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ISSN 1124-044 X ANNO XVI. N. 7 Agosto/settembre 2001 Spedizione in a.p.-45%-art.2 comma 20/b legge 662/96 Filiale di Torino 2001numero 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 MENSILE DI INFORMAZIONE E DIVULGAZIONE NATURALISTICA IN VIAGGIO Cinque Escartons tra le Alpi Cozie FAUNA IPOGEA I ragni delle grotte ANFIBI Le salamandre delle Alpi ORNITOLOGIA Martin pescatore: la freccia azzurra

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N 1

124-

044

X

ANNO XVI. N. 7 Agosto/settembre 2001Spedizione in a.p.-45%-art.2 comma 20/b legge 662/96 Filiale di Torino

2001numero 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112

MENSILE DI INFORMAZIONE E DIVULGAZIONE NATURALISTICA

IN VIAGGIO CinqueEscartons tra le AlpiCozie

FAUNA IPOGEAI ragni delle grotte

ANFIBILe salamandre delle Alpi

ORNITOLOGIAMartin pescatore: la freccia azzurra

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PARCHI REGIONALIALESSANDRIACapanne di MarcaroloVia Umberto I, 32a15060 Bosio (AL)Tel. e fax 0143 684777

Sacro Monte di CreaCascina Valperone15020 Ponzano Monferrato (AL)Tel. 0141 927120 fax 0141 927800

Parco Fluviale del Po TrattoVercellese/Alessandrino(Riserva Torrente Orba)Piazza Giovanni XXIII, 615048 Valenza (AL)Tel. 0131 927555fax 0131 927721

ASTIParchi astigiani(Rocchetta Tanaro, Val Sarmassa,Valleandona e Val Botto)Via S. Martino, 514100 AstiTel. 0141 592091 fax 0141 593777

BIELLABaragge (riserva), Bessa(riserva), Brich Zumaglia(area attrezzata) Via Crosa 113882 Cerrione (BI)Tel. 015 677276 fax 015 2587904

Parco Burcina - Felice PiacenzaCasina Blu13814 Pollone (BI)Tel. 015 2563007 fax 015 2563914

CUNEOAlta Valle Pesio e Tanaro(Riserve AugustaBagiennorum;Ciciu del Villar;Oasi di Crava Morozzo;Sorgenti del Belbo)Via S. Anna, 3412013 Chiusa Pesio (CN)Tel. 0171 734021fax 0171 735166

Alpi Marittime(Riserve: JuniperusPhoenicea;Bosco e Laghi di Palanfrè)C.so Dante Livio Bianco, 512010 Valdieri (CN)Tel. 0171 97397 fax 0171 97542

Parco Fluviale del PoTratto cuneese(Riserva Rocca di Cavour)Via Griselda 8, 12037 SaluzzoTel. 0175 46505fax 0175 43710

NOVARAValle del TicinoVilla Picchetta28062 Cameri (NO)Tel. 0321 517706

Sacro Monte di Orta(Riserve Monte Mesma;Colle Torre di Buccione)Via Sacro Monte28016 Orta S. Giulio (NO)Tel. 0322 911960fax 0322 905654

Monte FeneraFraz. Ara - Via Martiri 228075 Grignasco (NO)Tel. e fax 0163 418434

Lagoni di Mercurago(Riserve Canneti diDormelletto e Fondo Toce)Via Gattico, 628040 Mercurago di Arona (NO)Tel. 0322 240239fax 0322 240240

TORINOCollina di Superga(Riserva Bosco del Vaj)Via Alessandria, 210090 Castagneto Po (TO)Tel. e fax 011 912462

Gran Bosco di SalbertrandVia Monginevro, 710050 Salbertrand (TO)Tel. e fax 0122 854720

Laghi di AviglianaVia Monte Pirchiriano10051 Avigliana (TO)Tel. 011 9313000fax 011 9328055

Orsiera Rocciavrè(Riserve Orrido di Chianoccoe Orrido di Foresto)Via San Rocco, 2 - Fraz. Foresto10053 Bussoleno (TO)Tel. 0122 49398fax 0122 48383

Val TronceaV. della Pineta10060 Pragelato (TO)Tel. e fax 0122 78849

Canavese(Riserve Sacro Monte di Belmonte;Monti Pelati e Torre Cives;Vauda)c/o MunicipioVia Matteotti, 1910087 Valperga (TO)Tel. 0124 659521fax 0124 616479

Parco Fluviale del Po Tratto torinese(Area Attrezzata Le Vallere)Cascina Vallere, Corso Trieste 9810024 MoncalieriTel. 011 642831fax 011 643218

La Mandria(Aree attrezzate Collina di Rivoli;Ponte del Diavolo;Riserva Madonna della NeveMonte Lera)Viale Carlo Emanuele II, 25610078 Venaria Reale (TO)Tel. 011 4993311 fax 011 4594352

Stupinigic/o Ordine Mauriziano, via Magellano, 110128 TorinoTel. e fax 011 5681650

VERBANIAAlpe Veglia e Alpe DeveroVia Castelli, 228868 Varzo (VB)Tel. 0324 72572fax 0324 72790

Sacro Monte Calvario di DomodossolaBorgata S. Monte Calvario, 528055 Domodossola (VB)Tel. 0324 241976 fax 0324 247749

Sacro Monte della SS. Trinità di GhiffaP.zza SS. Trinità, 128823 Ghiffa (VB)Tel. 0323 59870 fax 0323 590800

VERCELLIAlta ValsesiaC.so Roma,3513019 Varallo (VC)Tel. e fax 0163 54680

Lame del Sesia(Riserve Garzaia di Villarboit; Isolone di Oldenico; Palude di Casalbertrame;Garzaia di Carisio)Via XX Settembre, 1213030 Albano Vercellese (VC)Tel. 0161 73112fax 0161 73311

Sacro Monte di VaralloLoc. Sacro MontePiazza della Basilica13019 Varallo (VC)Tel. 0163 53938fax 0163 54047

Bosco delle Sorti dellaPartecipanza di TrinoC.so Vercelli, 313039 Trino (VC)Tel. 0161 828642fax 0161 805515

LE AREE PROTETTE DEL PIEMONTEPARCHI NAZIONALI

Gran ParadisoVia della Rocca 47 - 10123 TorinoTel. 011 8606211 fax 011 8121305

Val GrandeVilla S. Remigio28922 Verbania (VB)Tel. 0323 557960fax 0323 556397

PARCHI PROVINCIALILago di CandiaVia M. Vittoria, 12 - 10123 TorinoTel. 011 8612584 fax 011 8612788

SETTORE PARCHIVia Nizza 18 - 10125 TorinoSettore PianificazioneTel. 011 4322596Fax 011 4324759Settore GestioneTel. 011 4323524Fax 011 4324793Banche datiTel. 011 4324383Biblioteca Tel. 011 4323185

parchi mailtutti gli indirizzi e le e-mail delle aree protette e del settore parchi sonoaggiornati nel sito ufficiale dellaRegione Piemonte

www.regione.piemonte.it/parchi/

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REGIONE PIEMONTEDirezione Turismo, Sport e Parchi

Via Magenta 12, 10128 TorinoDirettore: Luigi Momo

Assessorato AmbienteVia Principe Amedeo 17, Torino

Assessore: Ugo CavalleraAssessorato CulturaVia Meucci 1, Torino

Assessore: Giampiero Leo

PIEMONTE PARCHIMensile

Direzione e RedazioneVia Nizza 18

10125 TorinoTel. 011 4323566

Direttore responsabile:Gianni Boscolo

RedazioneEnrico Massone (vicedirettore),Giovanni Boano (Museo Storia

Naturale di Carmagnola, consulenzascientifica), Toni Farina,

Aldo Molino (itinerari e territorio),Emanuela Celona (Laboratorio

Ecomusei), Susanna Pia (archiviofotografico), Mauro Beltramone (documentazione bibliografica),

Maria Grazia Bauducco (segretariadi redazione), Fiorella Sina (CSI-

consulenza informatica)Hanno collaborato a questo numero:

C. Arnò, S. Bassi, G.G. Bellani, F. Chiaretta, C.Gromis, G. Ielardi,

E. Lana, A. Marcarini, A. PirovanoFotografie:

G.Bernardi, F.Chiaretta, T. Farina,G.Gertosio, C. Gromis, G.Ielardi,

E.Lana, F.Liverani, S.Luzzini, A. Marcarini, L. Meroni,

B. Valenti, B.Vigna, G.Vanzetti In copertina:

Ragno di soli 4 mm nella grotta diBossea (fotografia di Enrico Lana)

Registrazione del Tribunale di Torino n. 3624 del 10.2.1986

Arretrati (se disponibili, dal n. 52): L. 3.500Manoscritti e fotografie non richiesti dalla

redazione non si restituiscono e per glistessi non è dovuto alcun compenso.

Abbonamento 2001 (tutti i 10numeri dell’anno, più gli speciali),

tramite versamento di lit. 24.000 sul conto corrente postale

n. 13440151 intestato a: Piemonte Parchi - SS 31 km 22,

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Riservatezza -legge 675/96. L’Editore garantiscela tutela dei dati personali.

Dati che potranno essere rettificati o cancellati su semplice richiesta scritta

e che potranno essere utilizzati per proposte o iniziative legate

alle finalità della rivista.Stampato su carta ecologica senza cloro

editoriale7•2001

Informarsi stanca“Se non sai dove ti trovi non andrai mai da alcuna parte”, a-mava ripetermi un marinaio da cui ho imparato qualcosa dinavigazione e mare. Se non si capisce dove ci si trova, se nonsi ha presente lo scenario della società e del mondo in cui cisi muove, non è possibile orientarsi nemmeno sulle scelte egli interessi che ci animano. Lo ripetiamo spesso su questepagine. Amiamo e ci interessiamo della natura ma non pos-siamo, e dobbiamo, prescindere, da quello che ci circonda,soprattutto i nostri rapporti tra uomini nella società. Infor-marsi costa fatica. Richiede tempo che questa società “affa-mata di tempo”, “cronofaga”, ci centellina. Ecco perché vi sug-geriamo due riviste, ALTREconomia e Internazionale. Vi per-mettono una volta al mese di informarvi su alcuni temi gene-rali: lo scenario appunto. La prima sui complessi rapporti tra l’e-conomia, il motore del nostro sviluppo, e l’ambiente. La secon-da é una sorta di rassegna stampa con i migliori articoli tratti dariviste internazionali su politica, economia, società e natura. Per-ché se l’affetto al proprio campanile é un valore, “nessun uomo éun’isola”. Noi viviamo in un mondo sempre più complesso. Infor-marsi è fatica ma è anche un dovere.

Per FrancescoFrancesco Pasculli, anni 47, una moglie ed un figlio che adorava, u-sciere della Regione Piemonte, factotum di questa rivista. France-sco era un uomo semplice, innamorato, “nonostante tutto”, della vi-ta, che teneva a fare bene il proprio lavoro, coraggioso, affettuoso ecomunicativo.Quando mi arrivò la notizia del suo infarto stavo in uno dei più beiparchi d’Italia. Ci aveva così abituati ai suoi “segnali d’allarme” chemi ripromettevo di rimproverarlo al ritorno, “per avermi preoc-cupato e rovinato così un’interessante e bella tre giorni di lavo-ro”. Invece non era una sirena d’allarme; era il fischio di fine par-tita...Ed oggi che sono passati tre mesi, il vuoto permane. Una vo-ragine che si apre quando scendiamo in archivio a cercare vec-chi numeri, quando prepariamo qualche pacco di arretrati,quando rinnoviamo il numero negli espositori...Non trovo le parole per dire l’indicibile dell’assenza;della sua voce stentorea ed anche dei suoi difetti...Hocercato un verso che me lo rievocasse, lo ricordas-se a tutti noi. Ma non l’ho trovato.Semplice, innamorato, “nonostante tutto”, dellavita, che teneva a fare bene il proprio lavoro, co-raggioso, affettuoso e comunicativo... continuo

a non trovare di meglio.E credo, a lui sarebbe piaciuto così. “E’mortu nu santu”, avrebbe forse com-mentato, con l’ironia di cui era dotato.No, soltanto un uomo, un collega a cui vo-levamo bene. Ciao Francesco.

2OrnitologiaIl Martin pescatore, la freccia azzurradi Caterina Gromis di Trana

6Regioni & parchiAbruzzo, la scommessa dei parchidi Giulio Ielardi

10In viaggio verso...Cinque Escartons tra le Alpi Coziedi Furio Chiaretta

14Agricoltura biologicaLa via della segaledi Caterina Gromis di Trana

18Fauna ipogeaGrotte, tenebre e... ragnidi Claudio Arnò, Enrico Lana

22AnfibiLe salamandre delle Alpidi Sandro Bassi

26Notizie, ricerche,rubriche, libri,internet

L’Atlante dei parchi 2001è on line nelle pagine dellearee protette.Precisiamo inoltre che le cartine dello stesso sonoopera di Clicart di AurelioFassino e non Geocart come erroneamente indicato. Ce ne scusiamocon i lettori e con l’autore.

