064_riclassificazione e analisi di bilancio
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DISPENSA
ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO
E BUSINESS DEVELOPMENT
DOCENTE: NICOLA CALZAGHE
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RICLASSIFICAZIONE E ANALISI DI BILANCIO
1. L’analisi di bilancio: finalità e strumenti
L’analisi di bilancio è una tecnica utilizzata per osservare e comprendere la gestione
aziendale, attraverso l’esame dei dati riportati nel bilancio d’esercizio.
Essa ha una duplice funzione: storica e prospettica.
Ha una funzione storica in quanto consente di conoscere e giudicare la gestione passata;
ha una funzione prospettica poiché fornisce informazioni utili per programmare la
gestione, e quindi per prendere decisioni destinate ad influenzare il futuro dell’azienda.
In quanto analisi storica essa è basata su un confronto dei dati dell’ultimo esercizio con
quelli relativi ai passati esercizi, allo scopo di valutare i miglioramenti conseguiti e, sulla
base di questi, decidere come l’azienda dovrà comportarsi nel periodo successivo1.
L’analisi di bilancio viene anche detta “analisi economico-finanziaria” in quanto è tesa ad
osservare la gestione aziendale nei suoi due aspetti fondamentali, l’aspetto economico e
l’aspetto finanziario, con l’obiettivo di cogliere non solo i diversi aspetti della gestione,
ma anche con l’intento di verificare l’esistenza dei relativi equilibri fra le due gestioni.
In sostanza si può affermare che la gestione viene osservata sia dal punto di vista dei
fabbisogni di liquidità (aspetto finanziario), sia da quello della corretta remunerazione
del capitale e del rischio imprenditoriale(aspetto economico).
Questi due aspetti sono strettamente interconnessi : basti pensare, ad esempio, come la
presenza di difficoltà finanziarie - come l’insufficiente disponibilità di risorse liquide -
può ingenerare ripercussioni sotto il profilo economico (ad es. limitare la realizzazione di
nuovi investimenti necessari a migliorare la produttività aziendale o la sua capacità di
innovare la gamma prodotti dell’azienda), diminuendo di fatto lo l’efficacia delle attività
operative; oppure, si pensi ad una situazione di redditività negativa che, protratta per
diversi anni, può assottigliare notevolmente la dimensione del capitale di rischio (capitale
netto), provocando maggiori difficoltà nel reperimento di nuove fonti finanziarie.
1 Carlo Caramiello, Indici di bilancio, Giuffrè, Milano, 1993.
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Da questi esempi si comprende come nella gestione aziendale i problemi di tipo
finanziario siano anche problemi di tipo economico, e viceversa.
La bibliografia dei casi aziendali è ricca di aziende che nonostante i buoni livelli di
redditività e la fase di sviluppo che attraversavano, sono riuscite a fallire per l’incapacità
del management di operare una corretta pianificazione finanziaria degli investimenti.
Sono situazione in cui l’azienda non si prepara a gestire correttamente il gap temporale
che esiste tra la dinamica finanziaria (tempi di restituzione dei prestiti contratti) e la
dinamica reddituale (che dipende dalla lunghezza dei cicli produttivi, dal “time to
market2” e dalla potere contrattuale nella gestione del credito).
Per questo motivo l’analisi della gestione deve essere orientata a valutare entrambi gli
aspetti e a verificarne la sussistenza degli equilibri3.
Nello svolgimento dell’analisi di bilancio ci si può avvalere, inoltre, di due tecniche
differenti, tra loro complementari: l’ analisi per indici e l’ analisi per flussi.
L’analisi per indici, si sviluppa attraverso comparazione di indicatori di performance
delle diverse attività aziendale. Gli indici sono solitamente dei rapporti (“ratios” in
linguaggio anglossassone) che, mettendo a confronto due valori assoluti, hanno il grande
vantaggio di relativizzare i dati di performance. Questo metodologia ci permette di
disporre di parametri di valutazione comparabili sia con quelli di altre aziende di settore
o sia con i risultati degli esercizi precedenti.
Per meglio capire il concetto ricorriamo ad un esemplificazione numerica.
La conoscenza del valore assoluto del reddito di esercizio non è sufficiente a valutare le
nostre capacità gestionali, soprattutto se noi amiamo la competizione e vogliamo sapere
se siamo noi i più bravi del reame. L’informazione che abbiamo un reddito di 500.000
mila euro, non ci aiuta a rispondere alla nostra domanda, se non la raffrontiamo con altri
indicatori che ci permettano di creare una scala di valori comparabile. Molto più
significativo sarebbe poter misurare il rapporto esistente tra il reddito di esercizio ed il
capitale investito nella gestione per ottenere tale risultato.
2 Per Time to Market si intende il tempo che trascorre tra il momento in cui il prodotto è lavorato e il momento in cui esso è acquistato. Questo gap dipende principalmente da fattori di mercato e da capacità commerciali dell’azienda. Tanto più è lungo il canale di vendita utilizzato, tanto più ad esempio aumenta il time to market. Così come esso è sicuramente più lungo per un azienda che lavoro a magazzino, rispetto ad un’altra che lavora su commessa. 3 G. Ferrero, F. Dezzani, P. Pisoni, L. Puddu, Le analisi di bilancio - Indici e flussi, Giuffrè, Milano, 1998.
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In questo modo, se il nostro capitale investito fosse di 10.000.000 di euro, noi potremmo
dire che la nostra capacità è quella di ottenere, per effetto della gestione, una redditività
del 5% del nostro investimento.
Il dato così strutturato, ci permette di confrontarci con contesti diversi, e possiamo dire di
essere più bravi di coloro che, pur generando un reddito in valore assoluto di 700.000
euro (quindi maggiore del nostro), hanno una redditività del 3%, avendo dovuto investire
nella propria azienda oltre 23.000.000 di euro.
Se avessimo confrontato solo i valori assoluti, saremo sicuramente incorsi in un errore.
L’esempio di cui sopra, può essere trasposto anche all’interno della nostra struttura, se
avessimo necessità di confrontare il reddito della gestione corrente con quelle degli
esercizi precedenti. Anche in questo caso, l’indice composto dal rapporto del reddito
netto su capitale investito nel corso del medesimo esercizio renderebbe i valori dei diversi
esercizi omogenei e di conseguenza comparabili.
L’analisi per flussi, di cui faremo solo dei brevi cenni, è una analisi che ci aiuta a capire
la dinamica finanziaria e patrimoniale della nostra impresa .
La sua utilità è quella di colmare una lacuna informativa del bilancio.
Infatti, come ogni buon amministrativo sa bene, lo Stato Patrimoniale, fornisce una
fotografia istantanea della consistenza Patrimoniale della nostra azienda e della
composizione finanziaria del nostro indebitamento. Dalla sua lettura, nessun
informazione può essere tratta sulle variazioni che il nostro patrimonio ha subito durante
l’esercizio per effetto della gestione. Questo è possibile solo se noi confrontiamo ed
elaboriamo i dati di stato patrimoniale registrati nei diversi momenti dell’anno.
L’analisi per flussi, svolge questo prezioso compito, aumentando il bagaglio di
informazioni utili a valutare la gestione in tutte le sue sfaccettature.
Essa ci aiuta, per esempio, a capire che forma finanziaria ha assunto il nostro utile. Molto
spesso l’imprenditore si domanda come mai pur in presenza di un utile consistente
l’azienda navighi in difficoltà finanziarie.
In realtà egli non è in grado di comprendere la differente dinamica che esiste tra i flussi
economici - dati dalla differenza tra i ricavi e i costi di “competenza” dell’esercizio - e i
flussi finanziari che dipendono da esborsi finanziari di competenza di esercizi futuri
(investimenti), dalle politiche di gestione della liquidità (in parte determinate dalla
differenza tra i tempi medi di riscossione dei crediti e tempi medi di pagamento dei
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fornitori) e dalla strutturazione temporale dell’indebitamento finanziario (utilizzo di fonti
finanziamento a breve termine piuttosto che di finanziamenti a lungo).
Nonostante l’utilità di questa analisi, per un principio di propedeuticità dell’argomento, in
questa dispensa approfondiremo l’analisi per indici, rinviando i nostri lettori più
interessati a approfondire l’analisi per flussi, alla vasta letture presente in materia4.
Come svilupperemo più approfonditamente nel corso di questo capitolo, l’analisi per
indici può servirsi di più metodi di calcolo degli indicatori di gestione e di equilibrio
economico-finanzario. Principalmente possiamo dividere gli indici in due macroclassi:
- i quozienti;
- i margini.
I primi, come abbiamo già detto, vengono utilizzati più frequentemente dei secondi
perché hanno il vantaggio di fornire dei valori relativi e, in quanto tali, si prestano
maggiormente ad essere impiegati come termini di confronto; i secondi, detti anche
indici-differenze, invece, forniscono valori assoluti, quindi validi solamente in
considerazione delle caratteristiche del contesto considerato, mentre risultano meno utili
per effettuare confronti.
Questo accento posto sulla possibilità di raffronto tra indici è dovuto al fatto che gli indici
di bilancio assumono la loro piena ragion d’essere se utilizzati come termini di paragone,
mentre non un significato limitato se considerati in sé e per sé. Essi, infatti, devono
servire per effettuare dei confronti nel tempo o nello spazio. Nel primo caso (confronti
nel tempo) si parla di effettuare un raffronto tra gli indici costruiti sui bilanci di un’unica
azienda, riferiti a più anni consecutivi; in questo modo si può osservare l’evoluzione della
gestione aziendale nel corso degli anni presi in esame, e acquisire elementi utili a
pianificare (prevedere) percorsi di sviluppo. Infatti, possedere le serie storiche degli
andamenti dei parametri critici di performance aziendale, aumenta significativamente le
nostre capacità, di svolgere attraverso tecniche econometriche, di attuare delle previsioni
attendibili.
4 Si veda in proposito: C. Caramiello, Il rendiconto finanziario, Giuffrè, Milano, 1993; G. Ferrero, F. Dezzani, P. Pisoni, L. Puddu, Le analisi di bilancio … op. cit.; P. Pratali, Le analisi economico-finanziarie della gestione, FrancoAngeli, Milano, 1996.
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Nel secondo caso (confronto nello spazio), vengono raffrontati gli indici relativi ai bilanci
di diverse aziende, in genere dello stesso settore, allo scopo di migliorare l’analisi dei
contesti concorrenziali in cui l’aziende opera, e al fine di costruire strategie competitive
che tengano in debita considerazione le performance, e quindi le capacità di reazione,
della concorrenza.
In conclusione, l’analisi di bilancio, quindi, perché sia in grado di fornire informazioni
utili ad indicare gli andamenti di gestione, deve essere condotta sui bilanci riferiti a più
anni consecutivi (almeno tre se possibile) e i risultati ottenuti confrontati con gli indici
medi di settore, al fine di evidenziare le eventuali divergenze tra la gestione aziendale e
l’andamento medio del settore di appartenenza5.
In ogni caso, comunque venga condotta l’analisi e quali che siano i termini di paragone
utilizzati, gli indici risultanti dai calcoli e dalle elaborazioni compiute, devono costituire il
punto di partenza di un processo volto all’individuazione e comprensione delle cause che
hanno determinato i valori espressi dalla gestione.
5 Gli indici medi di settore sono costruiti sulla media degli indici di bilancio rilevati su un campione rappresentativo, o sull’intera popolazione, di imprese appartenenti ad un determinato settore di attività. Tali indici possono essere trovati, per esempio, su riviste economiche, riviste specialistiche di settore, o nell’ambito delle ricerche effettuate da enti di ricerca, o di altro genere, come ISTAT, Camere di Commercio, ecc..
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2. Il bilancio d’esercizio
Il bilancio d’esercizio è il documento redatto dalla contabilità generale al termine di ogni
periodo amministrativo, e ha la finalità di rappresentare la situazione finanziaria e
patrimoniale dell’azienda ed il risultato economico dell’esercizio.
Il bilancio svolge due funzioni principali:
� da una parte, fornisce alla direzione aziendale le informazioni circa l’andamento
della gestione ed i suoi risultati periodici (funzione informativa interna);
� dall’altra, svolge una funzione informativa nei confronti di quei soggetti che a
vario titolo (soci, banche, finanziatori, enti pubblici, ecc.) sono interessati agli
andamenti di gestione (funzione informativa esterna).
Il bilancio d’esercizio si compone di diversi documenti, tra cui i principali (ai fini
dell’analisi economico finanziaria) sono lo Stato Patrimoniale ed il Conto Economico.
Lo Stato Patrimoniale rappresenta la “fotografia” del patrimonio aziendale, in quanto ha
il compito di illustrarne la composizione quantitativa e qualitativa al termine del periodo
amministrativo. Si parla di “fotografia” del patrimonio in quanto, proprio come una
fotografia, fornisce una descrizione statica degli elementi patrimoniali in un dato istante
della vita dell’azienda.
Inoltre, la rappresentazione del patrimonio è qualitativa, in quanto vengono descritte la
natura e le caratteristiche degli elementi che ne fanno parte (fabbricati, macchinari, merci,
crediti, debiti, ecc.); ed è anche quantitativa poiché ne viene indicata l’entità in termini di
valore monetario.
Il Conto Economico, invece, illustra come il risultato economico d’esercizio si è venuto
a formare durante il periodo amministrativo. In altre parole, descrive il modo in cui i
componenti positivi e negativi di reddito (ricavi e costi di competenza dell’esercizio)
hanno contribuito durante l’anno a determinare il risultato finale (utile o perdita
d’esercizio).
Stato Patrimoniale e Conto Economico costituiscono insieme il resoconto della gestione
aziendale, riassumendo il complesso delle operazioni poste in essere nell’esercizio di
riferimento.
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La struttura ed il contenuto che debbono presentare lo Stato Patrimoniale ed il Conto
Economico sono dettati dal codice civile. In particolare, l’articolo 2423 ter stabilisce che
“nello stato Patrimoniale e nel Conto Economico devono essere iscritte separatamente e
nell’ordine indicato, le voci previste negli articoli 2424 e 2425”. Questi ultimi due articoli
descrivono gli schemi che i due conti di bilancio devono seguire in modo rigido.
Inoltre l’articolo 2423 ter indica come gli schemi dettati devono essere utilizzati; in
particolare:
- le voci precedute da numeri arabi (che sono le più analitiche) possono essere
ulteriormente suddivise, ma senza eliminare la voce complessiva e il suo importo;
in altri casi possono essere raggruppate, ma soltanto se il loro importo è
irrilevante ai fini della chiarezza del bilancio;
- devono essere aggiunte altre voci nello schema di bilancio, qualora il loro
contenuto non sia compreso in alcuna di quelle già previste;
- la denominazione delle voci precedute da numeri arabi deve essere adattata
quando lo esige la natura dell’attività esercitata;
- per ogni voce dello stato patrimoniale e del conto economico deve essere indicato
anche l’importo relativo all’esercizio precedente (al fine di consentire il
confronto tra gli ultimi due esercizi)
- infine, sono vietati i compensi di partite.
3. Il contenuto dello Stato Patrimoniale : schema civilistico
Le voci iscritte nello Stato Patrimoniale seguono, secondo l’articolo 2424 del codice
civile, lo schema sintetizzato nella seguente tabella:
tab. 1 Attivo Passivo
A) Crediti verso soci
B) Immobilizzazioni
C) Attivo circolante
D) Ratei e risconti attivi
A) Patrimonio netto
B) Fondi per rischi e oneri
C) Trattamento di fine Rapporto di lavoro
D) Debiti
E) Ratei e risconti passivi
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Tale schema individua i raggruppamenti principali dell’attivo e del passivo, i quali
vengono contraddistinti da lettere maiuscole.
Relativamente all’attivo, la distinzione principale riguarda le immobilizzazioni e l’attivo
circolante.
Il codice civile, al fine di individuare un criterio distintivo tra gli elementi riconducibili a
ciascuno dei due raggruppamenti, stabilisce che “gli elementi patrimoniali destinati ad
essere utilizzati durevolmente (investimenti) devono essere iscritti tra le
immobilizzazioni”6; mentre, tra le attività circolanti andranno iscritte le voci riguardanti
gli elementi del patrimonio non destinati ad un impiego durevole. Andranno cioè
contemplate quelle voci che in “gergo gestionale” vengono definite “capitale circolante”
perché descrivono le forme in cui il capitale investito si trasforma al fine di sostenere le
spese correnti di gestione ( prestiti a clienti sotto forma di dilazione, disponibilità liquide
per far fronte a “scadenze fiscali, restituzione di quote di prestiti, pagamento di utenze,
canoni e stipendi, pagamenti per acquisti”, valore della merce magazzino in quanto
patrimonio disponibile per sostenere le attività commerciali e di vendita dell’azienda,
valore delle materie prime e dei semilavorati per sostenere le attività produttive.)
In sostanza, l’iscrizione degli elementi patrimoniali nei due raggruppamenti considerati
segue il criterio della destinazione dello specifico elemento.
Tra le disposizioni relative a singole voci dello stato patrimoniale (art. 2424 bis), il codice
civile stabilisce che “nella voce ratei e risconti attivi devono essere iscritti i ricavi di
competenza dell’esercizio esigibili in esercizi successivi (ratei attivi), e i costi sostenuti
entro la chiusura dell’esercizio, ma di competenza di esercizi successivi” (risconti attivi);
Si tratta anche in questo caso di salvaguardare il principio della competenza,
riconoscendo i ratei e risconti attivi come crediti maturati nei confronti dell’esercizio
successivo al pari dei crediti nei confronti dei clienti.
Inoltre, sempre secondo quanto indicato dal codice civile, le attività vanno iscritte al netto
delle eventuali “rettifiche di valore”.
