DIFFERENTI PERCORSI DI EVOLUZIONE INDUSTRIALE: PROCESSI DI ROTAZIONE
DEMOGRAFICA NELL’INDUSTRIA EUROPEA DELLA MOTOCICLETTA, 1885-1993
Filippo Carlo Wezel [email protected]
& Alessandro Lomi
Università di Bologna, Facoltà di EconomiaDipartimento di discipline Economico-Aziendali,
Piazza Scaravilli 1 – 40126 BolognaTel. 051 2098073 – Fax 051 2098074
1. INTRODUZIONE
A partire dall’opera di Barnard (1938), la ricerca organizzativa ha rivolto particolare interesse alle
relazione esistente fra imprese ed ambienti. Le organizzazioni non operano infatti all’interno di un
ambiente vuoto. Al contrario, giornalmente esse interagiscono con un ampio spettro di attori, fra i
quali i clienti, i fornitori, le istituzioni ed i propri competitori. Lo sviluppo di queste relazioni
determina l’evoluzione delle industrie. Da allora sino ad oggi, la domanda che molti ricercatori si
sono posti è stata “quali sono i motivi alla base dei percorsi evolutivi delle industrie osservati? sono
essi di natura economica, demografica, istituzionale, o tecnologica?”.
Alla fine degli anni Settanta, Abernathy e Utterback inauguravano un filone di ricerca che si
proponeva l’obiettivo di comprendere le dinamiche di evoluzione tecnologica. In un periodo di
crescente interesse intorno alla relazione fra tecnologia ed organizzazioni (Woodword, 1965) ed al
legame esistente fra imprese ed ambienti (Hannan, Freeman, 1977; Pfeffer, Salancik, 1978) questa
domanda di ricerca diveniva rilevante per definire l’interdipendenza esistente fra la tecnologia e
sviluppo industriale. Da allora, diversi Autori (fra gli altri Tushman, Anderson 1986; Henderson,
Clark, 1990; Tushman, Rosenkopf, 1992; Anderson, Tushman, 2001), hanno dimostrato come il
progresso della tecnica sia determinante per lo sviluppo delle industrie.
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Tuttavia, le conclusioni sinora raggiunte differiscono rispetto alla frequenza con cui si manifesta
l’innovazione tecnologica ed alle sue conseguenze per la sopravvivenza delle organizzazioni
(Levinthal, 1998). Questo studio procede lungo la stessa linea investigativa, esplorando l’influenza
della tecnologia per lo sviluppo del settore motociclistico europeo. Il lavoro sarà organizzato
secondo il seguente schema. La prossima sezione approfondirà le motivazioni dello studio e gli
aspetti teorici rilevanti. Quella seguente introdurrà la parte empirica del lavoro e descriverà la
traiettoria di evoluzione tecnologica della motocicletta, oggetto della nostra analisi. Le domande di
ricerca verranno quindi esplorate sulla base delle dinamiche demografiche legate a 1.906 produttori
di motociclette operanti all’interno di quattro diverse industrie – Gran Bretagna, Francia, Germania
e Italia – nel corso del periodo compreso fra il 1885 e il 1993. La quarta e la quinta parte del lavoro
presenteranno i risultati ottenuti, discutendone le relative implicazioni teoriche.
2. TEORIA
In uno studio di 46 differenti prodotti, Gort e Klepper (1982) hanno elaborato una teoria
dell’evoluzione industriale caratterizzata da cinque differenti stadi: dopo una fase iniziale (i), si
assiste ad una rapida entrata di nuove imprese (ii), che conduce al raggiungimento di un picco di
densità di produttori (iii) seguito da uno stadio in cui questi diminuiscono (iv), sino a raggiungere
un livello di stabilità (v). Fra le diverse spiegazioni avanzate per la comprensione di questo
comportamento, l’innovazione tecnologica occupa un ruolo di primo piano nell’ambito della
letteratura manageriale.
A dire il vero, la letteratura che ha studiato l’influenza che riveste il cambiamento tecnologico per
l’evoluzione industriale ha assunto due contrapposte posizioni. Da un lato, diverse appaiono le
evidenze offerte riguardo alla natura graduale dell’innovazione tecnologica (fra gli altri Dosi, 1983;
Basalla, 1988). Basalla, ad esempio, afferma che l’enfasi sulla discontinuità tecnologica è soltanto
la conseguenza di un’ignoranza degli antecedenti, perché “any new thing that appears in the made
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world is based on some object already in existence” (1988: 45). La continuità implicita in una
visione evoluzionista della tecnologia viene spesso oscurata dalla tendenza ad enfatizzare la
distanza di questa dal passato, o semplicemente poiché si sottovaluta l’esistenza di differenti livelli
di analisi e di diversi tassi di cambiamento. Non diversamente, Dosi (1983) afferma che il progresso
tecnologico tende a seguire un percorso incrementale di evoluzione, almeno fino alla comparsa di
un nuovo paradigma che impone il proprio sentiero di sviluppo. Evidenze a supporto di queste
ipotesi sono state offerte dagli studi di Jeffrey (1995) nella produzione di pacemaker cardiaci, e di
Landau e Rosenberg (1991) nella chimica.
D’altro canto, non sono minori i riscontri ottenuti a sostegno della natura discontinua del
mutamento tecnologico (fra gli altri Tushman, Anderson, 1986; Anderson, Tushman, 1990).
