È vita È futuro - movimento per la vita · ripetere nei film, in tv, sui social, attraverso i...

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GENNAIO 2019 Anno XXII Numero 236 www.avvenire.it Supplemento ad Avvenire del 27 gennaio 2019 Poste Italiane Sped. in A.P. DL 353/2003 conv. L.46/2004, art.1,c., DCB Milano In collaborazione con il Movimento per la Vita “Amoris laetitia” solo in versione digitale € 2,99 www.avvenire.it E-book LʼANTROPOLOGO MARC AUGÉ «TRANSCULTURALISMO RISPOSTA ALLA DENATALITÀ» LE ESPERIENZE PROGETTO GEMMA SALVATA UNA «CITTÀ» DI 25MILA ABITANTI LE ESPERIENZE APERTI ALLA VITA DA NORD A SUD LE PROPOSTE DEI CAV Domenica 3 febbraio È VITA È FUTURO 41 GIORNATA PER LA VITA a

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Page 1: È VITA È FUTURO - Movimento Per la Vita · ripetere nei film, in tv, sui social, attraverso i mezzi di informazione, nel dibattito politico. E rivelano lo stato della nostra anima

GENNAIO 2019Anno XXII

Numero 236

www.avvenire.it

Supplemento

ad Avvenire

del 27 gennaio

2019

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2004

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1,c.

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Mila

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In collaborazione con il Movimento per la Vita

“Amorislaetitia”solo in versione digitale

€ 2,99

www.avvenire.it

E-book

LʼANTROPOLOGO MARC AUGÉ

«TRANSCULTURALISMORISPOSTA ALLA DENATALITÀ»

LE ESPERIENZE

PROGETTO GEMMASALVATA UNA «CITTÀ»DI 25MILA ABITANTI

LE ESPERIENZE

APERTI ALLA VITADA NORD A SUD

LE PROPOSTE DEI CAV

Domenica3 febbraio

È VITAÈ FUTURO

41 GIORNATA PER LA VITA

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’ imminente giornata per lavita deve risvegliare nella

coscienza del popolo della vi-ta la consapevolezza dell’im-portanza straordinaria, equi-parabile a una missione, delservizio alla vita nascente. Sitratta in primo luogo di sal-vare la vita di migliaia di bam-bini non ancora nati, che Ma-dre Teresa di Calcutta chia-mava i più poveri tra i poverie di restituire la serenità alleloro madri. Chi salva la vita

di una persona già nata nelmomento in cui viene aggre-dita da un malfattore oppureè travolta da cataclismi natu-rali viene ritenuto un eroe dal-la società civile e talora insi-gnito di un pubblico ricono-scimento, come per esempionel caso recente della dotto-ressa di Crotone salvata da unvenditore ambulante maroc-chino. Invece, purtroppo, co-loro che contribuiscono a farnascere migliaia di bambini

condividendo le difficoltà del-le loro madri vengono consi-derati avversari da far tacere.Ciò nonostante, oggettiva-mente, il servizio alla vita na-scente è di una esaltante gran-diosità. Santa Madre Teresadi Calcutta, che di povertà a-veva esperienza totale, disseuna volta al Movimento per lavita che esso cercava di eli-minare un vero e proprio olo-causto. Il popolo della vita,anche quando è contrastato,deve appoggiare la sua ener-gia sulla consapevolezza del-l’importanza estrema di sal-vare vite umane. Il primo dell’anno si è cele-brata la giornata della pace chePapa Francesco ha ripetuto es-sere fondata sul riconosci-mento dell’uguale dignità ditutti gli esseri umani. Anche

Santa Teresa di Calcutta hadetto più volte che l’aborto èil principio che mette in peri-colo la pace nel mondo. In ef-fetti, il numero di bambini uc-cisi nel seno materno ogni an-no nel mondo supera il nu-mero dei morti delle due guer-re mondiali. La crudeltà delleguerre che hanno insanguina-to tutta la storia umana è par-ticolarmente evidente nel fat-to che una società si organiz-za per uccidere e dedica a que-sto obiettivo tutte le sue risor-se economiche e umane. Co-me non vedere qualcosa di si-mile nell’organizzazione di u-no Stato che cancella la vita u-mana dei più piccoli e poveridegli esseri umani e ne so-stiene l’eliminazione? In de-finitiva il popolo della vita de-ve avvertire come sua missio-

ne la costruzione della pace.Per garantire una pace defini-tiva tra i popoli dopo la disu-manità delle due guerre mon-diali del secolo scorso, è sta-ta elaborata la Dichiarazioneuniversale dei diritti dell’uo-mo nel cui fondamento è in-dicato, nelle prime parole diquell’atto, il riconoscimentodella dignità di ogni essere u-mano. Negare il diritto alla vi-ta dei più piccoli e poveri de-gli esseri umani, significa tra-dire alla radice i diritti del-l’uomo, che, di fatto, spessola dominante cultura relativi-stica e individualistica tra-sforma nel loro opposto. Dun-que, nella missione del popo-lo della vita c’è anche il com-pito di restituire verità ai di-ritti dell’uomo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L

EDITORIALE

LETTEREAL

POPOLODELLAVITA

Diritto alla vitaper un futuronella pace

MarinaCasini Bandini

uante volte abbiamo sentito dire di una persona: «Lei sì cheama la vita… Lui sì che si gode la vita…». In genere,

espressioni di questo tipo si usano per qualcuna o qualcuno che simette al centro di tutto, vivendo totalmente immerso nel presente,deciso ad assaporarne ogni attimo. Un modo di pensare e di vivereche è andato diffondendosi anche nella società italiana, e cheinduce a mettere al primo posto il proprio interesse, qui e adesso.Un frutto amaro dell’individualismo, un risultato inesorabile diquel relativismo assoluto che porta a (s)ragionare, senz’altro valoreguida se non l’immediato tornaconto, tanto il giusto e l’ingiustosono ridotti a bandierine da far girare al vento del desiderio.Le parole seguono sempre le idee che ci frullano in testa o chemagari nelle nostre teste si sono incastrate, a forza di sentirleripetere nei film, in tv, sui social, attraverso i mezzi diinformazione, nel dibattito politico. E rivelano lo stato dellanostra anima anche quando le diciamo senza pensarci tropposu. Espressioni correnti come «lei sì che ama la vita.., lui sì chesi gode la vita…», così banali da sembrare pacifiche, mentresono parole di guerra al vero buon senso, rivelano una delleprincipali ragioni per cui l’Italia si è ammalata di vecchiaia e difinta giovinezza, di solitudine e di sfiducia, di egoismo e dipaura. Anche se sembrano parole innocenti, sono mattoni del«maledetto muro» dell’egoismo che cresce in troppe menti.Una terribile illusione: senza gli altri, senza l’Altro, non c’èpienezza, felicità, salvezza.È semplicemente la vita che dobbiamo saper amare, generare erigenerare se vogliamo avere futuro. I nostri vescovi ce loricordano con pensosa e appassionata linearità nel Messaggioper la 41ª Giornata per la Vita. Amare la vita dei figli nati e nonancora nati, la vita degli anziani, la vita dei giovani, la vita deipoveri e dei migranti, la vita di quanti, secondo i canoni delmondo, risultato "imperfetti" e "sconfitti": carcerati, disabili,malati gravi… Scrivono i vescovi: «Accogliere, servire,promuovere la vita umana e custodire la sua dimora che è laterra significa scegliere di rinnovarsi e rinnovare, di lavorareper il bene comune guardando in avanti». È così. Abbiamo bisogno di ritrovare lucidità, generosità el’autentico senso della felicità. Amare la vita e godere sinoin fondo quanto di bello, di buono e di vero essa ci puòriservare se facciamo la nostra parte vuol dire, infatti, amaree accogliere il domani. Che come ogni futuro, in questonostro mondo, non ha padroni.

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LE RUBRICHE

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famiglia vita

5 LA GIORNATA Il messaggiodei Vescovi

16 LA GIORNATA«Perché 41 anni fanacque la ricorrenza»

Carlo Casini

16 LA GIORNATAMadre Teresa,parole su pace e vita

18 LA GIORNATAImpegno e proposteal Cav di Firenze

Riccardo Bigi

20 LA GIORNATAProgetto GemmaMiracolo per 25mila

Lucia Bellaspiga

26 LA GIORNATAFamiglie numeroseUn libro racconta

Andrea Bernardini

6 LA GIORNATAAugé: ogni culturaha in sé lʼuniversale

Luciano Moia

12 LA GIORNATA Le buone prassidei Cav siciliani

Alessandra Turrisi

14 LA GIORNATAEducazione e giocoper il Cav di Legnago

Alberto Margoni

30 LA GIORNATASocietà abortistaanti-gravidanza

Andrea Mazzi

38 LA GIORNATAPerché la fedeltàè scelta di bene

Laura Giustina

25 CERCO FAMIGLIA Daniela Pozzoli

33 MICROCOSMI 2.0 Diego Motta

37 LA SALUTE NEL PIATTO Caterina e Giorgio Calabrese

39 LETTI PER VOI

39 QUELLO CHE I VOSTRI FIGLI NON DICONO Roberta Vinerba

8 LA GIORNATAI 40 anni per la vitadel Cav di Belgioioso

Annalisa Guglielmino

MarcoTarquinio

Amare e godere la vitasignifica accoglieree preparare il domani

10 LA GIORNATAUn telefono rossoper le future mamme

Emanuela Vinai

22 LA GIORNATAFamiglie numeroseUna foto per Macron

Massimo Calvi

28 LA GIORNATA«Vi spiego le causedellʼaborto»

Paola Bonzi

Il manifestodella 41esimaGiornata per la vita che si celebradomenicaprossima, 3 febbraio

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gennaio 2019 5NOI famiglia vitaIl messaggio dei vescovi

Figli da accoglierein una terra sicura

GERMOGLIA LA SPERANZA"Ecco, io faccio una cosa nuova: pro-prio ora germoglia, non ve ne accor-gete? Aprirò anche nel deserto unastrada, immetterò fiumi nella steppa"(Is 43,19). L’annuncio di Isaia al po-polo testimonia una speranza affida-bile nel domani di ogni donna e ogni uo-mo, che ha radici di certezza nel pre-sente, in quello che possiamo ricono-scere dell’opera sorgiva di Dio, in cia-scun essere umano e in ciascuna fa-miglia. È vita, è futuro nella fami-glia! L’esistenza è il dono più pre-zioso fatto all’uomo, attraverso ilquale siamo chiamati a partecipareal soffio vitale di Dio nel figlio suoGesù. Questa è l’eredità, il ger-moglio, che possiamo lasciare al-le nuove generazioni: "faccia-no del bene, si arricchiscano diopere buone, siano pronti a da-re e a condividere: così si met-teranno da parte un buon capi-tale per il futuro, per acquistar-si la vita vera" (1Tim 6, 18-19).

VITA CHE "RINGIOVANISCE" Gli anziani, che arricchiscono questonostro Paese, sono la memoria del po-polo. Dalla singola cellula all’interacomposizione fisica del corpo, dai pen-sieri, dalle emozioni e dalle relazionialla vita spirituale, non vi è dimen-sione dell’esistenza che non si tra-sformi nel tempo, "ringiovanendosi"anche nella maturità e nell’anzianità,quando non si spegne l’entusiasmo diessere in questo mondo. Accogliere,servire, promuovere la vita umana ecustodire la sua dimora che è la terrasignifica scegliere di rinnovarsi e rin-novare, di lavorare per il bene comu-ne guardando in avanti. Proprio losguardo saggio e ricco di esperienzadegli anziani consentirà di rialzarsidai terremoti – geologici e dell’anima– che il nostro Paese attraversa.

GENERAZIONI SOLIDALI Costruiamo oggi, pertanto, una so-lidale "alleanza tra le generazioni",come ci ricorda con insistenza PapaFrancesco. Così si consolida la cer-tezza per il domani dei nostri figli esi spalanca l’orizzonte del dono disé, che riempie di senso l’esistenza."Il cristiano guarda alla realtà fu-tura, quella di Dio, per vivere pie-namente la vita – con i piedi benpiantati sulla terra – e rispondere,con coraggio, alle innumerevoli sfi-de", antiche e nuove. La mancanzadi un lavoro stabile e dignitoso spe-gne nei più giovani l’anelito al futu-ro e aggrava il calo demografico, do-vuto anche ad una mentalità anti-natalista che, "non solo determinauna situazione in cui l’avvicendarsidelle generazioni non è più assicu-rato, ma rischia di condurre nel tem-po a un impoverimento economico ea una perdita di speranza nell’avve-

La vita fragile si genera in un abbrac-cio: "La difesa dell’innocente che nonè nato deve essere chiara, ferma e ap-passionata, perché lì è in gioco la di-gnità della vita umana, sempre sacra,e lo esige l’amore per ogni persona aldi là del suo sviluppo". Alla "piaga del-l’aborto" – che "non è un male mino-re, è un crimine" – si aggiunge il dolo-re per le donne, gli uomini e i bambinila cui vita, bisognosa di trovare rifugioin una terra sicura, incontra tentativicrescenti di "respingere profughi e mi-granti verso luoghi dove li aspettanopersecuzioni e violenze" . Incoraggiamo quindi la comunità cri-stiana e la società civile ad accogliere,custodire e promuovere la vita umanadal concepimento al suo naturale ter-mine. Il futuro inizia oggi: è un inve-stimento nel presente, con la certezzache "la vita è sempre un bene", per noie per i nostri figli. Per tutti. È un benedesiderabile e conseguibile.

Consiglio episcopale permanente Cei

nire". Si rende sempre più necessa-rio un patto per la natalità, che coin-volga tutte le forze culturali e poli-tiche e, oltre ogni sterile contrappo-sizione, riconosca la famiglia comegrembo generativo del nostro Paese.

L’ABBRACCIO ALLA VITA FRAGILE GENERA FUTURO

Per aprire il futuro siamo chiamati al-l’accoglienza della vita prima e dopo lanascita, in ogni condizione e circo-stanza in cui essa è debole, minacciatae bisognosa dell’essenziale. Nello stes-so tempo ci è chiesta la cura di chi sof-fre per la malattia, per la violenza su-bita o per l’emarginazione, con il ri-spetto dovuto a ogni essere umanoquando si presenta fragile. Non vannopoi dimenticati i rischi causati dall’in-differenza, dagli attentati all’integritàe alla salute della "casa comune", cheè il nostro pianeta. La vera ecologia èsempre integrale e custodisce la vitasin dai primi istanti.

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a parola chiave per comprende-re il nostro futuro si chiama tran-

sculturalismo. Che significa integrarel’alterità cogliendo gli spunti più arric-chenti delle varie culture, senza pero per-dere la verità e la bellezza delle varie i-dentità. Percorso difficile, certo. Ma nonesiste altra strada. È il pensiero di MarcAugé, l’antropologo e filosofo franceseconsiderato tra i massimi intellettuali vi-venti. Un grande comunicatore "globale"che, arrivato a 84 anni, ha sviluppato u-na sensibilità non comune per collegarepassato e futuro, per leggere negli scenaripiù drammatici e più incombenti dei no-stri anni confusi non solo le radici degliavvenimenti che ci hanno preceduto ma,soprattutto, il preludio di quanto si veri-ficherà in futuro. A Cremona, dove lo in-contriamo, il 13 dicembre scorso, è sta-to chiamato a presentare la lezione ma-gistrale del convegno di antropologia ap-plicata e comunicazione "Cambiare ilmondo con le parole" organizzato dal Di-partimento di Scienze sociali e politichedell’Università Statale di Milano. Cir-condato dall’affetto dei suoi discepoli –in questo caso gli organizzatori dell’e-vento Angela Biscaldi e Ivan Severi, en-trambi docenti di antropologia – e dal-l’entusiasmo di decine di studenti, Augénon perde neppure per un attimo il suo"passo" di grande intellettuale, abitua-to a confrontarsi con le svolte decisivedella civiltà e ad offrire con semplicità,ma anche con la modestia e la simpatiadei grandi, il suo punto di vista. Nonfornisce però risposte perentorie, defi-nitive, ma soltanto ipotesi, percorsi pos-sibili. Scenari introdotti quasi costante-mente dal suo "Io penso che…". Unalezione di grande umiltà. Professore Augè, viviamo in un Occi-dente alle prese con una drammaticacrisi demografica, mentre dal Sud delmondo premono alle nostre porte mi-lioni di persone in fuga dalla povertàe dalla guerra. Il rime-scolamento profondo po-trebbe rischiare di acce-lerare il declino della no-stra civiltà?Gli immigrati sono, inqualche modo, degli eroi.Non determineranno la fi-ne, ma una crescita dellanostra società. Non sap-piamo come e quando siverificherà, ma sappiamoche la strada dell’integra-zione si chiama transcul-turalismo che è cosa di-versa rispetto al multiculturalismo. Que-sto è una sorta di convivenza impigritatra realtà che procedono affiancate, qua-si senza contatti. Quello, cioè il tran-sculturalismo, è un arricchimento per-

ché non si traduce mai in un’alienazio-ne delle diverse culture, ma in un "at-traversamento" delle culture, frutto dieducazione e di libertà. Una prospettiva confortante, ma unpo’ difficile da immaginare alla lucedella conflittualità che oggi è determi-nata dalle ondate migratorie. Dobbia-mo attenderci tempi lunghi per questaintegrazione virtuosa?La divisione dei nostri anni è determina-ta da lotte e conflitti ma, entro questo se-colo, la conflittualità sarà appianata. Saràallora possibile un’integrazione sulla ba-se del rispetto reciproco, non della su-premazia degli uni verso gli altri. Ripe-to, si tratterà di aprirci con fiducia al tran-sculturalismo.Ma come potrà il transculturalismo ri-mediare alla denatalità che riguardaormai non solo la maggior parte deiPaesi europei ma anche Stati Uniti eGiappone?La denatalità è un problema vista so-prattutto da Occidente. Ma se pensiamoalle popolazioni della Cina o dell’Indiao di tanti Paesi africani il problema è op-posto. Non è facile tenere presente tuttele realtà, ma dobbiamo ragionare in unalogica globale, inserendo i problemi deisingoli Paesi in un quadro universale. Al-lora, se torniamo alla crescita demogra-fica di tanti Paesi del Sud del mondo, quile autorità dovrebbero intervenire per in-trodurre il concetto di crescita responsa-bile. Ma lo stesso concetto, all’opposto,dovrebbe valere per l’Occidente. Qual-cuno ritiene che l’immigrazione potràprovvedere a colmare i "vuoti" dei nostriPaesi. Ma non si potrà procedere con u-na semplice logica di sostituzione. Ledinamiche sono più complesse. Ancheperché il transculturalismo chiede rispettotra le diverse culture, non superamento. Come si potrebbe immaginare una sor-ta di bilanciamento, tra il nostro crol-lo demografico e l’esplosione che inve-ce si registra in Africa o in India?Sono processi che non si realizzano dal-l’oggi al domani ma richiedono tempo esaggezza. D’altra parte dobbiamo con-vincerci del fatto che ogni cultura va ri-spettata e salvaguardata, perché ogni cul-tura contiene una parte di verità. C’è chipensa che la diversità delle culture sia i-nappellabile, mentre io penso che ognicultura abbia in sé l’universale e sia pos-sibile cogliere i sistemi di trasformazio-

ne (abitudini familiari, alleanze matri-moniali, miti) per passare da una all’al-tra. E questo passaggio ci dice, in qual-che modo, che la storia continua. Come rispondono etnografia e antro-pologia a questo grande rimescola-mento? Oggi il contesto è sempre planetario.Quindi la distinzione classica tra etno-

LLuciano

Moia Lʼantropologo Marc Augé: gli immigrati nondetermineranno la fine mauna crescita della nostra civiltàCi vorranno però decenni

Marc Augé(1935), etnologoe antropologofrancese, tra i piùconosciutipensatori alivello mondiale,è noto ancheper le sueproverbialicitazioni. Tra letante il "nonluogo", perdefinire spazicome centricommerciali eparchi perdivertimenti, prividi storia e dovenon si vivonorelazioniautentiche

Qualcuno ritiene chelʼimmigrazione potrà

provvedere a colmare i "vuoti" dei nostri Paesi

Ma non si potràprocedere con una

semplice logica di sostituzione

Le dinamiche sono piùcomplesse

CULTURE

Cʼè chi pensa che la diversità delleculture siainappellabile,mentre io penso cheogni cultura abbia insé lʼuniversale e siapossibile cogliere i sistemi ditrasformazione(abitudini familiari,alleanzematrimoniali, miti)per passare da unaallʼaltra

gennaio 2019

NOI6

famiglia vita Giornata per la vita 2019

«La risposta alla denatalità

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grafia come osservazione localizzata eantropologia come un punto di vista piùin generale comparativo, viene ad esse-re messa in discussione. Con la globa-lizzazione stiamo assistendo a un cam-biamento di scala che però è sperimen-tato in modo diseguale gli uni dagli altri,in modo che la percezione appare sem-pre più ampia. Tra gli esseri umani dif-ferenze e diseguaglianze si stanno sem-pre più allargando e sembrano voler ra-tificare la precedente situazione di dise-guaglianza. Il mondo globalizzato è an-che il mondo della più grande differen-za, è il mondo in cui la comunicazione,la circolazione e il consumo si accelera-no contemporaneamente e nessun ango-lo del globo sfugge agli effetti di questatripla accelerazione. Cosa fare però se, come capita oggi, gliuomini non consumano né nelle stessecondizioni né nelle stesse proporzionie quindi le diseguaglianze si ap-profondiscono?È vero, il mondo è ogni giorno più u-niforme e più ineguale. Dobbiamo ripro-porre l’utopia dell’educazione che è, ap-punto, un’utopia ma necessaria. Dob-biamo tornare all’ideale dell’illuminismo,a pensare all’uomo generico che è il fu-turo dell’uomo culturale. Ho sempre pen-sato che ci sono tre dimensioni, quella

individuale, quella culturale e quella ge-nerale. La dimensione culturale è neces-saria per pensare al rapporto individua-lità-alterità. Ma spesso lo fa in una ma-niera autoritaria. È un vasto programmache richiede tempo, forse secoli, ma di cuipreavvertiamo la fattibilità. L’unità deisaperi è la convergenza sintonica delleconoscenze di cui si trova traccia nel rap-porto tra sociologi e antropologi, tra ar-tisti e i filosofi. Non ci possono esserecontrapposizioni tra i saperi, tra le intui-zioni dei filosofi e quelle degli artisti. La

questione dell’identità è allo stesso tem-po una questione individuale e plurale. Questo è quanto emerge dalla ricer-ca antropologica. Ma siamo anchedi fronte a una grande sfida politi-ca. Come uscirne?L’azione politica, nel senso più nobile deltermine, ha due imperativi principali, allimite contraddittori o quanto meno sem-pre in tensione: da una parte garantire lalibertà degli individui dall’altra preser-vare la possibilità di relazione in senso so-ciale. Nessun individuo può percepirsi i-solato perché la relazione è fondamenta-le per la definizione e la percezione del-l’identità individuale.La democrazia vigilia affinché nessunodei due imperativi prevalga: né l’anar-chia né il totalitarismo. Eppure questaquestione fondamentale è riattualizzataper il cambiamento di scala che stiamovivendo oggi e per la nuova sedentariz-zazione globale e planetaria. Quest’ulti-ma cerca progressivamente di affermar-si e di svilupparsi e il nostro sguardo fafatica a discernere i contorni ancora varidel nuovo avvenire da cui dovrebbe es-sere abolita. Non stiamo parlando del-l’alterità costitutiva di ogni identità, mal’idea stessa dello straniero.