Questo vale soprattutto per i beni di investimento a utilizzo pluriennale (macchine,
impianti) il cui controvalore non va iscritto a “valore storico” (cioè al prezzo del bene al
momento dell’acquisto) ma al valore reale o valore presunto di realizzo (inteso come
6 Art. 2424 bis c.c.: Disposizioni relative a singole voci dello stato patrimoniale.
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valore attuale che tiene conto della svalutazione del bene per effetto dell’uso e
dell’obsolescenza tecnologica).
Riportiamo a titolo esemplificativo lo schema principale dell’attivo previsto dal codice
civile, per dare un idea puntuale della tipologie di conti incluse nelle macroaree riportate
in tab.1.
Tab. 2
ATTIVO A) CREDITI VERSO SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI, CON SEPARATA INDICAZIONE DELLA
PARTE GIÀ RICHIAMATA B) IMMOBILIZZAZIONI :
I. Immobilizzazioni immateriali: 1) Costi di impianto e di ampliamento; 2) costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità; 3) diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno; 4) concessioni, licenze, marchi e diritti simili; 5) avviamento; 6) immobilizzazioni in corso e acconti; 7) altre. TOTALE
II. Immobilizzazioni materiali: 1) terreni e fabbricati; 2) impianti e macchinario; 3) attrezzature industriali e commerciali 4) altri beni; 5) immobilizzazioni in corso e acconti. TOTALE
III. Immobilizzazioni finanziarie, con separata indicazione, per ciascuna voce dei crediti, degli importi esigibili entro l’esercizio successivo: 1) partecipazioni in:
a) imprese controllate; b) imprese collegate; c) imprese controllanti; d) altre imprese;
2) crediti: a) verso imprese controllate; b) verso imprese collegate; c) verso controllanti; d) verso altri;
3) altri titoli; 4) azioni proprie, con indicazione anche del valore nominale complessivo. TOTALE TOTALE IMMOBILIZZAZIONI (B)
C) ATTIVO CIRCOLANTE:
I. Rimanenze: 1) materie prime, sussidiarie e di consumo; 2) prodotti in corso di lavorazione e semilavorati; 3) lavori in corso su ordinazione; 4) prodotti finiti e merci;
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5) acconti. TOTALE
II. Crediti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l’esercizio successivo: 1) Verso clienti; 2) verso imprese controllate; 3) verso imprese collegate; 4) verso controllanti; 5) verso altri. TOTALE
III. Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni: 1) partecipazioni in imprese controllate; 2) partecipazioni in imprese collegate; 3) partecipazioni in imprese controllanti; 4) altre partecipazioni; 5) azioni proprie, con indicazione anche del valore nominale complessivo; 6) altri titoli. TOTALE
IV. Disponibilità liquide: 1) Depositi bancari e postali; 2) assegni; 3) danaro e valori in cassa. TOTALE TOTALE ATTIVO CIRCOLANTE (C)
D) RATEI E RISCONTI, CON SEPARATA INDICAZIONE DEL DISAGGIO SU PRESTITI
In merito al passivo, la distinzione principale viene fatta tra capitale netto, fondi rischi ed
oneri, debiti. Tali raggruppamenti vengono distinti in base all’origine dei mezzi finanziari
utilizzati per acquisire il capitale investito o attivo patrimoniale, e in particolare a seconda
che si tratti di mezzi propri o mezzi di terzi.
La grande distinzione è quindi tra il capitale di finanziamento apportato dai soci sotto
forma di conferimenti o di accantonamento a riserva degli utili maturati nei diversi
esercizi, e il capitale di finanziamento apportato dai terzi, con particolare evidenza dei
finanziamenti apportati dai lavoratori sotto forma di “Fondo di Trattamento di Fine
Rapporto” e
Anche in questo caso, sempre per rispettare il principio della competenza “nella voce
ratei e risconti passivi devono essere iscritti i costi di competenza dell’esercizio esigibili
in esercizi successivi (ratei passivi) e i proventi percepiti entro la chiusura dell’esercizio
ma di competenza di esercizi successivi” (risconti passivi). Essi rappresentano di fatto,
una forma di debito di finanziamento che l’esercizio in corso ha nei confronti degli
esercizi futuri.
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Lo schema civilistico adottato per il passivo dello stato patrimoniale è riportato in tabella
3.
Tab. 3
PASSIVO
A) PATRIMONIO NETTO: I. Capitale
II. Riserva da sovrapprezzo delle azioni III. Riserve di rivalutazione IV. Riserva legale V. Riserva per azioni proprie in portafoglio
VI. Riserve statutarie VII. Altre riserve, distintamente indicate
VIII. Utili (perdite) portati a nuovo IX. Utile (perdita) dell’esercizio
TOTALE
B) FONDI PER RISCHI E ONERI: 1) per trattamento di quiescenza e obblighi simili;
2) per imposte; 3) altri.
TOTALE C) TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO D) DEBITI, CON SEPARATA INDICAZIONE, PER CIASCUNA VOCE, DEGLI IMPORTI ESIGIBILI OLTRE
L’ESERCIZIO SUCCESSIVO:
1) obbligazioni; 2) obbligazioni convertibili; 3) debiti verso banche; 4) debiti verso altri finanziatori; 5) acconti; 6) debiti verso fornitori; 7) debiti rappresentati da titoli di credito; 8) debiti verso imprese controllate; 9) debiti verso imprese collegate; 10) debiti verso controllanti; 11) debiti tributari; 12) debiti verso istituti di previdenza e di sicurezza sociale; 13) altri debiti.
TOTALE E) RATEI E RISCONTI CON SEPARATA INDICAZIONE DELL’AGGIO SU PRESTITI
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4. Il contenuto del Conto Economico: : schema civilistico
Il codice civile (art. 2425) indica le voci che devono essere inserite nel Conto Economico
secondo lo schema sintetizzato in tabella 4. Anche in questo caso, come per lo Stato
Patrimoniale, il legislatore interviene per far si che il bilancio dell’azienda risponda a
criteri di leggibilità e trasparenza al fine di permettere a terzi, siano essi finanziatori,
fornitori, clienti o soci potenziali, di valutare la consistenza patrimoniale, il grado di
solvibilità e la capacità di produrre reddito della stessa.
La struttura di Conto Economico (C.E.) illustrata dal codice adotta la classificazione dei
costi per natura, unitamente alla forma espositiva scalare.
Tale forma espositiva ha il pregio di fornire una serie di risultati parziali di notevole
valore informativo.
tab. 4 A) Valore della produzione
B) Costi della produzione
Differenza tra valore e costi della produzione
C) Proventi ed oneri finanziari
D) Rettifiche di valore di attività finanziarie
E) Proventi ed oneri straordinari
Risultato prima delle imposte
Imposte sul reddito
Utile (perdita) dell’esercizio
…………………..
…………………..
…………………..
…………………..
…………………..
…………………..
…………………..
…………………..
…………………..
Il primo risultato parziale previsto nello schema dettato dal codice civile è costituito dalla
differenza tra valore e costi della produzione, che rappresenta il risultato ottenuto dalla
gestione senza considerare né i componenti di reddito derivanti dalle gestioni finanziaria
e straordinaria, né le imposte sul reddito dell’esercizio.
Il secondo risultato parziale è rappresentato dal risultato prima delle imposte, che include
tutti i componenti di reddito derivanti dall’intera gestione aziendale, ad esclusione delle
sole imposte sul reddito.
Ed infine, l’utile (perdita) dell’esercizio che rappresenta il risultato netto finale, e che
viene anche iscritto nello Stato Patrimoniale tra le voci del patrimonio netto, in quanto
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valore di remunerazione del capitale investito dai soci per aver sopportato il rischio di
impresa.
Le indicazioni che il codice civile fornisce riguardo al comportamento da adottare in
relazione a determinate voci in esso contenute sono principalmente due:
- i ricavi e i proventi, i costi e gli oneri devono essere indicati al netto dei resi,
degli sconti, abbuoni e premi, nonché delle imposte direttamente connesse con la
compravendita dei prodotti e la prestazione dei servizi;
- i contributi in conto esercizio (finanziamenti Comunitari, Nazionali e Regionali
finalizzati ad abbattere i costi di gestione) devono essere imputati alla voce “altri
ricavi e proventi”.
Lo schema adottato dal legislatore italiano per il conto economico in recepimento della
cosiddetta IV Direttiva CE, che lo rende confrontabile a livello Comunitario è riportato in
tabella 5.
Tab. 5
CONTO ECONOMICO
A) Valore della produzione 1) ricavi delle vendite e delle prestazioni … 2) variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione,
semilavorati e finiti …
3) variazione dei lavori in corso su ordinazione … 4) incrementi di immobilizzazioni per lavori interni … 5) altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto
esercizio …
Totale … B) Costi della produzione
6) per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci … 7) per servizi … 8) per godimento di beni di terzi … 9) per il personale …
a) salari e stipendi … b) oneri sociali … c) trattamento di fine rapporto … d) trattamento di quiescenza e simili … e) altri costi …
10) ammortamenti e svalutazioni … a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali … b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali … c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni … d) svalutazione dei crediti compresi all’attivo circolante e delle disponibilità
liquide …
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11) variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci
…
12) accantonamenti per rischi … 13) altri accantonamenti … 14) oneri diversi di gestione …
Totale …
Differenza tra valore e costi della produzione (A - B) … C) Proventi e oneri finanziari
15) proventi da partecipazioni, con separata indicazione di quelli relativi ad imprese controllate e collegate
…
16) altri proventi finanziari … a) da crediti iscritti nelle immobilizzazioni, con separata indicazione di
quelli da imprese controllate e collegate e di quelli da controllanti …
b) da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non costituiscono partecipazioni
…
c) da titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni … d) proventi diversi dai precedenti, con separata indicazione di quelli da
imprese controllate e collegate e di quelli da controllanti …
17) interessi e altri oneri finanziari, con separata indicazione di quelli verso imprese controllate e collegate e verso controllanti
(…)
Totale (15 + 16 - 17) … D) Rettifiche di valore di attività finanziarie
18) rivalutazioni … a) di partecipazioni … b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni … c) di titoli iscritti all’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni …
19) svalutazioni (…) a) di partecipazioni (…) b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni (…) c) di titoli iscritti all’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni (…)
Totale delle rettifiche (18 - 19) … E) Proventi e oneri straordinari
20) proventi, con separata indicazione delle plusvalenze da alienazioni i cui ricavi non sono iscrivibili al n. 5)
…
21) oneri, con separata indicazione delle minusvalenze da alienazioni i cui effetti contabili non sono iscrivibili al n. 14), e delle imposte relative a esercizi precedenti
(…)
Totale delle partite straordinarie (20 - 21) … Risultato prima delle imposte (A - B +/- C +/- D +/- E) …
22) imposte sul reddito dell’esercizio (…)
Utile (perdita) dell’esercizio …
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5. Limiti del bilancio civile ai fini dell’analisi di gestione: la riclassificazione.
La struttura ed il contenuto del bilancio, così come dettati dal codice civile, hanno
l’obiettivo principale di rendere conto della gestione aziendale, relativamente ad un
determinato periodo amministrativo, nei confronti di quanti, soprattutto all’esterno
dell’azienda, siano interessati ad averne informazione (banche, finanziatori, enti pubblici,
ecc.); e a tale scopo il bilancio civile è idoneo.
La struttura dettata dal codice civile non è idonea, invece, a consentire l’analisi più
analitica dei fattori critici che hanno contribuito al raggiungimento del risultato finale di
gestione. Pertanto, diventa necessario compiere una operazione di “ristrutturazione del
bilancio” per conferirgli una nuova struttura, finalizzata all’analisi della gestione. Tale
operazione è denominata riclassificazione del bilancio7.
La riclassificazione del bilancio viene compiuta modificando con gli opportuni criteri
(che verranno descritti nei paragrafi successivi) la posizione delle voci che compongono
lo Stato Patrimoniale ed il Conto Economico, allo scopo di ottenere delle classi di valori
di bilancio sulle quali sia possibile impostare l’analisi per indici, e che abbiano la capacità
di descrivere il patrimonio e la gestione aziendale in modo più coerente con le esigenze
della Direzione Aziendale, cioè ottenere le informazioni necessarie per supportare quelle
decisioni che hanno maggiore impatto sul futuro dell’azienda.
Nonostante la riclassificazione dello Stato Patrimoniale aumenti la leggibilità a fini
gestionali dei dati presentati nella struttura prevista dal Codice Civile, è forse la
riclassificazione dei dati contenuti nel Conto Economico, quella che contribuisce
maggiormente all’arricchimento del nostro sistema informativo interno.
Quest’ultima, attraverso un processo di disaggregazione dei dati economici e di un
riaccorpamento degli stessi secondo logiche coerenti con l’archittetura organizzativa
prescelta dalla Direzione, rende disponibili informazioni utili a comprendere il contributo
che le diverse attività o processi interni e ed esterni (di mercato) hanno apportato alla
formazione del reddito complessivo dell’esercizio.
Nei paragrafi successivi, introdurremo le varie modalità di riclassificazione di un
bilancio, evidenziandone le differenze con il prospetto informativo previsto dalla
normativa civilistica. Di seguito analizzeremo i principali indici di analisi del
7 Carlo Caramiello, Indici di bilancio … op. cit..
17
riclassificato, per evidenziarne il valore informativo rispetto alla misurazione dei
principali indicatori di performance aziendali.
18
3. La riclassificazione dello Stato Patrimoniale
L’operazione di riclassificazione dello Stato Patrimoniale viene svolta allo scopo di
evidenziare la struttura finanziaria dell’azienda, ossia il modo in cui si compongono e si
rapportano tra loro gli impieghi di capitale, o investimenti, e le fonti di finanziamento.
L’analisi della struttura finanziaria consentirà poi di verificare l’esistenza o meno
dell’equilibrio finanziario della gestione.
Gli impieghi di capitale, corrispondenti al totale dell’attivo di Stato Patrimoniale,
rappresentano il fabbisogno finanziario dell’azienda in un dato momento (es. al 31/12);
mentre le fonti di finanziamento, corrispondenti al passivo, rappresentano i mezzi di
copertura di quel fabbisogno.
Per consentire il raffronto tra impieghi e fonti, e valutare l’adeguatezza dei mezzi di
copertura rispetto ai fabbisogni finanziari, diventa necessario riclassificare le voci dello
Stato Patrimoniale distinguendo gli elementi dell’attivo e del passivo in base ad un
criterio temporale. Come si è già potuto vedere nel capitolo precedente, si distingueranno
gli impieghi in base alla loro liquidità o liquidabilità (cioè al tempo loro necessario per
realizzarsi in moneta liquida), e le fonti in base alla loro esigibilità (ossia al tempo loro
necessario per giungere a scadenza ed essere rimborsate).
Per cui si avrà:
� da una parte, attività correnti (o circolanti) e attività consolidate (o fisse, o
immobilizzate);
� e dall’altra, passività correnti, passività fisse (o consolidate) e capitale netto.
La figura 1 descrive a grandi linee lo schema che lo Stato Patrimoniale riclassificato
dovrà assumere per mettere in evidenza la struttura finanziaria aziendale.
Tale schema espone le diverse classi di valori secondo il criterio di liquidità/esigibilità
decrescente8 (cioè dalle voci più liquide o esigibili a quelle che lo sono di meno); allo
stesso tempo, lo schema evidenzia la distinzione tra le fonti interne, rappresentate dal
capitale proprio, e le fonti esterne, rappresentate dal capitale dei terzi.
8 Il criterio della liquidità/esigibilità può essere usato sia in senso crescente (ordinando le voci dalla meno liquida o esigibile alla più liquida o esigibile) oppure in senso decrescente (dalla più liquida/esigibile alla meno liquida/esigibile).
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fig. 1 IMPIEGHI FONTI
PASSIVITÀ CORRENTI
ATTIVITÀ CORRENTI
PASSIVITÀ CONSOLIDATE
Capitale di Terzi (o Fonti esterne)
ATTIVITÀ CONSOLIDATE
CAPITALE NETTO
Capitale Proprio (o Fonti interne)
3.1 La riclassificazione dell’attivo
La gestione aziendale, osservata sotto l’aspetto finanziario, si svolge in un continuo
sistema di flussi monetari in entrata e in uscita, determinati dalle operazioni di riscossione
e pagamento di crediti e debiti commerciali, e dall’ottenimento e rimborso di
finanziamenti. Pertanto l’azienda, nel normale svolgimento della propria attività,
necessita di mezzi finanziari da destinare alla copertura del fabbisogno derivante dal
susseguirsi delle operazioni di gestione (per le quali è necessario realizzare investimenti e
sostenerne i costi). Tali mezzi di copertura vengono, in parte, generati dalla gestione, e
per il resto provengono dai finanziamenti esterni.
Il fabbisogno finanziario si viene a formare perché gli investimenti ed i costi (da cui
derivano uscite monetarie) precedono in senso temporale i ricavi di vendita (che
determinano le entrate monetarie).
Il fabbisogno rappresenta quindi l’ammontare dei mezzi finanziari di cui l’azienda deve
disporre in un dato momento per garantire lo svolgimento della gestione.
In questo senso il fabbisogno coincide con l’ammontare degli impieghi (o investimenti in
corso), cioè con la somma delle attività reali (beni materiali e immateriali) e delle attività
20
finanziarie (o mezzi finanziari: crediti, liquidità, ecc.) presenti nello Stato Patrimoniale
dell’azienda9.
Lo Stato Patrimoniale fornisce la misura del fabbisogno in un determinato istante della
vita dell’azienda (31/12), ma lo stesso fabbisogno muta continuamente per effetto delle
operazioni di gestione. Diventa perciò importante, individuare quale parte del fabbisogno
finanziario descritto dal bilancio è qualificabile come durevole (o di lungo periodo), e
quale invece deve essere considerata di breve periodo, in quanto quest’ultima sarà
soggetta (nel breve periodo) a variazioni del suo ammontare determinate dalle operazioni
di gestione10.
