2007-05-26

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CARTA MUORE CARTA RISORGE FENOMENI La bella e il vampiro Il caso Meyer, gli adolescenti e il «mistero» GIORGIA GRILLI P. III MARCO BELPOLITI Proviamo a vuotarci le tasche e a disporne il contenuto sul tavolo. Oltre alle chiavi e alle monete, probabil- mente ci sono banconote, bi- glietti del tram, scontrini di ne- gozi, la carta del bancomat, un foglietto con la lista della spe- sa, un vecchio post-it, una rice- vuta, e poi il portafoglio con una serie innumerevole di car- te: supermercato, carta di cre- dito, tessera della palestra, tes- serino magnetico dell'ufficio. Viviamo, si dice ogni giorno, in un'epoca elettronica, fondata sull'immateriale, un mondo leggero, come scriveva due de- cenni fa Italo Calvino nelle sue Lezioni americane, in cui tutto sembra veicolato dai bit di computer, un universo postmo- derno di farfalle contrapposto al mondo dei dinosauri: la vec- chia modernità pesante e in- gombrante. Il principale strumento di comunicazione della storia dell'umanità, la carta, oggetto tecnologico ma anche «artefat- to comunicativo», secondo la fulminante definizione di Do- nald A. Norman (Le cose che ci fanno intelligenti, Feltrinelli), di cui si è annunciata più volte la morte, è ancora tra noi. Anzi, non sembra che si sia mai usa- ta tanta carta come da quando l'universo informatico ha ini- ziato a rigurgitare informazio- ni, attestati, documenti, artico- li, citazioni, email, sulle nostre scrivanie, in ufficio, a casa, a scuola, nel tribunale, in banca. Maurizio Ferraris, brillante filosofo torinese, ha iniziato da qualche tempo a misurarsi con i nostri oggetti d'uso quotidia- no, quelli che meglio sembrano definire la vita d'ogni giorno - cellulare, iPod, computer, stampanti, «pennette» -, ogget- ti apparentemente privi di uno statuto filosofico, meglio, onto- logico, e tuttavia decisivi per organizzare, svolgere e regi- strare i nostri atti giornalieri, per comunicare, lavorare, cor- teggiare o respingere gli altri. Ferraris sostiene ora in Sans papier (Castelvecchi, pp. 231, 14) che viviamo in un mondo sospeso tra «i sans papiers», i migranti, e l'eccesso di docu- menti di carta, e non solo carta- cei. Se da un lato, come speri- mentano tutti coloro che varca- no più o meno clandestinamen- te una delle innumerevoli fron- tiere che attraversano oggi il mondo, essere privi di docu- mento, carta d'identità o passa- porto, li trasforma in persone senza-identità, disarmate di fronte agli arbitri del potere di poliziotti, guardie, addetti alla sicurezza; dall'altro, il mondo appare sempre più segnato dal- la scomparsa della carta come supporto su cui scrivere: sans papier. Eppure la carta non sem- bra valere niente - l'esempio più famoso è il foglio sventola- to da Chamberlain, primo mini- stro inglese, al ritorno dalla Conferenza di Monaco nel 1938, con cui pensava di aver scongiurato la guerra con Hit- ler -, eppure l'uso del documen- to cartaceo è decisivo per la conservazione di ogni forma di memoria. Contravvenendo una previsione di McLuhan, che sosteneva la crisi della scrittura e il trionfo del visivo, oltre al ritorno dell'oralità (Gli strumenti del comunicare, il Sag- giatore), la scrittura non solo non finisce, ma cresce in modo esponenziale: tutti scrivono email, sms, blog, ecc. Certo la carta, dice Ferraris, non è più POESIA Al «circo» Ripellino L’opera dello slavista e nuovi versi Anni 90 TESIO-CORTELLESSA P. V DIARIO DI LETTURA Malerba: Musil l’intoccabile Da Vinci a Nove i magnifici talenti d’Italia SERRI P. XI FULMINI NICO.ORENGO [email protected] CRITICO, ROMPI O FAI PUBBLICITÀ? TUTTO libri La nuova società della comunicazione L’informatica propone un mondo immateriale ma la scrittura cresce, cambia «supporto» e «luoghi», perché non si vive «senza documenti» LA STAMPA SABATO 26 MAGGIO 2007 PAGINA I Continua a pag. II Quell’utile «rompiscatole» di Alfonso Berardinelli, sul «Corriere» attacca quelli che, secondo lui, sono i «recensori pubblicitari», quelli che non criticano un testo ma lo sponsorizzano. Ma non fa un solo nome, un solo esempio. I puri, i rompiscatole, che il sistema, editoriale, ma anche gli stessi lettori, non vorrebbero avere più intorno sono invece i critici. Berardinelli è ingeneroso, perché a leggere giornali e riviste si leggono invece recensioni che informano e giudicano. I critici hanno bisogno di fiato e spazi e tempi diversi. Non manca la militanza, mancano le riviste. Illustrazione di Ettore Viola per Tuttolibri p SETTIMANALE LEGGERE GUARDARE ASCOLTARE NUMERO 1565 ANNO XXXI [email protected] W

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Page 1: 2007-05-26

Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - I - 26/05/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/01 - Autore: MARCHI - Ora di stampa: 25/05/07 19.36

CARTAMUORECARTARISORGE

FENOMENILa bellae il vampiroIl caso Meyer,gli adolescentie il «mistero»GIORGIA GRILLI P. III

MARCOBELPOLITI

Proviamo a vuotarci letasche e a disporne il

contenuto sul tavolo. Oltre allechiavi e alle monete, probabil-mente ci sono banconote, bi-glietti del tram, scontrini di ne-gozi, la carta del bancomat, unfoglietto con la lista della spe-sa, un vecchio post-it, una rice-vuta, e poi il portafoglio conuna serie innumerevole di car-te: supermercato, carta di cre-dito, tessera della palestra, tes-serino magnetico dell'ufficio.Viviamo, si dice ogni giorno, inun'epoca elettronica, fondatasull'immateriale, un mondoleggero, come scriveva due de-cenni fa Italo Calvino nelle sueLezioni americane, in cui tuttosembra veicolato dai bit dicomputer, un universo postmo-derno di farfalle contrappostoal mondo dei dinosauri: la vec-chia modernità pesante e in-gombrante.Il principale strumento di

comunicazione della storiadell'umanità, la carta, oggettotecnologicoma anche «artefat-to comunicativo», secondo lafulminante definizione di Do-nald A. Norman (Le cose che cifanno intelligenti, Feltrinelli), dicui si è annunciata più volte lamorte, è ancora tra noi. Anzi,non sembra che si sia mai usa-ta tanta carta come da quandol'universo informatico ha ini-ziato a rigurgitare informazio-ni, attestati, documenti, artico-li, citazioni, email, sulle nostrescrivanie, in ufficio, a casa, ascuola, nel tribunale, in banca.Maurizio Ferraris, brillante

filosofo torinese, ha iniziato daqualche tempo amisurarsi coni nostri oggetti d'uso quotidia-no, quelli chemeglio sembranodefinire la vita d'ogni giorno -cellulare, iPod, computer,stampanti, «pennette» -, ogget-

ti apparentemente privi di unostatuto filosofico,meglio, onto-logico, e tuttavia decisivi perorganizzare, svolgere e regi-strare i nostri atti giornalieri,per comunicare, lavorare, cor-teggiare o respingere gli altri.Ferraris sostiene ora in Sanspapier (Castelvecchi, pp. 231,!14) che viviamo in un mondosospeso tra «i sans papiers», imigranti, e l'eccesso di docu-menti di carta, e non solo carta-cei. Se da un lato, come speri-mentano tutti coloro che varca-no più omeno clandestinamen-te una delle innumerevoli fron-tiere che attraversano oggi ilmondo, essere privi di docu-mento, carta d'identità o passa-porto, li trasforma in personesenza-identità, disarmate difronte agli arbitri del potere dipoliziotti, guardie, addetti allasicurezza; dall'altro, il mondoappare sempre più segnatodal-la scomparsa della carta comesupporto su cui scrivere: sanspapier.Eppure la carta non sem-

bra valere niente - l'esempiopiù famoso è il foglio sventola-to daChamberlain, primomini-stro inglese, al ritorno dallaConferenza di Monaco nel1938, con cui pensava di averscongiurato la guerra con Hit-ler -, eppure l'uso del documen-to cartaceo è decisivo per laconservazione di ogni forma dimemoria. Contravvenendouna previsione di McLuhan,che sosteneva la crisi dellascrittura e il trionfo del visivo,oltre al ritorno dell'oralità (Glistrumenti del comunicare, il Sag-giatore), la scrittura non solonon finisce, ma cresce in modoesponenziale: tutti scrivonoemail, sms, blog, ecc. Certo lacarta, dice Ferraris, non è più

POESIAAl «circo»RipellinoL’opera delloslavista e nuoviversi Anni 90TESIO-CORTELLESSA P. V

DIARIO DI LETTURAMalerba: Musill’intoccabileDa Vinci a Novei magnificitalenti d’ItaliaSERRI P. XI

FULMININICO.ORENGO

[email protected]

CRITICO,ROMPI O FAIPUBBLICITÀ?

TUTTOlibri

La nuova società della comunicazioneL’informatica proponeunmondo immaterialema la scrittura cresce, cambia «supporto» e «luoghi», perché non si vive «senza documenti»

LA STAMPASABATO 26 MAGGIO 2007

PAGINA I

Continuaa pag. II

Quell’utile «rompiscatole» di Alfonso Berardinelli, sul«Corriere» attacca quelli che, secondo lui, sono i«recensori pubblicitari», quelli che non criticano untesto ma lo sponsorizzano. Ma non fa un solo nome,un solo esempio. I puri, i rompiscatole, che il sistema,editoriale, ma anche gli stessi lettori, non vorrebberoavere più intorno sono invece i critici. Berardinelli èingeneroso, perché a leggere giornali e riviste sileggono invece recensioni che informano e giudicano.I critici hanno bisogno di fiato e spazi e tempi diversi.Non manca la militanza, mancano le riviste.

Illustrazionedi Ettore Violaper Tuttolibri

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - II - 26/05/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: MARCHI - Ora di stampa: 25/05/07 19.36

Èindubbio: disporresoltanto di una va-rietà locale (undia-letto) limita forte-mente le possibili-

tà comunicative, lo scambio.Già si è limitati se si conoscel’italiano soltanto e l’ingleseno. D’altra parte i dialettinostri sono così ricchi, spiccie vivaci, e di concreta corpo-sa arguzia che è un peccatorinunciarvi. Pensiamo allemigliaia di proverbi e modidi dire. Tra i tanti mi piaceil sicilianocu di sceccu ni fa’n mulu ’u primu cauci èso, «chi promuove un asinoal rango di mulo ne riceveràil primo calcio». Perfetto.Un lettore calabrese mi ri-cordaunmottodella sua ter-ra che dice: anu perdutu uvue e circano e corna, cioèsi interessanodi cosedi pocovalore, poiché hanno perdu-to il bue e stannoa cercare lecorna.Non èmale!Amolti piace parlare in dia-letto proprio per serbare laloro espressività, che è in-dubbia. A Napoli o valloncoppa a munnezza, «ilgallo sopra l'immondizia»alla lettera, serve per indica-re la persona molto presun-tuosa e vanitosa. Stupendo.Certo, sonomodi che appar-tengono a una sepolta Italiarurale, che non conosceva latachigrafiada sms.Il dialetto era anche, spesso,cattivelloanzichenò.Nonmispiego il verbo sinistro che ri-cordo di aver sentito dabambino, il piem. scursé,«accorciare»alla lettera, vo-ce gergale per «uccidere»che certamente deve essernata dopo la decapitazionedaghigliottina.Chi ama i dialetti a dismisu-ra ama l’Italia periferica,popolare, l’Italia del passa-to, non ama la sostituzionedell’efficacia comunicativadiun oggi rapido e spiccioal-l’efficacia espressiva, teme ilsopravvento di una linguastrumentale, nella qualesembra che ci sia sempreme-no posto per l’invenzioneespressiva. Cosa che in real-tà ionon credoavverrà.

PAROLEIN CORSO

GIANLUIGIBECCARIA

DIALETTOMINIERAD’ITALIA

LA POSTA DI CARLO FRUTTERO

il veicolo esclusivo della co-municazione, a vantaggio difile e memorie elettroniche,nuovi supporti su cui l'attua-le «società della registrazio-ne» ha preso ad incidere.Questo tuttavia non significa,come aveva previsto il filoso-fo Lyotard nella mostra LesImmatériaux, aperta nel 1985al Beaubourg, che viviamo inun universo «privo-di-mate-ria», ma che la materia su cuisi fonda la nuova società in-formatica e tecnologica pos-siede caratteristiche differen-ti: plastica e silicio nel compu-ter, plasma nello schermo, in-vece della graffite della mati-ta, dell'inchiostro della pen-na o delle fibre vegetali dellacarta.

Ma c'è ancora dell'altro,

afferma Ferraris: la scritturasi delocalizza grazie aimemorystick, alla pennetta e ai cd. Noie la scrittura siamo diventatinomadi, non nel senso previstoda Michel Maffesoli (Del noma-dismo, Franco Angeli) o da De-leuze e Guattari (Rizoma eMil-

lepiani, Castelvecchi), ma se-condo una modalità che è anco-ra una volta fondata sulla tec-nologica: l'iscrizione. A questatecnologia del contemporaneoMaurizio Ferraris fornisceuna teoria filosofica mobilitan-do Derrida e la sua idea dellascrittura, per definire la forma

della società in cui viviamo.Sans papier ci mostra, attraver-so una serie di mosse filosofi-che e concettuali, come ogni ti-po di società possa esistere so-lo attraverso la «documentabi-lità», ossia la possibilità d'iscri-zione, attestazione e identifica-zione; con l'argilla, con la cartao con i file, ovvero con i suppor-ti della scrittura, comincia dav-vero ad esserci la società.

La stessa idea di globalizza-zione, l'Impero come lo hannodefinito Negri e Hardt nel lorovolume (Rizzoli), non c'è soloin ragione della circolazionemondiale delle merci e delloscambio finanziario, ma anchee soprattutto attraverso il si-stema della circolazione dellascrittura; la delocalizzazione,su cui Ferraris insiste più voltenel suo volume, è all'originedella globalizzazione stessa: ildocumento informatico non ha

più un luogo specifico. Se io ri-spondo a un formulario di unapubblica amministrazione chesi trova su Internet, che impor-tanza ha se mi trovo a casa miao in un Internet-caffè di Mo-sca? Anche il supporto - il com-puter, il video - si delocalizza,dal momento che posso tra-sportarlo ovunque, oppure tro-varlo ormai ovunque.