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POLITICA

Lʼazione politica hadue imperativiprincipali,contraddittori esempre in tensione:da una partegarantire la libertàdegli individuidallʼaltra preservarela possibilità direlazione in sensosociale

gennaio 2019 7NOI famiglia vita Giornata per la vita 2019

si chiama transculturalismo»

Si rende sempre più necessario

un patto per la natalità,

che coinvolga tutte le forze culturali

e politiche e, oltre ogni sterile

contrapposizione,riconosca

la famiglia comegrembo

generativo del nostro PaeseMessaggio Giornata per la vita 2019

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ul bancone della cucina Mat-tia, infagottato nella sdraietta,

agita i piedini e aspetta la merenda co-me qualunque bimbo di pochi mesi. «Lavita è un dono, un dono misterioso estupendo di Dio» direbbe con un sorri-so don Leo se fosse ancora qui, anchein questo pomeriggio così ordinario.Perché nel quotidiano lui sapeva quan-to straordinario può esserci. Per Mattia, proteso solo al vasetto di frut-ta, sta arrivando molto di più: il vero nu-trimento, l’amore di due genitori adotti-vi che da qualche parte già sognano il fu-turo di quel figlio vivo eppure ancora perloro sconosciuto. Quel piccino allonta-nato dalla madre naturale perché non e-ra in grado di occuparsi di lui o non vo-leva farlo, raggiungerà chissà quali me-te come una piantinaquando viene ben annaf-fiata, e di lui potrebbe ri-manere solo il nome in unregistro in questa grandecasa con le foto di bam-bini sorridenti alle pareti(alcuni di loro si ripre-sentano da adulti, sbir-ciano nel salone delle fe-ste, fanno qualche do-manda e soprattutto danno l’unica ri-sposta davvero importante: «grazie»).Bambini afferrati a un passo dal nullache voleva inghiottirli. Venuti al mon-do negli anni e nelle emergenze, a tur-no, della tossicodipendenza, dell’Aids,con i piccoli nati sieropositivi. Gli anni’90 sono stati quelli della sindrome fe-to-alcolica, ma ci sono stati anche i fi-gli delle violenze in famiglia, della trat-ta, i frutti del disagio sociale...«La vita è un bene, sempre»: ora sembradi sentire, insieme alla voce, anche il pas-so di don Leo Cerabolini alle nostre spal-le, a guidarci da visitatori tra le stanze pie-ne di giochi e vestitini della casa di Bel-gioso, il luogo in cui fino alla sua morte,l’8 febbraio 2004, il sacerdote pavese haspeso la vita a far nascere bambini. A sal-varli dal buco nero dell’aborto. O a dareloro «un’accoglienza stabile e degna del-la loro innocenza». Il luogo in cui ha ac-colto e aiutato le loro mamme. Dove haridato dignità e speranza all’esistenza dibambini maltrattati, scartati, o semplice-mente nati in troppa povertà – non solomateriale – perché la società credesse nelvalore della loro presenza. La Casa di accoglienza alla vita a mag-gio compirà 40 anni. Di fatto, uno deiprimi Cav in Italia (il primo nacque a Fi-renze nel 1975). Il 12 maggio del 1979,esattamente un anno dopo l’entrata in vi-gore della legge sull’aborto, iniziò un’av-ventura tutt’altro che ordinaria nel climadi quel tempo, per una piccola località diprovincia: accoglienza di giovani donne

in attesa, e rifiutate dalle loro famiglie.Qualche tempo prima, per effetto della194, alla porta di don Leo, parroco diBelgioioso dal ’74, avevano iniziano abussare alcune ragazze che chiedevano diessere aiutate a portare avanti la gravi-danza, mentre le famiglie volevano ob-bligarle a interromperla. Don Leo vuolefare qualcosa e intuisce, davanti al muroopposto dai familiari, che l’unica via ètrovare un ricovero per quelle madri. Ladiocesi disponeva della villa lasciata ineredità dal farmacista del paese, AttilioVigo. «Dove tuona un fatto, siatene cer-ti, lì è lampeggiata un’idea», avrebbespiegato 30 anni dopo don Leo. Che sa-peva di poter contare, oltre che sulla di-sponibilità del vescovo, Antonio Giu-seppe Angioni, anche sull’aiuto entusia-sta e disinteressato di Giovanna Vitali,Angioletta Codara, Anna Panzeri e di al-tri volontari. Fu grazie a loro che le por-te della signorile dimora con giardino,nel centro dell’abitato di Belgioso, ac-cogliendo la prima mamma segnalata dalCav di Pavia, si aprirono per non richiu-dersi più. L’annuncio fu dato a Messa du-rante la Giornata della vita che si cele-brava quell’anno per la prima volta. Fu-rono soppesate le parole, fu definita ca-sa per «bambini bisognosi». Lo stigma e-ra forte, all’epoca, per le ragazze madri.Giovanna Vitali, che da subito don Leoha voluto a presiedere e coordinare l’ac-coglienza, dopo 40 anni e un’infinità distorie viste e vissute, è ancora lì. Portail suo sorriso bonario ed energico tra unappartamento e l’alro. Ha dato casa suaper offrire nuovi posti. Quando ha co-minciato era un’impiegata e alla finedella giornata di lavoro veniva qui lanotte, lavorando no-stop per prendersicura delle ragazze. Accanto a lei ci so-no Fabiano Albanesi e tanti educatori,in tutto trenta dipendenti.Il cav di Belgioioso nel corso dellasua attività ha ampliato il numero ela tipologia degli ospiti. Nel 1986donò alcuni immobili appartenuti al-la sua famiglia, e la Casa divenne

Fondazione, poi onlus, prima re-gionale, poi di ambito nazionale.Al corpo iniziale della villa si sono u-

Allʼindomani delreferendum sullʼaborto

diverse ragazzebussarono alla porta di

un sacerdote del PaveseNacque così la Casa di

accoglienza alla vita

ra una “casa” vera. Con dentro una verafamiglia. Don Leo era il “papà” di tutti.

Lui c’era, per qualunque problema». Mariangelasi ricorda bene l’ingresso nella comunità diaccoglienza di Belgioso: era il novembre del1984. Aveva vent’anni. Quando era rimasta incintail suo ragazzo di allora non aveva voluto ilbambino. Per sua madre quella gravidanza era una«vergogna». Ma Mariangela ad abortire non cipensava proprio. «Mai, neanche per un secondo.Quell’esserino lo volevo. Era la speranza. Per me,che avevo perso il papà quand’ero piccola quellaera un promessa d’amore, qualcuno che miavrebbe voluto bene. Il Signore avrebbeprovveduto». E così dal Cav di Verona la giovane

era stata mandata nel paesino del Pavese. «Miaccompagnò mio fratello, di un anno più grande.Io non ricordo bene quegli attimi, ma Giovanna, ladirettrice che oggi è un’amica, mi dice sempre chenon dimenticherà mai il suo volto: per luilasciarmi lì da sola, in quel luogo sconosciuto, conaltre sette o otto ragazze nella mia stessacondizione, e tornare a casa da nostra madre senzadi me, e senza poter fare nulla per aiutarmi è stataforse la prova più difficile». Le cose sarebberoandate bene, ma in quel momento nessuno potevasaperlo. Alla “Villa” sì, però. Quel prete che avevasempre una parola buona, non pensava solo al«prima», ma anche al «dopo», aiutando leneomamme nei primi passi verso l’autonomia. Si

SAnnalisa

Guglielmino

gennaio 2019

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«Quel figlio in arrivo era la mia speranza

I 40 anni del Cav di Belgioioso

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nite nel tempo Casa Angioletta, Casa Ma-ria Rosa, Casa Agostino, ecc. (dai nomidei volontari che le hanno animate). Tra

comunità educative per madri e figli, al-loggi per l’autonomia, strutture per mi-nori ospitano una sessantina di persone.

C’è anche una struttura per le vacanze,sul lago di Lugano, dono di una famigliafacoltosa che amava a sua volta aiutaregiovani donne nel bisogno.Oggi la Casa di accoglienza alla vita faparte del tessuto sociale del territorio. O-spita eventi, dialoga con le istituzioni, o-gni giorno i bambini vengono accompa-gnati a scuola, i ragazzi si diplomano einiziano l’avviamento professionale.«Cerchiamo di evitare che i nostri bam-bini vangano “etichettati” quando vannoa scuola – racconta Fabiano –. A voltehanno bisogno del sostegno. Ma capitaanche di vedere che i ragazzi che vivonofuori da qui non sono così diversi,... An-zi: spesso i nostri sono i più educati e coni voti migliori». Per alcuni si apre la stra-da dell’affido, a volte anche quella del-l’adozione, come per Mattia.Seguendo il responsabile da un apparta-mento all’altro, si scorge Elisa (questo egli altri nomi degli ospiti della casa so-

no di fantasia, ndr). Ha me-no di vent’anni, studia congli evidenziatori sparsi sul-la cerata del grande tavolocomune. Accanto a lei c’èSara, un anno o poco più.Sul seggiolone si pasticciala faccia con la mela frul-lata, e guarda con diffiden-za i visitatori. Sara è nataqui. Conosce solo la giova-

ne madre, gli altri bambini e gli educa-tori della Casa. Ancora, 40 anni dopo, se-coli dopo, c’è chi rifiuta una vita che na-sce. Forse tra un po’ Elisa tornerà a casasua, con la sua famiglia. Il tempo sta a-vendo ragione, e quella sua bimba rifiu-tata potrebbe avere finalmente posto traveri nonni e altri parenti naturali. Ogni storia, qui, è diversa. Ogni bambi-no ha un vuoto, e se lo porterà sempredentro, ma è in questa casa che impareràa conviverci. «Nessuno ha mai pensatodi salvare tutta la vita – ha detto una vol-ta don Leo –. Non si sono costruiti ap-parati inutili e ingombranti... Abbiamosemplicemente detto: qui ci vuole una fa-miglia». Don Leo, «una persona specia-le nella storia della diocesi di Pavia», peril vescovo emerito Giovanni Giudici. Al-le pareti è pieno di foto del sacerdote. Intutte, sorride. In molte tiene i bambini inbraccio come un papà. Un prete conten-to di fare il prete. «Cosa c’è di più bellodella passione di fare della propria esi-stenza un dono? – diceva –. Che cosa c’èdi più grande e più divino? Si può im-maginare qualcosa di più duraturo per lafragile avventura umana?». Nel quarantennale della Casa ci sarà spa-zio per ricordarlo. La Casa era tutto, perlui. Amava il cielo di Belgioso. Un «belcielo», per lui, era la Casa di accoglien-za. E ai suoi ripeteva sempre «per trova-re la pace cerca Dio, per trovare Dio cer-ca un bambino».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Don Leo diceva: «Pertrovare la pace cercaDio, per trovare Diocerca i bambini». Quioffriva ai piccolilʼaccoglienza degnadella loro innocenza

pranzava e cenava tutte insieme, si pregava. Eintanto la pancia cresceva. Nacque Michele,«colui che è come Dio». Mariangela visse per unpo’ nella canonica, iniziò a fare i primi lavoretti. Ilgiorno del battesimo «venne mia mamma, videMichele e cambiò: fu subito amore». In capo apoco tempo Mariangela tornò a casa, e in pochianni riuscì ad andare a vivere da sola. Michele ècresciuto circondato dall’amore della nonnamaterna e dello zio. «Per mio fratello, è unsecondo figlio». Quella nonna impreparata davantiagli eventi di allora, al giudizio della gente, «oggiimbandisce la tavola quando arriva il nipote, ne èinnamorata». La donna che aveva messo alla portala figlia non esiste più, dissolta nell’amore per il

sangue del suo sangue.Mariangela è legatissima alla madre e al fratello.E ancora oggi torna regolarmente a Belgioioso, davolontaria. Per tutti è Mariangela, in pochi sannoche dentro quella casa è nato suo figlio. «Cheemozione, ogni volta, prendere in braccio ibambini piccoli». Anche Michele ha prestatoservizio civile in una comunità per minori. È unragazzo sereno, «senza fantasmi», ha un bellavoro. Quest’anno, a maggio, si sposerà. «È ilmio matrimonio» dice Mariangela con dolcezza epudore. Quell’altare insieme ai due sposi aspettaanche lei, da trentacinque anni.

(A.G.)© RIPRODUZIONE RISERVATA

A destra don LeoCeraboliniNelle altreimmagini la comunitàdel Cav di Belgioioso

gennaio 2019 9NOI famiglia vita Giornata per la vita 2019

Una promessa dʼamore e di futuro per tutti»

«La vita è un bene, sempre»

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na gravidanza inattesa arrivatamentre si assume un farmaco, il

dubbio su una medicina per un malannoda affrontare pensando alla pancia, e ladomanda è sempre la stessa: «Farà maleal mio bambino?». Per fugare ogni dub-bio rispondono gli specialisti di Telefo-no Rosso, la linea telefonica, dedicata afuture e neo mamme, del Centro studi perla tutela della salute della madre e delconcepito dell’Università Cattolica delSacro Cuore, che offre informazioni echiarimenti "a domicilio" per la preven-zione dei difetti congeniti del neonato euna valutazione dei rischi teratogeni (fat-tori che possono causare malformazionidell’embrione), per esempio derivantidall’assunzione di farmaci in gravidanza. In dicembre Telefono Rosso ha com-piuto 30 anni, celebrati con un conve-gno che, oltre a tracciare un bilancio epresentare le iniziative future, ha mes-so in luce lo straordinario successo delservizio che, solo dal 2000 ad oggi, haricevuto complessivamente 71.378 ri-chieste telefoniche di consulenza. Ilmotivo delle richieste di consulenza hariguardato nel 93% dei casi l’assunzio-ne di farmaci, nel 4% le radiazioni, nel1,5% le infezioni, nello 0,5% i fitote-rapici, nell’1% sostanze chimiche.Tutte le gravidanze, si spiega infatti dalGemelli, presentano un rischio naturaledi difetti congeniti pari al 5% e questo puòessere aumentato da agenti teratogeni fi-sici (radiazioni), chimici (farmaci), bio-logici (virus): è proprio questo eventua-le aumento che, attraverso anche la con-sultazione di banche dati internazionali,viene analizzato dagli operatori del ser-vizio e che è stato mediamente rilevatosolo nel 16% delle consultazioni effet-tuate. La valutazione di eventuali effettidannosi sul feto o sulla madre di ipoteti-ci fattori di rischio consente una signifi-cativa azione di prevenzione. Qualifi-cando e quantificando il tipo di rischio sirende consapevole la coppia o la donnadei reali pericoli per la gestazione e, senecessario, la si può indirizzare verso pro-cedure di diagnosi o eventuali terapie.Questo aspetto si correla direttamente conil tema della prevenzione della interru-zione volontaria di gravidanza poiché,spiegano dal nosocomio romano, solo nel14% dei casi è stata quantizzata la sussi-stenza di un rischio reale consentendo co-sì a più dell’80% delle pazienti che han-no consultato il Telefono Rosso la sere-na prosecuzione della gravidanza.Il punto con il professor Marco De San-

tis, docente aggregato della UniversitàCattolica, responsabile del Telefono Ros-so e del Servizio di diagnosi prenatale eterapie fetali della Fondazione Policlini-co Universitario A. Gemelli.Professore, partiamo con una provo-cazione: cercando su Google TelefonoRosso tra i suggerimenti di ricercacompare: sempre occupato. Un segnodi quanto il vostro servizio sia utile emolto "gettonato"?In effetti abbiamo tante richieste, ed es-sendoci altre strutture che operano conproposte simili siamo un po’ sorpresi chesiano focalizzate su di noi. Abbiamo unasola linea che effettua, gratuitamente, trale 10 e le 15 consulenze a giornata, di-pende dall’entità della consulenza. Ci so-no infatti problematiche molto comples-se, altre di più semplice risoluzione: unconto è se mi chiedono cosa fare dopo a-ver preso un’aspirina, un altro se si par-la di un farmaco oncologico. Inoltre, o-gni volta facciamo l’anamnesi della pa-ziente, perché la nostra consulenza è atutti gli effetti un atto medico fatto da me-dici specialisti, anche se telefonico. Pos-siamo consigliare esami, percorsi, o pia-ni diagnostici. Se poi si tratta di personeresidenti nel Lazio che abbiano necessitàdi indagini diagnostiche, possiamo anchegarantire percorsi di questo tipo. Certo,è logico che se avessimo le risorse met-teremmo in campo due linee. Chi opera in questo servizio?Medici specialisti che hanno fatto un trai-ning nel campo della teratologia e hannola capacità di valutare gli effetti dannosidei farmaci. Sanno interpretare i dati chela paziente dà. C’è una caratteristica no-stra: siamo ginecologi ostetrici, abbiamocompetenze particolari di ginecologia edi gravidanza, non solo di embriologia eteratologia. Teniamo poi presente chemolti dati non ci sono: pensiamo a un far-maco nuovo su cui non ci sono sufficientielementi già in letteratura. Anche il me-dico dal foglietto informativo del farma-co ha indicazioni nebulose. Quello checerchiamo di fare noi è dare un servizioil più qualificato e aggiornato possibile e,soprattutto, di quantificare il rischio rea-

le. È importante esserci e rispondere pro-fessionalmente alle paure: se lasciamospazio solo alle ricerche personali in Re-te, su internet si trova il peggio del peg-gio sui farmaci in gravidanza. Cosa è variato nelle richieste dellemamme in questi anni? Sono cambia-te le paure o restano sempre le stesse?Il fatto che questo servizio duri da 30anni è segno della rilevanza dello stes-so. Un tempo le prime utenti erano ledonne epilettiche, che erano molto piùspaventate per le terapie, ma negli an-ni sono emerse altre problematiche, co-me l’uso dei farmaci psichiatrici. A-desso le depresse sono uno dei gruppipiù numerosi e, sul territorio, i più im-pauriti sull’uso dei medicinali sono icolleghi. Dobbiamo sottolineare che

UEmanuela

Vinai Compie 30 anni la lineatelefonica per la tutela della salute della madre e del concepito: informazioni e chiarimenti "a domicilio"

STOP ALLE PAURE

È importante essercie rispondereprofessionalmentealle paure: selasciamo spazio soloalle ricerchepersonali in Rete, suinternet si trova ilpeggio del peggio

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Un “telefono rosso” sciogliei dubbi delle future mamme

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oggi l’Aifa dà delle buone informazio-ni, ma resta il problema dei nuovi far-maci: ci vogliono centri che faccianoraccolta dati e farmaco-vigilanza. Una paura è rimasta importante, anchese sul tema sono anni che scriviamo arti-coli. Quella delle radiazioni ionizzanti:la classica lastra toracica o dentale. Quiè un fatto legato alla dose di esposizione.Le radiazioni di una tac non raggiungo-no livelli di pericolosità per il feto. Or-mai dovrebbe essere noto che gli esamidiagnostici sono a dosaggio talmente bas-so che non danno danni al nascituro. Ancora, i farmaci in allattamento sonoun capitolo molto importante: l’allatta-mento protegge il bambino e la madre eil non allattare deve essere giustificato.Quello che non si sa è che molti farmacisono compatibili con allattamento.Infine, abbiamo implementato la consu-lenza preconcezionale, che è una formadi prevenzione. Ci chiamano donne chehanno patologie croniche e prendono far-maci che possono essere pericolosi per u-na gravidanza. Ora queste donne posso-no avere informazioni complete e posso-no essere indirizzate a consulenze speci-fiche. Diamo consigli anche sulle vacci-nazioni e raccomandiamo l’assunzionepreconcezionale di acido folico.C’è un caso che le è rimasto impresso?Ce ne sono molti, ci sono state donne chehanno dichiarato di voler interrompere la

gravidanza e hanno cambiato idea. Noinon nascondiamo nulla, valutiamo la si-tuazione e comunichiamo ogni tipo di ri-schio e l’utenza si fida dei nostri consi-gli. Inoltre, se la donna acconsente, con-tinuiamo a seguirla anche nelle gravi-danza, vogliamo sapere come va, comesi sente. Così possiamo informare sem-pre meglio tutte le donne. Ci vuoleun’informazione scientifica, vera, seria,che riporti le cose nell’ambito della quan-tificazione del rischio. Quando mi sonostati portati a conoscere i bambini, figlidi donne che non avevamo mai visto, maincontrate solo con una telefonata, ecco,è bello pensare che quella specifica te-lefonata ora è un ragazzo, una ragazza.Trent’anni vissuti tutti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marco De Santis,

responsabile del Servizio di diagnosiprenatale

e terapie fetali del "Gemelli"

e del "Telefonorosso" con

alcunecollaboratrici

del serviziotelefonico dedicato

alle mamme in attesa

TUTTO GRATIS

Marco De Sanctis(Policlinico Gemelli):offriamo tra le 10e le 15 consulenze al giorno. Ci sonoproblematichemolto complesse,altre di più semplicerisoluzione

gennaio 2019 11NOI famiglia vita Giornata per la vita 2019

Consulenza anchea medici e farmacistiIl Telefono Rosso è una li-nea telefonica dedicata afuture e neo mamme cherisponde al numero 06-3050077. Il servizio (al co-sto della sola telefonata)è attivo è attivo dal lunedìal venerdì dalle ore 9.00alle ore 13.00. Il TelefonoRosso fornisce consulenzemediche in fase preconce-zionale, in gravidanza odurante lʼallattamento achiunque ne faccia richie-sta: per esempio coppie,in particolare donne chedesiderano avere un figlioo che si trovano nelle pri-me fasi della gravidanza,ma anche medici di base,farmacisti e altri operato-ri sociosanitari. Negli ulti-mi due anni di attività(2017-2018) nellʼ89% deicasi è stata la donna ingravidanza a telefonare,nel 5% il marito, nel 3% unfamiliare, nel 2% un me-dico, nellʼ1% un operato-re socio-sanitario. Le te-lefonate sono state effet-tuate nel 55% dei casi dalCentro Italia, nel 15% deicasi dal Nord, nel 28% dalSud. La consulenza vieneeffettuata da medici spe-cializzati in ostetricia e gi-necologia con particolaricompetenze nel campodella medicina prenatale,delle gravidanze a rischioe della teratologia clinica.La valutazione del possi-bile rischio riproduttivo siavvale anche delle banchedati specifiche disponibi-li a livello internazionale.Il Telefono Rosso è infattiintegrato nella rete deiservizi omologhi (Terato-gen information service)europei (ENTIS) ed ex-traeuropei (OTIS), con iquali esiste un rapportocontinuo di scambio diinformazioni relative so-prattutto alle problemati-che che risultano più rareo nuove. (E.Vi.)

DA

SA

PERE

Accogliere, servire, promuovere la vita umana e custodire la suadimora che è la terra significa scegliere di rinnovarsi e rinnovare,

di lavorare per il bene comune guardando in avantiMessaggio Giornata per la vita 2019

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«Sei incinta?Vattene da qui»In Sicilia vecchi enuovi pregiudizi

osa non ti arriva alle ginocchia,ma si muove con disinvoltura da

un punto all’altro della grande sala incorso Tukory, a Palermo, in cui c’è sem-pre qualcosa per lei. E questa volta nonsolo vestitini, scarpette e omogeneizza-ti: un club Lions, che ha accompagnatola sua mamma al parto e ora segue lacrescita della piccola Rosa, le ha fattotrovare un bellissimo cavallino giocat-tolo tutto colorato. Rosa ha appena 17mesi e una lunga storia da raccontare, co-me quelle di tanti altri bambini nati ecresciuti anche grazie all’impegno quo-tidiano dei numerosi volontari dei Cen-tri aiuto alla vita in Sicilia. Un impegnoche comincia da lontano e ha già al suoattivo parecchi decenni di attività, di rac-conti, di vittorie e di sconfitte, di diffi-coltà, di ascolto, di progetti di sostegnoalla maternità e di sensibilizzazione nel-le scuole, tra i più giovani.Una ventina di volontari laici sono atti-vamente impegnati ad Agrigento, del Cav"Opera don Guanella" nato nel 2000 nel-la parrocchia della Divina Provvidenza,dopo il Giubileo della famiglia. «Abbia-mo un centro di ascolto aperto quotidia-namente – spiega la presidente Benedet-ta Dominici – Ogni giovedì sono presen-ti tutti i volontari e seguiamo circa 50mamme, che si rinnovano periodicamen-te». Al Cav di Agrigento ci sono moltiservizi: la sala ascolto, per la richiesta deiProgetti Gemma, la saletta per la distri-buzione dei viveri, degli omogeneizzati,dei pannolini, un altro locale per la di-stribuzione dei vestitini e la preparazio-ne dei corredini da neonato, una segrete-ria. Ma è l’azione culturale quella che ilCentro cerca di portare avanti soprattut-to tra i giovani. «Siamo presenti in trescuole, addirittura un istituto di Agri-gento e uno di Porto Empedocle hannoinserito la nostra attività nel piano del-l’offerta formativa – afferma con sod-disfazione la presidente Dominici –.Nell’istituto comprensivo Agrigentocentro è stata effettuata una grande do-nazione di generi alimentari e pannoli-ni per i nostri assistiti. Poi incontriamole quinte elementari e le terze medieper discutere, dopo avere proiettato ilfilmato "La vita umana è la prima me-raviglia". È sempre molto efficace, per-ché per molti l’essere favorevoli all’a-borto nasce dalla considerazione erra-ta che l’embrione non è vita». E dai giovani nacque tanti anni fa l’ideache poi è stata sviluppata dal Cav. Fu u-na ragazzina a chiedere di effettuare unadonazione per le mamme e i bambini e

sua grande difficoltà, andammo a trovar-la a casa, tornammo più volte. Le assi-curammo che l’aiuto economico non sa-rebbe mancato. La donna aveva deciso ditenere il bambino, ma al settimo mese digestazione dovette ricoverarsi per mi-nacce di parto prematuro. Rimase in o-spedale per un mese, ma c’erano gli altrifigli a cui badare. Presi una delle bambi-ne in casa con me per tanto tempo. A-desso quella bimba è madre a sua volta». Ogni sabato mattina le volontarie si re-cano all’ospedale di Agrigento per pre-gare per tutte le donne in difficoltà, perchi vive una scelta travagliata, per i bam-bini portati in grembo. E, ormai è una tra-dizione, per la festa patronale di San Ca-logero il corteo di cento passeggini ani-ma la città e grida il suo "sì" alla vita.«Il mio primo "progetto" oggi ha 28 an-ni e si chiama Adriano, figlio di una ra-

da lì è cominciata la collaborazione conle scuole. «Abbiamo festeggiato il tra-guardo dei mille bambini sottratti all’a-borto due anni fa – aggiunge la presidente–. Ogni storia è preziosa, ma qualcunaresta maggiormente impressa. Una don-na attendeva il quinto figlio, portava a-vanti la famiglia svolgendo le pulizie invarie case, il marito si disinteressava ditutto. Per caso venimmo a sapere della

Mentre nei Cavlʼemergenza ha sempre più spesso il volto dellemamme immigrate,rispuntano antiche chiusure

I quarantʼanni in prima linea del Cav di PalermoAl servizio della vita con oltre mille bambini salvati

RAlessandra

Turrisi

Sono 1001 i bambini nati, dallʼinizio degli anni Novanta, grazie allʼopera dei vo-lontari del Cav di Palermo. Ecco di cosa vanno orgogliosi le donne e gli uomini cheogni giorno spendono il proprio tempo per promuovere la cultura della vita. Il 19aprile prossimo il Cav del capoluogo siciliano compirà 40 anni di età e le attività ditutto lʼanno ruoteranno attorno a questo importante compleanno. Una realtà chesi fonda solo sul volontariato e sulle donazioni della gente e che opera a Palermodal 1979. Moltissime donne vengono assistite, con una sorta di adozione a di-stanza, per 18 mesi, sei mesi prima della nascita del bambino e dodici mesi dopo.Sono singoli donatori o gruppi di famiglie che ogni mese versano la loro quota peroffrire un sostegno economico concreto a una mamma in difficoltà e al suo picco-lo. La maggior parte delle donne che si rivolgono al centro sono siciliane, la cui u-nica alternativa sarebbe stata lʼaborto, ma negli ultimi anni è cresciuto il numerodelle straniere, che giungono al servizio grazie spesso al passaparola.«Dobbiamo lavorare molto sulla sensibilizzazione, perché i volontari diven-tano sempre più grandi dʼetà e diminuiscono, non cʼè un ricambio genera-zionale» afferma il presidente Luciano DʼAngelo. «Ci rendiamo conto che è mol-to cambiata la realtà sociale, si ricorre molto meno allʼIvg ospedaliera, ma au-mento lʼuso della pillola Ru486. Utilizzeremo questʼanno per riflettere, per stu-diare il modo migliore per promuovere il nostro messaggio, che è principal-mente quello di promuovere la vita e rispettare lʼaltra persona».Il Cav si trova in corso Tukory 184, in locali confiscati alla mafia, è aperto dal lunedì algiovedì dalle 9 alle 12 (tel. 0916518883); sono presenti assistenti sociali, psicologhe,consulenti legali, capaci di affrontare i casi in maniera completa e attenta. Si sostienecon offerte di privati, donazioni del "5 per mille", raccolte e vendite di beneficenza.(Ale. Tur.)

