alterazioni della contrattilita’ miocardica nei...
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ALTERAZIONI DELLA RIPOLARIZZAZIONE MIOCARDICA NEI
PAZIENTI IN TERAPIA DIALITICA PERITONEALE.
INTRODUZIONE
I pazienti affetti da insufficienza renale cronica terminale in terapia sostitutiva
presentano un aumento del rischio globale cardiovascolare rispetto ai pazienti
non nefropatici (1): è noto che il 20% dei pazienti sottoposti a terapia sostitutiva
della funzione renale muore nel primo anno e di questi il 25% va incontro ad
una morte improvvisa (2). D’altra parte la persistenza nel periodo post trapianto
renale di specifiche cause cardiovascolari di morte, come l’infarto miocardico,
nella stessa incidenza pretrapianto, depone per l’importanza di fattori di rischio
preesistenti, quali l’ipertensione arteriosa, l’ipertrofia ventricolare sinistra, la
dislipidemia, l’intolleranza glucidica, le alterazioni del metabolismo
calciofosforico (3) e quelle che riguardano i geni che sono deputati alla sintesi
dell’angiotensin converting enzyme (ACE): a tal proposito è stata dimostrata
l’associazione tra polimorfismo I/D del genotipo dell’ACE e la progressione sia
delle nefropatie che delle cardiopatie siano esse ischemiche che ipertrofiche (4)
e quindi tale genotipo risulta essere un fattore di rischio per lo sviluppo di danno
d’organo subclinico e di eventi cardiovascolari maggiori (5), (6). La morte
cardiovascolare è sicuramente la prima causa di morte nei pazienti in terapia
sostitutiva della funzione renale (7), (8), che possono presentare sindromi
coronariche acute vista la grave aterosclerosi coronarica con estese
calcificazioni cui sono soggetti (9), (10), (11) ed alterazioni del ritmo cardiaco
nel 50-70% (12), (13), (14) che se particolarmente gravi rappresentano una
causa di morte improvvisa (15), (16), che viene definita come un decesso
inaspettato, non traumatico, non autoprovocato, che si verifica in un paziente
con o senza una patologia preesistente, che muore entro le sei ore
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dall’insorgenza dell’evento terminale. La morte improvvisa è la causa più
frequente di morte nelle zone più sviluppate del mondo e più della metà di
queste persone muore di morte istantanea che viene definita come un decesso
improvviso ed inaspettato che avviene entro alcuni secondi o minuti in persone
che erano intente nella loro normale attività immediatamente prima dell’evento
fatale. Le patologie che più frequentemente sono state associate alla comparsa di
morte improvvisa sono la coronaropatia, la miocardiopatia dilatativa, la
miocardiopatia ipertrofica, la valvulopatia aortica, il prolasso della valvola
mitrale, le cardiopatie congenite cianogene, la sindrome da QT lungo, anomalie
elettrofisiologiche cardiache strutturali che nella maggior parte dei casi
determinano l’insorgenza di una tachicardia o di una fibrillazione ventricolare
per lo più scatenate da fenomeni di ischemia-riperfusione, ipossiemia, squilibri
elettrolitici, aumento dell’attività del sistema nervoso autonomo, farmaci ad
azione cardiotossica: ne risulta una alterazione del battito cardiaco (17) che è la
risultante di tre proprietà del muscolo cardiaco: automatismo, eccitabilità e
conducibilità. L’automatismo è la proprietà di generare e mantenere un impulso
ritmico: è peculiare del muscolo cardiaco ed è indipendente da connessioni
neurologiche (tanto che è presente anche nel cuore sottoposto a trapianto) anche
se può essere modificato da stimoli umorali ed autonomici (sistema nervoso
simpatico e parasimpatico che innervano riccamente il nodo seno atriale e quello
atrioventricolare). Le strutture cardiache dotate di automatismo sono il nodo del
seno localizzato all’inserzione della vena cava superiore nell’atrio destro e che è
il principale segnapassi, il nodo atrioventricolare e le fibre specifiche che da
questo si diffondono al ventricolo –sistema di His-Purkinje-(segnapassi
secondari o latenti). L’eccitabilità è la capacità di rispondere ad uno stimolo
inerente a cellule che hanno o no proprietà automatiche di segnapassi. La
conducibilità è la proprietà delle fibre cardiache di propagare e diffondere il
processo di eccitazione alla cellule vicine. L’impulso cardiaco normale origina
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dal nodo seno atriale attivando gli atri e tale attivazione determina
all’elettrocardiogramma di superficie la comparsa dell’onda P. L’impulso viene
fisiologicamente ritardato nel nodo atrioventricolare per cui
all’elettrocardiogramma compare l’intervallo PR, attraversa il fascio di His, le
due branche ed il sistema di Purkinje per attivare poi il miocardio ventricolare.
La corrente generata dall’attivazione del miocardio ventricolare è responsabile
del complesso QRS all’elettrocardiogramma. Nelle cellule miocardiche il
potenziale di transmembrana a riposo misurato con microelettrodi intracellulari,
è negativo e l’ampiezza della negatività dipende dal tipo di cellula: - 60 mv nelle
cellule del nodo seno atriale, e –90 mv nelle fibre del Purkinje. La negatività
intracellulare è potassio-dipendente, ed è il risultato di un efflusso di ioni
potassio durante la fase 4, di riposo, del potenziale d’azione transmembrana.
L’attivazione della cellula è associata ad un improvviso afflusso nella cellula di
ioni sodio carichi positivamente che invertono la negatività intracellulare fino ad
una carica positiva di circa 10-20 mv (il cosidetto rimbalzo od overshoot).
L’improvvisa inversione della negatività intacellulare è la fase zero e
l’overshoot positivo è la fase uno del potenziale d’azione transmembrana. Il
risultato sull’ECG delle fasi 0 ed 1 è il complesso QRS. Segue quindi la fase 2
che è caratterizzata da un voltaggio relativamente stabile. Le modificazioni nel
voltaggio della fase 2 sono largamente dipendenti dai canali lenti per il calcio.
Le cellule nella quali il potenziale dipendente dai canali lenti per il calcio ha un
ruolo significativo nella genesi del potenziale d’azione transmembrana
comprendono quelle dei nodi seno atriale ed atrio ventricolare. La fase due del
potenziale d’azione transmembrana si riflette sull’ECG con il tratto ST. La fase
tre del potenziale d’azione transmembrana, l’onda T sull’ECG, dipende da un
efflusso di potassio, che reintegra l’elettronegatività intracellulare. A questo
punto del ciclo, la cellula ha un eccesso di sodio ed un deficit di potassio; il
ritorno alla normale concentrazione ionica avviene durante la fase quattro, la
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linea isoelettrica all’ECG. Questo processo richiede un consumo di energia ed è
svolto dalle pompe dipendenti dall’adenosintrifosfatasi sodica, potassica,
calcica. Nella cellula normale, il completo recupero della concentrazione ionica
e della negatività intracellulare precede la successiva attivazione cardiaca. Il
nodo seno atriale agisce come normale segnapassi primario (pacemaker).
