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DIFFERENTI PERCORSI DI EVOLUZIONE INDUSTRIALE: PROCESSI DI ROTAZIONE DEMOGRAFICA NELL’INDUSTRIA EUROPEA DELLA MOTOCICLETTA, 1885-1993 Filippo Carlo Wezel [email protected] & Alessandro Lomi [email protected] Università di Bologna, Facoltà di Economia Dipartimento di discipline Economico-Aziendali, Piazza Scaravilli 1 – 40126 Bologna Tel. 051 2098073 – Fax 051 2098074 1. INTRODUZIONE A partire dall’opera di Barnard (1938), la ricerca organizzativa ha rivolto particolare interesse alle relazione esistente fra imprese ed ambienti. Le organizzazioni non operano infatti all’interno di un ambiente vuoto. Al contrario, giornalmente esse interagiscono con un ampio spettro di attori, fra i quali i clienti, i fornitori, le istituzioni ed i propri competitori. Lo sviluppo di queste relazioni determina l’evoluzione delle industrie. Da allora sino ad oggi, la domanda che molti ricercatori si sono posti è stata “quali sono i motivi alla base dei percorsi evolutivi delle industrie osservati? sono essi di natura economica, demografica, istituzionale, o tecnologica?”. 1

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DIFFERENTI PERCORSI DI EVOLUZIONE INDUSTRIALE: PROCESSI DI ROTAZIONE

DEMOGRAFICA NELL’INDUSTRIA EUROPEA DELLA MOTOCICLETTA, 1885-1993

Filippo Carlo Wezel [email protected]

& Alessandro Lomi

[email protected]

Università di Bologna, Facoltà di EconomiaDipartimento di discipline Economico-Aziendali,

Piazza Scaravilli 1 – 40126 BolognaTel. 051 2098073 – Fax 051 2098074

1. INTRODUZIONE

A partire dall’opera di Barnard (1938), la ricerca organizzativa ha rivolto particolare interesse alle

relazione esistente fra imprese ed ambienti. Le organizzazioni non operano infatti all’interno di un

ambiente vuoto. Al contrario, giornalmente esse interagiscono con un ampio spettro di attori, fra i

quali i clienti, i fornitori, le istituzioni ed i propri competitori. Lo sviluppo di queste relazioni

determina l’evoluzione delle industrie. Da allora sino ad oggi, la domanda che molti ricercatori si

sono posti è stata “quali sono i motivi alla base dei percorsi evolutivi delle industrie osservati? sono

essi di natura economica, demografica, istituzionale, o tecnologica?”.

Alla fine degli anni Settanta, Abernathy e Utterback inauguravano un filone di ricerca che si

proponeva l’obiettivo di comprendere le dinamiche di evoluzione tecnologica. In un periodo di

crescente interesse intorno alla relazione fra tecnologia ed organizzazioni (Woodword, 1965) ed al

legame esistente fra imprese ed ambienti (Hannan, Freeman, 1977; Pfeffer, Salancik, 1978) questa

domanda di ricerca diveniva rilevante per definire l’interdipendenza esistente fra la tecnologia e

sviluppo industriale. Da allora, diversi Autori (fra gli altri Tushman, Anderson 1986; Henderson,

Clark, 1990; Tushman, Rosenkopf, 1992; Anderson, Tushman, 2001), hanno dimostrato come il

progresso della tecnica sia determinante per lo sviluppo delle industrie.

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Tuttavia, le conclusioni sinora raggiunte differiscono rispetto alla frequenza con cui si manifesta

l’innovazione tecnologica ed alle sue conseguenze per la sopravvivenza delle organizzazioni

(Levinthal, 1998). Questo studio procede lungo la stessa linea investigativa, esplorando l’influenza

della tecnologia per lo sviluppo del settore motociclistico europeo. Il lavoro sarà organizzato

secondo il seguente schema. La prossima sezione approfondirà le motivazioni dello studio e gli

aspetti teorici rilevanti. Quella seguente introdurrà la parte empirica del lavoro e descriverà la

traiettoria di evoluzione tecnologica della motocicletta, oggetto della nostra analisi. Le domande di

ricerca verranno quindi esplorate sulla base delle dinamiche demografiche legate a 1.906 produttori

di motociclette operanti all’interno di quattro diverse industrie – Gran Bretagna, Francia, Germania

e Italia – nel corso del periodo compreso fra il 1885 e il 1993. La quarta e la quinta parte del lavoro

presenteranno i risultati ottenuti, discutendone le relative implicazioni teoriche.

2. TEORIA

In uno studio di 46 differenti prodotti, Gort e Klepper (1982) hanno elaborato una teoria

dell’evoluzione industriale caratterizzata da cinque differenti stadi: dopo una fase iniziale (i), si

assiste ad una rapida entrata di nuove imprese (ii), che conduce al raggiungimento di un picco di

densità di produttori (iii) seguito da uno stadio in cui questi diminuiscono (iv), sino a raggiungere

un livello di stabilità (v). Fra le diverse spiegazioni avanzate per la comprensione di questo

comportamento, l’innovazione tecnologica occupa un ruolo di primo piano nell’ambito della

letteratura manageriale.

A dire il vero, la letteratura che ha studiato l’influenza che riveste il cambiamento tecnologico per

l’evoluzione industriale ha assunto due contrapposte posizioni. Da un lato, diverse appaiono le

evidenze offerte riguardo alla natura graduale dell’innovazione tecnologica (fra gli altri Dosi, 1983;

Basalla, 1988). Basalla, ad esempio, afferma che l’enfasi sulla discontinuità tecnologica è soltanto

la conseguenza di un’ignoranza degli antecedenti, perché “any new thing that appears in the made

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world is based on some object already in existence” (1988: 45). La continuità implicita in una

visione evoluzionista della tecnologia viene spesso oscurata dalla tendenza ad enfatizzare la

distanza di questa dal passato, o semplicemente poiché si sottovaluta l’esistenza di differenti livelli

di analisi e di diversi tassi di cambiamento. Non diversamente, Dosi (1983) afferma che il progresso

tecnologico tende a seguire un percorso incrementale di evoluzione, almeno fino alla comparsa di

un nuovo paradigma che impone il proprio sentiero di sviluppo. Evidenze a supporto di queste

ipotesi sono state offerte dagli studi di Jeffrey (1995) nella produzione di pacemaker cardiaci, e di

Landau e Rosenberg (1991) nella chimica.