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donne che vengono al Cav per una gra-vidanza, ma in quell’occasione rac-contano dei traumi vissuti in prece-denza, che le lacerano ancora».Eppure le storie belle sono i ricordi piùpreziosi. Come quella giovane di 30 an-ni, laureata, appartenente a un ceto so-ciale alto, rimasta incinta di un coetaneoche solo in un secondo momento le ha ri-velato di avere un’altra famiglia e l’ha la-sciata da sola. Sono stati gli amici dellaparrocchia, avendo appreso che la ragaz-za voleva abortire anche per via di graviproblemi con i genitori, a rivolgersi alCav e a proporre all’amica di chiedere unparere alle volontarie. Quel bambino ènato e oggi ha tre anni e splendidi occhiazzurri: per diciotto mesi sono stati i ra-gazzi ad autotassarsi per sostenere, in se-greto, quella maternità.Preziosa è l’esperienza del Cav di Ba-gheria, con una sede nel cuore della cit-tadina alle porte di Palermo, ormai da 21anni. Fu lì che, il 27 settembre 1996, do-ve esisteva una sede della Caritas, unadonna decise di abbandonare la propriafiglioletta appena nata, in un sacchetto diplastica in mezzo a vestiti vecchi. E unanno dopo nasceva il Centro aiuto alla vi-ta che è anche sede del Movimento perla vita, con una quindicina di volontari ef-fettivi, impegnati in cene di beneficenzae concerti col coro Sancte Joseph, ten-tando di rispondere ai mille bisogni di unampio territorio, da Villabate a Castel-daccia, a Misilmeri. Maria Concetta Do-milici, bancaria, è una delle fondatrici epresidente, tiene molto al percorso for-mativo e al continuo aggiornamento dichi opera in questo campo. In questi duedecenni sono state seguite circa 350 mam-me che hanno dato alla luce i loro bam-bini grazie al sostegno del Cav, ma sonoalmeno 800 i bambini che hanno usu-fruito dell’aiuto economico dei volonta-ri. «Il 6 dicembre di tre anni fa una ra-gazza si presentò al Cav – racconta la pre-sidente –. Aveva scoperto di essere in-cinta e la famiglia l’aveva cacciata da ca-sa, lei dormiva sulle panchine, in stazio-ne, temendo di essere riconosciuta. È sta-to difficilissimo trovarle un alloggio, lopagammo noi autotassandoci, poi diventòindipendente con un lavoretto e ora haun altro bimbo, ma per ogni necessitàsi rivolge alla nostra struttura». La sen-sazione è che si sia tornati indietro neltempo, a quando le ragazze madri veni-vano respinte dalla famiglia e lasciate aloro stesse. «In più non ci sono altri Cavnella zona, sarebbe necessario istituir-ne uno a Cefalù e poi fare promozionedi cultura per prevenire il ricorso al-l’interruzione di gravidanza».

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gazza madre allora, che poi ha dato allaluce altri tre figli e vive in una casa asse-gnata dal Comune in un bene confisca-to», ricorda ogni particolare Angelo Bu-sardò Massara, volontaria storica del Cavdi Palermo. «Oggi è cambiata l’utenza, cisono molte più donne migranti, con cuiesiste un problema di comunicazione, pervia della lingua, soprattutto con chi pro-viene da Sri Lanka, India, Bangladesh –ammette –. Loro vogliono essere aiutate,non sono interessate all’aborto, ma si av-vicinano al centro perché una gravidan-za è insostenibile con le difficoltà eco-nomiche che vivono ogni giorno». Una ventina di volontari sono presenze at-tive al Cav, guidato da Luciano D’Ange-lo, per ascoltare, gestire il materiale perl’infanzia da distribuire a chi è in diffi-coltà, seguire ogni singola storia di disa-gio. Ogni anno sono una ventina i nuovicasi seguiti a Palermo, oltre a quelli incontinuità con l’anno precedente, a cui ilCav dà un aiuto concreto per sei mesi digravidanza e fino al compimento di un an-no di età del bambino. L’iter per prende-

re in carico una mamma è ben codifica-to e rodato. «Chi arriva dopo il 5-6 mesedi gestazione viene aiutata con un paccocon tutto il necessario – spiega ValeriaReale, assistente sociale –. Chi viene neiprimi mesi di gravidanza, invece, fa al-

cuni colloqui e viene affi-data a due volontarie, chesi occupano di tutto, anchedella visite domiciliari». Maria Nunzia Di Girolamo,volontaria da 38 anni, è unasso nell’organizzare il cor-redino che viene consegna-to al settimo mese di gravi-danza. «Attraverso i Pro-

getti Palermo seguiamo la mamma e ilbambino per circa 18 mesi, calibrandol’aiuto economico in base alla gravità del-la situazione – aggiunge l’assistente so-ciale –. Con queste donne resta un bel-lissimo rapporto, è una soddisfazione ve-dere come imparano a camminare da so-le». Resta il dramma psicologico di chiricorre all’aborto o all’assunzione dellaRu486: «Mi è successo di incontrare

La bella sorpresa di Agrigento: la formazione sui temidella vita entra neiPiani formativi degliistituti superiori statali

Una manifestazionepro vita organizzatadal Cav di Agrigento

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e l’acquisto di pannolini e pro-dotti per la prima infanzia da do-

nare alle madri che lo richiedono costi-tuisce l’impegno più consistente dal pun-to di vista economico, tuttavia l’attivitàmessa in campo in questi 31 anni dal Cen-tro aiuto vita (Cav) di Legnago va ben ol-tre il latte in polvere. Nell’accogliente se-de situata nel quartiere di Casette (doveanche il nome dice la dimensione fami-gliare del luogo) della cittadina della Bas-sa veronese, abbiamo in-contrato Giovanni Buoso,38 anni, sposato con due fi-gli, da un quinquennio allaguida del Cav. Parole qualisostegno, formazione, sup-porto, sensibilizzazione, re-lazioni esterne, bilancio so-ciale, lavoro in rete, traspa-renza, professionalità, do-no, volontariato… diconouna ricchezza tanto di va-lori quanto di buone pra-tiche. I primi cinque ter-mini corrispondono infat-ti ad altrettanti ambiti di servizio delCav, ognuno dei quali è affidato alla re-sponsabilità di uno dei componenti ildirettivo, tre donne e due uomini tuttiunder 40 (un vero record), eletti ognidue anni dai 160 soci. Ad essi si af-fiancano una quarantina di indispensa-bili volontari e una figura professiona-le, la psicologa e psicoterapeuta OrnellaFlora, unica dipendente del centro, laquale gestisce l’ambito del sostegno. «Da circa vent’anni – racconta Buoso –incontra all’ospedale "Mater Salutis" diLegnago, dove siamo presenti tutti i mer-coledì, le donne che intendono interrom-pere la gravidanza». Sono stati ottanta icolloqui effettuati nel 2018 fino a metàdicembre e in sette casi la gravidanza èstata portata a termine o lo sarà nei pros-simi mesi. «In queste circostanze si in-contrano situazioni spesso drammatiche,che domandano ascolto, attenzione e ri-sposte adeguate – prosegue Buoso –. Or-nella ci raccontava di una ragazza africa-na che parlava poco l’italiano e, sapendodi dover affrontare il colloquio (in ot-temperanza a quanto prevede la stessalegge 194, ndr), ha chiesto a una sua con-nazionale che avevamo sostenuto, di aiu-tarla nella traduzione. In quell’occasione

questa signora, oltre a tradurre quantochiedeva la psicologa, le ha portato la suatestimonianza dicendole: "Guarda che ve-ramente ti vogliono aiutare, a me hannocambiato la vita. Adesso ho due splendi-di bambini e posso solo ringraziarli. Cer-tamente le difficoltà ci sono state e ci so-no ancora, però ne vale assolutamente lapena". Noi ci limitiamo a ciò che possia-mo fare, ma dove è arrivata questa don-na non saremmo mai giunti senza la suatestimonianza».Nell’anno da poco trascorso il Cav ha of-ferto sostegno a circa 250 famiglie, di cuiquasi un centinaio quelle prese in caricoper la prima volta. Si rivolgono al centroper lo più donne marocchine, seguite daitaliane e nigeriane. Sono nati sinora 63bambini delle 78 gravidanze seguite ed èstata accolta una madre con suo figlio inuno dei due appartamenti di seconda ac-coglienza a disposizione al primo pianodella struttura. Inoltre nella sede del Cavuna volta alla settimana si ritrovano mam-me seguite in passato e che ora hannoraggiunto la propria autonomia. «Man-giano insieme, fanno giocare i bambini,parlano dei temi a loro cari – spiega ilpresidente –. Ma soprattutto è molto si-gnificativo il fatto che continuino a fre-quentare il centro e comunichino la loroesperienza alle mamme che ora seguia-mo. In questo modo sono loro le nostreprime testimonial». Un’attività, quella del Cav legnaghese,che si estende territorialmente nel Sud-est della provincia scaligera – nella qua-le opera in rete con altri 12 centri – e ve-de numerose iniziative di sensibilizza-zione per tutte le età. «In occasione del-la Giornata per la vita partecipiamo alMeeting invernale degli adolescenti cheda un paio d’anni si svolge a livello vi-cariale – illustra Buoso –. Nel 2018 ab-biamo ospitato Simona Atzori, ballerinae pittrice priva degli arti superiori, che ciha portato la sua testimonianza, mentrequest’anno avremo tra noi suor Anna No-bili, che da giovane faceva la cubista indiscoteca, poi ha scelto la vita religiosa».Fondamentali sono anche gli incontri congli studenti nelle scuole, con un linguag-gio calibrato in base alla loro età. «Congli adolescenti, dopo una brevissima pre-sentazione, proponiamo un gioco. Si di-stribuiscono delle carte su ognuna dellequali è indicato un ruolo: la mamma in-cinta, il papà, la madre della ragazza, suopadre… Si ricrea una situazione verosi-

mile e chiediamo: se dovesse succe-dere a te adesso di rimanere incinta,come reagiresti? I ragazzi preparanouna piccola scenetta nella quale ogniruolo viene rappresentato. Questo dàla possibilità di far emergere la sensi-bilità, la storia e le reazioni di ognu-no. Al termine si tirano le fila e si di-scute su quanto è emerso. Puntiamomolto sull’opera di sensibilizzazione,anche perché, in seguito a incontri nel-le scuole, diverse persone sono di-ventate volontarie del centro». Lo "Spritzavita" è invece un’iniziati-va di sensibilizzazione per i giovani,premiata come buona pratica al con-vegno nazionale svoltosi a Lecce nelnovembre scorso. «Dovevamo pro-porlo qui al centro, ma il giorno sta-bilito diluviava, così abbiamo chiestoospitalità alla parrocchia di Sant’An-tonio. Avevamo il dj, due bollicine,

A Legnago (Verona) un Cav "under 40" ha messo a punto,

in rete con altri 12 centri, una serie

di iniziative per sensibilizzare

i più giovaniE i risultati

stanno arrivando

SAlberto

Margoni

Educazione e gioco, anche così crescono i volontari della vita

gennaio 2019

NOI14

famiglia vita Giornata per la vita 2019

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qualche stuzzichino e dopo un tempo diconoscenza reciproca abbiamo propostotre giochi di squadra incentrati sugli am-biti della formazione, del supporto e del-la sensibilizzazione, veicolando concettiimportanti quali il lavoro di gruppo, lacollaborazione e la responsabilità. Al ter-mine in molti ci hanno lasciato il proprionominativo, indicando il settore di mag-gior interesse. Da questo semplice even-to – conclude Buoso – è pervenuta la di-sponibilità di quattro nuovi volontari chein occasione della prossima Giornata perla vita inizieranno a collaborare».Il Cav di Legnago gode del marchio eti-co "Merita fiducia", una certificazionepromossa dal Centro servizi per il vo-lontariato di Verona e attribuita alle as-sociazioni che rendicontano la propria at-tività economica e sociale in modo tra-sparente, offrendo certezze ai donatori.

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gennaio 2019 15NOI famiglia vita Giornata per la vita 2019

Sono 349 i Centridʼaiuto in Italia

Poco più di 40 anni dopo lʼa-pertura del primo Centro diaiuto alla vita, a Firenze nel1975, i Cav in Italia hannoraggiunto la quota di 349Centri, più 41 Case dʼacco-glienza. E sono centinaia iMovimenti per la vita localiche diffondere la culturadella vita. La necessità di tu-telare la vita nascente haportato negli ultimi ventʼan-ni, su tutto il territorio na-zionale, a un aumento del46% dei Cav (al Nord lʼau-mento è stato del 17%, alCentro del 91%, al Sud dellʼ82%, mentre nelle Isole sisono quasi triplicati). Dal1975 a oggi i bambini natigrazie allʼaiuto dei Cav so-no stati più di 200mila (lʼe-quivalente degli abitanti diuna città come Brescia), e ledonne assistite circa 700mi-la. Ogni anno circa 60miladonne delle quali la grandemaggioranza è in attesa diun bambino vengono assi-stite in vario modo. Lʼ89%delle donne che si sono pre-sentate a un Cav dopo a-ver preso in considerazio-ne lʼaborto hanno poiproseguito la gravidanza.Nel 2016, delle 1.265 ge-stanti che erano incerteoppure intenzionate ad a-bortire il 75% ha dato al-la luce il proprio bambi-no. Nessuna mamma ‒ inun Cav come altrove ‒ hamai rimpianto la scelta difar nascere il bambinoche aspettava. Mentre intante si pentono dellascelta opposta.

Costruiamo oggi, pertanto, una solidale

"alleanza tra le generazioni", come ci ricorda con insistenza

Papa Francesco. Così si consolida la certezza per il domani dei nostri figli e si spalanca lʼorizzonte del dono di sé,

che riempie di senso lʼesistenzaMessaggio Giornata per la vita 2019

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a proposta di istituire un an-nuale giornata per la vita fu for-

mulata dalla Commissione famiglia del-la Conferenza episcopale italiana pochigiorni prima dell’approvazione dellalegge 194 che ormai sembrava inelutta-bile. Lo scopo della proposta era dimo-

strare che la Chiesa non si ras-segnava e non si sarebbe rasse-gnata mai. Sono parole che iopersonalmente ascoltai perchéfui convocato dalla Commis-sione per fornire informazionisulla legge. In sostanza la gior-nata ha lo scopo primario dimantenere sveglia la coscienzadei cristiani e della società ci-vile sul dramma dell’aborto. La proposta fu accolta dal Con-siglio permanente della Cei el’allora segretario generale,monsignor Luigi Maverna,scrisse a tutti i vescovi italianiche la giornata aveva lo scopodi «educare all’accoglienza del-la vita e combattere l’aborto edogni forma di violenza esisten-

te nella società contemporanea».Nonostante l’apertura di una finestrasu ogni forma di violenza resta chia-ro che la giornata deve fare priorita-rio riferimento alla vita nascente.Vi è una necessaria interdipendenza trale varie forme di violenza sull’uomo. Chiè impegnato per proteggere la vita del piùpiccolo e povero tra gli esseri umani (co-sì santa Madre Teresa di Calcutta chia-mava il concepito) che non è visibile senon con l’uso di sofisticati apparecchi

moderni, non può non commuoversiquando vede nelle nostre città personeche dormono su cartoni nelle strade o sot-to i ponti, oppure se pensa ai molti chefuggono dalle guerre e dalla fame e poiannegano nel Mediterraneo mentre ten-tano di raggiungere l’Europa. D’altra par-te coloro che sono impegnati ad acco-gliere profughi, malati e poveri non pos-sono ignorare le uccisioni di bambini nonnati che avvengono nelle nostre stesse ca-se, appena compiuto il viaggio che haportato i figli dal nulla all’esistenza. Il titolo della prossima giornata per la vi-ta è molto bello e si riferisce in modospecifico ai concepiti non ancora nati.L’affermazione "È vita, è futuro" ri-guarda la vita di esseri umani non ancora

«Ecco come 41 anni fa è nata la “Giornata”Una sceltadellaCommissionefamiglia CeiLʼallorasegretariogeneraleMavernascrisse a tutti i vescovi»

Madre Teresa: la pace comincia È giusto in occasione della Giornata per la vitaascoltare ancora una volta i messaggi inviati dasanta Madre Teresa di Calcutta proclamataPremio Nobel per la pace nel 1979 e presidenteonoraria dei Movimenti per la vita nel 1990. Imessaggi sono rivolti:

AL MOVIMENTO PER LA VITAITALIANO:

ari amici di tutta Italia,Oggi Gesù viene in mezzo a noi ancora una

volta – come bambino non nato – e i suoi non loaccolgono. Gesù divenne un fanciullo. Gesùdivenne un fanciullo in Betlemme per insegnarci adamare il bambino. Il bambino non nato – il fetoumano – è un membro della famiglia umana –come te e me – creato ad immagine e somiglianzadi Dio – per grandissime cose – amare ed essereamato. Perciò non c’è più da scegliere una voltache il bambino è stato concepito. Una seconda vita– un altro essere umano – è già nel grembo della

madre. Distruggere questa vita con l’aborto èomicidio, così come qualunque altro omicidio,anzi, peggio di ogni altro assassinio. Perché chi nonè ancora nato è il più debole, il più piccolo, il piùmisero della razza umana, e la sua stessa vitadipende dalla madre – dipende da te e da me – peruna vita autentica. Se il bambino non ancora natodovesse morire per deliberata volontà della madre,che è colei che deve proteggere e nutrire quellavita, chi altri c’è da proteggere? Questa è la ragioneper cui io chiamo i bambini non ancora nati "i piùpoveri dei poveri". Se una madre può uccidere ilsuo stesso figlio nel suo grembo, distruggere lacarne della sua carne, la vita della sua vita e fruttodel suo amore, perché ci sorprendiamo dellaviolenza e del terrorismo che si sparge intorno anoi? L’aborto è il più grande distruttore di paceoggi nel mondo – il più grande distruttore d’amore.È mia preghiera per ciascuno di voi, che voi possiatebattervi per Dio, per la vita e per la famiglia, eproteggere il bambino non ancora nato.Dio vi benedica

C

LCarlo

Casini

«La Chiesa educa e accogliegennaio 2019

NOI16

famiglia vita Giornata per la vita 2019

I temi della Giornata1979/1998

1979La vita è sacra

1980Evangelizzare la vita

1981Madre e figlio,

unʼunica vita da accogliere

1982La vita è un dono sempre

1983Territorio e lavoro a servizio della vita

1984Da adulti, per la vita

1985La vita che nasce riconcilia con la vita

1986Ogni vita chiede amore

1987Quale pace se non salviamo

ogni vita?

1988Benedetto il frutto del tuo seno

1989Solidali con al vita

per il futuro dellʼuomo

1990Vivi per servire la vita

1991Amore per la vita, scelta di libertà

1992Il diritto alla vita fondamento

di democrazia e di pace

1993Ripartire dal rispetto della vita

1994La famiglia, tempio della vita

1995Ogni figlio è un dono

1996Ripensare la vita per una nuova

cultura della vita

1997Io sono la vita

1998Comunicare la vita

1999Paternità, maternità,

dono e impegno

LA S

TORIA

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nati perché molti, per giustificare l’a-borto sostengono che sono soltanto gru-mi di cellule senza alcun significato. In-vece, la scienza e la ragione dimostranoche si tratta di individuo umano, uno dinoi e ripetere questa verità nella giorna-ta per la vita è il massimo strumento diprevenzione dell’aborto perché risveglial’innato coraggio delle donne, la loro ca-pacità di accoglienza, la loro testimo-nianza di amore. In un momento in cui il crollo della na-talità suscita una generale preoccupazio-ne, particolarmente intensa in Italia, af-fermare che ogni concepito è futuro po-trebbe sembrare una banalità. In effetti lamotivazione più diffusa per contrastareil calo delle nascite riguarda il timore di

una perdita di identità della nazione e ilrischio di danni economici. Si tratta diproblemi veri ma che recano l’ombra del-l’egoismo. C’è qualcosa di molto piùprofondo nell’affermazione che ogni fi-glio è futuro. Se nell’universo c’è un fi-ne, questo non può essere che l’uomo,capace di rispondere all’amore per cuiDio ha creato l’universo. C’è da costrui-re una società della verità e dell’amore ea questo serve la storia. Il succedersi del-le generazioni serve a garantire la storia.Ogni figlio perciò è una creazione in at-to, per realizzare la quale Dio che ha crea-to l’Universo. Per questo chiede la colla-borazione dell’uomo e della donna e af-fida loro il succedersi delle generazioni,che è il senso vero della storia. In conclusione la Giornata per la vita èuna occasione per salvare molte vite u-mane e insieme la gioia delle madri edelle famiglie. La parola può salvare,come l’esperienza dimostra. Inoltre, la"Giornata" serve a incoraggiare il Mo-vimento per la vita, in particolare i suoiCentri di aiuto alla vita, oltre a mobili-tare l’intera comunità cristiana ed u-mana per rafforzare il sostegno del vo-lontariato per la vita. Basti pensare che,se in ogni Parrocchia, nella Giornataper la vita si realizzasse un ProgettoGemma, sarebbero migliaia i bambinisalvati e sarebbe diffusa una parola e-ducatrice coinvolgente. Infine, anche leistituzioni pubbliche potrebbero esserepersuase della possibilità di prevenirel’aborto con una indicazione chiara sul-la identità umana del concepito e met-tendosi realmente a disposizione peraiutare le madri a superare le difficoltàche le spingono verso l’aborto.

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dal rispetto del diritto alla vitaALLE DONNE IN OCCASIONE DELLA CONFERENZA DI PECHINO NEL 1995:

uesto speciale potere di amare che appartiene alladonna è molto più visibile nella madre. La

maternità è il dono di Dio alla donna. Come dobbiamoessere grati a Dio, allo stesso modo, donne e uomini,per questo meraviglioso dono della maternità! Eppurenoi possiamo distruggere questo dono della maternità,specialmente con il demone dell’aborto…

AI POLITICI:a difesa del diritto alla vita di tutti, specialmentedel più debole coinvolge la politica, ma non è un

problema politico. Si tratta di un "dovere umano".Fare politica significa assumere delle posizioniriguardo a certe questioni politiche in cui possonopresentarsi delle legittime differenze di opinione.Non possono comunque, esistere differenze diopinione giustificabili per quanto riguarda il dirittoalla vita di ogni individuo.