Ma è soprattutto la deloca-

lizzazione dell'intenzione checonta secondo Ferraris, laquale non è più situata in unapersona fisica. Chi riceve ilmio formulario inviato via In-ternet è infatti una macchina,la quale elabora una rispostasulla base di parametri giàprefissati. Se la carta scompa-

re, il suo posto è preso da una«scrittura potenziata», diceFerraris nel capitolo intitola-to «Platone al call center»; enon si tratta più della trascri-zione di una voce come soste-neva il filosofo greco: funzio-na per conto suo, senza impie-gati, senza niente. Voci senzacorpo, senza luogo, e senza no-me: «Sono Sara, in cosa possoaiutarla?», risponde con unaformula, e non un'identità, latelefonista di turno alla no-stra accorata telefonata. Chirisponde - la macchina o Sara- non è più responsabile diquello che dice, proprio comeun messaggio o un foglio dicarta. Scrive Ferraris in mo-do ironico, ma non troppo,che questa trasformazionenel campo della responsabili-tà oggi rende giustificata la ri-sposta dei militari tedeschicolpevoli di efferatezze e stra-gi: «Eseguivo solo un ordine».Il call center e il sistema infor-matico sembrano dunque rea-lizzare su scala di massa la

«banalità del male» di HannaArendt. Anche la Fine del lavo-ro, teorizzata da Jeremy Ri-fkin (Baldini& Castoldi), èuna ipotesi errata, dal mo-mento che la reperibilità - cel-lulari, computer, telefoni,Skype - fa sì che lavoriamo an-che sul bordo della piscina.

Il merito di questo libro èquello di aiutarci a capire an-che concettualmente la «gran-de trasformazione» che stasubendo il mondo contempo-raneo. Tuttavia in queste pa-gine spira una forma di inelut-tabilità che la filosofia di Fer-raris, logica e coerente, fini-sce per tirare a lucido e rende-re così tutto brillante e con-vincente senza fornirci nelcontempo alternative. Si trat-ta di un atteggiamento intel-lettuale alla fin fine pessimisti-co, il vero stigma di questo ini-zio di millennio, dove la siste-mazione dell'esistente sem-bra impegnare menti eccelseben più della ricerca di un fu-turo diverso.

LA NUOVAFRONTIERADI GUANDA

Luigi Brioschi, presidente e direttore editoriale:«Altri due autori confermeranno la nostra vocazioneinternazionale, il russo-newyorchese Gary Shteyngart

e l’esordiente anglo-indiano GautanMalkani»

SCRIVERE ACarlo Fruttero, Tuttolibri-La Stampa, via Marenco 32, 10126 Torino [email protected]

p

Tv interattiva,no grazieGentile signor Fruttero, sono unpensionato di 69 anni, sposato, chevive in una città di provincia tuttosommato tranquilla. Vado a pescare,gioco a biliardo con gli amici, facciolunghe passeggiate col mio cane,provvedo alle piccole riparazioni incasa, faccio qualche volta la spesa.Leggo poco per certi problemi agli occhie la sera sto a guardare la tv, spesso ma

non spessissimo. Una vita semplice,banale, ma gliela racconto perché sperodi avere da lei una qualcheilluminazione circa quello che misuccede. Giorni fa in tv due illustripersonaggi discutevano sul futuro direti, canali, satelliti, digitale eccetera,e dicevano che tutto sta cambiandorapidamente e che tra poco ognunopotrà farsi la tv che vuole, scegliere unpezzo di qua e uno di là, organizzarsi asuo gusto il pomeriggio o la serata. Tvinterattiva, dicevano. Ma a me l'ideanon è piaciuta per niente, e mi chiedo, echiedo a lei, il perché.Considero la libertà un bene primario,mi ritengo un sincero democratico, nei

supermercati ci vado volentieri e sonoben lieto di scegliere tra le tanteofferte. Ma per quanto concerne ildivertimento, o intrattenimento, mi dàfastidio proprio la possibilità dipotermelo programmare da me. Io mimettevo lì davanti allo schermo e quellidi là, gli addetti, mi presentavanodiverse opzioni, belle, brutte,divertenti, noiose, disgustose. E ioprendevo quel che c'era. E' vero, spessolo sapevo in anticipo (dal giornale) emagari aspettavo con impazienzaproprio quel film o quella partita.Oppure mia moglie o alcuni amiciaffittavano dei dvd e dopo una buonacena tutti a guardare il Titanic, per

dire. Una bella festa, ma che non vorreiripetere una sera dopo l'altra. Perché?Che male c'è a stabilire in anticipocome divertirsi? Anche coi viaggi, coiristoranti, coi libri è lo stesso in fondo.Eppure io non sono contento di questalibera scelta televisiva, e non me lospiego. Può dirmi la sua opinione? Suo L.B. di M.

Caro L.B., sembra quasi che lei par-li di sua moglie, che dev'essere affida-bile, puntuale, precisa, rispettosa ditutte le scadenze; e nello stesso tem-po sbarazzina, imprevedibile, eccitan-te. Ma la cara donna non può esseretutto per tutti. Si rassegni.

CarloFruttero

Luigi Brioschi, presidente e direttore editoriale Guanda

Segue da pag. I

Sostiene Luigi Brioschi(fuori dal suo abitualeunderstatement) chel'editoria italiana, inquesto momento è

«piuttosto dinamica, curiosa ditutto». Non si può non dargli ra-gione. E, fatta salva, la quantitàdi carta inutile purtroppo strut-turaleall'industriadel libro in tut-to il mondo, è ancora una voltaprovato, dal nostro rapido excur-sus tra le massimesigle, che a talilivelli non si fa solo business, masi studia, si sceglie tempestiva-mente, si guarda lontano. E' que-sto anche il ritratto della Guan-da, dinamico marchio letterariodel Gruppo Mauri-Spagnol, nata84 anni fa a Parma, subito origi-nale e innovativa, e che da vent'anni con la guida di Brioschi, pre-sidente, direttore editoriale e oraentrato anche nell'azionariato, èsempre più punto di riferimentoper la cultura italiana.

UNA DOPPIA VOCAZIONEBen visibile in gran parte delle1200 novità in catalogo e così sin-tetizzata da Brioschi: «Ricercadel nuovo "vero". Politica di inve-stimento sugli autori». Un'atten-zione su entrambi i fronti mai al-lentata, visto che la casa della Fe-nice, senza rinunciare alle pro-prie radici legate alla poesia, haraccolto via via: l'esplosionedellanarrativalatino-americanae spa-gnola (Sepúlveda, Coloane; Cer-cas, Grandes); la rinascita dellafiction irlandese (da Doyle di cuista arrivando Paula Spencer, unDoyle «d'annata», 10 anni dopoLa donna che sbatteva nelle porte,stessa protagonista; a Banvillecon il suo recente esperimentonel noir; a O'Connor del quale laGuanda pubblicherà a ottobre ilnuovo romanzo Il lungo viaggiodi

Eliza Douane, dalN.Y. Times giudi-cato il suo capolavoro); il fenome-no della chemical generation (capo-stipite Welsh), le voci del nuovo ro-manzo americano. Vocazione chesi conferma anche nelle due prossi-me o recenti collane: la «Guandagraphic» (genere ormai irrinuncia-bile per l'editoria) che parte in au-tunno, primo titolo molto speciale:il memoir di Bernice EisensteinSo-no figlia dell'Olocausto; mentre la«PiccolabibliotecaGuanda» prose-gue capricciosa tra filosofia in sen-so lato (sinora Massarenti, Safran-ski, Lars Svendsen) e varietà (do-po l'estate si riprende con Il mate-matico giallo di Carlo Toffalori, ov-vero la matematica nelle pagine diPoe, Sherlock Holmes, la Christie,Maigret).

I 4 DI «GRANTA»Non a caso tra i 20 giovani scritto-ri Usa vincitoriquest'annodella se-lezione di Granta, la rivista-bibbiainglese, «quattro della lista - tienea sottolineare Brioschi - apparten-gono alla nostra scuderia: ormaida tempo con noi Foer e la Krauss;CristopherCoake e, ultima acquisi-zione, il russo-newyorchese GaryShteyngart. Sono Shteyngart el'esordiente angloindiano GautanMalkani i due autori destinati aconfermare anche quest'anno lavocazionedi Guanda».

Definito dal New Yorker il piùbel libro del 2006, Absurdistan diShteyngart è la storia di un picarorussoche deve lasciare Manhattanper colpa del ricchissimo padre ri-fugiandosi nel piccolo inesistentestaterello del titolo dove vivrà stra-bilianti avventure nel solco dellatradizione fantastico-satirico rus-sa, Gogol,Bulgakovecc.Londostani di Malkani, «vero

caso inglese degli ultimi 2 anni», èuno dei primi romanzi che descri-

vono la realtà inquieta delle mino-ranze etniche londinesi, lotte tra fa-zioni, bande giovanili,ma dalla par-te di un ambiente quasi borgheselontano dai poveracci di Welsh conil quale Malkani ha però in comune«la funambolesca abilità del pasti-che di slang multietnici». Ma ci sa-ranno anche, tra giugno e agosto,una nuova Dorrenstein, una nuovaExtebarria, il primo «non memoir»della irlandeseO'Faolain,mentre iltalentosurreale del portoghese Ta-vares si cimenterà dopo Il signorValérycon un nuovo esilaranteper-sonaggio, Il signorCalvino.

Il CARTELLO ITALIANOE' vero come scrive Piperno (LaStampa, martedì) che «l'Americanon scopre i nostri libri». Quantomeno non abbastanza, e così per ifrancesi: «segno della debolezzadelle due società europee»? Occa-sione di dibattito, ma anche occa-sione per la Guanda di sottolineareil peso (non paragonabile, per ora,a quello degli stranieri) dei nostriautori legati alla «casa»: «Tutti oquasi scovati da noi (a parte ungrande Cavazzoni, «più stralunatoche mai, all'apparenza, appenauscito con la sua Storia naturale deigiganti, ndr), esordienti che si sonoimposti all'attenzione dei lettori».Basti nominare Biondillo con ilGio-vane sbirro; Arpaia e Conti, Vichi eMorozzi, in testa la Mastrocola,prossimo un nuovo romanzo. «Unanarrativa che offre espressivitàmolto diverse, difficile da racchiu-dere in qualsiasi formula».

Non estranea al panorama in-ternazionale che sempre più ricon-duce all'esperienza dell'integrazio-ne e del meticciato: il futuro di oggi.Ma sul quale, e non solo per unamaggiore competitività, vorrem-mo sentire più forte la sua voce.Quanto spera anche Brioschi.

Il silicio ha preso il postodelle fibre vegetaliC’era una volta la pennaoggi c’è la «pennetta»,il «memory stick»

Lacartamuore, la carta risorge

Soggetti e oggettidella comunicazionesi «delocalizzano»:è questo il fondamentodella globalizzazione

MIRELLAAPPIOTTI

Agenda TuttolibriSABATO 26 MAGGIO 2007

LA STAMPAII

PROSSIMAMENTE

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - III - 26/05/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/03 - Autore: MARCHI - Ora di stampa: 25/05/07 19.36

GIORGIAGRILLI

Oggi, stando alle classifichedei libri più venduti, sembra che gliadulti si dividano nettamente tra «in-tegrati», per i quali è la realtà cosìcom'è a dover occupare esclusiva-mente la nostra seria attenzione, e «ci-nici», o «scanzonati», per i quali ilmondo sociale è una farsa e non c'ècheda derideree decostruire.Leggia-mo, noi, o molti libri-inchiesta o moltilibri-barzelletta, la cronaca o la comi-ca, mentre la narrativa pare non sap-pia più bene cosa inventare per risul-tarea tutti i costi originale.La letteratura per ragazzi invece

non ha mai dimenticato che non sipuò prescindere da certi exempla persuscitare la passionedei giovani letto-ri. I libri per ragazzi - e soprattuttoquelli che davvero piacciono ai ragaz-zi - pur trasformandosi, pur moder-nizzandosi, continuano a raccontarestorie archetipiche, senza pudore.Christopher Booker, insigne studiosoinglese, nel saggio The Seven BasicPlots (Continuum 2005, non tradottoin Italia) spiega perché da semprel’umanità racconti storie (e le raccon-ti in fondo sulla basedi pochi elementiriconducibili a pochi elementi capita-

li. Lo scopo sottostante tutto il narraresarebbe quello di ricongiungere gli es-seri umani con il senso di qualcosa dipiù profondo, più atavico, più misterio-so chenon la loro semplice esistenza in-dividuale. Di riconnetterli con ciò chehanno lasciato «fuori» (nel buio, nel-l’ombra, nel profondo) rispetto a quan-to è qui, è noto, è «proprio»ed è rassicu-ranteo conveniente.Nei libri per ragazzi, un'alternativa

aquestomodoriduttivodi esistere si ri-velapossibile, si lascia intravedere,atti-ra, seduce, conducea rischiose esplora-zioni oltre la soglia.Quella di casa, quel-la della propria famiglia, quella della co-munità in cui si è cresciuti, e anche e so-prattutto quella della propria identità.Di quell'identità che vorrebbe esserci«data»,mentre essa, nei libri per ragaz-zi, va cercata, scoperta, sperimentata,affinata, rivista e rigiocata a modo pro-prio.Qualunquecosa comporti,qualun-quecosa sipossaperderedi«certo».Non c'è forse in questomomentoun

esempiopiùperfettodi questomeccani-smo che funziona e che ritorna, nellestorieper ragazzi, dell'operadi Stepha-nieMeyer, veroeproprio fenomenoedi-toriale, più che semplicemente una se-riedi libri, di cui così tanti adolescenti sisono appassionati, e che si è diffusopri-

ma inAmericaepoi inEuropaoriginan-do stuoli di fans non solo attivi come let-tori,ma anche come scrittori a loro vol-ta,perchépurdi indulgere inunastoriache li ha tanto colpiti hanno creato blo-gsecomunitàvirtuali percommentare,immaginare e proseguire la trama e lavicenda lì narrate.Dopo Twilight, uscito in Italia nel

2006, il romanzo che ha dato inizio aquesto entusiasmo giovanile rimanen-doper 23 settimane in testaalle classifi-

che dei libri per teenagers negli StatiUniti,dovehavenduto400.000copie, èin libreria il sequel intitolatoNewMoon,ambientato inparteaVolterra.La storia, lasciatasapientementeso-

spesa alla fine del primo romanzo, èquella di Bella, una diciassettenne chenella noiosa e piovosissima cittadina diForks si innamora fatalmente di Ed-ward, ragazzomisteriosodal fascino ir-resistibile che si scopre essere un vam-

piro. Un amore che si direbbe impossi-bile, come tutti gli amori tra «diversi»,in questo caso anche perché lui devecombattere contro la propria naturaper resistere al richiamo del sangue dilei, ed è da se stesso che, amandolae de-siderandola, deve proteggerla. Ma unamore così totale da rendere i protago-nisti disposti a tutto, a pagare qualun-queprezzo.Ci si stupisce, nei commenti a que-

sto successo, che in tempi di cinismoquali i nostri diventi così importanteper i ragazzi un libro che, al di là di tut-to, èun librosull'amore.Maqui l'amorenon va visto in modo banale, bensì perlametafora potente che è di viatico peraccedere all'«altra» dimensione. Chiama si butta nel vuoto, si dà, accetta dipotere non tornare (dov'era prima,com'era prima, in quella dimensionetutta conscia che garantiva sicurezza).E il fatto che l'autriceabbia fatto di Bel-la una ragazza dei nostri giorni e di Ed-wardunamisteriosacreaturadella not-te, di lei una studentessa un po' impac-ciata e di lui un non-umano che predanel buio dei boschi, non è che un modoper enfatizzaree insieme rendere lette-rale il messaggio atavico delle storie:quello secondo cui dobbiamo uscire danoi e dal nostro mondo limitato per ri-

congiungerci con quanto della naturapiù profonda (anche nostra) abbiamodimenticato e lasciato fuori dalla portanelmomento in cui abbiamo sviluppatoun ego preoccupato solo di trovare abi-tudiniemodiper conservarsiuguale.