D’altro canto, non sono minori i riscontri ottenuti a sostegno della natura discontinua del

mutamento tecnologico (fra gli altri Tushman, Anderson, 1986; Anderson, Tushman, 1990).

Abernathy (1978), ad esempio, ha formalizzato l’andamento del ciclo di vita di un settore attraverso

due macro fasi, una che precede la definizione del disegno dominante e caratterizzata da fermento

innovativo, ed una seguente in cui una logica innovativa di carattere imprenditoriale prevale. Lungo

la stessa direttrice teorica, Tushman e Rosenkopf (1992) hanno rilevato che la tecnologia principale

che caratterizza un’industria evolve secondo un modello di equilibrio puntuale. Un’innovazione

discontinua inaugura un ciclo tecnologico, conducendo ad un’era di fermento, durante la quale la

nuova tecnica sostituisce la precedente. Nel contempo diverse varianti della nuova tecnologia

emergono e vengono a competere l’una con l’altra. Alla fine, una soltanto di queste viene

selezionata dall’ambiente quale disegno dominante, ovvero come tecnologia dominante nel

mercato. L’emergenza del disegno dominante conduce ad una prevalenza di innovazioni di processo

ed al dominio di logiche economiche di scala. Giunte ad una fase di maturità, le industrie possono

essere soggette al medesimo ciclo evolutivo soltanto se una nuova innovazione è capace di fare

ripartire il settore (Abernathy, Clark, 1986). Podolny e Stuart (1995), Rosenkopf e Tushman (1998)

fra gli altri, hanno offerto supporto a questa teoria.

La distanza fra queste due interpretazioni è connessa alla natura stessa del cambiamento e alla

capacità dell’organizzazione di adattarsi all’ambiente mutato. L’incertezza ambientale rappresenta

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infatti una caratteristica letale per le organizzazioni. Tushman e Anderson (1986) classificano

l’incertezza ambientale come la conseguenza di innovazioni tecnologiche di carattere competence-

destroying oppure competence-enhancing. Un’innovazione di tipo destroying crea una nuova classe

di prodotti (ad es. automobili), o sostituisce quella precedente (ad es. diesel versus motori a vapore).

I cambiamenti introdotti da questo progresso sono così distanti dalla tecnologia dominante che

determinano la distruzione delle basi di conoscenze pregresse. L’introduzione della nuova tecnica è

associata ad importanti mutamenti nella struttura di potere, sia a livello di impresa, che di settore.

Per questo motivo tali periodi evolutivi sono caratterizzati da una crescita del rapporto fra entrate ed

uscite e da un incremento della variabilità dei profitti delle imprese (Tushman, Anderson, 1986:

446). Al contrario, i progressi tecnologici di carattere enhancing rappresentano un miglioramento

nel prezzo o nella performance che si determina a partire dalla base di conoscenze esistenti.

Innovazioni di questo tipo sostituiscono le vecchie tecnologie, ma senza rendere obsolete le

conoscenze tecniche del momento. Le imprese esistenti nel mercato si trovano quindi in una

posizione privilegiata per sviluppare questo tipo di innovazione. Per questo motivo le innovazioni

che assumono questi connotati tendono ad essere accompagnate da una riduzione di entrata di

nuove imprese in relazione alle uscite e da un decremento della variabilità dei profitti delle imprese

(1986: 445). Nel loro studio longitudinale dell’industria del cemento, Anderson e Tushman (1990)

hanno identificato due innovazioni di carattere enhancing, e tre di tipo destroying nel corso dei 90

anni di storia di questo settore. Nell’industria del vetro, in un periodo compreso fra il 1900 e il

1960, gli stessi Autori hanno rilevato la presenza di un’innovazione di tipo enhancing, e tre

destroying. Infine un’innovazione incrementale e due radicali hanno segnato l’evoluzione

dell’industria dei minicomputer nel corso del periodo intercorso fra il 1958 e il 1982. Le ipotesi

avanzate dagli Autori in relazione alle dinamiche demografiche connesse a tali cambiamenti –

preponderanza di nuove entrate rispetto alle uscite in presenza di innovazioni radicali e viceversa in

caso di mutamenti incrementali – hanno trovato supporto solo per le innovazioni di carattere

enhancing.

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Raffinando il modello proposto da Tushman e Anderson (1986), Henderson e Clark (1990) hanno

suggerito che la semplice dicotomia fra innovazioni incrementali e radicali sia insufficiente a

descrivere la natura del progresso tecnologico. Secondo questi Autori ne esiste almeno un’altra

categoria: innovazioni che possono cambiare il modo in cui i componenti di un prodotto sono

connessi, pur senza mutare i fondamenti del disegno del prodotto. In conseguenza di questa, alcune

competenze organizzative rimangono valide, mentre altre vengono rese obsolete dalla nuova

tecnica. Nel caso ad esempio dello sviluppo del motore jet “initially (it) appeared to have important

but straightforward implications for the airframe technology. Established firms in the industry

understood that they would need to develop jet engine expertise, but failed to understand the ways

in which its introduction would change the interactions between the engine and the rest of the plane

in complex and subtle ways” (1990: 17). L’analisi empirica svolta nell’industria della fotolitografia

fra 1987 e il 1988 ha confermato come tale cambiamento sia difficilmente riconosciuto dalle

imprese. L’informazione che potrebbe aiutare i membri dell’organizzazione a riconoscere queste

innovazioni è spesso limitata dalle routine sviluppate dai canali informativi tradizionali, favorevoli

al mantenimento dell’ordine stabilito. Lo stesso vale per i processi interni di allocazione delle

risorse (Christensen, Bower, 1996). Per questi motivi, le organizzazioni esistenti appaiono

significativamente meno efficienti delle nuove imprese a fronteggiare tecnologie che alterano le

architetture di prodotto e di conoscenza esistenti.