Durante la fase quattro, vi è un graduale afllusso di sodio nella cellula, o un
diminuito efflusso di potassio, o entrambi i fenomeni, il che comporta una
graduale diminuzione della elettronegatività in questa fase, nella quale, quando
il potenziale d’azione transmembrana si è ridotto al livello del potenziale soglia,
si genera un potenziale d’azione transmembrana. La perdita spontanea della
negatività transmembrana durante la fase quattro di un potenziale d’azione
transmembrana definisce l’automatismo (Fig 1). Normalmente la perdita
graduale del potenziale in questa fase ossia l’automatismo è tipica del
pacemaker primario ossia del nodo del seno, mentre il resto del sistema di
conduzione specifico ha la proprietà di automatismo latente. Raramente le fibre
miocardiche sono dotate di automatismo e ciò accade solo in condizioni
patologiche. Il potenziale d’azione transmembrana generato automaticamente
agisce come stimolo per le cellule vicine, che a loro volta stimolano cellule
adiacenti, portando alla propagazione dell’impulso. L’attivazione delle cellule
contigue da parte del potenziale d’azione transmembrana, è causata da una
riduzione del loro rispettivo potenziale di transmembrana a riposo fino al
potenziale di soglia. La differenza di potenziale fra la fase quattro ed il
potenziale di soglia definisce la eccitabilità: più ridotta è questa differenza più
eccitabile sarà la cellula, poiché è necessario uno stimolo di minore intensità per
ridurre il potenziale della fase quattro al livello della soglia. La velocità di
conduzione non è necessariamente proporzionale alla eccitabilità: un aumento di
questa, infatti, può portare ad una ridotta velocità di conduzione. Questo
paradosso risulta dalla dipendenza della velocità di conduzione dall’integrità
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dello stimolo cioè il potenziale d’azione transmembrana. L’integrità del
potenziale d’azione transmembrana come stimolo dipende dall’ampiezza dello
stesso e dalla velocità di salita del voltaggio nella fase zero. Entrambi dipendono
a loro volta dall’ampiezza del voltaggio della fase quattro al momento della
generazione del potenziale d’azione transmemebrana, il cosidetto potenziale di
partenza. In altre parole più negativo è il potenziale di partenza, migliore sarà il
risultante potenziale d’azione transmembrana e più rapida la conduzione; al
contrario, un ridotto, o meno negativo potenziale di transmembrana al momento
della attivazione, risulterà in una diminuita velocità di salita della fase zero ed in
una minore ampiezza del potenziale d'azione transmembrana. Un potenziale
d'azione transmembrana alterato può non riuscire a stimolare adeguatamente le
cellule vicine e, come risultato, la conduzione può avvenire a velocità ridotta od
essere bloccata. Le aritmie, quindi, compaiono o perché vi sono anomalie
dell’automatismo e della formazione dello stimolo, o perchè vi sono anomalie
che riguardano la conduzione dello stimolo o perché entrambe le anomalie
suddette sono presenti. Le modificazioni dell’automatismo, quindi della
frequenza e del ritmo cardiaco, sono in rapporto o all’accentuazione
(tachicardia) o riduzione (bradicardia) dell’attività del segnapassi, oppure
all’accentuazione dell’automatismo dei segnapassi latenti od ectopici che si
manifestano con la comparsa di extrasistoli o di tachiaritmia. Le anomalie della
conduzione comprendono il rallentamento ed il blocco della conduzione e sono
dovute ad insufficienza dello stimolo ad eccitare le fibre lungo la via di
conduzione, a ridotta eccitabilità delle fibre deputate a propagare l’impulso e ad
interruzione anatomica delle fibre di conduzione (18), (19), (20), (21)
Nell’ambito della insufficienza renale in fase predialitica e dialitica numerosi
sono i fattori che realizzano, isolatamente o sinergicamente, una o più di queste
condizioni aritmogene quali il sovraccarico pressorio negli ipertesi non dipper
(22), la miocardioaptia ischemica, la cardiomiopatia ipertrofica, la disfunzione
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ventricolare, la malattia pericardica, lo scompenso cardiaco, la neuropatia
autonomica, squilibri elettrolitici, modificazioni dell'equilibrio acido-base con
conseguenti modificazioni delle concentrazioni plasmatiche degli elettroliti
stessi, squilibri ormonali e fattori iatrogeni. La morte aritmica, quindi, può
essere dovuta sia ad aritmie su base ischemica (23) che a causa di QT lungo
(aritmie da rientro da QT lungo). Il segmento QT (Fig 2) rappresenta il tratto
elettrocardiografico compreso l’onda Q e la fine dell’onda T ed esprime la
durata della ripolarizzazione ventricolare, che avviene tramite l’attivazione dei
canali ionici per il potassio: Lks che si attiva e disattiva lentamente e Lkr che sia
attiva con estrema rapidità e prende il nome di HERG. Poiché la durata del
tratto QT varia con la frequenza cardiaca, solitamente, attraverso la formula di
Bazzett, la durata del QT viene rapportata alla durata del ciclo cardiaco
(QT/√RR): ne deriva la misura del QT corretto o QTc che deve essere di 440
msec negli uomini e di 450 msec nelle donne. Un QT prolungato rappresenta un
rischio aritmogenico tanto più grande tanto maggiore è l’allungamento del QT
stesso. Il rischio è di sviluppare delle aritmie ventricolari tipo torsione di punta,
che sono potenzialmente letali, in quanto il rallentamento della ripolarizzazione
rende possibile l’insorgenza di un potenziale d’azione precoce sostenuto dai
canali lenti del calcio (24). Un altro parametro di aritmogenicità è la dispersione
del QT sull’ECG a dodici derivazioni. Per dispersione del QT si intende la
differenza tra il QT più lungo e quello più breve misurato all'’ECG di superficie
(25). Questo è un indice di disomogeneità della ripolarizzazione ventricolare e
della probabilità che all’interno del miocardio si formino dei circuiti di micro o
macrorientro che portano alla torsione di punta (26), predice la morte
improvvisa nello scompenso cardiaco congestizio, nell’infarto miocardico, nella
cardiomiopatia ipertrofica e nella ipertrofia ventricolare sinistra (27), (28),
condizioni nelle quali l’ipertrofia dei miociti causa allungamento della durata del
potenziale d’azione, mentre l’aumento della fibrosi interstiziale (29) si associa
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alla riduzione di ampiezza del potenziale d’azione e di membrana e quindi i
farmaci che riducono l’ipertrofia dei miociti e la fibrosi interstiziale come gli
antiipertensivi e gli ace inibitori si comportano da antiaritmici pur non
appartenendo a questa classe (30); inoltre entrano in gioco l’aumentata sintesi di
adrenalina e noradrenalina come compenso al deficit contrattile che sono in
grado di scatenare aritmie sia direttamente sia attraverso i NEFA (acidi grassi
non esterificati) (31). Le aritmie da rientro scatenate da alterazioni della durata
del tratto QT, che possono anche essere congenite ed allora sono dovute ad
anomalie nella conduttanza transmembrana al potassio legate ad anomalie del
cromosoma sette (32), possono essere precipitate da fattori quali disionie gravi,
coesistenza di comorbidità, assunzione di farmaci che allungano il QT,
accumulo di farmaci, alterazioni farmacogenetiche a carico del gene CYP2D6
(slow metabolizers). Tra le comorbidità ricordiamo l’amiloidosi ed il diabete
mellito. L’amiloidosi è una patologia determinata dalla deposizione negli organi
bersaglio (soprattutto rene e cuore) di proteine insolubili, che al microscopio
ottico a luce polarizzata danno vita ad una caratteristica birifrangenza verde,
presentano una disposizione fibrillare alla microscopia elettronica, hanno
affinità per il colorante rosso Congo (33), in quantità sufficienti ad alterarne la
normale funzione. Distinguiamo una Amiloidosi Primaria (Amiloidosi tipo AL),
nella quale le proteine anomale risultano costituite dalle catene leggere di
immunoglobuline prodotte da un clone di plasmacellule (34), una Amiloidosi
Familiare nella quale si ha la deposizione di proteine che derivano da diversi
precursori tra cui i più importanti sono rappresentati da forme mutanti della
transtiretina (prealbumina) (Amiloidosi tipo ATTR) (35). Esistono anche forme
secondarie di amiloidosi (Amiloidosi AA) che per lo più sono dovute a processi
flogistici cronici come quelli determinati dalle terapie sostitutive della funzione
renale e che raramente interessano il cuore e che sono dovute alla deposizione di
beta amiloide. Qualora, invece, si abbia la deposizione di fibrille negli spazi
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interstiziali del miocardio, si verifica dapprima la perdita delle connessioni tra i
miociti e quindi, con il progredire della malattia, la loro morte con conseguente
comparsa di zone cardiache che presentano differenti condizioni di
ripolarizzazione, condizione questa che predispone alla insorgenza di circuiti di
rientro (36). Per quanto riguarda la patologia diabetica, è stata descritta nei
pazienti che presentano un certo grado di neuropatia autonomica (37) una ridotta
attività vagale che può portare ad un allungamento del tratto QT (38) ed
all’aumento del rischio di morte improvvisa (39), (40); una stretta correlazione,
inoltre, emerge tra deficit di funzione nervosa autonomica e tassi elevati di
escrezione urinaria di albumina nei giovani pazienti diabetici di tipo uno (41).
Tuttavia l’allungamento del QT può non solo derivare da una riduzione
dell’attività nervosa cardiaca parasimpatica, ma anche da alterazioni delle
cellule miocardiche (42) che provocano una riduzione della stabilità elettrica
predisponendo così alla comparsa delle aritmie e che sono dovute, per esempio,
alla terapia con ace inibitori per la riduzione della proteinuria che possono
provocare alterazioni elettrolitiche soprattutto se il paziente presenta una
insufficienza renale, a sovraccarichi di volume e di pressione che aumentano lo
stress della parete ventricolare. Inoltre è possibile che i pazienti affetti da diabete
mellito possano andare incontro a gravi ipoglicemie ed in queste condizioni è
possibile, soprattutto in occasioni di concentrazioni di glucosio molto basse, che
il tratto QT si alteri (43) tanto da aumentare il rischio di morte da aritmia nei
soggetti predisposti (44). I pazienti con alterata tolleranza al glucosio ed i
pazienti diabetici tipo due con tratto QT allungato, hanno un rischio aumentato
di morte improvvisa (45), causata da torsione di punta e da fibrillazione
ventricolare (46). Inoltre è stato descritto un aumento dell’attività simpatica
durante il sonno nei pazienti diabetici di tipo due proteinurici (47) che può
essere responsabile di alterazioni del tratto QT e determinare quindi un maggior
rischio di morte improvvisa in questi soggetti. Nei pazienti diabetici,
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tachiaritmie ventricolari fatali possono essere scatenate anche dall’uso di
ipoglicemizzanti orali quali le sulfaniluree che bloccano i canali del potassio
adenosina trifosfato sensibili: ne risulta un allungamento della durata della
ripolarizzazione e la comparsa di postdepolarizzazioni precoci (48), (49), (50).