PERDERSI IN CIÒ CHE È ALTROTimida, imbarazzata,unpo' goffaqualeera e si conosceva,Bella, innamorando-si perdutamente,si scopree si rivela co-raggiosa e imprevedibile fino alle estre-me conseguenze. L'amore è il motorechepuò far compiere il salto fuori da uniopienodelle proprieprecauzioniepau-re. E' l'avventura totale. Lo è sempre.In epoca di contatti facili, di rapportisemplificati e superficiali, di possibilitàmoltiplicate di pronunciare e viverecon molta leggerezza la parola amore,mettere un vampiro tenebroso e irresi-stibile come colui al quale, se si ama,nonsi puòchedarsi, può servire a ricor-dare qualcosa dell'originaria essenzadell'amore. Dell'amore inteso comeeros, come attrazione oscura e profon-dissima prima di tutto sensuale, senso-riale, che in qualchemodo si rivela fata-le (qui è l'odore del sangue, è il corpo,più che mai, a richiamare, e ovviamen-te per la ragazza, che assolutamentevuolequestoamore, si trattaanchee so-prattuttodi una iniziazione).E può servire a ricordare come

l'amore,quandoè tale, possa essere col-locato ad un livello affatto diverso daquello in cui l'umanità ha collocato dasempreanche tutta intera l'arte, o perfi-no la religione: lì l'io accetta di fondersi,di con-fondersi, di perdersi in ciò che èAltro, cerca un'unione tra le proprieprofondità e profondità che lo trascen-dono; si apre e si affida al punto da po-tersi sentirsi, oltre le strettoie egotisti-che, nonpiù (solo) se stesso.Questo, pe-raltro, lo porta a sviluppare facoltà chenon sapeva di avere, tra cui una grandeforza interiore e preziose capacità em-patiche e intuitive, affatto inconciliabilicon la ragione.

NON BASTA IL MONDO COSÌ COM’ÈForse può bastare, come messaggio(ancheal di là dello stile incalzante,dell'efficaciadei dialoghi e di altre eventualiqualità propriamente letterarie dei li-bri dellaMeyer) a giustificaremoltodelfermento,dell'entusiasmoedellamobi-litazionegiovanile intornoa questanar-razione. I ragazzi, evidentemente, nonhanno smesso di sentire che il mondocosì come lo abbiamo costruito, unmondo totalmente a nostra misura,non basta (né quando lo si approva néquando lo si critica), e che oltre quello èessenziale, per crescere, per trovarsi,per capire chi si è, cercare di sintoniz-zarsi con il battito oscuro, potente, bo-schivo del cuore del mondo. Il quale cichiama, a volte, nella forma per esem-pio di una seducente creaturadella not-te, e verso il quale allora non si può cheandare per sentirsi profondamente vi-vi, anche quando il rischio è quello dimorire. Serve dire che prima di Bellaun'altra Bella era stata fatalmente at-tratta da una «bestia» dalle buone ma-niere, e che Cappuccetto Rosso avevaaccettato senza tropperesistenzeun in-vitouguale?

IL LIBRO

STEPHENIE MEYERNew Moontraduzione di Luca FusariFAZI, pp. 446, !17, 80

È il seguito di «Twilight» (tradottosempre da Fazi), inizio di unaquadrilogia che proseguirà con«Eclipse» e «Breaking Dawn»).L’autrice (americana, madre di trefigli, residente in Arizona) ha un sito(www.stepheniemeyer.com).Anche in Italia ha un fan clubufficiale: www.twilighters.it

Si chiamaBella l’adolescente innamoratadel vampiroEdward in«NewMoon»diStephenieMeyer ( adestra)

Fenomeni Lo straordinario successomediatico di StephenieMeyer, che con «Twilight»e «NewMoon» propone (non solo) ai ragazzi un amore tanto impossibile quanto necessario

Un’adolescente attrattada una creatura della notte,unametafora del bisognodi cercare un’altra identità,di ricongiungersi al «mistero»

LABELLAE ILVAMPIRO

Il personaggio TuttolibriSABATO 26 MAGGIO 2007

LA STAMPA III

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - IV - 26/05/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/04 - Autore: MARCHI - Ora di stampa: 25/05/07 19.36

pp Enrico Brizzip IL PELLEGRINO DALLE

BRACCIA D'INCHIOSTROp MONDADORIp pp. 316, !15,50

pp Sandro Veronesip BRUCIA TROIAp BOMPIANIp pp. 232, !16

SERGIOPENT

Cerchiamo di immagi-narcelo,SandroVeronesi,men-treapre il cassetto incui giace ilmanoscritto più volte rivisitatodi quel romanzo nato quandolui eraungiovanottoancora lon-tanodai fasti del successo. Il ro-manzo scotta - non nel sensodel titolo definitivo, BruciaTroia, ricavato da una aggrovi-gliata canzone dell'ultimo cd diVinicioCapossela - chiedeanco-ra attenzioni, così come le chie-dono i suoi personaggi, dispersisul fondo di un'italica provinciaormai defunta insieme alle sueillusioni corali di crescita socia-le infinita.

Sandro Veronesi soppesaquella storia vista e rivista,vi cer-caunmotivodi conforto,dopotut-to costituisce l'apripista di ciòche lui sarebbe poi diventato, unnarratoreattentoemisurato,mo-dernonel senso eticodi una ricer-camai fine a se stessa, attuale co-me le problematiche perenne-mente irrisolte dell'uomo con-temporaneo. Quelle pagine - ge-nuine, istintive, neanche sovrab-bondanti - non costituiscono unpeccato di gioventù, o quantome-no lo sono nellamisura di una de-rivaancora impersonaledi perso-naggi e accadimenti, in quel fuo-co d'artificio di entusiasmi chequi accomuna lamemoriadel Pa-solini borgataroal realismosocia-le, ilDickensdei romanzipiùavvi-liti all'ironia strampalata di unJohn Irving che aveva appenasfornato un nuovo best con il flu-viale romanzo sugli orfani, Le re-goledella casadel sidro.Lo stile forse un po' provviso-

rio della primastesura si è affina-to in continue, sapienti riscrittu-re che hanno reso il romanzo ge-nerosamente vivace anche nellaforma. La sostanza è fatta di queipersonaggiche continuanoabus-sareea chiederestrada, che rifiu-tano di essere abbandonati sulfondo di quella provincia tra gliAnni Cinquanta e Sessanta, cer-canodi elevarsi in statura lettera-ria per convincere l'autore di es-

serci davvero stati, di aver vissu-to e sofferto in quella stralunataepoca percorsa all'insegna di unboom trasversale e marginale,atipico,grottescomanon incredi-bile.CosìVeronesi sorridecompia-

ciuto al ricordo di Salvatore, l'or-fano scappato dal brefotrofio deiCherubini gestito con vibrantipreghiere e solenni castighi cor-porei da padre Spartaco, ex-mis-sionario integralista simbolo diun'Italia pronta a tuffarsi nei mi-racoli di provincia. Salvatore èunabellacreatura, luipuò farcelaanchegiù al Cantiere, il quartieredei diseredati attorno al quale ilboom economico va edificandovillette e caseggiati destinati aespandere i sogni di gloria dellapiccola borghesia rintanata nelleFiat 600. Salvatore scappa a Ve-ronesi, ma continua a vivere, di-venta un piccolo boss che appic-ca incendi su commissione, ac-canto al vecchio trafficoneMicci-na, mentre i deliri di padre Spar-taco attirano folle di fedeli attor-no al monumento psichedelicozeppodi ingranaggie tubialneon- la «Finzione Permanente» - de-stinato a proteggere la VergineMaria da altri deliri più concreti,quellidel progresso.E il Pampa?Il dodicennePam-

pa sembra destinato a prendereil postodi Salvatorenel disagiodiun'emarginazione sempre piùmarcata, ad accompagnarlo - ne-gli incendi e a letto - in unascorri-banda di traffici improvvisati nelcontesto sociale ormai isolato alcentro di un'Italia che cresce,sfreccia, va in vacanza, implodenel suo stessoboom, lancia le ulti-me grida di vittoria in una nottemagica in cui unamitica partita -Italia-Germania4-3 - tracciò il se-gno tra il prima e il dopo, tra lamortediSalvatoree la folliadi pa-dre Spartaco, le illusioni di un

Pampa incatenato alle nevrosiviolente delle suore del brefotro-fio e il profilodi un futurodestina-to adaffidarsi sempredi piùaimi-racoli dei suoi santi, più o menoreali o credibili.Sandro Veronesi guarda ol-

tre,ma li lascia infineandare, tut-ti quei personaggichecostituisco-no la sua giovanil zavorra, emble-mi stazzonati di un'Italia ancorafiduciosa e provinciale, ingenua esicura di avere sempre le spalleprotette da qualcuno. Adesso ilcassettoè vuoto - finalmente - do-po vent'anni di ripensamenti,vuoto come le taschedelle illusio-ni checihannorubatoperstrada,chissàquando,chissàdove.

BRUNOQUARANTA

A chi sparisce il naso,a chi la dimora tanto agognata,«sommamentegialla». E’ un at-to di ItaliamagicaLa casa (Sel-lerio, pp. 81,!9) diMichelePer-riera, fondatore e direttore diTeatés, teatro e scuola di tea-tro in Palermo.Unmisterobuf-fo, di un buffo integrale, Palaz-zeschi e dintorni.Accade che l’impeccabile

capocommesso di un centralenegozio di abbigliamento si av-vii a coronare il sogno in formadimattoni: «...quella casa - scri-

ve alla fidanzata - è la più caraaspirazione della mia vita. Tuttosarà più splendente, nel mondo,quando finalmentesarà pronta».Se non che, nottetempo, la ca-

sa svanisce.Ma veramenteè sva-nita? Perché non c’è anima chela ricordi. Francesco si dispera.Ballerino sulla corda pazza, nontroverà solidarietà alcuna. Dallabanca alla polizia, alla gente co-mune: chi lo scambieràper un vi-sionario, chi per un demente, chiper un debole irredimibile (lasua Irene: «...non posso condivi-dere la mia esistenza con un uo-mo che non sa accettare, quando

occorra, la precarietà della vi-ta»). Che cosa gli resterà se nonla «buffa ostinazionea cercarediconoscere il destino dellamia ca-sa scomparsa»?Giungerà, Francesco, al co-

spetto di chi ha le mani sulla cit-tà. Stoicamente rifiuterà il com-promesso (una sontuosa villa almare se solo dimenticheràquellacasa). Stoicamente richiameràl’attenzione, ottenendo giustizia,sul caso che lo haannichilito.Si ribella, il capocommesso,

alla «vita più crudele, quella cheti porta oltre te stesso, nel gine-praio della tua stessa estranei-tà». Interpretando un copionepirandelliano, opponendosi sinoalla fine all’altrui tentativo di do-marne il libero spirito, di fran-gerne la dignità, di farlo a pezzi.«Come se già cominciastea com-penetrarvi un poco della miapazzia - par di sentirlo il signorUno, nessuno e centomila -, subitod’ogni cosa che vi dico, vi adom-brate; domandate - Perché? Chec’entra questo? Che c’entra lacasa?».

RENATOBARILLI

A prima vista si po-trebbetemeredi essere inpre-senza di un narratore saluta-to da un precoce successo ot-tenuto con un'opera quasiadolescenziale, cui hanno fat-to seguito prove via via più in-certe, convintedi nonpoter ri-tentare le vie del felice esitoiniziale, ma incerte sui giusticammini da imboccare, fino agiungere a una specie di gra-do zero, o di manifestazioneprimariadel narrare, quale sa-rebbe la cronaca di un viaggioavventuroso. In fondo, il casodi Brizzi sembrerebbe similea quello di un manager forte

negli affari,macheall'improvvi-so rinuncia a tutto e si ritira inun cascinale, però avendo curadi riadattarlo e di dotarlo diogni comfortattuale.Questo vecchio contenitore

è nientemenoche il pellegrinag-gio, e proprio in partenza daCanterbury, il mitico luogo in-glese dove si tennero i raccontidi Chaucer, ancor oggi conside-rati quale il capolavoro inizialedella letteratura d'oltre Mani-ca. Infatti Canterbury, con rela-tiva citazione propiziatoria, è ilpunto di partenza di quattrobaldi giovani dei nostri tempiche si sono messi in testa di ri-percorrere una delle favoloserottedei pellegrinaggimedieva-li, la via Francigena, che dallalontana località inglese porta aRoma. Ma l'abilità di Brizzi stanel riposizionare tutti i suoi te-mi e motivi precedenti in que-sto contenitore in apparenza in-forme e datato, dando loro unanuova, stringente necessità.Magari i quattro protagonistinonsonopiù teneri adolescenti,comeai tempidell'operaprima,ci appaiono abbastanza cinici esmaliziati, ma guardandosi be-ne, d'altra parte, dal toccare ipicchidi violenzacheBrizzi ave-va esperito ai tempi di Basto-gne; e premono senzadubbio sudi loro afflati mistici, come eraquando il nostro autore aveva

intessutounElogio diOscar Fir-mian. I nostri quattro giovanisono fatti di pasta abbastanzacomune, e sta in ciò senza dub-bio un pregio di questo Brizzi,che mentre invia i suoi perso-naggi sulle rottedi unnuovomi-sticismo, non li distacca del tut-to da un robusto inserimentonell'oggi. C'è Galerio, il fotogra-fo della spedizione, c'è Leo, unindustrialotto in pausa affari, eElvio, che vive di espedienti nelmondo dello spettacolo. E c'èl'autore, che però non si dichia-ra come tale, rinunciandoall'«io» consueto alle pagine didiario, ben sapendo che, comepredicava Boileau, l'«io è dete-stabile». Meglio rivolgersi a sestesso col tu, rinverdendo l'in-venzione stilistica che era giàstata nel «vous» con cui MichelButordialogavaconse stessoaltempodellaModification.I nostri, seguiti in cronacadi-

retta nel tratto che va dal Lagodi Ginevra al passo del Gran S.Bernardo, procedono tra diffi-coltà logistiche, incanti di bel-lezze paesistiche, incontri for-tuiti, imprevisti, arcani, violen-ti, proprio come deve avvenirein ogni pellegrinaggio che si ri-spetti, e nelle tappe si racconta-no tante storie, cosicché tuttala tematica dei nostri giorni hamodo di insinuarsi nella tramaarcaica.Nei vari ostelli e rifugi inostri riescono perfino a getta-re un'occhiata alle partite delcampionato mondiale di calcio(il tutto si svolge nell'estate2006). Si ha insomma un deli-zioso impasto tra elementi ar-caici e improvvisi inserti dell'at-tualitàpiù sfacciataevolgare.Ma soprattutto, lungo la

strada, i nostri quattro incon-trano un personaggio favoloso,un tedescodellaSveviadi nomeBern, attempato, con lapelle ta-

tuata come una pagina di enci-clopedia, curioso personaggioche sta tra la santità delle origi-ni o invece una brutalità che fatemere il peggio. I nostri sonoaffascinati e respinti, da una fi-guracosì complessa,desiderosidi lasciarselo alle spalle, ma poicostretti a ritrovarselo ad ognisvolta del complesso sentiero.Con grande abilità l'autore rie-sce a infilaredentro questo sac-codamontagnaperfinoun'orri-da vicenda di sangue, ovvia-mente incentrata attorno aBern,maanchea scioglierlanelmodo più spontaneo, senza chesul pellegrinaggio si stampi unamacchiacruenta.