Dal punto di vista della teoria organizzativa, quanto sin qui esposto può anche essere interpretato in

termini di inerzia strutturale relativa (Hannan, Freeman, 1984). La teoria dell’ecologia

organizzativa ha dimostrato come i tentativi di modificare il nucleo tecnologico1 delle imprese

possano condurre ad elevati rischi di fallimento (Barnett, 1990; Carroll, Teo, 1986). In particolare,

tali pericoli risultano proporzionali alla dimensione ed all’età dell’impresa. L’inerzia organizzativa

è legata alla natura incrementale del processo di apprendimento. L’apprendimento organizzativo

evolve, infatti, secondo un percorso incrementale, ancorato a routine che cambiano gradualmente

nel tempo in risposta al livello con cui i risultati ottenuti si conformano alle aspettative predefinite

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(Levitt, March, 1988). Le imprese esistenti, quindi, non solo possiedono una minore abilità a

riconoscere il cambiamento tecnologico, ma appaiono anche penalizzate nella sua implementazione

rispetto a quelle nuove entranti. I nuovi imprenditori possiedono una maggiore propensione ad

investire in tecnologie radicali e sono meno dipendenti dalle proprie routine e competenze

(Levinthal, March, 1993).

L’unione di questi elementi teorici ha portato diversi ricercatori a considerare l’innovazione

tecnologica determinante nel modellare l’evoluzione delle industrie. Secondo questi ricercatori,

ogni ondata di innovazione tecnologica rappresenta una fonte di nuove opportunità per le

orgnizzazioni. Talvolta queste opportunità vengono colte dalle imprese esistenti nel mercato. Il più

delle volte, tuttavia, l’inerzia organizzativa legata alle difficoltà di percepire e/o realizzare il

cambiamento tecnologico impedisce loro di implementare l’innovazione; nuove organizzazioni

sono quindi necessarie per applicare efficientemente le nuove tecniche.

A partire dalle evidenze offerte dalla letteratura citata, in questo lavoro esploriamo le traiettorie

evolutive dell’industria europea della motocicletta. In particolare, lo studio sarà focalizzato

sull’influenza dell’innovazione tecnologica sui processi di rotazione demografica e quindi

sull’evoluzione delle popolazioni organizzative del settore in Gran Bretagna, Germania, Francia e

Italia. L’analisi dell’industria motociclistica presenta, a nostro giudizio, tutti i presupposti necessari

ad investigare le questioni teoriche indicate: il fermento innovativo precedente all’affermazione del

disegno dominante, le innovazioni di prodotto, di processo e nelle risorse complementari

garantiscono l’indagine di diversi aspetti della relazione fra organizzazioni, tecnologia e

sopravvivenza. Inoltre, l’industria motociclistica offre l’opportunità di uno studio comparato di

diversi Paesi che supporta la solidità dei risultati che otterremo. Infine, la natura globale di questo

settore aiuta a rafforzare il valore normativo delle nostre conclusioni.

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3. L’INNOVAZIONE NELL’INDUSTRIA DELLA MOTOCICLETTA

3.1 Dati

I dati presentati nelle sezioni successive fanno parte di un progetto di ricerca più ampio, orientato

allo studio dei processi di coevoluzione fra organizzazioni ed ambienti. Le ragioni che ci hanno

indotto a scegliere l’industria europea della motocicletta sono principalmente tre. Primo, la natura

dell’industria, globale, ma al contempo eterogenea a livello nazionale, rappresenta un campo

d’indagine ideale per approfondire questi argomenti teorici. In secondo luogo, l’esistenza di

registrazioni accurate dei suoi eventi vitali ci ha permesso di disegnare la ricerca in modo tale da

evitare problemi metodologici di troncamento dei dati a sinistra. Infine, gli studi recenti di Hannan e

i suoi colleghi sull’evoluzione dell’industria automobilistica europea (Hannan et alii, 1995; Hannan,

1997; Hannan et alii, 1998) rappresentano un’eccellente base di confronto e di cumulazione di

evidenze empiriche.

I dati utilizzati in questo studio includono gli eventi di nascita e morte di 1.906 produttori di

motociclette nei quattro principali Paesi europei del settore – Gran Bretagna, Germania, Francia e

Italia – nel corso del periodo compreso fra il 1885 ed il 1993. La fonte principale di informazioni è

rappresentata dal testo “L'enciclopedia della motocicletta” (Wilson, 1996) che include le date di

nascita e morte di ogni impresa all’interno di questa industria. L’anno in cui il primo modello

compare è stato considerato quale anno di nascita dell’impresa, mentre l’anno in cui l’ultimo

modello scompare dalle notazioni è stato codificato come morte. L’attendibilità dei dati è stata

testata utilizzando le informazioni contenute nelle pubblicazioni del tempo: Motor age (from 1899),

Cycle Trade Journal (from 1897), Motor (from 1903) sono state per questa ragione consultate.

Infine, le informazioni raccolte sono state incrociate con altri testi: Erwin Tragatsch “The complete

illustrate encyclopedia of the world’s motorcycles” (1977), “A-Z of motorcycle” (Brown, 1997) e

“Encyclopedia of motorcycling” (Bishop, Barrington, 1995) hanno offerto conferma della bontà dei

dati raccolti.

