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1 01/03/2013 Al pronto soccorso in auto e taxi, sempre piu' italiani non chiamano 118 Roma, 28 feb. (Adnkronos Salute) - Sempre più italiani scelgono, in caso di bisogno, di andare al pronto soccorso con i propri mezzi rinunciando a chiamare l'ambulanza. Spesso in macchina e in alcuni casi in taxi. Frutto anche di una maggiore consapevolezza dei danni che può arrecare alla comunità l'uso improprio del servizio. Se nel 2011 era stato infatti il 68% ad usare i propri mezzi per raggiungere il Dea, il dipartimento d'emergenza, nel 2012 il dato ha fatto un balzo in avanti arrivando a toccare quasi il 78%. Un 10% in più, ovvero 650 mila cittadini che hanno raggiunto l'ospedale da soli. Un aumento che in alcune Regioni è piuttosto sostanzioso: Molise (+70%), Campania (+30%), Calabria (+10%) e Sicilia (+10%). Mentre sempre lo scorso anno poco più del 18% ha utilizzato un mezzo di soccorso per raggiungere l'ospedale, contro il 27% del 2011. A far emergere un comportamento più virtuoso dei connazionali nei confronti del 11, è anche il dato nazionale degli accessi totali ai pronto soccorso. Si è passati dai 14.479.595 del 2011 ai 13.433.427 del 2012. Dunque una riduzione di circa 1 mln di visite. A fotografare il fenomeno è il monitoraggio delle prestazioni erogate nell'ambito dell'emergenza-urgenza da parte delle strutture del 118 e dei presidi ospedalieri, trasmessi al sistema informativo Emur del ministero della Salute. Report aggiornato a fine 2012 (escluso il mese il dicembre per alcune Regioni). "A Napoli, pur non avendo una diminuzione delle chiamate, c'è un uso improprio del 118 che può essere a volte paradossale e deleterio per il servizio - spiega dall'Adnkronos Salute Roberto Cascata, medico della centrale operativa del 118 di Napoli - l'ambulanza è chiamata spesso per lievi traumi a scuola, piccoli incidenti domestici e banali problemi di salute a lavoro o per chi è agli arresti domiciliari, tutti codici verdi che in realtà non dovrebbero passare attraverso il nostro servizio. Ma lo fanno perché, ad esempio a scuola, nessuno si vuole prendere la responsabilità d'intervenire subito. E' più facile contattare noi - aggiunge - ma questo produce poi l'allungamento dei tempi. Ecco che le persone, se devono aspettare un'ora il mezzo di soccorso, o rinunciano o si fanno accompagnare in ospedale". "Sovraffollamenti e lunghe attesa nei pronto soccorso, con i pazienti per ore sulle barella dentro i Dea, hanno scoraggiato e influenzato negativamente gli italiani - spiega Massimo Magnanti, segretario del Sindacato professionisti emergenza sanitaria (Spes) - davanti alla scelta di recarsi o meno in ospedale non per una vera emergenza. Ma non dimentichiamo anche i tagli al personale e ai servizi".Accanto ai numeri in salita di Campania, Calabria e Sicilia, altre Regioni come la Toscana, le Marche, l'Abruzzo crescono meno. Mentre sono stabili su questo fronte i numeri del Lazio, della Lombardia e della Puglia. Un leggero calo invece per l'Emilia Romagna. Gli italiani di fronte all'emergenza optano in qualche caso anche sul servizio pubblico dei taxi. "Non abbiamo un dato che ci indica un aumento delle chiamate da parte dei clienti che devono raggiungere un pronto soccorso, ma è sicuro che una nostra macchina arriva dal cliente prima dell'ambulanza. Però i casi sono davvero limitati", ad affermarlo è Franco Fazioli, responsabile delle relazioni esterne della Cooperativa 3570. Per quanto riguarda gli accessi totali ai Dea a far registrare le maggiori variazioni tra il 2011 e il 2012 è il Veneto che passa da 1 milione e trecento mila visite a quasi la metà, 604 mila. Un calo di circa 400 mila accessi anche in Emilia-Romagna, da 1,8 a 1,4 mln. Più leggera la diminuzione invece nel Lazio, (circa 100 mila) e Campania (250 mila). Per la Sicilia e la Calabria, che fanno registrare raddoppi degli accessi tra il 2011 e il 2012, va precisato che le due Regioni hanno messo a regime il flusso di dati solo lo scorso anno. Inoltre il ministero sottolinea che "per la maggior parte delle regioni, i dati relativi al mese di dicembre 2012 non sono stati ancora trasmessi, pertanto, in alcuni casi, la riduzione del numero di accessi per quell'anno risente del mancato invio delle informazioni relative al mese di dicembre". "Nel Lazio e a Roma non abbiamo registrato un calo delle chiamate alla sala operativa del 118 - avverte il direttore della sala operativa Ares 118 di Roma, Livio De Angelis - ma il dato registrato dall'Emur è indicativo di un cambiamento nelle abitudini della popolazione. Si chiama l'ambulanza nei casi gravi, i codici gialli e rossi, e quando si tratta di un problema meno grave si scelgono altre soluzioni. Anche non andando più al pronto soccorso. E' opportuno però che le Regioni offrano delle alternative sul territorio - conclude - perché il 118 si fa carico di tutte le esigenze di salute dei cittadini, ma solo evitando i sovraffollamenti e l'abuso del servizio se non necessario, permettendo invece di migliorare la qualità del servizio e le tempistiche".