PIEMONTE PARCHI NEWSwww.regione.piemonte.it/parchi/news

PIEMONTE PARCHI ON LINEwww.regione.piemonte.it/parchi/rivista/index.htm

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Martin la freccia azzurra

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ORNITOLOGIA

Caterina Gromis di Tranafoto L. Meroni, S. Luzzini

Appartiene al gruppo eterogeneo dei Co-raciiformi, assieme alle upupe, alle ghian-daie marine, ai gruccioni: quello europeosi chiama Alcedo atthis e non ha nullada invidiare ai parenti multicolori abitan-ti di paesi lontani, luoghi sognati di cieliimmensi, foreste inesplorate, pellicce ma-culate e piumaggi variopinti. “Uccello più sfolgorante da noi non esi-ste” scriveva Renard nelle sue Storie Na-turali: è un gioiello colorato che in mez-zo agli anonimi passeri e ai scialbi usi-gnoli sembra ancora più prezioso, una i-naspettata esplosione di azzurro e a-rancio e rubino che sfreccia sulle spon-de dei nostri fiumi in tutte le stagioni, aspezzare il grigiore dell’inverno spoglio,a festeggiare i germogli chiari di prima-vera, a celebrare il colore carico della ve-getazione d’estate e poi i rossi dell’au-tunno. E’ stanziale, e dove le acque so-no pescose vive abbondante e prolifico,poco studiato ma con densità stimabili diuna coppia ogni mezzo chilometro. Stabene fino ai 400 metri di altitudine: è unsubacqueo da fiume di pianura, non daacque impetuose di torrente: ha bisognodi un paesaggio riposante dove i rami deisalici si allunghino sull’acqua, o dove isassi sporgano alti, per le sue immobilivedette. Il suo tempo è fatto di attese, diagguati sulle acque dove precipita apiombo per insidiare i piccoli pesci. Il suovolo è rapidissimo, rasente, e sa fermar-si per un istante in aria, brillando comeuna gemma, prima del tuffo a colpo si-curo.Il breve lampo di azzurro che sfreccia suifiumi è un pescatore specializzato. Nien-te in lui è lasciato al caso: non la formadelle ali, corte e arrotondate da volo bre-ve e rettilineo, non la coda corta e la te-sta grande che rendono la forma del cor-po armonica e vincente quando fendel’acqua nei tuffi, non il becco lungo e di-ritto, fatto apposta per afferrare prede vi-ve, né le zampe brevi poco adatte acamminare ma con tre dita rivolte in a-vanti e uno rivolto indietro per poter sta-re a lungo appollaiato senza far fatica. I colori delle penne si possono spiegarecon una bella leggenda invece che conle scienze esatte. Il martino che all’iniziodei tempi era grigio, dopo il diluvio vollevolare verso il cielo per scrutare le acquedall’alto: si avvicinò talmente al sole cheil petto scottato si arrossò mentre il dor-so divenne celeste.Il candore brillante e lucido delle uova ha

una sua ragione di essere spiegata dal-la scienza, bella come una leggenda. Ilnido è scavato negli argini, una cameraal fondo di un cunicolo, al buio. Allora nonc’è bisogno di spennellare le uova di pun-tini e macchiette mimetici, come fanno gliincoscienti che covano ai quattro ventisotto il naso dei predatori. Anzi, le uovadel martino devono essere bianche piùche si può, perché nel buio della came-ra di cova tappezzata di rigurgiti decora-tivi, gomitoli di lische e di scaglie, non sisbagli a covare aria per colpa del non ve-dere e dimentichi le uova, tante, 7, an-che 10, certe volte moltiplicate per duenidiate all’anno.I suoi nemici sono stati un tempo i suoirivali: i pescatori. L’idea che il martin pe-scatore impoverisse le acque pescosedei fiumi e fosse responsabile della scom-parsa di molte trote dei cui avannotti è ir-

rimediabilmente ghiotto, è stata per mol-to tempo una sua disgrazia, finchè si ècapito che il danno che provoca al pesceè minimo. I pescatori uomini e i pesca-tori uccelli allora sono diventati amici,condividendo “sovrumani silenzi e profon-dissima quiete” lungo i fiumi. Ai più pa-zienti e fortunati può essere regalata l’e-mozione dell’avverarsi di un sogno: unmartino appollaiato sulla punta della can-na, scambiata per un ramo, in un indi-menticabile momento complice della stes-sa attesa, a guardare l’acqua. Un altropericolo è stata la moda: all’epoca in cuimigliaia di uccelli esotici venivano sacri-ficati perché il loro piumaggio sgargian-te era decoro dei cappelli, è sorprendenteche il nostro appariscente uccelletto siascampato all’eccidio. I nemici di oggi so-no l’inquinamento e le rive artificiali, cheportano all’abbandono di molti tratti se

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pescatore

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non di interi corsid’acqua. L’inter-vento dell’uomo diper sé non dareb-be noia, a menoche non si tratti delsu e giù di mania-ci della pesca spor-tiva, che possonodisturbare i nidifi-canti fino a portareal fallimento dellacovata. Alcune ini-ziative poco “natu-rali” come cave, di-ghe e canalizza-zioni, possono im-prevedibilmentecreare condizioniadatte a costruire ilnido: bisognereb-be però che l’uomoavesse abbastan-za garbo da inter-

rompere i lavori estrattivi per dar tempoai nidiacei di prendere il volo e disper-dersi lungo le rive. Qualche volta capital’inaspettato, e viene segnalata una pre-senza, a volte un nido, lungo il Po, in To-rino città. Gli inverni rigidi non sono l’i-deale per sopravvivere, ma osservandouno spettro di tempo sufficientementeampio non sembrano essere gli eventiclimatici i principali responsabili della ra-refazione. C’è anche la normale sele-zione naturale che castiga i giovani ine-sperti: loro a volte sbagliano mira nei pri-mi tuffi e alcuni contro le pietre sott’acquaci lasciano le piume. Quanta fatica spre-cata allora per i poveri genitori che nellaloro camera di cova hanno visto schiu-dersi le candide uova, e nutrito con im-pegno e fatica i famelici implumi, all’inizionudi e ciechi, poi ricoperti di guaine ce-rose simili a setole e poi finalmente bellie colorati al momento del primo volo. Cuo-re di babbo e mamma non guarda il bel-lo o il brutto, ma si dedica all’affamato: igiovani, salvo i primissimi giorni di vita,mangiano come un adulto e vengonoriforniti di pesciolini interi in un freneticoandirivieni. Se la femmina inizia un’altracovata prima che la precedente sia usci-ta dal nido tocca al maschio da solo tut-ta questa fatica: eppure la affronta vo-lentieri e non si scoraggia, anzi è prontonella prossima stagione a corteggiare lasua bella porgendole pesci vivi dalla par-te della coda, come una fede nuziale, ea ripetere l’avventura, finchè c’è vita. Il martin pescatore venne identificato conil mitico alcione: i marinai sostenevanoche serviva per indicare il tempo perchépuntava il becco in direzione del ventoche stava per levarsi. Da morto lo si fa-ceva seccare e lo si sospendeva in al-to, fantoccio magico che allontanava ifulmini, propiziava la pace e serviva damacabro barometro naturale. Il suo no-me, dedicato a San Martino di Tours, èomaggio a un atto gentile: il santo si ta-gliò il mantello per coprire un povero in-freddolito e il martino suo omonimo, as-sieme al picchio, al corvo e al pettirosso,copre di fiori i morti più soli, quelli lascia-ti senza sepoltura.

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1. In tuffo a pesca.2. Con la preda.3. Il vincitore.4. Ritorno al posatoio con il cibo.5, 8. Rientro al nido (5 foto B. Valenti).6. Primo piano (foto G. Gertosio).7. Imbeccata del piccolo.

9. In riposo.10. Quando il martin si sente minacciato sifinge morto come i duenella foto(foto G. Gertosio).

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Ci sono più di ottanta specie di martinpescatore, diffuse soprattutto nelle re-

gioni tropicali. Sono uccelli di costituzionerobusta, tutti con becco lungo, coda moltocorta e piumaggio spesso brillante. Tra lo-ro è conosciuto il kookaburra o alcione gi-gante australiano, il martin pescatore va-riegato dell’Africa a sud del Sahara e dell’A-sia sud-occidentale, bianco e nero, quellodell’Amazzonia, con la cresta come molti diloro, verde brillante sul dorso e bianco sulventre, poi il martin pescatore del Texas,diffuso negli Stati Uniti meridionali. Alcunespecie hanno piumaggio differente a se-conda del sesso ed è la femmina quella coni colori più brillanti. Sull’altra sponda del Pa-cifico vive il martin pescatore sacro, giallo,diffuso in molte zone dell’Australia eunica specie della Nuova Zelanda.

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Giulio Ielarditesto e foto

L’Abruzzo delle pecore. Abruzzo di mon-tagne brulle e sassose, di gente schivae testarda. Abruzzo “forte e gentile”. Einfine: Abruzzo, regione dei parchi. Dauno slogan all’altro, la metamorfosi so-ciale ed economica della regione più a-vanzata del Sud – o di quella più arre-trata del Centro, a seconda della pro-spettiva – è una delle scommesse piùimpegnative ed importanti della via ita-liana allo sviluppo sostenibile. Lo è in-nanzi tutto per le straordinarie risorselocali di biodiversità: lupo, orso, lince egli altri protagonisti della grande faunaappenninica, infatti, è qui che hanno laroccaforte dei loro areali. Ma poi lo è perla netta decisione con cui si è puntatosulla politica per le aree naturali protet-te. In Abruzzo, senza contare le riserve,i parchi si estendono su quasi un terzodell’intera superficie territoriale e più diun abruzzese su cinque risiede in unparco. Non accade forse in nessun’al-tra parte d’Europa.I paesaggi sono quelli spettacolaridell’Appennino centrale, il settore più e-levato della dorsale. La vetta dolomiticadel Gran Sasso, l’acrocoro di cime del-la Majella, l’anfiteatro di rocce e boschidella Camosciara sono solo le cartolinepiù note. Ai successi ormai storici delparco di Pescasseroli e Civitella Alfe-dena si vanno ora aggiungendo le pri-me realizzazioni degli altri parchi, nati apartire dall’89. E sono la reintroduzionedel camoscio, l’apertura di centri visitae musei, i contributi al restauro di mo-numenti e centri storici, la ricerca scien-tifica, la promozione di un turismo com-patibile e via elencando. Realizzazionifatte a piccoli passi ma preziose e tramille difficoltà, prime fra tutte la gracilitàorganizzativa di enti parco appena isti-tuiti e le certo non felici condizioni dellearee montane incluse entro quei peri-metri. Va pur detto: ci vorrà del tempo.Una ricerca da poco realizzata dal Cre-sa (Centro regionale di studi e ricercheeconomico sociali con sede a L’Aquila)sui territori dei quattro parchi abruzze-si, infatti, ha rilevato come in quelle a-ree sia ancora in atto un pericoloso ca-lo demografico e quanto deboli sianotuttora gli stimoli alle stentate economielocali. Ma è una scommessa che val lapena di fare, lo chiede innanzi tutto lanatura più grandiosa d’Appennino. Par-tire per credere.

I monti dell’orso e del lupoAl vecchio parco nazionale, uno dei piùantichi e conosciuti da tutti gli italiani, ètempo di novità. Dopo l’ancora recenteampliamento di seimila ettari nella val-le del Giovenco, nel febbraio scorso ilParlamento ne ha variato la denomina-zione in parco nazionale d’Abruzzo, La-zio e Molise (tra il plauso del presiden-te del parco, Fulco Pratesi, e le prote-

Abruzzo, la scommessa

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ste dei consiglieri regionali abruzzesi).Ciò a riconoscimento dei settori protet-ti della val Comino e delle Mainarde, ri-spettivamente ricadenti in territorio la-ziale e molisano. E poi è tornata la lon-tra. Dato per estinto in passato, l’ormailocalizzato mustelide è stato infatti piùvolte avvistato lungo alcuni corsi d’ac-qua dell’area protetta e gli verrà dedi-cata una parte importante del nuovocentro visite in allestimento a VillettaBarrea.Ma per la gioia di naturalisti ed appas-sionati queste montagne davvero nonlesinano attrattive e motivi d’interessespeciali. Senza timore di smentite, qua-si ottant’anni di tutela fanno delle valla-te del parco, dei suoi crinali e delle sueforeste uno dei paradisi naturali del con-tinente. Grazie al lunghissimo silenziovenatorio e alla scarsa estensione del-la rete stradale, i cinquantamila ettari di-stribuiti tra Bisegna e Pizzone, Balsora-no e Barrea rappresentano l’Italia idea-

le di una nutrita schiera di specie ani-mali altrove rarissime. A partire dai gran-di mammiferi, le cui necessità ecologi-che spesso prescrivono enormi spazi vi-tali. La quasi matematica certezza di av-vistare i camosci, ad esempio, è un’e-sclusiva della val di Rose ed è nota alpunto da costringere il parco ad istitui-re localmente il “numero chiuso”, da lu-glio a settembre, per gli escursionisti.Più problematico ma non impossibile l’in-contro con l’orso, simbolo del parco, op-pure con uno dei circa cinquanta lupipresenti. Impossibile qui, poi, anche sol-tanto citare gli altri mille protagonisti del-la biodiversità del parco, dalle orchideeagli insetti, dai rapaci alle ben sette spe-cie di picchi,Se il parco d’Abruzzo lo conoscono tut-ti, non si può dire lo stesso di un altrogioiello della natura abruzzese. E’ il par-co naturale del Sirente-Velino, estesoancor più del primo (per circa 56mila et-tari) e ugualmente comprendente straor-

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dei parchi

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dinari paesaggi montani. Se all’appelloqui manca il camoscio, la piramide roc-ciosa del Velino è però spesso il fonda-le dei voli maestosi del grifone, introdottoa più riprese dalla Forestale con esem-plari provenienti dall’Estremadura. Piùmarcata nel parco è la presenza uma-na, all’origine di paesaggi agrari non me-no a rischio di estinzione e concentratain centri storici, monumenti sparsi e in-sediamenti rurali di grande interesse.

Sul “tetto” dell’AppenninoL’integrazione tra uomo e natura – e chenatura – è pure la cifra degli altri dueparchi nazionali abruzzesi, che proteg-gono le montagne più alte della regio-ne. Né poteva essere altrimenti, vista lapresenza di 39 Comuni alla Majella e 42al Gran Sasso e sui monti della Laga.Tradizioni, arte e storia, prodotti tipici eagricoltura di qualità sono altrettante car-te da giocare, anche qui, per l’afferma-zione del nuovo modello di parco intro-

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dotto dalla legge nazionale sui parchin.394, proprio di questi tempi all’ap-puntamento col decennale. Quello del Gran Sasso-Laga è un par-co enorme, ben 150 mila ettari, secon-do per estensione ai soli Pollino e Ci-lento. Lo scorcio più noto – e meritata-mente – è la silhouette dolomitica delCorno Grande (il “tetto” dell’Appennino,coi suoi 2912 m) sullo sfondo delle scon-finate praterie di quota di Campo Impe-ratore. Ma chi ama camminare, pedala-re, fotografare o solo bearsi gli occhi nel-la natura troverà qui solo l’imbarazzodella scelta, grazie ad una varietà am-bientale sorprendente. Così i boschi fia-beschi della Laga si aprono all’improv-viso su fragorose cascate, in virtù dellanatura impermeabile dei suoli; e alle ac-que entro le sponde frastagliate del la-go di Campotosto si accostano ideal-mente quelle ben più segrete della sel-vaggia gola del Salinello, autentica wil-derness tra i monti Gemelli. Nel logo ro-tondo del parco campeggia su fondoverde la testa di un camoscio, reintro-dotto a un secolo dall’estinzione locale.Gli fanno buona compagnia lupi, aqui-le, pellegrini e lanari e – nei boschi –cervi e sporadici orsi. Ultimamente l’en-te parco ha reintrodotto alcune decinedi caprioli, nell’ambito di un progetto Li-fe dedicato alla conservazione di lupo eorso. Per non dire della varietà botani-ca: le specie di piante censite sono qua-si duemila, ma i ricercatori assicuranoche c’è ancora molto da esplorare e stu-diare.Quanto alla Majella, la Montagna Ma-dre nella tradizione orale e scritta dellagente abruzzese, annovera qualcosacome sessanta cime di cui trenta chesuperano quota Duemila (la più alta èquella del monte Amaro, 2793 m). Piùche una montagna, un poderoso mas-siccio solcato da canyon tra i più im-pressionanti dell’Appennino. E nei 74mila ettari del parco nazionale, “antici-pato” da una fitta trama di riserve natu-rali sorte nei decenni e gestite dalla Fo-restale, alberga una biodiversità da pri-mato. La componente più colorata è na-turalmente la flora, ricca di endemismi.Tra le specie più ricercate dai botanicisono la viola della Majella, l’adonide di-storta, l’androsace, il giglio martagonee la stella alpina dell’Appennino, la gen-ziana dinarica e l’aquilegia. I grandimammiferi sono tutti presenti e così pu-re, grazie all’abbondanza di pareti roc-ciose, una nutrita popolazione di rapa-ci. Una indagine sul campo promossadall’ente parco ne ha recentemente cen-sito la consistenza: quattro coppie di a-quila reale, ben tredici di falco pellegri-no e due-quattro (a seconda delle an-

nate) del più raro lanario. Di tutto rilievopure le locali popolazioni di gracchio co-rallino e gracchio alpino, in tutto quasitrecento coppie, risultate essere le piùimportanti dell’intera penisola. Ma dellaricchissima avifauna della Majella il rap-presentante più sorprendente è ancoraun altro, e cioè il piviere tortolino. La suainconfondibile sagoma in volo da cara-driforme, a cui i birdwatchers di casa no-stra sono abituati presso stagni e palu-di, appare come il lenzuolo di un fanta-sma sulle desolate pietraie di vetta delparco. Ospite abituale della tundra scan-dinava, nell’Europa mediterranea vivesolo ed esclusivamente qui con un pu-gno di coppie nidificanti, fossile viventeereditato dall’era glaciale. E’ l’ennesimasorpresa dell’Abruzzo dei parchi, forsela più fragile. Come l’esistenza stessadelle aree protette, da riaffermare an-che qui – vedi il contestatissimo terzotunnel sotto il Gran Sasso, i progetti diprospezioni petrolifere o di nuove pisteda sci - ogni nuovo giorno.

