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1 Bergamo Festival - Fare la Pace 2018 Fake News Come riconciliare verità e fatti nell’era dei social network Lucio Cassia, 4 maggio 2018 Introduzione alla conferenza Tutti gridano alle fake news, le notizie false. Insomma, le bufale. Siamo entrati nel tempo in cui le emozioni, i pregiudizi e le convinzioni personali pesano sempre più della realtà – verificabile – dei fatti. Tra chi accusa i giornali e gli altri mass media di essere finti e chi ritiene che solo questi ultimi potranno salvarci dalle bufale, la verità è che la cattiva informazione si annida un po’ ovunque. E forse non è una novità ma è così da sempre. Con l’avvento di Internet, però, è avvenuto un cambio di marcia nella rapidità di creazione e di diffusione delle notizie false. La rete è una miniera di contenuti e informazioni a disposizione di tutti noi ma anche un gorgo in cui è facile perdersi nelle notizie false. E allora come riconciliare opinioni e competenza, verità e fatti? Lucio Cassia, Università degli Studi di Bergamo e JLab Scuola di Giornalismo del gruppo Sesaab Gabriela Jacomella, giornalista, fondatrice di Factcheckers.it, Policy Leaders Fellow alla School of Transnational Governance dell’Istituto Universitario di Fiesole.

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Bergamo Festival - Fare la Pace 2018

Fake News

Come riconciliare verità e fatti nell’era dei social network

Lucio Cassia, 4 maggio 2018

Introduzione alla conferenza

Tutti gridano alle fake news, le notizie false. Insomma, le bufale. Siamo entrati nel tempo

in cui le emozioni, i pregiudizi e le convinzioni personali pesano sempre più della realtà –

verificabile – dei fatti. Tra chi accusa i giornali e gli altri mass media di essere finti e chi

ritiene che solo questi ultimi potranno salvarci dalle bufale, la verità è che la cattiva

informazione si annida un po’ ovunque. E forse non è una novità ma è così da sempre. Con

l’avvento di Internet, però, è avvenuto un cambio di marcia nella rapidità di creazione e di

diffusione delle notizie false. La rete è una miniera di contenuti e informazioni a

disposizione di tutti noi ma anche un gorgo in cui è facile perdersi nelle notizie false.

E allora come riconciliare opinioni e competenza, verità e fatti?

• Lucio Cassia, Università degli Studi di Bergamo e JLab Scuola di Giornalismo del

gruppo Sesaab

• Gabriela Jacomella, giornalista, fondatrice di Factcheckers.it, Policy Leaders Fellow

alla School of Transnational Governance dell’Istituto Universitario di Fiesole.

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Introduzione

Sono grato alla dott.a Elena Catalfamo per l’introduzione. Elena, oltre ad essere membro

del Comitato Scientifico di BergamoFestival, è un’apprezzatissima giornalista de L’Eco di

Bergamo (uno dei fondatori di questa manifestazione) e ora si occupa dell’area digitale

nella redazione web. Si tratta di una delle aree che più rivestono speranza per il settore della

stampa, in questi anni in difficoltà in tutto il mondo occidentale.

Ho avuto modo di conoscere Elena quando si occupava di Università. Ma ho apprezzato il

suo lavoro anche quando nella sua carriera si è occupata di esteri, con una grande sensibilità

sui temi sociali, viaggiando in alcune realtà difficili del mondo, tra cui Etiopia e

Mozambico con la Caritas.

Ne approfitto per ricordare che pochi giorni fa, esattamente il 1 maggio, L’Eco di Bergamo

ha compiuto 138 anni. Fu fondato infatti nel 1880 da Nicolò Rezzara come giornale

d’ispirazione cristiana, con al centro il rispetto della persona e proprio per questo una

modalità d’informazione equilibrata e mai gridata, che si ritrova ancora ora oggi nelle

colonne de L’Eco.

Da 138 anni L’Eco di Bergamo è stato, ininterrottamente, il principale quotidiano dei

bergamaschi, che hanno coniato l’affettuoso nomignolo di “bugiardino”, che mi pare un

termine appropriato per aprire una serata in cui si parla di fake news. Vi pare?

