caratteristiche che abbiamo giàpotuto vedere: l'allegria incontenibile derivante da Dio, partorita senza parole edenunciata senza parole, solo nelle grida.

Al paragrafo 5 invece viene esplicitata una connotazione in più: la ripetizione(elemento questo che interessa forse la storia dello sviluppo melismatico del canto).Nel punto precedente (94,3) si era parlato di affectus: il giubilo è collegato, più che adun'idea, ad un affectus che il cuore concepisce, ma che il discorso logico non puòesprimere. La caratteristica fondamentale del canto è muovere l'affectus. Con il canto,assieme alle melodie, entrano nel cuore i concetti delle parole. Qui Agostino ampliaulteriormente il discorso, dicendo, in altre parole, che quando l'animo è ricolmo dicommozione, non un linguaggio discorsivo-razionale può esprimere il linguaggio delcuore, ma la stessa ripetizione, la cantilena, cioè il puro musicale e sonoro. Lo stessoCristo usava parlare ripetendo Amen, per arrivare al cuore dei suoi discepoli, perconfermare ed esortare, per muovere non solo il loro intelletto, ma anche la lorovolontà, il loro cuore. Si ripete per manifestare la pienezza del sentimento e perchétale ripetizione sia un rafforzamento, una intensificazione del linguaggiocomunicativo, volutamente al di fuori del codice logico-razionale (in fondo è ilprincipio delle nenie che ogni madre intuitivamente canta al proprio bambino).

Vediamo così come nel giubilo l'intelletto e l'emozione entrino allo stesso titolo comeparte di un unico evento di fede. La musica infatti porta il dato emotivo ad un livellosimbolico attingibile dall'intelletto. La comunicazione del giubilo risuona così a tutti isensi e coinvolge la totalità dell'essere umano (il suo corpo, i suoi affetti, la suacapacità relazionale). Qui più che il testo, è proprio la musica a definire esattamente ilsignificato di ciò che si vuole esprimere, un significato che in nessun altro modo, senon attraverso l'esperienza di una intimità, potrebbe essere realmente percepito e chesolo così può arrivare diritto nel profondo del cuore:

Il cantare -- insomma -- è più antico del parlare. Ben prima di poter parlare, l'essere umanoesprime il suo stato d'animo con immagini sonore a mo' di canto. Tuttavia la musica in sensoproprio non è formata da rumori amorfi, ma è un evento sonoro voluto e prodottoconsapevolmente, con suoni e toni che hanno una propria legge e una propria logica.Nonostante tutta la sua razionalità, però, essa viene colta anzitutto in modo emozionale.[19]

Ai paragrafi 5-6 si espongono i motivi del giubilo, che nella Enarratio precedenteerano rimasti solo incoativi nell'unde che il popolo conosceva, ma che non era statoesplicato. Il primo motivo del nostro giubilo -- dice Agostino -- è la grandezza di Dio,poi la sua unicità, la sua signoria, la sua misericordia, la potenza con la quale regge eguida la creazione e la storia. Motivo del giubilo è la meraviglia (46,7) per l'opera diDio nelle sue manifestazioni lungo la storia della salvezza: si giubila per la creazione(26, I,6; 26,II,12; 94,5.9; 99,16), per la fede (26,II,13), per il mistero dell'incarnazione,

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

12 di 23 16/01/15 07:11

Page 13: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

morte e risurrezione di Cristo: «Ho considerato il mondo che crede in Cristo e il fattoche Dio si è umiliato nel tempo per noi, con gioia l'ho lodato» (26,I,6). Ancora, sigiubila per la grazia (88,I,17), per la pace cattolica (94,8), e soprattutto per lagrandezza di Dio (94,6), e cioè senza motivo, gratuitamente e perciò ripetutamente,come ad esprimere la sovrabbondanza della grazia (94,5). Si giubila per la remissionedei peccati (97,4). La stessa vita eterna sarà un eterno giubilo (102,8.10.29; 148,1;99,8.11).

L'Enarratio 97,4 rende evidente in modo ancora più esplicito la prerogativacomunicativa e relazionale del giubilo. Viene infatti nettamente respintol'atteggiamento di silenzio (sigé), di mutismo dinanzi a Dio. A Dio si deve parlare,perché lui è l'autore della salvezza. Qui notiamo, se non una chiara polemica, almenouna netta presa di distanza dalla concezione dell'ineffabilità dell'esperienza misticaneoplatonica.

Degna di nota per la nostra analisi è anche l'Enarratio 99,1-6. Qui le caratteristichesottolineate sono: la cattolicità (2) la necessità della comprensione, la partecipazione(3.6), la gioia e il contesto agreste (4); l'ineffabilità (5). L'esortazione a giubilare non sirivolge ad un angolo della terra o ad un piccolo raggruppamento di persone, mapoiché ovunque Dio ha sparso i semi della sua benedizione, è necessario che da tutta laterra si giubili. In secondo luogo si dice che capire cosa significhi giubilare rende beati.Il tema lo si è già incontrato precedentemente; qui si dice lo stesso in altre parole e conaltre sfumature. Secondo Agostino non si deve manifestare il giubilo senza avercompreso che cosa rappresenti il giubilare, senza aver compreso che cosa sia il giubiloe da dove esso derivi.