Alterazioni del ritmo cardiaco nei pazienti diabetici ed in quelli affetti da
insufficienza renale cronica terminale da nefropatia diabetica o di altra natura
(51), (52), possono anche essere dovuti al fatto che in tali patologie si ha la
formazione di AGE (advanced glicated end products) che si originano dalla
glicazione non enzimatica delle proteine circolanti e tessutali per cui si formano
dei prodotti reversibili, le basi di Schiff, che vengono poi convertite in diverse
famiglie di derivati di Amadori e quindi riarrangiati in AGE (53); nel paziente
uremico gli AGE si formano anche in seguito a reazioni di lipoossidazione ed
alla modificazione carbonilica delle proteine (54), (55), (56) ed il loro accumulo
è dovuto alla ridotta filtrazione glomerulare in quanto il rene elimina gli AGE
attraverso l’apparato endolisosomiale dei tubuli prossimali (57). Tali sostanze
risultano essere coinvolti nel processo di aterogenesi in quanto è stata dimostrata
la loro presenza nelle placche aterosclerotiche (58) ed a livello endoteliale sono
in grado di alterare i meccanismi che sono deputati a regolare l’interazione tra
cellule circolanti e letto vascolare in seguito all’interazione con specifici
recettori (RAGE) (59), per cui si ha la formazione di diacilglicerolo che attiva
la proteinkinasi C delta (60) che si porta dal citosol in corrispondenza della
membrana cellulare dove determina la fosforilazione di un enzima (61) che fa sì
che una proteina di membrana, la fosfaditilserina, si porti dall’interno (62)
all’esterno della stessa diventando così substrato per processi di coagulazione
(63) e trombosi in seguito all’attivazione del fattore V che determina a sua volta
l’attivazione calcio dipendente del fattore X che consente la formazione di
trombina (64); in seguito poi al legame con le cellule endoteliali gli AGE
determinano la comparsa di molecole di adesione (VACM-1) e quindi
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l’attrazione dei monociti sulla parete vascolare (65). Dal legame poi con
monociti e macrofagi si ha la formazione di radicali liberi dell’ossigeno (66) e
quindi gli AGE sono in grado, in seguito alla stimolazione della chemiotassi dei
monociti, alla liberazione di citochine pro flogogene dai macrofagi, alla
formazione di radicali liberi dell’ossigeno, alla proliferazione delle cellule
miscolari lisce della parete vascolare ed alla aggregazione piastrinica (67), di
favorire ed accelerare i processi di aterosclerosi. Tra le disionie responsabili di
alterazioni del tratto QT ricordiamo l’ipokaliemia che può determinare la
comparsa di extrasistolia ventricolare politopa, tachicardia parossistica atriale e
ritmo giunzionale in quanto determina un accentuato automatismo del
segnapassi primario e di quelli latenti ed una riduzione della conducibilità dello
stimolo (68), (69), (70), (71), l’iperkaliemia che, determinando una riduzione
della depolarizzazione diastolica per diminuito gradiente transmembrana di
potassio, provoca una disfunzione nell’attività del segnapassi ed una alterazione
della conducibilità cardiaca (72), (73), (74), l’ipomagnesemia in quanto il
magnesio favorisce la interazione actina-miosina, la ricaptazione di calcio da
parte del reticolo sarcoplasmico e regola i canali del calcio (75), (76), (77), (78),
(79), (80), (81), (82), e la iper (83) o la ipocalcemia (84), (85), (86). Le
alterazioni della calcemia sono frequenti nel paziente nefopatico in quanto la
funzione renale, il metabolismo osseo e l’omeostasi minerale (bilancio calcio-
fosforo) sono strettamenti correlati grazie all’intervento di paratormone (PTH),
vitamina D e fosfatonine. Il calcio ed il fosforo sono i costituenti principali
dell’osso ove sono presenti sotto forma di cristalli di idrossiapatite. Il calcio è il
catione principale dell’organismo ove assomma a circa un chilogrammo di cui il
98% si ritrova nelle ossa; nel plasma è presente per circa l’1% e di questo il 50%
risulta essere legato alle proteine plasmatiche, mentre per il 45% è presente sotto
forma di calcio ionizzato e per la parte restante (5%) è legata ai citrati; il calcio
extra ed intracellulare è all’incirca l’1%. Del calcio introdotto con la dieta
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(all’incirca 800-1000 mg), il 50% viene assorbito nell’intestino, mentre l’altro
50% si ritrova si ritrova nelle feci insieme alla quota secreta. L’assorbimento del
calcio a livello intestinale avviene attivamente, grazie all’intervento della
vitamina D, e passivamente e nel duodeno operano entrambi questi meccanismi,
mentre nel digiuno e nell’ileo opera soprattutto il meccanismo passivo, mentre
quello attivo lo ritroviamo soprattutto nell’intestino cieco. Per quanto riguarda
l’estrusione del calcio, anch’essa è regolata dalla vitamina D, avviene nella parte
basolaterale della membrana grazie all’intervento di una adenosintrifosfatasi che
opera un trasporto attivo in parte in scambio con il sodio. Solo il calcio ionizzato
può filtare a livello renale e per il 99% viene riassorbito attivamente nel tubulo
contorto prossimale, nell’ansa di Henle e nel tubulo contorto distale ove però il
processo è limitato da un meccanismo di traporto massimo regolato dal PTH; da
tutto ciò se ne deduce che la calciuria sarà uguale alla quota netta assorbita. Per
quanto riguarda il fosforo, la sua quantità nell’organismo è di circa seicento
grammi, di cui l’85% si trova nelle ossa sotto forma di fosfato inorganico; in
forma inorganica è presente anche nel plasma come H2P04- ed HP04--, mentre
in forma organica si ritrova nelle cellule ove è esterificato, legato ai lipidi di
membrana, e nelle molecole di ATP. Del fosforo introdotto con la dieta
(all’incirca 1000-1200 mg), i 2/3 vengono assorbiti nell’intestino grazie
all’azione di vitamina D e paratormone. A livello renale, il fosforo filtra
liberamente e viene assorbito per il 90% nel tubulo contorto prossimale grazie a
meccanismi limitati da un trasporto massimo ed a questo livello il paratormone
agisce inibendo il riassorbimento, mentre il tubulo contorto distale funge da
tampone per gli ioni idrogeno. La vitamina D è un ormone steroideo, origina per
effetto della luce ultravioletta sulla cute sul 7-deidrocolesterolo o Provitamina
D3, anche se può essere assorbita come tale nell’intestino in quanto è presente
nei cibi e due sono le fonti dietetiche principali: la vitamina D2 o ergocalciferolo
di origine vegetale e la vitamina D3 o colecalciferolo di origine animale e quindi
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le ritroviamo nell’olio di pesce, tuorlo d’uovo, fegato, soia. La vitamina D3
viene trasportata al fegato dalla vitamin D binding protein ed in questa sede
viene convertita a 25(0H)D3 dall’enzima microsomiale e mitocondriale vitamina
D3-25-idrossilasi. Il 25(0H)D3 viene trasportato dalla vitamin D Binding
Protein al tubulo prossimale del rene, dove viene convertito a 1,25(0H)2D3
(calcitriolo) dall’enzima 1 alfa-idrossilasi (87); la sintesi di calcitriolo avviene
però anche in altri tessuti (88), (89). In alternativa il 25(0H)D3 può essere
convertito a 24R,25(0H)2D3, un metabolita relativamente inattivo grazie
all’intervento dell’enzima 24-idrossilasi. L’enzima 1 alfa-idrossilasi viene
stimolato od inibito da variazioni dei livelli di PTH, calcio, fosforo, calcitriolo e
suoi metaboliti così come l’enzima 24-idrossilasi. L’1-25-(0H)2D3 viene
trasportato alle cellule target legato alla vitamin D binding protein, entra nella
cellula in forma libera ed interagisce con il suo recettore VDR (Vitamin D
receptor) presente nel nucleo, si forma un eterodimero con un fattore accessorio
(RXR retinoid X receptor) che interagisce con un Vitamin D responsive element
(VDRE) che promuove od inibisce la trascrizione di mRNA di proteine regolate
da 1,25(0H)2D3 come le Calcium binding protein, l’enzima 25(0H)2D3-24
idrossilasi, il paratormone, l’osteocalcina, la fosfatasi alcalina e l’osteopontina e
quindi le cellule target risultano essere quelle epiteliali dell’intestino, le
paratiroidee, quelle ossee e le cellule tubulari distali del rene. E’ da tener
presente che recettori per la vitamina D sono localizzati non solo negli organi
bersaglio che intervengono nel metabolismo minerale, ma anche in altri tessuti
quali quello immunitario (90), (91), mieloide (92), (93), (94), cuore (95) ,
muscolo scheletrico (96), cervello e sistema nervoso (97), (98), (99) e questo
spiega gli effetti pleiotropici della vitamina D che consistono in una up
regulation del RANKL (ligando del recettore attivatore del fattore nucleare k-b),
in una down regulation della OPG (osteoprotegerina), nel modulare la risposta
immune andando ad agire sui linfociti helper, nell’interagire con il sistema
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renina angiotensina, nel regolare l’attività del sistema nervoso e di quello
muscolare e nell’intervenire sulla crescita e sull’apoptosi cellulare e sulla
differenziazione dei cheratinociti (100), (101), (102), (103). Esistono inoltre