Poco male: siamo in buona compagnia; ad esempio, in Piemonte il quotidiano “La Stampa”

è menzionata come “la bugiarda” e il termine “bugiardino” è in tutto il Paese utilizzato per

indicare il foglietto illustrativo che accompagna i farmaci, con quel diminutivo che attenua

con una vena d’ironia l’appellativo di bugiardo e che i Bergamaschi utilizzano per il loro

giornale, non in senso spregiativo, ma più come un vezzo accompagnato da un sorriso.

Permettetemi però di esordire riportando tutti voi alla mattina dello scorso 22 marzo,

giovedì, alle ore 11 in punto.

Vi chiedo di sforzarvi di ricordare dove eravate e cosa stavate facendo.

Come da abitudine della gente bergamasca, la gran parte di noi era sul posto di lavoro a

scuola o in università o impegnata nelle faccende di casa. Insomma, industriosa routine.

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Pochi fortunati escursionisti erano a spasso per le Orobie rimirando il cielo azzurro della

Lombardia, “così bello quand’è bello, così splendido, così in pace”, come scrive il

Manzoni quando Renzo attraversa l’Adda e si mette in salvo qui da noi, in Terra di San

Marco.

Sarà anche in pace, ma attorno alle 11 del mattino si odono due boati in successione, così

forti da far tremare i vetri delle case. Da queste parti non si è abituati ai fuochi di artificio,

salvo a Capodanno e quindi in alcuni ambienti si scatena presto il panico, tanto da far

evacuare alcune scuole.

Il centralino dei Vigili del fuoco va in tilt, alcune persone abbandonano gli uffici, le case e

le scuole, si diffonde il panico sui social.

Dove pensate che io sia andato per cercare un’informazione affidabile? Sul sito de L’Eco di

Bergamo, ovviamente. Ma il sito non era raggiungibile.

Ho avuto un momento di timore anch’io: un attentato in città? Il timore è durato lo spazio

di un secondo, perché i nostri server non sono fisicamente al palazzo de L’Eco. Poi rifletto

ancora un momento e penso che non solo io, ma tutti bergamaschi si fidano così tanto del

proprio giornale che tutti stavano cercando di accedere al sito de L’Eco, determinando un

rallentamento del sistema.

Come ho saputo più tardi è andata proprio così: normalmente accedono al sito nello stesso

istante mediamente 2.000 lettori, mentre dopo le 11 del 22 marzo hanno cercato di accedere

oltre 25.000 lettori (12 volte tanto). Mediamente nel corso di un’intera giornata circa

150.000 bergamaschi accedono al sito de L’Eco, mentre quel giorno da due a tre volte

tanto.

Intanto nel mezzo di questa concitazione tra le 11 e le 12 girano su Twitter e Whatsapp le

prime fake news: un’esplosione alla SIAD di Osio, un incidente in fonderia alla Tenaris, un

attentato al Duomo di Milano, un terremoto a Parma, un disastro aereo in Svizzera, persino

esperimenti nucleari sotterranei americani in Italia, etc.

Un approccio scientifico normalmente insegna che: “Molto ragionamento e poca

osservazione, conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento ci

avvicina alla verità”.

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Ecco, la prossima volta meglio buttare un occhio al cielo di Lombardia “così bello quand’è

bello”: avremmo visto due scie di caccia intercettori. Certo, qualcuno avrebbe potuto

pensare a scie chimiche. Ma tant’è…

1. Spirito critico e verifica delle fonti

Un elemento di grande importanza che aiuta a ostacolare la diffusione delle false

informazioni è un talento che dovremmo allenare fin dalla gioventù: lo spirito critico. Lo

spirito critico è quell’atteggiamento riflessivo di chi non accetta nessuna affermazione

senza interrogarsi sulla sua validità e che considera una proposizione come vera solo

quando è stata verificata, o quanto meno attentamente considerata.

Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos e componente autorevole del comitato scientifico di

questo festival, in un bellissimo saggio dal titolo ”Dare i numeri” che tratta delle percezioni

sbagliate della realtà sociale, ci ricorda che in Italia pensiamo che gli immigrati siano il

quadruplo di quelli realmente presenti, che i musulmani siano cinque volte tanto e i

disoccupati quattro volte il reale. E che secondo l’Istat gli ebrei iscritti alle Comunità sono

35.000, mentre in realtà pensiamo siano un milione, ovvero trenta volte tanto.