Abernathy (1978), ad esempio, ha formalizzato l’andamento del ciclo di vita di un settore attraverso
due macro fasi, una che precede la definizione del disegno dominante e caratterizzata da fermento
innovativo, ed una seguente in cui una logica innovativa di carattere imprenditoriale prevale. Lungo
la stessa direttrice teorica, Tushman e Rosenkopf (1992) hanno rilevato che la tecnologia principale
che caratterizza un’industria evolve secondo un modello di equilibrio puntuale. Un’innovazione
discontinua inaugura un ciclo tecnologico, conducendo ad un’era di fermento, durante la quale la
nuova tecnica sostituisce la precedente. Nel contempo diverse varianti della nuova tecnologia
emergono e vengono a competere l’una con l’altra. Alla fine, una soltanto di queste viene
selezionata dall’ambiente quale disegno dominante, ovvero come tecnologia dominante nel
mercato. L’emergenza del disegno dominante conduce ad una prevalenza di innovazioni di processo
ed al dominio di logiche economiche di scala. Giunte ad una fase di maturità, le industrie possono
essere soggette al medesimo ciclo evolutivo soltanto se una nuova innovazione è capace di fare
ripartire il settore (Abernathy, Clark, 1986). Podolny e Stuart (1995), Rosenkopf e Tushman (1998)
fra gli altri, hanno offerto supporto a questa teoria.
La distanza fra queste due interpretazioni è connessa alla natura stessa del cambiamento e alla
capacità dell’organizzazione di adattarsi all’ambiente mutato. L’incertezza ambientale rappresenta
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infatti una caratteristica letale per le organizzazioni. Tushman e Anderson (1986) classificano
l’incertezza ambientale come la conseguenza di innovazioni tecnologiche di carattere competence-
destroying oppure competence-enhancing. Un’innovazione di tipo destroying crea una nuova classe
di prodotti (ad es. automobili), o sostituisce quella precedente (ad es. diesel versus motori a vapore).
I cambiamenti introdotti da questo progresso sono così distanti dalla tecnologia dominante che
determinano la distruzione delle basi di conoscenze pregresse. L’introduzione della nuova tecnica è
associata ad importanti mutamenti nella struttura di potere, sia a livello di impresa, che di settore.
Per questo motivo tali periodi evolutivi sono caratterizzati da una crescita del rapporto fra entrate ed
uscite e da un incremento della variabilità dei profitti delle imprese (Tushman, Anderson, 1986:
446). Al contrario, i progressi tecnologici di carattere enhancing rappresentano un miglioramento
nel prezzo o nella performance che si determina a partire dalla base di conoscenze esistenti.
Innovazioni di questo tipo sostituiscono le vecchie tecnologie, ma senza rendere obsolete le
conoscenze tecniche del momento. Le imprese esistenti nel mercato si trovano quindi in una
posizione privilegiata per sviluppare questo tipo di innovazione. Per questo motivo le innovazioni
che assumono questi connotati tendono ad essere accompagnate da una riduzione di entrata di
nuove imprese in relazione alle uscite e da un decremento della variabilità dei profitti delle imprese
(1986: 445). Nel loro studio longitudinale dell’industria del cemento, Anderson e Tushman (1990)
hanno identificato due innovazioni di carattere enhancing, e tre di tipo destroying nel corso dei 90
anni di storia di questo settore. Nell’industria del vetro, in un periodo compreso fra il 1900 e il
1960, gli stessi Autori hanno rilevato la presenza di un’innovazione di tipo enhancing, e tre
destroying. Infine un’innovazione incrementale e due radicali hanno segnato l’evoluzione
dell’industria dei minicomputer nel corso del periodo intercorso fra il 1958 e il 1982. Le ipotesi
avanzate dagli Autori in relazione alle dinamiche demografiche connesse a tali cambiamenti –
preponderanza di nuove entrate rispetto alle uscite in presenza di innovazioni radicali e viceversa in
caso di mutamenti incrementali – hanno trovato supporto solo per le innovazioni di carattere
enhancing.
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Raffinando il modello proposto da Tushman e Anderson (1986), Henderson e Clark (1990) hanno
suggerito che la semplice dicotomia fra innovazioni incrementali e radicali sia insufficiente a
descrivere la natura del progresso tecnologico. Secondo questi Autori ne esiste almeno un’altra
categoria: innovazioni che possono cambiare il modo in cui i componenti di un prodotto sono
connessi, pur senza mutare i fondamenti del disegno del prodotto. In conseguenza di questa, alcune
competenze organizzative rimangono valide, mentre altre vengono rese obsolete dalla nuova
tecnica. Nel caso ad esempio dello sviluppo del motore jet “initially (it) appeared to have important
but straightforward implications for the airframe technology. Established firms in the industry
understood that they would need to develop jet engine expertise, but failed to understand the ways
in which its introduction would change the interactions between the engine and the rest of the plane
in complex and subtle ways” (1990: 17). L’analisi empirica svolta nell’industria della fotolitografia
fra 1987 e il 1988 ha confermato come tale cambiamento sia difficilmente riconosciuto dalle
imprese. L’informazione che potrebbe aiutare i membri dell’organizzazione a riconoscere queste
innovazioni è spesso limitata dalle routine sviluppate dai canali informativi tradizionali, favorevoli
al mantenimento dell’ordine stabilito. Lo stesso vale per i processi interni di allocazione delle
risorse (Christensen, Bower, 1996). Per questi motivi, le organizzazioni esistenti appaiono
significativamente meno efficienti delle nuove imprese a fronteggiare tecnologie che alterano le
architetture di prodotto e di conoscenza esistenti.