Questo tipo di comprensione però è particolare: è la voce del cuore. Questa, da cuiscaturisce il giubilo, non è di tipo deduttivo, razionale: è una comprensione più ampiae non circoscritta al solo raziocinio. È significativo che al paragrafo 6 Agostino cominciad esprimersi in modo quasi sinestesico:[20] si sente, si comprende, si gusta, si avverte(diligens cogitatione, intuere, mirare, sentire). Avvicinarsi a Dio implica una adesionedel cuore al mistero della fede, una trasformazione che renda conformi alla suaimmagine (si dissimilis sis, repelleris). Si fa esperienza di Dio nella misura in cuiaumenta la carità, perché Dio è carità. Viene usato il verbo «persentiscere» che vuoldire «accorgersi, rendersi conto, sentire profondamente»: siamo in pieno ambito disensi spirituali. Tuttavia fare esperienza di Dio vuol dire anche essere in dinamica,cambiare di continuo la nostra precedente immagine di Dio, accorgersi che si credevasoltanto di conoscerlo e di poterlo esprimere, di poterne parlare.

In ciò Agostino concorda con i neoplatonici, che affermavano che l'anima non puòparlare e pensare logicamente della sua partecipazione alla verità, dal momento che ilpensiero discorsivo utilizza i concetti l'uno dopo l'altro, secondo il processo delpensiero. Più in generale è comune l'idea che l'esperienza sensibile costituisca il puntodi partenza per questo processo ad incorporalia. Ma mentre in Plotino il pensierostesso torna alla sua origine trasformandosi in questa stessa origine («il simile conosceil simile», Porfirio, Commentario IV,25), per Agostino questa origine è Dio nella suarelazione trinitaria. Quindi egli si differenzia dai neoplatonici dal momento che per luil'anima non ha bisogno di eclissarsi, di scomparire. Non vi è infatti un oblio dellacoscienza, ma come un suo «presentire». La persona quindi non si ottunde, ma resta,e proprio nel suo dire e comunicare «balbettando» manifesta una realtà più grande, adessa rimanda e di essa così fa esperienza (come sempre più grande, sempre oltre). In

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

13 di 23 16/01/15 07:11

Page 14: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

questa insufficienza dell'espressione proprio l'esperienza sensibile apre all'ulteriore.L'Uno-Bene plotiniano comporta, al termine del processo, un divenire una sola cosacon esso. Essendo superata ogni distinzione tra pensiero e pensato, questo movimentoin Plotino appare come una forma di autoredenzione.[21] Invece la prospettiva diAgostino, anche se non può essere pensata senza le implicazioni e i debiti filosofici, ècondizionata dalla Sacra Scrittura che è anzitutto il Logos, condizione di possibilità eaiuto per la salvezza.

Per questo l'avvicinarsi a Dio, o fare esperienza di lui, in Agostino includenecessariamente la purificazione del cuore, cioè una vita di continua conversione(dimensione etica del giubilo), che implica la grazia, evidente nel fatto che percomprendere il giubilo si deve giubilare, ci si deve inserire in esso: «Ma come dovreilodare? Obbietterai. Non so esprimere nemmeno quel poco che ho potutocomprendere nella mia cognizione parziale, ottenuta per via di immagini e con lospecchio. Ebbene ascolta il salmo. Comprenderai il giubilo di tutta la terra se tu stessogiubili al Signore» (99,5). Si tratta non solo di ascoltare la parola, ma di eseguirla,tramite un continuo processo di conversione della propria vita.

L'Enarratio 150,8 ci offre un ultimo importante elemento. Crediamo di ritrovare qui(siamo alla fine di tutta l'opera del commento ai salmi) l'identificazione dello iubiluscon quella logiké thysía di filosofica memoria. Infatti i connotati del giubilo sono glistessi che avrebbe dovuto avere quel culto spirituale: «iubilatio namque, id estineffabilis laus, nonnisi ab anima proficiscitur». Poco sopra Agostino aveva affermatoche «tria est genera sonorum: voce, flatu, pulsu», quindi la voce umana comestrumento, il coro come l'espressione di questa voce (vox est in choro). Quasi allaricerca di vestigia di triadi, egli propone parallelismi secondo i quali la vocecorrisponderebbe alla mente, lo strumento a fiato allo spirito e quello a percussione alcorpo («vox est in choro, flatus in tuba, pulsus in cithara; tamquam mens, spiritus,corpus»). Si fa inoltre riferimento alla lode che il cristiano, prim'ancora di fare, è nellasua stessa persona («in quibus ut Deum laudent nisi in seipsis?»), e alla lode eterna(«nihil transitorium ... cogitetur»); infine Agostino ricorda quel sacrificio ragionevoleche per il tramite di Paolo (Rm 12,1) diventa per lui, nella versione latina, la lodespirituale («et quia secundum carnem mors est: Omnis spiritus laudet Dominus»).L'immensum opus non può che concludersi nella preghiera stessa ad Dominum DeumPatrem ... per Iesum Christum ... in unitate Spiritus Sancti Deus.

Il risultato fondamentale della nostra ricerca si concentra dunque qui: abbiamodimostrato che, conferendo allo iubilus il connotato che nella tradizione filosofica eraproprio del vero culto, Agostino fa entrare a pieno titolo nel culto la musica, a seguitodel canto, tramite una nozione tutta nuova e tutta cristiana: quella del rapporto con ladivinità che si manifesta nella preghiera e nell'adorazione contemplativa.