E un altro parco é in arrivoLe riserve statali sono quindici, quelleregionali anche di più, una dozzina al-meno le aree protette di altro tipo. Nonsi limita ai parchi la natura tutelata dell’A-bruzzo, annoverando pure un mosaicodi più o meno piccole oasi dove sono ol-tretutto rappresentati gli altri ambientiregionali come fasce fluviali, zone umi-de e tratti litoranei. Certo però è la mon-

tagna a dominare, non a caso protago-nista del progetto Ape lanciato da Le-gambiente e proprio dalla Regione A-bruzzo ed ora fatto proprio dal Parla-mento. Sulla costa invece nascerà unnuovo parco nazionale, quello della Co-sta teatina, nell’area litoranea prospi-ciente la foce del fiume Sangro (lo stes-so che costeggia il parco della Majellae attraversa quello d’Abruzzo). La nuo-va legge Disposizioni in campo am-bientale approvata a marzo ne prevedel’istituzione entro sei mesi dall’entrata invigore del provvedimento, cioè dallapubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale(ancora non avvenuta, al momento incui scriviamo).

Informazioni sul sistema delle aree

protette abruzzesi possono essere reperite presso gli uffici della Regione Abruzzo, Divisione territorio, urbanistica, beni ambientali, parchi, tel.08623631; presso gli enti parco (Abruzzo, tel.0863910715; Gran Sasso-Laga,tel.0862401903; Majella, tel.0871800713; Sirente-Velino, tel.0862916343);oppure su Internet: www.parks.ite www.regione.abruzzo.it/turismo/parchi

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1. Cascata nella valle dell’Orfento (Parco Nazionale della Maiella).2. Orso bruno.3. Aquila reale.4. Fioritura di orchidee ai piani di Pezza (Parco Regionale Sirente Velino).5. Camedrio alpino (Dryas octopetala).6. Monti della Laga (parconazionale).7. Lince.8. “Caciara” sul monte Piselli (Parco Nazionale Monti della Laga).

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Furio Chiarettatesto e foto

L'Escarton di Pragelato, ovvero l'alta Val Chisone.L'Escarton di Oulx, con l'Alta Valle di Susa, la DoraRiparia e di Bardonecchia, le valli di Thuras e della Ripa.Il vasto Escarton di Briançon, con la testata della Durancee le valli di Guisane, Clarée, Cervières. L'Escarton delQueyras, con i valloni della Guil, dominati dal Monviso.L'Escarton di Casteldelfino, in alta Valle Varaita.Sono i cinque Escartons che il 29 maggio del 1343 acqui-stavano i diritti feudali dal delfino Umberto II, in cambio diun tributo di 12.000 fiorini e della regolare corresponsionedi una rendita annua. Al contempo le 51 comunità di que-ste valli sottoscrivevano una "Carta", ovvero una sorta dicostituzione, riconosciuta dal Delfino, che organizzava ilfunzionamento del "Grande Escarton", ma anche di ognisingolo Escarton. In un'epoca caratterizzata dalle angherie feudali, da guer-re e scontri tra signorotti locali, dallo sfruttamento intensi-vo delle risorse, la popolazione degli Escartons potevacosì possedere "qualsiasi feudo, bene ed eredità", eraesentata "da qualsiasi tassa e da ogni forma di taglia",poteva riunirsi per nominare sindaci e segretari, concede-re licenze di caccia e di pesca, stabilire leggi e imposte(escartonner significa ripartire i tributi tra i membri dellacomunità).L'eliminazione dei balzelli feudali, l'autonomia amministra-tiva e fiscale, la libertà di riunione, la gestione del territo-rio, dei pascoli, delle foreste da parte delle comunità loca-li, ha fatto parlare anche di "repubblica": di certo gliEscartons godettero di un'ampia autonomia e di notevolilibertà, in una specie di piccola federazione che ricorda

un pò i primi cantoni svizzeri, e che venne conservataanche dopo l'annessione del Delfinato alla Francia, nel1349. I cinque Escarton si svilupparono così in relativaautonomia per quattro secoli, con costanti contatti fra lediverse valli poste sui due versanti delle Alpi. Solo nel 1713, con il Trattato di Utrecht, la parola tornò aipotenti sovrani dell'epoca. Il Grande Escarton venne suddi-viso tra la Francia e i Savoia, a cui furono assegnati gliEscarton di Oulx, Pragelato, Casteldelfino. Un confine deci-so a tavolino separò così genti con la stessa lingua, l'occita-

IN VIAGGIO VERSO...

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no, le stesse tradizioni, storia, cultura. I Savoia cominciarono a costruire grandi fortezze sui colli esulle cime, riprendendo il controllo di terre strategicamenteimportanti, mentre gli Escarton di Briançon e del Queyrasmantennero la loro autonomia fino alla Rivoluzione francese,che contrastò questo esempio di democrazia locale, finchéuna legge del 1800 soppresse tutte le autonomie comunali.

Per quattro secoli dunque la catena alpina non fu elementodi divisione ma piuttosto di unione fra le valli e i montanari,con incessanti contatti e scambi fra i due versanti. E qual-che testimonianza di questo passato è ancora percepibilesul territorio. Il turista attento non mancherà di notare leprofonde somiglianze degli aguzzi campanili di stile goticocon le 4 cuspidi angolari che si ritrovano nei diversiEscarton, le opere di scultura lignea della Scuola delMelezet presenti anche oltre il crinale, i "delfini" (simbolodel Delfinato) scolpiti su alcune fontane. E le stesse archi-tetture di case ed alpeggi vedono sia elementi tipici in ognivalle, sia elementi ricorrenti sui due versanti. Ma la testimonianza più significativa si incontra girovagan-do a piedi tra le poche case di Ville-Vieille, minuscola capi-tale dell'Escarton del Queyras, dove si conserva lo straordi-nario "armadio dalle 8 serrature": un capolavoro di ebani-steria locale risalente al 1773, in cui erano conservati idocumenti dell'Escarton e che, grazie al suo sistema di ser-rature multiple, poteva essere aperto solo in presenza deirappresentanti di ciascuno dei 7 comuni e del segretariogenerale della valle, dotati ciascuno di una chiave.L'armadio, sempre visibile, si trova in una stanza - protettada una robusta grata - al 1° piano del vecchio municipio,ma non è di certo valorizzato come altri beni della zona.Si direbbe quasi che le vicende degli Escarton siano statedimenticate, almeno a livello ufficiale, fino a tempi recentis-simi. Pochi gli studi storici, rare le informazioni sulle guide,quasi assenti le indicazioni per il turista. Solo negli ultimianni il velo di oblio ha cominciato a dissiparsi.

Un progetto per gli EscartonsCon la progressiva caduta delle frontiere nell'Unione

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Europea e il rilancio della cooperazio-ne transfrontaliera con i progettiInterreg, non poteva mancare unaprima, t imida riscoperta degliEscartons. Ecco allora nel 1998 la realizzazionedel documentario di VittoriaCastagneto "Escarton, una storia dimontagne". Poi l'inaugurazione, loscorso inverno, dell'itinerario tracciatoper gli sci da fondo "Haute Trace desEscarton", che da St-Veran conducefino a Névache, in 4 giorni di scivolatesulla neve.E proprio con un finanziamentoInterreg II è stato lanciato il progetto "Ilterritorio degli Escartons e delle ValliValdesi nel 2000", a cui partecipano leComunità Montane Valli Chisone eGermanasca, Alta Valle di Susa, ValPellice, Pinerolese Pedemontano, leCommunauté de Communes del'Argentière-la-Bessée e delBriançonnais, il Canton de Guillestre, ilDistrict du Queyras, la Provincia diTorino e la Regione Piemonte.Nell'ambito del progetto - che curiosa-mente non comprende l'Escarton diCasteldelfino in Val Varaita - è stataavviata un'opera di sensibilizzazionedegli abitanti e degli amministratori suquesto periodo storico e sulla sua pos-sibile valorizzazione turistica, ed èstato realizzato un censimento deibeni culturali e ambientali, con relativoinserimento in una rete telematica. I beni più significativi e facilmente frui-bili dal turista sono illustrati e descrittianche in un piccolo ma prezioso opu-scoletto, edito dalla francese

Il territorio degli Escartons è assaiinteressante non solo per la sua sto-ria, ma anche per il suo ambiente,naturale e rurale. Il paesaggio è stato trasformato nelcorso dei secoli per rendere possibilile attività agricole, con la realizzazio-ne di terrazzamenti in pietra di note-vole interesse (soprattutto nelle vignedella Ramats, di Giaglione e diPomaretto), con la costruzione dicanali di irrigazione come quelli diPuy-Saint-Pierre (museo) e di Puy-Saint-Vincent (visite guidate), o comeil tunnel scavato da ColombanoRomean (ecomuseo di Salbertrand). Le particolari norme degli Escartonshanno anche permesso di salvaguar-dare foreste di notevole bellezza,come il bosco dell'Alevé - il maggiorpopolamento di pini cembri delle Alpiitaliane - che si estende ai piedi delMonviso, nell 'antico Escarton diCasteldelfino. Una meta poco cono-sciuta, che si affianca idealmente alle5 aree protette della zona; tre sonoparchi regionali ben noti ai lettori: ilParco naturale Orsiera - Rocciavré,che si estende sulle cime tral'Escarton di Pragelato e l'anticoMarchesato di Susa; il Parco natura-le del Gran Bosco di Salbertrand,che salvaguarda uno degli ambientipiù interessanti dell'Escarton di Oulx;

il Parco naturale Val Troncea, cheprotegge una valle rimasta pratica-mente intatta dai tempi dell'Escarton.Altri due parchi si estendono sul ver-sante francese.Il Parc naturel régional du Queyras èstato istituito nel 1977, e con i suoi65.000 ettari coincide quasi intera-mente con l 'antico Escarton delQueyras: un territorio assai vasto,protetto con norme finalizzate alrecupero delle architetture tradiziona-li, allo sviluppo di un turismo eco-compatibile (soprattutto escursionisti-co) e strettamente correlato al rilan-cio delle attività artigianali e agricole;grazie a queste iniziative gli abitantisono cresciuti da 1850 a 2300 tra il1977 e il 1996. Il Parc national des Ecrins è statoistituito nel 1973, e si estende su unasuperficie di 91.700 ettari nella zonacentrale, che comprende le testatedelle valli e possenti cime alte fino a4102 m; molto più ampia la zonaperiferica (178.000 ha) con 30.000abitanti. Il parco si estende su tutti iversanti del massiccio, tra Isère eHautes-Alpes: il settore orientalecomprende i valloni della destra oro-grafica della Durance (Guisane,Ailefroide, Vallouise, Fournel,Freissinières), che facevano partedell'Escarton di Briançon.

Cinque parchi per cinque Escartons

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1. Il forte di Exilles.2. Chateaux Queyras (foto T. Farina).3 Vista di Briançon.4. Monte Pelvo visto dai pascoli della strada militare.5. Murales a Usseaux, Val Chisone.6. La gola della Durance.

7. La chiesetta di Ristolas.8. Balboutet, frazione di Usseaux.9. Fort Queyras.10. Le rocce erose della Casse Déserte, sotto il col d’Isoard,che collega Briançon con il Queyras.

Gallimard, che si presenta con unaaccattivante veste grafica e in due ver-sioni, italiana e francese. Ad unabreve storia degli Escarton seguono lepagine dedicate al patrimonio natura-le, all'architettura rurale, alle tradizionie ai musei che si incontrano sul territo-rio, alle testimonianze del patrimonioartistico e religioso, alle fortificazionicostruite in particolare nel XVIII e XIXsec., per concludersi con le miniere el'archeologia industriale (oggetto diimportanti iniziative come loScopriminiera a Prali). Si tratta di un patrimonio davveronotevole: nei 4 Escartons del progettovi sono una trentina di mete, tra eco-musei, fortezze, mulini, beni artistici,giardini botanici... Ad essi sono affian-cati i molti musei delle Valli Valdesi:ma va ricordato che queste vall i(Pellice, Germanasca, bassa Chisone)non fecero mai parte degli Escartons,e la scelta di inserirle nella guidarischia di confondere le idee a chi perla prima volta si avvicina a questecomplesse vicende storiche.