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Al pronto soccorso in auto e taxi, sempre piu' italiani non chiamano 118 Roma, 28 feb. (Adnkronos Salute) - Sempre più italiani scelgono, in caso di bisogno, di andare al pronto soccorso con i propri mezzi rinunciando a chiamare l'ambulanza. Spesso in macchina e in alcuni casi in taxi. Frutto anche di una maggiore consapevolezza dei danni che può arrecare alla comunità l'uso improprio del servizio. Se nel 2011 era stato infatti il 68% ad usare i propri mezzi per raggiungere il Dea, il dipartimento d'emergenza, nel 2012 il dato ha fatto un balzo in avanti arrivando a toccare quasi il 78%. Un 10% in più, ovvero 650 mila cittadini che hanno raggiunto l'ospedale da soli. Un aumento che in alcune Regioni è piuttosto sostanzioso: Molise (+70%), Campania (+30%), Calabria (+10%) e Sicilia (+10%). Mentre sempre lo scorso anno poco più del 18% ha utilizzato un mezzo di soccorso per raggiungere l'ospedale, contro il 27% del 2011. A far emergere un comportamento più virtuoso dei connazionali nei confronti del 11, è anche il dato nazionale degli accessi totali ai pronto soccorso. Si è passati dai 14.479.595 del 2011 ai 13.433.427 del 2012. Dunque una riduzione di circa 1 mln di visite. A fotografare il fenomeno è il monitoraggio delle prestazioni erogate nell'ambito dell'emergenza-urgenza da parte delle strutture del 118 e dei presidi ospedalieri, trasmessi al sistema informativo Emur del ministero della Salute. Report aggiornato a fine 2012 (escluso il mese il dicembre per alcune Regioni). "A Napoli, pur non avendo una diminuzione delle chiamate, c'è un uso improprio del 118 che può essere a volte paradossale e deleterio per il servizio - spiega dall'Adnkronos Salute Roberto Cascata, medico della centrale operativa del 118 di Napoli - l'ambulanza è chiamata spesso per lievi traumi a scuola, piccoli incidenti domestici e banali problemi di salute a lavoro o per chi è agli arresti domiciliari, tutti codici verdi che in realtà non dovrebbero passare attraverso il nostro servizio. Ma lo fanno perché, ad esempio a scuola, nessuno si vuole prendere la responsabilità d'intervenire subito. E' più facile contattare noi - aggiunge - ma questo produce poi l'allungamento dei tempi. Ecco che le persone, se devono aspettare un'ora il mezzo di soccorso, o rinunciano o si fanno accompagnare in ospedale". "Sovraffollamenti e lunghe attesa nei pronto soccorso, con i pazienti per ore sulle barella dentro i Dea, hanno scoraggiato e influenzato negativamente gli italiani - spiega Massimo Magnanti, segretario del Sindacato professionisti emergenza sanitaria (Spes) - davanti alla scelta di recarsi o meno in ospedale non per una vera emergenza. Ma non dimentichiamo anche i tagli al personale e ai servizi".Accanto ai numeri in salita di Campania, Calabria e Sicilia, altre Regioni come la Toscana, le Marche, l'Abruzzo crescono meno. Mentre sono stabili su questo fronte i numeri del Lazio, della Lombardia e della Puglia. Un leggero calo invece per l'Emilia Romagna. Gli italiani di fronte all'emergenza optano in qualche caso anche sul servizio pubblico dei taxi. "Non abbiamo un dato che ci indica un aumento delle chiamate da parte dei clienti che devono raggiungere un pronto soccorso, ma è sicuro che una nostra macchina arriva dal cliente prima dell'ambulanza. Però i casi sono davvero limitati", ad affermarlo è Franco Fazioli, responsabile delle relazioni esterne della Cooperativa 3570. Per quanto riguarda gli accessi totali ai Dea a far registrare le maggiori variazioni tra il 2011 e il 2012 è il Veneto che passa da 1 milione e trecento mila visite a quasi la metà, 604 mila. Un calo di circa 400 mila accessi anche in Emilia-Romagna, da 1,8 a 1,4 mln. Più leggera la diminuzione invece nel Lazio, (circa 100 mila) e Campania (250 mila). Per la Sicilia e la Calabria, che fanno registrare raddoppi degli accessi tra il 2011 e il 2012, va precisato che le due Regioni hanno messo a regime il flusso di dati solo lo scorso anno. Inoltre il ministero sottolinea che "per la maggior parte delle regioni, i dati relativi al mese di dicembre 2012 non sono stati ancora trasmessi, pertanto, in alcuni casi, la riduzione del numero di accessi per quell'anno risente del mancato invio delle informazioni relative al mese di dicembre". "Nel Lazio e a Roma non abbiamo registrato un calo delle chiamate alla sala operativa del 118 - avverte il direttore della sala operativa Ares 118 di Roma, Livio De Angelis - ma il dato registrato dall'Emur è indicativo di un cambiamento nelle abitudini della popolazione. Si chiama l'ambulanza nei casi gravi, i codici gialli e rossi, e quando si tratta di un problema meno grave si scelgono altre soluzioni. Anche non andando più al pronto soccorso. E' opportuno però che le Regioni offrano delle alternative sul territorio - conclude - perché il 118 si fa carico di tutte le esigenze di salute dei cittadini, ma solo evitando i sovraffollamenti e l'abuso del servizio se non necessario, permettendo invece di migliorare la qualità del servizio e le tempistiche".