Ecco allora che diventa dirimente lo spirito critico e la conseguente verifica delle fonti, così

che l’autorevolezza dell’Istat o di uno scienziato non possa essere paragonata a quella di

una persona che si sente un guru soltanto perché ha ricevuto migliaia di like sulla propria

pagina Facebook.

Scriveva Bertold Brecht nella sua “Vita Di Galileo” che quando lo scienziato pisano abiura,

costretto dall’Inquisizione, un suo discepolo, Andrea, grida “Sventurata la terra che non ha

eroi!”. E Bertold Brecht fa rispondere saggiamente a Galileo “Sventurata la terra che ha

bisogno di eroi”. Ecco, potremmo oggi parafrasare: “Sventurata la terra che ha bisogno di

influencer, youtuber, blogger et similia”.

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Ha fatto scalpore la risposta che Roberto Buroni, professore di microbiologia e virologia al

San Raffaele, ha dato su twitter a una richiesta di confronto in rete da parte di Dino

Giarruso delle Iene sulla tanto dibattuta questione dei vaccini:

“Gentile Giarrusso, se parliamo di vaccini ci sono due possibilità: lei si prende laurea,

specializzazione e dottorato e ci confrontiamo. Oppure, più comodo per lei, io spiego, lei

ascolta e alla fine mi ringrazia perché le ho insegnato qualcosa.”

C’è qualche elemento di supponenza, ma è tuttavia vero che troviamo spesso persone

normali non preparate, che chiedono di ingaggiare un dibattito con un esperto, come se

discutessero sullo stesso piano.

Dobbiamo tenere conto delle competenze, perché non sempre “uno vale uno”; può forse

essere vera nel dibattito politico, ma non nella conoscenza.

Se nel 1600 la disputa tra il sistema tolemaico geocentrico (la Terra al centro dell’Universo)

e il sistema copernicano eliocentrico (la Terra ruota attorno al Sole, che non è al centro di

nulla) si fosse risolta per alzata di mano, anziché per osservazione, avrebbero vinto le forze

della conservazione contro la scienza emergente, e probabilmente staremmo ancora

pensando che la Terra sia piatta e che per curare i reumatismi dobbiamo praticare salassi

con le sanguisughe.

Anche Pilato chiese al popolo di scegliere per alzata di mano tra Gesù o Barabba. E

abbiamo visto come è andata a finire...

Ho la convinzione che sia parte dei doveri dei docenti aiutare i giovani a diventare i

cittadini di domani anche aiutandoli a sviluppare quello spirito critico, quella

propensione a esaminare ogni concetto con profondità di pensiero che rende l’uomo

libero dall’ignoranza.

In questo tipo di attività, imparare a verificare l’autorevolezza delle fonti d’informazione in

modo sistematico è indispensabile. Soprattutto dopo l’avvento di Internet, dove a tutti noi è

consentito di pubblicare il nostro pensiero su ogni cosa, ancorché non tutti siamo allo stesso

modo autorevoli su ognuno degli argomenti discussi.

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2. Enunciati falsi e il principio di autorità

Non è vero che non siamo sempre in grado di riconoscere enunciati falsi. Per alcuni di

questi l’umanità ha messo a punto strumenti potenti di verifica. Uno di questi ambiti è la

conoscenza scientifica.

Quando uno studioso ritiene di aver ottenuto un risultato nelle proprie ricerche, ad esempio

le proprietà di una lega in titanio per la protesi del femore, o un nuovo algoritmo

matematico per la cifratura d’informazioni riservate, o un farmaco per combattere i batteri

antibiotico-resistenti, la comunità scientifica non considera immediatamente attendibile la

scoperta, ma ne sospende il giudizio fin tanto che quella stessa scoperta non è verificata da

altri ricercatori che tentano di riprodurre gli esperimenti o le analisi e ne convalidano

indipendentemente i risultati.

È ciò che chiamiamo metodo scientifico per il quale le verità naturali non si basano su un

assunto o su un dogma e la verità scientifica non dipende dall’autorevolezza di chi la

enuncia, ma dall’osservazione dei fatti, dalla formulazione di ipotesi e dalla verifica delle

previsioni.