PREGHIEREECASTIGHID’ITALIA

Perriera Il capocommesso e il sognogiallo che svanisce in una sola notte

IERIEOGGICHEPASSIPELLEGRINI

Enrico BrizziEsordìnel 1994con il romanzo«JackFruscianteè uscitodal gruppo»,poi tradottoin 24 Paesi

Sandro Veronesi «Brucia Troia»,in quegli incredibili Anni 50-60

SandroVeronesiLo scrittoreha vinto l’annoscorsoil premioStregacon il romanzo«Caos calmo»

Una stralunata epocapercorsa all’insegnadi un boom trasversalee marginale, grottescoma non incredibile

VALEUNAVITALACASAGIALLA

Brizzi Quattro giovani ripercorronoun favoloso itinerariomedioevale

Un delizioso impastotra elementi arcaicie improvvisi insertidell’attualità piùsfacciata e volgare

Narrativa Italiana TuttolibriSABATO 26 MAGGIO 2007

LA STAMPAIV

www.sperling.it

4 ediz ioni in 1 mese

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - V - 26/05/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/05 - Autore: MARCHI - Ora di stampa: 25/05/07 19.36

GIOVANNITESIO

Provar gratitudine non è unatto critico, ma può essere un attodovuto. Leggere tutte - ma propriotutte - le Poesie prime e ultime di An-gelo Maria Ripellino che l'editoreAragno ha appena pubblicato per lacura di Federico Lenzi e Antonio Pa-ne (con un'Introduzione di Alessan-dro Fo e una Presentazione di Clau-dio Vela), è un esercizio che vorreiraccomandareper l'aumentodi vita-lità che ne deriva, per l'energia emo-tiva che sprizza dalla ricchezza ba-roccheggiante delle immagini, dallefaglie e dallemagliedel belletto speri-mentale.Viene da domandarsi se Ripellino

abbiamai vagheggiato - come i poetiche «aspettano il pennello della glo-ria» - il suo «lungo trenino / coi vago-ni delle opere complete».Ma qualco-sa del genere parrebbe sul punto diaccadere,perché in queste stessePo-esie prime e ultime che comprendonogli esordi e la fine (maanche lepoesiepubblicatepostumee quelleulterior-mente ritrovate), si dà notizia del fat-to che Einaudi sta per pubblicare letre opere centrali:Notizie dal diluvio,Sinfonietta,Lo splendidoviolinoverde.Un poeta fuori dall'ordinario che

adistanzadi anni fa sentire la sua vo-ce molto più forte che non negli anniin cui (tra i Sessanta e i Settanta)poté lanciare la sua scommessa dell'oblio o annotare in alcuni versi diAu-tunnale barocco la solitudine di uncruccio tendenzioso: «Non si accor-gerannonemmeno / di quello che haiscritto. / Getteranno i tuoi versi tragli stracci vecchi. / Resterai sguatte-ro, guitto / in questa fiera di gratti-grùdelle lettere».Dietro «il basso continuodella tri-

stezza», dietro la «sparviera tristez-za» che l'attanaglia come l'«ardenteattinia» che si attacca «allo scoglio-orologio della vita», questo ippogri-fante lunare, questo splenetico illu-sionista di sillabe e di allitterazioni,questo giocoliere «sul filo dello spasi-mo», questo clown post-diluviale,questo guitto e teatrante fastoso, èanimato da una singolare volontà ditenerezza e di gioia. Preoccupato semai di rintuzzare la riduttiva etichet-ta di «slavista» (la chiamava «l'eti-chetta depositata») in cui i commis

delle patrie lettere - i «grattigrù» ap-punto - lo avevanoconfinato.La tessitura poetico-teatrale di Ri-

pellino inscenauna lucida festa di figu-re che non sono la semplice esibizionedi una bravura e di una cultura prodi-giose, ma la coscienza necessitante diuna voce «fuori sesto», animata dascarti e dissonanze che rifiutano i con-formismidi tendenzae la facilità rime-vole (certo lui non ha mai attaccato aisuoi versi «rime come ciondoli / comeamuleti acustici»). Tanto da suonarecome un'eccezione argutamente can-dida il componimento di quattro quar-tine (irregolari e rimate) giocate conritmo di canzonetta a conclusione del-la raccolta d'esordio, Non un giornoma adesso: «Vivere è stare svegli / econcedersi agli altri, / dare di sé sem-pre ilmeglio / e nonesserescaltri».Daun lato c'è nella poesiadiRipelli-

no la consapevolezza torturantedell'«enorme ricchezza della realtà»che le parole non arrivano a esaurire.Dall'altro la consapevolezza nonmino-reche«nelcircodelmondo»siamo«co-me cubi staccati che non si amano».Viene di qui la «tenebrìa malsanile»,l'«amarità del destino», l'«amorosaestranìa», in cui - impastando «sicilitu-dine» e «slavità», «jazz iroso» e «pigo-lìo delle dalie» - passa un'opera che va-ledavvero lapenadimettersi a rilegge-reper intero.

ANDREACORTELLESSA

Andrea Afribo, veronese sullaquarantina,ha all'attivostudi importan-ti su Petrarca e sulla poesia del Cinque-cento, e insegna Storia della lingua ita-liana a Padova.Non si sbaglia - con que-sta padronanza della tradizione unita aun'attenzione «militante» all'oggi - adascriverlo alla scuola di Pier VincenzoMengaldo. È un fatto di rilievo, dunque,che abbia scelto di esercitarsi su un re-pertorio «caldo» come quello dell'ulti-ma (o penultima) generazione di poetiitaliani. Dopo il '78, quando uscì quellaappunto di Mengaldo, nessuna antolo-gia poetica è riuscita a imporre la suaegemonia.Col risultatochenons'è anco-ra formato un canone che scremi, insie-me valorizzandole, le ultime leve di unasezione tradizionalmente privilegiatadella nostra letteratura. A differenzache in narrativa (dove il mercato senza

più ostacoli impone i suoi «valori»: buo-na fortuna) in poesia la critica continuaa contare qualcosa, insomma.Ma sino apoco fa latitava: preda forse d'una crisidi motivazione, senz'altro di autorevo-lezza. A chi ritiene che la poesia più re-cente sia destinata solo a una stanca so-pravvivenza epigonale, non si possonoche opporre lavori strumentati quantoappassionati: che cioè, senza sopravva-lutarli ma neanche snobbarli, i poetid'oggi li prendano sul serio. Perché dal-la nicchia e dal sottobosco si esce soloriattivando un circolo virtuoso fra auto-ri, interpretie lettori.Così negli ultimi anni abbiamo ripre-

so ad occuparci di poesia. Ed è rivelato-rio che fra le molte antologie recentibrillino per nuova autorevolezza quellaeinaudiana di Enrico Testa e, ora, que-sta diAndreaAfribo «Poesia contempo-ranea dal 1980 a oggi», «Storia linguisti-ca italiana»,Carocci,pp. 238,!18,80).

Col loro diverso «taglio» (Testa par-te dagli Anni Sessanta, Afribo dai primiOttanta: spartiacqueepocale al quale fi-nalmente si dà il giusto rilievo), essedanno l'impressione che un canone, ineffetti, si vada formando.Si potranno fa-re integrazioni (auspicabili), ma unadorsale del paesaggio poetico italiano -anche alle sue latitudini più prossime - èormai in vista.I due libri si somigliano: non tanto

per la comune formazione linguistica(da rimarcare l'originalità della collanain cui esce Afribo, la «Storia linguisticaitaliana»direttadaLucaSerianni, entrola quale è recentepureun'antologiagad-diana assai ben commentata da LuigiMatt) quantoper l'impostazione«saggi-stica», cioèdecisamentecritica.Più a te-si Testa, più analitico Afribo, entrambihannocom'è inevitabile le loro preferen-ze (una stella polare segreta, alla qualecommisurare il resto) ma le temperanocon un'attitudine, diciamo, fenomenolo-gica: così offrendo un buon campione di«esemplari del sentimento poetico con-temporaneo» (per parafrasare un titolouna volta famoso). Selezionandosevera-mente i suoi autori (solo otto: ai già inqualche misura «canonici» Valerio Ma-grelli e PatriziaValdugaaffiancandoGa-briele Frasca, Fabio Pusterla, UmbertoFiori, Stefano Dal Bianco, AntonellaAnedda e Mario Benedetti), Afribo puòdotare una congrua dose di testi di uncommento non solo linguistico, bensìpienamente interpretativo: che dà con-to della loro ricchezza di motivazioni

culturali, filosofiche,politiche.Non si contano i rilievi centrati (alla

strutturale allusività di Magrelli, all'ipervisività in Benedetti, all'articolazio-ne sintattica in Dal Bianco, all'ereditàmontaliana di Pusterla) ed è non menocheesemplare la letturadi unpoetasoloin apparenza «facile» come Fiori, la cuilingua piana e il cui strumentario «co-mune» - senza sbalzi analogici né sciat-tezze pseudoprosastiche - sono ricon-dotti a una tutt'altro che banale consa-pevolezza filosofica (c'èWittgensteinal-le spalle dei suoi giochi dialogici) e a unasottilissima vena comica (umoristica,anzi).Fiori è letto da Afribo come poeta

«politico» - che interroga con decisione,cioè, limiti e «disturbi» dell'umana con-vivenza - anche se, e anzi proprio per-ché, post-ideologico. Se insomma la«stella polare» di Testa è Caproni, FiorièquelladiAfribo. Il chea volte loportaapostillareconuna certa impazienzapoe-ti ai suoi antipodi dei quali, pure, nonpuònon riconoscere l'acuminatezza for-male e l'impegno politico (Frasca), lalussuosità sensuale e l'ambiguità esi-stenziale (Valduga), il voltaggio lirico-analogicoe il respirovisivo (Anedda).Dove si vede, insomma, che anche

l'equilibratissimoAfribo, cimanchereb-be!, ha le sue faziosità.

Angelo Maria Ripellino (Palermo 1923 - Roma 1978), autore di «Praga magica»

Se è Wittgensteina ispirare nuovi versi

ANGELO MARIA RIPELLINOPoesie prime e ultimea cura di Federico Lenzi e Antonio PaneARAGNOpp. 526, !30

IL LIBRO

JAZZEDALIENELCIRCORIPELLINO

La «Poesia contemporaneadal 1980 a oggi» secondoAfribo: capofila è Fiori,alle spalle dei suoi giochidialogici il filosofo viennese

Omnia Tutte le poesie del grande slavista,aggrappato allo scoglio-orologio della vita

Percorsi TuttolibriSABATO 26 MAGGIO 2007

LA STAMPA V

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - VI - 26/05/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: MARCHI - Ora di stampa: 25/05/07 19.36

pp John Banvillep DOVE È SEMPRE NOTTEp traduzionep di Marcella Dellatorrep GUANDAp pp. 350, !16,50

pp Imma Turbaup IL GIOCO DELL'IMPICCATOp traduzione di Elena Vozzip CASTELVECCHIp pp. 174, !12

CLAUDIOGORLIER

«A volte Quirk avevala sensazionedi preferire i cor-pimorti a quelli vivi... Sì, eraaf-fascinato dalla muta misterio-sità dei defunti... Per lui la scin-tilla della morte era altrettan-to vitale della scintilla della vi-ta». Potrebbe trattarsi di unapura e semplice distorsioneprofessionale, visto che il dot-tor Quirk, personaggio trai-nante del nuovo romanzo diJohn Banville, Dove è semprenotte, è un anatomopatologo, econ i cadaveri ha quotidiana-mente a che fare. In realtà, ilcommercio con lamorte, si sa-rebbe tentati di dire la introie-zione dellamorte, appare qua-le condizione esistenziale, ol-trechementale,diQuirk.Se volete si tratta di un pa-

radosso che Quirk ( nome cheindica sia «il cavillo» sia «ilmottodi spirito») vive, e lo con-statiamo quando egli si trovadavantial cadaveredi unadon-na,ChristineFalls, la quale for-nisce il titolo originario del ro-manzo. Il lettore, come Quirk,fa la conoscenza di Christinequando è ormai defunta,ma lavicenda di lei, la sua vita e lasua morte, fanno scattare ilmeccanismo insieme lucido ecomplesso del romanzo. In ap-

parenza si tratta dello scatto ini-ziale di un poliziesco,ma questasarebbe una inadeguata sempli-ficazione.Vero:Quirk, sollevando il len-

zuolo che nasconde il corpo diChristine, si inoltra nella esplo-razionedi unmistero: a dirla ba-nalmente, di una violenza, di undelitto. Quirk si trova costrettoa indagare, a riscoprire se stes-so, il suo personale mistero, lesue personali contraddizioni.Quirkèun trovatello, recenteve-dovodi unamogliemortadi par-to, di cui sente la mancanza an-che se era stato innamorato del-la sorelladi lei.Siamo in una Dublino carat-

teristicamente notturna - temaricorrente nell’irlandeseBanvil-le - popolata di pub cui Quirk,cronico bevitore e accanito fu-matore, ricorre come tutti (l’al-col è quasi un rifugio sacramen-tale). Ma, quasi specularmente,si affaccia il mondo inquietantedei bambini orfani, un’estensio-ne della sua storia personale.Christine è morta di parto, mache si sa se il neonato, o la neona-ta, sopravvive? E se sì, quale ilsuo destino, e soprattutto a chiattribuire la paternità? Il cogno-medi lei, simbolicamente, sanci-sce la «caduta» (e«il peccato»).A questo punto la vicenda si

sposta negli Stati Uniti, a Bo-ston, dove vive e morirà il vec-chio, ricchissimo Crawford, ve-ro patriarca dell’intera famigliadi cuiQuirk faparte. Il cinico be-nefattore Crawford finanziaun’istituzione gestita da suorecattoliche di matrice irlandese,che accoglie piccoli orfani e necura l’adozione. Quirk scopreche si tratta di un coacervo diipocriti interessi, e d’altrondeha appreso da poco che la ven-tenne nipote Phoebe è di fattosua figlia sottrattagli quando lamoglie era morta, con un me-schino inganno. Ma soprattuttocomprende quale orribile storiasi nasconde dietro la morte diChristine, e in quale misura nesianoresponsabili i suoi rispetta-bili parenti, che hanno persinotentatodi sopprimerlo.