ALLE CITTÀ:romettiamoci che in questa città nessuna donnapossa dire di essere stata costretta ad abortire"

ALL’EUROPA:’Europa delle radici cristiane sia cuore di un nuovo rinascimento, animato

da una tensione etica che torni a considerarel’uomo, gloria del Dio vivente, il valoresupremo nell’ordine del Creato. Che la prima pietra dell’edificio della pace sia il rispetto della vita umana, specie quellanascente, sofferente e morente. In questocontesto di nuovo umanesimo europeo e di un risvegliarsi di sempre più necessarieenergie morali, sia redatta e approvata una carta europea dei diritti del bambino che attualizzando i principi già contenuti nella Dichiarazione del 1959, sproni l’Europa a dare ai suoi figli, prima e dopo la nascita, il meglio di se stessa.

L

P

L

Q

gennaio 2019 17NOI famiglia vita Giornata per la vita 2019

Lʼaborto è scelta da rifiutare»I temi della Giornata

1999/2019

2000Ci è stato dato un figlio

2001Ogni figlio è parola

2002Riconoscere la vita

2003Della vita non si fa mercato

2004Senza figli non cʼè futuro

2005Fidarsi della vita

2006Rispettare la vita

2007Amare e desiderare la vita

2008Servire la vita

2009La forza della vita nella sofferenza

2010La forza della vita una sfida

nella povertà

2011Educare alla pienezza della vita

2012Giovani aperti alla vita

2013Generare la vita vince la crisi

2014Generare futuro

2015Solidali per la vita

2016La misericordia fa fiorire la vita

2017Donne e uomini per la vita

nel solco di santaTeresa di Calcutta

2018Il Vangelo della vita, gioia per il mondo

2019È vita, è futuro

LA S

TORI

A

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na donna telefona, dice che hapoco tempo per decidere, do-

mani deve dare la risposta al ginecolo-go. È sola, ha un lavoro precario, rischiadi non riuscire a pagare l’affitto. Primadi fissare l’appuntamento per l’abortoperò ha voluto fare quell’ultima telefo-nata: il numero lo ha trovato su internet.Le viene proposto di vedersi, per parla-re di persona. Accetta. Un lungo collo-quio in cui lei apre il cuore raccontan-do tutti i dubbi che l’assillano, e in ri-sposta le viene spiegato l’aiuto che lesarà dato, sia prima che dopo il parto, leviene raccontata la storia di altre donnecome lei, le viene assicurato l’abbracciodelle volontarie che seguono situazionicome le sue. Le lacrime scendono sulsuo viso: un misto di paura e commo-zione. Tra sei mesi un bambino nascerà.

Storie come questa accadono ogni gior-no al Centro di Aiuto alla Vita. Quellodi Firenze, nel chiostro della basilica diSan Lorenzo, è il più antico d’Italia, laprima esperienza nata per offrire un’al-ternativa alle donne chesceglievano di abortire.Lara Morandi lavora quida 13 anni come assisten-te sociale: sul suo tavoloc’è un grande pacco difazzoletti di carta perchéspesso, spiega, i colloquifiniscono con un piantoliberatorio. «Gli incontrisono tutti diversi – rac-conta – ogni donna ha la sua storia».Molte arrivano al centro tramite in-ternet, attraverso il numero di Sos Vi-ta, oppure consigliate da qualcuno: cisono le ragazze molto giovani, ma an-che donne più adulte. Hanno paura dinon essere in grado di crescere un fi-

glio, o di perdere il lavoro. «Il precariato – sottolinea Lara – è ungrosso problema, soprattutto per don-ne che hanno già altri figli e temono,non lavorando, di non poterli mante-nere». Ma l’idea di ricorrere all’inter-ruzione di gravidanza non è generatasolo da motivi economici. Così può ca-pitare al Centro una donna di 37 annicon crisi di panico, che ha bisogno es-senzialmente di essere rassicurata, co-me una ragazza di 15 anni che ha te-nuto nascosta la gravidanza fino al se-sto mese: a quel punto l’aborto non èpiù (almeno per la legge) un’opzionepossibile, e il Centro di aiuto alla vitadiventa non un posto in cui chiedereconsiglio ma un luogo in cui sentirsiprotetta. «In generale posso dire che –è il commento di Lara – sono tutte don-ne coraggiose: il fatto di telefonare ovenire qua è già un passo importante,non facile, che dimostra la volontà di

Lara Morandi, da 13 anni assistente

sociale al Cav di Firenze:

chi bussa alla nostraporta ha già fatto

un gesto di coraggio

URiccardo

Bigi

gennaio 2019

NOI18

famiglia vita

Passaleva: «Così 43 anni fasorse il primo Cav italianoCon noi anche ebrei e atei»

l primo Centro di Aiuto alla Vita italiano è nato a Firenzenel 1975: da allora ha ispirato la nascita di oltre 350

centri o servizi simili, che oggi sono presenti in tutta Italia. Angelo Passaleva, presidente del Centro di Firenze, ne èanche la memoria storica: all’epoca, da giovane medico,si trovò coinvolto in prima persona. All’origine c’è unfatto di cronaca che sconvolse l’Italia: la scoperta sullecolline fiorentine di una villa del Partito Radicale in cuivenivano praticati aborti clandestini. Carlo Casini, allorasostituto procuratore, condusse le indagini. L’episodiofece scalpore e il mondo cattolico si interrogò su comereagire. «Il cardinale Ermenegildo Florit – raccontaPassaleva – convocò le associazioni cattoliche: tra gliinterventi oltre a quello di Casini, che poi sarebbediventato presidente del Movimento per la Vita, sidistinse quello di Enrico Ogier, primario di ginecologia.L’esigenza espressa fu quella di fare qualcosa che nonfosse semplicemente "contro" l’aborto, ma a favore dellavita. Non ci interessava giudicare o condannare le donneche abortivano, ma offrire loro un’alternativa». Dalla riunione i partecipanti uscirono con un obiettivoconcreto. Furono individuati i locali, nel chiostro di SanLorenzo. La guida del Centro fu affidata al professor Ogier:la figlia Maria Cristina aveva avuto, con la sua sensibilità,un ruolo importante nell’orientare la scelta. Oggi il centrofiorentino porta il nome di questa ragazza, morta ad appena19 anni, per la quale è in corso la causa di beatificazione.Ma il tema dell’aiuto alla vita non coinvolgeva solocattolici: tra i fondatori ci furono anche atei o ebrei(compreso il Rabbino di Firenze).«Oggi il nostro impegno – conclude Passaleva – proseguecome allora. Adesso c’è anche un certo livello dicollaborazione con le strutture pubbliche, i consultori e ireparti ospedalieri. Attualmente seguiamo circa 400 tradonne in gravidanza o che hanno già partorito; in questianni abbiamo seguito la nascita di oltre cinquemilabambini. E ogni volta è una gioia immensa». (R.B.)

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I

«Nessuna donna si penteGiornata per la vita 2019

Lara Morandi del Cav di Firenze,durante una consulenza

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mettere in discussione una scelta».Sono molti anche i casi in cui l’uomo,il padre del bambino, si è dileguato al-la notizia della gravidanza, oppure è luiche preme per l’aborto, suscitando nel-la donna mille dubbi. Oppure capita ladonna il cui marito è stato arrestato, eche arriva al Centro con i fogli già pron-ti per andare ad abortire: «Le ho dettook, parliamone un attimo – racconta La-ra – e mi ha raccontato tutta la sua vita.Oggi sta portando avanti con gioia lasua gravidanza e mi dice che in quel mo-mento difficile era andata in black out,non sapeva cosa stava facendo». Negli ultimi anni poi è aumentato il nu-mero di donne straniere, tra cui moltedonne sole: «Per certi versi sono i ca-si più facili, non ci sono da superarebarriere psicologiche ma problemi ma-teriali. Noi comunque ovviamente nondistinguiamo tra italiane e straniere,non guardiamo la provenienza o i do-

cumenti: dove c’è un pancione che cre-sce, noi interveniamo!».Il Centro di aiuto alla vita mette a di-sposizione anche psicologi, medici, av-vocati e giuristi, che aiutano le donne

a sciogliere situazioni avolte molto complicate:sono professionisti volon-tari che prestano la loro o-pera quando serve. Poi cisono le volontarie, unatrentina, che si alternanodurante tutta la settimana:preparano i pacchi conpannolini, alimenti perbambini e vestitini da di-

stribuire alle neo mamme e accolgonole donne o le coppie che si presentano.Il materiale arriva tramite il Banco A-limentare, oppure attraverso la Fonda-zione Rava ma anche da offerte, rac-colte fatte dalle parrocchie; anche laDiocesi di Firenze destina al Centro u-

na parte dei fondi che riceve dall’Ottoper Mille. La parrocchia di San Loren-zo invece mette a disposizione i loca-li, nel cuore della città. Altri finanzia-menti, legati a specifici progetti, arri-vano dalla Fondazione Cassa di Ri-sparmio di Firenze e da altri enti.Tra gli altri compiti, Lara Morandi sioccupa anche della formazione degli o-peratori: «I colloqui personali sono unaparte fondamentale del nostro compito,a volte decisiva nella scelta delle perso-ne. Devono avvenire con operatori pre-parati e in un ambiente giusto, caldo,accogliente». Ci sono operatrici più gio-vani, altre più anziane: «Questo è im-portante perché alcune donne possonoaver bisogno dell’abbraccio di una so-rella, altre della carezza di una nonna». Oltre alla formazione degli operatori delCentro, Lara viene chiamata anche a te-nere incontri nelle scuole, nelle parroc-chie: è un tema, quello della natalità, sucui c’è da superare tanta cattiva infor-mazione. Non molte donne, ad esem-pio, sanno che la legge italiana conce-de la possibilità di partorire in anoni-mato, e lasciare in ospedale il propriobambino senza riconoscerlo, perché ven-gano avviati i percorsi per affidamentoe adozione. «In realtà – spiega ancoraLara – le donne in genere reagiscono di-cendo: figurati se dopo averlo portato inpancia e fatto nascere, lo abbandono: aquel punto me lo tengo. Però far pre-sente questa possibilità può servire infase di scelta, spesso fa scattare una mol-la psicologica, fa scoprire che rinuncia-re al bambino che si porta dentro è piùdifficile di quanto sembri».Tra le esperienze che l’assistente so-ciale del Centro di aiuto alla vita si tro-va a fare di frequente, anche quella dicondividere con tante donne la scoper-ta della loro gravidanza: «Qui al Cen-tro abbiamo i test, a volte capita chequalcuna venga qui prima ancora di a-vere la certezza di essere incinta. Allo-ra gli propongo di fare qui il test, leaiuto a sostenere il peso di questa sco-perta, la difficoltà ad accettare questointruso dentro i loro. Il secondo passoè proporre un’ecografia, per vedere co-me va la gravidanza ma anche per pren-dere coscienza di quello che sta acca-dendo». Tutto questo sempre nel dia-logo, rispettando ogni donna, senza maigiudicare nessuno. E senza sapere chefrutti darà quello che si è detto: «Qual-che giorno fa è venuta una mamma conun bimbo piccolo, a regalarci dei ve-stitini: prima era venuta qui solo duevolte, ma mi ha detto che quegli in-contri erano stati decisivi». Quando lemamme tornano, dopo il parto, a farvedere il loro bambino è il momento digioia più bello: «E la cosa che posso di-re dopo tanti anni – conclude Lara – èche nessuna di loro si è mai pentita diaver fatto nascere un figlio».

Le immigrate sono le più numeroseMa per loro non ci sono ostacoliculturali, solo materialiTra i giovani tantadisinformazione

gennaio 2019 19NOI famiglia vita

della scelta di tenere un figlio» Giornata per la vita 2019

Lʼesistenza è il donopiù prezioso fatto

allʼuomo, attraversoil quale siamo

chiamati apartecipare al soffiovitale di Dio nel figlio

suo GesùQuesta è lʼeredità, il germoglio, chepossiamo lasciare

alle nuovegenerazioni:

"facciano del bene, si arricchiscano di opere buone,

siano pronti a dare e a condividere...".

(1Tim 6, 18-19)Messaggio Giornata per la vita 2019

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rendete venticinquemila perso-ne, dai 25 anni di età in giù, fi-

no a pochi giorni di vita, e metteteli i-dealmente in fila per avere un’idea diquanti sono: tanti, tantissimi, l’equiva-lente di una città di mediedimensioni. Cosa li acco-muna? Il fatto che avrebbe-ro dovuto essere morti, oper usare un sinonimo me-no scomodo avrebbero do-vuto non nascere. Destina-ti a un aborto più o menocerto, si sono tutti salvatigrazie a qualcosa che esi-ste, appunto, da quasi 25anni: il Progetto Gemma, rivoluziona-ria forma di adozione prenatale per don-ne in difficoltà, nata nel 1994 in senoal Movimento per la Vita e gestita dal-la Fondazione Vita Nova.In questi 25 anni, insomma, circa venti-cinquemila donne in procinto di aborti-re il loro figlio per i più disparati moti-vi, entrate in contatto con "Gemma", han-no deciso di cambiare rotta e portare a-vanti la gravidanza. Non un fatto da po-co, pensiamoci in termini concreti: si-gnifica che altrettanti ragazzi e bambinioggi sono al mondo, e non dovevano es-serci... Qual è allora la forza di questo"Progetto Gemma"? Quali immense ri-sorse possono ottenere un risultato delgenere? Cosa occorre per convincere u-na donna ormai orientata, farle cambia-re idea su una decisione tanto radicale?Che non sia una questione di soldi, o nonsolo, lo dimostra il fatto che il Progettooffre alle madri incinte 160 euro al me-se per 18 mesi, a partire quindi dal terzomese di gravidanza fino a un anno dopola nascita del bambino. Una cifra "pe-sante" per il donatore, specie in epoca divacche magre, ma decisamente non ri-solutiva per mettere al mondo un figlioe mantenerlo. Come si spiega quindi larivoluzione di "Gemma"? «È vero, 160euro mensili sono un’inezia rispetto alconto che ogni nascita presenta, ma ilfatto vero è che quando queste donne ar-rivano da noi trovano tutto un mondo divolontari capaci di ascoltarle – spiegaGianni Vezzani, presidente di Fondazio-ne Vita Nova –. Se una madre determi-nata ad abortire arriva al Cav (Centro diaiuto alla vita), in genere vi è stata inviatadall’ospedale stesso in ottemperanza al-la legge 194, secondo la quale prima diprocedere con l’interruzione della gra-vidanza, atto dolorosissimo per ogni don-na e mai fatto a cuor leggero, è necessa-rio analizzare le cause di tale decisionee fare ogni tentativo per rimuoverle». In una parola, presentare alla donna ognipossibile «alternativa» alla morte di suofiglio. Alternative che il mondo distrat-to si guarda bene dall’offrire, con il ri-

sultato che 90mila madri italiane ognianno finiscono per pensare che l’abortosia l’unica strada...Le fortunate però incontrano personeche, senza forzarle, le ascoltano e le ac-compagnano. «L’aborto nella stragran-de maggioranza dei casi è un drammadella solitudine», spiega infatti il neuro-logo Gianluigi Gigli, ex presidente delMovimento per la Vita, «e il "ProgettoGemma" si è rivelato uno strumento for-midabile non per l’entità del sostegno,ma perché offre un rapporto reale, unacompagnia, la donna sente che non è piùsola, che per almeno 18 mesi avrà ac-canto persone a lei dedicate, presenti concontinuità e per ogni esigenza». I fattiparlano. «Si è visto che, al di là della so-stanza, il fatto stesso di uscire dalla so-litudine fa la differenza».Lo confermano le protagoniste, la tantedonne incinte, oggi madri, che hanno a-vuto la fortuna di imbattersi in questoquarto di secolo nel "Progetto Gemma".Una di queste è Nicoletta Zanni, mam-ma di Samuele, oggi 10 anni: «Ora misembra incredibile di aver pensato chenon volevo questo figlio. Ma la verità èche non lo volevo». Comprensibile: Ni-coletta aveva 42 anni e sulle spalle unasieropositività ereditata 20 anni primadall’amore per un ragazzo tossicodipen-dente, padre di un primo bimbo già al-lora abortito «in nome di quella che al-l’epoca chiamavo la mia libertà». Molti

anni dopo un nuovo amore,incontrato nel gruppo di au-toaiuto per sieropositivi, einaspettatamente una nuo-va gravidanza: «Tutti mihanno detto che non c’era-no alternative, che l’unicapossibilità era abortire –racconta Nicoletta –. L’al-tra cosa che mi dicevano e-ra che comunque spettava

solo a me decidere... solo a me. Eccolala solitudine. Mi sono tranquillizzata so-lo quando finalmente ho fissato la datadell’interruzione di gravidanza... per for-

tuna un mese dopo». Un mese pre-zioso, in cui incontra un sacerdote ei volontari del Cav di Capriolo (Ber-gamo), che semplicemente la infor-

Sono le vite salvate dal "Progetto" che

offre 160 euro al meseper un anno e mezzo

alle donne chedecidono di dire no

allʼaborto

Lʼex presidente delMpV, Gianluigi Gigli: afar la differenza non èquesta cifra esigua, mail fatto che la donna èaiutata ad uscire dallasolitudine

rogetto Gemma offre alle mamme un sostegnoeconomico che può consentire di portare a

termine con serenità il periodo di gestazione,accompagnandole nel primo anno di vita delbambino. È un’idea in più per collaborare con glioltre 331 Centri di Aiuto alla Vita (Cav) cheoffrono accoglienza e sostegno alle maternità piùcontrastate. Progetto Gemma è nato per mettere incollegamento le mamme in difficoltà con tutticoloro che desiderano aiutarle. Per aderire si puòcontattare la Fondazione Vita Nova o scaricare ilmodulo per la richiesta di adozione(http://www.fondazionevitanova.it/progetto-gemma/). Fondazione Vita Nova raccoglie ledomande di aiuto che arrivano dai Cav sparsi in

tutta Italia e provvede all’abbinamento traadottante e adottato. L’adottante (se si tratta di ungruppo, il responsabile riceve da Fondazione VitaNova tutte le informazioni necessarie per avviarele pratiche di adozione e invia sul conto correntepostale o bancario del Cav indicato l’importo delprogetto, suddiviso in rate concordate). Il Cavincaricato della gestione del progetto informacostantemente gli adottanti su gravidanza, nascitae crescita del bambino. Viene comunicato il nome,la data di nascita e, se la mamma lo consente,viene inviata una fotografia. Le somme vengonointegralmente versate alla mamma “adottata”,direttamente o in generi o servizi di pari importosulla base dei bisogni e delle esigenze reali.

P

PLucia

Bellaspiga

gennaio 2019

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famiglia vita Giornata per la vita 2019

Tutti gli aiuti vanno direttamente alle mamme

È bastata una “gemma” per

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mano su quell’«alternativa» alla morte.«Scoprii che i problemi potevano ancheessere risolti... non lo avevo mai preso inconsiderazione». La spallata finale la dàuna dottoressa del consultorio diocesa-no, che ancora una volta risponde al suodiritto di essere una donna informata:«Mi ha fatto un’ecografia e ho vistoqualcosa che mai avrei immaginato,dentro di me non avevo un grumo dicellule come mi avevano detto tutti, maun piccolissimo esserino già perfetto.Appena ho visto il suo minimo cuorebattere non sono stata più sola». Il pas-so successivo è stato disdire l’appunta-mento con la sala operatoria e pren-derne uno con il "Progetto Gemma",«ma per me restava un mistero, com’e-ra possibile che quelle persone, senzanemmeno conoscermi, avessero tutte a-mato mio figlio prima che lo amassi io?Sapevo che l’amore disinteressato esi-ste, ma non credevo potesse riguarda-re me», sorride Nicoletta, che oggi si

batte e testimonia affinché altre donnecome lei abbiano il diritto di scelta."Diritto di scelta", già... Così è spessochiamato l’aborto da chi in realtà negaproprio la scelta alla donna. «Il "Proget-to Gemma" nasce dalla consapevolezzache anche la parte diciamo "positiva" del-la legge 194 è totalmente disattesa e ne-gletta», riprende Gigli, riferendosi al ti-tolo della legge stessa, che parla di "Tu-tela della maternità", e in particolare al-l’articolo 5, «che prevede l’offerta di al-ternative all’uccisione del nascituro. Nondimentichiamo che la grande maggio-ranza di queste donne sono persone di-sperate, che arrivano all’aborto non permotivi di comodo o di eugenetica, ovve-ro in casi di malformazione, ma per unreale disagio, che può chiamarsi paura,povertà, vergogna, stigma, soprattuttosolitudine. Ecco perché una presenza puòbastare per far cambiare rotta».Il "Progetto Gemma", però, ha anche unpotente risvolto sociale che non riguar-

da le donne ma chi entra in contatto conle loro storie. I 160 euro al mese per l’a-dozione prenatale di una maternità, in-fatti, spesso non sono la donazione di unsingolo, ma di più forze unite per rag-giungere la somma, ad esempio i condò-mini di uno stesso edificio, i colleghi diun ufficio, gli studenti di una classe, an-che gruppi di carcerati o enti locali: unaforza di coinvolgimento di persone di-verse che ogni mese tengono fede a quelpiccolo impegno preso, arrivando maga-ri a conoscere infine quella madre salvatae il piccolo venuto alla luce... Piccologrande evento capace di cambiare il mon-do o almeno lo sguardo di qualcuno.Nessun contributo statale dà una mano atutto questo, nessuna pubblica sovven-zione, tutto arriva esclusivamente dallagenerosità di tanti cittadini anonimi edall’impegno sul campo dei volontari,pronti a intercettare i bisogni e accom-pagnare le solitudini. Senonché... «Og-gi abbiamo un nuovo nemico», denunciaVezzani, «perché l’aborto negli ultimi 3o 4 anni è diventato una questione "inti-ma", un fai da te ancora più tragico, acausa della Ru486, della pillola del gior-no dopo e dei giorni dopo ancora... Seprima le donne scoprendo la loro gravi-danza avevano la possibilità di cercarequalcuno con cui parlarne, di avere unconfronto, di trovare un conforto, ora nonfanno in tempo». Non solo, «Internet hachiuso le persone in se stesse, in tutti gliàmbiti questo succede, e si rimane sem-pre più isolati: è questa la preoccupan-te esperienza dei Cav negli ultimi anni». Così le richieste di "Progetto Gemma"sono crollate da 1.400 l’anno a 800, ecomunque solo per 500 ci sono le ri-sorse necessarie. Ricordiamolo ancora,significa che 500 persone si salvano evengono al mondo, ma anche che altre

300 non ce la fanno...«È un problema anchedi comunicazione –conclude Vezzali – do-vremmo essere capacidi attrarre i giovani, af-fascinarli e coinvolger-li affinché ci aiutinocon i nuovi linguaggi ele nuove tecnologie.Dobbiamo riuscire afar arrivare la comuni-

cazione con la giusta potenza: venti-cinquemila persone salvate non sono u-na notizia gigantesca? E l’esercito didonatori anonimi e silenziosi che lo han-no reso possibile non lo sono?».In mezzo a loro, rivela Carlo Casini,presidente storico del Movimento perla Vita, anche Giovanni Paolo II: «Po-chi sanno che, già morente, mi fece re-capitare un assegno di 25mila euro, pa-ri a dieci "Progetti Gemma". Dieci vi-te, dieci persone». Dieci ragazzini cheoggi hanno 12 anni.