delle evidenze che il calcitriolo determini degli effetti che non presuppongono
una azione sul genoma, grazie alla interazione con un recettore di superficie
distinto dal VDR nucleare (100). Nei tessuti target le molecole di 1,25(0H)2D3
vengono poi idrossilate e trasformate in acido calcitrioico, un metabolita inerte
ed idrosolubile. Gli effeti biologici della 1,25(0H)2D3 sono quindi quelli di
aumentare l’assorbimento intestinale di calcio e fosforo, di aumentare il
riassorbimento osseo, ed infine di consentire una normale mineralizzazione
ossea in quanto provvede a fornire adeguati livelli di calcio e fosforo a livello
del fronte di mineralizzazione. Il paratormone viene prodotto nelle cellule
paratiroidee e dapprima si ha la formazione di una molecola proteica di 115
aminoacidi detta pre-pro paratormone che viene trasportata nel reticolo
endoplasmatico rugoso e trasformata in una molecola di 90 aminoacidi detta
pro-paratormone. Il paratormone finale, costituito da 84 aminoacidi, viene
immagazzinato in granuli secretori citoplasmatici, da cui al bisogno viene
immesso in circolo. Il Paratormone viene catabolizzato dalle cellule del Kupfer
nel fegato e dalle cellule tubulari renali. La secrezione del paratormone avviene
dopo pochi secondi in seguito ad ipocalcemia, mentre alcune ore ed alcuni
giorni sono necessari rispettivamente perché si abbia la trascrizione del gene che
determina la formazione del paratormone e la replicazione delle cellule
paratoridee in seguito alla riduzione del calcitriolo e ad aumento dell fosforo
(Fig 3),(104). La trascrizione del gene che codifica per il paratormone viene
stimolata dalla ipocalcemia e presuppone la presenza del Calcium Sensing
Receptor (105) (Fig 4) che appartiene ad una famiglia di recettori accoppiati a
proteine G, che sono caratterizati da un ampio dominio extracellulare che
comprende circa 700 aminoacidi, 7 domini transmembrana, coda citoplasmatica
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carbossiterminale comprendente 200 aminoacidi (105), (106), dalla ritenzione di
fosforo, dalla carenza di calcitriolo, dai glucocorticoidi e dagli estrogeni, mentre
viene inibita dal calcitriolo che agisce legandosi ad un Vitamin D Receptor
(107), (108) che si trova all’interno del nucleo e che media l’inibizione della
trascrizione genica del PTH nel momento in cui viene attivato da una quantità
adeguata di calcitriolo, dalla calcitonina e dalla ipercalcemia che può anche
stimolare la degradazione intracellulare del paratormone. Quando si hanno
variazioni della calcemia, entra in azione il calcium sensing receptor che si
attiva in condizioni di ipercalcemia in seguito alla interazione degli ioni calcio
con il dominio extracellulare del recettore che va incontro ad un cambiamento
della sua conformazione. La proteina G mette in azione la fosfatidil inositolo-
fosfolipasi C la quale a sua volta provoca l’attivazione della protein chinasi C
che dà inizio alla trasduzione del segnale a cascata tipico della mitogen-
activated protein chinasi che a sua volta determina la fosforilazione della
fosfolipasi A2 con conseguente rilascio di acido arachidonico che viene
successivamente trasformato in leucotrieni biologicamente attivi che inibiscono
la secrezione del paratormone (109), (110), (111) . Quando i livelli extracellulari
di calcio sono bassi il calcium sensing receptor non viene stimolato e quindi la
sintesi e la secrezione del paratormone non vengono inibite, i livelli plasmatici
di patatormone iniziano a salire (109). In condizioni di calcemia nella norma, il
calcium sensign receptor viene attivato solo parzialmente ed agisce da freno
sulla sintesi del paratormone (112). La secrezione del paratormone, quindi,
viene regolata principalmente dalla calcemia, con una relazione sigmoidale
inversa molto ripida tra livelli di paratormone e calcio sia in vivo che in vitro e
che determina variazioni molto ampie del paratormone per piccole alterazioni
della calcemia e consente di mantenere il livello plasmatico di calcio
sostanzialmente costante e la curva (Fig 5) (113) viene definita da quattro
parametri che sono la secrezione massima di PTH (A), inclinazione della curva
14
al set point che indica la concentrazione di calcio che determina la inibizione del
50% della secrezione massima (B), set-point (C) e secrezione minima di PTH
(D). Le azioni del PTH si esplicano sul tessuto osseo, a livello renale ed
intestinale. A livello osseo il PTH attiva gli osteoblasti che a loro volta
stimolano gli osteoclasti tramite la secrezione di attivatori ed il risultato netto,
quando si hanno livelli costantemente elevati di PTH che determinano un
aumento del rimaneggiamento osseo con attivazione di tutte le cellule ossia
osteoblasti, osteociti ed osteoclasti, è l’aumento del riassorbimento osseo in
quanto prevale l’azione degli osteoclasti (114). A livello renale il PTH aumenta
il riassorbimento tubulare distale del calcio e quindi riduce l’escrezione del
calcio, inibisce il riassorbimento del fosforo nel tubulo contorto prossimale e
quindi ha una azione fosfaturica, aumenta l’attività della 1 alfa idrosilasi renale e
quindi la sintesi di 1,25(0H)2D3 e riduce il riassorbimento tubulare di
bicarbonati e quindi contribuisce allo sviluppo di una acidosi metabolica. A
livello intestinale aumenta l’assorbimento del fosforo, per cui gli effetti globali
del PTH consistono nel determinare una aumento della calcemia in quanto
stimola il riassorbimento osseo, aumenta il riassorbimento tubulare distale del
calcio ed aumenta la sintesi dell’1,25(0H)2D3, riduce la fosfatemia in quanto la
inibizione del riassorbimento del fosforo nel tubulo contorto prossimale prevale
sull’aumento del suo riassorbimento a livello intestinale (115). Un ruolo
fondamentale nel metabolismo calcio-fosforo lo svolge il tessuto osseo che
presenta una parte esterna la c.d. corticale ed una interna (trabecolare) e che
risulta essere costituito da idrossiapatite, da matrice che consiste di collageno ed
osteocalcina, da cellule che sono gli osteoblasti, gli osteociti e gli osteoclasti e
da acqua. Gli osteoblasti sono cellule di origine mesenchimale, sintetizzano la
matrice, sono provvisti di fosfatasi alcalina, presentano recettori per il
calcitriolo, il PTH, gli estrogeni ed attivano gli osteoclasti e quando cessano di
sintetizzare la matrice, vi rimangono intrappolati e si trasformano in osteociti.
15
Gli osteoblasti derivano dalle Colony Forming Unit, riassorbono tessuto osseo
dopo essere state reclutate da IL1, IL6, IL 11, TNF alfa e prostaglandine, mentre
vi sono sostanze come l’interferon gamma, il TGF β e l’interleukina 4 che
riducono il riassorbimento osseo. L’osso viene costantemente rimodellato grazie
a meccanismi che restringono gli osteoblasti di superficie per cui si scoprono
zone di osso che vengono riassorbite dagli osteoclasti che richiamano in loco
anche monociti che fanno opera di pulizia ed osteoblasti che riempiono le cavità
scavate dagli osteoclasti. L’attività del tessuto osseo è regolata da meccanismi
locali e sistemici. I primi sono rappresentati dalle Bone morphogenetict Proteins,
IGFs (Insulin like growth factor), TGFβ, IL 1, IL 6, TNF, sistema OPG/RANK.
I meccanismi sistemici son rappresentati dal PTH, vitamina D, Calcitonia,
Insulina, Estrogeni, Androgeni, Glicocrticoidi, ormoni tiroidei, ormone della
crescita, FGF (Fibroblast Growth Factor) 23. Le bone morphogenetic proteins
sono prodotte nell’osso e nel midollo osseo e consentono la formazione di
Cbfa1(Core binding Factor) un fattore di trascrizione genica che stimola la
formazione di osteoblasti nel midollo osseo e quindi la formazione di osso. IGFs
sono prodotte dagli osteoblasti in risposta al PTH, estrogeni ed alla BMPs (Bone
morphogenetic Proteins) e stimolano la formazione di matrice ossea. Il TGFβ
viene rilasciato durante il riassorbimento osteoclastico e stimola la funzione
degli osteoblasti. L’interleukina 1, 6, il TNF reclutano gli osteoclasti e vengono
prodotte dagli osteoblasti. L’OPG (osteoprotegerina) ed il RANK regolano la
funzione degli osteoclasti. Il RANK (recettore attivatore del fattore nucleare K-
b) è localizzato sulle cellule proosteoclastiche e quando viene attivato dal
RANKL (ligando del recettore attivatore del fattore nucleare K-b), i
proosteoclasti si trasformano in osteoclasti. Il RANKL è secreto da cellule della
linea ossea sotto l’influenza di IL1, calcitriolo, PTH e dai precursori degli
osteoblasti. L’OPG è prodotta dagli osteoblasti, lega il RANKL, e quindi riduce
la formazione degli osteoclasti. Il sistema OPG/RANK/RANKL è strettamente
16
regolato da PTH, vitamina D, estrogeni e glicorticoidi. Per quanto riguarda i
regolatori sistemici, la calcitonina è prodotta dalle cellule C della tiroide in
seguito all’aumento della calcemia e quindi inibisce gli osteoclasti e riduce
l’assorbimento di calcio nell’intestino e nel rene. La vitamina D aumenta la
formazione degli ostoclasti. L’insulina stimola la formazione della matrice. Gli
androgeni e gli Estrogeni regolano sia la formazione che il riassorbimento osseo.