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01/03/2013

Calano accessi in pronto soccorso, 1 mln in meno nel 2012 Roma, 28 feb. (Adnkronos Salute) - Il pronto soccorso non è più il baluardo della salute preferito dagli italiani. Disposti anche ad affrontare anche lunghe code pur di ottenere l'agognata visita. Ma forse le cose stanno cambiando. Nel 2012 c'è stato circa 1 milione di accessi in meno nei dipartimenti di emergenza-urgenza del Paese rispetto al 2011. Si è passati dai 14.479.595 del 2011 ai 13.433.427 del 2012. A fotografare il fenomeno è il monitoraggio delle prestazioni erogate nell'ambito dell'emergenza-urgenza da parte delle strutture del 118 e dei presidi ospedalieri, trasmessi al sistema informativo Emur del ministero della Salute. Un report aggiornato a fine 2012 (escluso il mese il dicembre per alcune Regioni). Riduzioni sostanziose in Veneto, circa (700 mila), Emilia-Romagna (400 mila) e Toscana (200 mila). In aumento, in controtendenza, in Calabria (250 mila) e Sicilia (600 mila). Secondo Massimo Magnanti (vedi foto sotto), Segretario Nazionale del Sindacato Professionisti Emergenza Sanitaria (SPES), "negli ultimi anni il trend in diminuzione degli accessi ai pronto soccorso è una costante del Servizio sanitario nazionale. Ma ci sono tante problematiche ancora da affrontare e risolvere come il sovraffollamento delle strutture e il blocco del turnover. Fattori - conclude - che continuano ad incidere profondamente sulla qualità del servizio offerto ai cittadini".