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3.2 La traiettoria tecnologica del prodotto

Una motocicletta incorpora diversi componenti in un insieme armonico. In termini estremamente

semplificati, essa può essere suddivisa in cinque componenti principali: motore, trasmissione, ruote,

struttura, e gruppi di controllo. Ogni suo componente assume una propria dignità tecnologica, ma

al contempo è interrelato agli altri. Il motore trasforma energia chimica in forza meccanica. Le parti

che lo componono includono il serbatoio, l’ignezione e la camera di combustione. La trasmissione

trasmette la potenza dal motore alle ruote. Le sue sottocomponenti includono la frizione, il cambio e

i meccamismi della ruota motrice. Le ruote trasferiscono la forza meccanica dalla trasmissione

all’asfalto. Le parti che lo compongono sono le ruote, i pneumatici e i freni. La struttura racchiude

le altre componenti della motocicletta in un tutt’uno. Il telaio, le sospensioni e il sedile ne

rappresentano le sottoparti. Infine, i gruppi di controllo permettono al motociclista di accendere il

veicolo, regolarne determinati parametri, e di pilotare il mezzo nella direzione desiderata. Lo starter,

le leve dei freni, del cambio, ed il manubrio sono i suoi elementi principali. Cerchiamo ora di

ripercorrere brevemente la storia dell’evoluzione tecnologica di queste cinque componenti.

La componente strutturale ha subito diversi cambiamenti. I primi cambiamenti si osservano nel

corso dei primi anni dell’industria e sono connessi alla mancanza di un disegno dominante del

motore, della posizione del pilota e del serbatoio. I fratelli Werner - nel 1897 in Francia - furono i

primi ad eliminare la terza ruota imposta da Bouton qualche anno prima e a collocare il sedile del

pilota sopra la forcella della ruota posteriore (Tragatsch, 1977). Dopo diverse sperimentazioni

progettuali il pilota per primo (in Inghilterra a cavallo dei due secoli), ed il serbatoio poi, trovarono

la posizione moderna all’interno del telaio.

Lo sviluppo delle sospensioni compì passi importanti all’inizio del Novecento. La Peugeot, nel

1904, divenne il primo produttore ad installare una vera sospensione posteriore ma l’innovazione si

diffuse rapidamente in tutto il Continente (Wilson, 1996). Da allora, il suo progresso procedette

lentamente fino agli anni Quaranta, con le sole eccezioni della sospensione a triangolo presente

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sulle Vincent nel 1928, e della sospensione a pistone proposta dalla BMW nel 1938. Un importante

passo si compì invece in Germania nel 1949, quando la Imme, per prima, propose una soluzione

monobraccio per la sospensione posteriore (Wilson, 1993). Oltre alle implicazioni tecniche di

questa innovazione, è evidente che sia l’estetica che la leggerezza del prodotto beneficiarono di

questo progresso.

La sospensione anteriore conobbe un significativo sviluppo negli anni Dieci e dei primi anni Venti

con l’aggiunta del molleggiamento. In tutta Europa questo tipo di ammortizzatore divenne lo

standard dell’industria a partire dalla prima metà degli anni Trenta. Finché nel 1935 la BMW

introdusse la forcella telescopica anteriore (Burgess Wise, 1973). Questo tipo di forcella ancora

oggi è costituita da due tubi concentrici il cui movimento è regolato dalle sollecitazioni che essa

riceve. L’idea assunse particolare rilevanza soprattutto per il notevole miglioramento impartito alla

manovrabilità delle motociclette nei percorsi fuoristrada. Inoltre, questa soluzione rappresentò la

base su cui venne in seguito sviluppata la forcella a steli rovesciati.

La ruota ed i suoi componenti conobbero l’innovazione più importante nel 1888. In quell’anno,

infatti, John Dunlop inventò il pneumatico (Wilson, 1996). L’industria della motocicletta deve gran

parte del suo successo a questo prodotto: la trazione, la sicurezza ed il comfort del guidatore

migliorarono notevolmente grazie a questa invenzione. Per quanto concerne l’apparato frenante, il

meccanismo a pattino di derivazione ciclistica resistette fino al 1914, quando il più efficace freno ad

espansione iniziò a diffondersi2 divenendo in breve lo standard in molti Paesi europei (Tragatsch,

1977). Infine il progresso di questo componente compì un altro passo importante diversi anni più

tardi, allorquando, nel 1968, venne introdotto il sistema frenante a disco.

Il motore ovviamente ha compiuto sensibili progressi dal 1885. Il più rilevante di questi riguardò

l’affermazione di una collocazione standard all’interno del telaio. Questa configurazione ancora

oggi conferisce alla motocicletta il suo aspetto caratteristico. Il passo si compì quasi

contemporaneamente nei principali Paesi europei fra il 1902 ed il 1903 (Tragatsch, 1977). Le

soluzioni adottate sino a quel momento variavano dalla posizione del motore vicino al manubrio

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(Werner nel 1899 in Francia), sul mozzo anteriore (Singer in Germania), vicino ai pedali

(Hildebrand e Wolfmüller), dietro ai pedali (Beeston in Gran Bretagna), dietro al sellino (Ormonde)

oppure a rimorchio (in Italia). Nel campo della distribuzione (motori a quattro tempi) dal 1914 si

passò gradatamente dalla valvola di immissione automatica a quella comandata ad albero grazie

soprattutto all'impulso dato dalla francese Peugeot che dimostrò pubblicamente la superiorità di

questa seconda soluzione (Tragatsch, 1977). In relazione alla configurazione dei cilindri non si

raggiunse mai una soluzione univoca. La soluzione a “V” divenne molto popolare ma con diverse

varianti: inclinato di 45 gradi, di 90 gradi nella configurazione “boxer” introdotta da BMW nel 1923

(Wilson, 1996). Soluzioni verticali, orizzontali e trasversali ancora si possono riscontrare ancora nei

prodotti di oggi.