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Caterina Gromis di Trana

E’ figlia di climi rigidi e terreni poveri, disole, di vento, di gelo e di pioggia. Plinioracconta la sua tradizione antica, con u-na punta di disprezzo: “I Taurini, che vi-vono ai piedi delle Alpi, chiamano asiala segale, un cereale pessimo, buonosoltanto a lenire la fame. E’ ricca di gra-ni, ma con lo stelo gracile, tetra nel suocolor nero e di notevole peso”. La Se-cale cereale è pianta robusta, che vici-no alle graminacee sue simili ha steli piùforti e foglie più strette e corte. E’ diffu-sa in Europa fin dall’età del bronzo, por-tata dall’Asia, sorella rustica del frumen-to che a certe altezze non sopravvive.Rispetto al frumento è meno ricca di pro-teine, di lipidi e vitamine; però contienefosforo, magnesio, potassio, calcio, fer-ro, rame e iodio, e cresce fino a 1500metri, unico cereale per il pane di interegenerazioni di montanari. Le prime trac-ce della sua coltivazione risalgono al3000 a. C. e coincidono con gli alboridell’agricoltura. Ai tempi delle streghe ilsuo decotto cacciava i vermi dal corpo;è di allora l’idea che l’acqua distillata dal-le spighe e dai fusti “giova alle pietre del-le reni, e mitiga il calore”. Ai tempi nostridi molecole ed elementi è utile come ri-costituente nelle carenze di sali minera-li. Aiuta a curare l’arteriosclerosi, l’iper-tensione, la stitichezza, e secondo alcu-ni fitoterapisti, previene le affezioni mu-scolari.Si semina all’inizio dell’autunno, tempoche nella tradizionale rotazione segue lapatata, e per ogni ettaro occorrono da 1a 2 quintali di seme per una resa tra i 10e i 15 quintali. I germogli spuntano dopouna decina di giorni, rossastri, diversi daquelli degli altri cereali. Nelle varietà untempo diffuse i culmi raggiungevano al-tezze considerevoli, e si narra di luoghiparticolarmente fortunati, come il vallo-ne di Faetto in Val Germanasca, dove lasegale diventava alta anche due metri emezzo. A sorreggere gli steli troppo lun-ghi si usava “inramare” le piante con unsupporto di faggio o di nocciolo, oppure

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seminarle assieme al frumento, perchéle sue spighe più basse, crescendole inmezzo, fossero sostegno all’allampana-ta vicina.Qualcuno ancora la coltiva, nei luoghi a-spri che le si confanno: il ciclo vegetati-vo è breve, i semi germogliano quandofa ancora freddo e a meno di 14 gradipossono sbocciare i fiori. Dalla fine di giu-gno in avanti, per tutta l’estate, secondol’altitudine e il clima, le spighe mature sioffrono alla mietitura, e ovunque la finedel raccolto è celebrata da feste popo-lari di letizia montanara.La segale non concede nulla alle ma-niere moderne usate per i raccolti di pia-

nura: si deve mietere con la falce mes-soria e perché renda bisogna tagliare glisteli il più possibile vicino al terreno. Spez-zarsi le reni è l’unico modo per conser-vare intatta la paglia che le macchine ro-vinano. Ecco perché le malghe non so-no più rivestite dei tetti di una volta, fatticon la paglia buona, che non teme lapioggia né le muffe. La paglia di segaleè la più adatta alla copertura dei tetti sele piante crescono in terreni ricchi di sili-ce, e anche se sembra un controsenso,più i terreni sono poveri meglio è: produ-cono steli lunghi e sottili, molto minera-lizzati, facili da lavorare. Nei terreni ferti-li crescono spighe appesantite dalla trop-

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Annullo postale per la 10a festa della segale organizzata dal parco regionale Alpi Marittime.1. Costumi tradizionali e campo di segale a Fobello (foto C. Gromis).3. Chicchi di segale e segale cornuta (foto C. Gromis).2, 4, 5, 6 e 7. Alcuni momenti dellafesta di Sant’Anna di Valdieri delloscorso anno (foto G. Bernardi).8. Il pane di Eugenio Pol appena sfornato (foto C. Gromis).

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pa granella, con steli grossi e poco fles-sibili. Oggi si preferisce coltivare varietàa stelo corto, perché ben pochi sono di-sposti a mietere la segale come si face-va un tempo e sono sempre più rari gliartigiani capaci di costruire tetti usandola paglia: le attività quotidiane dei pove-ri di una volta sono diventate un lussoda artigiani d’eccezione. Alla segale edai suoi usi è dedicato addirittura un eco-museo ed una festa. Entrambi dal parcoregionale delle alpi Marittime. L’ecomu-seo in via di allestimento, recupera il sen-tiero che partendo da Sant’Anna di Val-dieri collega le borgate di Tetti Bariau eTetti Bartola; la festa si svolge nel mesedi agosto e quest’anno é giunta alla de-cima edizione.Dopo la battitura, separati i chicchi dallespighe, se ne fa farina per il pane. Ci vuole una buona dose di coraggio perpanificare oggi con la farina di segale:siamo abituati a tempi di opulenza, cheimpongono il pane bianco e soffice dalsapore leggero, ed è necessaria moltatenacia per risvegliare la memoria delmiccone scuro, che dura tanti giorni maimolto morbido e mai secco. Poi sono l’at-tenzione, la passione e l’accuratezza atrasmettere il senso e il valore delle pa-role “dacci il nostro pane quotidiano” . Un coraggioso, che lavora alle dipen-denze di se stesso e dei lieviti e batteridella farina, si chiama Eugenio Pol e vi-ve nella continua ricerca di svelare gli im-perscrutabili segreti della fermentazione,che non è mai uguale un giorno dopo l’al-tro. Il suo pane è il risultato dello svilup-po naturale di microrganismi presentinell’impasto di acqua e farina, che a con-tatto dell’aria si moltiplicano, e produco-no acido lattico, acido acetico e anidridecarbonica, utilizzando gli zuccheri pre-senti nella farina. Il risultato è un impa-sto che diventa ecosistema complesso,dove batteri lattici e lieviti lavorano as-sieme in sintonia. Il pane che ne derivaha una consistenza, un sapore e un o-dore da vecchi tempi. E si conserva alungo, come il pane che gli agricoltori delpassato celebravano dalla semina fino altozzo indurito, per fare, quando non c’e-ra di meglio, panzanelle, ribollite e pan-cotti. Da nove anni Eugenio ha nella ma-dia un pezzo di pasta conservata del pri-mo pane, che aggiunge a ogni nuovo im-pasto in un ininterrotto rigenerarsi. E’ “lamadre”: in lei c’è il segreto della riusci-ta, la forza conferita dal tempo alle mic-che fragranti del futuro. Così è traman-dato l’orgoglio di un impasto, dove findall’inizio la farina è stata scelta con lacura della conoscenza e l’aspettativa delrisultato: macinata a pietra e provenien-te da cereali non trattati. Pesticidi e con-servanti inibiscono lo sviluppo dei lieviti

e la pasta agli inizi può essere intaccatada batteri che la possono far morire. Poi,con il tempo, la pasta madre sviluppa u-na microflora batterica che le conferiscepoteri addirittura antibiotici e impediscel’attacco di microrganismi esterni. Non èfacile trovare e poi mantenere nel tempoquesto complicato microscopico equili-brio: i batteri si moltiplicano entro certetemperature, diverse da quelle dei lievi-ti, ma i lieviti senza i batteri non si svi-luppano: è necessario trovare l’equilibriotra l’una e l’altra cosa, pazientare, os-servare e mediare. Bisogna tenere d’oc-chio la temperatura, che se è molto bas-sa o molto alta permette lo sviluppo dibatteri acetici, che conferiscono un sa-pore troppo acido al pane. Mentre le campane e il rumore del tor-rente scandiscono il trascorrere del tem-po nel piccolo paese di Fobello, nell’altaValsesia, il panettiere controlla e indiriz-za le attività frenetiche degli invisibili es-seri che si moltiplicano in un pugno di ac-qua e farina. Gli sono richiesti “fiuto”, me-stiere ed esperienza. Conta l’attenzionealle cose normali: l’aria e l’acqua, il solee la pioggia. Il mestiere diventa una spe-ciale alchimia che si compie in modosempre diverso, guidata dal buon auspi-cio di una giornata di sole e vento, dall’a-ria elettrica di un temporale estivo, dallapioggia battente di primavera, o dalla pri-ma neve che cade leggera come farinae si chiama in dialetto “Vulaiga”, che èanche il nome scelto da Eugenio per ilsuo laboratorio del pane. Oggi esistono altre maniere più efficien-ti e veloci di panificare: si adopera il lie-vito di birra, che genera una fermenta-zione alcoolica anziché acido-lattica, e ilcui metabolismo è molto rapido: i car-boidrati fermentescibili vengono utilizza-ti molto più in fretta dei batteri lattici, equesti non hanno perciò il tempo di atti-vare il loro metabolismo, produttore di so-stanze che danno sapore al pane. Il ri-sultato è più rapido, tangibile e commer-ciabile, ma anche se di apparenza leg-gera, meno digeribile perché manca iltempo alle molecole di spezzarsi in unanaturale degradazione che rende il panepiù digeribile.Il modo di panificare di Eugenio sembrauna romanticheria da incoscienti, e forselo è. Si procura le farine presso un muli-

La segale cornutaLe spighe di segale parassitate dal fungoClaviceps purpurea, responsabile di gravis-sime intossicazioni, presentano degli sclero-zi che hanno la forma di un cornetto, da cuiil nome “segale cornuta”. L’intossicazione,detta ergotismo o Fuoco di Sant’Antonio, èdovuta ai diversi alcaloidi del fungo. Nel Me-dioevo, durante le carestie, anche la segalecolpita dal fungo veniva trasformata in fari-na, e l’intossicazione era molto diffusa. A pic-cole dosi i sintomi sono convulsivi, seguitida una specie di ubriachezza, vertigini e ce-cità. In quantità maggiori ingerite per più tem-po, si manifesta la forma “gangrenosa”, conocclusione dei vasi e sensazione di terribilebruciore agli arti, fino al loro distacco e per-fino alla morte. Soltanto nel 1670 si riconob-be nella segale il fungo portatore di questamalattia. Oggi l’ergotismo è stato debellatocon misure profilattiche e igieniche, ed è ra-rissimo.

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no a La Morra d’Alba, che garantisce la provenienzaincontaminata dei chicchi, e per la segale fa ancora dipiù: la segue fin dall’inizio, cominciando da un picco-lo campo sperimentale seminato in mezzo al paese,lungo il percorso della Via Crucis. Quest’anno un pas-so in più: un campo più grande più in basso nella val-le, con alcuni giovani volenterosi disposti a seminare,falciare e raccogliere. I semi arrivano dalla Valle d’Ao-sta e sembra siano una discendenza pura di spighedel 1600. Il sogno è di trovare un piccolo drappello dicoraggiosi che, mietendo la segale come i bisnonni,ricostruiscano tetti senza lamiere, e lavorino la terraper risvegliare alla vita una valle che muore. La me-moria storica narra di pane di segale distribuito ai po-veri nel giorno della Pentecoste nel paese di Rimellae il giorno dell’Ascensione nel paese di Fobello. An-cora oggi si celebra lo scambio dei pani tra questidue luoghi vicini e lontani, isolati dal resto del mondoe tra loro durante le forti nevicate d’inverno. La datadella prossima vittoria di Eugenio sarà nel giorno in cuii loro abitanti, impervi come le montagne dove vivono,glorificheranno la loro fede con questo suo pane, im-pastato secondo la tradizione dei loro vecchi. Viviamo in tempi oscuri, in cui sembra non esisterepiù nessun cibo genuino, dalla carne pazza alla fruttatroppo lucida alla verdura bionica, e in cui quasi tuttala segale coltivata per il pane arriva dalle povere ter-re della Russia, contaminate e radioattive. Allora è unprivilegio raro sapere che in una piccola valle vicina epoco frequentata c’è ancora la speranza. Fortunati ivalligiani, anche quelli che non lo sanno ancora. ●

Per saperne di più

● Cattabiani A. Florario, Arnoldo Mondadori edi-tore, 1997● Molino A. - Tetti di paglia sulle montagne dell’Eu-ropa occidentale - Quaderni di cultura alpina- Priu-li e Verlucca editori● Atlante dei prodotti tipici 2000 - Il pane - INSORIstituto Nazionale di Sociologia Rurale- Agra edi-zioni● Giorilli P. Lauri S. Il pane: un’arte, una tecnolo-gia, Zanichelli,1996● Vulaiga, panificazione naturale, via Rizzetti 22-Fobello, Val Mastallone (Vc) tel. 0163/55901● Mulino Sobrino, Via Roma 108- La Morra (Cn)tel. 0173/50118

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FAUNA IPOGEAClaudio Arnò, Enrico Lanafoto Enrico Lana

Era una notte insonne e afosa della scor-sa estate quando uno di noi navigandonel mare magno di Internet, giunse ca-sualmente nel sito http://digilander.iol.it/enrlana intitolato “Biospeleologia del Pie-monte”. Quale piacevole sorpresa nelloscoprire che qualcun altro in Piemontesi stava occupando di ragni, e di grottaper giunta, i più rari e ricercati! Qualchee-mail preliminare di presentazione e ilbiospeleologo, in arte "Baboia", e l'a-racnologo decidono di formare la squa-dra che da quasi un anno sta racco-gliendo dati biologici sul mondo nasco-sto dei ragni ipogei.In grotta, dove sembra quasi impossibileche un qualsiasi organismo possa so-pravvivere, esiste invece un ecosistemacomplesso e ricco di forme specializzate.L'osservazione diretta di questi organismiè privilegio di pochi, vuoi perché non mol-ti sono "i temerari" che si vanno a cac-ciare sottoterra, vuoi perché fra gli spe-leologi stessi sono pochi coloro che si oc-cupano degli aspetti biologici e, infine, per-ché necessitano occhio allenato e note-vole esperienza per cercare con succes-so i pochi esemplari presenti. Per questeragioni riteniamo che possa essere gra-dita la pubblicazione di una nota, breve,ma ricca di rare immagini, riguardante ungruppo di animali ben rappresentato ingrotta: i ragni o Araneae. In tutto il Piemonte meridionale si trova-no vasti affioramenti di rocce calcaree chepresentano fenomeni carsici più o menoestesi. Durante l'ultima glaciazione granparte di queste grotte si è dimostrata unprovvidenziale rifugio per diverse specieanimali che, una volta adattatesi al nuo-vo ambiente, non lo hanno più abbando-nato e che oggi sono preziose rarità zoo-logiche, degne della massima attenzionee protezione, spesso note di una sola ca-vità e in pochi esemplari.In prossimità dell'ingresso le condizioniambientali delle grotte risentono forte-mente delle variazioni esterne, ma, via viache ci si addentra, temperatura e umiditàassumono valori sempre più costanti, in-torno alla media annuale della località incui si apre la cavità. Questa situazionecondiziona la fauna presente: nelle primedecine di metri si trovano sia specie quigiunte accidentalmente (dette "troglosse-ne" ovvero estranee all'ambiente di grot-ta), sia specie di scarsa o media specia-lizzazione (definite "troglofile") capaci disopportare piccole variazioni climatiche;più in profondità si incontrano invece i ve-ri organismi cavernicoli (di ambiente ipo-geo), le cosiddette "specie troglobie". Iniziamo il nostro viaggio sottoterra e, giàall'ingresso, incontriamo i primi esempla-ri: qua e là vicino alla volta, si vedono lecaratteristiche tele a drappo della Tege-naria parietina, il comune ragno delle can-