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19/03/2013

Asl indebitate fino al collo, 5 mld solo per dispositivi medici Roma, 18 mar. (Adnkronos Salute) - Un mare di soldi in sospeso. Oltre cinque miliardi di crediti insoluti. E' questo il volume complessivo dei debiti a carico di Asl e ospedali nei confronti delle aziende biomedicali, imprese che forniscono attrezzature elettromedicali, strumentazioni diagnostiche, siringhe, garze, bende e quant'altro. Una montagna di fatture insolute, concentrate soprattutto in quattro regioni: Campania, Lazio, Piemonte e Calabria. E' quanto emerge dalla stima aggiornata al 31 gennaio 2013 da Assobiomedica, l'Associazione che riunisce circa 300 aziende di tecnologia biomedicale e diagnostica, in possesso dell'Adnkronos Salute. Numeri impressionanti, che fanno tremare i conti pubblici. Anche perché tra i debiti delle Asl non ci sono solo i debiti nei confronti delle aziende biomedicali. Nel 'profondo rosso' dei conti del Servizio sanitario nazionale ci sono da considerare anche altri passivi, ad esempio quelli nei confronti delle imprese che offrono agli ospedali una serie di servizi fondamentali quali lavanderia, pulizia, gestione mensa, manutenzione, gestione rifiuti e farmaci. Sui medicinali, l'analisi che fa Farmindustria è eloquente: l'ammontare complessivo dei crediti del settore farmaceutico nei confronti della Pa, al 31 dicembre 2012, è pari a circa 4 miliardi. I crediti nei confronti delle Regioni sottoposte a Piani di rientro ammontano a circa il 60% del totale. Circa il 76% dei crediti è riferito a Regioni che hanno tempi di pagamenti superiori ai 200 giorni. Le Regioni dove si riscontrano i maggiori ritardi nei pagamenti sono Molise, Calabria, Lazio (293), Campania (271) e Piemonte (253). Alla fine della fiera, tra farmaci, beni e servizi, il totale del debito del Ssn nei confronti dei fornitori è, secondo la Corte dei Conti, di circa 40 miliardi di euro. Insomma, una montagna di fatture insolute che le aziende hanno però difficoltà a farsi liquidare dallo Stato. E' il caso ad esempio delle imprese che forniscono le Asl e gli ospedali delle regioni in piano di rientro sanitario. Ebbene, queste imprese non possono neanche reclamare con forza i loro crediti attraverso azioni di pignoramento. Nelle regioni con i conti in rosso in sanità vige infatti la norma dell'impignorabilità. E, manco a dirlo, sono proprio quelle regioni che pagano più in ritardo i propri fornitori. Qualche esempio? In Calabria le aziende biomedicali aspettano mediamente 922 giorni, praticamente 2 anni e mezzo, prima di veder saldate le proprie fatture. Lo stesso in Molise (921 giorni). In Campania l'attesa è di circa 2 anni (682 giorni). Ma va male anche nel Lazio e in Piemonte, dove per incassare i pagamenti si aspetta mediamente circa 1 anno: rispettivamente 332 e 306 giorni. Tempi biblici, insomma, malgrado una direttiva europea imponga alla Pubblica amministrazione 60 giorni di tempo per il pagamento delle fatture ai fornitori. Poche le note liete. A rispettare, più o meno, i tempi stabiliti dalla legge sono poche Asl, concentrate soprattutto in tre regioni: Trentino Alto Adige, Valle D'Aosta e Friuli Venezia Giulia. In Trentino l'attesa media è di 80 giorni, in Valle d'Aosta e in Friuli Venezia Giulia, invece, è rispettivamente di 83 e 88 giorni. E non mancano i casi limite. L'Asl 1 di Napoli, ad esempio, secondo una tabella Assobiomedica aggiornata al 31 dicembre 2012, detiene un triste record: impiega anche 1.621 giorni prima di pagare una fattura. In pratica oltre 4 anni. Sempre in Campania c'è l'Università Federico II con 1.471 giorni; l'Asl di Salerno 1.393 giorni; l'Azienda Ospedaliera Sebastiano di Caserta 1.374 giorni. Analizzando la tabella, non mancano poi le sorprese. Ad esempio tra le Asl più ritardatarie c'è l'Asl 1 di Massa Carrara, un'azienda toscana, regione da sempre considerata una tra le più virtuose in sanità. In questa triste classifica troviamo anche una struttura piemontese: l'Azienda Ospedaliera Maggiore della Carità di Novara fa 'penare' i suoi fornitori oltre 15 mesi (471 giorni). Secondo l'analisi di Assobiomedica, solo per i dispositivi medici l'ammontare complessivo dei debiti a carico delle Asl è di 5 miliardi e 35 milioni di euro. Di questi, 822 milioni, giusto il 16%, è a carico delle aziende sanitarie della Campania e oltre 565 milioni, pari all'11%, pesano invece sulle spalle delle Asl e degli ospedali del Lazio. E ancora: Piemonte 464 mln; Calabria 451 mln.; Emilia Romagna 432 mln.; Veneto 390 mln.; Puglia 363 mln.; Toscana 350 mln.; Lombardia 270 mln.; Sicilia 255 mln.; Liguria 119 mln.; Abruzzo 112 mln.; Sardegna 111 mln.; Molise 109 mln.; Marche 73 mln.; Umbria 45 mln.; Friuli Venezia Giulia 42 mln.; Basilicata e Trentino Alto Adige 24 mln.; Valle d'Aosta 4 mln. Lo stallo politico che si è venuto a creare dopo il risultato delle urne e l'incertezza nel formare il nuovo governo non sembrano facilitare uno soluzione al problema. "Ci auguriamo - afferma il presidente

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Assobiomedica, Stefano Rimondi - che il Governo si formi nel più breve tempo possibile e risolva il problema dei pagamenti della Pubblica amministrazione, dando ossigeno alle imprese, ormai soffocate dal credit cruch. Il Servizio sanitario nazionale - aggiunge - ha bisogno di tecnologie innovative che diano ai cittadini le prestazioni migliori e le imprese biomedicali vogliono dare il loro contributo per una sanità efficace ed efficiente. Purtroppo - conclude Rimondi - i tagli lineari e i ritardati pagamenti hanno invece costretto molte aziende a ridurre gli investimenti in ricerca e a tagliare posti di lavoro invece di creare sviluppo e innovazione per il rilancio della nostra economia".

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21/03/2013

22/03/2013

Cesena.

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