2.3. La distanza di Agostino dal neoplatonismo

È dunque ora opportuno precisare in che cosa consista esattamente la presa didistanza di Agostino dal neoplatonismo. La verità in Agostino è una persona, GesùCristo, il Verbo di Dio. È questo il fondamento di ogni differenza tra le teorieagostiniane e quelle neoplatoniche sull'esperienza di Dio. Questo Verbo è anche laforza da cui deriva all'uomo la possibilità di espressione, perché esso è rivelazione pereccellenza, fino alla consustanzialità della vita, del Padre. Così lo iubilus trova la sua

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

14 di 23 16/01/15 07:11

Page 15: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

condizione di possibilità sulla base della partecipazione dell'anima alla Parola:

Dio è l'unico ineffabile, colui che disse una parola e tutto fu creato. Disse una parola e fummocreati noi; ma se noi proviamo a parlare di lui, ne siamo incapaci. La parola mediante laquale noi fummo detti è il suo Figlio: quel Figlio il quale si rese debole come noi, affinché noideboli riuscissimo in qualche modo a parlarne. Alla parola di Dio noi possiamo risponderecol giubilo; ma non abbiamo parola che corrisponda a quella parola (Enarratio 99,6).

Riteniamo che il passo in questione sia il più importante per una teologia del canto. Èopportuno confrontarlo con un testo di Porfirio:

... Resterà così solo da comprenderlo senza comprensione e pensarlo senza pensiero; grazie aquesto esercizio potrai un giorno, se ti soffermerai sulle cose che attraverso di lui sonocostituite, raggiungere l'indicibile prenozione che di lui possiamo avere, che è rappresentatadal silenzio, senza che si sappia ciò che tace, senza che abbia conoscenza di ciò che riflette, inuna parola, senza che essa si renda conto di ciò che sia; essa, che è solo un'immaginedell'Indicibile, poiché l'Indicibile in maniera indicibile e non l'indicibile in quantoconosciuto, se riesci a comprendere questo, come posso dire, in modo immaginativo. Ma noistessi attraverso Lui diveniamo misericordiosi nei nostri confronti, per essere elevati allapassione estatica verso quest'oggetto degno d'amore che peer ora non conosciamo, ma checonosceremo un giorno, quando saremo degni di concepire in qualche modo l'inconcepibile(Commentario al Parmenide di Platone II,14-31).

Basterà ricordare le osservazioni precedenti per constatare evidenti corrispondenze,ma le differenze sono maggiori. Lo iubilus agostiniano si addice solo a Dio, l'unicoineffabile. Dio però crea tramite la sua Parola, in modo che noi risultiamo creati inquanto detti. Noi siamo parola di Dio, fermo restando che «aliud est Verbum in carne,aliud Verbum caro. Aliud est Verbum in homine, aliud Verbum homo» (De TrinitateII,6,11). Rimandiamo al De Trinitate dunque per il tema della distinzione del Verbodel Padre dal verbo interiore. Quest'ultimo, secondo Agostino, non solo è soggettoall'errore perché non è sostanziale, ma anche quando vedremo Dio faccia a faccia e ilnostro verbo sarà partecipe della vita divina, la sua somiglianza con il Verbo saràsempre una somiglianza dissimile (Ep. 169,6), perché sempre il nostro resterà verboformato e mai pura forma, come invece è il Verbo eterno del Padre (De Trinitate15,14,24-16,26), tanto che il nostro linguaggio lì sarà una laus.

L'uomo non sarebbe in grado di essere adeguata parola di Dio, di esprimersicor-rispondendo a Dio (a causa del peccato originale). Cristo però, mediatore dellacreazione e della redenzione, ci mette in condizione di dire questa parola: «La veraparola su Dio è in realtà la Parola di Dio che inonda quella parola».[22] Cristo è lacondizione di possibilità della significanza della nostra parola, del nostro dire Dio inmodo efficace, di una iniziativa pro-creativa del linguaggio dell'uomo sulla realtà.

Forse, prima di Agostino, solo in Gregorio di Nazianzo si trova una teorizzazionealtrettanto profonda della necessità della parola dell'uomo contro il silenzio, il qualepure è altissima espressione della profondità divina, e anche in Gregorio lamotivazione è cristologica. Piuttosto che il silenzio, questi grandi padri preferisconoun modo diverso di parlare: Cristo è Logos. Gregorio di Nazianzo preferirà la poesia,Agostino riflette sullo iubilus: si tratta di una sorta di verbum breviatum, tuttavia il

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

15 di 23 16/01/15 07:11

Page 16: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

luogo di una vera teo-logia. Così tutto ciò che possiamo dire di Dio si presenta anchecome risposta, che implica l'essere inseriti in un dialogo personale. Chi giubila emettesuoni indicanti letizia. Il giubilo esprime un affectus, una adesione profonda che diceil carattere personale di questa esperienza, la quale è quindi esperienza di unrapporto. È questo un altro punto, molto evidente, della polemica o della distanza traAgostino e i neoplatonici.