Grotte, tenebre e...ragn

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tine, e della congenere Tegenaria silve-stris. La prima, di grandi dimensioni, nonsempre è presente, mentre la seconda èpraticamente rinvenibile nel primo trattodi tutte le cavità. Dove spuntoni rocciosie altre asperità permettono di ancorare u-na tela orbicolare sono numerose le Me-ta merianae, appostate a centro tela, mapronte a rifugiarsi in un vicino nascondi-glio al minimo segnale di pericolo. Ora possiamo accendere le lampade, si-stemarci il casco (che per gli speleologi -a differenza dei motociclisti - non è obbli-gatorio ma i cui pregi si apprezzano ap-pieno dopo le prime "zuccate") e proce-dere più oltre. Dove il buio si fa quasi to-tale incontriamo altre Meta, assai più gran-di di quelle viste all'ingresso, sono le Me-ta menardi dall'aspetto poco rassicuran-te ma del tutto innocue e persino un po'indolenti nei movimenti. Con un poco difortuna si possono vedere anche i loro vi-stosi ovisacchi (sacchetti di seta tessutidalle femmine per racchiudere le uovamantenendole al riparo da muffe e pre-datori) bianchi, sferici, grandi quanto unanoce, appesi alla volta. Vecchi ovisacchiormai vuoti sono considerati ottimi posa-toi da altri frequentatori delle grotte. Pimoa rupicola, altro grosso ragno, viveesclusivamente nella parte centro-meri-dionale dell'arco alpino piemontese, dal-le Alpi Liguri alle Cozie. Si tratta proba-bilmente di una sorta di fossile vivente chepresenta un insieme di caratteri morfolo-gici che ne rendono oscura la posizionesistematica. Recentemente è stata pro-posta come soluzione al problema tas-sonomico l'istituzione di una famiglia ri-servata esclusivamente a questo ragnoe ai suoi pochi congeneri. Il genere Pi-

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1. Grotta di Bossea, il lagoMorto (foto B. Vigna).2. Troglohyphantes pedemontanus (4 mm), grotta di Bossea.3. Metamenardi, Buco del Maestro, Valle Po.4. Porrhomma convexum(3 mm), grotta di Levone nel canavese.5. Metamerianae (10 mm),grotta di Levone.6. Grotta di Bossea, galleriadelle Meraviglie (foto G. Vanzetti).7. Accoppiamento di Pimoarupicola (10 mm), grotta della Marmorera, Busca (CN).8. Nesticus morisii (6 mm), sot-terranei forte Vernante (CN).9. Togenaxa silvestris(10 mm), grotta di Lussito (Acqui Terme).10. Leptoneta crypticola(2 mm), grotta dell’Orso di Ponte di Nava (CN).

moa è presente nel vecchio mondo contre sole specie: la nostra P. rupicola, unaseconda specie circoscritta a una picco-la area della Spagna settentrionale ed u-na terza sull'Himalaia. Prima dell'inizio del-le nostre ricerche le informazioni su Pi-moa rupicola erano assai scarse, ora cisono note diverse località ove la specieè presente, spesso in popolazioni assainumerose. P. rupicola tesse delle tele adrappo, preferibilmente sopra piccoli poz-zetti, sia in tratti interni delle grotte chenelle immediate vicinanze dell'ingresso apatto che siano umide ed ombrose. Inqualche caso abbiamo avuto la fortuna (ol'abilità?) di osservare questi ragni in par-ticolari momenti del loro ciclo vitale, peresempio durante le fasi dell'accoppia-mento. Di tutto questo siamo stati quasidi sicuro i primi testimoni al mondo: in let-teratura non c'è alcun cenno sull'etologiadi Pimoa rupicola.Cercando dal tratto intermedio fino agliultimi e più nascosti anfratti si trovano levarie specie di Nesticus più o meno lo-calizzate e specializzate: dal quasi onni-presente N. eremita al localizzatissimo (ènoto di una sola cavità, per giunta artifi-ciale.) N. morisii . Durante la realizzazio-ne della documentazione fotografica instudio abbiamo scoperto nei Nesticus u-na capacità finora ignota: questi ragni so-no in grado di pattinare sul pelo dell'ac-qua a gran velocità, in questo nulla han-no da invidiare a quei ragni (Lycosidae ePisauridae) e insetti (gerridi e idrometre)che si vedono correre sulle acque calmedegli stagni. Un altro vivace inquilino delle grotte, e diparticolari micro-ambienti esterni quali lalettiera di bosco e le fessure sotto grossepietre, è il piccolo Porrhomma convexum,

ragno che, a dispetto dell'ambiente in cuivive, possiede ancora un'ottima vista: inallevamento lo abbiamo più volte visto rin-correre e assalire con un balzo i mosce-rini ricevuti in pasto. Infine è doveroso ri-cordare due generi molto specializzati erari (sia perché infrequenti, sia perché dif-ficili da individuare nel loro ambiente): Tro-glohyphantes e Leptoneta. Il primo ge-nere annovera un grande numero di spe-cie, quasi tutte caratteristiche di zone al-pine, spesso endemiche di un'unica ca-vità e quindi di estremo interesse scienti-fico. A prima vista tutti i Troglohyphantessi assomigliano e solo lo specialista è ingrado di distinguere le varie specie av-valendosi di opportune tecniche d'osser-vazione microscopica. A titolo d'esempiopresentiamo qui la specie endemica del-la grotta di Bossea: T. pedemontanus, a-noftalmo (privo di occhi) e depigmentato.Leptoneta crypticola è un piccolissimo ra-gno che, dopo alcuni infruttuosi tentativi,siamo finalmente riusciti a trovare e do-cumentare. Occupa le zone più profonde

delle grotte, ha occhi quasi completa-mente atrofizzati e vive fra detriti del ter-reno dove tesse piccole tele irregolari; simuove lentamente e con circospezione,roteando avanti a sé le zampe anterioriquasi cercasse di "individuare a tentoni"eventuali ostacoli. Ma è sufficiente sfio-rarlo appena per vederlo fuggire con in-sospettata velocità. Gli esemplari diL. crypticola illuminati dall'intenso fasciodi luce necessario per le riprese fotogra-fiche, mostrano un bellissimo riflesso blumetallico nelle zampe, fenomeno che siosserva solamente negli esemplari vivi.Con questo concludiamo il nostro brevesaggio di presentazione dei ragni dellegrotte piemontesi ricordando che moltealtre immagini - e non solo di ragni - sipossono trovare nel sito biospeleologicocitato all'inizio, la cui pagina degli Araneaeviene costantemente aggiornata con gliultimi risultati delle nostre ricerche.

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Il volume “Biospeologia del Piemonte.Atlante fotografico sistematico” (264 pagine a colori) è disponibile nelle librerie specializzate, nelle biglietterie delle grotte visitabili o presso il GruppoSpeleologi piemontesi (tel. 349 1456412).

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Sandro Bassinaturalistafoto Fabio Liverani

Sono tre specie, due sole delle quali presenti inPiemonte. La più rara, Salamandra lanzai, è unendemismo delle Alpi Cozie italo-francesi; per l'I-talia è esclusiva del Piemonte.Le specie del genere Salamandra presenti sulleAlpi sono tre: la più comune e vistosa è senz'al-tro quella pezzata o giallo-nera (Salamandra sa-lamandra), abitatrice dei sottoboschi umidi; poi tro-viamo due specie completamente nere: la sala-mandra alpina(Salamandra atra), in foreste e am-bienti d'alta quota del settore centro-orientale (dal-

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Il'alto Ticino verso est, quindi assente inPiemonte) e la salamandra di Lanza(Sa-lamandra lanzai), che a livello italiano èendemica del Piemonte, in un'area re-lativamente piccola delle Alpi Cozie, inlariceti misti e soprattutto praterie, finoa 2800 metri.Sono tra le specie di anfibi più belle, im-portanti e, per certi versi, anche minac-ciate, della fauna europea. Vediamoleuna per una.

La Salamandra pezzata (Salamandra salamandra)Per la “clamorosa”, magnifica colora-zione nera e gialla, è teoricamente in-confondibile. O meglio: è riconoscibilea prima vista, salvo alcuni particolari ca-si che costituiscono eccezioni. La for-ma, la disposizione e l'estensione delle

mandre (S.atra e S.lanzai) che sonocompletamente nere. In pratica, fino aqualche anno fa tale distinzione pare-va del tutto ovvia. La cosa si è compli-cata con il ritrovamento, in Veneto, neiprimi anni '80, di una popolazione di Sa-lamandra atra in gran parte gialla suldorso. Questa forma, descritta come Sa-lamandra atra aurorae, costituisce uncaso eccezionale, confondibile con Sa-lamandra salamandra che peraltro man-ca da quella zona. Le somiglianze sonosolo apparenti, tuttavia possono inge-nerare equivoci per cui qui ci limitiamoalla "norma”, precisando che Salaman-dra salamandra è specie politipica, com-prendente varie sottospecie sul cui nu-mero e sulla cui validità non tutti gli au-tori concordano e che comunque, allostato attuale delle conoscenze, sem-

mandre elle Alpimandre elle Alpi

Comu la salamandra, chi a lu focu si nutrisci e disprezza ogni turmentu, ch'ardennusi la pelli a pocu a pocu si rinnova pi veru nutrimentu...

[anonimo poeta siciliano del XVI secolo]S'ut petzga la scaramandla, và da e pritcu ta racmanda l'anma

[detto popolare romagnolo]

macchie gialle sono notoriamente mol-to variabili, da individuo a individuo masoprattutto da località a località. Ad e-sempio in Piemonte si osserva un mag-gior sviluppo della maculatura gialla nel-le popolazioni meridionali, al confine conla Liguria, il che le avvicina alla sotto-specie gigliolii, propria dell'Italia del cen-tro-sud. Tuttavia, ciò sembra (sembra-va) non comportare problemi di ricono-scimento specifico (casomai di validitàdelle varie differenze interne alla spe-cie) visto che, di regola, il giallo è sem-pre presente e consente un'agevole di-stinzione rispetto alle altre due sala-

brano essere almeno 11. Per contro al-cune di queste sottospecie sono staterecentemente riviste e considerate a sestanti, degne di rango specifico. D'al-tronde l'areale di S. salamandra è va-stissimo, su tre continenti: in Europa tut-ta la parte centro-meridionale con limi-te nord non ben definito ma certo spin-gentesi oltre le montagne della Germa-nia e della Polonia, forse fino al Baltico;in Asia una parte del medio-oriente (A-natolia e ad est fino all'Iran, a sud finoalla Siria e Israele); in Africa il settorenord occidentale. L'ambiente di vita, le abitudini La salamandra pezzata si configura co-

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me anfibio “forestale”, masenza particolari specializ-zazioni: la si trova dallamacchia mediterranea aiquerceti collinari, ai casta-gneti, fino ai boschi mistimedio-montani di latifogliee conifere. Anche la distri-buzione altitudinale è am-pia, potendo andare dal li-vello del mare fino a quoterelativamente alte: per le Al-pi si riporta il limite di 1800metri citato da Lanza (1983)e tuttavia la specie è certa-mente più tipica delle quo-te intermedie (ancora Lan-za indica, per tutta Italia, lafascia tra i 600 e i 1300 m).Localmente può apparire le-gata ad ecosistemi di parti-colare integrità: è il casodella Romagna, ove risultaesclusiva di un piccolo set-tore dell'alto forlivese, in bo-schi di faggio misto ad a-bete bianco che costitui-scono i recessi più indistur-bati delle Foreste Casenti-nesi. Poco più ad ovest, nelmodenese e soprattutto dalparmense in poi, dimostrauna maggior versatilità,“scendendo” fino alla bas-sa collina (comunque maifino alla pianura Padana)dei Boschi di Carrega (Pr).Sulle umidissime Alpi A-puane è talora assai ab-bondante, fino ad invaderein gran numero, nel primoautunno, specialmente nel-le notti piovose, i sottobo-schi e addirittura i sentieridella fascia medio-monta-na, sui 600-900 m. S. salamandra, pur legataai microclimi umidi, è quasidel tutto svincolata dall'ac-qua, recandovisi solo per lariproduzione. L'accoppia-mento ha luogo solitamente a terra, instagione imprecisabile: gli spermi pos-sono sopravvivere a lungo nella sper-mateca della femmina e, conseguente-mente, fecondazione delle uova e par-to (?!?: vedremo il perché di questo ap-parente paradosso) possono esseremolto differiti nel tempo e avvenire in

momenti diversi, a seconda delle loca-lità ma anche delle circostanze climati-che contingenti. In linea di massima al-le nostre latitudini il ciclo ha inizio in pri-mavera, quando le uova, fecondate, i-niziano a svilupparsi nell'ovidotto dellafemmina; ad un certo momento, an-

ch'esso variabile, la femmina si porta al-l'acqua corrente, dove partorisce un nu-mero di larve solitamente alto, da 10 a70, libere o contenute in un piccolo sac-co trasparente. La metamorfosi allo sta-dio adulto avviene di regola entro un me-se. Non è raro il parto di individui giàmetamorfosati, strategia evolutiva chenelle due salamandre nere, atra e lan-zai, è obbligatoria e dovuta alla severitàclimatica dell'habitat d'alta quota, dovegli stadi larvali sarebbero troppo indife-si per potersi svolgere all'esterno. L'inquietante particolare dell’adelfofagia- cannibalismo prenatale, per cui le lar-ve già nell'ovidotto possono nutrirsi dialtre uova o di giovani embrioni - pareun fenomeno nient’affatto raro e condi-zionante anch'esso il diverso sviluppodegli animali: le larve adelfofagiche almomento del parto hanno infatti una ta-glia superiore. Dopo la metamorfosi l'a-dulto abbandona l'acqua: per sempre seè maschio, fino al parto se è femmina.S.atra e S.lanzai sono invece del tuttosvincolate dall'acqua, in qualsiasi stadiovitale e in qualsiasi località.

In PiemonteIn Piemonte troviamo S.salamandra, bendiffusa, e S.lanzai, localizzata in una ri-stretta area a cavallo delle province diTorino e Cuneo, tra la val Chisone e laval Varaita e che ha il suo “cuore”, percosì dire, sotto le sorgenti del Po. Le duespecie non sembrano convivere: in que-st'area la prima si ferma a circa 1300 m,mentre la seconda è nota solo a quotesuperiori. La distribuzione altitudinale diS.salamandra per l'intera regione è com-presa fra 230 e 1700; quella di S.lanzaifra 1300 e 2800 (Andreone e Sindaco,1999); nella fascia di teorica sovrapposi-zione, come detto, la prima sembra deltutto assente. Dal punto di vista biogeo-grafico resta da dirimere la questione diS.salamandra gigliolii, segnalata in lette-ratura (Lanza, 1983) nel Piemonte meri-dionale (con limite N-W sulle Alpi Marit-time) dove in effetti compaiono popola-zioni con notevole estensione della ma-culatura gialla, ma probabilmente esclu-siva dell'Italia centro-meridionale. Per inciso l’erpetofauna del Piemontecomprende anche la Salamandrina dagliocchiali (Salamandrina terdigitata) cheperò è solo “cugina” delle nostre tre, ap-partenendo ad un altro genere; inoltremanca dalle Alpi essendo endemica del-

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l'Appennino (in Piemonte compare soloin provincia di Alessandria).