Si intrecciano altre violenze,altre morti, e al ritorno a Dubli-no Quirk comprende che l’astu-to ispettoreHacketthaegli purecapito. Si muoverà, forse, per-ché «si solleverà un saccodi pol-vere se verranno abbattuti que-sti particolaripilastri della socie-tà». Il romanzoprospetta una fi-ne caratteristicamente aperta,con le parolediHackett: «Cipro-verò».Ecco perché Dove è sempre

notte si pone nei termini di unatragedia grottesca, di un «nero»quasi shakespeariano che scavanei labirinti oscuri dell’esisten-

za, con le sue domande senza ri-sposta. Banville possiede il toc-co magico del ritratto. Eccol’ipocrita, torbido cappellanodell’orfanotrofiodi Boston: «pal-lidocomeunapatata, concapellirossi e occhi verdi acutimascial-bi». E poi la galleria dei parenti,uomini ambigui, egocentrici, su-perbi, donne inquiete, subalter-ne, represse nella loro sessuali-tà. O, naturalmente, le vittime,come Christine. Ha ragione De-Lillo quando parla del «talentoquasi feroce di Banville, nel leg-gere nell’animadegli uomini». Edi raccontarla.

ANGELABIANCHINI

Carlos Fuentes,mes-sicano, vincitore dei premiCervantes nel 1987 e Prínci-pe de Asturias nel 1994 (e an-che del Premio dell'IstitutoLatinoamericano a Roma nel1989), si è venuto via via affer-mando come uno degli scrit-tori classici dell'America La-tina di oggi. E' stato detto,giustamente, che, negli ulti-mi cinquant'anni, Fuentes,così come García Márquez eVargasLlosa, hanno cambia-to il panorama della lettera-tura latinoamericana, scri-vendo non soltanto romanziesemplari,ma addirittura ununico libro fattodi un'infinitàdi personaggi, registri e sce-nari, ormai parte del nostroimmaginario.E se Vargas Llosa ha se-

guito l'esempio di un Flau-bert, Carlos Fuentes sembraaver concepito piuttosto unasorta diCommediaUmana al-la maniera di Balzac nella

quale trovano posto tante vocidiverse, a volte quasi in conflit-to. Basti ricordare, nella narra-tiva, Lamorte di Artemio Cruz eIl vecchio gringo, L'istinto diInez, Gli anni con Laura Diaz,L'albero delle arance e, tra i sag-gi, Contro Bush e In questo cre-do, quasi tutti editi dal Saggia-tore.Oggi, escono queste Storie

per vergini che, datate 1994, siinseriscono facilmente accantoal Vecchio gringo oppure ad al-tre opere in cui Fuentes ha pun-tato l'obbiettivo verso gli StatiUniti. Ma, in realtà, si tratta diuna distinzione fallace e quasiinutile, proprio per la tenden-za, sempre più accentuatasinell'opera di questo grandescrittore, di abolire le differen-ze e barriere tra luogo e tempo.Non a caso, in un'intervista

recentissima,Fuentes dichiara-va: «scrivere è sempre una for-ma di ribellione contro il desti-no... non esiste un presente as-soluto, ma esiste un presenteletterario nel quale il passato e

l'avvenireacquistano realtà».E ancora più significativo è

il fatto che sia stato proprioFuentesa promuovereun comi-tato internazionale, capeggiatoda scrittori latinoamericani,per aiutare la ricostruzione diNew Orleans, devastata dall'uraganoKatrina. E, in quell'oc-casione scrisse: «Una battutabennota dice che l'AmericaLa-tina comincia a New Orleans.Faulkner fu accusato di essereun «gongorista del Sud». Puòdarsi. Il barocco è la culturadell'assenza, della perdita dacolmarsi a qualsiasi prezzo».E' una definizione, questa,

che si adatta mirabilmente alprimo, il più bello, di questi cin-que racconti. Si intitola Con-stancia e si svolge, non a NewOrleans, bensì a Savannah.L'epoca è quella di Reagan cheFuentes forse odiava un po'me-no di quanto non odi oggi Bush.Ma, in realtà, l'epoca è moltopiù antica, quella della GuerraCivile spagnola. Infatti, l'ameri-cano che ha sposato la donna

spagnola di nome Constancia,attraverso una struggente ri-cerca e ricognizione, deve ren-dersi conto, un giorno, che lamoglie non esiste, non èmai esi-stita. Se è sparita, è semplice-mente perché non c'è mai sta-ta. Era un fantasma, il fanta-sma o l'immagine di una donnaspagnola che aveva tentato in-vano di partire per l'America,ma non ci era riuscita ed erastata uccisa. A vivere a Savan-nah è, come dire? la sua storia,collegata con quella di un altrofantasma, un attore russo emi-grato, che forse era stato suomarito, e che muore definitiva-mente anche lui (se èmai vissu-to), sempre nello sfondo limita-to e assurdo di una città delSuddegli StatiUniti di tanti an-ni fa.Anche lamescolanza dei ge-

neri delle altre quattro vicendedice molto sulla versatilità diFuentes e, al tempo stesso, ci facapire come si sia ampliata, ne-gli anni, la sua visione tragicadelmondo.

PAOLOCOLLO

«E' una settimana chel'hanno trovato, impiccato, esolo io, che di lui non so piùniente damolti anni, so perchél'ha fatto. Così ora, invece dicustodire un terribile segreto,ne custodiscodue».Ecco le prime, misteriose

righe di questo romanzo - cheprestodiventeràancheun film- della giovane scrittrice cata-lana Imma Turbau, giornali-sta di professione e direttriceaMadrid dell'AteneoAmerica-no, centro multidisciplinare diCasadeAmérica.E se unbuonlibro si vede dall'incipit, beh,questo è certamente azzecca-to.La storia inizia nel 1981.

Lei, Sandra, ha sette anni, ed èdi una famiglia che vive a Giro-na da generazioni. Lui, David,ha un anno di più, ed è un «fo-restiero». Lei legge, studia, èiscritta a una scuola privata:una brava ragazzina, anche seun po' ribelle. Lui invece tirasassi contro le auto, sale con labici sui marciapiedi, è rissoso,frequenta - male - una scuolapubblica: una cattiva compa-gnia, insomma.Maproprio traquesti due opposti nasce un'amicizia fortissima, esclusiva,che, col passare degli anni, si

trasformerà in passione. E sullosfondo la vita di provinciadi unacittà in cui «tutti si conoscono».Per questomotivo il loro rappor-to deve essere tenuto ben nasco-sto: dapprima in biblioteca, traocchiate e sussurri, a giocare all'impiccato, a confessarsi i reci-proci desideri di trasgressione,le proprie inquietudini. E poi,col passare del tempo, la musi-ca, le primecanne, laVespa…Ma verso i quattordici anni

accade l'imprevisto, una cosache non sarebbe dovuta succe-dere, soprattutto in una tran-quilla città di provincia dove«tutti si conoscono», e permanodi uno qualunque poi. Sai beneche queste cose succedono, chepossono succedere. Però nonavresti mai pensato che potesseaccadere proprio a te. Ma sequesto accade, se ti vieni a trova-re faccia a faccia con la violenza,con la paura, con l'orrore, con lamorte, la tua esistenza cambia.Enon solo la tua. E infatti, la vitadi Sandra e di David, inevitabil-mente cambia. Il «loro» segreto,

li accompagnerà per sempre, ead esso se ne aggiungeranno al-tri, come se a questopunto fosseimpossibile chiudere «quella»porta. E fino alla fine, fino al sui-cidio di David, con cui Sandra,ormai ventisettenne, ha apertoil suo romanzo-confessione.Un viaggio nel mondo dell'

adolescenza, nei suoi misteri,nelle sue ossessioni, nei suoi se-greti, nelle sue quotidiane cru-deltà, con una scrittura che pro-mette bene, ridotta all'osso eanimata da una sorta di «gelidapassione». Un libro non banale:la storia di un'educazione senti-mentale a tinte forti, che riescecomunque a non cadere nellosquallido pulp di molti romanzidi e del genere.

John Banville sarà ospite martedì 29 maggio, con Catherine Dunne, di«Letterature», il Festival internazionale di Roma, alla basilica di Massenzio.Claudio Gorlier, in un ritratto dell’autore scritto per l’occasione, sottolineache «la statura davvero unica di Banville, la sua unicità nella letteraturacontemporanea, sta nella folgorante capacità di raccontare, con unlinguaggio insieme magico e speculativamente lucido, il dilemma spessoinesorabile e stringente dell'io, rappresentandolo in una prospettiva insiemeesistenziale e intellettuale, ontologica. Pensiamo alla trilogia DoctorCopernicus, Kepler e The Newton Letter, che non a caso recano in epigrafeversi di Wallace Stevens, ove si legge l'invito a ridiventare un uomo ignorante"per rivedere con occhio ignorante il sole e vederlo chiaro nella sua idea". La"musica sacra" dell'universo appare così a Copernico; "il futuro" sembratrovare espressione per Keplero; il biografo di Newton diviene ossessionatoda una crisi nervosa, abbandona la ricerca e conclude con la angosciosadomanda sul suo possibile, sconvolgente risveglio. Non possiamo affidarci adefinite certezze, e qui ricorre una parola chiave nell'opera di Banville, fake,falso. [...] L'eros emerge sottilmente introiettato, diviene parte dell'universalee individuale inquietudine, tormento, doloroso, inappagato, o, ancora unavolta equivoco, nel segno del falso, come in The Untouchable. [...] Il tempo ècerto uno dei protagonisti dell'opera di Banville, privato di appigli concreti,introiettato. Ma lo è la stessa arte del narrare, in un raffinato gioco di specchi,in un linguaggio di favolosa e al tempo stesso controllata fascinosità, capacedi raccontare malinconia, bellezza, amore, scoperta tormentosa di sé e delmondo: commedia e tragedia di cui si era perduto il senso».

ILMISTEROSOTTOIL LENZUOLO

pp Carlos Fuentesp STORIE PER VERGINIp trad. di Michela Finassi Parolop IL SAGGIATOREp pp. 334, !17

Il libro raccoglie cinque racconti,che risalgono al 1994.Tra i più noti romanzi di Fuentes ri-cordiamo «La morte di ArtemioCruz», «Il vecchio gringo», «L'istin-to di Inez», «Gli anni con LauraDiaz», «L'albero delle arance» e,tra i saggi, «Contro Bush».

CARLOSFUENTES:MALASPOSAE’UNFANTASMA

Storie per vergini Nelmondotragico dello scrittoremessicano

E’UNNODOLAGELIDAPASSIONE

Al Festival di Roma

Banville «Dove è sempre notte»,un «nero» quasi shakespeariano

John Banville interverrà al festival «Letterature» il 29 maggio

Imma Turbau Due adolescenti,fra trasgressioni e inquietudini

«Il gioco dell’impiccato»:un romanzo dellascrittrice catalana,amicizia e violenzanella terribile provincia

Narrativa Straniera TuttolibriSABATO 26 MAGGIO 2007

LA STAMPAVI

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Page 7: 2007-05-26

Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - VII - 26/05/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/07 - Autore: MARCHI - Ora di stampa: 25/05/07 19.36

pp Paolo Maurip BUIOp EINAUDIp pp. 118, !10

NICOORENGO

Jean Giono, lo scrit-tore provenzale, autoredell’indimenticabile L’uo-mo che piantava gli alberi,si ferma un giorno a cenada un pastore che gli offreun’insalata chiara, di quel-le che crescono all’ombradelle colline.«Il buio lo masticava-

mo con l’insalata», scrive-rà, ricordando l’episodio,Giono. Ed è questo parti-colare a colpire uno stu-dioso di letteratura comePaolo Mauri che su quel«buio masticato» ferma lasua attenzione chiedendo-si cosa rappresenti perl’uomo, nella sua longevastoria, quella mancanza diluce, materialmente e psi-cologicamente.

MILLE SFUMATURENasce così questa svelta,affascinante indagine sulBuio, a schegge, a riflessio-ni, ad appunti, alla ricercadelle mille sfumature diuna condizione che ognu-no di noi attraversa e dal-la quale è attraversato,con l’invito preciso, adogni pagina, di fermarsiper completare, con lapropria esperienza, quello

che può essere una «notte»reale o artificiale e le suepiù o meno dirette conse-guenze.E’ un libro che sarebbe

piaciuto al Calvino delle Co-smicomiche e delle Città invi-sibili e che Mauri richiamaattraverso un altro scritto-re, Luigi Malerba dei Fanta-smi romani, quando scrive:«Ma lo sai che nei grandispazi interstellari la luce

viaggia al buio? Nel vuotola luce scompare mentre ilsuo viaggio continua velo-cissimo. Diventa luce soloquando incontra un corposolido...».E’ il buio che ci invade e

quello che ci inghiotte, quel-lo di H.G. Wells nel suo Pae-se dei ciechi, dove gli uominisenza vista sono dei «nor-mali», quello disperato diRotko che con le sue tele ne-re nega la Creazione, quellomelanconico che partoriscela comicità del clown, quel-lo indistinto di Leopardi

che offre la possibilità di«vedere ciò che non si ve-de».Buio come quiete, come

riposo, come paura, comeattesa. Buio come metaforadel presente e proiezionedel futuro. Mauri declina,con linguaggio asciutto, na-vigando fra letteratura,scienza, memoria, la «nottedei tempi» che ci accompa-gna, la vitalità e lo smarri-mento che se ne prova e, ti-rando le somme, il rapportoche fra luce-buio, sia il se-condo ad avere più spazionella nostra esistenza. Sia-mo più fotofobici di quantopensiamo, non riflettiamo«mai troppo su quanto buiolasciamo volutamente intor-no alle cose che pure ci ri-guardano», come se appun-to, nutrendoci di buio nonsi cercasse noi stessi di di-ventare o tornare ad essereesseri di buio.