La trasmissione conobbe i suoi progressi principali attraverso l’introduzione della frizione e della

trasmissione a tutta catena. Fino al 1905 quasi nessuna motocicletta era dotata di frizione, né tanto

meno di cambio. In quel periodo l’avviamento era a pedali o a spinta, e lo spegnimento del motore

ad ogni fermata era inevitabile. Era quindi necessario un sistema che permettesse di mantenere il

motore in folle da fermo. Le soluzioni più diffuse all’epoca consistevano in pulegge a flangie mobili

che modificavano l’attrito della cinghia di trasmissione che poteva quindi generare moto oppure

girare a vuoto (Burgess Wise, 1973). L'adozione della frizione, intorno al 1906, fu particolarmente

rilevante poiché permetteva soste e partenze agevoli e contribuiva quindi ad ampliare il numero di

potenziali acquirenti del prodotto. Come detto in precedenza, fra il 1902 ed il 1905 le moto

adottavano sistemi di trasmissione a cinghia. Nonostante la superiorità della catena fosse già stata

dimostrata, le case produttrici, soprattutto inglesi, erano molto restie ad abbandonare il sistema a

cinghia. Il motivo era che l'adozione della catena imponeva l'utilizzo di una frizione più evoluta

tecnicamente, e di un “vero” cambio di velocità. Data la concorrenza che si stava sviluppando in

quegli anni nelle diverse industrie nazionali, nessun produttore poteva azzardarsi a sperimentare in

proprio nuovi e complessi sistemi cambio-frizione. Furono quindi le grandi case produttrici ad

introdurre per prime verso il 1907/1908 questo tipo di trasmissione (Tragatsch, 1977). Non va infine

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dimenticato che i benefici connessi a questa soluzione andarono oltre l’aspetto tecnico: la

trasmissione a catena contribuì ad alimentare la sensazione di affidabilità della motocicletta.

Infine, rispetto all’evoluzione dei gruppi di controllo poco si può veramente ritenere modificato

rispetto al prodotto commercializzato negli anni Venti. All’inizio del Novecento i pedali

rappresentavano la soluzione più comoda per l’avviamento della motocicletta. Ma nel 1909 Alfred

Scott introdusse in Inghilterra l’avviamento di tipo kick che ancora oggi ritroviamo in diversi

prodotti (Wilson, 1996). Agevolando l’accensione del mezzo, contribuì ad ampliare la domanda di

motociclette. L’invenzione dell’avviamento elettrico verrà introdotta diversi anni dopo, ma la sua

consacrazione si realizzerà soltanto attraverso i prodotti di Honda intorno al 1965. All’inizio degli

anni Sessanta comincia infatti l’era di dominio dei produttori giapponesi.

Tavola 1 riporta la sintesi delle date di introduzione delle più significative tecnologie con una breve

descrizione della loro relativa importanza.

T vol 11 1r n p l nnov on n ll’ n ustr a a i ci a i i azi i e i d iamoto l st urop 1 1111111111cic i ica e ea

Anno Evento Tipo di discontinuità

Importanza

1888 Invenzione del pneumatico

Architetturale La trazione e la sicurezza ne beneficiano

1903 Posizione standard el motore

Architetturale Si stabilisce il disegno dominante del prodotto

1904 Introduzione sospensione posteriore

Competence enhancing

Migliora il comfort

1906 Introduzione frizione Competence enhancing

Rende il mezzo accessibile ad un pubblico vasto permettendo

(ri)partenze più agevoli1908 Trasmissione a catena Architetturale Impone una frizione ti tipo

evoluto, cambio e telai rinforzati1909 Introduzione kick

starterCompetence enhancing

Agevola l’accensione del mezzo

1913 Valvola di immissione comandata

Competence enhancing

Migliora le prestazioni della motocicletta

1914 Introduzione freni ad espansione

Competence enhancing

Incrementa la performance

1935 Forcella ant. telescopica

Apre una nuova nicchia

Migliora il rendimento del mezzo nel fuoristrada

1949 Forcella post. monobraccio

Competence enhancing

Semplifica il prodotto

1960-1965 Inizia l’era giapponese.

Avviamento elettrico

Competence destroying. Apre

una nuova nicchia

Prodotti di qualità tecnologica a basso prezzo.

Apre le porte al mercato

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femminile 1968 Introduzione freni a

discoCompetence enhancing

Migliora le prestazioni e semplifica la manutenzione

Fonte: Oltre ai testi segnalati nella sezione di descrizione dei dati, per compilare questa tabella sono stati consultati Wilson (1993), Brown (1996) e Burgess Wise (1973).

4. L’EVOLUZIONE DELL’INDUSTRIA EUROPEA DELLA MOTOCICLETTA, 1885-1993

L’origine dell’industria motociclistica viene solitamente collocata nel 1885. In quell’anno, Gottlieb

Daimler ideò la prima vera motocicletta al mondo. A dire il vero, fu solamente un prototipo e venne

presto abbandonato. Hildebrand e Wolfmuller, tedeschi di Monaco, possono essere per questo

considerati i primi produttori. Tuttavia, il loro esperimento non incontrò grande successo

commerciale. Miglior sorte toccò al Colonnello Holden in Inghilterra e al Conte De Dion ed al suo

socio Bouton in Francia, i quali, alla fine del Ottocento, inaugurarono le rispettive industrie

nazionali.

La definizione di una posizione standard del motore, ottenuta come detto all’inizio del Novecento,

permise una rapida diffusione della produzione di motociclette nei diversi Paesi europei. Al tempo

stesso, diversi eventi pubblici, quali fiere e competizioni, aiutarono i produttori ad alimentare la loro

reputazione e a rassicurare le persone riguardo la sicurezza e la qualità dei nuovi prodotti. Nel 1903

si tenne a Londra la prima importante fiera, “The Stanley National Show” e venne fondato in

Inghilterra l’Auto Cycle Club, aperto a tutti i veicoli motorizzati (Tragatsch, 1977). La prima

competizione nazionale per motociclette si volse a Richmond – Inghilterra -, nel 1897, mentre la

prima di carattere internazionale, l’International Coupé Race, si tenne nel 1904 in Francia (Bishop,

Barrington, 1995). Nello stesso anno nacque il Motorcycle Club France e, contemporaneamente, la

Federation International des Club Motocycliste. La più famosa gara al mondo, il Tourist Trophy,

venne tenuta per la prima volta nel 1907 sull’Isola di Man, al largo della costa ovest dell’Inghilterra.