Il mistero di cui Agostino parla non è il mistero dei filosofi o degli iniziati dellereligioni dei misteri, ma sempre e solo il mistero della fede. Così anche l'ineffabile chelo iubilus esprime non è la neoplatonica assenza di parola, ma una ineffabilità che èsovrabbondanza di parola. Questa caratteristica assieme negativa e positiva riferita aDio deriva forse dalle concezioni di Porfiriane che abbiamo prima esposto, ma mentreper Porfirio «la conoscenza coincide con sé stessa ... perché questa conoscenza è l'Unoche è al di là di ogni oggetto conosciuto o ignorato e al di là di ogni soggetto che giungea conoscenza» (Commentario V,34; VI,10-12), in Agostino la conoscenza di Dio èpossibile e prevede un soggetto non eliminabile. Oltre il salmo e oltre il canto, per ilcristiano non c'è il silenzio mistico né un assorbimento nella divinità in cui lacoscienza umana è nientificata, ma ancora e sempre una relazione dialogica, mediata.Iubilus è una parola che non può non comunicare il mistero (perché partecipa allaParola rivelativa del Padre), eppure può solo farlo nell'affermazione del suo limite.

Al contrario di quanto accadeva in Plotino, perciò, l'ineffabilità in Agostino non è ilcontrario della parola, ma ancora un elemento di espressione di essa. Una parola chesi denuncia parola finita, limitata, parziale, eppure verace nell'additare l'orizzontedivino. Agostino non rinuncia al linguaggio né alla conoscenza di Dio, per quanto sache parola e mente umane siano soggette al limite. Viceversa Porfirio afferma:

Coloro che nella conoscenza di Dio dicono piuttosto quello che egli non è, sono migliori dicoloro che dicono quello che egli è, anche se quello che dicono è vero, perché non sono nellacondizione di capire quello che dicono; ... bisogna infatti rinunciare a queste formule e allapossibilità stessa di comprendere Dio (Commentario IX,29-30; X,2-4).

L'ek-stasi del cristiano è quella della gioia del messaggio inaudito che spezza i confinidella parola stessa quando vuole comunicarsi. Per questo essa è intrinsecamenteliturgica. Il venir meno della parola o il suo trascendimento nello iubilus manifestauna profonda differenza dal silenzio dei filosofi per i quali esso aveva un valore in sé:era il venir meno della parola perché veniva meno ogni dualità, ogni processodialogico, a causa del ritorno fusionale all'Uno-Bene che l'anima raggiungeva,superando il molteplice. Nel cristianesimo il silenzio non ha valore in sé. L'idea stessache troviamo nelle Enarrationes sul silenzio chiarisce questo punto.Dall'interpretazione del nome «Cusi», tramite la spiegazione tipologica, Agostinoafferma che l'anima perfetta canta perché ha meritato di conoscere il mistero delsilenzio (questo sarebbe il significato di «Cusi»). Questo silenzio non è però unsilenzio muto (Enarratio 146,2), ma il silenzio denso di significato, nel quale il Signoreavvolse il mistero della sua passione, convertendo il delitto volontario nel piano dellasua misericordia.

È lo stesso mistero della salvezza di Israele che passa attraverso la sua cecità e per ilquale l'apostolo esclama preso da stupefatta ammirazione: «O abisso delle

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

16 di 23 16/01/15 07:11

Page 17: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

ricchezze!...» (Rm 11,33). C'è dunque una sorta di sacro orrore, di meraviglia che facantare, una gioia e una esultanza per la conoscenza di questo mistero (del restospesso il termine canto è usato da Agostino come l'esatto contrario di pianto: 29,II,15;145,1 e altrove). È il silenzio dello stupore e del senso, non quello del vuoto e del nulla.Il silenzio per Agostino non è espressione di una unione mistica ma «quelprofondissimo segreto per il quale si è verificata la cecità di una parte di Israele»(Enarratio 7,1) mistero di una separazione e non di unione. Esso inoltre riguardaCristo soltanto, il suo mistero. Tale mistero è inspiegabile:

Riferendosi a questo segreto profondo e a questo alto silenzio, l'apostolo come colpito da unasorta di sacro orrore per la sua stessa profondità esclama: O abisso delle ricchezze dellasapienza e della scienza di Dio, quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e investigabili lesue vie! ... In tal modo non rivela, spiegandolo questo grande silenzio, ma piuttosto lo mostraalla nostra ammirazione.

Il silenzio propriamente detto appartiene dunque solo a Cristo. L'apostolo e la chiesanon possono spiegare il mistero, tuttavia possono parteciparne e comunicare lostupore. Questa partecipazione e comunicazione è il grido di esclamazione. Infatti«canta il salmo al Signore l'anima perfetta che è già degna di conoscere il segreto diDio. Canta a causa delle parole di Cusi, perché ha meritato di conoscere le parole diquel silenzio». Non il silenzio, quindi ma le parole del silenzio, come precisa in seguitoAgostino: «Per gli infedeli e i persecutori (esperienza di separazione) esso è silenzio esegreto, ma presso i suoi ... non c'è il silenzio ma le parole del silenzio, cioè il chiaro emanifesto significato di quel silenzio». Il termine ultimo di partecipazione restadunque la parola con la sua valenza partecipativa: «non doveva restar nascosto ai santiciò che è stato compiuto a loro favore ... In questa profezia canta dunque l'animaperfetta cui quel mistero è stato reso noto, a causa delle parole di Cusi, cioè a causadella conoscenza di quel medesimo mistero» (Enarratio 7,1).