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Il responsabiledellʼiniziativa, GianniVezzani: noi presentiamotutte le alternativepossibili alla morte di un figlio. E quasi sempre le mamme si convincono

Il presidente dellaFondazione VitaNova, Gianni Vezzani

gennaio 2019 21NOI famiglia vita Giornata per la vita 2019

lasciar vivere 25mila bambini

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crive dalla Florida Cristina Mar-tinez: «Madre di 4 figli e archi-

tetto immobiliare». «Ho due titoli uni-versitari, cinque figli e tre lavori», diceinvece Carla, dall’Uruguay. «Troppo fie-ra dei nostri sei figli e dei nostri studi, inostri auguri di felicità a te e Brigitte», èil messaggio di Elisabeth, francese. Mac’è anche Anna Maria, italiana: «Sonomedico dal 1978, come mio marito. Ab-biamo 9 figli e ad oggi 6 nipoti. La non-na al centro? È mia suocera». Ed ecco E-mily, dal Kenia: «Laureata, avvocato, ma-dre di 6 figli, tutti voluti».A scrivere questi messaggi sono madrida ogni parte del mondo, non si cono-scono tra loro ma hanno in comune un nu-mero di figli superiore alla media, e han-no deciso di consegnare i loro pensieri aTwitter, il social network di messaggi bre-vi, aggiungendo una bella fotografia del-la loro famiglia formato maxi. Il desti-natario? Il presidente francese EmmanuelMacron, come si evince dall’hashtag –cioè la parolina che in rete identifica u-na campagna di opinione, una tendenza

o anche un destinatario – e che in questocaso è il seguente: #PostcardsForMacron.Come mai questa iniziativa a colpi di"cartoline postali" dirette al presidentefrancese?La mobilitazione delle madri è scattatacome reazione a una frase pronunciatanel contesto di un intervento che Macronha tenuto il 26 settembre 2018 a una con-ferenza negli Stati Uniti. Eccola: «Pre-sentatemi quella donna che ha deciso, es-sendo perfettamente istruita, di avere set-te, otto o nove figli». Poche parole chehanno avuto l’effetto di spingere decinee decine di donne di varie nazioni a i-nondare Twitter di foto raffiguranti le lo-ro grandi famiglie, e alimentando nei fat-ti un flusso di immagini bellissime egioiose. L’effetto, se si scorrono le pagi-ne del social network seguendo l’hastagcitato, è quello di un grande spot plane-tario a favore della maternità e di un pro-getto familiare dai confini ampi.In un primo momento in realtà il discor-so di Macron era passato quasi inosser-vato. A favorirne la diffusione è stato unservizio del giornale on line britannico"The Guardian" che ha pubblicato in re-te il video integrale. Tra i molti lo hanno

visto, anche la dottoressa Catherine R.Pakaluk, docente di ricerca sociale ed e-conomica all’Università Cattolica di Wa-shington, e madre di 6 figli. Sentendositoccata dalla frase sulle madri istruite, il16 ottobre la dottoressa Pakaluk ha deci-so di sfruttare la potenzialità della rete epubblicare su Twitter la propria foto sor-ridente in compagnia dei sei figli, e se-

guita dall’hasthag #Postcard-sForMacron. Lanciato il sassodella gioiosa provocazione,non ci è voluto molto perchédiverse mamme facessero al-trettanto.Ma è veramente così scanda-losa la frase di Macron? Sì, nonc’è dubbio, la provocazione èquasi insopportabile, dunquela reazione di decine e decine

di donne, ma anche di molti mariti e di-versi figli, si giustifica in pieno. Il feno-meno delle "cartoline", però, invita ad al-largare lo sguardo e a cogliere l’oppor-tunità di andare più a fondo. Perché daun certo punto di vista quelle parole nonsono così scandalose come sembrano,mentre per altri versi possono esserlomolto di più.

La reazione dellefamiglie numerosedel mondo al presidente Macronsecondo cuiistruzione e feconditàsono incompatibili

SMassimo

Calvi

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NOI22

famiglia vita

«Siamo mamme di tanti figli

Giornata per la vita 2019

Qui, e nelle paginesuccessive, alcunedelle centinaiadi foto inviate al presidenteMacron

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Vediamo allora il contesto in cui è matu-rata la vicenda. Siamo a metà settembree a margine dell’assemblea generale del-le Nazioni Unite a New York si tiene co-me tradizione l’evento "Goalkeepers",promosso dalla Fondazione Bill e Me-linda Gates, finalizzato a individuare evalutare i progressi dello sviluppo nelmondo, e che nell’edizione 2018 si è con-centrato sul tema della crescita della po-polazione giovanile. È qui che il presi-dente francese affronta il tema della "de-mografia africana" e della "fecondità nonvoluta" nel Continente. Il suo è un inter-vento ampio che segue il filo di una vi-sione ben nota nell’analisi delle dinami-che della popolazione. Il passaggio deci-sivo, nel suo insieme, è il seguente: «U-na delle questioni critiche riguardo la de-mografia africana è che non si tratta di u-na fecondità scelta. Io dico sempre: pre-sentatemi la donna che ha deciso, essen-do perfettamente istruita, di avere sette,otto, nove figli. Per favore, presentatemila ragazza che ha deciso di lasciare lascuola a 10 anni per sposarsi a 12». E an-cora, poco dopo: «Personalmente sonofavorevole al fatto che una donna abbiasette o otto figli, se la sua è una scelta, al

termine del suo percorso di studi. Ma nonè questo il caso di oggi. Per me l’educa-zione è la prima risposta per evitare ilpeggio e poi per massimizzare le oppor-tunità nei Paesi africani e nel resto delmondo, e infine per controllare corretta-mente la demografia, perché sia una de-mografia scelta».Per comprendere ancora meglio il senso

di questo pensiero si può citareun’altra frase di Macron relati-va sempre alla fecondità delledonne africane, pronunciata nelluglio 2017 durante un G20 adAmburgo: «Quando dei Paesihanno ancora sette o otto figliper donna, potete anche deci-dere di spendere miliardi di eu-ro, ma non stabilizzerete nulla».Non è il caso di fare un proces-

so al presidente francese, anche perchénon servirebbe a nulla. Più utile è riflet-tere sul senso di una determinata visionedel mondo, che è comune a molte istitu-zioni e organizzazioni non governativein Occidente, e che quando si trova adaffrontare la questione demografica deiPaesi in via di sviluppo si lascia sedurredalla tentazione pianificatoria. In realtà

non è sbagliato dire che l’educazione el’istruzione tendono a ridurre il numerodi nascite. E dunque non si può negareche spesso una famiglia numerosa si ac-compagna a condizioni di minore svi-luppo. È un dato di fatto ed è persinoscontato che ciò avvenga. Ovunque nelmodo migliori condizioni di vita hannoportato una riduzione dei tassi di nata-lità. Le ragioni ovviamente sono molte ecomplesse, di carattere materiale e cul-turale. Lo sviluppo riduce i tassi di mor-talità alla nascita, e questo porta le cop-pie a diminuire il numero di figli messial mondo. Il passaggio da un’economiafondata sull’agricoltura a una con mag-giori impieghi intellettuali, inoltre, com-porta che il numero di braccia a disposi-zione diventi meno importante per unafamiglia, e lentamente questo si riper-cuote sul numero di figli. Allo stesso mo-do, l’opportunità di studiare per le ra-gazze tende a ridurre le nascite da madriadolescenti o in giovane età, e questo av-viene anche a prescindere dal discorsosulla conoscenza o diffusione di metodicontraccettivi, così come del maggiorericorso all’aborto.

Centinaia le fotopostate suInstagram pertestimoniare la bellezza di unafamiglia extralargecon genitori istruiti

gennaio 2019 23NOI famiglia vita

Laureate e consapevoli»

Giornata per la vita 2019

continua a pagina 24

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Insomma, il collegamento tra il livello diistruzione di una donna e il numero difigli, in determinati contesti sociali ed e-conomici, cioè quando un territorio siconfronta con i parametri dello svilup-po occidentale, non è totalmente impro-prio. Tuttavia, come si intuisce, lo stes-so concetto espresso nella frase di cuistiamo parlando può avere due valenzecompletamente diverse se ascoltato nelNord o nel Sud del mondo. Dove cioè lerisorse e le opportunità sono maggiori,ecco che l’apertura alla vita e la conse-guenza di una famiglia numerosa può di-ventare testimonianza, una scelta forte ein controtendenza rispetto a un modelloculturale che sembra concedere ampielibertà quando invece spinge a omolo-gare i comportamenti e le prospettive.Diverso il discorso se ci si rivolge a realtàin cui, ad esempio, garantire l’istruzio-ne a una ragazza significa anche evitareche diventi madre a 12 anni.La questione sulla quale si dovrebbe ri-flettere, dunque, può essere un’altra.Cioè: ai capi di Stato e ai filantropi delmondo ricco interessa veramente cosìtanto il destino delle adolescenti afri-cane? Oppure la reale preoccupazionenon è rivolta alla persona, ma alla de-mografia di un Continente la cui dina-mica rischia di compromettere equili-bri e assetti di potere consolidati? Se-

condo le previsioni delle Nazioni Uni-te, per fare un esempio, la Nigeria nel2050, cioè tra poco più di 30 anni, do-vrebbe avere una popolazione di quasi400 milioni di persone, il doppio diquella attuale, e supererà quella degliStati Uniti d’America. Una popolazio-ne, per di più, che sarà in larga partegiovane, mentre il mondo occidentalesi sta confrontando con l’emergenza diun calo demografico accompagnato atassi elevati di invecchiamento.La popolazione, anche nel mondo mo-derno, è tornata a essere uno dei princi-pali motori dello sviluppo e può deter-minare il peso e la forza di una nazionenello scacchiere mondiale. Ed è proba-bilmente questo che preoccupa mag-giormente i Paesi in declino demografi-co. Il rapporto della Fondazione Gatesnon compie alcuno sforzo per celare u-na visione che considera la povertà inmodo strumentale: «L’Africa nel suo in-

sieme – si legge – dovrebbe quasi rad-doppiare la popolazione da qui al 2050,e questo vorrebbe dire che se anche ilnumero di poveri si dimezzasse entroquella data, resterebbe sempre uguale aquello che è oggi». E dunque? Risolvia-mo il problema della povertà governan-do le nascite – concetto vagamente con-tradditorio – magari ispirandoci al "mo-dello cinese" della pianificazione fami-liare forzata? O imitando i piani di ste-rilizzazione volontaria dell’India?È normale che un Paese osservi la pro-pria evoluzione demografica e ne valu-ti gli effetti sul medio lungo periodo.Quando però lo sguardo viene dall’e-sterno, o da chi può controllare le ri-sorse da destinare a quel Paese, c’è sem-pre il rischio che l’interesse nascondauna tensione colonialista. Tanta preoc-cupazione nei riguardi dell’Africa, ol-tretutto, non sembra essere giustifica-ta. Anche se la popolazione continuaad aumentare, perché le nascite resta-no più alte dei decessi, i tassi di fecon-dità nel Continente sono in decisa di-minuzione da anni. Il "problema" è chenon calano come le élite dei Paesi ric-chi vorrebbero. Un economista e de-mografo americano, Lyman Stone, hadimostrato che indicatori come i tassidi mortalità infantile, l’urbanizzazione,la dipendenza dall’agricoltura o dalle ri-sorse naturali, dicono che la demogra-fia africana non sta né crollando né e-

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famiglia vita Giornata per la vita 2019

segue da pagina 23 La popolazione è tornata aessere uno dei principali motoridi sviluppo e può determinarela forza di una nazione nello scacchiere mondiale

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eleste è una bimba di quasi10 anni, sorella di un

ragazzino adolescente, Marco;entrambi da qualche tempo sonoaccolti nella stessa comunità.Dopo un affido fallito, di cuiperò conserva ricordi sereni,Celeste deve fare ora i conti conla sua storia di abusi. Sia lei cheil fratello erano arrivati incomunità senza saper usare leposate o lavarsi. Due ragazzinicresciuti allo "stato brado",come riferiscono gli assistentisociali. Attualmente incontranomamma e nonna una volta almese (non insieme e a unasettimana di distanza), duedonne molto fragili e molto"mescolate" nella mente deibambini che parlandoneaddirittura le confondono. Celeste è collaborativa finchénon attraversa momenti di crisiche la portano a esplodere, aimpuntarsi anche per motivifutili. Le situazioni per cui siagita sono spesso imprevedibili ese è arrabbiata nominaall’improvviso episodi avvenuticon la mamma. Le maestre che la seguono interza elementare – ha perso unanno – parlano di una bambinache si impegna, che si lasciacondurre e non disturba inclasse. Anche in comunitàCeleste si fa coinvolgere dallesituazioni, è tenera con leamiche anche se poi le relazioninon vanno mai oltre un certolivello, sia per le sue paure, siaper le sue capacità verbali e direlazione limitate. Pur con unacerta goffaggine, la bambina silancia nel ballo e si è iscritta adanza, mettendosi quindi ingioco; fa ancora fatica aesprimersi verbalmente e aelaborare i propri vissuti. Ognitanto chiede se per lei ci saràun’altra famiglia affidataria, manon ha in mente – secondo leeducatrici –, né manifesta, ildesiderio di tornare dallamamma, mentre si capisce chesoffre nel non avere unriferimento affettivo stabile, tuttoper sé. Il disagio si acuisce ognivolta che vede un compagnodella comunità andare in affido.Per lei si cerca una famiglia, unacoppia ben strutturata, ma ancheuna single, disposta ad

Caccoglierla a lungo termine.Info: Progetto affido,Fondazione L’Albero della Vita,email:[email protected]

Benham torna a vivere nell’Iraq devastatoA Qaraqosh, nel Nord dell’Iraq,è tornata la vita dopol’occupazione dell’Isis che hadevastato la città tra il 2014 e il2017. Circa ventimila personehanno scelto la via del ritorno e,grazie a risparmi e aiuti, stannoprovando a ricostruire la lorocomunità. Tra loro c’è Behnam,5 anni, che con la sua famiglia ètornato nella città natale. La lorocasa era distrutta, ma in pochimesi sono riusciti a sistemarla.Benham, però, porta sulla suapelle i traumi del conflitto: hadifficoltà di apprendimento,parla lentamente e con fatica,porta ancora il pannolino.Inoltre, soffre di attacchi diepilessia e non può mai esserelasciato solo. Non può uscire agiocare con gli altri bambini e,per questo, ha pochissimi amici.Passa gran parte del suo tempoin casa. A Erbil era seguito da unmedico competente, ma adesso aQaraqosh i genitori non hannoabbastanza soldi per le visite eper acquistare le medicine di cuiavrebbe bisogno.Lo scorso anno, a Qaraqosh,Avsi ha ricostruito un asilo per450 bambini, il più grande incittà. L’asilo rappresenta ilsimbolo della rinascita, ma perBenham può essere una verasvolta. Grazie al sostegno adistanza inserito in questoprogetto mirato, è possibileassicurare al bambino un anno discuola dell’infanzia, permetterglidi crescere in un ambiente sanoe protetto, insieme con i suoicoetanei, ed essere seguito concure adeguate per la suamalattia. Con 312 euro all’annosi può aiutare Behnam aricostruirsi un futuro dopo laguerra.Info: Fondazione Avsi, tel.0547.360811; email:[email protected];www.avsi.org

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I voltisorridenti

delle famigliein Rete non

marcano unadifferenza,

sono inveceun potente

grido dilibertà delle

donnecontro

lʼideologia dichi vuole

piegare la"taglia" delle

famiglie aregole

prestabilite oimposte a

livelloculturale

In dono a Celestelʼaffetto stabiledi due genitori

CERCOFAMIGLIA

splodendo: è semplicemente lì dove do-vrebbe essere in base al livello di svi-luppo dell’area. In buona sostanza, «lacosa che proeccupa certi demografi –sostiene Stone – non è se le donne a-fricane stanno avendo 6 o 7 figli, per-ché non è questo il problema oggi, mail fatto che tra quarant’anni ne avranno3, quando dovrebbero averne solo 2».Scorrendo le immagini postate dalle ma-dri su Twitter si vedono molte belle fa-miglie numerose del Nord del mondo, enon si può non notare che in genere que-sta circostanza si accompagna a livelli dibenessere piuttosto elevati. Eppure que-sti volti sorridenti delle famiglie in Re-te non marcano una differenza, sono in-vece un potente grido di libertà delledonne contro l’ideologia di chi che vuo-le piegare l’essere umano e la taglia del-le famiglie a regole prestabilite o impo-ste anche a livello culturale.«Ho la laurea in diritto e al momento stoseguendo un master: i miei otto figli so-no lo stimolo migliore per continuare astudiare e per impegnarmi a crescere intutte le aspettative della mia vita», hascritto nella sua "postcard" in spagnolouna madre su Twitter. I figli non sono lafine delle proprie aspirazioni, dicono conforza queste madri. Alisha lo testimoniaancora meglio: «Non ho 7 figli perché so-no ignorante: ho 7 figli perché non esi-stono una gioia e una vocazione più gran-di. Laurea in biologia cellulare».

DanielaPozzoli

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a famiglia Leoni di Prato –papà, mamma e dieci figli –

racconta: «Forse siamo stati un po’ in-coscienti ma abbiamo voluto guarda-re con entusiasmo e fiducia al futuro.Ci consideriamo dei rivoluzionari».Mauro e Filo-mena Ledda diAlghero hannoappena 4 figlidai 17 ai 23 an-ni. Raccontanocome hannofatto a crescerequattro adole-scenti contem-poraneamente:«Non descriveteci, please, come la fa-miglia del Mulino Bianco. È tuttomolto impegnativo, ci vogliono tena-cia, pazienza e tanto, tanto amore. Didifficoltà e cadute ne abbiamo vistetante, ma ci siamo sempre rialzati econtinueremo a farlo». Anche nellafamiglia Della Sega di Predazzo sivive in sei. Gemma e Giacomo di-cono: «Ogni volta è un ricominciareda capo perché l’esperienza ti puòaiutare a non commettere gli stessierrori, ma non è mai tutto uguale espesso si naviga a vista. Magari è piùfacile affrontare certe cose, come unraffreddore o una sbucciatura di unginocchio, a cui si dà la giusta im-portanza senza allarmismi, ma perl’educazione, la formazione, ecco lìsi riparte sempre, perché uno non èmai uguale all’altro». Sono queste solo alcune delle storieraccontate in Big Family. Storie straor-dinariamente normali di famiglie nu-merose scritto da Linda Pisani. Un li-bro che mette sotto la lente le politi-che a sostegno della famiglia attra-verso le storie di chi nella quotidianitàsi trova "a dover fare i conti" con que-ste politiche. Un libro nato da un’ideadell’Agenzia provinciale per la fami-glia della Provincia autonoma di Tren-to, «perché in Trentino – spiega l’au-trice – in questi anni, si è investitomolto nelle politiche familiari. Nellaconsapevolezza che investire nella fa-miglia significa ridurre i costi socia-li: perché se le famiglie stanno bene,la società sta bene». In effetti in Trentino la legge provin-ciale sul "Benessere familiare", pro-mulgata nel marzo 2011, cura il po-tenziamento del ruolo delle famiglieaffinché possano sentirsi protagonisteattive nell’attuazione delle loro fun-zioni sociali ed educative. Le politichefamiliari sostengono la genitorialità,consolidano i rapporti familiari e lerelazioni tra le famiglie, alimentanole reti di solidarietà locali. Il tutto non

in una logica assistenzialistica ma, alcontrario, attuando un riorientamentodelle politiche e dei servizi per soste-nere il benessere familiare. È un nuo-vo concetto di welfare che genera, ad-dirittura, sviluppo economico. Modelli come i "Comuni amici dellafamiglia" e i "Distretti Famiglia" stan-no talmente funzionando bene che dalTrentino si stanno diffondendo nel re-sto d’Italia e d’Europa. E sono a co-sto zero per le amministrazioni.Tutto questo è raccontato in Big Fa-mily attraverso la voce delle famiglienumerose. Spiega l’autrice: «Le fa-miglie numerose sviluppano in modonaturale una dote importantissima:la resilienza. Ovvero la capacità diaffrontare e superare un evento trau-matico o un periodo di difficoltà ri-cavandone sempre qualcosa di po-sitivo. Crescere tanti figli significamoltiplicare gioie, dolori, impegniin modo esponenziale e, probabil-mente, permette di assumersi in mo-do più responsabile quell’impegnosociale necessario alla crescita del-la società di domani». Nel libro lo spiegano bene, GiuseppeButturini e la moglie Raffaella pastpresident di Anfn (Associazione na-zionale famiglie numerose): «Una fa-miglia numerosa offre una doppia e-ducazione: quella verticale, dei geni-tori, e quella orizzontale tra i figli chesi educano a vicenda, e ognuno sentela responsabilità di chi viene dopo». Ifigli unici rischiano quella che vienedefinita la "sindrome del figlio impe-ratore", ovvero rischiano di diventarebambini viziati, egocentrici e incapa-ci di affrontare fatiche e sconfitte.«Nelle famiglie numerose – dice Lin-da Pisani – difficilmente si hanno que-sti problemi perché fin da piccoli ibambini devono affrontare continuesfide. Con i fratelli e le sorelle i ragazziimparano la "legge della giungla", anon lamentarsi troppo e sempre, e acavarsela da soli. Imparano a fare perl’altro e a dividere. Imparano il sensodel branco. In pratica escono all’ego-centrismo e dal narcisismo infantile». Il libro è dunque una raccolta di BigStories, mogli e mariti che si sentonouna squadra, come Alice e Filippo chesi definiscono interscambiabili; Gem-ma e Giacomo che hanno cresciutoquattro figli senza asili nido; Laura eGianluca che sono davvero stanchi nelsentirsi dire "Ma non ce l’avete la tv?".

E poi ci sono i loro figli, ragazze e ra-gazzi che studiano, lavorano, che sioccupano di fratelli e sorelle come inuna tribù, come qualcosa che sa dav-vero di gruppo, banalmente meno at-tenti all’ultimo modello di smartpho-ne, ma più accorti a fare "tanto conmeno". Non c’è demagogia nei lororacconti, ma tanta forza e serenità nel-l’affrontare il futuro. «Questo libroracconta soprattutto storie di sogni,impegni, difficoltà, conti che non tor-nano (ma anche sì), tazze riempite dispazzolini da denti, scarpe lasciate ingiro, libri e quaderni che non si tro-vano, fiumi di lacrime da consolare,sorrisi moltiplicati per ogni lettino.Sono storie di rocamboleschi incastriper arrivare a fine mese, o semplice-mente a fine giornata». Curioso che l’autrice, Linda Pisani,giornalista veneta di origine e trenti-na di adozione, sia mamma di una so-la figlia, Martina, 13 anni. Linda – di-ce lei – vive nella conciliazione im-perfetta di casa, famiglia, lavoro. Esempre si è chiesta come diavolo fac-ciano delle coppie che hanno messo almondo tanti figli ad arrivare a finegiornata. «Frequentandole per scrive-

Si intitola "Big family" il libro di Linda Pisani che

racconta la vita ordinaria (e unpoʼ straordinaria) di tante

famiglie numerose e punta il dito contro lʼassenza

di politiche specifiche

Gemma eGiacomo di

Predazzo:«Ogni volta

è unricominciare

da capoperché

lʼesperienza ti può aiutare

a noncommettere

gli stessierrori, manon è mai

tutto ugualee spesso si naviga

a vista»

LAndrea

Bernardini

gennaio 2019

NOI26

famiglia vita Giornata per la vita 2019

«Noi, famiglie extralarge che

Linda Pisani

Mauro e Filomena di Alghero.«Non descriveteci, please, comela famiglia del Mulino Bianco. È

tutto molto impegnativo, civogliono tenacia, pazienza e

tanto, tanto amore»

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eti familiari in Trentino. Una scelta virtuosache permette alla Provincia autonoma di

essere all’avanguardia da oltre un decennio nellepolitiche a misura di famiglia. Questo fare rete,genera valore, produce benessere, alimentasperanze, sostiene buone prassi, con unmovimento a cerchi concentrici che dallafamiglia si espande alla rete amicale, allacomunità, alle associazioni, alle realtàistituzionali, alle aziende. «La riflessione sullereti – spiega Luciano Malfer, responsabiledell’Agenzia provinciale per la famiglia – è natada una convinzione maturata dall’esperienza sulterritorio e da un pensiero: le reti sono comel’aria, sono importanti ma non si vedono. E,come l’aria, se venissero a mancare, nonpotremmo respirare, perché l’uomo da solo nonce la fa ad andare avanti». Il concetto di rete,come si può immaginare, è molto vasto. Si vadalle "micro reti" all’interno della famiglia – lerelazioni indispensabili per la persona e per lasocietà – alle "macro reti" sul territorio convarie caratteristiche, associative, istituzionali,economiche. «Noi teniamo di tenere vivo ilparallelismo tra benessere familiare, benesseresociale e benessere economico, che è poi la

chiave – prosegue Malfer – che ci fa spostarel’asse delle politiche di sostegno dal sociale insenso lato al familiare. E poi al territorio e allosviluppo economico». L’impegno è quello divalorizzare le strutture che generano reti, di darespazio alle modalità che alimentano reti tra lefamiglie e la comunità, le istituzioni, gli attorisociali, nella consapevolezza che più aumentanole relazioni, più si intensificano gli scambipositivi e le informazioni, più si creanoopportunità e si realizzano servizi. Facilecomprendere che l’intensificarsi e il qualificarsidelle relazioni diventano per tutto il sistema unvalore aggiunto straordinario, il vero collantedel territorio. Non si tratta di un discorsoteorico. «Se pensiamo ai nostri "distretti dellafamiglia" – sottolinea il responsabile trentinodell’Agenzia provinciale – vediamo che la provadi come questa idea, quando gestita eorganizzata in modo razionale, serva adiffondere benessere e prassi di vita buona.L’esperienza ci ha aiutato a capire come cambiala qualità di vita del territorio in dipendenzadall’esistenza o dalla scomparsa di un"attivatore" di rete». La risposta, quasi scontata,arriva dai circa 800 soggetti che all’interno dei

"Distretti" lavorano in rete con una co-progettazione coerente e senza finanziamentipubblici, sulla base di un volontariatoconsapevole che conosce il valore di questaattività. Il punto di riferimento per laconnessione virtuosa delle varie reti, capace diaggregare le risorse umane e sociali, permetterle a sistema, aumentando scambi eopportunità, si chiama "public family manager".Un esempio? «I trasporti pubblici sono risorsedi sistema. Esistono, funzionano ma,naturalmente – spiega l’esperto – hanno deicosti. Sono servizi importanti che, nella maggiorparte delle ore del giorno, sono sotto-utilizzati.Mettere a sistema queste risorse e inserirle inuna progettazione sociale, significa crearebenessere diffuso e vantaggi economici. Ilbiglietto unico per la famiglia va in questadirezione. Offriamo così vantaggi per ilnucleo familiare e "saturiamo" un serviziomettendolo a sistema, riducendo in questocaso il traffico privato e l’inquinamento.Facciamo politica familiare, politicaambientale e politica dei trasporti, reinserendonel sistema risorse che già esistono».