Nel 1904, in Gran Bretagna venivano comprate 21.974 motociclette ed in Francia 19.886, una

quantità pressoché identica alla domanda di automobili (Tradatsch, 1977). Nel corso degli stessi

anni, il mercato di Italia e Germania, sebbene in crescita, era molto più arretrato rispetto ai due

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Paesi principali. A dimostrazione di questa affermazione bisogna attendere il 1911 per vedere

nascere in Italia il primo Moto Club. Dopo il 1919, la produzione crebbe rapidamente, e negli anni

Venti la Gran Bretagna rappresentava l’indisputato leader mondiale per produzione ed esportazioni.

Sino all’anno 1924, esistevano più motociclette in Gran Bretagna che automobili. Nel periodo

compreso fra il 1929 e il 1934 la situazione cambiò, e sia il mercato domestico che le esportazioni

subirono in Inghilterra un brusco declino: la produzione passò da 120.000 unità a 60.000 circa. Due

principali motivi giustificarono questo rallentamento e l’esplosione degli altri Paesi europei. In

primo luogo, la mancanza di progresso tecnologico dell’industria in Gran Bratagna in confronto con

i prodotti più avanzati, provenienti dalla Germania e dall’Italia (Koerner, 1996). Secondo, sia i

governi francesi che tedeschi promossero la crescita della domanda riducendo in maniera

significativa le tasse relative a motociclette di piccola e media cilindrata. In conseguenza di questa

politica, nella seconda metà degli anni Trenta l’industria tedesca divenne il primo produttore

europeo ed il principale esportatore: nel 1937 i produttori inglesi esportavano 25.350 motociclette,

mentre i tedeschi 31.708 (Koerner, 1996: 67).

Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’ambiente mutò ancora. La necessità di mezzi di trasporto

economici favorì i Paesi che avevano maggiore esperienza nella produzione di motociclette di

piccola cilindrata. Gran Bretagna e Germania, conosciuti principalmente per i loro prodotti di

grossa cilindrata, persero terreno nei confronti dell’Italia che nel corso di questi anni, divenne la

nazione leader. Da allora, l’Italia rappresenta il più importante mercato europeo ed il migliore

esportatore, mentre la produzione di Gran Bretagna e Francia risulta sensibilmente in declino. La

situazione è diversa per la Germania. Superato il declino degli anni Settanta, il mercato nazionale si

è ripreso, e questo Paese rappresenta oggi il secondo esportatore europeo ed il secondo mercato per

numerosità di addetti – nel 1994: 17.883 in Italia, 12.357 in Germania (OECD, 2000) – e per

domanda di motociclette - 1998: 922.743 in Italia, 417.746 in Germania, 362.039 in Francia e

120.411 in Gran Bretagna (ACEM, 2000). In generale, per offrire al lettore una fotografia del

settore nel 1994, possiamo dire che la domanda italiana di motocicli conta per circa la metà di tutti

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gli scooter venduti in Europa, mentre nel segmento delle motociclette i numeri più elevati si

riscontrano in Germania, dove vengono acquistate circa il 40% di tutte le motociclette in vendita in

Europa (ACEM, 2000). I pattern di densità ed entrata di nuove imprese che compaiono nelle Figure

dalla 1 alla 4 confermano quanto detto sinora.

Figura 1. Imprese nate e densità di produttori in Gran Bretagna, 1885-1993

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Figura 2. Imprese nate e densità di produttori in Germania, 1885-1993

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Figura 3. Imprese nate e densità di produttori in Italia, 1885-1993

Figura 4. Imprese nate e densità di produttori in Francia, 1885-1993

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La prima considerazione che emerge dall’analisi di questi grafici è che non tutte le traiettorie di

sviluppo sono conformi a quanto riportato da Gort e Klepper (1982). L’Italia in particolare neppure

oggi presenta le caratteristiche tipiche di un’industria matura, ovvero la riduzione della numerosità

dei produttori ed il suo naturale consolidamento. In secondo luogo, osservando le figure dalla 1 alla

4 possiamo rilevare che nei Paesi analizzati le ondate di fondazione di nuove imprese risultano

contemporanee. Seppure con intensità differente nelle diverse nazioni, li osserviamo fra il 1895 e il

1900, verso il 1908, a partire dal 1919, nel 1946, e nella seconda parte degli anni Sessanta.

Dall’analisi della Tabella 1 emerge che lo sviluppo tecnologico ha anch’esso seguito i suoi cicli,

con una forte enfasi sull’inizio del secolo scorso, oltre al 1949 ed al 1965. Le nostre considerazioni

sono confortate dalle date di redazione del “Manuale Hoepli del Motociclista” nel 1903, 1908, 1914

dato che tale pubblicazione doveva essere aggiornata quando la tecnologia del momento aveva

definitivamente superato i contenuti della vecchia edizione.

Quale è stato quindi il contributo dell’innovazione tecnologica per le traiettorie evolutive di questi

Paesi? Il confronto fra le date di elevata attività imprenditoriale e i cicli di innovazione tecnologica

del settore rivela le sovrapposizioni attese. Negli anni precedenti la determinazione di un disegno

dominante (1903) ritroviamo il fermento imprenditoriale sostenuto da Abernathy (1978) e da

Tushman e Rosenkopf (1992). Come atteso, il 1908 con la diffusione della trasmissione a catena e

le implicazioni che ne derivano, porta con sé un aumento delle nascite soprattutto in Gran Bretagna.