Dal punto di vista della teoria organizzativa, quanto sin qui esposto può anche essere interpretato in
termini di inerzia strutturale relativa (Hannan, Freeman, 1984). La teoria dell’ecologia
organizzativa ha dimostrato come i tentativi di modificare il nucleo tecnologico1 delle imprese
possano condurre ad elevati rischi di fallimento (Barnett, 1990; Carroll, Teo, 1986). In particolare,
tali pericoli risultano proporzionali alla dimensione ed all’età dell’impresa. L’inerzia organizzativa
è legata alla natura incrementale del processo di apprendimento. L’apprendimento organizzativo
evolve, infatti, secondo un percorso incrementale, ancorato a routine che cambiano gradualmente
nel tempo in risposta al livello con cui i risultati ottenuti si conformano alle aspettative predefinite
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(Levitt, March, 1988). Le imprese esistenti, quindi, non solo possiedono una minore abilità a
riconoscere il cambiamento tecnologico, ma appaiono anche penalizzate nella sua implementazione
rispetto a quelle nuove entranti. I nuovi imprenditori possiedono una maggiore propensione ad
investire in tecnologie radicali e sono meno dipendenti dalle proprie routine e competenze
(Levinthal, March, 1993).
L’unione di questi elementi teorici ha portato diversi ricercatori a considerare l’innovazione
tecnologica determinante nel modellare l’evoluzione delle industrie. Secondo questi ricercatori,
ogni ondata di innovazione tecnologica rappresenta una fonte di nuove opportunità per le
orgnizzazioni. Talvolta queste opportunità vengono colte dalle imprese esistenti nel mercato. Il più
delle volte, tuttavia, l’inerzia organizzativa legata alle difficoltà di percepire e/o realizzare il
cambiamento tecnologico impedisce loro di implementare l’innovazione; nuove organizzazioni
sono quindi necessarie per applicare efficientemente le nuove tecniche.
A partire dalle evidenze offerte dalla letteratura citata, in questo lavoro esploriamo le traiettorie
evolutive dell’industria europea della motocicletta. In particolare, lo studio sarà focalizzato
sull’influenza dell’innovazione tecnologica sui processi di rotazione demografica e quindi
sull’evoluzione delle popolazioni organizzative del settore in Gran Bretagna, Germania, Francia e
Italia. L’analisi dell’industria motociclistica presenta, a nostro giudizio, tutti i presupposti necessari
ad investigare le questioni teoriche indicate: il fermento innovativo precedente all’affermazione del
disegno dominante, le innovazioni di prodotto, di processo e nelle risorse complementari
garantiscono l’indagine di diversi aspetti della relazione fra organizzazioni, tecnologia e
sopravvivenza. Inoltre, l’industria motociclistica offre l’opportunità di uno studio comparato di
diversi Paesi che supporta la solidità dei risultati che otterremo. Infine, la natura globale di questo
settore aiuta a rafforzare il valore normativo delle nostre conclusioni.
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3. L’INNOVAZIONE NELL’INDUSTRIA DELLA MOTOCICLETTA
3.1 Dati
I dati presentati nelle sezioni successive fanno parte di un progetto di ricerca più ampio, orientato
allo studio dei processi di coevoluzione fra organizzazioni ed ambienti. Le ragioni che ci hanno
indotto a scegliere l’industria europea della motocicletta sono principalmente tre. Primo, la natura
dell’industria, globale, ma al contempo eterogenea a livello nazionale, rappresenta un campo
d’indagine ideale per approfondire questi argomenti teorici. In secondo luogo, l’esistenza di
registrazioni accurate dei suoi eventi vitali ci ha permesso di disegnare la ricerca in modo tale da
evitare problemi metodologici di troncamento dei dati a sinistra. Infine, gli studi recenti di Hannan e
i suoi colleghi sull’evoluzione dell’industria automobilistica europea (Hannan et alii, 1995; Hannan,
1997; Hannan et alii, 1998) rappresentano un’eccellente base di confronto e di cumulazione di
evidenze empiriche.
I dati utilizzati in questo studio includono gli eventi di nascita e morte di 1.906 produttori di
motociclette nei quattro principali Paesi europei del settore – Gran Bretagna, Germania, Francia e
Italia – nel corso del periodo compreso fra il 1885 ed il 1993. La fonte principale di informazioni è
rappresentata dal testo “L'enciclopedia della motocicletta” (Wilson, 1996) che include le date di
nascita e morte di ogni impresa all’interno di questa industria. L’anno in cui il primo modello
compare è stato considerato quale anno di nascita dell’impresa, mentre l’anno in cui l’ultimo
modello scompare dalle notazioni è stato codificato come morte. L’attendibilità dei dati è stata
testata utilizzando le informazioni contenute nelle pubblicazioni del tempo: Motor age (from 1899),
Cycle Trade Journal (from 1897), Motor (from 1903) sono state per questa ragione consultate.
Infine, le informazioni raccolte sono state incrociate con altri testi: Erwin Tragatsch “The complete
illustrate encyclopedia of the world’s motorcycles” (1977), “A-Z of motorcycle” (Brown, 1997) e
“Encyclopedia of motorcycling” (Bishop, Barrington, 1995) hanno offerto conferma della bontà dei
dati raccolti.
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3.2 La traiettoria tecnologica del prodotto
Una motocicletta incorpora diversi componenti in un insieme armonico. In termini estremamente
semplificati, essa può essere suddivisa in cinque componenti principali: motore, trasmissione, ruote,
struttura, e gruppi di controllo. Ogni suo componente assume una propria dignità tecnologica, ma
al contempo è interrelato agli altri. Il motore trasforma energia chimica in forza meccanica. Le parti
che lo componono includono il serbatoio, l’ignezione e la camera di combustione. La trasmissione
trasmette la potenza dal motore alle ruote. Le sue sottocomponenti includono la frizione, il cambio e
i meccamismi della ruota motrice. Le ruote trasferiscono la forza meccanica dalla trasmissione
all’asfalto. Le parti che lo compongono sono le ruote, i pneumatici e i freni. La struttura racchiude
le altre componenti della motocicletta in un tutt’uno. Il telaio, le sospensioni e il sedile ne
rappresentano le sottoparti. Infine, i gruppi di controllo permettono al motociclista di accendere il
veicolo, regolarne determinati parametri, e di pilotare il mezzo nella direzione desiderata. Lo starter,
le leve dei freni, del cambio, ed il manubrio sono i suoi elementi principali. Cerchiamo ora di
ripercorrere brevemente la storia dell’evoluzione tecnologica di queste cinque componenti.