Il mistero si partecipa pur non cessando di restare tale, in un gioco di donazione esottrazione, ri-velandosi, offerto e comunicato però nel giubilo alla nostraammirazione e alla nostra gioia. Un mistero non esoterico, che anzi si manifesta aipiccoli e che chiama tutti al canto di lode, come si dice nella Enarratio 103,4: «Quelche risuona nel salmo contiene certamente un grande mistero eppure risuona in modoche riesce gradito ai fanciulli e fa accostare a bere gli incolti e tutti quando si sonodissetati prorompono nel canto di lode». L'Enarratio 102,8 ci presenta proprio questorequisito del giubilo che è l'impossibilità del silenzio. Se è infatti impossibile dire Dio,spiegare quale grande bontà egli sia, tuttavia il nostro affectus non viene meno comele parole, e questo affectus va manifestato. Se non possiamo spiegare quanto grandesia Dio, quale bene egli sia con esattezza, pur non potendo dirlo non ci è consentito(non permittitur) tacerlo. Quando non dobbiamo tacerlo né possiamo dirlo, allorabisogna giubilare, effondere a lui tutta la nostra gioia: «L'esperienza dell'ineffabilità diDio non riduce al silenzio le anime riconoscenti, piuttosto le spinge all'espressione diiubilatio, cui ci invita il salmista».[23]

Anche tutta la Enarratio 103,18 è dedicata a questo motivo: quale può essere il parlaredell'uomo davanti a Dio? si chiede Agostino. Si tratta di un vero dialogo, di un parlareresponsoriale (mutua disputatio): infatti egli ha detto il suo Verbo. Di qui vediamoancora una volta come lo iubilus sia connesso con una vera e propria teo-logia. In

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

17 di 23 16/01/15 07:11

Page 18: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

fondo la filosofia neoplatonica dichiara una in-differenza tra uomo e Dio e quindi unsemplice ritorno ad una situazione originaria. Agostino invece (il teologo del peccatooriginale!) ha chiara la differenza tra Parola di Dio e parola dell'uomo. La Parola diDio però implica un ritorno a sé («Così sarà della parola uscita dalla mia bocca: nonritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero», Is 55,11), è creatricedi possibilità di dialogo, crea responsorialità. Ci viene presentata così un'antropologiadi stampo biblico, che contempla un uomo fatto per il dialogo, la cui stessa strutturaantropologica risulta relazionale.

Nel giubilo il corpo da una parte esprime la necessità di autotrascendersi (spezzare lesillabe) dall'altra resta come orizzonte trascendentale tramite il quale solo l'uomo puòdire qualcosa di e a Dio partecipando così della sua Parola. Il corpo sta sempre lì comelimite, perché costringe l'anima ad effondere la sua gioia più di quanto non possaspiegare, ma è anche la condizione di possibilità (la pura voce) dell'espressione dellospirituale. Anche in questo notiamo una differenza con il neoplatonismo, per il quale ilcorpo era solo carcere e l'esperienza della divinità spettava alla sola anima.

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

18 di 23 16/01/15 07:11

Page 19: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

Catacombe di Trasone (4º sec.), Orante. Pur non sviluppando forme e tecnicheradicalmente diverse da quelle greco-romane, la prima arte cristiana comincia a piegarne imoduli figurativi ad esigenze sue proprie. Casi tipici si trovano nell'arte catacombale: peresempio le immagini del banchetto di un defunto, che collegano con i simboli eucaristiciun modulo espressivo diffuso in tutta l'antichità, e le raffigurazioni degli «oranti», nellatipica posizione eretta con le braccia spalancate. Qui si giunge rapidamente ad usare latecnica ritrattistica per conferire precisi tratti individuali alle immagini: nella perfettacomunione con Dio, simboleggiata da una eterna preghiera, la propria personalità nonrisulta annullata, ma confermata in uno sguardo aperto e sereno.

3. Teologia del canto ed esperienza cristiana

Finora abbiamo insistito molto sulla differenza tra silenzio estatico neoplatonico eiubilus agostiniano, perché pensiamo che essa possa chiarire le connotazioni propriedell'esperienza di fede cristiana. Le caratteristiche dello iubilus ci portano infatti acomprendere più a fondo la dinamica della fede e della sua espressione, e in questaprospettiva esso appare il vertice di una teologia cristiana del canto.

Il canto, come abbiamo visto, è il vertice di una esperienza umana della parola. Ilgiubilo come punto estremo di questa tensione del canto, abbandonando il normalecodice linguistico ancor più di quanto già accadeva nel canto, esprime ancora megliol'esperienza della fede. L'incarnazione di Cristo, Verbo di Dio, e il mistero dellarivelazione sono la condizione di questo silenzio che parla e di questa parolaimpronunziabile. Il giubilo inizia sul testo della Bibbia: Agostino parla dello iubilussolo quando il testo che commenta esorta a giubilare. Questo rimanda ad una sua idea