Problemi per la conservazioneQueste tre salamandre occupano am-bienti ancora abbastanza integri e pocomanomessi dall'uomo; l'affermazione èrelativa - risulta verissima se il confrontovien fatto, ad esempio, con la pianura ole zone umide - e del resto, pur in as-senza di persecuzione diretta da partedell'uomo, non mancano anche qui fatto-ri di alterazione dell'habitat, che sono sem-pre i più pericolosi. Se ciò fa riflettere perS.salamandra, che vive a più stretto con-

tatto con l'uomo e che ha dovuto in par-te soccombere, scomparendo ad esem-pio dalle quote più basse dove i boschisono stati alterati o eliminati, non va co-munque sottovalutato il rischio per le al-tre due specie, che hanno areale limitato(S.atra) o limitatissimo (S.lanzai). In par-ticolare quest'ultima è esclusiva delle Al-pi Cozie italo-francesi e per l'Italia è en-demica del Piemonte. Non per campani-lismo, né per sfoggiare improbabili meri-ti, visto che si tratta di patrimonio dell'u-manità e non di questa o quella regioneo nazione, ma è evidente la preziosità ditale gioiello vivente. ●

Un animale da leggendaLa salamandra in senso lato è presente neimiti e nell'immaginario di moltissime popo-lazioni. Si sottolinea in senso lato poichè iltermine volgare “salamandra” è assoluta-mente generico e riferito anche ad altri u-rodeli, segnatamente tritoni e geotritoni. Ciòspiega l'esistenza di proverbi, leggende edicerie anche in zone dove qualsiasi veraSalamandra manca. I due esempi riportatiin premessa sono illuminanti: in Sicilia Sa-lamandra salamandra manca da sempre osi è estinta da secoli; in Romagna è tal-mente rara e confinata a zone disabitateda non poter aver toccato l'immaginario col-lettivo. Tuttavia è conosciuta, eccome, pri-ma di tutto per la sua presunta invulnera-bilità al fuoco, cosa che l'ha quasi semprerelegata in un'aura “sospetta” e maligna,per associazione di idee con l'immagine deldiavolo. Come in tutte le leggende, anchequi si può trovare un fondo non di verità madi spiegazione. Gli adulti di varie specie diurodeli si rifugiano sotto cortecce o in pic-cole cavità di tronchi e ceppaie. Può suc-cedere che l'animale salti fuori solo quan-do il pezzo di legno finisce nel fuoco, ov-viamente con ogni sforzo da parte sua peruscirne e spesso con successo. La stessacosa può avvenire per gli scorpioni, an-ch'essi - non a caso - oggetto di analoghedicerie. L'osservazione empirica del fattopuò aver determinato la favola della sala-mandra indenne tra le fiamme e perciò stu-pefacente ma in senso negativo, diabolico.A questo pregiudizio non sono sfuggiti nep-pure gli scienziati antichi, fin da Aristotele,che nella sua Storia degli animali descrivela salamandra che cammina attraverso ilfuoco e lo spegne. Significativa eccezioneè quella di Francesco I di Francia, che a-dotta la “salamandra coronata tra le fiam-me” come emblema personale e la fa por-re in sculture, arazzi e dipinti, ad esempionei castelli della Loira. Altra etichetta ne-gativa è quella della “velenosità” della sa-lamandra, anch'essa spiegabile con l'effet-tivo potere irritante delle sue secrezioni cu-tanee, normale meccanismo di difesa con-tro i predatori e al quale è legata la colora-zione vistosa “di avvertimento”. Ma... si sa,chi gira di notte e cammina nel fuoco è a-mico del diavolo, non può portare che ve-leni e umori mefitici: e così la salamandrasputa fiamme, fa cascare peli e capelli, con-tamina le acque, avvelena i frutti e, comedicevano le beghine romagnole, “se ti piz-zica la salamandra, vai dal prete a farti rac-comandare l'anima”.

Persaperne di più- Andreone F.,Sindaco R.,(editors), 1999.Erpetologia delPiemonte e dellaVal d'Aosta.Atlante degli Anfibie dei Rettili. -Monografie XXVI(1998). MuseoRegionale diScienze Naturali.Torino.- Gattelli R.,Liverani F., 2001.L'invisibile popolodel fango.Bologna, Calderiniedagricole.- Lanza B., 1983.Anfibi, Rettili(Amphibia,Reptilia). Guideper ilriconoscimentodelle specieanimali delle acqueinterne italiane.CNR, Roma.- SocietasHerpetologicaItalica, 1996:Atlante provvisoriodegli Anfibi e RettiliItaliani. Annali delMuseo Civ. St.Naturale “G.Doria”,vol. 91, Genova.

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1. Salamandra pezzata.2. Salamandra pezzata in un inghiottitoio carsico.3. In accoppiamento.4. Mentre depone le larve.5. Larva.6, 7, 9. Esemplari di Salamandra atra.8. Emblema di Francesco I, Castello di Blois, Loira (Francia).

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a cura di Enrico MassoneL’eroica impresa della conquista del po-lo Nord da parte del duca degli Abruzzinell’aprile del 1900, ebbe un cronistad’eccezione: Emilio Salgari. Con il suoconsueto stile appassionato e avvincen-te, scrisse LA “STELLA POLARE” E IL SUO

VIAGGIO AVVENTUROSO ancor prima delrientro ufficiale in Italia dei membri del-la spedizione guidata da Umberto Cagni,perché la nave che gli esploratori aveva-no battezzato Stella Polare, restò impri-gionata per mesi nei ghiacci del profon-do nord. Per commemorare il centena-rio dell’epica impresa, l’editore Viglon-go di Torino propone ora un’eleganteriedizione del libro (£. 45.000), una ri-stampa anastatica dell’opera, realizzata

in collaborazione con il Museo dellaMontagna e arricchita da una serie di ap-profonditi saggi di commento e da foto-grafie d’epoca.

L’AVIFAUNA DELLA CITTÀ DI TORINO: ANA-LISI ECOLOGICA E FAUNISTICA è il prodottodi una ricerca lunga e accurata condottada G. Maffei, C. Pulcher, A. Rolando, L.Carisio, pubblicata nella collana Mono-grafie del Museo Regionale di Storia Na-turale (£.70.000). Per 10 anni, 44 rileva-tori hanno osservato 187 specie di uccel-li e raccolto oltre 40 mila dati, riportatipoi nelle 61 unità di rilevamento in cui èstata suddiviso il territorio comunale. Cia-scuna specie individuata è indicata sullacartina che riporta esattamente il settoree la data di avvistamento; una scheda in-dica anche la distribuzione regionale, conpreziose annotazioni sulle osservazionieffettuate. Danilo Mainardi (nella dupli-ce veste di professore di conservazionedella natura all’Università di Venezia e dipresidente nazionale della LIPU) nellapresentazione del volume, ricorda che “u-na città è tanto più sana quanto più è ric-ca di biodiversità: vegetale, animale e, per-ché no?, umana”.

Un’opera, anzi due pensate non solo peri turisti, ma anche per offrire ai residen-ti l’occasione di conoscere aspetti poconoti della realtà locale. IL PINEROLESE PE-DEMONTANO (Ed. Alzani, £. 28.000) pre-senta gli aspetti storico-culturali, artisti-ci e naturalistici dei comuni che forma-no la Comunità montana e invita i let-tori ad osservare con attenzione panora-mi e vedute insolite, ad apprezzare unpatrimonio ambientale ricco di tipichearchitetture rurali e di antichi nuclei sto-rici. A SPASSO PER IL PINEROLOSE PEDE-MONTANO di Bruno Ricci e Marzia Ve-rona (Ed. Alzani, £. 15.000) invece, pro-pone una serie d’itinerari ed escursioninel verde. E’ una guida ideale che al pia-cere di trascorre una giornata all’aperta,unisce la possibilità di scoprire interes-santi percorsi a piedi o in mountain bike.

Sono sempre classificate come guide, maalcune volte sono il frutto di studi ap-profonditi e presentano il risultato di ac-

curate ricerche sul territorio. Come nelcaso di LE INCISIONI RUPESTRI DELLA VAL-LE DELLE MERAVIGLIE di Enzo Bernardini(Ed. Blu, £. 28.000), un libro che mettein luce gli stretti legami fra storia e leg-genda, arte primitiva e natura, in un set-tore montano suggestivo ai confini conl’atmosfera Mediterranea. Le valli che cir-condano il Monte Bego nelle Alpi Ma-

LIBRI

L’inventaparchiAlla classe II B della Scuola Media Sta-tale “B. Realino” di Felizzano (AL) èandato il primo premio del concorso“L’inventaparchi” al quale partecipa-vano 250 scuole delle varie regioni ita-liane.La divertente iniziativa didattica, pro-mossa da Ferrero Kinder Cereali, con-sisteva nel realizzare il giornale di unparco, partendo dalla conoscenza deitemi fondamentali della tutela am-bientale. LO SPARVIERE è il titolo della testata chei 20 piccoli redattori (guidati dagli in-segnanti Luisa Ghiglione, Aldo Gorro-ne e Maria Luisa Reforti) hanno sceltoper il loro giornale. Liberamente ispi-rate alla realtà del Parco naturale Ca-panne di Marcarolo, le pagine del gior-nale raccontano con testi, fotografie edisegni storie della natura, della storiae della tradizione. Capacità organizza-tiva, impaginazione, umorismo, abilitàartistica, armonia spazio/contenuto, fragli elementi più apprezzati, al quale si èaggiunto una nota di grande sensibilitàeducativa e rispetto del valore della per-sona. Tutto il giornale è stato tradottoin caratteri Braille: non solo i testi, maanche le figure di animali e piante rea-lizzate a sbalzo su sottili lastre di rame.Il motivo è spiegato dagli stessi autori:“Consentire a tutti i non vedenti e nonsolo alla nostra compagna di classe divivere l’esperienza della natura non pas-sivamente, ma come soggetti attivi”. La classe ha ricevuto il premio che con-siste in un soggiorno di cinque giorninel Parco nazionale Gran Paradiso nelcorso della manifestazione “Vita da Par-chi” svoltasi a Milano in occasione del-la Giornata Europea dei parchi.

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Fauna DOCStorie di animali e di uomini nelle Alpi Occitane di Augusto Vigna Taglianti(Ed. Ass. Pimalpe ‘Costanzo Martini’ CN, £. 23.000) “Sai de ta terro e va per li ciamins”, lascia la tua terra e vai per le vie del mondo:è una canzone occitana delle valli cuneesi. Augusto Vigna Taglianti, zoologodi fama internazionale, romano da sempre, ma occitano di queste valli, recitacon questo libro la seconda strofa: “giamais, giamais la lasserai!”. Nell’epocadella globalizzazione è raro trovare una risposta così lucida, e soprattutto cosìlimpida sia all’omologazione e all’appiattimento culturale, sia ai particolarismiisterici e paramedievali che pretenderebbero di opporvisi. E non è senza signi-ficato che tutto ciò venga da un naturalista che ha dedicato la vita a piccoliinsetti di cui i più ignorano persino l’esistenza, studiandoli dalle grotte euro-pee alle foreste sudamericane, ma anche battendosi per i luoghi dove questiconvivono ancora con le aquile e i condor, gli stambecchi, le marmotte, i tapi-ri di montagna. Vigna sa coniugare felicemente il rigore dello scienziato el’arte del linguaggio, che è appannaggio di pochi, veri divulgatori del sapere:ne risulta una sintesi panoramica delle Alpi occitane che spazia dal paesaggio edalla sua storia, remota e recente, ai suoi abitanti più peculiari, animali grandie piccoli - e l’iconografia, veramente splendida (oltre 120 foto a colori) lodimostra - e uomini di antica cultura. Forse il fin mot del libro, che condivi-diamo appieno è proprio quello di aver messo in risalto non soltanto il valoredi tutto ciò, ma anche il legame indissolubile fra la diversità biologica e quellaculturale, e la necessità di salvaguardarle entrambe non nell’ottica ristretta emeschina del campanile, ma in contesto globale, non l’uomo verso la biosfera,ma l’uomo parte integrante di essa. (Mario Zunino Università di Torino)

rittime (Parc national du Mercantour)sono un luogo straordinario, dove ar-cheologia e natura formano un unicumdi inestimabile valore. I vari capitoli delvolume ci insegnano a conoscere lastraordinarietà del luogo e apprezzarneogni dettaglio.

“Ho sempre pensato che gli animali fos-sero amici, fratelli, e più vado avanti e piùloro ricambiano questo sentimento...”.Sono parole di Daniela Castellani, autri-ce de GLI OCCHI DEL LUPO (Ed. Bibliotecadell’Immagine, £. 22.000). Un libro cari-co di vita, anzi di amore per la vita, quel-la autentica. L’attenta cura per la quoti-dianità è dolcemente calibrata fra l’os-servazione del reale e la ricerca dell’es-senza che trapassa la pura materialità. A-nimali come veicolo privilegiato per unviaggio che conduce verso una maggioreconsapevolezza delle qualità del nostrocuore. Un filone di indagine narrativa cheintroduce in una dimensione ancora i-nesplorata, nuova, profonda e sapiente.

Penetrare i segreti della natura, interpre-tarne i simboli e attraverso l’attenta osser-vazione, scoprire i significati più profondi.E’ la vocazione di vita scelta da Mario Co-rona. L’uomo sulla cinquantina, nato a Er-to, in provincia di Pordenone ha poi la ca-pacità di trasformare sensibilità e sensa-zioni interiori in arte: alpinista e arrampi-catore delle Dolomiti, scultore di figure le-gno e autore di poesie in forma di prosa...Per la forza, il senso di passione e di amo-re, lo scrittore è ormai considerato un ‘clas-sico’ della letteratura naturistica italiana.GOCCE DI RESINA (Ed. Biblioteca dell’Im-magine, £. 20.000) è titolo dell’ultima at-tesissima opera. Una ricerca mirata a sta-bilire un rapporto autentico con l’ambientein cui ci troviamo immersi. Non si può par-lare di racconti, ma di un grandioso mo-saico formato da piccoli episodi, frammentidi memoria e semplici aneddoti, accurata-mente scelti per condividere coi lettoriun’atmosfera in armonia con l’eco di unpassato prossimo fatto di profumi, saporie nostalgie: “I ricordi sono gocce di resinache sgorgano dalle ferite della vita. Anchequelli belli diventano punture”.

in data 1-2 ottobre 1998, dal titolo FAU-NA SELVATICA E CONVENZIONE DELLE ALPI

nell’ambito della Seconda ConferenzaInternazionale delle Aree Protette Alpi-ne (info: 011 8606211).Mariano Guzzini e Massimo Sarti han-no curato la pubblicazione degli atti delconvegno svoltosi a Portonovo di Anco-na il 13 marzo 1999 dal titolo VULNERA-BILITÀ E TUTELA DELLE COSTE PROTETTE eRenzo Moschini ha curato la pubblica-zione della miscellanea LA GESTIONE IN-TEGRATA DELLE COSTA E IL RUOLO DELLE A-REE PROTETTE (Progetto C.I.P. info: 0719331161).Franco Conti e Gianni Fochi sono i cu-ratori del volume SCIENZA E PUBBLICO -COME COMUNICARE, raccolta degli atti delconvegno svoltosi a Pisa il 9 novembre2000, nell’ambito della settimana euro-pea della scienza e organizzato dallaScuola Normale Superiore e dall’Unio-ne Giornalisti Scientifici Italiani (info:[email protected]; [email protected]).