La componente strutturale ha subito diversi cambiamenti. I primi cambiamenti si osservano nel
corso dei primi anni dell’industria e sono connessi alla mancanza di un disegno dominante del
motore, della posizione del pilota e del serbatoio. I fratelli Werner - nel 1897 in Francia - furono i
primi ad eliminare la terza ruota imposta da Bouton qualche anno prima e a collocare il sedile del
pilota sopra la forcella della ruota posteriore (Tragatsch, 1977). Dopo diverse sperimentazioni
progettuali il pilota per primo (in Inghilterra a cavallo dei due secoli), ed il serbatoio poi, trovarono
la posizione moderna all’interno del telaio.
Lo sviluppo delle sospensioni compì passi importanti all’inizio del Novecento. La Peugeot, nel
1904, divenne il primo produttore ad installare una vera sospensione posteriore ma l’innovazione si
diffuse rapidamente in tutto il Continente (Wilson, 1996). Da allora, il suo progresso procedette
lentamente fino agli anni Quaranta, con le sole eccezioni della sospensione a triangolo presente
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sulle Vincent nel 1928, e della sospensione a pistone proposta dalla BMW nel 1938. Un importante
passo si compì invece in Germania nel 1949, quando la Imme, per prima, propose una soluzione
monobraccio per la sospensione posteriore (Wilson, 1993). Oltre alle implicazioni tecniche di
questa innovazione, è evidente che sia l’estetica che la leggerezza del prodotto beneficiarono di
questo progresso.
La sospensione anteriore conobbe un significativo sviluppo negli anni Dieci e dei primi anni Venti
con l’aggiunta del molleggiamento. In tutta Europa questo tipo di ammortizzatore divenne lo
standard dell’industria a partire dalla prima metà degli anni Trenta. Finché nel 1935 la BMW
introdusse la forcella telescopica anteriore (Burgess Wise, 1973). Questo tipo di forcella ancora
oggi è costituita da due tubi concentrici il cui movimento è regolato dalle sollecitazioni che essa
riceve. L’idea assunse particolare rilevanza soprattutto per il notevole miglioramento impartito alla
manovrabilità delle motociclette nei percorsi fuoristrada. Inoltre, questa soluzione rappresentò la
base su cui venne in seguito sviluppata la forcella a steli rovesciati.
La ruota ed i suoi componenti conobbero l’innovazione più importante nel 1888. In quell’anno,
infatti, John Dunlop inventò il pneumatico (Wilson, 1996). L’industria della motocicletta deve gran
parte del suo successo a questo prodotto: la trazione, la sicurezza ed il comfort del guidatore
migliorarono notevolmente grazie a questa invenzione. Per quanto concerne l’apparato frenante, il
meccanismo a pattino di derivazione ciclistica resistette fino al 1914, quando il più efficace freno ad
espansione iniziò a diffondersi2 divenendo in breve lo standard in molti Paesi europei (Tragatsch,
1977). Infine il progresso di questo componente compì un altro passo importante diversi anni più
tardi, allorquando, nel 1968, venne introdotto il sistema frenante a disco.
Il motore ovviamente ha compiuto sensibili progressi dal 1885. Il più rilevante di questi riguardò
l’affermazione di una collocazione standard all’interno del telaio. Questa configurazione ancora
oggi conferisce alla motocicletta il suo aspetto caratteristico. Il passo si compì quasi
contemporaneamente nei principali Paesi europei fra il 1902 ed il 1903 (Tragatsch, 1977). Le
soluzioni adottate sino a quel momento variavano dalla posizione del motore vicino al manubrio
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(Werner nel 1899 in Francia), sul mozzo anteriore (Singer in Germania), vicino ai pedali
(Hildebrand e Wolfmüller), dietro ai pedali (Beeston in Gran Bretagna), dietro al sellino (Ormonde)
oppure a rimorchio (in Italia). Nel campo della distribuzione (motori a quattro tempi) dal 1914 si
passò gradatamente dalla valvola di immissione automatica a quella comandata ad albero grazie
soprattutto all'impulso dato dalla francese Peugeot che dimostrò pubblicamente la superiorità di
questa seconda soluzione (Tragatsch, 1977). In relazione alla configurazione dei cilindri non si
raggiunse mai una soluzione univoca. La soluzione a “V” divenne molto popolare ma con diverse
varianti: inclinato di 45 gradi, di 90 gradi nella configurazione “boxer” introdotta da BMW nel 1923
(Wilson, 1996). Soluzioni verticali, orizzontali e trasversali ancora si possono riscontrare ancora nei
prodotti di oggi.
La trasmissione conobbe i suoi progressi principali attraverso l’introduzione della frizione e della
trasmissione a tutta catena. Fino al 1905 quasi nessuna motocicletta era dotata di frizione, né tanto
meno di cambio. In quel periodo l’avviamento era a pedali o a spinta, e lo spegnimento del motore
ad ogni fermata era inevitabile. Era quindi necessario un sistema che permettesse di mantenere il
motore in folle da fermo. Le soluzioni più diffuse all’epoca consistevano in pulegge a flangie mobili
che modificavano l’attrito della cinghia di trasmissione che poteva quindi generare moto oppure
girare a vuoto (Burgess Wise, 1973). L'adozione della frizione, intorno al 1906, fu particolarmente
rilevante poiché permetteva soste e partenze agevoli e contribuiva quindi ad ampliare il numero di
potenziali acquirenti del prodotto. Come detto in precedenza, fra il 1902 ed il 1905 le moto
adottavano sistemi di trasmissione a cinghia. Nonostante la superiorità della catena fosse già stata
dimostrata, le case produttrici, soprattutto inglesi, erano molto restie ad abbandonare il sistema a
cinghia. Il motivo era che l'adozione della catena imponeva l'utilizzo di una frizione più evoluta
tecnicamente, e di un “vero” cambio di velocità. Data la concorrenza che si stava sviluppando in
quegli anni nelle diverse industrie nazionali, nessun produttore poteva azzardarsi a sperimentare in
proprio nuovi e complessi sistemi cambio-frizione. Furono quindi le grandi case produttrici ad
introdurre per prime verso il 1907/1908 questo tipo di trasmissione (Tragatsch, 1977). Non va infine
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dimenticato che i benefici connessi a questa soluzione andarono oltre l’aspetto tecnico: la
trasmissione a catena contribuì ad alimentare la sensazione di affidabilità della motocicletta.