I glicocorticoidi riducono il riassorbimento di calcio intestinale, stimolano il
riassorbimento osseo e l’escrezione renale di calcio. Gli ormoni tiroidei
stimolano il riassorbimento osseo. L’ormone della crescita agisce stimolando
l’IGFs (114). Il Fibroblast Growth Factor 23 ha una azione fosfaturizzante,
inibisce l’alfa 1 idrossilasi renale e stimola la formazione del paratormone ed è
prodotto dagli osteociti che producono anche Sclerostina un inibitore della
formazione dell’osso in quanto inibisce le bone morphogenetic proteins, la
Endopepetidasi fosfato regolante che è una metalloproteinasi che regola l’azione
dell’FGF 23, la Dentin Matrix Protein Protein 1 che induce la mineralizzazione
della matrice, la Matrix Extracellular Fosphoglicoprotein che inibisce la
mineralizzazione della matrice. Tutti questi elementi suggeriscono che gli
osteociti regolano la formazione ossea regolando la fosfaturia. Il FGF 23 ha
come organi bersaglio il rene ove si lega al suo recettore Klotho per cui viene ad
essere inibito l’uptake di fosforo sodio dipendente e la attività della alfa 1
idrossilasi per cui inibire la formazione dell’osso significa che questo non riesce
più a tamponare il fosforo e richiede maggiore produzione di FGF 23, mentre
una accelarata formazione di tessuto osseo richiederà una minore produzione di
FGF 23 e quindi ne risulterà ritenzione renale di fosfati. A livello paratiroideo, il
legame con il recettore Klotho determina una maggiore formazione di
paratormone (116), (Fig 6). Il fattore Klotho (117) viene prodotto da un gene
che determina la formazione di due proteine, una legata alle membrane ed una
circolante e mutazioni che interessano questo gene determinano la comparsa di
17
una sindrome che ricorda quella dei pazienti sottoposti a terapia sostitutiva della
funzione renale e numerosi sono i fattori che regolano l’espressione del klotho.
Riducono l’espressione del Klotho a livello renale l’età, una dieta ricca di
fosfati, insufficienza renale cronica, terapia con estrogeni, lo stress ossidativo,
fenomeni di ischemia riperfusione, la nefrectomia, il carcinoma renale,
l’angiotensina II, mentre a livello cardiaco, polmonare ed epatico è l’età a
ridurre l’espressione del Klotho. Aumentano l’espressione del Klotho a livello
renale una dieta povera di fosfati, la presenza di ipercalcemia, iperfosforemia, la
vitamina D, le statine, mentre a livello del tessuto adiposo sono i PPAR gamma
ad incrementare l’espressione del Klotho (Fig 7). Le proteine Klotho
interagiscono con il FGF 23 e le ritroviamo nel tubulo contorto distale in
corrispondenza dei canali per il calcio (Transient Receptor Potential Vanilloid 5)
sotto il controllo della vitamina D e nell’intestino (Transient Receptor Potential
Vanilloid 6 (118). Quando la fosforemia si riduce per una riduzione dell’intake
alimentare, si riduce la secrezione di paratormone, si riduce la produzione di
FGF 23 che prova una riduzione degli scambiatori sodio-fosforo a livello renale
(NPT 2a e 2c) e quindi si riduce la fosfaturia, aumenta la produzione di 1 alfa
idrossilasi renale che aumenta l’attività dello scambiatore sodio-fosforo
(NPT2b) a livello intestinale. Quando la fosfatemia aumenta, aumenta la sintesi
di Klotho che si lega all’FGF 23 e quindi si ha una azione ipofosfatemizzante. A
livello osseo il Klotho stimola il riassorbimento osseo ed il rilascio di fosfati
andando ad agire sul transient receptor Potential Vanilloid 5 che è un
modulatore degli osteoclasti (Fig 8). Una ridotta introduzione di calcio (Fig 9)
provoca ipocalcemia, un aumento della secrezione del paratormone che provoca
un aumento del riassorbimento renale di calcio, un aumento della produzione di
vitamina D e mobilizzazione di calcio dalle ossa in seguito alla comparsa di
fenomeni di rimodellamento. La produzione renale di Klotho aumenta in modo
da stimolare il Transient Receptor Potential Vanilloid 5 che aumenta il
18
riassorbimento di calcio a livello renale ed osseo. Inoltre a livello intestinale
stimola il Transient Receptor Potential Vanilloid 6 che aumenta il
riassorbimento del calcio (119) (Fig 10). Quando la funzione renale comincia a
declinare, si riducono l’attività della alfa 1 idrossilasi renale e la eliminazione
renale dei fosfati (120) che provocano ipocalcemia a causa della carenza di
vitamina D che determina un ridotto assorbimento di calcio a livello intestinale e
poi perché la iperfosforemia impedisce il rilascio di calcio da parte del tessuto
osseo (121). La ipocalcemia determina un aumento della sintesi e della
secrezione del PTH a cui contribuiscono anche la iperfosforemia che riduce la
sintesi di calcitriolo (122), (123) il quale non riesce ad esercitare il suo effetto
inibitorio sulle cellule paratiroidee a causa della insufficiente stimolazione dei
recettori VDR. E’ da ricordare, inoltre, che la sintesi e la secrezione di
paratormone nonché la proliferazione delle cellule paratiroidee vengono
prodotte anche direttamente dall’iperfosforemia (124), (125), (126), (127). Nei
primi stadi dell’insufficienza renale, quindi, l’aumento del PTH (128) stimola il
rene ad incrementare la eliminazione del fosforo ed a riassorbire calcio, stimola
la sintesi di calcitriolo che consente di aumentare l’assorbimento di calcio a
livello intestinale e permette la mobilizzazione del calcio dai depositi ossei.
Nonostante tali effetti, però, non si riescono a mantenere i livelli di calcemia,
fosforemia e calcitriolo nella norma per cui lo stimolo alla secrezione di PTH
continua e compare la resistenza scheletrica all’azione del PTH, ossia sono
necessari concentrazioni via via più elevate di PTH per mobilizzare calcio e
fosforo dal tessuto osseo e nella quale entrano anche in giuoco per il suo
determinismo la iperfosfatemia, la presenza di bassi livelli di calcitriolo, la
presenze di tossine uremiche, l’acidosi tipica della insufficienza renale per
incapacità di eliminare valenze acide, una riduzione della sensibilità del
recettore per il PTH determinata dai suoi eccessivi livelli, decremento
dell’espressione di mRNa per PTH/PTHrp recettore (129), (130), (131), (132),
19
(133), (134), (135), (136), (137). La perdita della funzionalità renale
congiuntamente alla resistenza scheletrica alle azioni del PTH, contribuisce a
peggiorare la condizione di ipocalcemia in modo tale che diventano necessari
livelli estremamenti elevati di PTH per mantenere la calcemia nella norma e
quindi dapprima nelle paratiroidi aumenta la percentuale delle cellule secernenti
PTH e poi il numero totale di cellule con la conseguente comparsa di una
iperplasia diffusa. In tali condizioni, la crescita cellulare è di tipo policlonale e si
accompagna ad una down regulation dell’espressione dei recettori per il calcio e
la vitamina D (138). In condizioni di nefropatia terminale, l’iperplasia delle
ghiandole paratiroidee evolve ulteriormente ed in queste condizioni la crescita
cellulare diventa di tipo monoclonale per cui compare una iperplasia nodulare
(139), (140) e si apprezza una significativa riduzione della espressione dei
recettori per il calcio (141) ( Fig 11 ), (142), (Fig 12) e la vitamina D (142),
(143) e quindi le ghiandole paratiroidi saranno meno sensibili alle variazioni
della calcemia (144), (145). In queste condizioni il calcio e la vitamina D non
riescono a controllare la secrezione di PTH che viene sintetizzato in grande
quantità per cui si verifica il rilascio di ingenti quote di calcio e fosforo dalle
riserve accumulate a livello del tessuto osseo nonostane la resistenza scheletrica
all’azione del PTH con conseguente comparsa di ipercalcemia ed iperfosforemia
che (145) causano una ulteriore stimolazione delle ghiandole paratiroidi: si è
determinato un circolo vizioso che tende ad amplificare la secrezione del PTH e
le elevate concentrazioni sieriche di minerali espongono i pazienti ad
osteodistrofia renale, calcificazioni vascolari e dei tessuti molli e quindi ad un
aumento del rischio di morbilità e mortalità. L’osteodistrofia renale si presenta
tipicamente in tre forme: ad elevato turnover osseo (osteite fibroso cistica), a
basso turnover (adinamic bone disease ed osteomalacia), forme miste. L’ostetite
fibrosocistica è dovuta a tutte quelle cause di iperparatiroidismo e quindi a
riduzione della massa nefronica, ritenzione di fosfati, riduzione della sintesi di
20
calcitriolo, anomala crescita e funzione delle paratiroidi, resistenza scheletrica
all’azione del paratormone, ipocalcemia; all’esame istologico osseo si
apprezzano un aumento del riassorbimento e della formazione di osso. Ampie
aree della superficie trabecolare sono occupate da cavità contenenti osteoclasti
in fase di riassorbimento attivo (lacune di Howship); lungo la superficie
trabecolare si trovano anche numerosi osteoblasti in fase di attiva deposizione di
matrice ossea (osteoide). L’osteoide può non venire mineralizzata alla stessa
velocità con la quale viene deposta e quindi ne risulta un aumento del suo
volume. Tipica la presenza nell’osteoide di fibre collagene disposte