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

19 di 23 16/01/15 07:11

Page 20: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

fondamentale, il cosiddetto initium fidei, secondo cui la Bibbia con il suo linguaggiosemplice aiuta il credente ad elevarsi gradualmente verso Dio. Coloro che desideranopervenire alla conoscenza della gloria iniziano dalla fede nelle Scritture, ma la glorias'innalza sopra le Scritture stesse, in quanto trascende e supera le espressioni di ogniparola e di ogni linguaggio (Enarratio 8,8). Nello iubilus non si tratta di parole cheammutoliscono nella Parola,[24] ma della parola che cede il passo ad una forma dicomunicazione più grande. Il giubilo rivela l'importanza della mediazionescritturistica, perché è sempre in obbedienza alla auctoritas della parola di un salmoche siamo esortati dal vescovo a giubilare, a parlare il linguaggio della rivelazione,della Parola fatta carne, fatta voce. La Parola di Dio si autorivela usando un linguaggiosuo, quello della Sacra Scrittura. Il culmine dell'attività dell'ermeneuta cristiano perciòdiventa capire l'essenza della Sacra Scrittura nella sua natura di Verbo del Padre, chesfocia nella comprensione dell'amore di Dio. Solo dalla Scrittura perciò traiamo ilmodo di lodare Dio adeguatamente. L'ineffabile del giubilo è in rapporto alla Parolastessa e quindi alla mediazione della Bibbia. Per Agostino il Verbo di Dio che sisviluppa e risuona in tutta la Sacra Scrittura è un «unico discorso di Dio che nonconosce sillabazione» perché è quel Verbo che era in principio presso Dio, fuori deltempo. Ma questo Verbo a motivo della nostra debolezza si è «abbassato ad articolarele nostre parole», assumendo la fragilità stessa del nostro corpo. A partire dal misterodell'incarnazione, perciò, il sensibile, in quanto assunto da Dio, è ormai in grado dirimandare a Dio proprio a partire da ciò che è, è fatto insomma capax Dei.

Abbiamo visto come la conoscenza sia parte costitutiva di questo evento canoro: loiubilus è quasi un comprendere prima del linguaggio. È infatti beato il popolo che sagiubilare, che conosce il senso del suo giubilo. Canta l'anima che ha meritato diconoscere il senso, le parole di questo silenzio insito nello iubilus. Il Signore nascondein questo silenzio il mistero della sua passione e così conoscenza è quella del misterodi Cristo. La concezione di questo mistero della fede partorisce una parolaparadossale. Siamo davanti ad un altro elemento basilare della teologia agostiniana. Intutto il percorso della fede, infatti, la ragione per Agostino non è mai del tutto separatadalla fede. Lo iubilus è una sorta anch'esso di intellectus fidei.

Anche il carattere comunitario e relazionale è emerso nelle nostre analisi. Rivalutandoil linguaggio comunicativo e il corpo come elemento positivo, nello iubilus la lodeesplicita la sua valenza ecclesiale. Questo tratto comunionale è liturgico sotto diversipunti di vista, esso è il sacrificium laudis che quando assumesse il valore di logikéthysía implicherebbe anche una valenza estatica: estasi della gioia (la gioiaincontenibile del credente), estasi della parola (la parola stessa dice al di là del suodire). Non è estasi nella sempre ritornante tentazione non-cristiana della fusione inDio, della negazione del limite, dell'annullamento di uno dei poli della relazione,silenzio mistico dell'unione e fusione con la divinità, la quale essendo Uno nonammette dualità, né reciprocità. Si tratta invece della esaltazione della limitatezza cheCristo ha amato e ha assunto, della esaltazione di una relazione che resta tale, anche setra due assolutamente impari, perché Dio è colui che dà tutto. Resta estasi liturgico-comunitaria perché sempre e solo espansiva, diffusiva, comunicante, mai qualcosa diprivato. L'esperienza dei misteri della fede cristiana porta il segno di una indicibilegioia che deve comunicarsi oltre il limite delle sillabe. Nello iubilus l'uomo, nonavendo una parola adeguata per rispondere alla Parola che Dio ha dato agli uomini inCristo, può lodare in un modo in cui la corporeità riesca finalmente ad esprimereadeguatamente la sua interiorità. Può farlo in obbedienza alla parola biblica, invitando

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

20 di 23 16/01/15 07:11

Page 21: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

gli altri a rendere lode a Dio insieme a lui, partecipando così a quella lode eterna chegià ora tutto il cosmo canta (Enarratio 6,11).

Infine c'è una dimensione etica dello iubilus: dall'invito alla ripetizione del canto chetende a muovere gli affetti e la volontà, siamo ricondotti e invitati alla conversione chesempre resterà per l'uomo un compito mai totalmente realizzato. Per poterlo pensaredobbiamo essere attratti vicino a lui, in una purificazione morale che si attua grazie alprogresso nella carità.

Vogliamo concludere questa analisi osservando come i connotati dell'esperienzaespressa dallo iubilus mostrano molti paralleli con quelli dell'esperienza misticadell'estasi di Ostia (Confessioni IX,10,26), unanimemente ritenuto il paradigma delleconcezioni mistiche di Agostino.[25] I temi fondamentali dell'esperienza misticaagostiniana implicano innanzitutto la concezione dell'ascesa dell'anima (anábasis)dalla considerazione della bellezza dell'universo (Enarrationes 26, I,6; 26,II,12;94,5.9; 99,16), che però non ci rende capaci di parlare adeguatamente di lui, poi ilmovimento interiore verso la profondità dell'anima, cercando di pensarlo nella nostramente, e infine la visione di Dio che implica un avvicinarsi a lui con l'amore e nellacarità («preambulavimus gradatim cuncta corporalia ... et adhuc ascendebamusinterius cogitando ... et venimus in mentes nostras et trascendimus eas»). Questaconcezione, simile sotto un certo verso all'itinerario mistico plotiniano, è però legataineludibilmente a contenuti scritturistici, cristologici ed ecclesiali. La caratteristicadella mistica agostiniana è la sua fondazione nella persona di Cristo e il ruoloimprescindibile della Chiesa nel godimento di questa esperienza, caratteristiche tuttecostituitive anche dello iubilus.