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gennaio 2019 27NOI famiglia vita Giornata per la vita 2019

«Benessere familiare uguale benessere sociale»

vinciamo facendo squadra»

A destra la famigliaCivettini

di Riva del GardaA sinistra la famiglia

Leoni di Prato

Sopra i Ledda

di Alghero

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er parlare di maternità e di gra-vidanze difficili, bisogna fare u-

na distinzione preliminare: c’è una fasciadi persone che chiedono di interromperela gravidanza per motivi che possiamodefinire insondabili, non conoscibili finoin fondo, di ordine ideologico, psicolo-gico, affettivo, relazionale.Infatti, soprattutto negli anni ’80 (cioènel periodo immediatamente successi-vo all’approvazione della legge) era co-me se le donne che andavanoad abortire rivendicassero u-na loro area di possibilità diautodeterminazione e di au-togestione. La frase “L’uteroè mio e me lo gestisco io",urlata anche per le strade diMilano, ce la ricordiamo tut-ti: nascondeva un forte desi-derio di affermazione.Chiaramente le cose cambianoquando abbiamo di fronte unadonna fragile, magari indigen-te, una donna che ha bisogno, che si ri-trova povera e spaventata. Le posizionisono differenti. In ospedale, se ogni gior-no si compiono dieci interruzioni volon-tarie di gravidanza nei primi tre mesi, seisono di donne indigenti, donne che pian-gono, disperate di “dover” abortire. Uncaso frequente è quello, ad esempio, del-la badante che si ritrova incinta e che sisente dire dalla figlia della signora di cuisi occupa che perderà il lavoro se non vaad abortire. La donna pensa che se deci-desse di tenere il bambino dovrebbe tro-vare una nuova casa in cui stare, o anchesolo un letto per andare a dormire, do-vrebbe mangiare e, forse, trovare il mo-do per continuare a mandare qualche sol-do a casa. In questa situazione, quindi, ladonna non ha molte possibilità di vera elibera scelta: abortisce, tra le lacrime, con-tro la sua volontà perché le manca un aiu-to economico e morale.Questo tipo di situazioni oggi rappre-sentano la maggioranza dei casi – cir-ca sei donne su dieci – come ho accen-nato. Se, invece, queste stesse donnesentissero accanto la presenza del com-pagno che penserà a loro e anche albambino, se si creasse questa unione dicoppia, sarebbe più facile per la donnarinunciare al suo proposito. Similmen-te, se qualcuno al Centro di aiuto allavita accoglie queste donne e le rassi-cura sulla possibilità di ottenere un so-stegno in caso di perdita del lavoro, ladonna rinuncerà volentieri ad abortire.Dunque, dobbiamo distinguere fra ledonne che scelgono di abortire permotivi meramente materiali da quelleche lo fanno per altri motivi. Un’ul-teriore distinzione va fatta tra chi, nel-la medesima situazione, se la sente dicercare e chiedere aiuto e chi si ab-

bandona all’ineluttabilità del fato.Per esempio, fra le donne molto indigentic’è chi va a farsi aiutare perché vuole af-fermare questo diritto a diventare madree chi, invece, si lascia andare perché nel-la sua storia personale c’è quello che iochiamo “buco nero”, e la strada appareancora di più a senso unico. Il buco ne-ro della soggettività umana procura il tra-bocchetto che rischia perennemente diaprirsi e di indurre un’angoscia vertigi-nosa. La donna, da sola con tutte le suepaure, senza qualcuno che l’ascolti, ri-schia cioè seriamente di arrendersi. Cre-do che in questa situazione la libertà discelta, davvero, si riduca di molto: è co-me se la donna non vedesse altra possi-bilità che quella dell’interruzione. Esiste,poi, tutto il capitolo delle donne immi-grate: le culture, le tradizioni, i diversimodi di pensare alla vita, ci devono farinterrogare. Al Centro di aiuto alla vitaMangiagalli abbiamo incontrato moltedonne dell’America Centrale, del Suda-merica, dell’Africa Settentrionale, dello

Sri Lanka, delle Filippine. Sicuramentele varie etnie presentano un diverso mo-do di pensare e di agire. La caratteristi-ca comune a tutte queste donne “sradi-cate” è la solitudine che, frequentemen-te, le porta a intrecciare relazioni senti-mentali che possono condurre alla gra-vidanza in una situazione instabile.Una delle prime donne che mi sonotrovata ad ascoltare, solo da qualchemese arrivata in Italia, mi ha raccon-tato: «Ero per strada, non conoscevonessuno. Un uomo passando mi ha det-to “ciao” e ho sentito un po’ di caldonel cuore». E da lì una storia che è an-data avanti con tante fatiche.Quale comportamento tenere? Spesso,nel Paese di origine, i genitori, i nonni,tutto il contesto familiare aiuta nella cre-scita dei figli. In molti dei Paesi da cuiprovengono queste donne, inoltre, l’a-borto non è contemplato come diritto. InItalia, dove esiste una legge che lo per-mette, si pone invece per loro la possibi-lità della scelta, quasi sempre dolorosa.

Nel nuovo libro di Paola Bonzi,

fondatrice del CavMangiagalli di

Milano (il più grandedʼItalia), storie e

riflessioni di una vitadedicata alla vita

PPaolaBonzi

«Tutte le notti sento il piantogennaio 2019

NOI28

famiglia vita Giornata per la vita 2019

Paola Bonzi

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e immaginazione. Si tratta, ancora unavolta, di un diverso tipo di cultura e diapproccio. Con le persone di questa et-nia, per esempio, abbiamo pensato cheforse il modo migliore per essere di aiu-to sia andare loro incontro nei campidove vivono, parlare con gli operatoriche le conoscono e fornire ciò di cuihanno concretamente bisogno attraver-so la figura educativa. Restiamo, infat-ti, in contatto con l’educatore del cam-po e cerchiamo di costruire la relazio-ne attraverso questo tipo di figura.

La sindrome post-abortoIncontrando donne gravide abbiamo spes-so dovuto fare i conti con un grande lut-to, conseguenza di un precedente abortoprocurato. È come se la futura madre fos-se ancora tutta centrata sul vuoto lascia-to dentro di lei dal figlio abortito e nontrovasse il posto, nei suoi pensieri e nel-le sue emozioni, per il bambino che a-spetta nel presente. Per queste situazioniabbiamo organizzato, con una nostra psi-cologa, un protocollo per l’elaborazionedel lutto proprio perché certe criticità e-mergono negli anni. Al momento del-l’interruzione, infatti, si prova spesso co-me un senso di liberazione pensando diaver risolto un problema, ma quando pas-sano i mesi, gli anni, frequentemente riaf-fiora il pensiero di questo atto negativo.In molti casi ci imbattiamo in forti de-pressioni delle quali non riusciamo a ve-nire a capo e, alla fine, risulta sempre checi sono alla base degli aborti procurati.Qualche tempo fa mi è capitato di ri-cevere la telefonata di una donna che a-veva abortito vent’anni prima e che michiedeva dove fosse la tomba dei bam-bini abortiti perché voleva andare a por-tare un fiore. Per non addolorarla ulte-riormente, non ho avuto cuore di rac-contare ciò che avveniva di quei feti emi sono limitata a dire che non lo sa-pevo. Adesso, almeno in Lombardia,non è più così: i piccoli resti dei bam-bini vengono messi dall’ospedale incassettine per essere sepolti.Un’altra signora, incontrata durante u-na trasmissione televisiva, disse: “Ilbambino che non ho voluto sentir pian-gere nella culla me lo sento piangeredentro tutte le notti”.Immaginiamo che non sarà per tutte co-sì, però bisogna anche tener conto chequeste situazioni esistono. Soprattuttonegli Stati Uniti funzionano istitutiscientifici che hanno studiato il feno-meno e da loro sappiamo che il 90 percento delle donne, dopo aver interrottola gravidanza, riporta disturbi anche gra-vi, di tipo relazionale ma soprattutto diordine psichico: fenomeni che in qual-che caso rendono addirittura impossi-bile pensare di continuare a vivere.

(Testo tratto da "Per un bambino",Europa Edizioni 2018)

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matrimonio rischia di essere estromes-sa dal clan familiare e sociale. La scel-ta, allora, diventa ancor più drammati-ca e trovare un’accoglienza di tipo re-lazionale può davvero fare la differen-za tra la vita e la non vita del figlio.Frequenti sono stati i colloqui di rifles-sione con donne provenienti dallo SriLanka e dalle Filippine, alle quali capitadi pensare a un ritorno in patria dove avolte hanno lasciato altri figli.Anni fa per loro non si poneva il pro-blema dell’aborto volontario, mentreora, soprattutto le più giovani (cre-sciute in Italia), prendono in conside-razione la possibilità di proseguire omeno la loro gravidanza.Fra le non italiane un altro fenomenoimportante è rappresentato dalle donnerom. Un problema, più che un fenome-no, perché conoscerle è molto difficile.Noi abbiamo come regola quella di nonfare indagini poliziesche, ma ci rendia-mo conto che con le donne rom non siriesce a delimitare il confine tra realtà

Nellʼanalisi dellʼesperta anche un approfondimento sulle diversemotivazioni che, oltre a povertà e

scelte culturali, possono spingere unadonna alla scelta tragica dellʼaborto

In 33 anni salvatioltre 20mila bambini

Le donne del Sudamerica hanno una for-te religiosità, forse quasi mai confortatadalla pratica. Interrompono la gravidan-za per non doverlo dire a casa, per nonperdere il lavoro che permette di soste-nere la famiglia lontana, per tenersi vici-no un uomo che non vuole la responsa-bilità di un figlio. Per queste donne il so-stegno economico risulta fondamentale.Arrivano, ormai da tempo, anche mol-te donne del Nord Africa, che si mo-strano molto combattute sull’interru-zione della gravidanza, essendo per lopiù di religione musulmana che è con-traria all’aborto, sebbene non in modoassoluto. Nella loro tradizione, poi, ladonna che concepisce un figlio fuori dal

Nel 1980, insieme a cinque assi-stenti sociali, Paola Marozzi Bon-zi, ha fondato il Cav del Movi-mento per la vita ambrosiano. Poi,quattro anni dopo, è stata la vol-ta del Cav Mangiagalli, nel cuoredella città. La clinica milanese e-ra il luogo dove si eseguiva il mag-gior numero di aborti in Italia. Ma33 anni fa, la nascita del Cav, hapermesso una svolta ideale. Da al-lora la "Mangiagalli" è anche ilpresidio che accoglie donne ecoppie in dubbio nellʼaccettare u-na gravidanza indesiderata o i-nattesa. Incertezza sempre piùspesso connessa a un disagio e-conomico, soprattutto quando arivolgersi al Cav sono donne stra-niere, oggi la maggior parte di chisale a bussare al terzo piano, sca-la B, della clinica di via della Com-menda. E allora scattano i collo-qui, poi la vicinanza umana e ma-teriale. Un piano articolato che in33 anni è servito per aiutare a na-scere quasi 22mila bambini. Unacifra enorme. Se pensiamo che dalʼ75 a oggi gli oltre 300 Centri diaiuto alla vita italiani hanno ac-compagnato al parto circa 190mi-la donne, il Cav Mangiagalli rap-presenta da solo oltre il 10 percento del totale nazionale. Un im-pegno che, accanto allo sforzo didecine di volontari, ha avuto inquesti anni il volto e il nome diPaola Bonzi.

I NU

MER

I

gennaio 2019 29NOI famiglia vita Giornata per la vita 2019

del bambino che ho rifiutato»

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L’istituo superiore di scienzereligiose della Pontificiauniversità lateranense“Ecclesia Mater”, con

l’Ufficio nazionale per la Pastoraledella famiglia della Conferenzaepiscopale italiana organizza ilCorso di alta formazione inconsulenza familiare conspecializzazione pastorale. Unappuntamento che si svolgerà, per ledue settimane estive in ValleD’Aosta, a La Thuile (Ao), dal 7 al21 luglio. ll corso è aperto a sposi,sacerdoti, seminaristi, religiosi/e chedesiderino mettersi al servizio delproprio territorio tramite l’annunciodel Vangelo del matrimonio e dellafamiglia. La formazione non silimita all’aspetto degli studiaccademici, ma nella cura integraledella persona, comprende anchel’esperienza della vita comunitaria.

ggi viviamo in una società a-bortista, che moltiplica gli o-

stacoli a chi desidera mettere al mon-do un figlio, e favorisce l’aborto, ra-pido, gratuito, rispetto alla continua-zione della gravidanza.Per abortire la strada è spianata: l’iter èsemplice (normalmente basta un collo-quio con un ginecologo), veloce (l’84,5%degli aborti avvengono entro 3 settimanedalla certificazione), e completamente gra-tuito. Invece gli aiuti per accogliere il con-cepito sono pressoché inesistenti, e se u-na donna vuole continuare la gravidanzasi trova spesso di fronte a difficoltà du-rissime: del resto oggi fare figli significaimpoverirsi, come dicono tutte le analisisocioeconomiche. Basti pensare alle don-ne con un lavoro a tempo determinato:con la gravidanza perdono tutte il lavoro!E oggi il 52,5% dei giovani under 25 haun contratto di lavoro precario (dati OC-SE). Così pure le gestanti disoccupate: daquando scoprono di essere incinte, per al-meno un anno non hanno possibilità ditrovare un’occupazione.Le gestanti non hanno diritto ad aiuti senon a limitate elemosine, non hanno unarete di servizi adeguata, sono abbandona-te dalle istituzioni, sono oggetto di fre-quenti pressioni da un ambiente familia-re e sociale ostile alla gravidanza. Oggitroppi si comportano come Pilato, abban-donano la donna nella fase di maggior vul-nerabilità, trincerandosi dietro il paraventodella "libertà della donna". La neomam-ma, proprio nel momento in cui avrebbepiù bisogno, trova intorno a sé il vuoto.

Accogliere il nuovo arrivato viene rite-nuto un fatto privato senza alcun valo-re per la società, dunque la gestante nonha riconoscimento sociale; se poi i figlisono numerosi o se il figlio in arrivo èdisabile, sono fatte oggetto di giudizidurissimi e sprezzanti.Quante volte si sentono affermazioni deltipo: "Non bisogna giudicare una donnache abortisce!", ma in realtà oggi è fre-quente udire pesanti giudizi sulla donnache continua una gravidanza in condizio-ni difficili, definita un’incosciente, un’ir-responsabile, addirittura un’egoista.Tutti quelli che ritengono il nuovo arriva-to un problema, un fastidio, un ingombro,si sentono autorizzati a mettere in atto qua-lunque azione per impedire che quel bim-bo arrivi a nascere.La neomamma finisce così troppo spessorelegata in una condizione di solitudinementre si trova a vivere una situazione diestrema fragilità e vulnerabilità.Invece, come vedremo di seguito, il so-stegno alla continuazione della gravidan-za è pressoché inesistente."Se vuoi abortire pensiamo a tutto noi,se vuoi continuare la gravidanza devicavartela da sola!" È il messaggio piùo meno esplicito che la gestante in dif-ficoltà si sente rivolgere dall’ambien-te circostante. Se continua la gravi-

n nuovo centrocounseling ter-

ritoriale per l’auti-smo, in una delle se-di sanitarie d’eccel-lenza a Milano: ilColumbus cliniccenter. Ad inaugu-rarlo, grazie ad unaccordo sinergico,la Fondazione SacraFamiglia, I che hadeciso di puntaresul modello «Supe-rability» messo apunto dai suoi Ser-vizi innovativi perl’autismo.

U ono 10mila le oredi volontariato a-

ziendale che i dipen-denti di Generali, intutta Italia, mettono adisposizione nell’am-bito dell’educazionedei bambini. È il pro-getto “Ora di futuro”che coinvolge Alberodella Vita, MissionBambini e Csb. Unafruttuosa collabora-zione tra profit e nonprofit che vede i13mila dipendentidella compagnia assi-curativa impegnati inprima persona.

S

i chiude il 7 febbraio il ciclo sull’eti-ca delle generazioni “Dove va la mo-

rale?” alla Facoltà teologica del Trivene-to, con l’incontro “Meditatio futuri: met-tere al mondo la speranza”. Intervengo-no il pastore valdese Ilenya Goss, mem-bro della commissione Bioetica della Ta-vola valdese, e la filosofa e teologa Vi-cenza Lucia Vantini, docente all’Istitutosuperiore di Scienze religiose di Verona.

S

«Oggi troppi abbandonano la donnanella fase di maggior vulnerabilità,

trincerandosi dietro il paravento della libertà»

Nel libro di Andrea Mazzi la denunciadi una realtà che si preferisce ignorare

OAndrea

Mazzi

Famiglia, corso estivoformatori a La Thuile

Dalla SacraFamigliaun centroinnovativoper lʼautismo

Aziende enon profit:da Generali10mila ore divolontariatoIN BREVE

Facoltà del Triveneto,etica e generazioni

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famiglia vita Giornata per la vita 2019

Veduta di La Thuile

Così nella società abortista

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lo fatto, ma l’assistente sociale è stata mol-to drastica: "Se sei incinta è un problematuo, non nostro!" Rimaniamo senza paro-le… noi che pensavamo che in Italia ci fos-se una Costituzione che dice: "La Re-pubblica tutela la maternità"!Le centinaia di mamme che ho incon-trato in questi anni non erano contentedella scelta di abortire, chi l’ha sceltol’ha fatto perché le difficoltà per conti-nuare la gravidanza erano così grandida sembrare insormontabili, avrebberovoluto continuare la gravidanza ma han-no perso la speranza, sono state spintein un’altra direzione.Praticamente tutte, anche quelle che al-la fine hanno abortito, quando chiede-vo loro "Ma tu cosa desidereresti fare?",mi rispondevano "Io vorrei continuare,vorrei accogliere il mio bambino". Que-sto è sempre più vero oggi, dato che ildesiderio di maternità è in forte cresci-ta, ma anche gli ostacoli che si incon-trano (la precarizzazione del lavoro edelle relazioni di coppia, solo per fare idue esempi più eclatanti).Allora per cambiare le cose occorre in-nanzitutto il coinvolgimento di tutta la so-cietà! Infatti i problemi della donna o del-la coppia coinvolgono la società tutta: lasolitudine della madre, la conciliazionecol lavoro (quando c’è!), la mancanza direte di supporto, i problemi economici,ecc. È la società che deve trovare più stra-de per sostenere le donne.

Testo tratto da: Indesiderate. Storie di ordinarie discriminazioni di donne e

bambini in una società abortista (Sempre Comunicazione, 2018) Prefazione di Lucia Bellaspiga

Presentazione di Giovanni Ramonda

danza sarà solo lei a portarne la re-sponsabilità, lei e nessun altro.La politica e i media si occupano solo mar-ginalmente dei problemi legati all’acco-glienza dei nuovi bambini, invece politi-ci ed opinion maker chiusi nella loro vi-sione del mondo, non muovono un dito persostenere le maternità mentre invece sidanno molto da fare per far pendere an-cora di più la bilancia a favore dell’abor-to, cercando di impedire il contatto tra ledonne e chi può dare loro aiuti e sostegni,combattendo gli obiettori di coscienza,accelerando il più possibile il percorsoverso l’intervento.La donna incinta trova davanti a sé duestrade, ma una è un’autostrada a 4 cor-sie (anche se poi finisce in un burro-ne...) e l’altra è uno sterrato di monta-gna! E dunque tante donne dicono: "Maio sono davvero in grado di guidare inuna strada sterrata, da sola? Sono in gra-do di cavarmela se la macchina si rom-pe, se mi perdo, se mi imbatto in alla-gamenti, frane…?" e finiscono per pren-dere l’autostrada non perché preferi-scano quella scelta ma perché ritengo-no troppo rischiosa l’alternativa.Rosalyn ci contatta per chiederci aiutoperché è in difficoltà economiche. Le chie-diamo se prima di noi si è rivolta ai ser-vizi sociali del Comune. Ci dice di aver-

na famiglia santa per il calendario dell’Ordinariato milita-re "I Beltrame-Quattrocchi una famiglia di santi e… Cap-

pellani militari". È titolato così il calendario 2019 dell’Ordina-riato militare che ogni anno la Fondazione Missio della Cei “per-sonalizza” per la diocesi castrense. Un omaggio ai coniugi Bel-trame-Quattrochi, beatificati il 21 ottobre del 2001 da GiovanniPaolo II, proprio in occasione della Giornata della famiglia.Il legame con l’Ordinariato è dovuto al fatto che i due figli sa-cerdoti della coppia, don Tarcisio e don Paolino, si distinsero co-me cappellani militari nel corso del secondo conflitto mondia-le. Inoltre, la figlia Maria Cecilia abbracciò la vita religiosa e quan-to all’altra figlia, Enrichetta, si è da pochi mesi aperto il proces-so di beatificazione e canonizzazione. Da qui il significativo ti-tolo del calendario. Una famiglia veramente santa. E proprio inoccasione della festa della Santa Famiglia, in una nota per la pre-sentazione del calendario, l’Ordinariato ha inteso riproporrequanto scritto dall’arcivescovo Santo Marcianò nell’introduzio-ne al direttorio di Pastorale familiare dell’ordinariato militare.«La nostra Chiesa si affida alla famiglia: alla bellezza di o-gni famiglia che, con il proprio amore, nutre e arricchisce ilcammino dell’umanità; alla sofferenza di quelle famiglieche, con la loro preghiera e offerta, sostengono i passi dellacomunità ecclesiale; alla fragilità di quelle famiglie che sol-

lecitano il cuore dei pastori ad essere padri, con verità e ca-rità; all’esempio di ogni famiglia, semplice ma concreta te-stimone del senso pieno dell’umanità che non sta nell’indi-vidualismo della realizzazione personale ma nel cammina-re insieme, mano nella mano, per vivere quella gioia che èfrutto maturo ed esclusivo del dono di sé».

Antonio Capano

U

«Se vuoi abortire pensiamo a tuttonoi, se vuoi continuare la gravidanzadevi cavartela da sola!» È il messaggio più o meno esplicitoche la gestante si sente rivolgeredallʼambiente circostante

Il calendario dei cappellani militaridedicato ai Beltrami-Quattrocchi

L’Opera Madonninadel Grappa - Centrodi Spiritualità padreEnrico Mauri (piaz-za Padre Mauri, 1 -16039 Sestri Levan-te, Tel. 0185-457131e-mail: [email protected])organizza domenica10 febbraio, ore9,00, un uncontro dispiritualità per cop-pie di sposi sul te-ma: "Alla ricercadella felicità. Il di-scernimento nellavita di coppia e difamiglia".