La quota di fabbisogno considerata durevole è rappresentata dalle attività consolidate,
cioè dalle immobilizzazioni (materiali, immateriali e finanziarie) e da tutte quelle voci
dell’attivo di Stato Patrimoniale destinati a rendersi disponibile in forma liquida nel lungo
periodo (cauzioni, crediti verso clienti con scadenza oltre l’anno, partecipazioni azionarie
o obbligazionarie, crediti in contenzioso ecc.).
I rimanenti valori dell’attivo invece costituiscono la parte di fabbisogno finanziario
soggetta a mutare nel breve periodo, e sono rappresentati dalle attività correnti.
In definitiva la riclassificazione dell’attivo patrimoniale seguirà il criterio di liquidità
decrescente, distinguendo:
� attività correnti :
o liquidità immediate,
o liquidità differite,
o rimanenze;
� attività consolidate:
o immobilizzazioni materiali,
o immobilizzazioni immateriali,
o immobilizzazioni finanziarie.
La distinzione tra gli elementi che andranno a costituire le due macro-componenti
dell’attivo riclassificato si basa esclusivamente sul criterio di liquidità, prescindendo dalla
9 I. Facchinetti, Le analisi di bilancio. Logica e metodologia delle analisi per margini, indici e flussi per la conoscenza della realtà aziendale, Il Sole 24 ORE, Milano, 2000. 10 I. Facchinetti, Le analisi di bilancio … op. cit..
21
terminologia impiegata per denominare le voci; per essere più chiari, prendiamo ad
esempio il raggruppamento “C) attivo circolante” individuato dallo schema civilistico (v.
tab 6), il quale non coinciderà col raggruppamento “attività correnti” (o circolanti) del
riclassificato, in quanto nella classe di voci individuata dal codice civile sono compresi
anche valori destinati a realizzarsi in moneta solo nel lungo periodo (ad esempio, crediti
verso clienti con scadenza oltre l’anno); inoltre, nell’attivo corrente riclassificato
dovranno essere inserite anche alcune voci facenti parte delle “immobilizzazioni” dello
schema civilistico (ad esempio, le immobilizzazioni finanziarie che si realizzeranno in
forma liquida entro l’anno).
La tabella 6 illustra il passaggio dallo schema dettato dal codice civile all’attivo
riclassificato, individuando la nuova posizione che le voci dovranno assumere.
Nel compiere la riclassificazione si dovranno distinguere le due parti e inserirle nei nuovi
raggruppamenti di valori.
tab. 6
Schema civilistico Attivo riclassificato
A) CREDITI VERSO SOCI, CON SEPARATA
INDICAZIONE DELLA PARTE RICHIAMATA
parte non ancora richiamata ----------------> ATTIVITÀ CONSOLIDATE: tra le immob.ni finanziarie
parte richiamata ----------------> ATTIVITÀ CORRENTI: tra le liquidità differite
B) IMMOBILIZZAZIONI
I. Immobilizzazioni immateriali ----------------> ATTIVITÀ CONSOLIDATE
II. Immobilizzazioni materiali ----------------> ATTIVITÀ CONSOLIDATE
III. Immobilizzazioni finanziarie, con separata indicazione degli importi esigibili entro l’esercizio successivo
crediti esigibili oltre l’esercizio ----------------> ATTIVITÀ CONSOLIDATE: tra le immob.ni finanziarie
crediti esigibili entro l’esercizio ----------------> ATTIVITÀ CORRENTI: tra le liquidità differite
C) ATTIVO CIRCOLANTE
I. Rimanenze ----------------> ATTIVITÀ CORRENTI: tra le rimanenze
II. Crediti, con separata indicazione degli importi esigibili entro l’esercizio successivo
crediti esigibili entro l’esercizio ----------------> ATTIVITÀ CORRENTI: tra le liquidità differite
22
crediti esigibili oltre l’esercizio ----------------> ATTIVITÀ CONSOLIDATE: tra le immob.ni finanziarie
III. Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni
----------------> ATTIVITÀ CORRENTI: tra le liquidità differite
IV. Disponibilità liquide ----------------> ATTIVITÀ CORRENTI: tra le liquidità immediate
D) RATEI E RISCONTI
Ratei e risconti annuali ----------------> ATTIVITÀ CORRENTI
Ratei e risconti pluriennali ----------------> ATTIVITÀ CONSOLIDATE
Dalla tabella 6 risulta chiara la distinzione che è necessario fare all’interno di ogni
raggruppamento dello schema civilistico, per poi riclassificare le singole parti in base al
grado di liquidità. Vediamo più in particolare i diversi “spostamenti” necessari per
passare da uno schema all’altro, e quali considerazioni stanno alla loro base:
- i crediti verso i soci per versamenti ancora dovuti riguardano quella parte di
capitale sottoscritta dai soci ma non ancora conferita all’azienda; la parte
richiamata di tali crediti deve essere considerata di breve periodo e quindi
compresa tra le attività correnti, sempre che l’epoca stabilita per il versamento
non cada oltre l’anno successivo; la parte non ancora richiamata deve essere
inserita tra le attività consolidate o, in alternativa portata in detrazione dal
capitale sociale;
- le immobilizzazioni materiali ed immateriali, essendo impieghi di lunga durata,
sono da inserire nell’attivo consolidato; per le immobilizzazioni finanziarie,
invece, bisogna distinguere la parte di breve periodo (cioè i crediti esigibili entro
l’anno successivo) da portare tra le attività correnti, dalla parte a lungo termine
(crediti esigibili oltre l’anno successivo) da attribuire alle attività consolidate;
- per quanto riguarda l’attivo circolante dello schema civilistico, le rimanenze, le
attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni e le disponibilità
liquide devono essere inserite tra le attività correnti; invece i crediti devono
essere distinti a seconda della durata, e conseguentemente assegnati all’attivo
corrente o consolidato;
- gli anticipi a fornitori (o acconti), che nei bilanci delle ditte individuali e nelle
società di persone possono essere iscritti tra i crediti, devono essere inseriti tra le
23
rimanenze o tra le attività consolidate a seconda che riguardino, rispettivamente,
l’acquisto di merci e materie oppure di immobilizzazioni;
- in considerazione dei lunghi tempi necessari per ottenere i rimborsi delle imposte
dirette e dell’Iva, i relativi crediti verso lo Stato andrebbero considerati tra le
attività consolidate, salvo il caso in cui il rimborso sia previsto con certezza entro
l’esercizio successivo;
- i crediti per cauzioni vanno generalmente compresi tra le attività consolidate,
salvo il caso in cui sia ragionevolmente prevedibile il loro rimborso nel breve
periodo;
- anche i ratei e i risconti attivi devono essere attentamente osservati, in modo da
distinguere la parte di breve da quella riferita al lungo periodo.
24
La figura 2 riepiloga la composizione dell’attivo riclassificato secondo il criterio di
liquidità decrescente.
fig. 2 IMPIEGHI FONTI
PASSIVITÀ CORRENTI
ATTIVITÀ CORRENTI
� liquidità immediate � liquidità differite � rimanenze (o
disponibilità)
PASSIVITÀ CONSOLIDATE
Capitale di Terzi (o Fonti esterne)
ATTIVITÀ CONSOLIDATE
� immob.ni materiali � immob.ni immat. � immob.ni finanz.
CAPITALE NETTO
Capitale Proprio (o Fonti interne)
3.2 La riclassificazione del passivo
Il fabbisogno finanziario, come abbiamo visto, si suddivide in una parte durevole (a lungo
termine) e una parte variabile (a breve temine). Il fabbisogno così espresso deve essere
coperto mediante il ricorso alle fonti di finanziamento. Una parte di tali fonti è costituita
dalle risorse generate per effetto della gestione, mentre la parte rimanente deve essere
reperita mediante il ricorso ai soci, che conferiscono il capitale di rischio, e ai terzi, da cui
provengono i capitali di debito. Questi ultimi sono rappresentati sia dai finanziamenti
diretti, derivanti dall’ottenimento di prestiti sul mercato finanziario, sia dai debiti di
fornitura o commerciali, derivanti dalla concessione di dilazioni di pagamento da parte
dei fornitori.
Sappiamo che l’ammontare delle fonti di finanziamento coincide con quello degli
investimenti (impieghi) che determinano il fabbisogno. Però, oltre a soddisfare l’aspetto
quantitativo, occorre fare in modo che esista anche una certa corrispondenza temporale
25
tra la durata degli impieghi e quella delle fonti di finanziamento. La copertura del
fabbisogno avviene perciò attraverso l’utilizzo di fonti a breve e a medio/lungo termine.
La conoscenza della durata delle fonti finanziarie è molto importante per l’azienda, in
quanto deve costantemente conservare l’equilibrio finanziario, facendo fronte al
pagamento dei debiti in scadenza.
La copertura del fabbisogno deve avvenire, da un lato, tenendo conto l’esigenza di
coordinare la scadenza delle fonti con quella degli impieghi e, dall’altro, di combinare in
modo adeguato le diverse categorie di fonti11.
Tendenzialmente i fabbisogni di lungo periodo determinati dalle immobilizzazioni
devono essere coperti da fonti finanziarie di lungo periodo (mezzi propri più altri
finanziamenti), così come i fabbisogni di breve periodo vanno coperti con debiti della
stessa durata (sia finanziari che di fornitura).
La riclassificazione delle passività dello Stato Patrimoniale, come già accennato, seguirà
il criterio di esigibilità decrescente, distinguendo:
� passività correnti,
� passività consolidate,
� capitale netto.
11 I. Facchinetti, Le analisi di bilancio … op. cit..
26
La tabella 7 illustra il passaggio dallo schema civilistico al passivo riclassificato.
tab. 7
Schema civilistico Passivo riclassificato
A) PATRIMONIO NETTO ----------------> CAPITALE NETTO
B) FONDI PER RISCHI ED ONERI
fondi per rischi ed oneri la cui scadenza è inferiore all’anno ----------------> PASSIVITÀ CORRENTI
fondi per rischi ed oneri la cui scadenza è superiore all’anno
----------------> PASSIVITÀ CONSOLIDATE
C) TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO DI LAVORO
SUBORDINATO ----------------> PASSIVITÀ CONSOLIDATE
D) DEBITI, CON SEPARATA INDICAZIONE DEGLI IMPORTI
ESIGIBILI OLTRE L’ESERCIZIO SUCCESSIVO
debiti esigibili entro l’esercizio ----------------> PASSIVITÀ CORRENTI
debiti esigibili oltre l’esercizio ----------------> PASSIVITÀ CONSOLIDATE
E) RATEI E RISCONTI
ratei e risconti annuali ----------------> PASSIVITÀ CORRENTI
ratei e risconti pluriennali ----------------> PASSIVITÀ CONSOLIDATE
In merito agli spostamenti evidenziati in tabella, si possono fare alcune considerazioni:
- gli eventuali fondi rischi ed oneri presenti tra le passività devono essere
attentamente esaminati per individuare quelli di essi costituiti per fare fronte ad
uscite monetarie che si verificheranno nell’esercizio successivo, e quelli che
invece daranno luogo ad uscite nel lungo periodo, in modo tale da includere i
primi tra le passività correnti ed i secondi tra le passività consolidate;
- il trattamento di fine rapporto deve essere attribuito alle passività consolidate,
salvo il caso in cui siano previsti, per l’esercizio successivo, dei
ridimensionamenti del personale dovuti a pensionamenti, dimissioni o
licenziamenti; in tal caso si dovrà stimare la parte di valore che si prevede dovrà
essere corrisposta nel breve periodo ed inserirla tra le passività correnti;
- tra i debiti devono essere distinti quelli che scadono nel breve periodo da quelli a
lungo termine e, conseguentemente, attribuiti alle passività correnti o consolidate;
quindi, alle passività correnti dovranno essere attribuite anche le quote di debiti a
27
lungo da rimborsate nell’esercizio successivo (ad esempio le rate in scadenza dei
mutui);
- gli anticipi versati dai clienti, generalmente compresi tra le passività correnti, in
alternativa possono essere portati in diminuzione del magazzino (attività
correnti);
- come già accennato altrove, le rettifiche di valore (fondi ammortamento, fondi
svalutazione credit, ecc.) eventualmente indicate nel passivo, devono essere
portate in diminuzione dei corrispondenti valori dell’attivo;
- i ratei e i risconti passivi devono essere distinti a seconda che siano da attribuire
alle passività correnti o consolidate; sono a breve i ratei e i risconti riferiti a costi
e ricavi riguardanti l’esercizio appena concluso e quello successivo, e sono a
lungo quelli riguardanti più esercizio successivi.
28
3.3 La struttura finanziaria e l’equilibrio finanziario
Una volta compiuta la riclassificazione dello Stato Patrimoniale, diventa possibile
evidenziare le caratteristiche della struttura finanziaria di una determinata azienda.
Abbiamo detto che essa descrive il modo in cui si compongono e si rapportano tra di essi
gli impieghi di capitale e le fonti di finanziamento. Graficamente la struttura finanziaria
di una generica azienda può essere rappresentata come in figura 3.
fig. 3 IMPIEGHI FONTI
PASSIVITÀ CORRENTI:
debiti a breve termine
ATTIVITÀ CORRENTI:
liquidità immediate, liquidità differite,
rimanenze
PASSIVITÀ CONSOLIDATE:
debiti a medio lungo termine
ATTIVITÀ CONSOLIDATE: immobilizzazioni
materiali, immateriali e finanziarie CAPITALE
NETTO: capitale sociale, riserve e utile
La struttura finanziaria di ogni azienda si caratterizza per la diversa dimensione relativa
degli aggregati di valore che la compongono.
A loro volta, questi dipenderanno dalle caratteristiche specifiche dell’azienda, quali:
dimensione, attività esercitata, struttura organizzativa, politiche commerciali, dimensione
relativa dei mezzi propri rispetto ai mezzi di terzi, ecc..
Un impresa di ristorazione, per esempio, presenterà un ammontare di liquidità differite
(crediti) molto contenuto, in quanto i propri clienti (consumatori finali) pagano al
momento della consumazione, senza che ci sia generazione di crediti commerciali; invece
un’azienda, cui viene affidata in appalto la gestione ed erogazione di determinati servizi
di interesse pubblico, probabilmente avrà tra i suoi impieghi un consistente ammontare di
29
crediti (anche di lungo periodo) nei confronti dell’ente appaltatore, dovuti ai lunghi tempi
di attesa necessari per ottenere i pagamenti. Di conseguenza le due aziende, avendo degli
impieghi con caratteristiche differenti, dovranno anche fare ricorso a differenti fonti di
finanziamento.
Dall’esame della struttura finanziaria possiamo verificare se sussistono in essa condizioni
di equilibrio finanziario. Abbiamo detto che tali condizioni sono soddisfatte quando la
gestione è in grado, sia nel breve che nel medio lungo periodo, di far fronte al pagamento
dei propri debiti al momento della loro scadenza, e allo stesso tempo di consentire la
copertura dei fabbisogni derivanti dalla normale prosecuzione delle attività aziendali.
Le condizioni ottimali di equilibrio necessitano, da un lato, che l’ammontare dei
finanziamenti sia pari all’ammontare degli investimenti; dall’altro, gli investimenti in
attività di lungo termine (immobilizzazioni) dovrebbero essere coperti da finanziamenti a
lunga scadenza, così come gli investimenti a breve da finanziamenti di pari durata.
In sostanza, è necessario sincronizzare il tempo di scadenza delle fonti con il tempo di
recupero degli impieghi12; in questo modo sarà possibile pagare i debiti in scadenza con i
mezzi derivanti dalla graduale trasformazione degli investimenti in forma liquida.
Tornando ai rapporti tra gli aggregati di valori della struttura finanziaria, possiamo dire
che:
I. le attività consolidate dovrebbero essere finanziate dalle passività consolidate più il
capitale netto (che insieme rappresentano l’ammontare delle fonti di medio/lungo
termine); infatti gli impieghi di lungo termine si ritrasformano in liquidità
disponibile, attraverso il meccanismo degli ammortamenti13, in tempi superiori
all’anno; quindi, se le fonti necessarie alla loro copertura avessero una scadenza
inferiore, l’azienda sarebbe impossibilitata ad affrontare i relativi pagamenti;
II. le attività correnti dovrebbero essere finanziate in prevalenza dalle passività
correnti; in caso contrario si creerebbe una situazione di liquidità fittizia, dovuta al
fatto che mentre gli impieghi correnti si trasformano in moneta nel breve periodo
12 Carlo Caramiello, Indici … op. cit. 13 Gli ammortamenti rappresentano un costo figurativo (cioè finanziariamente sostenuto negli anni precedente), che viene annualmente inserita in C.E. per recuperare la liquidità necessaria a ricostituire nel lungo periodo gli impianti e macchinari di sostituzione.
30
(creando liquidità), i debiti di copertura invece non devono essere ancora rimborsati
perché a lungo termine.
Tali considerazioni stanno alla base dell’analisi finanziaria per indici, finalizzata a
verificare l’adeguatezza delle relazioni tra impieghi e fonti di finanziamento, sia nel breve
che nel medio/lungo periodo attraverso indicatori sintetici.
31
4. Principali indici di analisi finanziaria
Una volta effettuata la riclassificazione dei valori dello Stato Patrimoniale, si può
procedere a effettuare l’analisi.