irregolarmente od intrecciate (woven) invece che in modo lamellare. La
disorganizzazione della struttura del collagene fa sì che l’osso diventi meno
resistente allo stress fisico e la mineralizzazione di ampie zone di osteoide
“woven” determina la comparsa di osteosclerosi. L’ipersecrezione di PTH
determina anche la deposizione di connettivo midollare in sede peritrabecolare
con riduzione del tressuto ematopoietico (146), (147), (148). L’adinamic bone
disease è dovuta ad una riduzione del numero degli osteoblasti determinata dalle
tossine uremiche e da citochine che intereferiscono con lo sviluppo osseo, viene
favorita da fattori quali l’età avanzata, il diabete, la terapia sostitutiva della
funzione renale, la terapia con vitamina D, somministrazione di sali di calcio
con conseguente riduzione della sintesi di paratormone. All’esame istologico si
apprezza uno spessore osteoide ancora normale. L’osteoide è sottile e non
presenta osteoblasti attivi, rari sono gli osteoclasti ed inoltre si nota l’assenza di
fenomeni di rimodellamento (149), (150). L’osteomalacia negli anni passati era
dovuta alla deposizione di alluminio nel fronte di mineralizzazione, alluminio
contenuto nei farmaci utilizzati per chelare il fosforo presente negli alimenti e
nel bagno di dialisi. Oggi la causa più frequente è la carenza di vitamina D,
l’acidosi metabolica, l’accumulo di stronzio contenuto nel liquido di dialisi
nell’osso. All’esame istologico si apprezzano un aumento dello spessore e della
21
superficie dell’osteoide ed un ridotto turn over osseo. I bordi osteoidi sono ampi
ed il numero delle lamelle della matrice ossea è minore di cinque. Gli osteoblasti
e gli osteoclasi sono rari (151). Le forme miste presentano aspetti caratteristici
di entrambe le forme precedenti e quindi vi sarà la presenza contemporanea sia
dei segni dell’osteite fibrosa (compresa la fibrosi peritrabecolare) che l’aumento
dell’osteoide (come nella osteomalacia). Le trabecole, quindi, presentano una
superficie coperta da ampie aree di osteoide con spessore aumentato, vicine ad
aree con gli aspetti tipici dell’osteite fibrosa (151). Le calcificazioni vascolari
sono caratterizzate non solo deposizione passiva di calcio e fosforo sui vasi, ma
anche da una una trasformazione attiva delle parete vascolari in strutture osse,
processo questo, regolato da geni che regolano l’attività degli osteoblasti (152)
ed esistono evidenze che indicano come il fosforo vi svolga un ruolo
fondamentale. Gli studi di Kuro et al (153) hanno evidenziato come topi con
normale funzione renale e nei quali erano presenti mutazioni del gene Klotho,
andassero incontro ad un aumento della fosfatemia e quindi ad un incremento
del prodotto calcio-fosforo ed alla comparsa di calcificazioni vascolari e ad
osteoporosi, mentre quelli effettuati da Jono (154) e Giachelli (155) hanno
dimostrato come elevati livelli di fosforo inducessero la calcificazione delle
cellule muscolari lisce della tonaca media dell’aorta e come fosse predominante
nella matrice extracellulare la deposizione di minerali contenenti fosforo (154).
Queste evidenze testimoniano come elevati livelli di fosforo determinino
direttamente la calcificazione delle cellule muscolari lisce della tonaca media
dell’aorta in seguito all’attivazione del cotrasportatore sodio fosforo Pit-1 e del
Core binding Factor-1 (154). Il Cbfa-1 è un fattore di trascrizione che regola la
espressione di osteocalcina e quindi l’attività degli osteoblasti (156). Un’altra
proteina entra in gioco nel processo di calcificazione delle cellule muscolari
lisce dei vasi e cioè la osteopontina. Wada (157) ha dimostrato come in vitro tale
proteina agisca come inibitore della calcificazione, mentre Jono (158) ha
22
evidenziato come la fosforilazione della osteopontina sia fondamentale per
inibire la calcificazione delle cellule muscoalri lisce dei vasi e quindi tale
proteina è al tempo stesso un modulatore della mineralizzazione ossea ed un
inibitore dei processi di calcificazione vascolare. Giachelli (159) ha analizzato il
ruolo del fosfato e della osteopontina nei processi di calcificazione vascolare
dimostrando come il fosfato induca direttamente la calcificazione delle cellule
muscolari lisce della tonaca dei vasi, mentre la osteopontina, stimolando il
riassorbimento osseo, inibisce la deposizione di fosfato di calcio e questo è stato
assodato anche in studi nei quali topi privi di osteopontina vanno incontro a
calcificazione vascolare quando esposti ad elevate concentrazione di fosfato
(160). Esistono, però, anche delle proteine che sono in grado di inibire il
processo di calcificazione vascolare quali la Bone morphogentic protein , la
fetuina A e la Matrix GLA glicoproteina. La bone morphogentic Protein-7 è
fondamentale per lo sviluppo di rene, occhio e tessuto osseo (161) e tipicamente
i suoi livelli si riducono precocemente quando il paziente vede ridotta la sua
funzione renale (162). La carenza di Bone morphogenetic protein determina
delle conseguenze assai importanti per ciò che riguarda la patogenesi e la terapia
della insufficienza renale cronica (163), ma è ancora più interessante per ciò che
riguarda la patogenesi ed il trattamento delle calcificazioni vascolari in quanto
tale proteina mantiene la differenziazione delle cellule muscolari lisce della
tonaca media dei vasi e previene la loro trasformazione in un fenotipo
osteoblastico (164) e quindi quando vi è una sua carenza, come nella
insufficienza renale cronica, vengono favoriti i processi di calcificazione
vascolare specialmente nel contesto delle lesioni aterosclerotiche. Per quanto
riguarda la fetuina, i suoi livelli decrescono durante la fase cellulare del processo
di infiammazione (165). In vitro la fetuina inibisce la formazione e la
precipitazione del fosfato di calcio, ma non ha nessun effetto sulla idrossiapatite
una volta che questa si è formata (166), antagonizza l’effetto antiproliferativo
23
del TGFβ-1, blocca l’osteogenesi e la deposizione di calcio nella matrice ossea
in cellule del midollo osseo di ratti trattate con desametazone (167). Ratti privi
di fetuina sviluppano gravi calcificazioni a livello di miocardio, rene, polmone,
lingua e cute (168). I pazienti in terapia sostitutiva della funzione renale con
bassi livelli di fetuina presentano un incremento della mortalità in seguito alla
comparsa di eventi cardiovascolari (169) che fanno pensare come la fetuina sia
coinvolta nell’incremento della calcificazione extrascheletrica che si osserva
nella insuffifienza renale cronica. Circa il suo meccanismo d’azione, sappiamo
che essa lega il calcio e la idrossiapatite e topi privi di fetuina sviluppano
calcificazioni dei tessuti molli e quindi poiché i suoi livelli sono ridotti nella
infiammazione e nella uremia fa supporre che la sua carenza sia locale che
sistemica potrebbe essere la causa che inizia il processo di calcificazione
vascolare nel paziente uremico. La Matrix GLA Glicoprotein fa parte delle
proteine che si legano alla vitamina K e sperimentalmente si è notato che topi
privi di tale proteina sviluppano nei primi due mesi di vita una calcificazione
arteriosa diffusa, osteoporosi e fratture patologiche (170). E’ una proteina della
matrice extracellulare con una elevata affinità per il calcio ed il fosforo e quindi
giuoca un ruolo fondamentale nel prevenire i processi di calcificazione vascolare
e nella patogenesi della osteoporosi (171) e grazie al suo legame con la bone
morphogenetic protein 2 esercita un effetto inibitorio sui processi di
meneralizzazione (172). Da quanto su esposto non meraviglia che i pazienti in
terapia sostitutiva della funzione renale presentino calcemie e fosforemie
elevate che determinano un aumento del rischio di mortalità (173) (Fig 13), (Fig
14) in quanto sono responsabili anche di un aumento delle calcificazioni
vascolari (174) (Fig 15) che di per sé provocano un aumento del rischio di
mortalità (175), (Fig 16). A livello miocardico quando il calcio è presente in
quantità normali, consente la formazione di ATP a livello mitocondriale
assicurandone la giusta funzionalità, mentre se in eccesso e qualora vi siano
24
stimoli patologici, determina la formazione di radicali liberi dell’ossigeno che
possono provocare la morte cellulare. Il calcio è fondamentale per la contrattilità
ed infatti nei miociti isolati concentrazioni via via elevate dello ione
determinano un aumento della contrattilità stessa (176). Il calcio penetra nei
miociti grazie al tubulo T ed al recettore Rienidinico. Se vengono stimolati il
recettore beta 1 e/o alfa 1, si verificano l’ulteriore influx di calcio attraverso
canali del calcio voltaggio dipendenti e quindi la contrazione muscolare; il
rilasciamento delle fibre muscolari avviene quando il calcio viene pompato nel
reticolo sarcoplasmico tramite una pompa ATPasi dipendente (SERCA). Il
calcio viene quindi estruso dalla cellula tramite due pompe: una pompa ATPsi
dipendente ed una a scambio con lo ione sodio, mentre il calcio in eccesso viene