AllʼOperaMadonninadel Grappaincontroper coppie

gennaio 2019 31NOI famiglia vita Giornata per la vita 2019

si ostacola la gravidanza

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gennaio 2019

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famiglia vita Giornata per la vita 2019

o presentato istanza per conoscerele mie origini, perché ne sento il bi-

sogno, come un’esigenza intensa. Manca unpezzo della mia identità». In queste parole c’è tutto il senso e l’impor-tanza di quei viaggi a ritroso, spesso lunghi edolorosi, compiuti da molte delle persone chesono state adottate. Non ci sono dati che in-dichino quanti siano in Italia i soggetti che simettono alla ricerca della propria famiglia diorigine. Ma per chi lo avverte il bisogno è for-te, come quello espresso dalla testimonianzaanonima, contenuta in una ricerca del 2016condotta dall’Istituto degli Innocenti di Fi-renze, ripresa in occasione del recente con-vegno promosso dall’Università Cattolica diMilano, «Fin dall’origine verso le origini».Una questione sociale più che mai viva comeha confermato il successo di presenze all’in-contro: presidenti e giudici dei tribunali di mi-norenni, operatori dei Comuni e di aziende sa-nitarie locali ma anche associazioni di fami-glie, figli adottati, mamme e papà, futuri ge-nitori di bambini adottivi. Un desiderio, co-me è emerso dal confronto, che non si risol-ve in una serie di informazioni raccolte mapunta più in là, a dipanare il filo rosso di unavita per ritrovarne il punto di partenza e darecontinuità a ogni singola storia. «Come ha confermato il nostro studio, la de-cisione delle persone adottate di ritrovare lapropria famiglia naturale parte da una do-manda di senso: perché è successo e perchéa me?», conferma Rosa Rosnati, psicologadell’adozione dell’ateneo che ha partecipatoall’indagine. «La molla è il desiderio di co-noscere le proprie origini, la storia che pre-cede l’adozione, le ragioni dell’abbandono, lapossibilità di rintracciare fratelli o sorelle. E-mergono poi indicazioni significative: per e-sempio che le donne che intraprendono la ri-cerca sono più numerose degli uomini. Datoancora più interessante – sottolinea l’esperta– è che il desiderio della ricerca è indipendentedalla qualità della relazione adottiva. Cioè amuoversi per cercare la famiglia biologica so-no sia i soggetti che hanno avuto un’espe-rienza adottiva meno positiva sia le personeche invece la vivono con pieno benessere psi-cologico. Segno che ritrovare le proprie ori-gini è sentito comunque come indispensabi-le per dare completezza alla propria storia».La ricerca ha preso in considerazione adole-scenti in adozione internazionale e rileva chesu 730 ragazzi coinvolti nell’indagine, il 41%ha considerato di cercare la famiglia natura-le, il 14% di loro si è mosso autonomamentee la metà di questi ha utilizzato internet comefonte per la ricerca. La rete, che offre virtual-mente la possibilità di entrare in contatto conchiunque con un semplice clic, sembra offri-

re una via più facile per la ricerca delle per-sone. Ma allo stesso tempo complica lo sce-nario mettendo a rischio il diritto alla privacydei familiari di origine e in particolare quel-lo della madre naturale. Il tema della ricercadelle origini biologiche infatti – è stato riba-dito durante il convegno – si inserisce oggi inun dibattito giuridico molto vivace che ri-guarda in particolare il rispetto di due diritti,quello dell’adottato che desidera contattare igenitori naturali, e quello della madre biolo-gica di mantenere l’anonimato. Su questo conflitto si è soffermata MilenaDalcerri, giudice onorario del Tribunale per iminorenni di Milano, che ne ha descritto laprassi giuridica. In caso di figli riconosciutialla nascita, il giudice accoglie la richiesta eattiva la raccolta delle informazioni. Questevengono poi restituite al ragazzo che può pro-cedere con la sua ricerca. Diverso l’iter se nonc’è stato riconoscimento. In questo caso ladonna viene convocata attraverso un opera-tore della polizia municipale e può scegliere:incontrare il figlio che la cerca o rifiutarsi.«Dei 20 interpelli che abbiamo gestito fino aquesto momento, tolti 6 casi in sospeso pergrossi problemi di individuazione, la metàdelle madri ha deciso di incontrare il figlio chela stava cercando», informa il giudice. «So-no tutte storie di grande coraggio, a volte al-le spalle ci sono atti di violenza e stupri mavince la forza di andare avanti, ritrovare un fi-glio perduto e farsi presente. Sono incontrispesso indescrivibili: in un salottino predi-sposto in Tribunale, una mamma e un figliosi ritrovano dopo lunghi anni. Quasi sempreassistiamo a una grande intelligenza emotivada parte di entrambi, un’insospettabile capa-

cità di dialogo che il tempo e la vita non han-no compromesso. Fondamentale in tutti que-sti casi l’efficacia degli operatori che sosten-gono gli incontri». Come fa il Cta, Centro terapia dell’adole-scenza, specializzato in adozione e affido chenegli anni ha acquisito una competenza spe-cifica nella cura alle famiglie adottive e affi-datarie e nella presa in carico delle crisi a-dottive. E accompagna i giovani che deside-rano intraprendere il viaggio alla ricerca del-le proprie origini. «Un tema che emerge infretta nel sostegno terapeutico che offriamo

Ripartito l̓ iter per la leggeripartito l’iter parlamentareper la legge sul

riconoscimento delle originibiologiche. Dopo la delusionedella scorsa legislatura, il nuovoddl – 922/2018 – ha ripreso ilsuo percorso dalla Commissionegiustizia del Senato in sederedigente. Obiettivo quello didare risposte ai tanti figliabbandonati alla nascita cheattendono di conoscere l’identitàdella madre naturale. Si pensache siano almeno diecimila inItalia le persone che vorrebberoriannodare i fili del propriopassato. Ma in Italia la legge sulparto in anonimato impedisce alfiglio di sapere qualcosa sulleproprie origini se la "madre

È segreta" non ha revocato lapropria decisione. Ma nelnovembre 2013 è arrivata laConsulta a dichiarareincostituzionale l’articolo 28,comma 7, della legge 184,quello appunto che garantisce ilparto in anonimato. La leggenaufragata nella scorsalegislatura era considerata unbuon compromesso. L’attualedisegno di legge – primifirmatari Simone Pillon (Lega) eFrancesco Urraro (M5S) –riprende quell’impianto ma sipropone di superare alcunecriticità. Innanzi tutto il vecchiodisegno di legge conferivasoltanto al figlio la possibilità dichiedere l’interpello della

madre. Ora la possibilità è estesaanche ai discendenti, nellaconvinzione che conoscere leproprie origini sia un desiderioche non si estingue e che quindianche un nipote abbia il dirittodi conoscere il nome dellanonna. Immutati gli aspetti cheriguardano le rivendicazioni dicarattere patrimoniale: la "madreritrovata" non ha alcun obbligodi risarcire il figlio. L’altranovità importante riguarda lapossibilità di non fermare leindagini di fronte davanti allairreperibilità della madrebiologica. La legge concedecomunque al figlio la possibilitàdi conoscere l’identità dellamadre proprio sulla base della

Cresce tra le personeadottate il desiderio di riannodare ifili dellapropria storiaUn percorsochecomprendesia il ritornonei Paesidi nascita, sia la ricerca dei genitori in Italia

HPaola

Molteni

Origini, quei viaggiche regalano identità

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gennaio 2019 33NOI famiglia vita Giornata per la vita 2019

ai ragazzi», fa notare Sara Lombardi, re-sponsabile del Cta milanese. «Da dove ven-go e a chi assomiglio veramente? Di chi so-no queste lentiggini che mi ritrovo sul viso,chi mi ha dato questi occhi scuri? Sono do-mande inevitabili per tutti gli adottati. Pro-prio per questo non è mai troppo tardi e nonè mai sbagliato mettersi in cammino verso ifamiliari biologici», dice l’esperta. «Questifigli adottivi cercano soprattutto la madre, maanche i fratelli e qualsiasi figura sia stata si-gnificativa al momento della loro nascita enella prima infanzia». Lo dimostra la storia

di Carlos, 19 anni. Aveva un sogno: fare unviaggio in Brasile, insieme alla famiglia a-dottiva per mettere piede nella terra dove è na-to e ritrovare le sue tracce originarie. Duran-te la visita nell’orfanotrofio in cui ha vissutoi suoi primi anni, ha incontrato la cuoca, unadelle figure di riferimento della sua crescita,che non aveva mai smesso di pensarlo e an-cora lo portava nel cuore. Grazie a questo in-contro il sogno di Carlos si era realizzato: al-meno un pezzo mancante del puzzle era sta-to ritrovato.

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sul diritto “al passato“dichiarazione diincostituzionalità del 2013.Il nuovo ddl puntualizza poi neidettagli le modalità con cuidevono essere condotte lericerche, come la necessità diincludere nell’articolato ladescrizione dei vari luoghi dovepoter andare a reperire idocumenti della madrebiologica (istituti, ospedali,registri anagrafici, ecc). Ma lanovità forse più rilevanteriguarda la possibilità diconoscere, attraversol’interpello della madre, anche idati identificativi di fratelli esorelle, al momento preclusa.Tutto questo al compimentodella maggiore età. Passa infine

da un anno a 6 mesidall’approvazione della legge lapossibilità per la madre diandare presso il Tribunale perdichiarare la propria volontà dimantenere l’anonimato,rifiutando diessereinterpellata.Negli ultimi treanni il Comitatoper ilriconoscimentodelle originibiologichepresieduto daAnna Arecchia, nonostante ilvuoto legislativo, è riuscito arisolvere quasi duemila casi.

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Almenodiecimila in Italia

le personeinteressate a fareluce sulle proprieradici biologiche

i cosa parliamo,esattamente, quando

parliamo di cittadinanza? Diuno status, di un reddito, diun diritto? La domanda nonè oziosa, perché dicittadinanza tutti siriempiono la bocca datempo. Dare cittadinanza ècertamente un gesto nobile,significa riconoscere ilvalore di una persona,inserirla in un progetto, farlauscire dall’anonimato. Eraquesto il proposito bellodella campagna sullo "Iussoli" e "Ius culturae", cheprevedeva il riconoscimentodella cittadinanza ai figli distranieri che fossero nati nelnostro Paese e che quiavessero seguito un periododi studi. Come si sa, ilprogetto è naufragato nellascorsa legislatura, compliceanche il mutato clima socialesubito cavalcato dai nuovileader politici. Oggi lacittadinanza è uncomplemento dispecificazione dopo la parolareddito, con lo scopocomplicato di far uscire dallapovertà milioni di persone.In ogni caso, la parola restaal centro anche di questitempi securitari, magarisventolata come vessillo daabolire per chi non fa ilproprio dovere. È senzadubbio la cittadinanza a farei cittadini, non il contrario:se c’è un motivo alto eimportante per cui si èriconosciuti all’interno diuna società, non possonoesistere cittadini di serie A ecittadini di serie B.C’è un’iniziativa che, nelsilenzio generale, in questimesi, grazie a un gruppo disindaci, parte proprio dalbisogno di cittadinanza: è ilfrutto di una petizionepopolare che, nelle nostrecittà, ha portato alla raccoltadi 75mila firme in calce auna proposta di legge chepunta a introdurrel’Educazione allacittadinanza sui banchi discuola. «È da qui chedobbiamo ripartire ed è aipiù giovani tra i cittadini che

è necessario parlare dieducazione civica,educazione ambientale,legalità, Costituzione, dirittoitaliano e diritto europeo»,hanno spiegato i proponenti.La mobilitazione è avvenutasoprattutto nelle grandi città,dove più si avverte il bisognodi tornare ai fondamenti dicomunità rilanciati dalpresidente Mattarella inoccasione del suo discorsoall’Italia a Capodanno. Undiscorso che ha fatto luce suitanti "eroi del quotidiano"che ormai sono diventati unacifra distintiva del suomandato. Sarebbe bello seoggi, nelle aule dei milleborghi d’Italia, sipreparassero e crescesserouomini e donne capaci dicostruire con saggezza ildomani.È come se ci fosse un pezzodella società civile italianache non ci sta a chiudersi neirecinti della paura un po’autoreferenziale e un po’creata ad arte e che vuolprovare a ritessere fin d’oraalcuni legami socialispezzati. Cosa vuol direessere cittadino di unacomunità? Quali onori equali oneri comporta? Comepartecipare a pieno titolo?L’idea di far iniziare unpercorso ai bambini, fin dalleelementari e dalle medie,può essere un primo passonella direzione di uno stile dicorresponsabilità nuovo.Dove esercitarlo? Neiconfronti della propriafamiglia, della propriaclasse, del proprio oratorio,del proprio quartiere. "Icare", diceva don LorenzoMilani, mi prendo cura, mifaccio carico, ho a cuorequalcosa di importante.Educarsi, imparare, anchestudiare le basi della nostraconvivenza civile, per esserepoi protagonisti nella vita delproprio paese e della propriacittà: il 2019 potrebberivelarsi un tempo propizio.

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Cittadinanza,il futuro solidalea cui educare

MICROCOSMI

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DiegoMotta

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er Immacolata Petrellese, 38 anni, iltrapianto è stato la salvezza e la rea-

lizzazione di un grande desiderio, quello del-la maternità. Come racconta nel libro "Unastoria per la vita", che raccoglie tante voci, acura della Fondazione Onlus Marina Minnaja,attiva dal 1991 per la promozione dello studioe della ricerca nell’ambito delle malattie epa-tiche e del trapianto di fegato e la sensibiliz-zazione sulla donazione e l’assistenza e il so-stegno ai pazienti e ai familiari. La sua storiainizia nel lontano 1994 quando, a soli 14 an-ni, le viene diagnosticatal’adenomatosi epatica, unapatologia piuttosto rara checomporta la formazione ditumori benigni nel fegato.«Giorno dopo giorno, ve-dere negli occhi dei tuoi ge-nitori tanta sofferenza etanta paura è straziante –afferma Imma, così vienechiamata affettuosamente–. Ma nonostante ciò mi hanno sempre inco-raggiata e sostenuta ad andare avanti, ad af-frontare con grinta e determinazione la miamalattia». Dopo molteplici passaggi di ospe-dali fra Napoli e Bruxelles, finalmente la fa-miglia trova a Padova un’équipe di chirurghiche, prima tenta di salvare il fegato, con dueinterventi di resezione epatica, poi mette Im-ma in lista per il trapianto. E così a 17 anni laragazza riceve un organo nuovo: per lei la sal-vezza. A cui fa seguito il tentativo di recupe-rare il tempo perduto, tenendo però i piedi perterra, senza fare pazzie. «Ho sempre vissuto con la paura di non poter

avere una vita normale come tanti altri, con lapaura di non poter avere dei bambini – riflet-te –. Sognavo spesso di avere il pancione e diavere tra le braccia una bella bambina, ma sa-pevo che sarebbe stato molto difficile». E in-vece, a dispetto di tutte le difficoltà e i timori,il sogno di Imma si avvera. «Come in una bel-la favola in cui tutto finisce bene, a un certopunto il mio corpo a cominciato a modificar-si: la mia pancia e la mia bambina erano rea-li! Una gioia immensa – ammette –. Ho co-minciato a credere in lei e il 14 luglio del 2013è venuta alla luce Anna: tre chili, così piccolada poterla tenere tranquillamente in una ma-no, bellissima per la sua mamma e per il suo

papà ma, soprattutto, sa-na». Oggi Imma si com-muove pensando alla pro-pria storia e guardando lasua bambina che definisce"un dono ricevuto dal Cie-lo": «Ringrazio il mio do-natore e tutti i medici chemi hanno seguita durantela malattia e la gravidanza:se Anna è tra noi, lo devo

soprattutto a loro». La maternità dopo un tra-pianto è possibile. «Abbiamo avuto moltissi-me gravidanze, anche gemellari – sottolineala dottoressa Burra –. Consigliamo di aspetta-re due anni dall’intervento, ma occorre direche i farmaci interferiscono poco con la gra-vidanza. E anche l’allattamento non è con-troindicato». Necessario però individuare in-sieme ai medici il momento migliore e la te-rapia anti-rigetto più adeguata.Se guardiamo alle donazioni, il 2017 è statoun anno record per l’Italia. Con 1.763 dona-tori complessivi (+9% rispetto al 2016 e +29%rispetto al periodo 2013-2017). Anche i tra-

pianti sono aumentati, raggiungendo, comeabbiamo visto, quota 3.950 (+6% rispetto al2016 e +27% rispetto al periodo 2013-2017),di cui 1.934 trapiantati di rene e 1.296 tra-piantati di fegato. Numeri positivi, supportatidal miglioramento della qualità della vita do-

Immacolata Petrellese è diventata mamma dopo un trapianto

subìto a 17 anni peruna grave patologiaOra ha raccontato

la sua storia in un libro

Dal trapianto riparte la speranza di futurol trapianto d’organo spalanca le porte a unanuova vita. A una rinascita e alla normalità per

tante persone. E oggi i numeri fortunatamentesono confortanti: in Italia si parla disopravvivenza a cinque anni del 75% per iltrapianto di fegato e dell’85% per quello di rene.«Il trapianto di rene mi ha permesso diriappropriarmi del tempo per la mia famiglia, perme stessa, per le mie amicizie, per il mio lavoro»,dice un paziente. «Dopo l’intervento horiacquisito la forza fisica e mentale, ho ripreso acucinare, a fare lunghe passeggiate al mare e aleggere, prima non avevo né energia, néconcentrazione», commenta un altro. La finedella dialisi, il miglioramento delle condizioni disalute, la possibilità di riprendere l’attivitàprofessionale, condividere con la famiglia e gliamici il tempo libero, poter diventare madri opadri dopo l’intervento rappresentano davverouna seconda chance. Basti pensare che il 92,7%dei pazienti italiani sottoposti a trapianto di renee l’85,5% dei pazienti italiani sottoposti atrapianto di fegato lavorano o sono nellecondizioni di farlo e sono stati pienamente

reinseriti nell’attività sociale. Questa seconda esistenza e la grande speranza inessa riposta è evidenziata dall’indagine realizzatada Elma Research per conto di Chiesi Italia, cheha analizzato il vissuto dei pazienti trapiantati direne e le loro esigenze, soprattutto in relazionealle terapie anti-rigetto. Da cui emergel’importanza di un supporto psicologico,informazioni pratiche in tempi rapidi e servizidedicati. Lo scorso anno nel nostro Paese sonostati effettuati 3.950 trapianti e la tendenza è inaumento, mentre diminuiscono i pazienti in listadi attesa. Il trapianto è un intervento chirurgicoche prevede la sostituzione di un organoprelevato da un altro individuo che, nel caso direne e fegato, può essere da vivente o deceduto.

Si tratta di un intervento complesso, anche seormai nei Paesi occidentali, inclusa l’Italia, sonostati raggiunti livelli di eccellenza. Un donoprezioso, quindi, da custodire e rispettare.Bisogna ricordare anche come sia possibile permolti la donazione di sangue e di midollo osseo:un prelievo che può salvare una vita. In generale,sulla cultura della donazione c’è ancora moltastrada da fare. La Spagna, per esempio, ha il piùalto tasso di donazioni e il doppio dei trapianti,ma anche i Paesi nordici fanno meglio di noi. La riuscita del trapianto dipende molto dallacapacità alla partecipazione attiva e consapevoledel paziente alle raccomandazioni sulprogramma terapeutico e su un corretto stile divita. La terapia immunosoppressiva èindispensabile. Comincia durante l’intervento eprosegue per tutta la vita del trapiantato, chedovrà assumere ogni giorno dei farmaci in gradodi inibire alcune funzioni del sistemaimmunitario che porterebbero al riconoscimentodel nuovo organo come non proprio, causando ilrigetto.

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I Nel 2017 realizzati 3.950interventi (+6% rispetto al 2016 e +27% rispetto al periodo 2013-2017), di cui1.934 al rene e 1.296 al fegato

PGiovanna

Schiacchitano

«Fegato nuovo e maternitàgennaio 2019

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famiglia vita Giornata per la vita 2019

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sopravvivenza del paziente – spiega PatriziaBurra, professore di gastroenterologia all’U-niversità di Padova ed ex presidente dell’In-ternational Liver Transplantation Society –.La qualità della vita riconquistata grazie al-l’organo ricevuto in dono va di pari passo conl’aderenza, che resta un problema aperto, so-prattutto tra gli adolescenti, nei quali il tra-pianto si inserisce in un periodo evolutivo giàdi per sé complesso. In questo senso sarebbeauspicabile migliorare i servizi di supportopsicologico che aiutino i pazienti, non solo pe-diatrici, nel percorso di accoglimento dell’or-gano ricevuto, di gestione quotidiana dellanuova vita e di accettazione della terapia cro-

nica». Fondamentale l’a-derenza al programma te-rapeutico. Quando non siverifica, si apre la possi-bilità di una maggiore in-cidenza per quanto ri-guarda complicanze, per-dita dell’organo trapian-tato e mortalità, ma ancheriduzione della qualità divita e aumento di stress

psicologico per il paziente. In molti casi, il tra-piantato vive la cosiddetta "sindrome del so-pravvissuto", che lo porta a dimenticare i ri-schi a cui è esposto e a sottovalutare l’im-portanza delle cure e delle visite di control-lo. Un fenomeno frequente che riguarda me-diamente un trapiantato su quattro, moltospesso giovane. Per chi subisce questo in-tervento quindi ci sono gioie e diritti, ma an-che doveri. Sul tema della non aderenza alprogramma terapeutico sta partendo uno stu-dio a livello nazionale che coinvolgerà 150trapiantati di rene.

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po il trapianto, che confermano l’eccellenzadell’attività nel nostro Paese. «Per i pazienticon malattia renale cronica grave, il trapiantodi rene rappresenta il trattamento d’elezionerispetto alla dialisi, quest’ultima vissuta comeun periodo drammatico, fatto di sacrifici, li-mitazioni e prospettive incerte, con una mor-talità a cinque anni superiore al 70% – sotto-linea Loreto Gesualdo, professore di nefrolo-gia all’università di Bari e past presidente del-la Società Italiana di Nefrologia –. La corret-ta assunzione della terapia immunosoppressi-va, negli orari e nei dosaggi prescritti, è un fat-tore determinante per il buon esito del tra-pianto». Un bisogno dei pazienti è quello disentirsi meno soli, unavolta tornati a casa. Pervenire incontro a questarichiesta è stata messa apunto ReNew, applica-zione per smartphone,grazie al supporto diChiesi, dedicata ai pa-zienti che ricevono il tra-pianto di rene (20mila inItalia), in modo da aiutar-li a gestire correttamente la terapia e a rende-re più semplice e immediata la condivisionedelle informazioni con il medico. Il rapporto con lo specialista e la comunica-zione con lui sono fondamentali. Per esem-pio, nel caso di dubbi su un farmaco o di uneventuale effetto collaterale è importante par-larne subito con il medico, invece di sospen-derlo, esponendosi inevitabilmente a un ri-schio. «Il trapianto di fegato rappresentaun’importante opportunità terapeutica in pre-senza di malattia epatica cronica ed epatite ful-minante, quando le terapie farmacologiche echirurgiche non sono in grado di assicurare la

La riuscita dipendemolto dalla

partecipazione attiva e consapevole

del paziente: rispetto delprogramma terapeutico

e corretto stile di vita

Un nuovo organo significariprendere ciò che si era staticostretti a interrompere: rapportifamiliari, attività professionale,amici, tempo libero

«Sono tornato campione di mountain bike»iancarlo Nardon a 39 anni è stato colpito da un’epatite fulminante diorigine sconosciuta che ha reso indispensabile il trapianto di fegato.

Quando finalmente è arrivato un organo compatibile era già entrato incoma da tre giorni. A causa di complicazioni, però, è stato necessario unsecondo trapianto a distanza di 18 giorni. Da lì è cominciata la sua nuovavita. Giancarlo è rimasto per qualche giorno in rianimazione ed è passatopoi alla sezione trapiantati del reparto di chirurgia per completare la

degenza nel reparto di gastroenterologia.Dopo poco più di un mese è potuto tornarea casa anche se molto debilitato perchéaveva perso circa 20 chili. «Ero consapevole di essere stato ad unpasso dalla morte e che la mia era unasplendida seconda opportunità, ma avevoanche la sensazione che la mia vita fosse

ancora appesa ad un filo e che nulla sarebbe più stato come prima – hascritto nel libro della Fondazione Minnaja –. Avevo paura di non vedercrescere i miei figli (quando sono stato ricoverato Nicola aveva 5 anni eGiulia solo 4 mesi), temevo di lasciare sola mia moglie, e i controllimedici molto ravvicinati dei primi periodi non erano certamente di aiutoal mio stato emotivo». Eppure i medici gli assicuravano che sarebbetornato lo stesso di sempre. E anche Giancarlo desiderava tornare avivere, una possibilità che non intendeva assolutamente sprecare. «Prima della mia improvvisa malattia adoravo andare in mountain bike e,

poco alla volta, senza esagerare, sono tornato ad andarci – racconta –. Inun primo momento piccole escursioni e a mano a mano che le forze melo permettevano, facendo giri sempre più impegnativi. Già a distanza diun anno facevo gran parte delle attività che svolgevo prima e che oracontinuo a fare». Giancarlo pedala abitualmente per i boschi del suopaese e della provincia. Ha fatto molte gare e ha vinto la "maglia delVeneto dei Trapiantati" per tre anni. Fra le numerose imprese ciclistiche èandato da Bolzano a Innsbruck in tandempercorrendo 150 km con 2.500 metri didislivello in una giornata. Ha partecipatoper due volte alla "Sellaronda Hero", laGranfondo di mountain bike più durad’Europa. Nel giugno 2013 ha attraversatocon un amico le Alpi raggiungendo laSvizzera pedalando per 650 km in unasettimana. Insomma, non si è mai fermato ed è diventato istruttore dimountain bike e ha allenato per anni ragazzi dai 10 ai 16 anni. OggiGiancarlo lavora e guarda la sua famiglia crescere e rivolge un messaggioa chi deve affrontare un intervento come il suo: «Bisogna crederci, perchéil trapianto ti ridona una vita vera da vivere. Ve lo dice uno a cui sono giàstati regalati 19 anni e che non vede l’ora di vivere quelli futuri». Infine,l’invito a non sentirsi soli perché, oltre alla propria famiglia, ci sono tantepersone trapiantate che possono dare un sostegno (G.Sc.)