Realizzato a scopo didattico-divulgativo,l’opuscolo SELVIPIEMONTE è un concen-trato di notizie, informazioni e curiositàsulla realtà dei boschi. Disegni, grafici ecartine, schede e facili giochini di verifi-ca, arricchiscono il volumetto che forni-sce un’infinità di risposte ai numerosi in-terrogativi sulla vita e l’utilità degli albe-ri. La pubblicazione può essere richiestaall’Assessorato Economia Montana e Fo-reste della Regione Piemonte corso StatiUniti, 21 10128 Torino, anche tramite viafax 0114325910 o e-mail: [email protected]

Atti di convegniDAL SEGNO AL SUONO: SEGNI DELL’UOMO

NELLE TERRE ALTE FRA PASTORIZIA, AGRI-COLTURA E TRADIZIONI POPOLARI - Con-vegno Internazionale svoltosi a Zucca-rello il 9 ottobre 1999 (info: 0182 21046).La Rete delle Aree Protette Alpine ha cu-rato la pubblicazione in 4 lingue degli at-ti del convegno svoltosi a Pollein (AO)

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Stockalperweg:il sentiero storico del Sempione

di Albano Marcarini

“Si calmi. Dove vuol mai andare ?Un punto è assodato.Lei non potrà mai arrivare,mi creda, dov’è già arrivato”.GIORGIO CAPRONI,Apostrofe a un impaziente

Fate conto di essere nel 1670.Vi trovate a Briga, nel Vallese,e state entrando nella più va-sta dimora patrizia di tutta laSvizzera. Sarete ricevuti da“Sua eccellenza illustrissimaGaspare Barone Stockalperdella Torre, Gran Balivodell’inclita Repubblica del Val-lese, insignito dell’Ordine del-lo Speron d’Oro, Cavaliere delSacro Romano Impero edell’Ordine di San Michelenonché Barone di Duing”, al-tresì chiamato in forme piùspicce ma altrettanto altiso-nanti, “Roi du Simplon”. Ora,dopo un ossequioso inchino eun doveroso omaggio, chie-detegli cortesemente il per-messo di attraversare le sueterre, da una parte all’altra delPasso del Sempione. Dite chesiete turisti e che non avete in-teresse al commercio né di ri-so, né di sale, né di armi o disete preziose. Lo fate solo perpiacere di camminare, anchese così la proposta suonerà unpo’ strana. In questo modoforse eviterete di versare queifastidiosi balzelli che, nel girodi pochi anni, hanno fatto lafortuna di quest’uomo dal vol-to poco espressivo ma dall’in-tuito geniale, vero padrone deitraffici commerciali lungo ilSempione nel volgere della se-conda metà del XVII secolo.Se il permesso, come credo, viverrà benevolmente accorda-to, preparatevi a compiere u-na splendida passeggiata su u-na delle più belle e importan-ti vie di comunicazione stori-

che delle Alpi. Tornate dunque al presente eapprofittate del primo auto-postale in partenza dal piazza-le della stazione di Briga perguadagnare la china del Passodel Sempione, a 2005 metrid’altezza, sotto l’abbacinanteriverbero del ghiacciaio delMonte Leone. L’autista, se lagiornata promette bene, di-sdegnerà la nuova strada na-zionale che con lunghi viadottitaglia le boscose pendici dellamontagna optando per la tor-tuosa ma romantica ‘stradanapoleonica’ che il grande im-peratore, più di cent’anni do-po il nostro Balivo, costruì perconsentire il passaggio dei suoicannoni in appoggio all’im-minente Campagna d’Italia.“A questa altezza - scrisseThéofile Gautier nel 1850 - lapelle del pianeta appare in tut-ta la sua nudità che qualchecompassionevole nube vienea velare di tanto in tanto colsuo mantello d’ovatta”. Bene,scesi dal torpedone a Simplon-Kulm, avviatevi in direzionedel valico, distante non più diun centinaio di metri, e cerca-te lì attorno le paline gialle conla dicitura “Stockalperweg”.Una volta trovate seguitele indirezione di Simplon-Dorf. Sitratta della tappa centrale di u-na traversata, della durata ditre giorni, che copre da Brigafino alla frontiera italo-svizze-ra di Gondo, la mulattiera sei-centesca riattata, sulle traccedel sentiero medievale, dal Ba-rone Stockalper.Questo valico, nel cuore delleAlpi Lepontine, dove passa ilpiù breve collegamento fraMilano e Parigi, fu poco uti-lizzato dai Romani che gli pre-ferirono il Moncenisio o ilGran San Bernardo. La suascoperta avvenne nel Medioe-vo con l’intensificarsi dei rap-porti fra l’Ossola e il Vallesema soprattutto con il ruolopredominante che Milano,sotto la nascente signoria deiVisconti, stava assumendo co-me centro dei commerci ditutta l’area padana. Il trattato firmato nel 1267 aLattinasca, fra i Vescovi-Con-ti di Novara e di Sion, forni-sce le prime notizie dei traffi-ci lungo questa via di comu-nicazione. I mercanti lombar-di potevano da qui accederealle fiere della Champagne e

SENTIERIPROVATI

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a cura di Aldo Molino

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1. La conca dell’Alpe Spittal.2. L’ospizio Napoleonico del Sempione.3. Il cippo al passo del Sempione.4. Il vecchio ospizio in un acquerello di A. Marcarini.5. Passo del Sempione a 2.005 metri.6 La strada storica del Stockalperweg.7. Simplon Dorf.8. Mulattiera del XVIII secolo a Stutzij.

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delle Fiandre, mentre il Ve-scovo di Sion poteva mante-nere uno sbocco verso la Pia-nura Padana, non controllatodai Savoia. La mulattiera ebbe alterne for-tune poiché gli stessi interpre-ti degli accordi commercialifurono sovente anche acerri-mi nemici nel possesso dei pa-

scoli di queste alte terre. I val-lesani, assieme ai walser, pas-sarono più volte lo spartiac-que e occuparono le alte vallidell’Ossola, poco popolate; èper questa ragione che il con-fine politico fra Italia e Sviz-zera non è fissato sul valico,ma più a sud, oltre le gole diGondo. Queste costituivano la

vera difficoltà per i viaggiato-ri: un’orrida forra, percorsa daun tumultuoso torrente frapareti altissime e insidiose. I sentieri più antichi aggirava-no le gole con tortuosi per-corsi aperti nel vuoto a gran-de altezza. Furono i walser pri-ma e Napoleone, molto piùtardi, a renderle transitabili

sebbene il loro attraversa-mento, sia ancora oggi co-stante motivo di inquetudine.I viaggiatori del XIX secolo ri-masero spesso sorpresi di rag-giungere la solatìa Italia lungoun passaggio così impervio eselvaggio.Appena iniziato il cammino epassati ai piedi di una monu-

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mentale aquila di pietra, unabreve diramazione verso sini-stra conduce all’ospizio napo-leonico del Sempione, inizia-to nel 1813 e aperto ai vian-danti nel 1831. Gestito dai ca-nonici della Congregazione delGran San Bernardo, offre al-loggio a modico prezzo ed èsede di corsi estivi per giovanie comunità. In passato venivadata ospitalità gratuita agli in-digenti, mentre chi potevapermetterselo era tenuto a la-sciare una libera offerta pari alvalore dei servizi prestati.Tornati sui propri passi si pro-cede sul sentiero segnalato, checorre alle spalle dell’albergoMonte Leone e si insinua fra idossi glaciali e i residui moreni-

ci dell’ampia colma del valico. A un tratto ci si affaccia a ungradino naturale, sotto il qua-le si stende la vasta piana del-la Bergalp, dominata dall’im-ponente struttura del VecchioOspizio.Lungo la via, sono stati ripor-tati alla luce alcuni tratti delselciato originario. Si osserva-no vari tipi di pavimentazio-ne. Su un declivio roccioso, siscorge un’iscrizione con la da-ta 1672 e le iniziali C.H.S. Siriferiscono al riattamento delpercorso eseguito dal Gran Ba-livo che, in tal modo, restituìal Sempione, dopo un perio-do di decadenza, la sua im-portanza come via di trafficointernazionale.

Superato l’alpeggio di Niwe, siraggiunge il Vecchio Ospizio(Alte Hospiz). L’intero tragit-to montano da Domodossolaa Briga (oltre 60 chilometri)richiedeva intere giornate diviaggio ed erano necessariestrutture per il ricovero deiviandanti. Nel Medioevo sicontavano nove ospizi lungoil percorso. Antichi documentidanno per certa l’esistenza nel1235 dell’Ospizio del Sempio-ne, posto nei pressi dell’AlpeGampisch, poco sotto il ver-sante meridionale del valico,tenuto dai Cavalieri di Malta. Un ospizio molto più capien-te fu realizzato dal BaroneStockalper, intorno al 1670. Inesso volle celebrare l’apogeodella sua potenza. L’edificioserviva al tempo stesso da al-loggio, magazzino e dimora e-stiva della sua famiglia. Biso-gna immaginare le lunghe ca-rovane di muli, carichi di mer-

ci, che si incrociavano nelpiazzale dell’Ospizio, guidatedai vetturali e sottoposte al ri-gido controllo del ‘partitorballarum’, preposto alla ri-scossione dei diritti di dogana.Il sentiero prosegue insinuan-dosi in leggera discesa lungofreschi rivoli d’acque. Costeg-gia dall’alto Nideralp e superauna stretta rocciosa, riportan-dosi per breve tratto sulla stra-da nazionale all’altezza dellalocanda di Engiloch, una del-le sette cantoniere costruitecon la strada napoleonica, se-condo una tipologia comuneche contemplava l’alloggio delcustode, il magazzino e un lo-cale adibito a taverna.Nel tratto successivo, dove fra

i pascoli fanno capolino i pri-mi abeti, il recupero del sen-tiero ha messo in luce altritratti di pavimentazione (fracui un tratto intagliato nellaviva roccia) e di muretti dicontenimento in pietra. Lun-go la discesa si affianca a uncerto punto un rustico e pos-sente edificio. Si tratta della‘sostra’ di Engi.Documenti del 1555 indicanoin questo luogo un punto disosta delle carovane. L’edificiosembra prestarsi a questa fun-zione: le sue piccole aperture,gli archi immorsati nelle pa-reti ne confermano la vetustà.Alle sue spalle si erge un mu-ro in grossi massi avente fun-zione di protezione dalle va-langhe.Superato il piccolo nucleo diMaschihüs la via, sempre pro-tetta da muretti, in modo daimpedire agli animali da somadi invadere i coltivi, si immet-

te sulla strada napoleonica incorrispondenza di un podero-so ponte in pietra ad arco, cherimarca il notevole impegnocostruttivo degli ingegnerifrancesi. Siamo ormai a brevedistanza da Egga.Si tratta del primo insedia-mento stabile che si incontradopo il passo, discendendo ilversante meridionale. La suafondazione è relativamente re-cente e fece seguito alla distru-zione nel 1597 di un villaggiodell’opposto versante, travol-to da una valanga di ghiaccioe pietrame. Calamità naturalidi questo genere sono fre-quenti devastando i luoghi eseminando lutti fra la popola-zione: un’enorme massa di de-

Dal Passo del Sempione a Simplon Dorf lungo lo Stockalperweg

Itinerario lineare a piedi nel Vallese, sull’antica mulattieradel Passo del Sempione nelle Alpi Lepontine. Il passo si rag-giunge da Briga con il servizio di autopostali delle PPT sviz-zere. A sua volta Briga è stazione ferroviaria internazionalesulla linea del Sempione con treni eurocity per Milano. Il ri-torno da Simplon Dorf a Briga avviene sempre in autoposta-le. In periodo estivo è anche possibile proseguire in autopo-stale fino a Domodossola. Lunghezza: 9 km; dislivello (in discesa): 620 metri; tempomedio di percorrenza: 3 ore.Condizioni del percorso: mulattiera selciata. Percorso senzadifficoltà, adatto a tutti; periodo consigliato: da giugno a ot-tobre.Dove mangiare. Sia al passo che a Simplon-Dorf si trovanoristoranti o locande.Indirizzi utili: Fondazione Sempione - Stiftung Simplon3901 Simplon Dorf, Tel. 027 978 80 86, Fax 027 979 15 44 Orari di apertura dell’Ecomuseo: dalle 14 alle 18 (dal 1 giu-gno al 15 giugno il mercoledì e domenica; dal 16 giugno al15 agosto tutti i giorni; dal 16 agosto al 30 ottobre ilmercoledì e domenica).Per saperne di più. Http://www.mypage.bluewin.ch/stockal-perweg/index.htm

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triti, dovuta a un’altra frana del1901, si osserva traversando ilbosco di Sengg, nel successivotratto dell’itinerario.Il percorso si tiene poco di-scosto dalla strada ottocente-sca, aggira alcuni dossi prativie si affaccia infine su SimplonDorf, meta finale della vostraescursione.Il disegno compatto del vil-laggio, con le sue case dalle co-perture in scisto, si distendenella conca prativa prima del-le cupe gole di Gondo. Nellaparte a monte transita la stra-da napoleonica dove affaccial’Albergo della Posta, costrui-to nel 1810 come caserma. Lapiù bassa piazza centrale, ac-ciottolata, è una suggestiva im-magine del passato; qui tran-sitava l’antica strada che oltreil villaggio, col nome di Stutzji,discendeva a gradoni verso legole. Un caratteristico edificio,a corte chiusa e duplice log-

giato, porta il nome di AlteGasthof. E’ la vecchia locandarestaurata come sede dell’E-comuseo del Sempione. La vi-sita del museo, gestito daun’apposita fondazione, è al-tamente raccomandata perchéaggiunge un’interessante pun-tualizzazione storica sui luo-ghi appena attraversati. Il recupero dell’antica strada èiniziato nel 1991 grazie allaStiftung Simplon e all’Inven-tario delle Vie di Comunica-zione Storiche della Svizzerache hanno investito esperien-ze e risorse. Sono state neces-sarie 11 mila ore di lavoro perriportare alla luce l’antico sel-ciato, con una spesa comples-siva di quasi un milione di