Le innovazioni incrementali degli anni precedenti alla Prima guerra Mondiale cambiano di poco i

tassi vitali delle popolazioni analizzate. Contrariamente a quanto atteso, l’evoluzione delle

sospensioni non porta con sé la fondazione di nuove organizzazioni. L’era giapponese sembra infine

stimolare in maniera eterogenea le popolazioni europee. L’Italia soprattutto, ma anche la Francia,

riguadagnano crescita e l’imprenditorialità nazionale appare averne beneficiato.

Quanto sinora mostrato offre però soltanto una raffigurazione parziale del problema. Cambiamenti

di carattere architetturale, di tipo competence destroying, o di apertura di nuova nicchia presentano,

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secondo la letteratura, i presupposti di cambiamento generazionale, o di “distruzione creatrice” per

dirla alla Schumpeter (1934). Anderson e Tushman affermano infatti che “eras of ferment, in

contrast to eras of incremental change, are associated with significantly increased uncertainty” e che

“uncertainty is the environmental dimension that most strongly influences industry exit rates”

(2001: 700-701). Allo stesso modo, sia secondo Tushman e Anderson (1986) che Henderson e

Clark (1990), questi mutamenti favoriscono le imprese nuove entranti e sovvertono l’ordine

stabilito.

Le figure dalla 5 alla 8 cercano di esplorare la solidità di queste considerazioni. I grafici riportano le

oscillazioni per anno delle età medie dei produttori presenti all’interno di ognuna delle industrie

analizzate. Il vantaggio di questa rappresentazione, rispetto all’analisi della fondazione di nuove

imprese o della densità, è quello di disaggregare la pura numerosità di organizzazioni in un

indicatore capace di rappresentare sinteticamente il grado di assorbimento dell’innovazione da parte

delle imprese esistenti. In poche parole, questo grafico riesce a mappare non soltanto le

organizzazioni che entrano nell’industria, ma soprattutto quali imprese nel medio-lungo termine

sopravvivono al cambiamento in questione, e se queste ultime sono le nuove entranti o piuttosto le

imprese consolidate. Le fluttuazioni delle età medie dei diversi Paesi nel 1903, 1919 e del 1946

sono associate al fermento imprenditoriale rilevato in precedenza.

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Figura 5. Età media dei produttori di motociclette in Gran Bretagna, 1885-1993

Figura 6. Età media dei produttori di motociclette in Germania, 1885-1993

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Figura 7. Età media dei produttori di motociclette in Italia, 1885-1993

Figura 8. Età media dei produttori di motociclette in Francia, 1885-1993

Dall’osservazione dei grafici, emergono due considerazioni generali. Contrariamente a quanto

atteso, le innovazioni tecnologiche architetturali del 1903, 1908, e 1935 non sono responsabili dei

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processi di rotazione demografica preventivati. All’interno di tutti i Paesi analizzati l’età media

delle imprese presenti sul mercato cresce in questi anni esponenzialmente ad indicare che nel

medio-lungo termine sono le imprese esistenti che sopravvivono, piuttosto che quelle innovatrici o

quelle entrate nella scia di questa. Una considerazione a parte merita invece quanto successo negli

anni Sessanta con l’avvento dei produttori giapponesi. L’inversione di rotta è decisa in Gran

Bretagna (Figura 5) e in Francia (Figura 8). La competitività dei produttori giapponesi per il primo,

e la fondazione di nuove imprese per il secondo, ha sensibilmente modificato il percorso evolutivo

di queste nazioni ed ha imposto un ricambio generazionale. Viceversa, il contrario appare essersi

verificato in Germania (Figura 6) e in Italia (Figura 7). All’interno di queste industrie, né la

rivoluzione commerciale giapponese, né l’entrata di nuove imprese ha interrotto la corsa evolutiva

delle organizzazioni presenti sul mercato3.

5. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

Tushman e Anderson nel 1986 concludevano il loro paper affermando che “future research could

also explore the linkage between technological evolution and population phenomena, such as

structural evolution, mortality rate, or strategic groups, as well as organizational phenomena, such

as adaptation, succession and political processes” (p. 463). In questo studio abbiamo cercato di

approfondire una parte di tali questioni, proponendo un punto di vista nuovo al problema. Per

supportare la solidità delle conclusioni ci siamo focalizzati su uno studio comparativo. Abbiamo

analizzato in maniera descrittiva lo sviluppo tecnologico della motocicletta e lo abbiamo

confrontato con le traiettorie evolutive di 1.906 produttori operanti nei quattro Paesi europei

principali di questo settore – Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia - nel corso di un periodo

compreso fra il 1885 ed il 1993.

I risultati ottenuti concordano solamente in parte con i riscontri degli studi precedenti. In accordo

con le motivazioni teoriche proposte da Tushman e Anderson, (1986) e da Tushman e Rosenkopf

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(1992) abbiamo riscontrato che le innovazioni tecnologiche principali vengono spesso

accompagnate da un aumento delle nascite di imprese. Viceversa, contrariamente a quanto atteso, la

composizione demografica delle popolazioni analizzate non è rimasta intaccata dal progresso

tecnologico. Soltanto l’avvento dei produttori giapponesi ha contribuito a modificare il percorso

evolutivo di Gran Bretagna e Francia, ma non quello di Germania ed Italia.

I risultati ottenuti suggeriscono almeno tre implicazioni che ruotano intorno al concetto di

adattamento, seppur relativi a prospettive teoriche diverse. Primo, la ricerca sul tema

dell’innovazione tecnologica ha ripetutamente sottolineato che, il progresso tecnologico evolve in

maniera puntuale. Il nostro studio non supporta queste conclusioni. Ricerche recenti hanno

dimostrato che i cambiamenti tecnologici di questo genere sono molto rari (Mokyr, 1990).