L’IMPLACABILE FRANCESCOCome fosse impossibile per-dere un rapporto con l’«al-dilà», con le Città del Buio, iRegni delle Tenebre, le di-scese agli Inferi, la cono-scenza di quel luogo dalquale solo un Eroe, unoScaltro, può tornare indie-tro a riferirne le proprietà.Ma dal buio che tutto

può avvolgere può anchenon significare solo morte,per esempio la «spazzatu-ra», luogo in apparenza del-la fine delle cose è anche unpossibile luogo di recupero,di continuità di esistenza inaltra destinazione e roman-zieri come Dickens, Calvi-no, Tournier ci hanno scrit-to saggi e romanzi che nedecantano la loro potenzia-lità e voglia di sopravviven-za. Un buio messo tempora-neamente alle spalle, anchese poi è impossibile dimenti-care l’implacabile frase diSan Francesco: «nullo ho-mo vivente pò skappare».

pp Paola Bressanp IL COLORE DELLA LUNA

Come vediamo e perchép LATERZAp pp. 192, !15

SAPERMASTICAREILBUIO

AUGUSTOROMANO

«Dove tu non sei, là è lafelicità», recita l’ultimo versode Il viandante (Der Wanderer),uno dei molti Lieder di FranzSchubert nei quali conmaggio-re intensità simanifesta il senti-mento tragico della vita. Giac-ché non sarà sufficiente, per in-contrare la felicità, cambiar luo-go, viaggiare; il canto dice, conle parole e ancor più con il tonodesolato, che la felicità è unmi-raggio perché sempre dimoradove tunonsei.Si può invocare questo ver-

so, questamusica - e tantealtredello stessoautore - per avvalo-rare il nesso tra psicopatologia(nel caso, la condizione depres-siva) e produzione artistica?Larisposta è certamente negati-va, ove non si voglia ridurrel'operad'arte alla biografia dell'autoree utilizzare il concettodisublimazione, che è una dellecategorie più incerte della teo-ria psicoanalitica. Infatti Euge-nio Borgna , nel suo libro Come

in uno specchio oscuramente, incui la ricchezzadei contenuti in-contra la emozionantemusicali-tà della scrittura, si poneun ob-biettivo assai meno vincolantee al tempo stesso ricco di im-portanti implicazioni teoriche.Esclusa l'assimilazionedei pro-dotti artistici ai sintomi di unacondizione patologica, ed anziriaffermata la capacità che l'ar-te ha di attribuire senso a ciòche nell'esperienza vissuta sipresenta spesso come insensa-to, Borgna inserisce la riflessio-ne sul rapporto tra arte e psico-patologia in una strategia piùampia.

SCIENZA DELLO SPIRITOAnzitutto, la lettura dell'operad'arte aiuta a meglio compren-dere le radici emozionali diogni espressione umana, cioè ainoltrarsi nelle loro segrete edessenziali nervature. Questo si-gnifica però anche negare la di-scontinuità tra psicologia nor-male e patologia, e di conse-guenza riportare ancora una

volta la psichiatria tra le «scien-ze dello spirito», sottraendola auno statutomeramentenatura-listico.Questa impostazione di ma-

trice chiaramente fenomenolo-gica ha delle ricadute pratichedi straordinaria importanza.Essa infatti fonda la possibilitàdi sottrarre all'opacità di ciòche è incomprensibile l'espe-rienza psicotica e di rivendica-re, sia come regola etica sia co-menecessità terapeutica, il dia-logo tra medico e paziente, lareciproca apertura nel senti-mentodella comune fragilità.Il che significa anche che

l'ascolto non serve soltanto alpaziente, ma rivela noi a noistessi. Senza dimenticare infi-ne l'osservazione di Nietzsche,secondocui «ovunqueesista fol-lia, esiste anche un granello digenio e di saggezza»: osserva-zione che apre il discorso suinessi tra follia, innovazione ecreatività.In un'epoca come la nostra,

di infatuazione scientista, l'ap-

pello di Borgnaper unapsichia-tria «più gentile ed umana» cisembradi assolutaattualità.

LA PAROLA CHE STANAMolte altre cose ci sarebberoda dire su questo libro in cuil'esperienza clinica, la riflessio-ne teorica e la sensibilità esteti-ca compongonoun arazzodalleinnumerevoli sfumature.Ricor-derò almeno, accanto alla par-tecipe auscultazione di alcunigrandi artisti (tra i quali, Di-ckinson, Plath, Bachmann,Trakl, van Gogh, Giacometti,Bacon), le acute rivisitazionidelle più importanti aree dellapatologia psichiatrica, conside-rate soprattuttodal punto di vi-stadelledifferenzedi genere.«Il dolore è un topo - / sce-

glie l'intercapedine nel petto /per nido timido - /ed elude lacaccia», scrive Emily Dickin-son. A stanarlo, a umanizzarlo,sono necessari la parola, il ge-sto, o il rispettoso silenzio, neiquali il dolore viene accolto co-me fosse il nostro stessodolore.

PIEROBIANUCCI

Non credo ai miei oc-chi. Un modo di dire banaleche nasconde una verità pro-fonda. L’errore è riservarlo acasi eccezionali, eventi impre-vedibili. In realtà nondovrem-mo MAI credere ai nostri oc-chi. Ce lo insegna Paola Bres-san, psicologa ricercatrice all'Università di Padova, in un li-bro chiaro, scritto con gusto edisseminatodi illustrazionicu-riose che sono anche piccoliesperimenti sul funzionamen-todeinostriocchi.Incominciamo dal titolo, Il

coloredellaLuna. LaLunasem-bra bianca. Invece è scura co-me l'asfalto.Ma lapiccolapar-te di luce solare che riflette,meno del 10 %, è un miscugliodi colori che gli occhi vedonocome assenza di colore. Cioècomequalcosadibianco.Gli occhi vedono? Errore.

Gli occhiguardanomanon ve-dono. L'immagine della realtàè il risultato di una elaborazio-ne estremamente complessache avviene nella zona poste-riore del cervello. Lo sguardoè la somma di fisiologia, espe-rienza e cultura. A vedere siimpara. Un gattino con gli oc-chi bendati nei primi mesi divita non svilupperà più i mec-canismi necessari per inter-

pretarecerte immagini.La vita si è evoluta in 3,5 mi-

liardi di anni alla luce del Sole.E' normale che il 96%delle spe-cie abbia sviluppato organi performare immagini. Ma le solu-zioni adottate dalla natura sonomolto diverse. L’evoluzione del-la vista è partita da zero unaquarantina di volte e si sono af-fermati undici progetti diversi:occhio a foro, due tipi di occhioa camera, un occhio a specchio

concavo e parecchi tipi di oc-chiocomposto.Occupiamoci del nostro oc-

chio. Vediamo luci debolissimegrazie a 120 milioni di cellule abastoncello sensibilissime ai fo-toni. Ma queste immagini sonoinbiancoenero.Dobbiamola vi-sione a colori ad altre cellule, iconi: sono 7 milioni e hanno trepigmenti diversi che combinatitra loro permettono di distin-guere migliaia di sfumature.L'iride è unica per ognuno dinoi: come le impronte digitali, èdiversa persino nei gemelli mo-novulari. Il cristallino, la lente

che mette a fuoco l'immagine,l'unicoorganochecresce in con-tinuazione. In novant'anni qua-druplica il suo spessore. E' for-mato da mille strati di celluleche fatalmentecon il tempo ten-dono a diventare opache. Lastessa cosa succede al liquidoche riempie il bulbo oculare. Acinquant'anni la quantità di lu-ce che raggiunge la retina ème-no dellametà rispetto a quandoeravamo ragazzi. La vita è unpercorsoverso il buio.Ogni specie ha occhi adatti

alle sue esigenze. Il cristallinodei colombi è una lente bifocale:sottomette a fuoco oggetti vici-nissimi (un chicco di grano), so-pra orizzonti lontani, cosa utilequando si vola. Scimmie moltosimili a noi non vedono a colori.Cani e gatti vivono in unmondosenza colori, come in un film diCharlot. Insetti e pesci hannoaddirittura una visione in qua-dricromia: percepiscono unameravigliosa varietà di colori,anchenell'ultravioletto.I meccanismi più sorpren-

denti sono quelli che permetto-nodi distinguereunoggettodal-lo sfondo, di valutare la distan-za, stimare le velocità, ricono-scere un volto. Incredibile è lacapacità del cervello di selezio-nare ilmessaggioche ci interes-sa.Duranteunapartita di palla-canestro i giocatori non si sonoaccorti di un gorilla (finto) chelo sperimentatore aveva fattoentrare in campo: seguivanoso-lo la palla. Il paradossopiù stra-ordinario è quello delmovimen-to: quando ci muoviamo o spo-stiamo lo sguardo, le immaginidegli oggetti scorronosulla reti-na. Eppure la scena ci sembraferma. Il cervello sa che il mon-do è stabile e provvede. Nonpuòaccorgersi,però, che la lam-padaal neon si accendee si spe-gne 120 volte al secondo. Trop-po veloce per noi. Un'ape, cheha una frequenzadi fusione del-le immaginidi 300cicli al secon-do, la vedrebbe lampeggiare.San Tommaso credeva solo

aciòche toccava.Facevabene.

Navigando fraletteratura, scienza,memoria: vitalitàe smarrimento,attesa e paura

Mauri Schegge, riflessioni, appuntiattraversando notti reali e artificiali

pp Eugenio Borgnap COME IN UNO SPECCHIO

OSCURAMENTEp FELTRINELLIp pp. 225, ! 16

Inizia con una memoria autobio-grafica il saggio di Borgna ( il per-ché di una scelta -«fare psichia-tria quando sembrava una disci-plina emarginata - e gli anni di la-voro nell’ospedale di Novara): laconferma di un intenso, coerentelegame tra vita e opere.

Borgna L’oscurità della psicheda vanGogh alla Dickinson

LALUNAÈNERA, COMEL’ASFALTO

Lo sguardo è la sommadi fisiologia, esperienzae cultura; l’iride è unicaper ognuno di noi,come le impronte digitali

Un particolareda «La nottestellata»di van Gogh

ILDOLORENELLOSPECCHIODELL’ARTE

Gli occhi Guardanoma non vedono,è il cervello che decifra il messaggio

Idee TuttolibriSABATO 26 MAGGIO 2007

LA STAMPA VII

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Page 8: 2007-05-26

Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - VIII - 26/05/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/08 - Autore: MARCHI - Ora di stampa: 25/05/07 19.36

MARCOAIME

L'Africa come specchio: unospecchio che ci dica quanto siamodavvero i migliori del reame, i piùavanzati, i più evoluti. Uno specchiodeformante, che attraverso una lucemisteriosa e anche un po' morbosa,ci rimandi un'immagine rassicuran-te di noi stessi. È così che abbiamoutilizzato e ancora oggi utilizziamol'Africa, terra che ci evoca paure,mache scatena anche passioni sensualie sessuali, finoaquandocontinuiamoa pensarla come regno di popoli piùvicini alla natura. È grazie a questaimmagine, erede moderna di unapassata, mamai del tutto cancellata,visione evoluzionista, che l'Africa,viene utilizzata per «rigenerare» un'Occidente sclerotizzato, esaurito,esausto o ingessato nelle sue istitu-zioni. La vitalità africana che travol-ge il nostro asettico mondo, per ri-metterne in discussione le carte e da-re il viaaungioconuovo.È questo il cardine centrale del

nuovo libro di Jean-Loup Amselle,cheaffronta il temadell'arteafricanacontemporanea e lo fa utilizzandoungiocodi parole, intraducibile in italia-no. Amselle parla di arte della friche,termine che indica una zona incolta,abbandonata, non finalizzata a qual-cheoperazioneutilitarista.Per esem-pio,Amselle descrive spazi abbando-

nati in palazzi di Parigi, che diventanolocali notturni e ritrovi per congolesiche abitano la capitale francese. Spaziinutilizzati dall'amministrazione, pub-blica o privata, che ridiventano «luo-ghi», grazie a un processo di rigenera-zione, partito dal basso. «Lì si potevaosservare un uso informale, clandesti-no o selvaggio della città, una riappro-priazione dello spazio urbano che ren-deva il vero significato della parola fri-che»scriveAmselle.Così, nel campodella politica, la pa-

labre africana diventa un'alternativapiù umana rispetto alla sclerotizzataburocrazia nostrana, in ambito econo-mico il settore informaleviene letto co-me una risposta all'imposizione delleregole di mercato e così via. L'Africa,continente «degenerato», proprio gra-zie a questo suo essere altro da noi, as-solverebbe questa funzione rigenera-trice, in particolare nell'arte. Lo ha giàfatto in passato, quando pittori cele-berrimi come Picasso, Braque, Matis-se attinsero a piene mani dall'esteticaafricana, da quell'arte, definita pre-mière in accordocon una«sana» logicaevolutiva, che esprimeva, secondo lo-ro, pulsioni e forzemagiche ormaiper-dutenel nostromondo.Peraltro, lamaggior parte di quegli

oggetti ispiratori, maschere e statuet-te africane, sono diventate «arte» nelmomento in cui sono arrivati nelle col-lezioni e nei musei europei o america-

ni. Perdendo la loro autorialità: infatti,nellamaggiorparte dei casi, tali ogget-ti venivanorazziati senza troppaatten-zioneal contestod'origine.Così,manu-fatti realizzati da artisti conosciuti nel-la comunità e inseriti in unprocesso ri-tuale e coreografico locale, hanno fini-to per diventare anonimi e astorici epertantoancorapiù«altri».

L’ESTETICA DEI COMMITTENTIL'Occidente si costruiva così (e si co-struisceancora, secondoAmselle)unanuovaprimitività, riciclando le espres-sioni artistiche africane. Un'operazio-ne sintetizzata con crudo, ma efficacerealismo dallo scrittore franco-congo-lese Henri Lopès, secondo cui la lette-ratura francofona sarebbe oggi fatta«dalla lingua di madame de Sévigné,

con le palle di un negro». Se è vero perla letteratura - si chiedeAmselle - è al-trettanto vero per quanto riguardal'arte contemporanea?Arte ancora in-serita in un rapportodi forza favorevo-le all'Occidente, che non solo controllailmercato,macondizionaanche l'este-tica dominante. L'arte contempora-nea africana, per quantomoderna, de-ve risponderealle regoledi committen-ti occidentali e finisce così per diventa-re un'appendice o una versione tropi-caledell'arteoccidentale.La critica di Amselle tocca anche i

molti tentativi di mettere in mostral'arte africana con mostre e musei co-me, per esempio, il caso più recentedel Musée de Quai Branly, inauguratonel 2006, che ha sostituito il vecchioMusée de l'Homme. Anche qui, met-

tendo in mostra solo l'arte tradiziona-le, si è esclusa l'esistenza di una qua-lunque primitività nel presente, a di-spetto di quei processi rigeneratori,che hanno attraversato l'arte contem-poranea. «Le collezioni di Quai Branly- dice l'antropologo francese - dovreb-bero sembrare appartenere al passatodell'umanità, ed è solo a questa condi-zione che esse possono ambire alladoppia qualifica di opere primitive eopered'arte».Riprendendo il modello teorico del-

le «connessioni», elaborato in prece-dente libro,Amselleoperaunariflessio-ne, che parte dall'arte, per allargarsi alrapportoglobaleche,ancoraoggi, l'Oc-cidente,anchequellodei buoniproposi-ti, intrattienecon l'Africa, imponendoedeterminandonespesso le scelte.