Infine, rispetto all’evoluzione dei gruppi di controllo poco si può veramente ritenere modificato
rispetto al prodotto commercializzato negli anni Venti. All’inizio del Novecento i pedali
rappresentavano la soluzione più comoda per l’avviamento della motocicletta. Ma nel 1909 Alfred
Scott introdusse in Inghilterra l’avviamento di tipo kick che ancora oggi ritroviamo in diversi
prodotti (Wilson, 1996). Agevolando l’accensione del mezzo, contribuì ad ampliare la domanda di
motociclette. L’invenzione dell’avviamento elettrico verrà introdotta diversi anni dopo, ma la sua
consacrazione si realizzerà soltanto attraverso i prodotti di Honda intorno al 1965. All’inizio degli
anni Sessanta comincia infatti l’era di dominio dei produttori giapponesi.
Tavola 1 riporta la sintesi delle date di introduzione delle più significative tecnologie con una breve
descrizione della loro relativa importanza.
T vol 11 1r n p l nnov on n ll’ n ustr a a i ci a i i azi i e i d iamoto l st urop 1 1111111111cic i ica e ea
Anno Evento Tipo di discontinuità
Importanza
1888 Invenzione del pneumatico
Architetturale La trazione e la sicurezza ne beneficiano
1903 Posizione standard el motore
Architetturale Si stabilisce il disegno dominante del prodotto
1904 Introduzione sospensione posteriore
Competence enhancing
Migliora il comfort
1906 Introduzione frizione Competence enhancing
Rende il mezzo accessibile ad un pubblico vasto permettendo
(ri)partenze più agevoli1908 Trasmissione a catena Architetturale Impone una frizione ti tipo
evoluto, cambio e telai rinforzati1909 Introduzione kick
starterCompetence enhancing
Agevola l’accensione del mezzo
1913 Valvola di immissione comandata
Competence enhancing
Migliora le prestazioni della motocicletta
1914 Introduzione freni ad espansione
Competence enhancing
Incrementa la performance
1935 Forcella ant. telescopica
Apre una nuova nicchia
Migliora il rendimento del mezzo nel fuoristrada
1949 Forcella post. monobraccio
Competence enhancing
Semplifica il prodotto
1960-1965 Inizia l’era giapponese.
Avviamento elettrico
Competence destroying. Apre
una nuova nicchia
Prodotti di qualità tecnologica a basso prezzo.
Apre le porte al mercato
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femminile 1968 Introduzione freni a
discoCompetence enhancing
Migliora le prestazioni e semplifica la manutenzione
Fonte: Oltre ai testi segnalati nella sezione di descrizione dei dati, per compilare questa tabella sono stati consultati Wilson (1993), Brown (1996) e Burgess Wise (1973).
4. L’EVOLUZIONE DELL’INDUSTRIA EUROPEA DELLA MOTOCICLETTA, 1885-1993
L’origine dell’industria motociclistica viene solitamente collocata nel 1885. In quell’anno, Gottlieb
Daimler ideò la prima vera motocicletta al mondo. A dire il vero, fu solamente un prototipo e venne
presto abbandonato. Hildebrand e Wolfmuller, tedeschi di Monaco, possono essere per questo
considerati i primi produttori. Tuttavia, il loro esperimento non incontrò grande successo
commerciale. Miglior sorte toccò al Colonnello Holden in Inghilterra e al Conte De Dion ed al suo
socio Bouton in Francia, i quali, alla fine del Ottocento, inaugurarono le rispettive industrie
nazionali.
La definizione di una posizione standard del motore, ottenuta come detto all’inizio del Novecento,
permise una rapida diffusione della produzione di motociclette nei diversi Paesi europei. Al tempo
stesso, diversi eventi pubblici, quali fiere e competizioni, aiutarono i produttori ad alimentare la loro
reputazione e a rassicurare le persone riguardo la sicurezza e la qualità dei nuovi prodotti. Nel 1903
si tenne a Londra la prima importante fiera, “The Stanley National Show” e venne fondato in
Inghilterra l’Auto Cycle Club, aperto a tutti i veicoli motorizzati (Tragatsch, 1977). La prima
competizione nazionale per motociclette si volse a Richmond – Inghilterra -, nel 1897, mentre la
prima di carattere internazionale, l’International Coupé Race, si tenne nel 1904 in Francia (Bishop,
Barrington, 1995). Nello stesso anno nacque il Motorcycle Club France e, contemporaneamente, la
Federation International des Club Motocycliste. La più famosa gara al mondo, il Tourist Trophy,
venne tenuta per la prima volta nel 1907 sull’Isola di Man, al largo della costa ovest dell’Inghilterra.