Dobbiamo essere orgogliosi di essere cittadini di un Paese che ha dato i natali a colui che

ha codificato il metodo scientifico, Galileo Galilei. Nel 1600 Galileo sfidò l’approccio

aristotelico e l’ordine delle cose precostituito e dogmatico, rischiando sia la propria

reputazione di studioso e sia le conseguenze dell’Inquisizione.

È noto come buona parte della conoscenza scientifica di allora si basasse sulla lettura dei

classici e sul magistero di Aristotele di duemila anni prima, piuttosto che sulla

sperimentazione. Non si applicava il principio della verifica, ma il principio di autorità:

“Ipse dixit”. Nel caso specifico il pensiero aristotelico era accettato così com’era in virtù

dell’autorità di Aristotele stesso.

E così abbiamo accettato errori per secoli, anzi millenni. Ad esempio, Aristotele sosteneva

che la velocità di caduta di un corpo dipendesse dal peso del corpo stesso, così che una

pietra pesante il doppio di un’altra dovesse cadere ad una velocità doppia e quindi toccare

terra molto prima dell’altra. Peraltro, sembrerebbe un assunto di buon senso anche a noi,

così ragionevole che per duemila anni nessuno l’aveva verificato giacché proveniva da una

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fonte autorevole. Ci voleva Galileo per salire sulla Torre di Pisa e lasciar cadere

contemporaneamente una palla di cannone e una di moschetto e osservare che giungevano a

terra contemporaneamente. Per mettersi al riparo dall’Inquisizione, Galileo fa dire da

Salviati a Simplicio nel “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e

copernicano” (1632):

“Ma io, Sig. Simplicio, che n’ho fatto la prova, vi assicuro che una palla d'artiglieria, che

pesi cento, dugento e anco più libbre, non anticiperà di un palmo solamente l'arrivo in

terra della palla d’un moschetto, che ne pesi una mezza, venendo anco dall’altezza di

dugento braccia1”.

Ovvero, se non si tiene conto della resistenza dell’aria, due corpi cadono a terra con la

stessa velocità indipendentemente dal loro peso. Aristotele, sbagliando, sosteneva il

contrario, ma per il principio di autorità in duemila anni nessuno l’aveva mai verificato.

Cosa avviene invece oggi? Quando scriviamo un articolo scientifico e lo sottoponiamo per

la pubblicazione a una rivista, prima dell’accettazione il nostro lavoro viene sottoposto ad

un processo di revisione double blind (revisione tra pari in doppio cieco), ovvero il nostro

articolo viene valutato da altri scienziati della comunità scientifica internazionale: noi non

sappiamo chi sono gli altri scienziati scelti e loro non sanno chi ha scritto l’articolo.

L’autore non sa chi ha valutato l’articolo e chi l’ha valutato non sa chi l’ha scritto. Un

principio di verifica a garanzia dell’indipendenza.

Non sarebbe la prima volta che il principio di verifica ci salva da gravi errori indotti dal

principio di autorità. James Watson, che è stato ospite di BergamoScienza alcuni anni fa, fu

insignito del premio Nobel per la medicina nel 1962 per la scoperta del DNA. Potremmo

dire un’autorità scientifica in tema di biologia e di evoluzione; nonostante questo la

comunità scientifica ha rigettato alcune sue successive posizioni in tema di eugenetica e

relazione tra intelligenza e razza.

1 Un braccio fiorentino era pari a poco più di mezzo metro; perciò duecento braccia corrispondono circa 100 metri, circa il doppio dell’altezza della Torre di Pisa.

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L’approccio scientifico è osservazione, riproducibilità degli esperimenti, deduzione, spirito

critico e, in primis, dubbio. Secondo Richard Feynman, premio Nobel per la Fisica, un

ricercatore non ha niente di assolutamente sicuro, bensì solo risposte approssimate,

fedi possibili e gradi diversi di certezza su vari argomenti.

3. Anche una mezza verità è una fake news

C’è un tema dirimente, altrettanto importante delle falsità a mezzo stampa, ovvero la

diffusione delle mezze verità, perché la parte vera può dare conferma a una nostra idea e

copertura e autorevolezza alla parte falsa.