Come l'esperienza di Ostia, l'esperienza mistica agostiniana è condivisibile anchecon illetterati quale Monica o con i rappresentanti del popolo di Dio radunatonelle celebrazioni. Il carattere dell'uditorio dice che le Enarrationes non sonocerto indirizzate ad una élite spirituale. Il vescovo mostra qui la sua fiducia chel'esperienza della contemplazione può essere di tutti i cristiani, non solo di pochi.Per lui tutti debbono aspirare alla contemplazione (Ep. 120,1,4).

1.

Agostino per descrivere l'esperienza di Ostia ricorre a simboli visivi, ma ancorpiù uditivi («si cui sileat tumultus carnis ... et ipsa anima sileat ... ut audiamusverbum eius», IX,10,26), con il ritorno alle parole umane dal Verbo silenzioso diDio (Confessioni IX,10,26). Il racconto dell'estasi di Ostia è pervaso dallinguaggio dell'affettività («erigentes nos ardentiore affectu in idipsum ...attingemus eum modice toto ictu cordis»). Ritroviamo nell'episodio di Ostial'esperienza sinestesica della presenza di Dio («vocasti et clamasti et rupistisorditatem meam. Corucasti, splenduisti et fugasti caecitatem meam. Fregastiet duxi spiritum et anhelo tibi. Gustavi et esurio et sitio. Tetigisti me, exarsi inpacem tuam»).

2.

L'esperienza mistica di Ostia ha un accentuato carattere noetico: la visio non èmai staccata dalla conoscenza (ictus cordis e rapida cogitatio).

3.

Infine il concetto di vedere Dio invisibilmente è stato spesso assunto comechiave di lettura per spiegare alcuni aspetti della mistica agostiniana: nelloiubilus abbiamo il concetto complementare di dire Dio indicibilmente.

4.

Lungi dall'aver sviluppato tutte le implicazioni delle analisi svolte, possiamo tuttavia

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

21 di 23 16/01/15 07:11

Page 22: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

concludere che Agostino puntualizza e dilata il concetto di iubilus come mai eraancora avvenuto prima di lui, rilevando una dimensione di esso inesplorata: ilparadosso del dire l'ineffabile. Tale paradosso si apre in due direzioni diverse: da unaparte verso un chiarimento dei connotati della mistica e dell'esperienza cristiana,dall'altra verso una emancipazione della musica. Entrambe queste direzioni sarannoricche di avvenire.

[Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in Mneme il 30 novembre 1999.]

I vostri commenti

Saremo felici di ricevere commenti a questo articolo. Nel caso abbiate dato l'assenso, il vostrocommento potrà essere eventualmente pubblicato (integralmente o in sintesi). Grazie!

Potete leggere il commento finora pubblicato, del direttore della Schola GregorianaMediolanensis.

Vedi Confessioni IX,29,40; X,33,49-50; XI,28,38; Ep. 138,1,5; 166,5,13; De ordine 2,11,33-34; 2,14,40-15,43; De Trinitate 11,8,14; 15,7,13. Vedi A. Johnston, «Time as a Psalm inSt. Augustine», Animus, vol. I (1996), http://www.mun.ca/animus/1996vol1/johnston.htm, come anche A. Solignac, Le livre X des Confessions (Lectio Augustini 4),Palermo 1987, pp. 9-34 (in particolare p. 28). [Testo]

1.

H.-I. Marrou, S. Agostino e la fine della cultura antica, Milano 1987, pp. 469-472. [Testo]2.S. Corbin, La musica cristiana dalle origini al gregoriano, Milano 1987, p. 30. [Testo]3.La musica cristiana, cit. alla nt. 3, p. 155 [Testo]4.S. Agostino, cit. alla nt. 2, pp. 237-238 [Testo]5.Su questo argomento non ci risulta alcuna indagine monografica recente. Lo studio piùcompleto e documentato è di E.T. Moneta Caglio, «Lo Iubilus e le origini della SalmodiaResponsoriale», Jucunda Laudatio, anno 1976-77, pp. 5-17, ora in P. Ernetti, Principifilosofici e teologici della musica, Roma 1980, pp. 360-373, da cui citiamo. In questoparagrafo riprendiamo alcuni apporti di questa ricerca, riservandoci tuttavia alcunecritiche e poponendo nuovi approfondimenti. [Testo]

6.

Ernetti, Principi, cit. alla nt. 6, p. 368. [Testo]7.E. Fubini, Estetica della musica, Milano 1995, p. 64. [Testo]8.T. Gérold, Les Pères de l'Église et la musique, Paris 1931, pp. 60-61. [Testo]9.Vedi S. Lilla, «La teologia negativa dal pensiero greco classico a quello patristico ebizantino», Helikon, vol. XXII-XXVII (1982-1987), pp. 211-279; tra i motivi in cui lateologia negativa trova espressione uno (il punto n. 17 per l'autore) riguarda «l'ineffabile eprivo di nomi in quanto superiore ad ogni discorso» (p. 213). I passi in cui Filone parladell'ineffabilità di Dio sono citati a p. 238 (il termine che ricorre è árreton). [Testo]

10.