L’analisi per indici, come abbiamo detto all’inizio del capitolo, può essere svolta
attraverso la costruzione di indici-quozienti ed indici-differenze, questi ultimi detti anche
margini. I primi sono più utilizzati perché, fornendo valori relativi, consentono una
maggiore possibilità di confronto; i secondi però, anche se meno utilizzati, sono molto
importanti in quanto rappresentano la base logica dei primi.
I margini
L’analisi per margini si svolge attraverso il confronto tra i diversi raggruppamenti degli
impieghi e delle fonti, mettendo in evidenza degli indici-differenze in grado di dare
informazioni sulle caratteristiche della struttura finanziaria in un dato istante. I principali
di essi sono:
- margine di struttura (MS),
- capitale circolante netto (CCN),
- margine di tesoreria (MT).
fig. 4 IMPIEGHI FONTI
LIQUIDITÀ IMMEDIATE
PASSIVITÀ CORRENTI
LIQUIDITÀ DIFFERITE
MT (+)
CCN (+)
RIMANENZE
PASSIVITÀ CONSOLIDATE
MS (-)
ATTIVITÀ CONSOLIDATE
CAPITALE NETTO
32
La figura 4 rappresenta la struttura finanziaria di una generica azienda, con
l’evidenziazione grafica dei margini; la figura mostra il segno, positivo o negativo, che i
margini assumono nella situazione specifica delineata.
Il margine di struttura è rappresentato dalla differenza tra il capitale netto (CN) e le
attività consolidate o fisse (AF):
MS = CN - AF
Questo margine consente di dire se i mezzi propri (apporti dei soci) sono in grado di
finanziare il fabbisogno di lungo termine; la situazione ottimale si ha quando il margine è
positivo, poiché le immobilizzazioni sono finanziate da quella parte di fonti (capitale di
rischio) che non ha una scadenza. Se il suo valore è negativo vuol dire che una parte degli
investimenti fissi è finanziata dall’indebitamento nei confronti dei terzi; questa situazione
è da considerarsi normale, purché la differenza non sia troppo elevata e, soprattutto, sia
coperta dalle passività consolidate (indebitamento a lungo). La figura 5 illustra
graficamente il margine di struttura.
fig. 5 IMPIEGHI FONTI
Margine di Struttura
MS (-)
ATTIVITÀ CONSOLIDATE (AF)
CAPITALE NETTO (CN)
Per verificare che la copertura del fabbisogno di lungo periodo avvenga tramite l’utilizzo
di fonti a lungo termine si può ricorrere ad un’estensione di questo margine, detto
margine di struttura secondario (MSS), pari alla differenza tra le fonti di lungo termine
(capitale netto più passività consolidate) e le attività consolidate:
33
MSS = (CN + PF) - AF.
Perché la situazione finanziaria sia in condizioni di equilibrio, il margine di struttura
secondario deve essere positivo (figura 6).
fig. 6 IMPIEGHI FONTI
MSS (+)
ATTIVITÀ CONSOLIDATE
PASSIVITÀ CONSOLIDATE
+ CAPITALE
NETTO
Il capitale circolante netto è una grandezza molto usata nelle analisi finanziarie. È dato
dalla differenza tra le attività correnti (AC) e le passività correnti (PC):
CCN = AC - PC
dove le attività correnti, ricordiamo, sono date dalla somma delle liquidità immediate,
liquidità differite e delle rimanenze. Il suo valore è pari al margine di struttura secondario,
come risulta più evidente dalla figura 7.
fig. 7 IMPIEGHI FONTI
LIQUIDITÀ IMMEDIATE (LI)
+ LIQUIDITÀ
DIFFERITE (LD) +
RIMANENZE (RIM)
PASSIVITÀ CORRENTI
34
CCN (+)
MSS (+)
Dal punto di vista finanziario, il capitale circolante netto rappresenta la parte di
fabbisogno corrente finanziata dalle fonti a lungo termine. È bene che il valore del
capitale circolante netto sia positivo in quanto, in caso contrario le attività correnti
sarebbero inferiori alle passività a breve; ciò potrebbe condurre l’azienda in una
situazione di illiquidità (insufficienza di risorse liquide disponibili per far fronte ai
pagamenti delle passività in scadenza), con il conseguente aumento del rischio di
insolvenza.
Un indice ancora più severo per misurare il rischio di insolvenza della azienda è il
margine di tesoreria. Infatti nel valutare la capacità della azienda di assolvere alle
scadenze di pagamenti a breve (solitamente nel corso dell’esercizio) non teniamo conto
delle disponibilità (rimanenze) che sono quella parte di attivo circolante che più di altre
rischia di non trasformarsi in liquidità nel breve periodo.
Il margine di tesoreria è quindi dato dalla differenza tra le liquidità (immediate e
differite) e le passività correnti:
MT = (LI + LD) - PC.
In una situazione di equilibrio, il margine di tesoreria sarà positivo o uguale a zero; se è
negativo l’azienda si trova in una situazione di rischio finanziario in quanto, nel caso di
una richiesta di pagamento immediato dei debiti correnti, non sarebbe in grado di farvi
fronte, senza ricorrere alla smobilizzazione coatta delle immobilizzazioni o delle
disponibilità; La figura 8 rappresenta graficamente il margine quando è positivo.
fig. 8 IMPIEGHI FONTI
LIQUIDITÀ IMMEDIATE
PASSIVITÀ CORRENTI
35
+ LIQUIDITÀ DIFFERITE
MT (+)
Per avere una visione complessiva sullo stato di salute della struttura finanziaria
aziendale, sarebbe opportuno utilizzare i margini appena visti in modo congiunto.
Vediamo adesso quali situazioni si possono verificare a seconda dei valori che i tre
margini principali assumono contemporaneamente; consideriamo quindi: il margine di
struttura (MS), il capitale circolante netto (CCN) ed il margine di tesoreria (MT).
� MS (+), CCN (+), MT (+): se tutti i margini sono positivi, si tratta certamente
della situazione ideale, in quanto l’azienda ha un buon livello di capitalizzazione
ed una buona liquidità che le consente di evitare rischi di insolvenza; di
conseguenza avrà anche un’ottima capacità di reperimento di finanziamenti a
titolo di capitale di credito per finanziare il proprio sviluppo.
� MS (+), CCN (+), MT (-): in questo caso è negativo il solo margine di tesoreria;
si tratta di una situazione di scarsa liquidità con possibile rischio insolvenza, che
potrebbe essere dovuta a qualche difficoltà nella gestione delle entrate e delle
uscite monetarie o ad un eccessivo ricorso all’indebitamento a breve termine (il
che potrebbe anche comportare una certa incidenza degli oneri finanziari che
andrebbe a ripercuotersi sul reddito d’esercizio).
� MS (-), CCN (+), MT (+): solo il margine di struttura è negativo; la situazione
non è particolarmente critica anche se l’azienda si manifesta sottocapitalizzata, il
che può provocare qualche difficoltà di accesso al credito.
� MS (-), CCN (+), MT (-): solo il capitale circolante netto è positivo; come prima
l’azienda non è sufficientemente capitalizzata, ma in più si trova in situazione di
36
rischio di insolvenza; in questo caso si possono verificare notevoli difficoltà di
accesso al credito, unitamente ad una certa incidenza degli oneri finanziari;
� MS (-), CCN (-), MT (-): la situazione in cui tutti i margini sono negativi denota
uno squilibrio generale tra impieghi e fonti; l’azienda necessita di un incremento
dei mezzi propri, ma soprattutto deve cercare di convertire una parte delle
passività correnti in finanziamenti a lungo termine in modo da evitare problemi di
liquidità.
Gli indici-quozienti
Come abbiamo già accennato, l’analisi per indici-quozienti si basa sulla costruzione di
rapporti tra grandezze significative dello Stato Patrimoniale e del Conto Economico, ed è
maggiormente utilizzata dell’analisi per margini in quanto gli indici-quozienti (che da qui
in poi chiameremo semplicemente “indici”) consentono una maggiore possibilità di
effettuare confronti.
In generale nella costruzione degli indici si tende ad istituire delle “relazioni che abbiano
una logica aziendale, ossia un probabile legame di causa/effetto”14 rinvenibile tra gli
aggregati di valori su cui il quoziente viene calcolato; allo stesso tempo ogni indice deve
essere costruito puntando ad indagare uno specifico aspetto della realtà aziendale, allo
scopo di ottenere un’informazione complementare a quelle fornite dagli altri indici. In tal
modo sarà possibile delineare un quadro generale dello stato di salute dell’azienda,
raccogliendo le informazioni ottenibili attraverso l’utilizzo congiunto di più indici.
Nello specifico, gli indici di analisi finanziaria ci consentono di esaminare l’aspetto della
solidità dell’azienda e quello della sua liquidità.
� La solidità può essere intesa come la capacità dell’azienda di sopravvivere nel
lungo periodo e di svilupparsi in un contesto di forte dinamicità ambientale,
grazie alla sua capacità di adattamento; la solidità e adattabilità dell’azienda
dipendono principalmente:
o dall’adeguato equilibrio tra impieghi e fonti di finanziamento,
o nonché dal grado di indipendenza dell’azienda dai finanziatori esterni.
14 I. Facchinetti, Le analisi di bilancio … op. cit..
37
� La liquidità invece riguarda la capacità di far fronte agli impegni in modo
tempestivo e con i mezzi a propria disposizione; essa dipende principalmente da:
o un’adeguata struttura finanziaria (rapporto fonti/impieghi),
o e dalla velocità di ritorno (o realizzo) del capitale investito.
Esaminiamo ora l’aspetto della solidità finanziaria. Con riferimento all’analisi del
rapporto tra fonti e impieghi, possiamo impiegare due indici principali i quali, peraltro,
seguono la stessa logica dei margini visti in precedenza, secondo la quale gli investimenti
durevoli devono essere finanziati con fonti a lungo termine. Il primo di questi è l’indice di
copertura delle immobilizzazioni con fonti durevoli:
CN + PF AF
Esso rappresenta la trasformazione in quoziente del margine di struttura secondario,
quindi è dato dal rapporto tra la somma delle fonti di lungo termine (capitale netto più
passività consolidate) e le attività consolidate. Il grado di solidità finanziaria si presenta
soddisfacente quando il valore dell’indice è uguale o maggiore di 1, poiché in tal caso gli
investimenti di lungo periodo sono coperti interamente da fonti di uguale durata.
Se invece il suo valore è compreso tra 0 e 1 significa che parte degli investimenti fissi
sono finanziati da fonti a breve scadenza. Ovviamente non è tanto il valore dell’indice in
sé che deve essere considerato, quanto la sua evoluzione nel corso del tempo; perciò, se
l’indice è maggiore di 1 ma continua a diminuire da un anno all’altro, sarà necessario
prendere le opportune contromisure in merito. Per esempio, il valore dell’indice può
diminuire in periodi di crescita dimensionale dell’azienda (a causa dell’aumento delle
attività consolidate) se non si presta la dovuta attenzione nel reperimento delle fonti di
copertura dei nuovi investimenti; sarà quindi necessario rivedere le politiche finanziarie
nel caso in cui parte degli investimenti fissi siano stati coperti con fonti a breve, cercando
di convertire queste ultime in finanziamenti a lunga scadenza15.
15 L’attività finalizzata a convertire l’indebitamento a breve in forme di finanziamento a medio e lungo termine viene definita consolidamento del debito.
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Il secondo è l’indice di copertura delle immobilizzazioni con il capitale proprio (o indice
di autocopertura del capitale fisso):
CN AF
È dato dal rapporto tra capitale netto e attività consolidate, ed è di diretta derivazione del
margine di struttura. In questo caso la situazione può essere considerata positiva quando
l’indice presenta valori che si avvicinano ad 1, in quanto il capitale netto è vicino al
valore delle attività consolidate (margine di struttura positivo). Questo indice, in pratica,
fornisce un’informazione sul grado di capitalizzazione dell’azienda, il quale è bene che
sia tenuto sotto controllo in quanto da esso dipende in buona parte la capacità
dell’azienda di reperire nuovi finanziamenti nel mercato dei capitali, specie per la
copertura dei fabbisogni di lungo periodo.
Per quanto riguarda il grado di indipendenza dell’azienda dai terzi (secondo elemento da
cui dipende la solidità finanziaria), possiamo dire che se le fonti di finanziamento
costituite dai debiti verso i terzi sono eccessivamente elevate rispetto al totale del capitale
investiro, l’azienda è maggiormente esposta al rischio di richieste di rimborso immediato.
Un indice per valutare se esiste una corretta relazione tra fonti interne ed esterne è
costituito dall’indice di indipendenza finanziaria, che è dato appunto dal rapporto tra
mezzi propri (capitale netto) ed il totale delle fonti (capitale netto più passività
consolidate e correnti):
CN CN + PF + PC
Questo indice mostra in che misura il totale dei mezzi finanziari investiti nell’azienda è
rappresentato dai mezzi propri. Si parla di “indipendenza finanziaria” perché un basso
valore del rapporto indica un elevato indebitamento, il che comporta maggiori
condizionamenti dall’esterno ed una potenziale o effettiva limitazione della autonomia
gestionale dell’azienda16.
Non ci sono dei valori di riferimento in base ai quali poter affermare se la situazione si
presenta positivamente oppure no; ciò dipende dalla situazione specifica in cui l’azienda
16 G. Ferrero, F. Dezzani, P. Pisoni, L. Puddu, Le analisi di bilancio - Indici e flussi, Giuffrè, Milano, 1998.
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si trova e dall’ottimale rapporto tra mezzi propri e fonti di finanziamento che essa riesce
ad instaurare; in ogni caso, si tenga presente che quanto maggiore è l’indebitamento tanto
più consistenti saranno gli oneri finanziari che andranno a riflettersi sul risultato
economico della gestione. Ovviamente, il valore dell’indice va comunque monitorato
costantemente per poterne osservare e valutare l’evoluzione nel corso del tempo.
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Per quanto concerne l’aspetto della liquidità aziendale, abbiamo detto che esso dipende in
primo luogo, come per la solidità, dall’adeguatezza del rapporto tra fonti e impieghi e, in
secondo luogo, dalla velocità di realizzo degli investimenti aziendali.
In merito all’adeguatezza del rapporto tra fonti e impieghi di breve periodo, i due indici
maggiormente impiegati sono rappresentati dall’indice di disponibilità e dall’indice di
liquidità, derivanti entrambi da due margini visti in precedenza, ossia rispettivamente dal
capitale circolante netto e dal margine di tesoreria.
L’ indice di disponibilità è dato dal rapporto tra le attività correnti (liquidità immediate e
differite più rimanenze) e le passività correnti, ovvero:
LI + LD + RIM PC
Questo indice rappresenta la capacità dell’azienda di fare fronte al pagamento dei debiti
in scadenza entro l’anno con i mezzi già liquidi e con quelli trasformabili in liquidità
(realizzabili) nel breve periodo (crediti e rimanenze). Per dare un giudizio positivo allo
stato di liquidità dell’azienda, l’indice deve essere almeno maggiore di 1, ma non si può
dire a priori di quanto deve essere maggiore; ciò dipenderà dall’entità delle rimanenze
(che rappresentano la parte meno liquida delle passività correnti) e dalla loro velocità di
tramutarsi in moneta. Invece, possiamo dire che la situazione è sicuramente negativa, ed è
presente un rischio di insolvenza, quando l’indice è minore di 1.
Per integrare l’informazione fornita dall’indice di disponibilità, viene utilizzato l’indice di
liquidità (o quoziente di tesoreria), dato dal rapporto tra la somma delle liquidità e le
passività correnti:
LI + LD PC
L’indice di liquidità esprime la capacità dell’azienda di far fronte al pagamento dei debiti
correnti con le sole liquidità immediate e differite (moneta e crediti a breve). Si può
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affermare che il giudizio sulla liquidità è positivo se il valore dell’indice è maggiore di 1,
o tutt’al più leggermente minore. Se si rivela inferiore all’unità in misura rilevante,
l’azienda è in rischio di insolvenza.
Per quanto riguarda la velocità di realizzo, o di trasformazione in denaro, degli
investimenti aziendali, vengono presi in considerazione dei particolari indici, che sono
rappresentati dagli indici di durata e dagli indici di rotazione. Questi indici vengono
costruiti sulla base di rapporti tra valori di Stato Patrimoniale e di Conto Economico, e
vengono utilizzati perché, per avere una buona liquidità non è sufficiente avere un
adeguato rapporto tra impieghi e fonti, ma è anche necessario che gli investimenti
effettuati siano in grado di realizzarsi in moneta nel tempo più breve possibile.
Gli indici di durata vengono utilizzati per determinare il tempo medio necessario ad un
determinato elemento degli impieghi o delle fonti per convertirsi in moneta (crediti,
rimanenze, ecc.) o per giungere a scadenza (debiti) ed essere pagato.
Gli indici di rotazione consentono invece di determinare quante volte un determinato
elemento degli impieghi o delle fonti si è rinnovato nell’esercizio.
Tra i molteplici indici di questo tipo che è possibile costruire, prenderemo in
considerazione solo quelli riferiti alla durata e rotazione dei debiti verso i fornitori e dei
crediti verso i clienti, rinviando per approfondimenti ai numerosi testi presenti in
materia17.
L’indice di durata dei crediti verso i clienti, denominato tempo medio di incasso (o
giacenza media dei crediti), è dato dal rapporto tra i crediti verso i clienti ed il fatturato
giornaliero (fatturato complessivo diviso 365 giorni):
Crediti verso clienti Fatturato giornaliero
Essendo un indice di durata, ci dice quanti giorni trascorrono mediamente tra il momento
della vendita e quello dell’incasso, evidenziando la capacità dell’azienda nella riscossione
17 I. Facchinetti, Le analisi di bilancio. Logica e metodologia delle analisi per margini, indici e flussi per la conoscenza della realtà aziendale, Il Sole 24 ORE, Milano, 2000.; G. Ferrero, F. Dezzani, P. Pisoni, L. Puddu, Le analisi di bilancio - Indici e flussi, Giuffrè, Milano, 1998; G. Lo Martire, L'analisi di bilancio con la metodologia degli indici di gestione, FrancoAngeli, Milano, 2000; P. Mella, Indici di bilancio : guida alla procedura per l'analisi e il controllo della gestione aziendale, Il Sole 24 Ore, Milano, 1998; P. Pratali, Le analisi economico-finanziarie della gestione, FrancoAngeli, Milano, 1996.