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La sfida di GiancarloNardon, salvato daun doppio interventoquando era ormai in coma da 3 giorni

Aveva perso 20 chiliOra partecipa a garedi livello europeo,percorrendo 650chilometri sulle Alpi

gennaio 2019 35NOI famiglia vita Giornata per la vita 2019

Il mio sogno si è avverato»

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famiglia vita Giornata per la vita 2019

readolescenti, non più bambini eneppure adolescenti. Siamo di fron-

te ad una vera e propria fase evolutiva da ri-conoscere, al punto che alcuni pedagogisti vitrovano caratteristiche distintive e proprie. Sitratta di un segmento di raccordo che quantopiù è vissuto bene tanto più può aiutare neglianni successivi di crescita. La preadolescen-za rappresenta l’età delle grandi migrazioni:da un corpo infantile verso un corpo adulto,dalla famiglia come unico punto di riferimentoall’ingresso nel gruppo dei pari, da un fortesenso di appartenenza scolastica ad un sensocritico nei confronti della stessa, da una reli-giosità legata alla frequenza della chiesa al-l’avvio di una religiosità più soggettiva e per-sonalizzata, da una definizione di sé fondatasull’identificazione all’elaborazione di unapropria identità personale e sociale. Vediamoalcuni tratti che colorano questo passaggio.Verso una rinnovata identità corporeaConsiderata la ricchezza delle mutazioni a li-vello fisico, psichico e sociale, la preadole-scenza si organizza intorno ad alcuni compi-ti evolutivi: la crescita fisica, l’identità cor-porea e la definizione sessuale, senza peròpossedere gli strumenti adeguati a livello psi-cologico per affrontarli ed elaborarli.Una questione tipica di questa età è il feno-meno dello scatto di crescita con il quale siindica l’accelerazione del ritmo di sviluppodi peso e altezza. L’osservazione di se stessiè abbinata alla attenta capacità osservativa neiriguardi dei pari. I ragazzi, spinti da un biso-gno di auto rassicurazione, sono portati a con-frontarsi quasi ossessivamente con i propricoetanei per valutare quanto il proprio svi-luppo corrisponda a quello degli altri. Tutta-via, il compito di sviluppo principale dellapreadolescenza è sotto il profilo sessuale, os-sia il consolidamento e l’intensificazione del-le condotte di genere. Per questo il ragazzosente il bisogno di evidenziare il proprio ruo-lo di maschio o di femmina seguendo i mo-

delli proposti dalla propria cultura. Si tratta diun compito divenuto oggi più complesso ri-spetto a qualche decina di anni fa proprio perl’evoluzione e la complessità che questi mo-delli hanno raggiunto. Verso nuove forme di socializzazioneLo sviluppo puberale verso l’acquisizione diun corpo adulto capace anche di procrearerappresenta una delle spinte che porta il prea-dolescente ad affrontare un altro compito e-volutivo: quello relativo all’autonomia dallapropria famiglia e all’apertura verso nuoveforme di socializzazione. Durante la preado-lescenza inizia a cambiare il rapporto fra i ra-gazzi ed i genitori. Anche se durante questaetà permane un atteggiamento di forte dipen-denza e di idealizzazione nei confronti di que-ste figure, allo stesso tempo emerge nel ra-gazzo e nella ragazza l’esigenza di rendersiprogressivamente più indipendente.È una fase in cui si assiste ad un lento e pro-gressivo passaggio da un orientamento versoi genitori ad un orientamento verso i pari.Il preadolescente, pur essendo ancora dipen-dente dalla famiglia, cerca e inizia a guada-gnarsi dei propri spazi di autonomia. Anzi-tutto, se fra la fine dell’infanzia e l’avvio del-la pubertà il rapporto amicale si attua in mo-do particolare attraverso una relazione a duetra soggetti dello stesso sesso, durante la prea-dolescenza prendono sempre più piede anchele amicizie eterosessuali. Si tratta di un tipodi amicizia che con il crescere dell’età passada una semplice simpatia a qualcosa di più.Anche in questo caso, nella ricerca di unamaggiore autonomia, è il corpo ad assumereun ruolo centrale. Così senza utilizzare for-me di particolare rottura nei confronti dei ge-nitori, senza allontanarsi più di tanto, il prea-dolescente si bilancia tra lo "spazio casa" e lo"spazio aperto" non delimitato da confini chegli permette di muoversi liberamente e spon-taneamente. Il desiderio di muoversi e di e-splorare lo spinge alla conquista di nuovi spa-zi fisici (il cortile, la strada, il campo sporti-vo, il quartiere, eccetera) dove può aprirsi an-che a nuove relazioni interpersonali.

Verso una definizione di séSi tratta di un movimento oscillatorio tra fu-ghe in avanti e riavvicinamenti, che richiedeun continuo compromesso con se stessi e coni genitori. In questo modo si avvia quel lun-go processo che occuperà per lo meno tuttal’adolescenza e che riguarda la costruzionedella propria identità. Il preadolescente iniziaad interrogarsi su chi sia veramente. Eriksonsosteneva che l’identità si sviluppa dalla gra-duale integrazione di tutte le identificazioniche l’individuo ha da bambino fino alla prea-dolescenza. Questa integrazione, però, non èuna semplice somma delle parti ma il fruttodella loro interazione.I ragazzi e le ragazze dai 10 ai 14 anni sonosottoposti a molteplici, radicali e impegnati-vi cambiamenti, che non sanno ancora ela-borare a livello psicologico (si tratta, comeabbiamo detto, di uno sviluppo asincronico:la crescita fisica e sessuale anticipa quella co-gnitiva e quella sociale). Detto in altre paro-le hanno la difficoltà a capire quanto prova-no dentro se stessi e cosa vogliono. Il prea-

P

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Undici, tredicianni: lʼetà

delle grandimigrazioni

Da un corpoinfantile a uno

adulto, dallafamiglia come

unico punto di riferimento

allʼingresso nel gruppo dei pari, da

un forte sensodi

appartenenzascolastica ad

un sensocritico neiconfronti

della stessa,da una

religiositàinfantile a unapiù soggettiva

Né piccoli né adultiCosì si può aiutarli

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gennaio 2019 37NOI famiglia vita Giornata per la vita 2019

inite le feste (di fine anno)continua la festa. Mentre

residui di torroni, panettoni epandoro occhieggiano ancoradalle dispense, ecco che sipresentano alla vendita i dolcidella festa successiva delcarnevale, pur distante ancora.Lo stomaco è il primo organoad accusare il colpo. Ilsovraccarico di grassi rende ladigestione lenta e difficoltosa,ma il vero organo bersaglio èil fegato. È una ghiandola chesvolge numerose funzionimetaboliche che aiutano ilnostro organismo a smaltiregli eccessi sia alimentari chefarmacologici. Quest’ultimavoce ha un suo spazioimportante per via del piccoinfluenzale che ha abbracciatoil periodo natalizio e i primigiorni dell’anno, aggravatodalle temperature gelide digennaio. Per quanto riguardal’aspetto alimentare, qualsiasidieta troppo ricca di unadeterminata sostanza nutritiva,come appunto i grassi, adiscapito di altre, potrebbeprovocare danni al fegato. Ilsuo ruolo è quello di demoliree smaltire le sostanze tossicheche provengono dall’ambienteesterno, come quelle contenutenel cibo o lo smog. Uneccesso di queste sostanzerichiede un’attivitàdisintossicante capace diprodurre un’azione depurativaper alleggerire il fegato.Alcuni alimenti possonoproteggere il fegato comefrutta secca, cacao, lenticchie,avena, orzo e salmone, perchéricchi di alcuni cofattori edenzimi rappresentati daminerali come lo zinco e ilrame e vitamine del gruppo B.Importanti ancora, sostanzeantiossidanti come lacurcumina della curcuma,l’acido ellagico delmelograno, l’epigallo-catechina gallato del tè verde,l’acido alfa-lipoico e l’L-glutatione ridotto presentenegli spinaci e nei broccoli.Infine, è consigliabileintrodurre alimenti vegetaliche contengono sostanze ingrado di aiutare la colecisti asvuotarsi, tipo la silibina del

cardo mariano, la cinarina delcarciofo. Una delle funzioniessenziali del fegato è quelladi gestire sia la produzione chel’assorbimento del colesteroloche si lega alla bile. Quando siesagera con i cibi grassi, ilcolesterolo dal fegato passanel sangue diventando unelemento aterogeno, ovveroche sporca le pareti dellearterie.Anche le tecniche di cucinarivestono una grandeimportanza, la più aggressivaper il fegato è certamente lafrittura. Ultimamente alcunipersonaggi hanno cavalcato ilsensazionalismo dando lastura alla teoria sconsideratadel "via libera alla frittura".Nessun testo, anche antico, dimedicina vede consigliarequesta tecnica in caso dipresenza di patologie. Latemperatura elevata producesempre delle alterazionichimico-fisiche e talvoltaproduce sostanze tossiche,come l’acroleina, nocivaprincipalmente al fegato, anziaddirittura cancerogena.Consigliabile la cottura alforno, la stufatura, la bolliturae le verdure vanno bene anchecrude. Occorre fare piccolipasti e ridurre le calorie, ilfegato lavorerà con menofatica. Occorre moderare ilbere: le quantità ideali sono unpaio di bicchieri di vino, per imaschi e uno e mezzo per ledonne, a gradazione media,consumati preferenzialmentedurante i pasti. È beneconsumare tutti i giornialmeno due porzioni diverdure, possibilmente freschee due o tre frutti. È importantelimitare il più possibile grassisaturi contenuti nei cibi diorigine animale e anche neiformaggi troppo stagionati ograssi come il mascarpone. Èbene eliminare anche salsine econdimenti grassi. Infine,occorre bere un po’ di più, inquesta stagione vanno beneanche le tisane meglio sedepurative.

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F

Alimenti grassie troppi farmaciIl fegato va aiutato

LASALUTE

NELPIATTO

Caterina e GiorgioCalabrese

dolescente è chiamato a dare un senso ai cam-biamenti che si stanno attuando dentro e at-torno a lui in modo da realizzare una nuovaidentità in continuità con le precedenti iden-tificazioni infantili. È l’esperienza quotidia-na il luogo principale in cui i ragazzi e le ra-gazze realizzano la propria ricerca. Ascoltan-do quanto in essa percepisce col corpo, attra-verso le emozioni e i pensieri che l’accom-pagnano, il preadolescente cerca di scorgerequali sono le sue motivazioni personali: i gu-sti, gli interessi, i desideri, le cose importantidella vita.Dal groviglio di percezioni, di emozioni, disentimenti, di immagini, di pensieri che l’e-sperienza comporta, il ragazzo interpreta chiè e che cosa vuole. Ogni loro sfida è tale an-che per i genitori e gli educatori: non è fa-cile sapere quando è meglio guidarli passopasso o semplicemente accompagnarli,quando incoraggiarli ad accelerare, rallen-tare o frenare.Un aiuto potrebbe venire dai ricordi della prea-dolescenza passata: come eravamo noi allaloro età? Che cosa desideravamo? Cosa cispaventava e cosa ci entusiasmava nelle e-sperienze che vivevamo? Cosa ci infastidivadei nostri genitori? Come ci sentivamo di fron-te ai coetanei?I tempi sono cambiati, è vero, e con loro so-no mutati gli strumenti a disposizione dei pre-adolescenti. I ragazzi non sono necessaria-mente come eravamo noi, ma le sensazioniprovate a quell’età possono accomunarci mol-to più di quanto pensiamo.La sfida per il genitore e l’educatore è dun-que anche quella di mettersi in gioco e riaprirequalche cassetto della memoria, per sentirsiun po’ più vicini a questi pre adolescenti chea volte si fatica a riconoscere… e a tollerare.

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Tra adolescenza ed età matura, cosa

fare con i nostriragazzi? I tempi

sono cambiati e conloro sono mutati

gli strumenti a disposizione

dei pre-adolescentiI nostri figli non

sono come eravamo noi,

eppure le sensazioni provate a quellʼetà

possonoaccomunarci molto

più di quantopensiamo

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Fedeltà, scelta di beneche si misura nella libertà

edeltà, maneggiare con cura. Giu-sto parlarne, ma con prudenza e de-

licatezza, tenendo conto del dolore che spes-so segna le nostre storie impastate anche diomissioni, se non di piccoli o grandi tradi-menti. E poi occorre ricordare che il concettodi fedeltà non vale tanto in sé, ma deve sem-pre coniugarsi a ciò che è giusto e buono,perché ci sono anche fedeltà a prassi nega-tive, cattive abitudini, addirittura ideologiemenzognere che portano alla morte.La fedeltà è inscritta in un rapporto di fidu-cia e consiste nella dedizione sincera e co-stante a quell’amore che resiste al tempoperché è accompagnato dalla volontà fermae motivata di sopportarne vuoti o sussulti.La buona "ripetizione" di kierkegardianamemoria è quella sempre aperta alla novità,

attenta al mi-stero di sé edell’altro.La fedeltà ri-manda all’affi-dabilità, entroi limiti umanidella nostrafallibilità enon deve tra-sformarsi in u-na prigione fi-ne a se stessa,ma lasciar re-

spirare l’altro coinvolto nella relazione in uncomune processo di crescita che fa vivere. Veronique Margron in "Fedeltà infedeltà,questione viva" (Queriniana 2018, pp.64)trae spunto da alcuni racconti letterari ebiblici per tratteggiare luci e ombre di que-sti temi. Così nel romanzo "La principes-sa di Cleves" la fedeltà coniugale della pro-tagonista verso il marito che lei non amaassume toni tragici. La sua perfetta fedeltàè puramente formale e non scaturisce dauna scelta libera ma dall’imposizione del-la madre che, temendo la volubilità dellafiglia, pone come ideale assoluto il dove-re della buona moglie. Ma si tratta di unascelta che, slegata dal cuore, si trasformanel suo opposto. Per la principessa che siinnamora di un altro uomo non si tratta diessere fedele al marito ma ai precetti del-la madre e al suo ideale di perfetta virtùsenza carne e cuore. Rimanendo fedele almarito gli comunica allo stesso tempo tut-ta al sua indifferenza, È un adulterio casto,una fedeltà senza amore.Il personaggio di Don Giovanni invece sce-glie la più radicale infedeltà come fuga dal-le sue manchevolezze e per coprire un abis-sale vuoto interiore. Questa coerenza allafedeltà dell’infedeltà, specchio della propriaincostanza, lo obbliga a ricominciare la sua

alla forza ma ricondurre teneramente l’a-mata a sé, mostrandole amore e affidabilità.Nel Decalogo il primo comandamento ci ri-corda qual è la sorgente di ogni libertà e vi-ta: Dio. Egli ci chiama e ci libera incondi-zionatamente malgrado le nostre infedeltà.Nella Settima parola si mette in luce comel’adulterio sia un rifiuto di coinvolgimentonel tempo e di responsabilità verso gli altri."Non commettere adulterio" è un invito pres-sante, per il corpo come per il cuore. Neldecimo comandamento Dio ci ricorda chepossiamo accettare ciò che abbiamo senzadesiderare ciò che possiedono gli altri e Luiè il fondamento di questa promessa. Illumi-nante, a questo riguardo, la storia di Davideche, per avere Betsabea, non esita a far uc-cidere il marito Uria con l’inganno. Davidepagherà a caro prezzo la cupidigia del suosguardo. Non c’è possesso che sia, prima di

tutto, un dono che vienedall’alto. Altrettanto forte èla storia del peccato di A-cab che per avere una sem-plice vigna, anche se è pa-drone di tutto il paese, uc-cide un uomo. Per viveredobbiamo riconoscere checiò che ci manca è una pos-sibilità per l’incontro e lacondivisione. Volere tuttoci porta alla morte. Il pec-cato del cuore ricorre allamenzogna e può distrug-gere noi stessi come l’in-tera comunità.Infine l’autrice traccia al-cune riflessioni per vive-re al meglio la fedeltàsenza dimenticare la no-stra finitudine. Perché siapra uno spazio di amoree amicizia, ci deve essereprima l’accoglienza deinostri difetti. Questo pas-saggio permette la co-struzione di un terreno diincontro e intimità. Inol-tre la fedeltà non è datauna volta per tutte, ma de-ve resistere al tempo,mantenere il rispetto diquella promessa che cu-stodisce rapporti vivi e vi-vificanti. La fedeltà inol-tre deve rispettare lei/luicome infinitamente altro,come mistero che non sipuò possedere ma a cuipossiamo offrire la nostrafragile presenza. Eccoperché la fedeltà ha stret-ti legami con la pazienzae la misericordiosa.

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opera ogni giorno senza mai portarla a ter-mine. Le donne per lui non hanno alcun va-lore ma sono solo oggetti di conquista e pos-

sesso. Una logica finirà perdivorarlo e lo destinerà a nonpotersi fidare più di nessuno.Nella Bibbia la scelta di Dioè innanzi tutto la fedeltà. Coninfinita tenerezza e bontà de-cide di entrare nella storia del-l’uomo e di essergli fedele ineterno. Un amore solido a cuiappoggiarsi in totale libertà.Nel libro di Osea si racconta

del matrimonio, per ordine divino, del pro-feta con una prostituta. È la storia del desi-derio ardente di costituire una relazione li-bera e autentica, che faccia vivere, il propo-sito di realizzare l’alleanza di due libertà.Per far questo il profeta non deve ricorrere

FLaura

Giustina

Le storie dellaBibbia riflettonoluci e ombre di un progettoche non è maidato persempre, ma chedeve misurarsicon limiti e tradimenti

Pazienza e misericordia,segni della volontà di Dio che, secondo la teologa domenicanaVeronique Margron,sono tracce costanti per ogni amore che vuol resistere al tempo

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famiglia vita Il libro

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un vero peccato rinunciare a essere spo-si perché troppo occupati... a fare i geni-

tori». È da questa premessa che l’agile volume “Inostri figli ci guardano” (San Paolo, 176 pagine,15 euro) affronta la seconda tappa dei Percorsi diBetania, dedicata alla genitorialità (la prima erastata quella sulla relazione di coppia “Complici nelbene", 2017). Claudio Gentili e Laura Viscardi, spo-sati da 40 anni e responsabili del Centro di formazione Betania diRoma, raccolgono le voci di tante coppie alle prese con la fatica diessere genitori. «Come conciliare una buona armonia di coppia conl’impegno al servizio dei figli?». Gli autori propongono un percorsoper le coppie che vogliono ritrovarsi, alla luce del messaggio di A-moris laetitia (e con un pizzico di teorie manageriali). «Il matri-monio è una scuola di speranza e i figli devono essere amati»: è lasintesi di una messa in gioco che pervade tutte le pagine, nella con-sapevolezza che, appunto, i figli sono gli spettatori. Che si «nutrono»dell’armonia tra mamma e papà. E «quando vedono i genitori tor-nare da una pizza o da un cinema non pensano “che genitori egoi-sti, ci hanno abbandonato”, ma provano la piacevole sensazione diavere genitori che si amano. La stabilità affettiva dei figli si fondaproprio sulla nostra capacità di amarli e... di amarci».

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I figli ci guardano:saper essere coppiaoltre che genitori

LETTI PER VOI

on c’è tempo per faretutto!». «Quest’aula è

troppo piccola!». «Alunni, ge-nitori, colleghi, dirigenti: cosapretendono tutti?». Quale inse-gnante con la passione per ilproprio mestiere non si lamen-ta così almeno una volta? “Io a-mo la scuola” (ed. La meridia-na, 120 pagine, 14,50 euro), diAnnamaria Gatti e AnnamariaGiarolo, ricorda ai docenti chela loro professione è magnificae che per ogni problema c’è u-na soluzione...

gennaio 2019 39NOI famiglia vitale rubriche

Star bene a scuola: docenti e contenti

arcivescovo di Bologna, MatteoMaria Zuppi, nella presentazione

del libro di don Vittorio Fortini, ricordail paradosso di Gustave Thibon: «Non cisi sposa perché ci si ama, ci si sposa perimparare ad amarsi». “Santi, insiemenell’amore” (Edizioni Studio Domeni-cano, 168 pagine, 13 euro) raccoglie leriflessioni pastorali del sacerdote bolo-gnese da sempre impegnato al fianco dicoppie di sposi e fidanzati. Fortini di-mostra che la famiglia, al centro di bendue Sinodi e di un rinnovato interesse,è tutt’altro che antistorica e fuori daltempo, come fanno credere certi media.

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n fila alla cassa delsupermercato. Fila piuttosto

lunga, alcuni clienti hanno fattoprovviste per l’intero 2019 agiudicare dal carrello che datempo stanno svuotando sulnastro della cassa. Tutto il tempoquindi per annoiarsi, sbuffare, edanche ascoltare le chiacchiere ditre ragazzine che, in fila davanti ame, stanno animatamenteparlando. Non che io vogliaorigliare è che lo spazio tra di noiè inesistente e il loro ciarlare sisvolge, loro malgrado, ad altovolume. La questione che afferroè questa: un loro amico, unragazzino di circa 15 anni,coetaneo delle tre, si è ficcato inun brutto giro. O meglio: stainiziando a frequentare bruttagente, parole loro. Una delle treche sospetto essere un po’innamorata del giovane, mostraalle altre una conversazione inchat con lui che, desumo, facciaintendere quanto i loro timorisiano fondati. Intanto la fila scorrecon la lentezza di un bradipo.Avanziamo di un carrello eun’altra ragazzina, sembra esserequella più intraprendente, sichiede se non sia il caso di farsapere qualche cosa ai genitori delragazzo. Ammetto che a questopunto la questione si sia fattainteressante. Stanno per entrareinfatti in quella terra di mezzo,terra limacciosa che si pone tra ildovere di mantenere il riserbosulla vita degli amici, che gliamici affidano loro, e il dovere diaiutarli quando si mettono neiguai. Insomma questa è unaquestione spinosa che tocca davicino non solo i ragazzi nelleloro relazioni simmetriche maanche, molte volte, quellaasimmetrica tra educatore egiovane. Cosa fare quando unragazzo ti confida di essereinvischiato in una cosa brutta, oquando te lo confidano i suoiamici? Parlare con i genitori etradire il segreto, oppuremantenere il segreto con il rischioe il sospetto di "tenere il sacco" achi ruba? Non c’è una rispostaunivoca, lo dico subito. Bisognavedere caso per caso, situazioneper situazione: ogni storia è unicae occorre tanta saggezza,preghiera, discernimento per farela cosa giusta, sapendo che

qualunque cosa si sceglierà difare, il rischio di fare danni saràsempre alto. Certamente nonbisogna stare fermi, mettere latesta sotto la sabbia, come si dice.Ma cosa, concretamente, non puòdarsi come un manuale buono pertutte le occasioni. Certo è che igenitori sono i primi responsabilidella vita dei figli e in qualchemodo si deve sempre cercare dicoinvolgerli, di informarli.Direttamente o indirettamentespingendo i figli a confidarsi conloro, agendo per vie tortuose olineari, questo è affidato al"mestiere" dell’educatore.Tornando alle tre ragazzine, nonposso non ascoltare cosa scelgonodi fare. Quella innamoratapropone di parlare con la madredel ragazzo perché il padre è untipo che incute timore, un po’austero, magari poi punisce ilfiglio troppo severamente.Un’altra non è d’accordo conquesta soluzione perché le sembradi tradire l’amico e poi, continua,nella vita ognuno è libero di farequello che vuole, non è giustointromettersi. La terza propone diparlare con il miglior amico delgiovane, perché parlaredirettamente con lui non lo vedeproducente, visto che "da un po’di tempo non ci si ragiona più".L’idea piace a tutte ma, un paio dicarrelli dopo, la questione sicomplica però dalla domanda: chici parla? Io no perché se poi glieloridice che sono stata io, perdo lasua amicizia. Io neppure perchécon quello (l’amico dell’amico)non ci vado d’accordo. Io neppureperché sa che mi piace il tipo epoi magari pensa che è un modoper attirare la sua attenzione.Arrivano alla cassa e la questionenon si è risolta. Pagano lo smaltoe l’ombretto che hanno acquistatoe se ne vanno per la loro stradamentre io inizio a svuotare il miocarrello. Resto con la curiosità chenon verrà mai soddisfatta disapere quale strategia, le tre,sceglieranno di mettere in pratica.Ma anche con la soddisfazione diaver assistito, involontariamente,ad un bel momento di amiciziagenerosa e di cura.

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Come e quandoraccontarea mamma e papà

La famiglianon è fuori dal tempoE si diventa«santi» nelmatrimonio

umanità come opera d’arte e la coppia come «ca-polavoro» di Dio: è un approccio originale alla sa-

cralità dell’amore, quello di Stefania Innamorati. Arti-sta a sua volta e «fedele», docente di arte nelle scuoleuperiori, rilegge i rapporti familiari secondo «il piano

di Dio», che ha assegnato alla coppia «l’onore del governodella terra». Citazioni bibliche, erudizione e contaminazione cultu-rale si combinano, insieme a un tocco di ironia, nello studio porta-to a termine dalla creativa, «felicemente nubile» ma decisa a divul-gare contenuti che, per sua ammissione, arrivano da molto in alto...(“La coppia capolavoro di Dio”, casa editrice Iheringius, 165 pagi-ne, [email protected]).

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Il «capolavoro di Dio»: Bibbia erapporti umani riletti da unʼartista

RobertaVinerba

QUELLO CHE

I VOSTRI FIGLI NON

DICONO

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