Talvolta accade anche con fonti che di norma riteniamo autorevoli, ma che per diverse

ragioni, non solo economiche o politiche, infarciscono il racconto di verità parziali.

C’è un bel film del 2015 intitolato “True Story”, che racconta la storia di Michael Finkel,

un giornalista del New York Times la cui carriera si concluse dopo aver falsificato una

storia di schiavitù minorile in Africa occidentale.

La sua inchiesta aveva fini nobili, ovvero denunciare la situazione di sfruttamento

economico dei ragazzi africani, ma per dare spessore aveva inventato interviste che

accreditavano la condizione di schiavitù anziché di sfruttamento salariale. La mezza verità è

una tentazione forte, talvolta con buone intenzioni.

Anche gli scienziati sono a rischio di mezze verità, quando per accreditare una propria

convinzione guardano i soli dati sperimentali che accreditano la propria ipotesi, mentre

scartano quelli che la contraddicono. C’è un modo di dire tra i ricercatori: “Tortura a

sufficienza i tuoi dati e ti diranno ciò che vuoi”. Tuttavia, la realtà è diversa dai nostri

desideri e il metodo scientifico smaschera facilmente questi tentativi. La forza della scienza

è che altri possono replicare ogni esperimento.

Questo non è sempre vero nell’informazione, perciò chi si occupa di informazione

dovrebbe essere molto attento, anche quando vi sono alcuni elementi di verità.

A me viene in mente una riflessione di Khorasan Jalal al-Din Rumi, mistico sufi del XIII

secolo:

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“La verità era un grande specchio che cadendo sulla Terra dalle mani di Dio si

ruppe. Ogni uomo ne raccolse un pezzo. Vedendo riflessa in esso la propria

immagine, ognuno credette di possederla tutta, mentre in realtà era solo un pezzo di

verità”.

Scriveva Henry David Thoreau nel suo libro “Walking”: “Con quale uomo è preferibile

avere a che fare: con uno che non sa nulla di un argomento e, cosa estremamente rara, sa di

non sapere nulla, o con uno che ne sa realmente qualcosa, ma pensa di sapere tutto? “

D’altronde anche la nostra stessa psicologia spesso non ci aiuta nella difesa dalle mezze

verità: siamo più disponibili a leggere e a pesare una notizia che conferma una nostra

convinzione (politica, economica, sociale, scientifica) che una notizia di verso contrario. La

stessa scelta di quali giornali leggere al mattino rivela questa predisposizione, di cui

dobbiamo avere consapevolezza.

La verità non vince sempre, qualche volta infatti è l’emozione ad avere la meglio.

A me pare che spesso la verità degli uomini sta nelle sfumature.

4. Si possono prevenire le fake news?

Bisogna cominciare dal dire che, come scrive Gabriela Jacomela, “Una volta che ha

iniziato la sua corsa, fermare una bufala è molto più complesso di quanto sembri”, perché

la smentita, o la semplice correzione, trova molta meno viralità della fake news originale,

forse anche perché vi è meno sensazionalità e noi stessi siamo meno portati a condividerla.

Il tentativo è allora quello di prevenirle dove è possibile, ad esempio nelle redazioni dei

quotidiani che si muovono sui percorsi della responsabilità e della qualità.

“Anche le principali piattaforme si stanno attrezzando per rispondere all'allarme fake news.

Una startup inglese, Factmata, fondata da tre giovani esperti di intelligenza artificiale hanno

un progetto sostenuto da Google, basato su un meccanismo semiautomatico che permette di

verificare affermazioni e notizie purché coinvolgano numeri e statistiche, attingendo a un

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ampio database di cifre ufficiali tratte da organismi accreditati, con cui vengono

confrontate. Si tratta quindi di un sistema di factchecking automatico.

Il sistema consente di verificare affermazioni come: “La Spagna ha il più elevato tasso di

disoccupazione maschile in Europa” o “Negli Usa ci sono 3 letti ospedalieri per ogni 1000

persone”, e via dicendo2”.