Un ‘opera di Moke, pittore congolese.A destra l’antropologoJean-Loup Amselle

JEAN - LOUP AMSELLEL'arte africanacontemporaneaBOLLATI BORINGHIERIpp. 188, !19

IL LIBRO

Un’operazione di riciclaggioda Picasso ai contemporanei,una ricerca di vitalità,uno sfruttamento colonialee mercantile del «selvaggio»

COSÌL’AFRICARIGENERAL’OCCIDENTE

Un antropologo e l’arte Amselle studiale «connessioni» fra primitivo emodernità

Visioni TuttolibriSABATO 26 MAGGIO 2007

LA STAMPAVIII

NEWTON COMPTON EDITORI

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ANAGRAMMA n. 42 (240 pp.). ! 11,90

LE GUIDE PIÙ AMATEDAGLI ITALIANI

CARLO CAMBIGli agriturismi del Gambero Rozzo 2007

Per una vacanza di tutta sostanza

Dello stesso autore

NEWTON COMPTON EDITORI

CARLO CAMBI

IL GAMBERO ROZZO2007

Guida alle osterie e trattorie d’ItaliaPiù che una questione d’etichetta

è una questione di forchetta

NEWTON COMPTON EDITORI

CARLO CAMBI

LE RICETTE E I VINIDEL GAMBERO ROZZO

2007I segreti delle osterie e delle trattorie d’Italia

per fare a casa l’insolita zuppa

Continua il viaggio delGambero Rozzo alla ri-cerca delle buone radicidell’Italia più vera: quel-la della civiltà rurale.Oltre 350 indirizzi dovela vacanza a contatto conla natura è autentica, do-ve la tradizione diventaaccoglienza, dove i valo-ri contadini non sono unpretesto per essere allamoda,ma sono gli ingre-dienti per la riscopertadi emozioni e sensazio-ni perdute.

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Pagina Fisica: LASTAMPA - TORINO - IX - 26/05/07 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/09 - Autore: MARCHI - Ora di stampa: 25/05/07 19.36

GIORGIOBOATTI

Il catalogo dei cattivimaestri, ai quali recapitare iconti dello sfascio attuale del-la scuola italiana, a quantopa-re si sta allungando sempre dipiù e corre a perdifiato indie-tro nel tempo. Prima si è pun-tato il dito contro il movimen-to del '68, reputato responsa-bile non solo della distruzionedell'«armonioso ordine» esi-stente prima della contesta-zione ma altresì sospettato diessere il padre di tutte le sbi-lenche velleità riformatrici elivellatrici che si sono succe-dute nei decenni venuti dopo.Poi qualcunoègiàandatoal dilà del '68 e ha messo la scuoladiBarbianae laLettera ad unaprofessoressadiDonMilani sulbancodegli imputati.Andando avanti di questo

passo non ci vorrà molto per-ché nel «giudizio universale»che vorrebbe giungere al red-de rationem contro ogni refolodi innovazione, di autonomia,

di ribellionemai spirato dentroe fuori le aule, ai cattivimaestrisi aggiungano anche le «cattivemaestre».E così, nonostanteso-lo pochi anni fa sia stata cele-brata solennemente - riprodu-cendo sulle banconote da millelire e sui francobolli il suo visoautorevole -, sembra tirare unabrutta aria anche per MariaMontessori, l'ideatrice di unprogettopedagogico, quellodel-la «Casa dei bambini» diffuso intutto il mondo e che propriocent'anni fa prendeva il via inun locale delle case popolaridell'Istituto Romano dei BeniStabilidi viadeiMarsi58.A cent'anni dall'avvio di

quell'esperienza, in una Romache stava conoscendo una sta-gione di illuminato riformismolaico, sotto l'ombrello protetti-vo del sindaco Nathan e del piùlungo dei governi di GiovanniGiolitti, Grazia Honegger Fre-sco va a ricostruire l'intera pa-rabola intellettuale ed esisten-ziale di Maria Montessori in unsuodocumentatoeagile saggio,

appena pubblicato da l'ancoradelmediterraneo.La vita di Maria Montessori

(Chiaravalle, 1870 - Roma 1952)viene delineata espiantandocon sobria cura tutti gli aspettiagiografici e le aggiunte non as-severate che in passato hannocaratterizzato altri lavori. Ma,al di là dei dati meramente bio-grafici, che pure sono certa-mente rilevanti, l'attenzionemaggiore viene data alla dialet-tica, spesso conflittuale, che hacaratterizzato il rapportarsidel lavoro intellettuale dellaMontessori con le istituzioniac-

cademiche del suo tempo e conun sapere e un potere, ammini-strativoe politico, arroccati nel-le loro certezze e sordi a ogniproposta innovativa.Da questa angolazione Ma-

riaMontessori non è solo l'idea-trice del «metodo» rivoluziona-rio, basato sull'indipendenza esull'osservazione rispettosa delbambino, che permea le suescuole, ben presto diffuse, all'inizio del Novecento, in moltenazioni. Rispetto ai caratterifondamentali della nostra sto-ria la Montessori rappresentaanche la capacità di condurre,al femminile, la partita del rin-novamento e dell'innovazioneradicale, in un ambito delicatis-simoquali l'istruzionee l'educa-zione dei bambini, con grandis-sima duttilità e con la concre-tezza che caratterizza sin dall'inizio la suaopera instancabile.Giovane laureata in Medici-

na a Roma nel 1896 la Montes-sori, sia quandosi batteper il di-ritto al voto per le donne siaquando si occupa di bambini ri-

coverati negli ospedali psichia-trici o procede con le sue primeesperienze pedagogiche, sa at-tingere all'apporto di grandimaestri. Non solo i suoi inse-gnanti - chevannodal celebre fi-siologo Jakob Moleschott aglipsichiatri Sciamanna e Bonfigli(avversario di Lombroso) - maanchepotenti e illuminatimalle-vadori quali iministri Baccelli eCredaro che vigilano protettivisul decollo del suo metodo, av-versato sia dai gesuiti de La ci-viltà cattolica che dagli idealistiallaGentile.Altrettanto fondamentale è

l'apertura internazionale che laporta in tutto ilmondo, tantodaconsentirle - quando il compro-messo raggiunto con il regimefascista non regge più e le suescuole, nel 1934, vengono chiu-se - di lavorare proficuamentealtrove. «Cittadina - dirà al suoritorno in Italia dopo la Libera-zione - di una patria che gira in-torno al Sole e che si chiamaTerra».

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Un classico Morto il profeta, viveil migliore analista del capitalismo

E’ TEMPODILEGGEREMARX, SENZAICOMUNISTI

Maria Montessori Vita emetododi una pedagogista ancora attuale

ERMANNOBENCIVENGA

KarlMarx era un filo-sofo di notevole sostanza,che ha dato anche importan-ti contributi al pensiero poli-tico ed economico; ma la di-scussione sulle sue idee e ar-gomentazioni non ha maiavuto un briciolo della sereni-tà e del distacco intellettualicon cui vengono analizzati itesti di Spinoza o Kant, diGrozio o Rousseau, di Ricar-do oKeynes.Per un lungo periodo le

sue opere sono state trattatecome testi sacri dagli uni e co-me farina del diavolo dagli al-tri; dopo la caduta del Murodi Berlino e dell'Unione So-vietica e la conversione dellaCina auna forma selvaggiadicapitalismo, in un momentostorico in cui i comunisti sem-brano sopravvivere solo nelle

invettive di Berlusconi, è cala-to su di esse un tombale silen-zio, imbarazzato per gli uni ecompiaciutoper gli altri.Alcuni libri di recente pub-

blicazione suggeriscono che cisiano nuovi segni di vita in que-sto paesaggio improvvisamen-te desolato: non è solo la Mani-festolibri a proporre una rac-colta di interventi intitolataDaMarx a Marx?; ci sono anche laNewton Compton che traduceuna breve biografia del Capita-le e la Feltrinelli che se ne esceaddirittura con un'antologia dipassi delMaestro.Un'inquietantecaratteristi-

ca del rapporto che fedeli e av-versari hanno avuto con il lavo-ro diMarx è che entrambi, per-lopiù, si sono guardati bene dalleggerlo. Il che non vuol direche non avessero familiaritàcon qualche pagina «immorta-le» o che non fossero pronti a

discettare all'infinito a partiredal Frammento sulle macchine odalla Critica del programma diGotha; vuol dire invece che diquel lavoro evitavano accura-tamente la mole sterminata el'infinita complessità.Louis Althusser (se dobbia-

mo credergli) ha confessato(nell'autobiografia L’avveniredura a lungo) di essersi inventa-to, sulla base della sua «intui-zione», buona parte di quel cheha attribuito a Marx; e Rober-to Finelli, nel suo saggio conte-nuto in Da Marx a Marx?, di-chiara senzamezzi termini che«la storia del marxismo italia-no, anzi deimarxismi italiani, èstata essenzialmente, salvo al-cune eccezioni, una storia di te-oria e pratica politica “senzaCapitale”, cioè senza riferimen-ti, quanto a categorie interpre-tative e scelta di valori pratico-comportamentali, alla concet-tualizzazione dell'opera matu-ra diMarx». Né si tratta di unareticenza soltanto latina, se èvero che il primo ministro bri-tannico Harold Wilson (dandovoce a un uso piuttosto comu-ne nei Paesi anglosassoni) sivantava di non aver mai lettopiù di un paio di pagine di quel-la stessa operamatura.È assai probabile che sia

stata questa scarsa familiaritàcon il testo ad aver prudente-mente occultato ai più l'intimacontraddizione che attraversaMarx. La sua retorica è quelladi un profeta; la sua appassio-nata denuncia degli orrori delcapitalismo non lascia dubbisu quali siano i suoi valori e lesue speranze. Milioni di perso-ne che hanno condivisoquei va-lori e quelle speranze hanno

dunque trovato nella sua pro-sa ispirata potenti slogan peresprimere il loro desiderio di li-berazione.Marx, però, non era un libe-

ratore: era uno studioso chepassava il suo tempo in biblio-teca e a quelle stesse personeintendeva offrire non grida dibattaglia ma un'analisi teoricache tracciasse con sicurezzala strada verso la liberazioneagognata. E qui salta fuori lacontraddizione: le migliaia dipagine di analisi da lui offertenon fanno che dimostrare l'ine-vitabilità del capitalismo, lasua logica stringente, il suo so-vrumano potere.Nessuno ha studiato il capi-

talismo meglio di Marx e nes-suno sa spiegarci così bene,saldando dialettica hegelianae determinismo economico, co-me ogni utopia non sia che unvaneggiare irresponsabile ecome la soluzione dei mali delcapitalismo non possa venireche attraverso more of the sa-me. Il riferimento al comuni-smo a venire, in quest'ottica,suona posticcio, un po' comequei finali appiccicati ai film diHollywood in cui l'eroe si salva(o trionfa) comunque, dopoche tutto l'intreccio ci ha con-vinto che per lui non c'è salvez-za possibile. E acquista una de-cisiva importanza, allora, perconferire unminimo di credibi-lità all'insieme, che del film siconosca soltanto il finale.Qualche anno fa, in un mio

libro sull'argomento, ho auspi-cato che si potesse finalmentecominciare a leggere ilCapita-le come si leggono la Criticadella ragion pura e la Fenome-

nologia dello spirito: con atten-zione e rispetto, e anche conuno spirito critico fondato sul-la conoscenza reale di quel chec'è scritto, invece che sumiti epreconcetti. Questo piccolo in-cresparsi del mare che sem-brava per sempre richiuso sul-la produzione di e suMarx puòessere inteso come un segnaleincoraggiante che qualcosa sistia muovendo nella direzionegiusta, anche nella pigra e di-stratta editoria italiana.Una nuova generazione

batte alle porte, e fra loro ci so-no anche i filosofi, gli economi-sti e i politici di domani; legge-re Marx - leggerlo davvero, in-tendo, e acquisire consapevo-lezza dei suoi effettivi meriti edifetti - non potrebbe che farloro del bene.