Levinthal (1998), ad esempio, pone l’accento sull’eccessiva enfasi data all’impatto commerciale

delle innovazioni tecnologiche, Basalla (1988) invece contrasta questi studi a causa della loro

mancata considerazione degli antecedenti. Mentre il dibattito rimane ancora aperto, la nozione di

speciazione è stata di recente introdotta nel tentativo di riconciliare queste prospettive (Levinthal,

1998; Cattani, 2001). Secondo questo filone di ricerca, le discontinuità ambientali non avverrebbero

in conseguenza di singoli eventi. Viceversa, in maniera simile alla biologia, la realizzazione di

eventi puntuali sarebbe determinata da processi di speciazione, ovvero dall’applicazione della

conoscenza tecnologica esistente a nuovi domini di applicazione. Un’innovazione di tipo radicale

perderebbe la propria essenza di fronte ad un’organizzazione capace di percorrere questo cammino.

I risultati di questo studio sembrano concordare con un’idea di vantaggio evoluzionistico delle

imprese simile a quello proposto da Klepper (1997) e aprono quindi interessanti spiragli in questa

direzione.

Secondo, il processo di adattamento delle singole organizzazioni rimane comunque limitato dalle

caratteristiche demografiche proprie e da quelle della popolazione in cui l’impresa opera. La

comparsa dei produttori giapponesi - Honda, Yamaha e Suzuki – prima nel mercato americano e poi

in quello europeo ha imposto un brusco cambiamento strategico a tutti i produttori del settore,

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promuovendo prodotti a bassi costi ma di qualità (Pascale, 1984). Le analisi svolte da Wezel e Lomi

(2001) hanno evidenziato come l’evoluzione dell’industria giapponese sia positivamente legata al

successo della produzione italiana. Il contrario è accaduto all’industria inglese. Una marcata

relazione competitiva è evidente nelle relazioni fra le imprese inglesi e quelle giapponesi. Perché gli

italiani hanno beneficiato della comparsa dei costruttori giapponesi, mentre gli inglesi ne sono stati

penalizzati? Recentemente abbiamo dimostrato che uno dei motivi determinanti i processi di

selezione risiede nella diversità demografica degli attori, e che l’effetto di questa variabile aumenta

all’incrementare dell’età media delle organizzazioni viventi (Wezel, Lipparini, Lomi, 2001). In

breve, l’effetto distruttivo indotto dalle organizzazioni nuove entranti sembrerebbe essere

proporzionale all’anzianità delle imprese presenti sul mercato. Non diversamente, i risultati qui

mostrati sembrano suggerire che il differente impatto indotto dalla comparsa dei competitori

giapponesi possa essere connesso all’eterogenea struttura demografica delle industrie in questione.

Al momento della loro comparsa infatti, l’industria italiana e quella tedesca presentavano

organizzazioni di mediamente 20/25 anni di età, mentre in Gran Bretagna e Francia nello stesso

periodo le imprese avevano in media 30/35 anni. Riteniamo quindi che il concetto di eterogenità

demografica meriti ulteriore attenzione soprattutto per le sue implicazioni rispetto alla teoria

dell’inerzia organizzativa delle popolazioni (Hannan, 1997).

Terzo, quanto avanzato nel paragrafo precedente impone almeno una riflessione riguardo la

differente capacità di assorbimento dell’innovazione da parte delle industrie. La ricerca ci ha

dimostrato che l’abilità delle imprese ad avere accesso alla conoscenza esterna rappresenta un

elemento essenziale nel delineare il loro livello di innovazione. Questa abilità viene solitamente

definita in termini di absorptive capacity (Cohen, Levinthal, 1990). I risultati riportati in questo

studio sembrano suggerire l’esistenza di un differente livello di permeabilità all’innovazione fra

costruttori italiani ed inglesi. Un costrutto simile è stato sviluppato da Miner (1995) a proposito

dell’apprendimento a livello di popolazione, definito come “a systematic change in the nature and

mix of routines in a population of organizations, arising from experience” (1995: 116). Il successo

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dei produttori italiani non è stato limitato al beneficio di poche imprese, ma piuttosto rappresenta

ancora oggi un successo collettivo, riconosciuto in termini di superiorità delle motociclette italiane

nelle gare, nel design e nell’innovazione. Riteniamo che entrambi questi elementi teorici siano

degni di ricevere maggiore attenzione.

Questo lavoro soffre tuttavia di almeno tre limitazioni. Il primo limite concerne la scelta dell’unità

politica e sociale oggetto dello studio. In accordo con altri studi, abbiamo selezionato la nazione

quale livello di analisi. Questa scelta esclude l’importanza di processi di competizione

internazionale (ad es. acquisizioni e fusioni), che viceversa possono avere influenzato i percorsi

osservati. In secondo luogo, le nostre considerazioni richiedono un’analisi più dettagliata a livello di

singola impresa. Soltanto in questo modo sarà possibile comprendere quali imprese ed in quali

circostanze sono riuscite ad assorbire le innovazioni tecnologiche emergenti. Infine, la mancanza di

informazioni riguardo la dimensione delle imprese ci ha impedito di controllare i nostri risultati

rispetto a dinamiche di partizione delle risorse (Carroll, 1985).

Diversi e più dettagliati sono i dati necessari ad indirizzare le lacune evidenziate e validare quindi i

risultati proposti. Seppur imperfetto, pensiamo tuttavia che questo studio offra diverse implicazioni

teoriche che possano stimolare l’avanzamento della comune comprensione della relazione esistente

fra tecnologia, demografia organizzativa ed evoluzione industriale.

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Note

1. Il nucleo tecnologico di un’impresa rappresenta uno dei quattro elementi definiti come core dalla teoria di Hannan e Freeman (1984). Gli altri sono gli scopi dichiarati, le forme di autorità e le strategie di mercato. A contrario del cambiamento delle caratteristiche periferiche dell’impresa, il ripensamento di ognuno di questi elementi implica una modifica considerevole del gene organizzativo.

2. Questo freno funziona per mezzo di un nastro metallico che si stringe sulla superficie esterna del mozzo.

3. Negli anni Settanta il governo italiano innalzò barriere protezionistiche, ma queste coprirono soltanto le importazioni di motociclette di cilindrata superiore a 350 centimetri cubici.

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