Nel 1904, in Gran Bretagna venivano comprate 21.974 motociclette ed in Francia 19.886, una
quantità pressoché identica alla domanda di automobili (Tradatsch, 1977). Nel corso degli stessi
anni, il mercato di Italia e Germania, sebbene in crescita, era molto più arretrato rispetto ai due
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Paesi principali. A dimostrazione di questa affermazione bisogna attendere il 1911 per vedere
nascere in Italia il primo Moto Club. Dopo il 1919, la produzione crebbe rapidamente, e negli anni
Venti la Gran Bretagna rappresentava l’indisputato leader mondiale per produzione ed esportazioni.
Sino all’anno 1924, esistevano più motociclette in Gran Bretagna che automobili. Nel periodo
compreso fra il 1929 e il 1934 la situazione cambiò, e sia il mercato domestico che le esportazioni
subirono in Inghilterra un brusco declino: la produzione passò da 120.000 unità a 60.000 circa. Due
principali motivi giustificarono questo rallentamento e l’esplosione degli altri Paesi europei. In
primo luogo, la mancanza di progresso tecnologico dell’industria in Gran Bratagna in confronto con
i prodotti più avanzati, provenienti dalla Germania e dall’Italia (Koerner, 1996). Secondo, sia i
governi francesi che tedeschi promossero la crescita della domanda riducendo in maniera
significativa le tasse relative a motociclette di piccola e media cilindrata. In conseguenza di questa
politica, nella seconda metà degli anni Trenta l’industria tedesca divenne il primo produttore
europeo ed il principale esportatore: nel 1937 i produttori inglesi esportavano 25.350 motociclette,
mentre i tedeschi 31.708 (Koerner, 1996: 67).
Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’ambiente mutò ancora. La necessità di mezzi di trasporto
economici favorì i Paesi che avevano maggiore esperienza nella produzione di motociclette di
piccola cilindrata. Gran Bretagna e Germania, conosciuti principalmente per i loro prodotti di
grossa cilindrata, persero terreno nei confronti dell’Italia che nel corso di questi anni, divenne la
nazione leader. Da allora, l’Italia rappresenta il più importante mercato europeo ed il migliore
esportatore, mentre la produzione di Gran Bretagna e Francia risulta sensibilmente in declino. La
situazione è diversa per la Germania. Superato il declino degli anni Settanta, il mercato nazionale si
è ripreso, e questo Paese rappresenta oggi il secondo esportatore europeo ed il secondo mercato per
numerosità di addetti – nel 1994: 17.883 in Italia, 12.357 in Germania (OECD, 2000) – e per
domanda di motociclette - 1998: 922.743 in Italia, 417.746 in Germania, 362.039 in Francia e
120.411 in Gran Bretagna (ACEM, 2000). In generale, per offrire al lettore una fotografia del
settore nel 1994, possiamo dire che la domanda italiana di motocicli conta per circa la metà di tutti
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gli scooter venduti in Europa, mentre nel segmento delle motociclette i numeri più elevati si
riscontrano in Germania, dove vengono acquistate circa il 40% di tutte le motociclette in vendita in
Europa (ACEM, 2000). I pattern di densità ed entrata di nuove imprese che compaiono nelle Figure
dalla 1 alla 4 confermano quanto detto sinora.
Figura 1. Imprese nate e densità di produttori in Gran Bretagna, 1885-1993
14
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
200
Nate Densità
Figura 2. Imprese nate e densità di produttori in Germania, 1885-1993
15
Figura 3. Imprese nate e densità di produttori in Italia, 1885-1993
Figura 4. Imprese nate e densità di produttori in Francia, 1885-1993
16
0
20
40
60
80
100
120
140
Nate Densità
0
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Nate Densità
La prima considerazione che emerge dall’analisi di questi grafici è che non tutte le traiettorie di
sviluppo sono conformi a quanto riportato da Gort e Klepper (1982). L’Italia in particolare neppure
oggi presenta le caratteristiche tipiche di un’industria matura, ovvero la riduzione della numerosità
dei produttori ed il suo naturale consolidamento. In secondo luogo, osservando le figure dalla 1 alla
4 possiamo rilevare che nei Paesi analizzati le ondate di fondazione di nuove imprese risultano
contemporanee. Seppure con intensità differente nelle diverse nazioni, li osserviamo fra il 1895 e il
1900, verso il 1908, a partire dal 1919, nel 1946, e nella seconda parte degli anni Sessanta.
Dall’analisi della Tabella 1 emerge che lo sviluppo tecnologico ha anch’esso seguito i suoi cicli,
con una forte enfasi sull’inizio del secolo scorso, oltre al 1949 ed al 1965. Le nostre considerazioni
sono confortate dalle date di redazione del “Manuale Hoepli del Motociclista” nel 1903, 1908, 1914
dato che tale pubblicazione doveva essere aggiornata quando la tecnologia del momento aveva
definitivamente superato i contenuti della vecchia edizione.
Quale è stato quindi il contributo dell’innovazione tecnologica per le traiettorie evolutive di questi
Paesi? Il confronto fra le date di elevata attività imprenditoriale e i cicli di innovazione tecnologica
del settore rivela le sovrapposizioni attese. Negli anni precedenti la determinazione di un disegno
dominante (1903) ritroviamo il fermento imprenditoriale sostenuto da Abernathy (1978) e da
Tushman e Rosenkopf (1992). Come atteso, il 1908 con la diffusione della trasmissione a catena e
le implicazioni che ne derivano, porta con sé un aumento delle nascite soprattutto in Gran Bretagna.
Le innovazioni incrementali degli anni precedenti alla Prima guerra Mondiale cambiano di poco i
tassi vitali delle popolazioni analizzate. Contrariamente a quanto atteso, l’evoluzione delle
sospensioni non porta con sé la fondazione di nuove organizzazioni. L’era giapponese sembra infine
stimolare in maniera eterogenea le popolazioni europee. L’Italia soprattutto, ma anche la Francia,
riguadagnano crescita e l’imprenditorialità nazionale appare averne beneficiato.