LA BUONAMAESTRARISPETTA IBAMBINI

pp Grazia Honegger Frescop MARIA MONTESSORIp L'ancora del mediterraneop pp. 202, !14

pp Karl Marxp ANTOLOGIAp a cura di Enrico Donaggio

e Peter Kammererp FELTRINELLIp pp. XX+268, !10p Francis Wheenp MARX, IL CAPITALE

Una biografiap traduzione di Milvia Facciap NEWTON COMPTONp pp. 124, !9,90.p Autori Varip DA MARX A MARX?p a cura di Riccardo Bellofiorep Manifestolibrip pp. 270, !28

Un’opera sterminatae di infinita complessitàcon cui misurarsicome sulle paginedi Kant e di Hegel

LONTANO E VICINOENZO

BIANCHI

LA FEDE NON ÈIDEOLOGIA

Una «Lettera ai cristiani» di Roberta De Monticelli,pagine taglienti e scomode, eppure preziose, nate da una ferita:credenti e non credenti di fronte alla vita e alla morte di Welby

Storie TuttolibriSABATO 26 MAGGIO 2007

LA STAMPA IX

Parlo, comeparlaun fe-rito - anzi, come parlauna ferita». Sono pa-role amare e sangui-nanti, eppure dense

di affetto e di sim-patia, di co-munepatirequellecheRobertaDeMonticelli scrive Sullo spiri-to e l’ideologia indirizzandoleco-me una «Lettera ai cristiani»(Baldini Castoldi Dalai, pp. 158,!10).Parolechenasconodaunaferita che, come l'autrice,moltihannopatitonellavicendauma-na della vita e della morte diPiergiorgio Welby: una feritache molte parole pronunciateattorno a quella tragica vicen-daumanahannoacuitoanzichélenire. Eppure sono parole dicui dovremmo fare tesoro, cre-denti enoncredenti,perchénel-la loro parresianon possono sa-narema nemmeno vogliono fe-rire, non pretendono di spiega-re e tuttavia non cessano di in-terrogare.Edaquellacircostanzaparti-

colare si dilatano fino a porreuna questione che oggi pare amolti cruciale: «è possibile peril sentimento del divino, peruna fede cristiana, fondare epoi abitareun'istituzione terre-na senza perdersi?». Docentedi Filosofia della persona pres-so l'Università San Raffaele diMilano, l'autriceriescea tenereun tono di elevato dibattito filo-sofico senza per questo risulta-re«accademica»nel sensodete-riore del termine: nessuna ri-sposta preconfezionata, nes-sun pregiudizio ideologico ma,al contrario, uno smaschera-mento delle ideologie che so-praffanno lo spirito, uno svela-mento delle distorsioni che og-gi subiscono leparole e i concet-

ti, uno sforzo costante di andareal cuore delle questioni e dellepersone.Sì, l'incalzaredei ragionamen-

ti dellaDeMonticelli a volte risul-ta tagliente come una spada, masene intravedesempre la passio-ne sincera che lo pervade: nessu-na irrisione della fede cristiana,nessuna supponenza di un pen-siero laiconei confronti della teo-logiama, anzi, un chiedere contodelle istanze più profonde conte-nutenelmessaggiodiGesùdiNa-zaret e del Dio dei cristiani. Il ri-volgersi ai credenti comeadami-ci cui si scrive una lettera non èun artificio letterario,ma l'atteg-giamentodi fondocheanimaque-stepaginescomodeeppurprezio-se che non esitano a entrare nelcomplesso rapporto tra ragione,fede e violenza; così come non sirassegnanoal crescente «disagiointellettuale»di chi vedecontrap-posti artificiosamentefedee veri-tà. Disagio che deriva anche dalfatto che «oggi il confronto tra“credenti” e “non credenti” sem-bra ridotto a un confronto di opi-nioni e complessi contenutimen-tali» e non riesce a sostituire allaormai usurata domanda «in cosacrede chi crede?» l'interrogativoben più stimolante «cosa vedechi vede il mondo consentendo aDio?».Nate «in reazione a una feri-

ta» queste pagine che non lascia-no indifferente il cristianosi chiu-dono su un'insolita preghiera dicongedo rivolta al Tu di un Dionon troppo ignoto: «Chi fosse ca-pace di legare nella sua carnel'Idea del Bene e la rinuncia allaforza. Incarnazione, è questo: al-tronon so...Aiuta lamia incredu-lità». Sì, da una ferita può venireancheunbalsamodi lenimento.

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GUIDO CONTILa palla contro il muroGUANDApp. 190, !14

Quest'ultimo romanzo di Conti è la storiadi una guerra famigliare senzaesclusione di colpi ed è raccontatata «dalbasso», con lo sguardo di un ragazzino.Bravissimo, in tutti i suoi racconti, adusare un linguaggio fisico, carnale. Lesue descrizioni del Po, del fiume in piena,della sua furia e della furia dei suoiabitanti sono uniche. Luigi Malerba,come Guido Conti, ha radici parmigiane(Berceto, in particolare, dov’è nato nel1927). A Roma arrivò nel 1951: « Qui -ricorda - avevo affittato con AttilioBertolucci una bella casa di RobertoLonghi a via del Tritone. Era animata dastrane presenze. Il pianoforte suonavada solo. Le porte si aprivanoall'improvviso. Le finestre pure».

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LE SUE SCELTE

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TURSUN BEYLa conquistadi Costantinopoli,MONDADORI, pp. 293, !16.

In Occidente si è da sempre parlatodella caduta di Costantinopoli.Lostorico turco Tursun Bey, nelcapolavorodella letteratura ottomanaantica, la chiama conquista. Come dire:mutevolezzadei punti di vista.Varie le opere a sfondo storico di LuigiMalerba. Tra le altre, «Le maschere», nelRinascimento:«Per comprenderequest’epocaconsiglio Jean Delumeau.Che racconta la vita quotidiananeiminimi dettagli.Per esempio, quando ilPapa si trasferisce ad Avignone, a Romacrollano le importazionidi vino navigato- così lo chiamavanodal momento chearrivava attraverso il Tevere in modo danon ricevere troppi scossoni. Senza ibeoni papalini la città non consumava».

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ALBERTO ARBASINODall'Ellade a BisanzioADELPHI, pp. 264, !12

Una vera arbasinisana educazionesentimentale e culturale. I questoracconto dell'estate del 1960, in cuialcuni ragazzi italiani decidono di evitarele Olimpiadi a Roma e di visitare inveceOlimpia (e gli altri luoghi della grecitàmitica) c'è proprio tutto Arbasino:magnifico snob ricco di intuizioni e dipresagi che racconta l'incombere delturismo di massa.A proposito. Malerba è autore di «Ilfuoco greco». In principio avevaimmaginato una serie tivù in Usa:«Dirigenti televisivi che non avevano mainemmeno sentito nominare Bisanzioavevano apprezzato l'idea. Quando si èpassati alla ricerca dei finanziamenti, fugiudicato negativamente qualcosaambientato in Grecia e a Bisanzio. E cosìè nato il romanzo».

MIRELLASERRI

«Eccoli, sono tutti qui:Simona Vinci, NiccolòAmmaniti, Silvia Bal-

lestra, Rossana Campo, TizianoScarpa, Aldo Nove».E' vero: sono proprio lì in bella

mostra, nella libreria dello scritto-re Luigi Malerba, al lato della fine-stra che affaccia sui Fori Imperia-li e sul Colosseo. In fila ordinata cisono: Dei bambini non si sa nientedella Vinci, Io non ho paura di Am-maniti, Occhi sulla graticola diScarpa, Il compleanno dell'Iguanadella Ballestra e i romanzi dellaCampo: tutti autori che per etàanagrafica non hanno ancora com-piuto mezzo secolo.«Sono loro i nuovi veri talenti»,

osserva Malerba, lettore molto so-fisticato, ironico e assai speciale,scrittore italiano dallo spirito sul-fureo, tra i più tradotti nel mondo,conosciuto e amato dal pubblicoitaliano fin dall'epoca della neoa-vanguardia. «Da uno di loro dun-que mi aspettavo il libro non dicodel duemila ma del decennio. So-no ancora in attesa. Nessuno lo haancora scritto. Ma non ho perso lesperanze».Questi scrittori non hanno fat-

to, dunque, il gran balzo necessa-rio per avere un posto di privile-gio nel Gotha della nostra narrati-va, secondo il metro di un lettore-giudice un po' sdegnoso e moltoparticolare.«Il mio giudizio su Ammaniti,

Campo, Scarpa, Ballestra non èuna valutazione critica. - continuaMalerba - E' l'esercizio di un intui-to. Di cui però mi fido molto. Annifa mi capitò di dividere i critici let-terari in due categorie, i CaproniDialettici e le Pecore Dogmati-

che», osserva l'autore di opere chehanno lasciato una traccia consi-stente nella nostra letteratura, co-me Il serpente, Il viaggiatore sedenta-rio, Fantasmi romani, e che in questiultimi tempi sta lavorando a un nuo-vo libro di racconti.«Nella prima categoria rientra-

vano i critici più umorali, più deter-minati e aggressivi, nella secondaquelli più descrittivi e testimoniali.Ovviamente io sono fuori da en-trambe le categorie». Ne esiste unaterza? «Niccolò Machiavelli dicevadi scegliere per ogni tipo di operaun abito particolare. Per i classicicome Tito Livio, lascia intendereche indossava sontuose palandra-

ne. Mi ha sconcertato l'ultimo librodi Ammaniti, Come dio comanda,troppo ad effetto, troppo brutale.Mi sono chiesto: come vestirmi perleggerlo?».Proprio in questi giorni un nu-

mero doppio della rivista «l'Illumi-nista» celebra Luigi Bonardi, in ar-te Malerba, come «uno dei narrato-ri di più calcolata originalità di lin-guaggio e di più esuberante e vigilefantasia»: così il critico Walter Pe-dullà lo colloca nel Pantheon. Tem-po fa all'università di Vienna, alladomanda «cosa lo spinge a scrive-re?», Malerba rispose: «Scrivo persapere cosa penso».E cosa pensa quando legge?«Sono onnivoro. Sdegno solo i librigialli. Ma ho un modo molto partico-lare di cimentarmi con la pagina.

Leggo solo quella di destra. E' piùcomodo. Si va più veloci e si cogliel'essenziale. E poi correggo, correg-go continuamente».Scusi, cosa corregge?«Sostituisco parole, opero piccoli ta-gli, metto le virgole, i punti. Non sitratta di presunzione. Come chia-marlo? Un tic? Un'abitudine? Unadepravazione?».Fin da ragazzo procedeva così?«Certo. A scuola il professore di ita-liano leggeva uno scrittore che miannoiava molto come Renato Fucinio brani ispirati di Silvio Pellico e sicommuoveva e piangeva. Io mette-vo i punti e le virgole».Altre passioni giovanili?«Mandrake e Jules Verne. I miei ge-nitori erano cattolicissimi, avevanoquella che chiamavano la bibliotecaproibita. Era nascosta dietro un ar-madio. Una volta sono riuscito aspostarlo».Cos'ha trovato?«Il libro più “audace” era la storiadell'Inquisizione spagnola. La loroera censura politica, non morale».Oggi continua a leggere sempre allastessa maniera?«Certo. Mi piace anche impegnarmisu più libri in contemporanea. Peresempio, ho ricevuto Il profumo del-la neve di Franco Matteucci. Ottimaimpressione. L'inizio in cui il prota-gonista lotta contro il tempo va alpasso per slancio immaginativo alprecedente Festa al blu di Prussia,molto ben scritto. Poi sto leggendoQuattro elementi di Cesare De Seta,racconto molto teso di un rapimen-to e di tensioni politico-sociali».Anche su questi autori opera con pen-na rosso-blu?«Guardi che lo faccio su tutti, unacoazione. Ho cominciato FrancoCordero, L'armatura, di cui amomolto la vis polemica. Ma, date le di-

mensioni, il tomo si può consumarea passo di lumaca».Su chi riesce a trattenersi e non intervie-ne?«L’uomo senza qualità di Musil è co-me una Bibbia: lo apro a caso, leggodue pagine e lo chiudo. E poi tra gliautori preferiti c'è Dio, ovvero lastessa Bibbia».E' religioso?«In maniera intermittente. Vorreiesserlo con più continuità. Mi con-fronto anche con il Corano. Tra i mi-racoli di Maometto che preferiscoc'è quello in cui con un caldo torridolui aveva una nuvola personale chelo seguiva».Lei, nella sua critica continua al poterein tutte le sue manifestazioni,ha scrittoanche opere a sfondo storico. Le letture«base»?«Per Il fuoco greco ho lavorato per unanno per farne una serie tivù negliStates - osserva Malerba che ha allespalle anche una lunga carriera disceneggiatore per piccolo schermoe cinema, in film con Lattuada, Mo-nicelli, Tonino Guerra fino ad arri-vare al primo Casino Royale -. Diri-genti delle compagnie televisive chenon avevano mai nemmeno sentitonominare Bisanzio avevano però ap-prezzato l'idea. Quando si è passatialla ricerca dei finanziamenti, i pro-duttori di pop corn che avrebberodovuto aprire i cordoni della borsahanno giudicato molto negativamen-te qualcosa ambientato in Grecia e aBisanzio. E così è nato il romanzo».E per il Rinascimento, protagonista de«Le maschere»?« Consiglio Jean Delumeau. Che rac-conta la vita quotidiana nei minimidettagli. Per esempio, quando il Pa-pa si trasferisce ad Avignone, a Ro-ma crollano le importazioni di vino

navigato - così lo chiamavano dalmomento che arrivava attraverso ilTevere in modo da non riceveretroppi scossoni. Senza i beoni papa-lini la città non consumava. Oppureci descrive la potenza e la ricchezzadelle prostitute romane che, tutteconcentrate tra piazza del Popolo epiazza Augusto Imperatore, ne ave-vano finanziato la pavimentazionecon sampietrini».L'anno scorso ha festeggiato i primi 50 an-ni dall'esordio. Le letture di quegli anni?«Nel 1956 pubblico il racconto Le let-tere di Ottavia, in questi giorni ripro-posto da Archinto. Ero arrivato aRoma da Parma cinque anni prima.Qui avevo affittato con Attilio Berto-lucci una bella casa di Roberto Lon-ghi a via del Tritone. Era animatada strane presenze. Il pianofortesuonava da solo. Le porte si apriva-no all'improvviso. Le finestre pure.Non era un ambiente troppo confor-tevole per un esordiente. Cominciaicomunque a scrivere. Questo rac-conto lo pubblicai su Cinema nuovo.Era la storia di una ragazza provin-ciale e un po' cretina approdata allaHollywood sul Tevere. Attricetta al-le prime armi, fa il bagno nella Fon-tana di Trevi e partecipa a un filmche si chiamaDolce amore».Una storia già sentita: quattro anni do-po Anitona Ekberg farà anche lei un ce-lebre bagno nella «Dolce vita». Un pla-gio?«Per niente. E' vero che il raccontofu molto apprezzato da FedericoFellini. Che mi fece tanti compli-menti. Ma non è detto però chequattro anni dopo vi si sia ispirato».L'autore che più avverte come consan-guineo?«Buster Keaton che corre giù peruna collina inseguito da sassi rotolan-ti che lui stesso ha spostato. Magnifi-ca rappresentazione delle angoscioseperplessità dell'uomomoderno».

“SOLOPERMUSILNONUSOILLAPISROSSOEBLU”

TUTTOlibri RESPONSABILE: NICO ORENGO. IN REDAZIONE: LUCIANO GENTA, BRUNO QUARANTA. E-MAIL: [email protected] SITO INTERNET: www.lastampa.it/tuttolibri/

«Quando leggo, correggo,sostituisco parole, operopiccoli tagli, metto le virgole,i punti. Un tic? Un’abitudine?Una depravazione?»

LuigiMalerba in un ritratto fotografico di Paola Agosti. Allo scrittoreè dedicato un numero doppio della rivista«l'Illuminista»

Vita. Luigi Malerba è nato a Berceto (Parma) nel 1927. Laureato in giurispru-denza, è giornalista, sceneggiatore cinematografico (per piccolo schermo ecinema, in film con Lattuada, Monicelli, Tonino Guerra fino ad arrivare al pri-mo Casino Royale), scrittore.

Opere. Tra l’altro Le pietre volanti (Rizzoli, 1992), Le maschere (Mondadori,1994), Itaca per sempre (Mondadori, 1997), Le galline pensierose (Mondado-ri, 1994), Il viaggiatore sedentario (Rizzoli,1993). L’anno scorso, per i tipi diMondadori, è uscito Fantasmi romani.

LuigiMalerba

«Vinci, Ammaniti, Ballestra,Campo, Scarpa, Nove: sonoi miei magnifici talenti,sono in attesa che uno di loroscriva il libro del decennio»

Diario di lettura TuttolibriSABATO 26 MAGGIO 2007

LA STAMPA XI

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