trasportato nei mitocondri (177) (Fig 17). In condizioni di riduzione del ph
cellulare come può verificarsi in situazioni di ischemia-riperfusione (Fig 18) o di
acidosi metabolica , nel miocita si verifica la estrusione di ioni idrogeno in
scambio con ioni sodio presenti nell’ambiente extracellulare e quindi ne
conseguirà un accumulo di ioni calcio nella cellula con conseguente formazione
di radicali liberi dell’ossigeno che sono responsabili di danno cellulare. Oltre a
determinare la contrazione ed il rilasciamento muscolare, il calcio gioca un ruolo
fondamentale nel coordinare la crescita e la differenziazione cellulare, la
produzione di energia, consente di rispondere a fenomeni di stress extracellulari
ed è un effettore di apoptosi grazie all’intervento di serin-treoninkinasi (Fig 19)
e cambiamenti nella frequenza, nell’amplitudine e nell’ampiezza delle onde del
calcio provocano alterazioni dei programmi di trascrizione genica (178) in
quanto le serintreoninkinasi attraverso l’intervento del mTOR e l’inibizione-
attivazione del Foxo nucleare stimolano la sintesi e la degradazione proteica
grazie alla attivazione degli oncogeni e quindi qualora vi sia una situazione di
scompenso cardiaco o di insufficienza renale, attraverso lo stretch, la produzione
di angiotensina II, un pressure volume overload, il calcio è in grado di
25
controllare processi che nel miocardio e nel muscolo scheletrico portano alla
sintesi di fibre aerobiche (179) (Fig 20). Per quanto riguarda l’apoptosi, qualora
vi sia una eccessiva quantità di calcio nei mitocondri, questi rilasciano
Citocromo C che determina l’attivazione delle procaspasi e quindi delle caspasi;
lo stesso accade quando vi è l’attivazione del death receptor che agisce attivando
le procaspasi tramite il TNF alfa (180) (Fig 21) che viene anche prodotto dalla
stimolazione dei beta recettori (181); l’apoptosi è anche regolata in misura
minore dalla stimolazione dei recettori alfa adrenergici (182). L’handling del
calcio studiato su miociti isolati, ha dimostrato che nel miocita scompensato, la
cui diastole e contrattilità in diastole sono prolungate, i transienti del calcio sono
prolungati: ne risulta che in diastole il calcio rimane nel miocita a concentrazioni
e per tempi maggiori producendo una alterazione della ripolarizzazione e quindi
un allungamento del tratto QT (183) ed in ratti resi uremici è stato dimostrata
una alterata risposta dei miociti isolati al calcio ed all’isoprotenerolo con
conseguente alterazione della contrattilità (184). Il calcio, quindi, quando
presente in quantità non fisiologiche, risulta dannoso per i miociti in quanto
determina un incremento della contrattilità con conseguente consumo di energia,
favorisce la comparsa di aritmie, stimola la apoptosi, altera i fenomeni di
crescita e di differenziazione cellulare con l’effetto di produrre un
rimodellamento miocardico patologico e morte improvvisa, come dimostrato
anche da altri Autori (185) (186). L’handling cellulare del calcio è inoltre
influenzato dai peptidi natriuretici che,quando si legano al proprio recettore,
determinano la formazione di GMPc (187) (Fig 22) e quindi l’apertura dei canali
per il potassio (188) (Fig 23) con conseguente aumento della concentrazione del
calcio citosolico che si verifica anche perché viene ad essere inibita l’attività
del SERCA (Fig 24) che provvede al reuptake di calcio da parte del reticolo
sarcoplasmico (189) ed in modelli sperimentali è stato dimostrato che
all’aumento dei peptidi natriuretici fa seguito un aumento dei transienti del
26
calcio, un aumento del calcio citosolico e della contrattilità: ne risulta la
comparsa di aritmie sia per effetto dell’aumento del calcio intracellulare che per
effetto di un aumento del consumo energetico (190) (Fig 25). Nell’insufficienza
renale cronica terminale sono stati dimostrati un aumento del QTc (191), (192),
(193), della dispersione del QTc (194), (195), (196), (197) ed un aumento della
presenza di alterazioni acquisite dei canali ionici legate a condizioni come la
coronaropatia, l’ipertrofia ventricolare sinistra, la cardiomiopatia metabolica o
secondaria all’uremia (198); inoltre nei pazienti in terapia dialitica è spesso
presente un aumento dei peptidi natriuretici (199) e degli AGE (200),
l’iperparatoriodismo secondario con le conseguenti alterazioni del metabolismo
minerale (201).
OBBIETTIVO DELLO STUDIO
In letteratura non sono presenti al momento attuale studi disegnati per rilevare
nei pazienti sottoposti a terapia dialitica peritoneale la presenza di aritmie e la
loro correlazione con parametri biochimici e ciò al fine di evidenziare la
presenza di aritmie ventricolari ipercinetiche che potrebbero costituire la causa
di morte improvvisa. I pazienti in dialisi peritoneale presentano, come visto
precedentemente (191), (192), (193), )194), (195), (196), (197), un allungamento
dell’intervallo QT e della dispersione del QT, indice di una disomogeneità
elettrica del miocardio. Non è tuttora noto se questo allungamento del QT e la
disomogeneità della ripolarizzazione possano essere causa di aritmie anche fatali
nei pazienti in dialisi peritoneale. Questo potrebbe rendere conto di una parte
delle morti improvvise che spesso si hanno in questa popolazione. Il nostro
obbiettivo, quindi, è stato quello di studiare la popolazione sottoposta a terapia
dialitica peritoneale presso la Unità Operativa Complessa di Nefrologia, Dialisi,
Trapianto dell’Azienda Sanitaria numero sei di Vicenza per individuarvi la
27
eventuale presenza di alterazioni della ripolarizzazione ventricolare, e quindi di
cercarne le correlazioni con eventuali aritmie rilevate all’esame
elettrocardiografico secondo Holter e con le alterazioni dei parametri biochimici
tipiche dei soggetti sottoposti a terapia sostitutiva peritoneale della funzione
renale.
MATERIALI E METODI
I pazienti erano eligibili per lo studio purchè maggiorenni, non diabetici, in
terapia dialitica peritoneale da almeno tre mesi, con un peso secco ossia ideale
stabilizzato, con valori pressori di circa 140/90 mmHg., non facessero uso di
farmaci beta bloccanti od antiaritmici classe III e provvisti di esami
elettrocardiografici in cui l’intervallo QT poteva essere misurato in almeno otto
derivazioni. Criteri di esclusione: Classe NYHA maggiore di due, presenza di
blocco di branca sinistro, destro, fibrillazione atriale, conduzione aberrante,
assenza di ritmo sinusale all’esame elettrocardiografico, impianto di pacemaker,
uso di alcool etilico (202) superiore a 60,1 grammi/die (203), (204) che è stato
dimostrato provocare alterazione del tratto QT in quanto danneggia il sistema
nervoso autonomo e direttamente i miociti, criteri di esclusione che hanno reso
ragione della esclusione di 26 dei 105 pazienti reclutati. Abbiamo quindi
studiato 79 pazienti sottoposti a terapia dialitica peritoneale con soluzioni
dializzanti a Ph 7,4 contenenti calcio alla concentrazione di 1,25 mMol/L,
Potassio a quella di 2 mMol/L, Sodio a quella di 134 mMol/L, Magnesio a
quella di 0,25 mMol/L, Cloro a quella di 105 mMol/L, Lattato a quella di 15
mMol/L, Bicarbonato a quella di 25 mMol/l, Glucosio a quella di 1,5 gr/dl, ed ai
quali abbiamo eseguito esami ematochimici ed urinari per valutare la sodiemia,
la calcemia, la fosforemia, la magnesemia, la potassemia, il PTH, NT-proBNP,
la crasi ematica, la ferritinemia, la transferrinemia , l’albuminemia, l’equilibrio
28
acido base ed il KT/V ossia la efficienza dialitica (205); i campioni ematici
venivano ottenuti dopo dieci ore di digiuno e coloro i quali assumevano
vitamina D non introducevano il farmaco all’ora prescritta e cioè alla sera
precedente l’esame per evitare di inficiare la determinazione del PTH che,
avendo una secrezione pulsatile (104), vede il suo massimo nelle ore notturne. I
pazienti, inoltre, venivano sottoposti ad esami strumentali quali
elettrocardiogramma (ECG) a dodici derivazioni ed ECG secondo Holter.
L’ECG veniva registrato da un infermiere professionale entro un’ora
dall’esecuzione degli esami bioumorali e dopo dieci minuti di riposo in
posizione supina in una stanza priva di rumori ed utilizzando un apparecchio a
tre canali e dodici derivazioni, tre standard (I-III), tre unipolari (aVR, aVF,
AVL) e sei precordiali (V1-V6) con velocità della carta di 25 mm/sec, 10
mm/mV. La lettura dell’ECG veniva fatta manualmente dallo stesso cardiologo.
L’intervallo QT veniva misurato in ciascuna derivazione dall’inizio del
complesso QRS alla porzione terminale dell’onda T quando questa tornava alla
linea isolelettrica. Se l’amplitudine dell’onda T era inferiore a 50 μV, la
derivazione veniva esclusa dall’analisi. In presenza di una onda U, l’intervallo
QT veniva misurato al nadir della curva tra le onde Q e T (206). Se la fine
dell’onda T non era ben definita, la derivazione veniva esclusa dall’analisi. Tutti
gli intervalli QT in tutte le derivazioni venivano considerati ed i valori più
elevati riscontrati in tre intervalli consecutivi venivano utilizzati per l’analisi.