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dei crediti. Un elevato tempo medio di incasso, a prescindere da quelle che possono
essere le sue cause gestionali (scarso potere contrattuale verso i clienti, presenza di crediti
inesigibili, o altro), dal punto di vista finanziario provoca, a parità di altre condizioni, un
aumento delle attività correnti, e quindi un maggior fabbisogno per il quale sono
necessarie maggiori fonti di copertura; inoltre, l’aumento delle fonti causa maggiori oneri
finanziari che si riflettono sul reddito netto di periodo. È quindi opportuno che il valore
dell’indice sia mantenuto il più basso possibile, cercando di ridurre le dilazioni concesse
ai clienti. Si tenga comunque in considerazione che il presente indice può risultare
inattendibile in presenza di sensibili fluttuazioni stagionali delle vendite; in tali casi sarà
necessario rilevare l’ammontare dei crediti in diversi periodi dell’anno (ad esempio
mensilmente), in modo tale da calcolarne l’ammontare medio durante l’esercizio
considerato.
L’ indice di rotazione dei crediti (o turnover dei crediti) è dato dal rapporto tra il fatturato
totale e i crediti verso i clienti:
Fatturato Crediti verso clienti
Ovviamente, lo stesso risultato si può ottenere dividendo i 365 giorni dell’anno per il
tempo medio di incasso. Questo indice ci dice quante volte i crediti verso i clienti si sono
rinnovati durante l’anno, quindi fornisce una misura della velocità di rotazione dei crediti.
Non è importante conoscere il valore assoluto dell’indice, quanto piuttosto il modo in cui
esso si modifica nel tempo.
L’indice di durata dei debiti verso i fornitori, denominato tempo medio di pagamento, è
dato dal rapporto tra i debiti verso i fornitori e gli acquisti giornalieri (acquisti
complessivi diviso 365 giorni):
Debiti verso fornitori Acquisti giornalieri
Questo indice esprime il numero medio di giorni intercorrenti tra l’acquisto dei fattori
produttivi ed il pagamento del relativo debito di fornitura. Il valore assunto
dall’indicatore, analogamente al precedente, può essere interpretato come parametro di
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giudizio sulle capacità di contrattazione dell’azienda nei confronti dei fornitori
(specialmente se tale valore viene confrontato con i valori medi del settore in cui
l’azienda opera). Un elevato tempo medio di pagamento, sempre che derivi da accordi
contrattuali di fornitura e non da situazioni di insolvenza, è un fatto positivo, poiché in tal
modo si utilizzano i debiti verso i fornitori come fonte di finanziamento per le attività
correnti, e si diminuisce il ricorso ad altre fonti più onerose. Anche in questo caso vale la
tessa considerazione fatta prima, in merito all’eventualità di forti fluttuazioni periodiche
degli acquisti.
Il corrispondente indice di rotazione dei debiti (o turnover dei debiti), è dato dal rapporto
tra l’ammontare totale degli acquisti dell’esercizio e i debiti verso i fornitori:
Acquisti Debiti verso fornitori
Anche in questo caso, lo stesso valore dell’indice si può ottenere calcolando il rapporto
tra i giorni dell’anno (365) ed il tempo medio di pagamento. Il presente indice esprime
una misura della velocità di rotazione dei debiti di fornitura.
È utile considerare congiuntamente i due indici di durata appena visti, il tempo medio di
incasso e il tempo medio di pagamento. Questi possono essere impiegati per impostare
una corretta politica di gestione finanziaria di breve periodo, attraverso la riduzione dei
fabbisogni correnti e delle relative fonti di copertura onerose. Se si tiene presente che:
- la diminuzione dei crediti commerciali determina la riduzione del fabbisogno
finanziario a breve, e
- l’aumento dei debiti di fornitura determina l’incremento delle fonti di copertura a
breve,
se ne trae la conclusione che, nel rapporto tra debiti e crediti, la situazione ottimale
consiste nel fare in modo che il tempo medio di incasso dei crediti sia minore del tempo
medio di pagamento dei debiti; in questo modo l’incasso dei crediti avviene prima della
scadenza dei debiti, e diventa possibile fronteggiare i pagamenti utilizzando per lo più i
flussi provenienti dagli incassi; di conseguenza si ottiene una riduzione nell’impiego di
fonti onerose per la copertura dei fabbisogni di breve periodo, e allo stesso tempo si
riduce il peso degli oneri finanziari sul reddito del periodo.
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5. La riclassificazione del Conto Economico
Abbiamo visto che la gestione aziendale opera in condizioni di equilibrio economico
quando il complesso dei ricavi conseguiti è sufficiente a garantire, oltre la copertura dei
costi di gestione, anche un soddisfacente margine di utile per la remunerazione dei fattori
apportati dai soci.
Conoscere unicamente il risultato finale dell’esercizio, però, non è sufficiente per
consentire un’accurata analisi e valutazione della gestione aziendale. Per capire se la
gestione aziendale è in grado o meno di mantenere condizioni di equilibrio economico nel
lungo periodo, è necessario conoscere gli elementi che hanno contribuito al suo risultato.
Per alcune imprese inoltre, ad esempio quelle costituite in forma cooperativa, sappiamo
che esistono dei limiti alla distribuzione degli utili tra i soci, coerentemente con le finalità
non lucrative di tale forma d’impresa. Conseguentemente l’utile d’esercizio non può
rappresentare per esse un indicatore di equilibrio economico, e a maggior ragione la
gestione dovrà essere indagata puntando ad osservare altri parametri di riferimento,
diversi dall’utile d’esercizio e più significativi di questo.
L’obiettivo della riclassificazione del Conto Economico consiste appunto nella
costruzione di parametri che consentano di osservare l’aspetto economico della gestione
aziendale da diversi punti di vista e che, allo stesso tempo, forniscono alla Direzione
importanti informazioni di supporto all’attività decisionale.
Per analizzare l’aspetto economico della gestione è necessario innanzitutto individuare le
diverse parti di cui essa si compone. Abbiamo già visto, nel precedente capitolo, che la
gestione può essere idealmente divisa in diverse aree di attività:
- la gestione caratteristica (o tipica, o operativa),
- la gestione finanziaria,
- la gestione extracaratteristica,
- la gestione straordinaria.
Ognuna di queste gestioni individua un certo tipo di operazioni aziendali, dalle quali
derivano costi e ricavi di diversa natura. Attraverso la riclassificazione, le voci presenti
nello schema civilistico di Conto Economico vengono riposizionate in modo tale da
formare dei gruppi distinti di costi e ricavi, che riflettano le operazioni compiute e il
risultato ottenuto dalle singole aree di gestione.
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Una volta individuati i componenti di reddito e i risultati attribuibili a ciascuna area di
gestione, diventa possibile rilevare il contributo apportato da ognuna di esse alla
formazione del reddito complessivo; ma soprattutto diventa possibile porre in evidenza il
risultato della gestione caratteristica, rappresentato dal reddito operativo, ed il processo
che ha portato alla sua formazione.
L’area caratteristica rappresenta il fulcro dell’attività svolta dall’azienda, pertanto
l’analisi economica della gestione deve essere focalizzata sul processo di formazione del
suo risultato. Come vedremo più avanti, sono diversi i metodi di indagine ed i criteri di
riclassificazione del Conto Economico finalizzati ad indagare le determinanti del reddito
operativo. Ognuno di questi criteri consente, in modo diverso, di osservare il processo di
formazione del reddito attraverso l’individuazione di una serie di risultati parziali di
grande valore informativo, che aiutano a capire come si è prodotto il risultato finale.
Per quanto riguarda il contributo apportato alla formazione del reddito d’esercizio dalle
singole aree di gestione, la tabella 8 rappresenta sinteticamente il Conto Economico
riclassificato distinguendo i componenti di reddito a seconda delle aree da cui derivano.
L’obiettivo principale di questo schema è quello di evidenziare i risultati delle singole
gestioni, e al tempo stesso depurare il risultato della gestione caratteristica dai costi e
ricavi non tipici.
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Tab. 8
CONTO ECONOMICO RICLASSIFICATO PER AREE DI GESTIONE
Fatturato ……………..
- Costi della gestione caratteristica ……………..
= Reddito operativo …………….. ……………..
+ Proventi finanziari ……………..
- Oneri finanziari ……………..
= Saldo della gestione finanziaria …………….. ……………..
+ Proventi extracaratteristici ……………..
- Oneri extracaratteristici ……………..
= Saldo della gestione extracaratteristica …………….. ……………..
+ Proventi straordinari ……………..
- Oneri straordinari ……………..
= Saldo della gestione straordinaria …………….. ……………..
= Reddito ante imposte ……………..
- Imposte d’esercizio ……………..
= Reddito netto …………..
I singoli risultati sono rappresentati da:
� reddito operativo, il quale misura la capacità dell’azienda di compiere la propria
mission conservando capacità di ottenere una remunerazione significativa
dall’esercizio dell’attività. Questo parametro misura la nostra capacità di gestire
in maniera efficiente e professionale il nostro business e di valorizzare nel lungo
periodo le nostre attività sul mercato di riferimento. In sintesi ci dice quanto
siamo bravi a fare il nostro lavoro e in che misura riusciamo ad ottenere dal suo
esercizio adeguate gratificazioni economiche. Il dato si ottiene dalla differenza
tra i ricavi ed i costi derivanti dall’attività caratteristica dell’azienda (acquisizione
dei fattori produttivi, trasformazione e vendita di beni e servizi e gestione dei
servizi ausiliari). Se ad esempio la nostra azienda operasse nel settore del servizi
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di consulenza ambientali , il reddito operativo sarebbe un indicatore della nostra
capacità di gestire in maniera efficiente e competitiva i processi di acquisizione,
gestione e controllo di commesse inerenti la consulenza in materia ambientale.
� saldo delle gestione finanziaria, dato dalla differenza tra proventi ed oneri di
natura finanziaria, derivanti, i primi, dalla gestione delle liquidità (ad esempio
interessi attivi bancari) e, i secondi, dell’acquisizione dei finanziamenti esterni
(interessi passivi sui mutui o sulle aperture di credito). In questo caso, il risultato
non dipende dalla nostre capacità professionali connaturate al nostro business, ma
da competenze tipicamente imprenditoriali quali: a) la capacità di selezionare le
fonti finanziarie più convenienti; b) l’efficienza nella gestione del credito; c) la
possibilità della proprietà di conferire capitale di rischio o di attrarre nuovi soci;
d) ultima, ma non meno importante, la capacità di attivare i canali di finanza
agevolata che, soprattutto nelle aree del mezzogiorno d’Italia, hanno influenzato
notevolmente lo sviluppo delle aziende più intraprendenti e capaci di cogliere le
innumerevoli opportunità offerte dalla legislazione corrente.
� saldo della gestione extracaratteristica o patrimoniale, che rappresenta la
differenza tra proventi ed oneri derivanti da quelle operazioni non strettamente
attinenti alla gestione caratteristica o finanziaria ma riconducibili alla gestione del
nostro patrimonio (ad esempio costi e ricavi derivanti dalla gestione di immobili
non impiegati nell’attività operativa, le plusvalenze o le minusvalenze derivanti
dalla cessione di un macchinario da sostituire; etc); Questa gestione può
presentare valori molto significativi per quelle aziende che gestiscono patrimoni
significativi, ma risulta meno rilevante per piccole aziende che svolgono attività
di erogazione servizi, i quali solitamente non richiedono grandi investimenti in
attività patrimoniali fisse.
� saldo della gestione straordinaria, dato dalla differenza tra proventi ed oneri
straordinari, cioè derivanti da operazioni di gestione non riconducibili alla
gestione tipica dell’azienda ed aventi carattere di contingenza (ad esempio gli
oneri per i danni derivanti da un incendio; gli ammanchi di merce; o
finanziamenti occasionali in conto esercizio ecc.).
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La capacità informativa del reddito netto è sicuramente insufficiente a compiere una
valutazione approfondita della capacità dell’azienda di garantire un discreto livello di
redditività al capitale investito.
In un ottica di lungo periodo, il reddito operativo ha un valore sicuramente superiore, in
quanto fornisce informazioni più appropriate sulla capacità competitiva dell’azienda nel
gestire la sua attività caratteristica.
Un giudizio sulla gestione basato soltanto sul reddito complessivo dell’esercizio, potrebbe
essere non solo limitativo, ma a volte addirittura fuorviante.
Vediamo in proposito il seguente esempio numerico.
tab. 9
Reddito operativo - 1.500
+ PROVENTI FINANZIARI 100
- ONERI FINANZIARI 500
Saldo della gestione finanziaria - 400 - 400
+ PROVENTI STRAORDINARI 2.300
- ONERI STRAORDINARI 150
Saldo della gestione straordinaria 2.150 2.150
= Reddito ante imposte 250
- IMPOSTE D’ESERCIZIO 100
= Reddito netto 150
Osservando la tabella 11 risulta chiaro come il giudizio sulla gestione possa cambiare
notevolmente a seconda delle informazioni disponibili: basandosi unicamente sul reddito
netto (+ 150) si potrebbe pensare che la situazione sia positiva; invece, grazie alla
riclassificazione dei dati è stato possibile evidenziare che la positività del reddito netto
non deriva dal buon andamento della gestione caratteristica, come risulta dal valore del
reddito operativo (- 1.500), ma è dovuta al valore particolarmente elevato dei proventi
straordinari, quindi ad una situazione che probabilmente non si ripeterà a lungo. Tali
situazioni si possono presentare, per esempio, nei casi in cui l’azienda ottiene dei
contributi in conto esercizio; detti contributi producono l’effetto di influenzare il risultato
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finale, ma non corrispondono a valori creati per effetto della gestione caratteristica; un
altro esempio può essere rappresentato dalla vendita di un immobile di proprietà
dell’azienda, ma anche in questo caso si tratta di un’operazione di gestione straordinaria
(sempre che non si stia osservando il bilancio di un’azienda che opera nel settore
immobiliare).
Un reddito negativo per un periodo prolungato della gestione operativa, potrebbe
significare che l’azienda non è in grado di svolgere in modo economicamente
vantaggioso la propria attività caratteristica. Una tale situazione è generalmente
sostenibile solamente per brevi periodi di tempo, anche quando, in presenza di un
risultato positivo delle gestioni finanziaria e straordinaria, continui a sussistere un reddito
netto positivo. Bisogna, nonostante un risultato complessivamente positivo, cogliere il
segnale di allarme che deriva dalla scomposizione del dato globale.
Essendo il reddito operativo il parametro più significativo, tra quelli finora visti, per
valutare la capacità dell’azienda di mantenere condizioni di equilibrio economico,
diventa indispensabile osservare in modo più approfondito i componenti che determinano
il suo risultato, nonché il processo che porta alla sua formazione.
È possibile distinguere tre principali criteri di riclassificazione del Conto Economico,
ognuno dei quali si differenzia per le modalità che vengono impiegate nel raggruppare in
classi distinte i costi e i ricavi della gestione caratteristica. Ogni criterio rappresenta
infatti un modo diverso di analizzare le determinanti del reddito operativo, mentre tutti
adoperano gli stessi termini di distinzione delle altre aree di gestione. I tre criteri sono:
- la riclassificazione a ricavi e costo del venduto;
- la riclassificazione a valore aggiunto;
- la riclassificazione a margine lordo di contribuzione.
Ognuno di questi criteri persegue obiettivi informativi differenti; di conseguenza, la scelta
di un criterio piuttosto che di un altro deriva dal tipo di informazioni che si vogliono
ottenere.
Ogni criterio, inoltre, si differenzia per il tipo di classificazione dei costi aziendali cui fa
riferimento; in particolare, il primo criterio distingue i costi in relazione alla funzione
aziendale che li origina, il secondo li distingue in base alla provenienza dei fattori (interna
o esterna), ed il terzo in base alla loro struttura (fissa o variabile).
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Nei paragrafi successivi vedremo i tre criteri indicati, le specifiche informazioni ottenibili
tramite il loro impiego, e i dati necessari per il loro utilizzo.
Riclassificazione del Conto Economico “a ricavi e costo del venduto”
Il presente criterio di riclassificazione, come abbiamo già detto, ricostruisce il processo di
formazione del reddito operativo basandosi sulla distinzione dei costi per funzione.
La tabella 10 riporta lo schema di CE riclassificato secondo tale criterio.
Lo schema mette in evidenza diversi aggregati di valori, la cui somma algebrica produce
alcuni risultati parziali (margini), che fondamentalmente servono ad evidenziare
l’incidenza economica delle diverse funzioni organizzative sul risultato della gestione
operativa tipica;
Tab. 10
RICLASSIFICAZIONE “ A RICAVI E COSTO DEL VENDUTO ” +A FATTURATO NETTO; XXXXXX - B COSTO DEL VENDUTO: + Rimanenze iniziali …………….. + Acquisti materie prime e materiali di consumo …………….. - Rimanenze finali …………….
B1 Costo del Consumato yyyyyyy + Energia …………….. + Affitti passivi …………….. + Servizi …………….. + Manutenzioni …………….. + Personale di produzione …………….. + Ammortamenti di produzione …………….. B2 Costi di Trasformazione yyyyyyy ……………..