Quanto sinora mostrato offre però soltanto una raffigurazione parziale del problema. Cambiamenti
di carattere architetturale, di tipo competence destroying, o di apertura di nuova nicchia presentano,
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secondo la letteratura, i presupposti di cambiamento generazionale, o di “distruzione creatrice” per
dirla alla Schumpeter (1934). Anderson e Tushman affermano infatti che “eras of ferment, in
contrast to eras of incremental change, are associated with significantly increased uncertainty” e che
“uncertainty is the environmental dimension that most strongly influences industry exit rates”
(2001: 700-701). Allo stesso modo, sia secondo Tushman e Anderson (1986) che Henderson e
Clark (1990), questi mutamenti favoriscono le imprese nuove entranti e sovvertono l’ordine
stabilito.
Le figure dalla 5 alla 8 cercano di esplorare la solidità di queste considerazioni. I grafici riportano le
oscillazioni per anno delle età medie dei produttori presenti all’interno di ognuna delle industrie
analizzate. Il vantaggio di questa rappresentazione, rispetto all’analisi della fondazione di nuove
imprese o della densità, è quello di disaggregare la pura numerosità di organizzazioni in un
indicatore capace di rappresentare sinteticamente il grado di assorbimento dell’innovazione da parte
delle imprese esistenti. In poche parole, questo grafico riesce a mappare non soltanto le
organizzazioni che entrano nell’industria, ma soprattutto quali imprese nel medio-lungo termine
sopravvivono al cambiamento in questione, e se queste ultime sono le nuove entranti o piuttosto le
imprese consolidate. Le fluttuazioni delle età medie dei diversi Paesi nel 1903, 1919 e del 1946
sono associate al fermento imprenditoriale rilevato in precedenza.
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Figura 5. Età media dei produttori di motociclette in Gran Bretagna, 1885-1993
Figura 6. Età media dei produttori di motociclette in Germania, 1885-1993
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Figura 7. Età media dei produttori di motociclette in Italia, 1885-1993
Figura 8. Età media dei produttori di motociclette in Francia, 1885-1993
Dall’osservazione dei grafici, emergono due considerazioni generali. Contrariamente a quanto
atteso, le innovazioni tecnologiche architetturali del 1903, 1908, e 1935 non sono responsabili dei
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processi di rotazione demografica preventivati. All’interno di tutti i Paesi analizzati l’età media
delle imprese presenti sul mercato cresce in questi anni esponenzialmente ad indicare che nel
medio-lungo termine sono le imprese esistenti che sopravvivono, piuttosto che quelle innovatrici o
quelle entrate nella scia di questa. Una considerazione a parte merita invece quanto successo negli
anni Sessanta con l’avvento dei produttori giapponesi. L’inversione di rotta è decisa in Gran
Bretagna (Figura 5) e in Francia (Figura 8). La competitività dei produttori giapponesi per il primo,
e la fondazione di nuove imprese per il secondo, ha sensibilmente modificato il percorso evolutivo
di queste nazioni ed ha imposto un ricambio generazionale. Viceversa, il contrario appare essersi
verificato in Germania (Figura 6) e in Italia (Figura 7). All’interno di queste industrie, né la
rivoluzione commerciale giapponese, né l’entrata di nuove imprese ha interrotto la corsa evolutiva
delle organizzazioni presenti sul mercato3.
5. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Tushman e Anderson nel 1986 concludevano il loro paper affermando che “future research could
also explore the linkage between technological evolution and population phenomena, such as
structural evolution, mortality rate, or strategic groups, as well as organizational phenomena, such
as adaptation, succession and political processes” (p. 463). In questo studio abbiamo cercato di
approfondire una parte di tali questioni, proponendo un punto di vista nuovo al problema. Per
supportare la solidità delle conclusioni ci siamo focalizzati su uno studio comparativo. Abbiamo
analizzato in maniera descrittiva lo sviluppo tecnologico della motocicletta e lo abbiamo
confrontato con le traiettorie evolutive di 1.906 produttori operanti nei quattro Paesi europei
principali di questo settore – Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia - nel corso di un periodo
compreso fra il 1885 ed il 1993.
I risultati ottenuti concordano solamente in parte con i riscontri degli studi precedenti. In accordo
con le motivazioni teoriche proposte da Tushman e Anderson, (1986) e da Tushman e Rosenkopf
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(1992) abbiamo riscontrato che le innovazioni tecnologiche principali vengono spesso
accompagnate da un aumento delle nascite di imprese. Viceversa, contrariamente a quanto atteso, la
composizione demografica delle popolazioni analizzate non è rimasta intaccata dal progresso
tecnologico. Soltanto l’avvento dei produttori giapponesi ha contribuito a modificare il percorso
evolutivo di Gran Bretagna e Francia, ma non quello di Germania ed Italia.
I risultati ottenuti suggeriscono almeno tre implicazioni che ruotano intorno al concetto di
adattamento, seppur relativi a prospettive teoriche diverse. Primo, la ricerca sul tema
dell’innovazione tecnologica ha ripetutamente sottolineato che, il progresso tecnologico evolve in
maniera puntuale. Il nostro studio non supporta queste conclusioni. Ricerche recenti hanno
dimostrato che i cambiamenti tecnologici di questo genere sono molto rari (Mokyr, 1990).
Levinthal (1998), ad esempio, pone l’accento sull’eccessiva enfasi data all’impatto commerciale
delle innovazioni tecnologiche, Basalla (1988) invece contrasta questi studi a causa della loro
mancata considerazione degli antecedenti. Mentre il dibattito rimane ancora aperto, la nozione di
speciazione è stata di recente introdotta nel tentativo di riconciliare queste prospettive (Levinthal,
1998; Cattani, 2001). Secondo questo filone di ricerca, le discontinuità ambientali non avverrebbero
in conseguenza di singoli eventi. Viceversa, in maniera simile alla biologia, la realizzazione di
eventi puntuali sarebbe determinata da processi di speciazione, ovvero dall’applicazione della
conoscenza tecnologica esistente a nuovi domini di applicazione. Un’innovazione di tipo radicale
perderebbe la propria essenza di fronte ad un’organizzazione capace di percorrere questo cammino.