Un’associazione per le vie storiche

L’Inventario delle Vie di Comunicazione Storiche è un’associazione che si occupa dellostudio, del recupero e della valorizzazione delle strade, dei percorsi, dei sentieri di inte-resse storico. Le vie storiche sono un bene collettivo della nostra comunità da non di-menticare. In ogni momento della storia la fortuna economica di una nazione, di unaregione, di una città si è basata sull’utilizzo di funzionali comunicazioni stradali. Com-mercianti, pellegrini, pastori, soldati, principi e imperatori, turisti o semplici viandantihanno percorso queste strade nei secoli stimolando contatti culturali e spirituali, rela-zioni economiche e politiche fra popoli diversi.Lo studio delle vie storiche riguarda l'inventariazione dei tracciati storici mediante in-dagini sul campo e d'archivio, il rilievo delle loro persistenze fisiche, la pubblicazione direpertori regionali dedicati alla viabilità storica. Il recupero riguarda la redazione di pro-getti relativi a percorsi storici riconosciuti e la cui importanza li renda entità culturali dasalvaguardare. La valorizzazione riguarda le possibili forme di fruizione culturale e tu-ristica di tale patrimonio, la sua pubblicizzazione e sensibilizzazione nei confronti del-l'opinione pubblica.IVS si avvale del contributo di studiosi, organizza ogni anno un programma di escur-sioni guidate, avvia ricerche e progetti di recupero, pubblica un Bollettino con studi esaggi sulla viabilità storica. Di recente ha curato la pubblicazione, nell’ambito del pro-gramma Interreg II, della collana ‘Strade di Pietra’, una cartografia escursionistica e-spressamente rivolta alla riscoperta dei sentieri storici transfrontalieri fra Italia e Sviz-zera.L’associazione, istituita nel 1993, ha sede a Milano, in via Aosta 2, 20155, tel. 02.3490162,fax 02.33104525. Possiede un sito Internet: http//www.viaggiatori.com/IVS.htm

franchi svizzeri. Uno sforzoben ripagato dalle migliaia diescursionisti che, ogni anno,nella buona stagione, ricalca-no a passo lento le pietre del-la storia.

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A cura diGiovanni Boanodirettore Museo Civico Scienze Naturali, Carmagnola

DALMONDODELLARICERCA

La ricerca scientificae la comunicazione nei musei naturalisticiAndrea PirovanoMuseo Faraggiana, Novara

E’ questo il tema di un seminario tenutosi a Novara, presso il Museodi Storia Naturale Faraggiana Ferrandi, tra musei locali di storianaturale. Questo primo incontro ha avuto tra i principali obiettiviquello di far incontrare “chi si occupa di musei” in modo da favori-re uno scambio di idee e far nascere future collaborazioni, oltre adar voce a realtà locali spesso piccole e poco conosciute. Questimusei infatti, il più delle volte affetti da carenze di personale o fon-dati sull’iniziativa di appassionati volontari, rimangono esclusi dalgrande circuito museale e dalla comunicazione. Il carattere interre-gionale dell’iniziativa, favorito dalla posizione di Novara, ha intesopromuovere lo scambio di esperienze maturate da queste regioni incampo museologico. L’incontro ha avuto un’ottima risposta, a testi-monianza di quanto fosse sentita la necessità di un confronto.Hanno partecipato 8 musei del Piemonte, uno della Valle d’Aosta e5 della Lombardia. Il seminario è stato patrocinato dall’InternationalCouncil of Museums (ICOM) e dall’Associazione Nazionale MuseiScientifici (ANMS). Ad apertura della giornata, Peter Davis, delDipartimento di Archeologia dell’Università di Newcastle UponTyne, (autore del volume“Musei e AmbienteNaturale: il ruolo deimusei di storia naturalenella conservazionedella biodiversità” ed.Clueb), ha sottolinea-to l’importanza deimusei locali nellac o n s e r v a z i o n edella biodiversità,a u s p i c a n d o n eanche la collaborazioneattraverso la creazione di unarete.La sessione mattutina aveva come tema l’importanza dell’atti-vità di ricerca dei piccoli musei scientifici. Tra gli interventi più inte-ressanti quello di Gianfranco Curletti del Museo Civico di StoriaNaturale di Carmagnola che, nello spirito dell’incontro, ha sollecita-to i presenti a creare una rete di collaborazione. La relazione diDanini, del Museo Insubrico di Storia Naturale di Induno Olona(VA), ha illustrato le attività di ricerca di un museo gestito esclusi-vamente da volontari, evidenziandone i pro e i contro. Nel corsodella sessione pomeridiana si è parlato invece di didattica e dicomunicazione. L’intervento di Barbagli, dei musei universitari diPavia, ha documentato gli sforzi fatti dal museo nel tentativo di sal-vare un’importante collezione storica e il modo di comunicarlaattraverso mostre, mentre Pirovano ha chiuso la giornata parlandodelle numerose iniziative rivolte al pubblico organizzate dal MuseoFaraggiana a poco più di un anno dalla sua riapertura.Il primo risul-tato tangibile di questo seminario, che si proponeva come apripistaper altri analoghi, è stato che il Museo Civico di Carmagnola, orga-nizzerà il prossimo incontro sul tema della ricerca nei piccoli museied attiverà un gruppo di lavoro specifico su questo argomento.

La porta d’ItaliaUffici turistici, un punto di ristoro dedicato al prodot-to tipico di valle e un vasto spazio espositivo ideato perospitare mostre, fiere, manifestazioni, spettacoli, con-certi e incontri culturali. Un'accoglienza con la A maiu-scola è ciò che l'Atl2 Montagnedoc e Sitaf vorrebberooffrire in un futuro non molto lontano alla Porta d'Ita-lia, un'area di oltre 2000 mq inaugurata a maggio di-rettamente sull'autostrada Torino-Bardonecchia-Cham-bery (A32). L'idea è di intercettare i numerosi turisti e viaggiatoriche ogni giorno transitano sull'autostrada del Frèjus di-retti in ogni parte d'Italia, presentando le Montagne O-limpiche in simbiosi con le risorse e le particolarità del-la Val Susa e del Pinerolese. Ma sarà anche un'occasio-ne per tutte quelle Regioni italiane che, ospitate di vol-ta in volta nello spazio espositivo, avranno modo di sug-gerire inaspettati e lontani risvolti ai viaggi di chi attra-versa la Val Susa.

Il museo naturalistico di GuardabosoneGuardabosone è un grazioso paesino delle prealpi pie-montesi nei pressi di Borgosesia in provincia di Vercel-li; qui vive Carlo Locca che, dopo lunghi anni di atti-vità lavorativa, si è messo finalmente a riposo e si dedi-ca alla sua collezione naturalistica. Per ricercarne ed ac-quisirne ogni pezzo ha impiegato gran parte dei propririsparmi e del proprio tempo, girovagando per il mon-do. Oggi questi materiali costituiscono un’interessantee cospicua raccolta in parte esposta in alcuni locali disua proprietà che Locca, armato soltanto della propriapassione naturalistica, si impegna anche a rendere visi-tabile nei giorni festivi o su richiesta negli altri giorni.Ai visitatori si domanda soltanto una volontaria liberaofferta per contribuire alle spese di gestione (luce, ri-

scaldamento, ecc.) per le quali il'museo', nonostante le richieste dicontributi inoltrate a vari enti, per-cepisce soltanto due milioni l'an-no dal comune di Guardabosone.La raccolta possiede interessantis-simi pezzi: fossili di vertebrati e in-vertebrati, provenienti specialmen-

te dal Sahara, e ritrovati pa-leoetnografici (selci e altri

strumenti preistorici), u-na collezione mineralo-gica ed una di verte-

brati di tutto il mon-do contenente pre-gevoli preparati tas-sidermici di rettili,uccelli e mammife-ri con alcune speciemolto rare che sa-

rebbe interessantestudiare. Un esempio

per tutti una coppia di leo-ni il cui maschio possiede lecaratteristiche del raro leo-ne berbero del Nordafrica.

È visitabile solo dagli esperti in-vece la raccolta di insetti (spe-cialmente troglobii delle grottecarsiche italiane e iugoslave) cheil proprietario, appassionato en-tomologo, giudica una delle piùbelle del mondo. (G.G.Bellani)

Museo di Storia Naturale, località Cucco, Guardabosone, Ver-celli, tel. 015 761116.

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@vvisi ainaviganti

Cacciatori di stelle

Con la scusa dell’agostana “notte di SanLorenzo”, vi invitiamo a… prendere lestelle nella rete. Per passione scientifi-ca o assecondando una vena di roman-ticismo, condizioni meteorologiche per-mettendo si può scrutare direttamente ilcielo per seguire le tracce luminose del-le cosiddette “stelle cadenti” ed espri-mere - come da tradizione - un deside-rio. Per il resto dell’anno, però, non per-dete l’occasione di andar oltre l’orizzon-te terrestre anche navigando in Internet.“Prendi le stelle nella rete”, appunto, èun bel sito (http://www.pd.astro.it/stel-le.html) che propone astronomia per tut-ti, a cominciare dai bambini. Da notare:le “Notizie della settimana”. E’ dedicato

raccomandiamo un tour nel Museo del-la scienza di San Francisco: nel suo ”Ex-ploratorium ExploraNet” (http://www.ex-ploratorium.edu/) è compreso un “Os-servatorio” che è una straordinaria gui-da alle risorse Internet in tema di astro-nomia (http://www.exploratorium.e-du/observatory/index.html). “Attraverso gli astri” è un’accurata ricer-ca: sedici capitoli in “Viaggio tra astro-nomia, filosofia e storia” (http://utenti.tri-pod.it/attraverso_gli_astri/). A propo-sito di storia: di Yuri Gagarin, il primo co-smonauta, si parla all’http://www.ko-smonaut.se/gagarin/.In ultimo: all’http://astrolink.mclink.it/ids/lib/index.htm c’è una “Piccola gui-da ai termini astronomici” in ordine alfa-betico.

Rita [email protected]

http://www.lagazzettaweb.it

GLI INDIRIZZIsegnalati in questa rubrica sono«linkati» nella versioneon-line dellarivista.Sono graditesegnalazioni di siti interessanti o curiosi all’[email protected]

http://www.regione.piemonte.it/parchi/rivista/index.htm

Astronomia per i non vedentiNome: A riveder le stelle. Indirizzo:http://www.pd.astro.it/ariveder. So-no queste le coordinate essenziali delprimo sito Internet di divulgazione a-stronomica dedicato ai non vedenti. Loha realizzato l’Osservatorio Astronomi-co di Padova, mettendo a punto un si-stema che permette di viaggiare trastelle, galassie e pianeti anche ai tantiche di tutto ciò hanno soltanto sentitoparlare. Chi non è dotato della vista, potrà “toc-care il cielo” con le dita. Ogni paginadel sito, infatti, contiene l’immagine diun corpo celeste codificata in formato“tattile” e un testo descrittivo. Quest’ul-timo si può ascoltarlo con un sintetiz-zatore vocale, mentre l’immagine va spedita ad una stampante Braille. Unavolta messa su carta, si può viaggiare nell’Universo percorrendo il foglio conle dita. “A riveder le stelle” è inserito nel già citato “Prendi le Stelle nella Rete”, unpiù articolato progetto di didattica e divulgazione. All’http://www.lestelle.neto http://www.pd.astro.it/stelle.html, con numerosissimi testi e belle imma-gini (provenienti dagli archivi Nasa e da altri istituti scientifici), molte sezionidispensano risposte e approfondimenti tematici. Da notare, fra il resto, chein “Astronomia per tutti” è compresa “Starchild” (http://www.pd.astro.it/STAR-CHLD/): trattasi di un “Centro Studi per giovani astronomi”, un’iniziativa ri-volta ai ragazzi delle scuole elementari.

all'astronomia amatoriale il portale ita-liano all’http://www.astrofili.org: tanterubriche, fotografie e filmati, “Astrodizio-nario”, news sempre aggiornate, acqui-sti on-line e mercato dell’usato. Inoltrearchivi, una rivista, mailing list, links, unutilissimo motore di ricerca interno e mol-to altro.All’http://www.cieletespace.fr gli ap-passionati d’astri e d’avventure spazialiapprezzeranno la ricchezza profusa dal-l’Associazione Francese d’Astronomia in“Ciel et espace”: rubriche, banche dati,la “cosmoteca” con un’importante biblio-grafia e la lista dei Planetari francesi, ar-ticoli e documenti multimediali, un mo-tore di ricerca interno particolarmente ef-ficace.Accesso virtuale alle meraviglie dell'uni-verso anche da “Astronomy” (http://www.astronomy.com/), portale con molte se-zioni aperto a tutti, dai neofiti agli esper-ti, che per gli insegnanti può rivelarsi unvalido supporto didattico (vedi ad esem-pio la sezione intitolata “Universe in Clas-sroom”). Tra il resto: suggestive foto-grafie, novità sulle galassie, “AstroKids”(simpatica area dedicata ai bambini), quizper verificare le proprie conoscenze, fo-rum di discussione etc. E’ quasi superfluo dilungarsi su abbon-danza, bellezza e varietà dei materialiofferti dal sito della Nasa (http://www.na-sa.gov/), che all’http://www.sti.nasa.gov/ offre anche una messe di informa-zioni scientifiche & tecniche “per un mon-do che cambia”. Vale la pena, invece, disegnalare lo sterminato corredo d’im-magini della Terra (suddivise anche peraree geografiche) che gli astronauti han-no scattato dagli oblò del mitico “Shut-tle” (http://earthrise.sdsc.edu/earthri-se/main.html). Oppure una “Galleria a-strofotografica” che raccoglie immaginisuddivise in sei sezioni, da “Luna” a “Cie-lo… tempestoso” (http://web.tiscali.it/a-saantares/galleria%20astrofoto.htm)In particolare a studenti ed insegnanti

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Cirrus uncinus Cirrostratus fibratus radiatus Cirrocumulus

Cirrocumulus stratiformis undulatus Altocumulus stratiformis translucidus perlucidus Altocumulus stratiformis lacunosus

Cumulus fractus Stratocumulus orografico (muro del föhn) Cumulus humilis

Guida visiva al riconoscimento ed alla classificazione delle nubi,secondo le direttive dell'OrganizzazioneMeteorologica Mondiale. In formato70x100 cm, contiene 54 immagini di differenti tipi di nubi, ognuna identificata e commentata, completa di data e luogo della ripresa.

Costa L. 29.000, per l'acquisto:http://www.nimbus.itoppure telefonare alnumero 011 797620,Società Meteorologica Italiana,Via G. Re 86 , 10146 Torino.

Poster "Atlante delle nubi"