(B1 + B2) Totale costo del venduto …………….. YYYYYYY
= C =MARGINE LORDO DI PRODUZIONE (A-B) Marg. 1°livello
- COSTI COMMERCIALI + Viaggi e trasferte …………….. + Pubblicità e promozioni …………….. + Provvigioni …………….. + Personale commerciale …………….. + Ammortamenti …………….. + …… ……………..
D -Totale costi commerciali …………….. VVVVVVV - COSTI AMMINISTRATIVI E GENERALI + Cancelleria e stampati …………….. + Valori bollati ……………..
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+ Postali e Telefoniche …………….. + Personale di amministrazione …………….. + Ammortamenti …………….. + …… ……………..
E -Totale amministrativi e generali …………….. AAAAAAAAA
F = Margine operativo (C-D-E) RO
+ PROVENTI FINANZIARI …………….. - ONERI FINANZIARI ……………..
G) Saldo della gestione finanziaria …………….. …………….. + PROVENTI STRAORDINARI …………….. - ONERI STRAORDINARI ……………..
E ) Saldo della gestione straordinaria …………….. ……………..
= H =Reddito ante imposte (F-G-E) R.A.I.
I) - IMPOSTE D’ESERCIZIO ……………..
L = Reddito Netto R.N.
I risultati parziali (più il risultato complessivo) individuati dal riclassificato sono:
- il risultato lordo di produzione,
- il reddito operativo,
- il reddito ante imposte,
- il reddito netto.
Vediamo ora come tali risultati si vengono a formare.
Lo schema inizia dal valore del fatturato netto, il quale è composto dalla sommatoria dei
soli ricavi di vendita della gestione caratteristica (al netto di eventuali sconti, abbuoni,
ecc.).
Dal fatturato si deve sottrarre in primo luogo il costo del venduto, rappresentato dalla
somma di due classi di costo:
costi di acquisto delle materie prime (costo del consumato) utilizzate in via diretta nel
processo di creazione del prodotto o di erogazione del servizio dei beni. Per una attività
di ristorazione essi sono rappresentati dal valore delle materie prime utilizzate per
elaborare le pietanza servite.
costi di trasformazione; questa categorie comprende tutti quei costi diretti o indiretti
finalizzati all’erogazione del servizio o alla trasformazione delle materie prime in
prodotto finito. I costi del personale di produzione (camerieri, cuochi, lavapiatti, cassiere,
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etc), costi di utenze energetiche (illuminazione locale, condizionamento, gas per le
cucine), i costi per servizi ( assistenza esterna per la manutenzione ordinaria e
straordinaria delle macchine e impianti di cucina e di sala, servizio lavaggio biancheria,
servizio di guardavia notturna) acquisti di produzione (divise camerieri, acquisto
detersivi, acquisti materiale di manutenzione, gli ammortamenti di macchinari e impianti
usati in produzione, gli affitti inerenti i locali destinati alla sola attività produttiva; ecc..
Dalla differenza tra fatturato e costo del venduto si ottiene il primo risultato parziale,
rappresentato dal risultato lordo di produzione o margine di produzione, che ci indica
quale margine rimane a disposizione dell’azienda dopo aver remunerato i fattori di
produzione A scalare, vengono dedotti i costi inerenti le altre funzioni aziendali,
anch’esse facenti parte della gestione caratteristica: costi commerciali, costi
amministrativi e costi generali.
I costi commerciali includono: spese per viaggi e trasferte, per pubblicità e promozioni,
costi del personale commerciale, ammortamenti automezzi commerciali, ecc.. I costi
amministrativi e generali: spese postali e telefoniche, costi per cancelleria e stampati, per
il personale amministrativo, ammortamenti per i beni strumentali d’amministrazione,
costi iscrizione ad associazione di categoria, ecc..
Si giunge così a determinare il reddito operativo.
Il criterio di riclassificazione a ricavi e costo del venduto non presenta particolari
difficoltà di applicazione, a patto che il sistema di contabilità impiegato dalla specifica
azienda sia messo in grado di fornire i dati di costo distinti per funzione. Questo comporta
un lavoro a monte, fatto da chi governa il sistema informativo per personalizzazione il
piano dei conti aziendale, al fine di includere tutti quei sottoconti che permetteranno, al
contabile di turno, di scomporre le registrazioni dei fatti gestionali in coerenza con
l’architettura organizzativa della società.
Nella pratica, se un azienda è organizzata per funzione, è corretto che il conto “costo del
personale” sia suddiviso in tanti sottoconti quante sono le funzioni aziendali. In questo
modo, quando il nostro contabile dovrà registrare gli stipendi maturati dal personale, non
farà l’errore di aggregare l’intero importo nella voce “Salari e stipendi”, ma si
organizzerà per scomporla in Salari personale Produzione, Stipendi personale Acquisti,
Stipendi personale commerciale etc.
I vantaggi di questo schema di riclassificazione sono sostanzialmente due.
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Ci aiuta a costruire uno storico dei costi di ciascuna funzione, utile soprattutto a
supportarci nel processo di pianificazione strategica ed in particolare nell’elaborazione
dei budget preventivi.
La distinzione dei costi nell’ambito della gestione caratteristica, inoltre, ci consente di
evidenziare l’incidenza delle diverse funzioni sul fatturato, allo scopo di monitorarne
l’andamento nel corso del tempo (su più esercizi), e di confrontarla con i valori delle
imprese appartenenti allo stesso settore e aventi caratteristiche organizzative similari.
Tale schema separa in maniera netta i costi attribuibili ad ogni funzione, dando quindi la
possibilità di esprimere dei giudizi circa le loro condizioni di efficienza (o inefficienza)
operativa, anche ai fini del controllo di gestione.
Si tratta quindi di uno strumento in grado di supportare l’analisi dell’equilibrio
economico sotto il profilo della capacità della gestione di produrre reddito (sia operativo
che globale), nonché sotto il profilo dell’efficienza nella conduzione delle diverse aree
aziendali (sia caratteristiche - funzione produttiva, commerciale, amministrativa - che non
caratteristiche). Attraverso la determinazione dei loro risultati infatti, è possibile
analizzare le performance ottenute dai diversi centri operativi aziendali e dai loro
responsabili.
Riclassificazione del Conto Economico “a valore aggiunto”
L’obiettivo di questo criterio di riclassificazione consiste nel determinare il maggior
valore che l’azienda, attraverso la sua attività, è stata capace di aggiungere (quindi di
realizzare) rispetto al valore dei beni e servizi acquisiti dall’esterno durante il periodo
amministrativo trascorso.
Tale maggior valore, o valore aggiunto, deriva quindi dal contributo apportato dai
seguenti fattori:
- il lavoro che è stato necessario per realizzare prodotti e servizi;
- il consumo dei beni strumentali;
- il capitale preso a prestito dai terzi e quello conferito dai soci;
Per la riclassificazione del Conto Economico secondo tale criterio, è necessario fare
riferimento alla distinzione tra costi esterni e costi interni:
- i costi esterni rappresentano i costi sostenuti per l’utilizzo di beni e servizi
acquistati all’esterno, quali merci, materie, servizi, energia, ecc.;
54
- i costi interni invece sono i costi relativi all’utilizzazione dei fattori produttivi
interni, cioè: personale, beni strumentali e capitali.
La distinzione tra costi esterni ed interni viene fatta in quanto il valore aggiunto prodotto
dall’azienda è dato dalla differenza tra i ricavi netti di vendita ed i costi esterni della
gestione caratteristica; per essere più precisi si dovrebbe parlare di differenza tra il valore
della produzione dell’esercizio e i costi esterni (tale precisazione non è necessaria per le
aziende di servizi, le quali, non potendo produrre per il magazzino, producono ciò che
vendono).
La tabella 12 riporta lo schema di riclassificazione a valore aggiunto.
I risultati parziali (più quello complessivo) individuati dal presente schema sono:
- il valore della produzione,
- il valore aggiunto,
- il reddito operativo,
- il reddito ante imposte,
- il reddito netto.
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- Tab. 11
RICLASSIFICAZIONE “ A VALORE AGGIUNTO ”
FATTURATO NETTO …………….. + Rimanenze finali di prodotti …………….. - Rimanenze iniziali di prodotti ……………..
= VALORE DELLA PRODUZIONE ……………..
- COSTI ESTERNI DI PRODUZIONE + Rimanenze iniziali di merci e materie …………….. + Acquisti di merci e materie …………….. + Affitti passivi …………….. + Servizi …………….. - Rimanenze finali di merci e materie ……………..
Totale costi esterni di produzione …………….. …………….. - COSTI ESTERNI COMMERCIALI + Pubblicità e promozioni …………….. + …… ……………..
Totale costi esterni commerciali …………….. …………….. - COSTI ESTERNI AMMINISTRATIVI E GENERALI + Cancelleria e stampati …………….. + Telefoniche …………….. + …… ……………..
Totale costi esterni amm.vi e gen.li …………….. ……………..
= VALORE AGGIUNTO ……………..
- COSTO DEL PERSONALE + Personale di produzione …………….. + Personale commerciale …………….. + Personale amministrativo ……………..
Totale costi del personale …………….. …………….. - AMMORTAMENTI + Ammortamenti di produzione …………….. + Ammortamenti area commerciale …………….. + Ammortamenti area amministrativa ……………..
Totale ammortamenti …………….. ……………..
= Reddito operativo ……………..
+ PROVENTI FINANZIARI …………….. - ONERI FINANZIARI ……………..
Saldo della gestione finanziaria …………….. …………….. + PROVENTI STRAORDINARI …………….. - ONERI STRAORDINARI ……………..
Saldo della gestione straordinaria …………….. ……………..
= Reddito ante imposte ……………..
- IMPOSTE D’ESERCIZIO ……………..
= Reddito netto …………..
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Lo schema inizia indicando il valore del fatturato netto, al quale viene sommata
algebricamente la variazione delle rimanenze di prodotti finiti. In tal modo si ottiene il
primo dei risultati parziali indicati, il valore della produzione; si tenga comunque
presente che, come già accennato, le aziende di servizi non hanno rimanenze di prodotti,
perciò il fatturato netto e il valore della produzione nel loro caso coincidono.
Dal valore della produzione dell’esercizio si sottraggono tutti i costi relativi ai beni e
servizi acquisiti dall’esterno (costi esterni), e che ovviamente siano imputabili alla
gestione caratteristica, ottenendo così il valore aggiunto.
Il valore aggiunto, come già accennato, misura l’incremento di valore che l’azienda, con
la propria attività e struttura (formata da lavoro, impianti e capitale), realizza rispetto ai
fattori produttivi acquisiti dall’esterno18; oppure, da un altro punto di vista potremmo dire
che il valore aggiunto indica la parte di produzione o di fatturato che, una volta coperti i
costi esterni, serve per coprire i costi interni più gli oneri delle aree di gestione non
tipiche.
Sottraendo dal valore aggiunto i costi interni attinenti alla gestione caratteristica, cioè i
costi del personale e gli ammortamenti, si ottiene il reddito operativo.
Con riferimento al reddito operativo, ai saldi delle gestioni finanziaria e straordinaria, e
agli altri risultati parziali, valgono le stesse considerazioni fatte per il precedente criterio
di riclassificazione, in quanto tali parametri rimangono invariati.
Il criterio di riclassificazione a valore aggiunto viene utilizzato principalmente per
valutare la capacità della gestione aziendale di generare redditi e remunerare
adeguatamente i fattori produttivi utilizzati. Le condizioni di equilibrio economico
dell’impresa, infatti, non sono riconducibili unicamente alla sua capacità di produrre
reddito (condizione comunque necessaria), ma anche alla sua capacità di sopravvivere nel
tempo e di svilupparsi. Queste capacità sono strettamente legate al conveniente rapporto
che l’azienda riesce ad instaurare con i propri clienti e con coloro che apportano i fattori
produttivi di base (lavoro e capitali). Perché l’azienda possa durare nel tempo e
svilupparsi, è necessario che lavoro e capitali impiegati vengano attratti stabilmente
nell’economia dell’impresa, e a tale scopo devono essere adeguatamente remunerati19.
18 Carlo Caramiello, Indici … op. cit.. 19 F. Cescon, L’analisi finanziaria nella gestione aziendale. Teoria, strumenti, applicazioni, UTET Libreria, Torino, 1995.
57
In tal senso il valore aggiunto rappresenta un parametro di riferimento utile per osservare
la capacità dall’azienda di generare risorse sufficienti a consentire una adeguata
remunerazione dei portatori di lavoro e capitale (di rischio e di credito).
In definitiva, il valore aggiunto rappresenta la ricchezza prodotta dall’azienda e destinata
ad essere distribuita per la remunerazione dei fattori produttivi “interni” e per sostenere lo
sviluppo. Il valore aggiunto dovrà quindi essere tale da coprire:
- le retribuzioni e i compensi per il lavoro, sia operativo (dipendenti e
collaboratori), che direzionale (anche l’imprenditore o i soci, che svolgono
attività direzionale, devono essere remunerati per il loro lavoro);
- gli ammortamenti dei beni strumentali;
- le remunerazioni dei capitali, rappresentati dagli interessi sui debiti per il capitale
di terzi, e dagli utili distribuiti per il capitale proprio;
- le imposte da destinare alla pubblica amministrazione;
- ed infine, la parte di utili non distribuita e reinvestita per migliorare la solidità
aziendale e per finanziare lo sviluppo.
Dal punto di vista del sistema informativo aziendale, esso ci fornisce, oltre al valore
aggiunto, inoltre alcuni valori aggregati che non si ritrovano negli altri schemi di
riclassificazione, quale il costo complessivo del personale, il costo complessivo degli
ammortamenti e canoni di locazione, il valore effettivo della produzione dell’anno.
Riclassificazione del Conto Economico “a margine lordo di contribuzione”
Questo criterio di riclassificazione si basa sulla distinzione tra costi variabili e costi fissi,
allo scopo di evidenziare il “margine lordo di contribuzione” totale dell’azienda.
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, in merito alle classificazioni di costo e al
loro impiego nei processi decisionali, il margine lordo di contribuzione (o più
semplicemente margine di contribuzione) è dato dalla differenza tra i ricavi netti e i costi
variabili di produzione e vendita (riferiti ovviamente alla gestione caratteristica). Esso
esprime la capacità della gestione operativa di contribuire alla copertura dei costi fissi e
dell’utile operativo, una volta coperti i costi variabili di produzione e vendita.
La seguente tabella 13 riporta lo schema di riclassificazione del Conto Economico a
margine lordo di contribuzione, evidenziando i risultati parziali che lo caratterizzano.
58
tab. 12
RICLASSIFICAZIONE “ A MARGINE LORDO DI CONTRIBUZIONE FATTURATO NETTO …………….. - COSTI VARIABILI +Rimanenze iniziali …………….. + Acquisti di merci e materie …………….. + Costi del personale direttamente impiegato …………….. + Altri costi variabili di produzione …………….. + Carburanti per trasporto …………….. + Provvigioni …………….. + Altri costi variabili commerciali …………….. + …… …………….. - Rimanenze finali ……………..
Totale costi variabili del venduto …………….. ……………..
= M ARGINE DI CONTRIBUZIONE …………….. - COSTI FISSI DI PRODUZIONE …………….. - COSTI FISSI COMMERCIALI …………….. - COSTI AMMINISTRATIVI E GENERALI ……………..
Totale costi fissi …………….. ……………..
= Reddito operativo …………….. + PROVENTI FINANZIARI …………….. - ONERI FINANZIARI ……………..
Saldo della gestione finanziaria …………….. …………….. + PROVENTI STRAORDINARI …………….. - ONERI STRAORDINARI ……………..
Saldo della gestione straordinaria …………….. ……………..
= Reddito ante imposte ……………..
- IMPOSTE D’ESERCIZIO ……………..
= Reddito netto …………..
I risultati parziali (insieme a quello complessivo) individuati dallo schema sono:
- il margine di contribuzione,
- il reddito operativo,
- il reddito ante imposte,
- il reddito netto.
Dai ricavi netti caratteristici di vendita si sottrae il costo complessivo variabile del
venduto, al fine di ottenere il margine lordo di contribuzione, ossia il margine da
destinare alla copertura dei costi fissi caratteristici. Tale margine, come abbiamo già
visto, può essere utilizzato per valutare le conseguenze, in termini di variazione del
reddito, derivanti da un aumento o da una diminuzione della produzione venduta; ciò è
59
reso possibile dal fatto che una variazione della produzione non comporta alcun effetto
sull’ammontare dei costi fissi, ma soltanto su quelli variabili.
Si tenga presente che i costi variabili indicati nello schema di riclassificato hanno valore
meramente esemplificativo, in quanto ciò che rappresenta un costo variabile per
un’azienda può essere un costo fisso per un’altra. Si prendano ad esempio i costi del
personale diretto di produzione: tali costi possono essere considerati variabili per
l’impresa che effettivamente ne varia l’impiego in relazione ai volumi di attività; non
possono invece essere considerati costi fissi per l’azienda che non ha la possibilità di
variarne l’impiego.
Sottraendo tutti i costi fissi caratteristici dal margine di contribuzione si ottiene il reddito
operativo. Anche in questo caso, vale quanto abbiamo già detto nei precedenti paragrafi
in merito al suo significato e a quello dei successivi risultati parziali.
Per ciò che riguarda i costi fissi, questi in genere sono rappresentati dagli ammortamenti,
dal personale indiretto, dalle manutenzioni periodiche, ecc., relativi alle funzioni di
produzione e commerciale; a questi vanno aggiunti tutti i costi amministrativi e generali,
considerati fissi nel loro complesso, in quanto generalmente non subiscono variazioni
correlate con i volumi di produzione e vendita.