I risultati di questo studio sembrano concordare con un’idea di vantaggio evoluzionistico delle
imprese simile a quello proposto da Klepper (1997) e aprono quindi interessanti spiragli in questa
direzione.
Secondo, il processo di adattamento delle singole organizzazioni rimane comunque limitato dalle
caratteristiche demografiche proprie e da quelle della popolazione in cui l’impresa opera. La
comparsa dei produttori giapponesi - Honda, Yamaha e Suzuki – prima nel mercato americano e poi
in quello europeo ha imposto un brusco cambiamento strategico a tutti i produttori del settore,
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promuovendo prodotti a bassi costi ma di qualità (Pascale, 1984). Le analisi svolte da Wezel e Lomi
(2001) hanno evidenziato come l’evoluzione dell’industria giapponese sia positivamente legata al
successo della produzione italiana. Il contrario è accaduto all’industria inglese. Una marcata
relazione competitiva è evidente nelle relazioni fra le imprese inglesi e quelle giapponesi. Perché gli
italiani hanno beneficiato della comparsa dei costruttori giapponesi, mentre gli inglesi ne sono stati
penalizzati? Recentemente abbiamo dimostrato che uno dei motivi determinanti i processi di
selezione risiede nella diversità demografica degli attori, e che l’effetto di questa variabile aumenta
all’incrementare dell’età media delle organizzazioni viventi (Wezel, Lipparini, Lomi, 2001). In
breve, l’effetto distruttivo indotto dalle organizzazioni nuove entranti sembrerebbe essere
proporzionale all’anzianità delle imprese presenti sul mercato. Non diversamente, i risultati qui
mostrati sembrano suggerire che il differente impatto indotto dalla comparsa dei competitori
giapponesi possa essere connesso all’eterogenea struttura demografica delle industrie in questione.
Al momento della loro comparsa infatti, l’industria italiana e quella tedesca presentavano
organizzazioni di mediamente 20/25 anni di età, mentre in Gran Bretagna e Francia nello stesso
periodo le imprese avevano in media 30/35 anni. Riteniamo quindi che il concetto di eterogenità
demografica meriti ulteriore attenzione soprattutto per le sue implicazioni rispetto alla teoria
dell’inerzia organizzativa delle popolazioni (Hannan, 1997).
Terzo, quanto avanzato nel paragrafo precedente impone almeno una riflessione riguardo la
differente capacità di assorbimento dell’innovazione da parte delle industrie. La ricerca ci ha
dimostrato che l’abilità delle imprese ad avere accesso alla conoscenza esterna rappresenta un
elemento essenziale nel delineare il loro livello di innovazione. Questa abilità viene solitamente
definita in termini di absorptive capacity (Cohen, Levinthal, 1990). I risultati riportati in questo
studio sembrano suggerire l’esistenza di un differente livello di permeabilità all’innovazione fra
costruttori italiani ed inglesi. Un costrutto simile è stato sviluppato da Miner (1995) a proposito
dell’apprendimento a livello di popolazione, definito come “a systematic change in the nature and
mix of routines in a population of organizations, arising from experience” (1995: 116). Il successo
23
dei produttori italiani non è stato limitato al beneficio di poche imprese, ma piuttosto rappresenta
ancora oggi un successo collettivo, riconosciuto in termini di superiorità delle motociclette italiane
nelle gare, nel design e nell’innovazione. Riteniamo che entrambi questi elementi teorici siano
degni di ricevere maggiore attenzione.
Questo lavoro soffre tuttavia di almeno tre limitazioni. Il primo limite concerne la scelta dell’unità
politica e sociale oggetto dello studio. In accordo con altri studi, abbiamo selezionato la nazione
quale livello di analisi. Questa scelta esclude l’importanza di processi di competizione
internazionale (ad es. acquisizioni e fusioni), che viceversa possono avere influenzato i percorsi
osservati. In secondo luogo, le nostre considerazioni richiedono un’analisi più dettagliata a livello di
singola impresa. Soltanto in questo modo sarà possibile comprendere quali imprese ed in quali
circostanze sono riuscite ad assorbire le innovazioni tecnologiche emergenti. Infine, la mancanza di
informazioni riguardo la dimensione delle imprese ci ha impedito di controllare i nostri risultati
rispetto a dinamiche di partizione delle risorse (Carroll, 1985).
Diversi e più dettagliati sono i dati necessari ad indirizzare le lacune evidenziate e validare quindi i
risultati proposti. Seppur imperfetto, pensiamo tuttavia che questo studio offra diverse implicazioni
teoriche che possano stimolare l’avanzamento della comune comprensione della relazione esistente
fra tecnologia, demografia organizzativa ed evoluzione industriale.
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Note
1. Il nucleo tecnologico di un’impresa rappresenta uno dei quattro elementi definiti come core dalla teoria di Hannan e Freeman (1984). Gli altri sono gli scopi dichiarati, le forme di autorità e le strategie di mercato. A contrario del cambiamento delle caratteristiche periferiche dell’impresa, il ripensamento di ognuno di questi elementi implica una modifica considerevole del gene organizzativo.
2. Questo freno funziona per mezzo di un nastro metallico che si stringe sulla superficie esterna del mozzo.
3. Negli anni Settanta il governo italiano innalzò barriere protezionistiche, ma queste coprirono soltanto le importazioni di motociclette di cilindrata superiore a 350 centimetri cubici.
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