Ciò detto, io penso che il fact checking da solo non basterà a conservare i giornali come

oggi li conosciamo. Ma sarà un grande aiuto a ciò che sempre più è richiesto al giornalismo

nella società complessa: spiegare, far capire, approfondire, prendere posizione con

trasparenza e schiena diritta. Lo storico direttore de L’Eco Andrea Spada scriveva: “Il

giornalista non può essere solo un cantastorie, un altoparlante, ma un comunicatore che

prima passa la notizia dentro di sé, la vive, la ama, la soffre, ne gioisce”.

Io penso che non esista una contromisura sempre efficace rispetto alla diffusione delle fake-

news e alla nostra capacità di accorgercene sempre. Esistono strumenti, come il pensiero

critico, la verifica delle fonti e, più in generale, la cultura, ovvero della maggiore

conoscenza che tutti dovremmo avere. Perché è solo la conoscenza che ci rende liberi di

scegliere e di fare per libera scelta ciò che altri fanno per ignoranza, costrizione o paura.

In queste settimane si legge il Vangelo di Giovanni: “Se rimanete nella mia parola, siete

davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. (Giovanni, 8,32)

5. Trust e futuro dei giornali

Molte sono state le testate digitali d’informazione sorte negli ultimi dieci anni. Accanto a

numerosi siti improvvisati e di bassa qualità, si sono diffusi anche quotidiani locali e

nazionali professionali, la maggior parte dei quali ha adottato il modello dell’informazione

gratuita, sostenuta, nelle intenzioni, dalla raccolta pubblicitaria e dal capitale di rischio

degli investitori.

2 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2018/01/29/mai-piu-fake-news-sui-social-un-software-per-smascherarleAffari_e_Finanza24.html

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Scrive Gabriela Jacomela: “…illudendosi che le informazioni “gratis” che si trova nella

rete sia -perché appunto non costa nulla, almeno all’apparenza- per forza di cose libera da

vincoli e da compromessi. Ma siamo proprio sicuri che sia così?”

Nel Ritratto di Dorian Gray, mentre Lord Henry Wotton sta negoziando l’acquisto di

tendaggi, si rivolge a Dorian e gli dice: “Al giorno d’oggi la gente sa il prezzo di tutto e non

conosce il valore di niente”. Ecco, è esattamente ciò che accade oggi per l’informazione:

prezzo e valore non coincidono.

C’è da dire inoltre che negli ultimi anni il duopolio esercitato da Google e Facebook ha

intercettato oltre il 90% della crescita del mercato pubblicitario e quindi i soli clic o il

numero delle pagine visitate non generano più ricavi sufficienti per pagare i costi di

struttura delle testate gratuite.

Nelle discussioni sul tema si sta diffondendo la convinzione che sopravvivranno le sole

testate che hanno una solida e professionale struttura giornalistica, capace di produrre

contenuti di qualità, liberi da fake news o cattiva o superficiale informazione. Talmente di

qualità che ci siano lettori disposti a pagarli per averli.

In fondo l’esigenza di una comunicazione affidabile non solo non è mai venuta meno, ma in

era di fake-news e post-verità è in costante crescita.

I giornali locali, in particolare, hanno una responsabilità maggiore perché si rivolgono alla

comunità locale. Non solo L’Eco di Bergamo, ovviamente, ma tutti i giornali locali della

nostra e di altre provincie hanno una dignità e un ruolo dirimente nella tutela degli interessi

delle comunità di riferimento. In particolare, L’Eco ha il privilegio di una reputazione che

giunge da una storia di radicamento tra la gente, è un presidio culturale, di conoscenza e di

democrazia nei nostri territori, è portatore di valori e di istanze, ed è voce anche di coloro

che, altrimenti, voce non avrebbero.

Per sopravvivere e affrontare i nuovi scenari con qualche possibilità di successo, il mondo

dell’informazione dovrà sempre più essere in grado di fornire qualità. A tutto ciò il fact

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checking può dare un contributo importante per quanto attiene la funzione di watch-dog

dalla parte della comunità.

Mi piace ricordare un pensiero di Andrea Spada, che ha lasciato tracce permanenti nella

redazione de L’Eco, ovvero la convinzione che il giornalismo è solo uno strumento, non

un fine; il fine è contribuire al bene della tua comunità.