L’adozione del criterio di riclassificazione del Conto Economico a margine lordo di
contribuzione presuppone che l’azienda sia dotata di un sistema di contabilità in grado di
rilevare nel dettaglio le operazioni interne di gestione; si tratta di operazioni che in genere
la contabilità generale non rileva, limitandosi questa alla sola registrazione dei fatti
esterni di gestione (che riguardano cioè gli scambi tra azienda e ambiente). In altre parole
l’azienda dovrebbe essere dotata di un sistema di contabilità dei costi (o contabilità
analitica) in grado di rilevare:
- i costi variabili diretti di ogni prodotto;
- i costi variabili indiretti, per i quali siano previsti idonei criteri di ripartizione tra i
prodotti (rispetto ai quali tali costi sono comuni);
- i costi fissi, distinguendo eventualmente tra quelli comuni e quelli direttamente
imputabili a determinate aree aziendali o produzioni.
In tal modo sarebbe possibile adottare il presente riclassificato sfruttandone appieno le
sue potenzialità informative.
In particolare, tale criterio consente di osservare, per ogni prodotto o gruppo di prodotti,
l’andamento dei relativi costi variabili e quindi i mutamenti dell’efficienza della gestione
60
caratteristica nel corso del tempo; inoltre, consente di esaminare le relazioni tra costi,
volumi di produzione e risultati operativi20. In pratica, la distinzione tra costi fissi e
variabili permette di verificare se i fattori produttivi variabili sono stati utilizzati in modo
efficiente, e quindi se le decisioni dei responsabili di funzione (produttiva e commerciale)
sono state in grado di contenerne i consumi entro livelli di efficienza. L’analisi
dell’andamento dei costi variabili nel corso del tempo consente dunque di verificare quali
aree aziendali abbiano fatto registrare miglioramenti di efficienza e quali di esse abbiano
invece mostrato dei peggioramenti.
Questa metodologia di riclassificato può risultare particolarmente utile a quelle aziende
organizzate per aree strategiche di affari, perché permetterebbe loro di confrontare i
margini di produzione di ciascuna area di business.
Sempre ritornando all’esempio nel settore turistico, possiamo fare l’esempio di un
azienda che opera in una località balneare e che, oltre il servizio di ristorante-pizzeria,
gestisce il servizio bar, il servizi spiaggia.
In questo caso, se opportunamente predisposto il piano dei conti e se attivato una serie di
accorgimenti nelle rilevazione dei fatti di gestione, l’azienda potrebbe scomporre i ricavi
totali nei sub totali dei singoli servizi, e registrare i costi variabili secondo le tre aree di
business. Questo permetterebbe alla Direzione, all’interno del riclassificato di bilancio di
scomporre il margine di contribuzione totale, nel margine di contribuzione dei vari
servizi, in modo da conoscere in che misura ciascuno di essi contribuisce alla coperture
dei costi fissi.
L’informazione sui margini di contribuzione, fornisce inoltre tutta una serie di
informazioni utili per formulare programmi di sviluppo o di ridimensionamento delle
diverse aree di business o, come abbiamo già visto nel precedente capitolo, quando
abbiamo trattato l’analisi del Break-even point, per costruire alternative strategiche in
fase di pianificazione strategica.
Questo tipo di analisi costituiscono il punto di partenza per prendere decisioni operative
riguardanti ad esempio: l’eliminazione o il mantenimento di determinati servizi; la
realizzazione interna o l’acquisto dall’esterno di particolari beni, attività o servizi,
strumentali all’attività aziendale; Nell’esempio di cui sopra, potremmo scoprire che il
margine di contribuzione dell’area strategica Ristorante-Pizzeria è molto debole per
20 F. Corno, G. Ghelfi, G. Lombardi Stocchetti, S. Fossati, P. Tettamanzi, Il bilancio d’esercizio: lettura e interpretazione, Guerini Studio, Milano, 1999.
61
effetto dei risultati prodotti dal ristorante e che potrebbe essere più conveniente
mantenere solo il servizio di Pizzeria; o che il margine di contribuzione del servizio
spiaggia è talmente basso che potrebbe essere conveniente affittarlo ad una ditta esterna.
In conclusione possiamo dire che attraverso l’analisi delle relazioni tra prezzi, volumi di
produzione, che il sistema informativo a costi fissi e variabili ci consente di operare,
diventa possibile verificare la capacità della gestione di migliorare o mantenere le proprie
condizioni di equilibrio economico.
Tale criterio di riclassificazione in definitiva racchiude in sé elevate potenzialità
informative, ma d’altra parte richiede la disponibilità di informazioni di costo molto
dettagliate, necessarie per la sua efficace adozione.
62
6. L’analisi economica per indici.
La riclassificazione dei dati di bilancio attraverso i metodi su esposti, permette
all’azienda di incrementare notevolmente il proprio sistema informativo. Attraverso
processi di registrazione contabili più analitici riusciamo ad creare nuovi aggregati di
valori, possiamo ottenere informazioni sulla genesi dei costi aziendali e sui contributi
forniti dai settori dell’organizzazione (funzioni o processi) o dai singoli fattori produttivi
(lavoro, capitale) alla formazione del reddito di esercizio.
L’analisi economica per indici, rapportando e confrontando le informazioni generate dalle
diverse forme di riclassificato costruisce parametri di misurazione della performance
complessive dell’azienda o della performance di aree operative di gestione.
In questa dispensa ci interesseremo di due tipologie di analisi per indici, quella
denominata di “redditività” e quella di produttività.
La prima, misura tramite un set di indicatori le capacità della gestione aziendale di
remunerare i capitali impiegati, sia nel loro valore totale (capitale investito o attivo
patrimoniale), come, riguardo a quelli propri ( o di rischio) ed a quelli di terzi (o di
credito).
L’obiettivo dell’analisi di redditività consiste, quindi, nel valutare l’attitudine della
gestione a remunerare i fattori produttivi da essa impiegati.
Come per l’analisi finanziaria, gli indici di redditività vengono costruiti mettendo in
relazione alcuni dei risultati parziali individuati per mezzo dei riclassificati di Conto
Economico, con determinati raggruppamenti di valori dello Stato Patrimoniale (anch’esso
riclassificato).
L’analisi di redditività distingue tre tipi fondamentali di indici, in relazione ai diversi tipi
di capitale impiegati in azienda:
� Indici di redditività operativa
� Indici di redditività globale
� Indici di remuneratività del capitale dei terzi.
La seconda, analisi di produttività, pur esulando dalle analisi sugli squilibri economico
finanziari dell’azienda in senso stretto, attraverso i suoi indicatori mette in risalto alcuni
aspetti di efficienza della struttura e della politica aziendale. Essa infatti ha lo scopo
precipuo, di misurare il grado di produttività e/o efficienza della gestione
63
nell’utilizzazione di alcuni fattori produttivi. Di questa seconda tipologia faremo alcuni
cenni per dare una visione più completa dell’analisi per indici, che risulta essere assai
vasta e complessa.
Il capitolo si concluderà con la descrizione dell’albero del R.O.I. che ci fornirà una
dimostrazione come esista una stretta interconnessione tra i principali indici di
valutazione economica finanziaria, e come l’analisi di pochi indici possa incrementare
notevolmente la leggibilità delle informazioni che ci derivano dalla semplice lettura dei
dati di bilancio.
Analisi di redditività.
La redditività del capitale investito: il ROI
La redditività operativa è espressa dal rapporto tra il reddito operativo del periodo
considerato ed il capitale mediamente investito nello stesso periodo, e indica l’attitudine
della gestione aziendale a remunerare il capitale investito nell’area caratteristica.
Abbiamo parlato di “valore medio” del capitale investito in quanto mentre il reddito
rappresenta un dato di periodo (di flusso), cioè riferito all’intero anno preso in
considerazione, il capitale è invece un dato puntuale (di stato), cioè riferito ad un
momento preciso (data di chiusura dell’esercizio); quindi per poterli rapportare uno
all’altro, il capitale investito deve essere assunto come media del dato iniziale e di quello
finale del periodo cui il reddito si riferisce. Nel riportarne l’espressione algebrica,
comunque, sia riguardo al presente indice che ai successivi, per semplicità espositiva non
si farà riferimento alla media.
L’indice che misura la redditività operativa prende l’acronimo anglossassone di R.O.I.
(Return On Investment), in italiano traducibile come “Remunerazione dell’investimento”.
Il ROI è espresso dalla seguente formula:
RO ROI = CI
dove:
- R.O. = reddito operativo,
64
- C.I. = capitale investito nella gestione caratteristica
Per determinare C.I., devono essere esclusi dalle attività dello Stato Patrimoniale i valori
degli investimenti non tipici (ad esempio gli immobili non impiegati nella gestione
operativa), nonché le eventuali immobilizzazioni finanziarie presenti in bilancio non
strettamente riferibili alla gestione caratteristica.
Il ROI, così come gli altri indici costruiti su quozienti, viene generalmente espresso in
forma percentuale, allo scopo di consentirne una più immediata lettura ed interpretazione.
Così espresso il ROI rappresenta il tasso di redditività del capitale investito nella gestione
caratteristica. Esso consente di valutare l’efficienza delle attività operative, nonché la
capacità dell’azienda di remunerare le fonti di finanziamento acquisite a diverso titolo,
siano esse fonti proprie o fonti di terzi; infatti, il ROI può essere interpretato anche come
tasso di rendimento delle fonti di copertura degli investimenti operativi.
Esso per esprimere una situazione positiva, dovrà assumere un valore superiore al costo
medio del capitale di credito. Il costo medio del credito è determinato dal tasso medio di
interesse praticato dalle banche, che diventa in questo caso un elemento di riferimento. Se
il nostro ROI fosse dell’8%, significherebbe che per ogni 100 euro di investimento
l’attività caratteristica sarebbe in grado di produrre un reddito di 8 euro. Nel caso in cui il
tasso medio di interesse praticato dalle banche per concedere finanziamenti fosse
inferiore, supponiamo 6%, sappiamo che la nostra attività caratteristica sarebbe e in grado
di remunerare il capitale dei terzi lasciando alla gestione un ulteriore 2% del valore
investito. Questa situazione ci incoraggerebbe ad accrescere gli investimenti e lo sviluppo
aziendale anche in mancanza di disponibilità di capitale proprio. Questo situazione
positiva, pur essendo condizione necessaria per produrre indispensabile remunerazione
del capitale di terzi senza intaccare il capitale proprio, non è sufficiente a valutare
compiutamente la redditività economica della gestione. Per far ciò necessiterebbe
confrontare il valore del ROI realizzato con quello medio di settore, o ancora meglio, con
quello della miglior impresa concorrente. (benchmarking21)
21 Il benchmarking è un processo d’identificazione , comprensione e adattamento delle migliori pratiche , proprie o di altre organizzazioni, allo scopo di migliorare la performance. È un attività attraverso il quale in un settore si fissano standard e parametri di eccellenza mutuati dalle imprese che gestiscono con successo le pratiche aziendali che stanno alla base di queste performance.
65
Il ROI è un indice di valutazione complessiva della gestione, e come tutti gli indici di
questa categoria è il prodotto di altri indici di misurazione delle performance gestionale
interne.
Un altro modo per esprimere il ROI consiste infatti nello scomporre la sua espressione in
due rapporti, ciascuno dei quali rappresenta un indice distinto. Moltiplicando numeratore
e denominatore per l’importo dei ricavi caratteristici di vendita, il ROI si trasforma nella
seguente espressione:
RO V ROI = V
. CI
dove:
- RO = reddito operativo,
- V = Ricavi caratteristici di Vendita,
- CI = Capitale Investito nella gestione caratteristica.
Vista sotto questo aspetto, la redditività del capitale investito nella gestione operativa
dipende da due fattori:
� l’indice di redditività delle vendite;
� il tasso di rotazione del capitale investito (o produttività del capitale investito).
Indice di redditività delle vendite
L’ indice di redditività delle vendite, denominato ROS (Return On Sales), viene espresso
dal rapporto tra il reddito operativo ed i ricavi di vendita della gestione caratteristica:
RO ROS = V
Il ROS esprime il tasso di rendimento sul fatturato realizzato nell’esercizio, ossia la
misura del reddito operativo prodotto per ogni unità di ricavo realizzata; o ancora, quanta
parte delle vendite si è tradotta in reddito operativo.
66
Quando assume valore positivo (ROS>0), l’indice esprime la parte di ricavi che
rimangono a disposizione dopo la copertura dei costi caratteristici (di produzione,
commerciali, amministrativi e generali); perciò indica quanta parte dei ricavi residuano
per coprire i costi non tipici e l’utile.
Quando il suo valore si annulla (ROS = 0), significa che i ricavi di vendita sono stati
sufficienti a coprire i soli costi caratteristici; pertanto restano scoperti i costi non tipici
che provocano una perdita netta (salvo la presenza di proventi finanziari e straordinari
maggiori dei relativi oneri).
Infine quando assume valore negativo (ROS<0), l’indice denota l’inadeguatezza dei
ricavi di vendita alla copertura dei costi operativi.
Il ROS rappresenta dunque un indicatore sintetico della capacità del prezzo di vendita di
coprire i costi operativi, e quindi di remunerare i fattori produttivi impiegati nella stessa
gestione caratteristica. Pertanto il suo valore dipende dalle relazioni intercorrenti tra
ricavi e costi operativi.
Indice di rotazione del capitale investito
Il presente indice costituisce il secondo rapporto di cui è composto il ROI. L’indicatore in
questione viene anche detto indice di produttività del capitale investito, ed esprime la
quantità di ricavi operativi conseguiti per ogni unità di capitale investito nella gestione
caratteristica. Può anche essere interpretato come la capacità del capitale operativo di
produrre fatturato. Il tasso di rotazione del capitale investito è rappresentato dal seguente
rapporto:
V CI
Sia le vendite operative (V) che il capitale investito nella gestione caratteristica (CI) sono
riferiti al medesimo periodo amministrativo; pertanto l’indice in questione segnala quante
volte, in tale periodo, il capitale investito si è trasformato in ricavi attraverso la vendita di
prodotti e servizi. Il valore dell’indice dipenderà quindi dalla velocità con cui i cicli di
“acquisizione dei fattori - produzione - e vendita di prodotti e servizi” si ripetono nel
corso dello stesso periodo.
67
Approfondendo l’analisi, la rotazione del capitale investito viene influenzata
prevalentemente dalla velocità di rotazione della sua parte corrente, cioè dalla rotazione
delle attività a breve.
A tal proposito si possono prendere in considerazione gli indici seguenti.
- L’ indice di rotazione delle attività correnti, espresso dal rapporto tra le vendite
caratteristiche (V) e gli investimenti operativi a breve termine, o attività correnti
(AC):
V AC
- L’ indice di rotazione delle scorte, dato dal rapporto tra vendite e rimanenze di
magazzino (Rim):
V Rim
- L’ indice di rotazione dei crediti verso i clienti, peraltro già visto in precedenza,
dato dal rapporto tra vendite e consistenza dei crediti commerciali (Cr):
V Cr
Tali indici consentono quindi di valutare la velocità di trasformazione in ricavi di quella
parte degli investimenti il cui tempo di realizzo è inferiore all’anno, e che pertanto
contribuiscono in maggior misura al valore del tasso di rotazione del capitale investito.
La scomposizione del ROI nei due indici principali appena visti (redditività delle vendite
e rotazione del capitale investito) permette di approfondire l’analisi della redditività del
capitale impiegato nella gestione caratteristica, in quanto aggiunge un altro elemento di
osservazione facente parte della molteplicità di variabili da cui la redditività operativa è
influenzata, consentendoci in sostanza una maggiore comprensione del fenomeno.
In particolare, introducendo la variabile delle vendite, possiamo capire come il ROI sia
influenzato, da un lato, dall’attività di vendita, e quindi da: volumi di vendita, prezzi,
margini tra prezzi praticati e costi di produzione (elementi che influiscono tanto sulle
vendite quanto sul reddito); dall’altro lato, è influenzato dalla produttività del capitale
68
investito, e quindi dall’efficienza della gestione nell’impiego delle risorse disponibili e
dalla sua capacità di farle fruttare rapidamente.
Il seguente schema22, rappresentato in figura 9, riassume gli indicatori della redditività
operativa visti sinora, e i fattori da cui essi dipendono.
fig. 9
Redditività delle vendite: ROS = RO/V
----------> - Relazioni tra ricavi e costi operativi
Redditività del
capitale investito: ROI = RO/CI
Rotazione del capitale investito
V/CI ---------->
- Rotazione delle attività correnti
- Rotazione del magazzino - Rotazione dei crediti
La redditività complessiva: il ROE
Il ROE (Return on Equity), è individuato dal rapporto tra il reddito netto risultante dal
bilancio d’esercizio ed il patrimonio netto dello steso periodo amministrativo:
RN ROE = CN
dove:
- RN = reddito netto,
- CN = patrimonio netto o capitale netto.
22 G. Ferrero, F. Dezzani, P. Pisoni, L. Puddu, Le analisi di bilancio … op. cit.
69
Questo indice viene interpretato come tasso di redditività del capitale proprio, pertanto
esprime la misura della remunerazione spettante agli apportatori del capitale di rischio,
cioè all’imprenditore o ai soci.
Il ROE, utilizzando il reddito netto come riferimento del risultato economico, dà una
misura del rendimento della gestione nel suo complesso, senza cioè distinguere quanta
parte di tale rendimento è dovuta alla gestione caratteristica e quanta alle altre gestioni. In
questo senso il ROE può essere analizzato attraverso le sue diverse componenti, per cui
risulta:
RO CI RN ROE =
CI x
CN x
RO
Il primo componente lo abbiamo già visto, ed è rappresentato dall’indice di redditività
operativa (ROI).