Enneadi I,3,1. Che Agostino si avvicini molto alla posizione di Plotino su questo11.

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

22 di 23 16/01/15 07:11

Page 23: ZORZI Lo Iubilus in Agostino

argomento lo conferma Marrou: «Quanto a Plotino, la sua posizione è curiosamenteanaloga a quella di Agostino: come lui ha finissima sensibilità artistica che non si èsottratta al fascino della musica artistica; come Agostino prende volentieri esempi ometafore da essa; tuttavia non raccomanda di praticarla più di quanto Agostino nonfaccia" (S. Agostino, p. 188 nota 96). Per il silenzio e i filosofi rimandiamo allo studio diO. Casel, De philosophorum graecorum silentio mystico, Töpelmann 1919. [Testo]

Afferma Giamblico: «Anzitutto (Dio) nel culto non si celebra che in silenzio (diá sigésmonés)» (I misteri d'Egitto 8,3). Proclo situa il Principio primo al di là di tutte leconoscenze; noi non possiamo attendere che per mezzo dell'amore e della fede, nelsilenzio: «Che cosa ci unisce alla bontà se non l'amore? Infatti non è per una intellezionené generalmente per una giudizio che si produce l'iniziazione, ma per mezzo di un silenziounitario e superiore a tutte le operazioni di conoscenza silenzio che la legge ci donainstallando non solamente nell'anima universale, ma anche dentro di noi l'ineffabile el'inconoscibile di Dio» (Teologia platonica IV,9). vedi inoltre Gèrold, Les Péres, cit. allant. 9, pp. 70-71; Casel, De philosophorum, cit. alla nt. 11, pp. 125-127. [Testo]

12.

W. Beierwaltes, Plotino. Un cammino di liberazione verso l'interiorità, lo Spirito e l'Uno,Milano 1990, p. 67. [Testo]

13.

Vedi Beierwaltes, Plotino, cit. alla nt. 13, 69-70; P. Hadot, introduzione a Porfirio,Commentario al Parmenide di Platone, Milano 1993. [Testo]

14.

Vedi S. Lilla, «The Neoplatonic Hypostases and the Christian Trinity», Studies in Platoand Platonic Tradition. Essays in Honour of J. Whittaker, Aldershat 1997, pp. 127-189(in particolare pp. 148-160). [Testo]

15.

Vedi J. Quasten, Musik und Gesang in den Kulten der heidnischen Antike undchristlichen Frühzeit, Münster 1930, pp. 67-77. [Testo]

16.

«Tale est nescio quid quod vidi in ecstasi, ut inde sentiam quam longe sum, qui nondumibi sum. Iam ibi erat qui dixit assumtum se in tertium caelum, et ibi audiebat ineffabiliaverba, quae non licet homini loqui.» [Testo]

17.

Marrou, S. Agostino, cit. alla nt. 2, p. 184. [Testo]18.M. Kunzler, La liturgia della chiesa, Milano 1998, p. 185. [Testo]19.«Agostino non ha mai pensato che la nostra esperienza immediata di Dio in questa vitapotesse venire espressa con chiarezza. Tutte le immagini di cui fa uso, relative alla vista oagli altri sensi spirituali, sono finalizzate a suggerire l'inesprimibile, non a circoscriverlo.... Senza arrivare ad enunciare una teoria formale dei sensi spirituali dell'anima, comeinvece avevano fatto Origene e altri autori orientali, la sua enfasi su di una forma disinestesia, capace di veicolare l'ineffabile ricchezza della consapevolezza della presenzadivina, segna un momento importante nella storia della mistica occidentale» (B. McGinn,Storia della mistica cristiana in occidente, vol. I, pp. 343-344). [Testo]

20.

«Questo principio supremo non può essere pensato come tale, ma solo come è in-noi, cioècome il fondamento dell'unità del nostro pensiero, che opera nel pensiero la sua unità conse stesso ed è presupposto di una esperienza non-più-pensante dell'Uno stesso, cioè diuna ekstasis del pensiero» (Beierwaltes, Plotino, cit. alla nt. 13, p. 83). Porfirio affermanella Lettera a Marcella: «... convinta di avere in te ciò che salva e ciò che è salvato» (9).[Testo]

21.

L.F. Pizzolato, Il libro I delle Confessiones (Lectio Augustini 1), Palermo 1990, p. 21.[Testo]

22.

McGinn, Storia della mistica, cit. alla nt. 20, p. 326. [Testo]23.Contro l'interpretazione di H.U. von Balthasar, Verbum Caro, Brescia 1970, p. 149. [Testo]24.Per queste analisi vedi McGinn, Storia della mistica, cit. alla nt. 20, pp. 317-320. [Testo]25.

Copyright © 1999 M. Benedetta Zorzi | [email protected] | |Informazioni

M. Benedetta Zorzi, Autonomia della musica e mistica cristian... http://mondodomani.org/reportata/zorzi01.htm

23 di 23 16/01/15 07:11