Il secondo invece rappresenta il grado di indebitamento, dato dal rapporto tra il capitale
investito ed il capitale netto. Tale quoziente si identifica con il reciproco dell’indice di
indipendenza finanziaria, di cui abbiamo parlato a proposito degli indici di analisi
finanziaria.
Infine, il terzo rapporto esprime l’incidenza del reddito netto sul reddito operativo, e
fornisce un’indicazione di quanto i risultati delle gestioni non operative abbiano pesato
sul risultato finale.
Dall’osservazione dei singoli rapporti ne deriva che la redditività del capitale proprio
(ROE) è direttamente o indirettamente influenzata:
� dalla redditività operativa;
� dalla composizione delle fonti di finanziamento, rappresentata appunto dal
rapporto tra il totale delle fonti ed il capitale proprio;
� dall’incidenza dei saldi della gestione finanziaria e delle altre gestioni non
caratteristiche sul reddito netto di periodo.
In quanto tasso di redditività del capitale di rischio, il ROE fornisce una misura del
reddito netto prodotto per ogni unità di patrimonio netto apportato dai soci o autoprodotto
70
dalla gestione; se in forma percentuale, esso esprime il rendimento percentuale del
capitale proprio. In questo senso il ROE viene anche impiegato come indicatore della
capacità dell’azienda di attrarre capitale di rischio attraverso nuovi conferimenti; questo
tipo di interpretazione però può essere adatta a realtà aziendali di grandi dimensioni e
molto evolute, in relazione alle quali gran parte dei soci sono meri investitori di capitali,
interessati esclusivamente al rendimento del capitale da essi apportato, e non interessati o
coinvolti nella gestione e nei processi aziendali. Perciò il ROE in tali casi costituisce la
misura del rendimento dei capitali investiti, e in quanto tale viene raffrontato al
rendimento degli investimenti alternativi disponibili nei mercati finanziari, al fine di
valutarne la convenienza.
Nelle piccole aziende invece le relazioni tra soci ed impresa sono regolate da logiche
differenti da quelle appena viste, quindi in tali casi utilizzare il ROE per misurare la
convenienza ad investire nell’azienda piuttosto che nei mercati finanziari non ha molto
senso, poiché l’imprenditore o i soci non sono solamente degli investitori di capitali
finanziari. Inoltre, le caratteristiche patrimoniali e finanziarie della piccola o piccolissima
azienda denotano in genere un rilevante sbilanciamento delle fonti di finanziamento verso
l’indebitamento, con una evidente sottocapitalizzazione della struttura finanziaria. Quindi
nelle realtà di piccole dimensioni c’è un problema opposto a quello della ricerca di
investimenti alternativi più redditizi, cioè quello della scarsa disponibilità di capitali da
investire come mezzi propri liberi da vincoli nei confronti di terzi.
Pertanto, in tali situazioni si dovrà prestare molta attenzione nell’interpretare il valore
assunto dal ROE: infatti in presenza di modeste entità dei capitali di rischio, l’indice
tende ad assumere valori molto elevati anche per misure modeste dell’utile netto. Sarà
quindi più utile impiegare il ROE unitamente alle sue tre componenti viste prima,
piuttosto che come valore isolato.
Il costo del denaro: il ROD
Il ROD (Return on Debts) esprime l’indice di remuneratività del capitale di terzi, o costo
medio delle fonti esterne, ed è dato dal rapporto tra gli oneri finanziari sostenuti
nell’esercizio e il capitale di terzi (somma di passività correnti e passività consolidate):
OF ROD =
PC+PF
71
L’indice calcola il costo medio dei debiti, i quali presentano diversa onerosità a seconda
della loro durata e provenienza: solitamente i debiti finanziari a breve sono più onerosi
dei debiti a lungo; mentre i debiti di fornitura sono in genere non onerosi (in caso
contrario il loro costo andrebbe considerato tra gli oneri finanziari). In sostanza il ROD
pone in evidenza gli effetti che la composizione delle fonti di finanziamento determina
sull’onerosità media dell’indebitamento. Visto il maggior costo dei finanziamenti a breve
termine, la composizione delle fonti di terzi dovrebbe in generale essere caratterizzata da
una maggiore incidenza dei debiti a medio lungo termine rispetto ai finanziamenti a
breve, allo scopo di ridurre il più possibile il costo medio del denaro, cioè il ROD.
Il ROD viene in genere confrontato con il ROI per conoscere il differenziale di valore
esistente tra i due indici: l’azienda deve infatti cercare di mantenere il valore del costo
medio del denaro al di sotto della redditività degli investimenti; in caso contrario gli oneri
finanziari incideranno in misura considerevole sul reddito netto provocandone in modo
rilevante la diminuzione e, a lungo andare, potrebbero aumentare il rischio di insolvenza
dell’azienda.
I valori assunti dal ROD sono quindi espressivi della composizione della struttura dei
finanziamenti adottata dall’azienda. Infatti, valori del ROD elevati sono indicatori di un
maggiore ricorso a fonti più onerose, quali sono i debiti a breve; valori contenuti invece
segnalano il maggior ricorso alle fonti a medio lungo termine. Di conseguenza, le
variazioni dell’indice nel corso del tempo forniscono indicazioni sul modo in cui la
composizione delle fonti esterne si sta modificando.
Gli indici di produttività
Gli indici di produttività sono indicatori che vanno oltre l’analisi di redditività in senso
stretto, e ne rappresentano un utile complemento; essi vengono utilizzati allo scopo di
evidenziare alcuni aspetti di efficienza della struttura e delle politiche aziendali.
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Tali indici misurano la produttività e l’efficienza dei fattori produttivi più significativi
impiegati dalla struttura operativa aziendale. In genere, sono costruiti sulla base di
quozienti tra particolari voci di bilancio e dati ad esso esterni23.
Tra i principali indici di produttività, indichiamo i seguenti:
- il fatturato per dipendente, dato dal rapporto tra i ricavi netti di vendita (V) e il
numero di addetti (NA), il quale deve essere calcolato sulla media degli addetti
presenti nel periodo considerato; è un indicatore del livello di produttività del
personale:
V NA
- il valore aggiunto per dipendente, che rappresenta anch’esso il livello di
produttività del personale impiegato in azienda, ma espresso in termini di valore
aggiunto prodotto per ogni addetto; è dato dal rapporto tra valore aggiunto (VA) e
numero di addetti (NA):
VA NA
- infine, l’ultimo indice di questo tipo che indichiamo è dato dal rapporto tra ricavi
netti di vendita (V) e valore delle immobilizzazioni tecniche nette (IN), cioè al
netto dei relativi fondi ammortamento (ed escludendo anche le immobilizzazioni
finanziarie che non partecipano alla produttività aziendale); tale rapporto è
indicativo del livello di efficienza e di produttività degli investimenti fissi:
V IN
Ovviamente tali indici, come del resto tutti gli indicatori di analisi di bilancio,
manifestano la loro utilità se impiegati per evidenziare il mutamento dei loro valori nel
corso del tempo, e quindi le variazioni dei livelli di produttività.
23 P. Pratali, Le analisi economico-finanziarie … op. cit.
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Approfondimento: Costi variabili e costi fissi.
Questa distinzione si basa sul comportamento che i fattori produttivi hanno al variare
delle quantità prodotte. Sono detti variabili quei costi il cui ammontare varia in modo
proporzionale al variare del volume di produzione; ad esempio sono variabili i costi delle
materie prime, che aumentano in modo proporzionale all’aumentare della produzione. In
un ristorante o in un bar le materie prime utilizzate per i pasti o per bevande sono
tipicamente un costo variabile, perché crescono in misura proporzionale ai clienti serviti,
cioè al servizio erogato. Graficamente l’andamento dei costi variabili può essere
rappresentato come in figura 3.
fig. 10 Costi variabili
Costi (y)
0 Volume di produzione (x)
I costi variabili possono essere rappresentati dall’equazione: xay ⋅= , dove:
- y = costo variabile totale
- a = costo della quantità di fattore variabile necessario per unità di prodotto (es.:
costo della materia prima necessaria per realizzare ogni prodotto),
- x = volume di produzione.
Dal grafico è immediato notare come al crescere del volume di produzione (x) cresce
proporzionalmente l’entità del costo variabile totale (y); è inoltre evidente che se il livello
di produzione è zero, anche i costi variabili sono pari a zero.
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Sono definiti fissi i costi il cui ammontare, nei limiti di una data capacità produttiva24, non
varia al variare della produzione; esempi di costi fissi sono gli ammortamenti e, in genere,
le spese amministrative e generali, che rimangono stabili al variare del volume di
produzione. Sempre nell’esempio di un ristorante, è facile intuire che la presenza in sala
di 100 persone, piuttosto che di 20 non modifica i costi di ammortamento della cella frigo
o dell’impianto di condizionamento. Nella figura 4 viene rappresentato l’andamento dei
costi fissi.
fig. 11 Costi fissi
Costi (y)
0 Volume di produzione (x)
I costi fissi possono essere rappresentati con l’equazione: Ky = , dove:
- K = costi fissi.
Il grafico evidenzia come l’entità dei costi fissi rimanga costante al variare del volume di
produzione, anche nel caso in cui questa sia pari a zero.
Infine, nella presente classificazione esiste un’altra tipologia di costi, che vengono definiti
misti o semivariabili. Tali costi presentano una componente fissa, che verrebbe sostenuta
anche se la produzione fosse nulla, ed una componente varabile, la cui entità è
proporzionale al volume di produzione. Per esempio, sono semivariabili i costi di energia
elettrica e le spese telefoniche, in quanto nel loro importo è presente un costo relativo ai
consumi (componente variabile) ed un costo relativo al canone periodico (componente
fissa). Rappresentiamo graficamente l’andamento dei costi semivariabili in figura 5.
fig. 12 Costi semivariabili
24 I costi fissi derivano dalla predisposizione di una certa capacità produttiva, quindi dipendono dalla dimensione della struttura aziendale precedentemente posta in essere (fabbricati, impianti, macchinari, attrezzature, arredi, ecc.); per questo motivo entro una data capacità produttiva (cioè senza modificare la struttura aziendale), non variano al variare del volume di produzione.
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Costi (y)
0 Volume di produzione (x)
L’equazione che rappresenta i costi semivariabili è: xaky ⋅+= , dove:
- K = componente fissa,
- A = componente variabile.
Il grafico mette il evidenza il fatto che, pur in corrispondenza di un volume di produzione
pari a zero, il costo semivariabile non è nullo, ma parte da un certo livello, individuabile
nell’intersezione della retta con l’asse delle ordinate (y), e corrispondente all’importo
della componente fissa.
Impiego delle diverse categorie di costo costi nei processi decisionali (cenni).
La conoscenza della struttura dei costi aziendali rappresenta per la Direzione un
presupposto indispensabile per poter prendere decisioni basate su calcoli di convenienza
economica. Come già accennato precedentemente, prendere una decisione significa fare
una scelta tra più alternative, individuando, sulla base dei costi e dei ricavi derivanti da
ciascuna di esse, quella più conveniente per l’azienda.
Fra le tante applicazioni che possono avere le conoscenze sulle classificazioni e sulla
specifica struttura dei costi aziendali, assumono particolare importanza le seguenti:
� analisi del punto di pareggio;
� formulazione dei prezzi di vendita;
� analisi di redditività delle produzioni aziendali.
Analisi del “punto di pareggio”
L’analisi del punto di pareggio consiste nell’individuare il volume di produzione in
corrispondenza del quale i ricavi eguagliano i costi, ed il profitto è pari a zero; quindi, per
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volumi di produzione maggiori l’azienda conseguirà un utile, per volumi minori
sopporterà una perdita.
Lo svolgimento di questa analisi comporta una conoscenza approfondita della struttura
dei costi e ricavi aziendali. Essa si fonda sull’ipotesi che l’azienda sia in grado di
determinare l’ammontare globale dei suoi costi fissi, la componente variabile di costo
intrinseca ad un unità di prodotto o di servizio erogato, e che sia definito il prezzo del
prodotto o servizio erogato.
Per evitare complicate formule matematiche, considereremo l’ipotesi di un azienda che
produce un solo prodotto o servizio.
Graficamente l’analisi del punto di pareggio viene rappresentata come in figura 6.
fig. 13 Punto di pareggio
(y) Ricavi e Costi
CF
QpR ⋅=
CFQaCT +⋅=
Q*
0 Volume di produzione (x)
Dove:
- R = ricavi,
- p = prezzo di vendita,
- Q = quantità venduta,
- CT = costi totali,
- a = costo variabile unitario,
- CF = costi fissi.
Il grafico mostra l’andamento dei costi e dei ricavi all’aumentare della produzione.
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Il valore Q* rappresenta quel punto in cui la curva dei costi totali incontra la curva dei
ricavi totali. A quel volume di produzione, detto punto di pareggio o break even-point, i
costi sono uguale ai ricavi quindi l’utile è uguale a zero.
L’azienda a questo punto un idea quantitativa certa di ciò che deve produrre e vendere per
evitare una situazione di perdita e garantire quanto meno la sopravvivenza dell’azienda.
Utilizzando lo stesso impianto concettuale ed informativo, l’azienda può determinare
quali dovrebbero essere i volumi di produzione da vendere per garantirsi il livello di
reddito desiderato, che convenzionalmente chiamiamo U.
Il calcolo dell’utile (U) in questo caso, oltre che graficamente, può essere determinato
dalla differenza tra ricavi ( QpR ⋅= ) e costi totali ( CFQaCT +⋅= ), attraverso
l’equazione:
( )CFQaQpU +⋅−⋅= ,
da cui, sviluppando l’espressione, si ottiene:
( ) CFQapU −⋅−= ,
dove la differenza (p - a) è detta margine lordo unitario di contribuzione. Questo margine
è particolarmente significativo in quanto indica il contributo dato da ciascun unità di
prodotto alla copertura dei costi fissi e al conseguimento dell’utile.
Usando questa espressione è possibile determinare il punto di pareggio, in corrispondenza
del quale il profitto (U) è pari a zero, e il volume di utili in corrispondenza di U= Valore
di utile atteso.
Per calcolare il punto di pareggio è sufficiente sviluppare la precedente equazione,
( ) CFQapU −⋅−= , ponendo: 0=U ; per cui:
( ) 0=−⋅− CFQap ,
( ) CFQap =⋅− ,
ap
CFQ
−= .
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Quest’ultima espressione ci dice che il punto di pareggio si ha per un volume di
produzione pari al rapporto tra i costi fissi e il margine lordo unitario di contribuzione.
Per esempio, supponiamo che un’azienda presenti i seguenti dati:
- costi fissi (CF) = 5.000,
- costi variabili unitari = 3,
- prezzo di vendita = 5.
Il livello di produzione in corrispondenza del quale otterrebbe un profitto pari a zero
sarebbe:
500.22
000.5
35
000.5 ==−
=Q .
Ovviamente l’impresa non è interessata tanto al volume di pareggio, quanto piuttosto al
volume necessario per conseguire un determinato livello di profitto. Quindi, considerando
gli stessi dati, se l’azienda avesse come obiettivo un utile di 2.000 euro, utilizzando la
formula ( ) CFQapU −⋅−= vista in precedenza, si avrà:
( ) 000.535000.2 −⋅−= Q , da cui
500.32
000.7
35
000.2000.5 ==−+=Q ,
che rappresenta il volume di produzione necessario per raggiungere l’obiettivo di utile
prefissato.
Questa analisi è particolarmente utili in fase di pianificazione perché aiuta alla azienda a
costruire scenari di mercato tenendo in considerazione la struttura di costi e di ricavi
dell’azienda, ed incrociandola con gli altri dati significativi relativi alle capacità
produttiva interna e alla dinamica competitiva di mercato.
Nell’esempio di cui sopra, abbiamo rilevato che l’azienda dovrebbe produrre e vendere,
data la sua struttura dei costi e dei ricavi, circa 3.500 unità di prodotto o di servizio in un
esercizio produttivo. Se il caso reale fosse quello di un istituto di accoglienza per anziani,
questo potrebbe significare per esempio che l’istituto dovrebbe ospitare 3.500 anziani per
raggiungere l’utile desiderato. Ora è chiaro che il dato è valido se noi manteniamo
invariato il prezzo della retta di accoglienza (valore “p”=5 nella formula) e se non
variamo il livello di efficienza nelle spese variabili di gestione (valore “a”=3 nella
formula). Infatti se noi modificassimo di un 20% il prezzo del servizio di ospitalità,
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portando il suo valore di “p2= 6, sarebbero sufficienti 2.330 pazienti per raggiungere
l’obiettivo desiderato. Questo ci pone di fronte a due alternative strategiche da prendere
in considerazione per raggiungere lo stesso risultato:
1) la prima prevede più pazienti (quasi 1200 pazienti di differenza tra le due ipotesi)
e quindi un uso più intensivo della struttura che potrebbe generare maggiori
disfunzioni ed un immagine di caso di riposo più popolare.
2) la seconda prevede meno pazienti, quindi un uso più confortevole della struttura
fissa ma una retta più impegnativa che potrebbe ridurre il segmento di domanda
capace di sopportare determinati livelli di prezzo.
Chiaramente le due alternative dipendono anche da altri fattori: l’immagine pregressa
della casa di cura, il posizionamento e l’immagine dei competitors nei diversi segmenti di
offerta, la capacità recettiva della struttura attuale, le eventuali economie di scale che
potremmo ottenere con un numero maggiore di utenti e che potrebbero incidere
positivamente sul livello dei costi variabile, e così via.
Questo metodologia per quanto semplice e da noi appena accennata, risulta uno strumento
utile soprattutto per le piccole aziende ed in particolari per quelle del terziario che non
commercializzano una gamma troppo vasta di servizi.