L’intervallo R-R del ciclo cardiaco precedente veniva misurato dai picchi delle
onde R e consentiva di correggere l’intervallo QT per la frequenza cardiaca
grazie alla formula di Bazzet come già indicato in precedenza. La variabilità
intraosservatore era 15±5%. L’ECG sec Holter veniva effettuato utilizzando un
apparecchio portatile a batteria modello Mortara a tre canali e 12 derivazioni
con il quale abbiamo valutato la presenza di alterazioni del ritmo cardiaco
espresse come aritmie sopraventricolari, extrasistoli ventricolari complesse,
29
extrasistoli ventricolari monomorfe maggiori od uguali a 2 l’ora, tachicardia
ventricolare (≥ a 3 battiti consecutivi) usando la classificazione di Lown (207)
per l’analisi. Abbiamo, quindi, correlato le alterazioni della ripolarizzazione
ventricolare con i parametri biochimici. Le variabili continue parametriche
vengono espresse da media e deviazione standard, mentre quelle continue non
parametriche da mediana e range interquartile. Il Mann-Whitney test è stato
utilizzato per comparare la distribuzione delle variabili continue, mentre il chi-
quadrato quella delle variabili categoriche. Valori di p≤ 0,05 sono considerati
significativi. L’analisi statistica è stata effettuta con il software Statistical
Package for Social Sciences (SPSS Inc, Chicago Illinois)) 10 per Windows.
RISULTATI
49 pazienti erano di sesso maschile (62%), 30 (38%) di sesso femminile. L’età
media dei pazienti è risultata di 60±14,2 anni. Le cause di End Stage renal
disease erano: Glomerulonefrite Cronica 24 pazienti, Pielonefrite Cronica 9
pazienti, Ipertensione Arteriosa 17 pazienti, Autosomal Dominant Policistic
Kidney Disease 15 pazienti, Causa Sconosciuta 14 pazienti. Età dialitica media
pari a 46±10 mesi. 63 pazienti (79,7%) erano in trattamento CAPD (Continuos
Ambulatorial Peritoneal Dialysis), mentre 16 (20,3%) erano in trattamento con
APD (Automated Peritoneal Dialysis); indice di efficienza dialitica rilevata con
la misurazione del Kt/V/weekly: media 2,07 (DS 0,44) diuresi (cc/die) media di
1500 (DS 500), Body Mass Index (Kg/m2) media 26,7 (DS 6,7). I valori di
emoglobina (gr/dl) erano in media di 11,9 (DS 1), sideremia (μg/dl) media 79
(DS 16) ferritinemia (ng/ml) media 35 (DS 13) e transferrina (μg/ml) 363 (DS
99, saturazione della transferrina (%) 38 (DS 18) l’albuminemia (gr/dl) era in
media di 5,7 (DS 0,8). La sodiemia (mMol/L) era in media di 139,6 (DS 3,4), la
potassiemia (mMol/L) 4,04 (DS 0,63), la calcemia (mg/dl) 9,27 (DS 0,11),
30
fosforemia (mg/dl) 5,5 (DS 1,5), magnesemia (mg/dl) 2,52 (DS 0,43), PTH
(pg/ml) 344 (DS 25), NT-proBNP (pg/ml) 6528 (DS 93), Ph 7,4 (DS 0,2),
HC03- (mEq/L) 28 (DS 2), PO2 (mmHg) 94 (DS 7), PC02 (mmHg) 38 (DS 4).
La durata media del QTc nella nostra popolazione era di 445±0,04 mesc.
L’esame ECG sec Holter ha dimostrato la presenza di aritmie sopraventricolari
in 38 pazienti, di extrasistoli ventricolari complesse in 44 pazienti, di extrasistoli
ventricolari monomorfe ≥2/h in 16 pazienti, di tachicardia ventricolare (≥3
battiti consecutivi) in 10 pazienti, mentre i pazienti appartenenti alle classi Lown
4a o 4b erano 11. Abbiamo trovato le seguenti correlazioni tra i parametri
studiati:
QTc/P r=0,045 p< 0.05 (Fig 26)
QTc/PTH r=0,077 p<0.02 (Fig 27)
QTc/Ca r= 0,076 p<0.02 (Fig 28)
BNP/Na r=0.057 p<0.02 (Fig 29)
BNP/QTc r=0.025 p=0,19 (Fig 30)
I pazienti deceduti improvvisamente (15), (16) nella nostra casistica erano 5 ed i
QTc di questi pazienti erano 471, 468, 455, 467, 464 msec. (media 465±0,03
msec). Questo valore era significativamente superiore a quello di tutta la
popolazione compresi i pazienti deceduti per morte improvvisa (QTC 445±0.04
msec), (p< 0,05)(Fig 31).
11 pazienti avevano una classe Lown 4a o 4b (i QTc di questa popolazione
erano 466, 469, 451, 460, 454, 460, 461, 466, 462, 451, 450, 453 msec, Media
465±0.02 msec) (p<0.05). Anche in questo caso il QTC di questa popolazione
era significativamente più lungo di quello medio (445±0.04 msec) (p<0.05) della
popolazione intera (Fig 32).
10 pazienti avevano tachicardia ventricolare non sostenuta (NSVT). Il QTC di
questi pazienti era 452, 468, 455, 460, 480, 448, 467, 464, 469, 466 msec. La
31
media 464±0.03 msec era significativamente più lunga della media del QTc
della intera popolazione dei dializzati (445±0.04 msec) (p<0.05), (Fig 33).
Tutti i 5 pazienti che avevano presentato morte improvvisa avevavo all’ Holter
una NSVT o classe Lown 4.
DISCUSSIONE
L’allungamento del QTc e della dispersione del tratto QT rappresentano fattori
di rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da scompenso cardiaco,
ipertensione, diabete mellito ed insufficienza renale cronica terminale in quanto
rendono possibile la comparsa di battiti prematuri ventricolari con conseguente
morte improvvisa. In letteratura vi sono lavori che hanno indagato le relazioni
esistenti tra le alterazioni della ripolarizzazione ventricolare ed il trattamento
sostitutivo della funzione renale, che però nella quasi totalità dei casi era
rappresentato dalla emodialisi extracorporea: in quattro di essi sono stati
considerati insieme pazienti in terapia extracorporea ed in terapia dialitica
peritoneale (192), (208),(209), (210), mentre il lavoro di Wu e coll (211) ha
studiato il rapporto tra la dispersione del QT corretto e la saturazione della
transferrina nei pazienti in terapia dialitica peritoneale, dimostrando una
correlazione lineare tra dispersione del QT maggiore di 74 msec e saturazione
della transferrina superiore al 35%; è noto da studi in vivo ed in vitro che il
sovraccarico di ferro può determinare cambiamenti nella conduzione elettrica
dei cardiomiociti e quindi la comparsa di morte improvvisa (212), (213) in
quanto provoca la alterazione dei canali per il sodio con conseguente alterazione
dei potenziali d’azione. Nel cuore il ferro si deposita soprattutto nella parte
sinistra del setto interventricolare e nell’epicardio del ventricolo sinistro ed in
misura minore nel ventricolo destro e negli atri e tale pattern tipico di
deposizione cronica potrebbe spiegare l’aritmogenicità prodotta dal ferro quando
32
cronicamente si deposita nel cuore (214), (215) . Coloro i quali si sottopongono
a terapia dialitica peritoneale presentano caratteristiche differenti per quanto
riguarda il rischio di una alterazione del tratto QT rispetto a coloro i quali sono
soggetti a terapia dialitica extracorporea che avviene a giorni alterni e durante la
quale, proprio per le sue caratteristiche che prevedono scambi rapidi soprattutto
nelle prime ore della seduta tra le sostanze presenti nel liquido di dialisi ed il
sangue, si possono verificare improvvise variazioni della concentrazione della
kaliemia, della calcemia e della magnesemia (216) (217) con conseguenti
ipokaliemia, ipomagnesemia, iper od ipocalcemia che possono scatenare dei
fenomeni aritmici in seguito ad alterazioni delle correnti ioniche del potassio
(197),(193), fenomeni, questi, che non si verificano nei pazienti in terapia
dialitica peritoneale che tipicamente fa ricorso ad una metodica continua ed a
bassa efficienza anche se, per le peculiarità della stessa, è possibile il riscontro
di kaliemie ridotte che possono richiedere la necessità di supplementazione
potassica e che possono quindi determinare un aumento del rischio di un
allungamento del QTc.
Nella nostra popolazione il QTc era alterato nella maggioranza dei pazienti (solo
24 pazienti avevano un QTc <450 msec) e la durata del Qtc correla in maniera
significativa con il calcio sierico, il fosforo ed il PTH ossia con alcune delle più
importanti alterazioni che si verificano nei pazienti con insufficienza renale
cronica terminale soprattutto se in terapia sostitutiva ossia quelle che riguardono
il metabolismo calcio-fosforo. Questi pazienti, inoltre, presentano valori di Nt-
proBNP elevato simili a quelli dei pazienti con disfunzione sistolica (Fig 34) e
questo per due motivi: incapacità del rene ad eliminare il peptide, load di liquidi
circolanti presente in questi soggetti nei quali viene mantenuto uno stato di
modesta iperidratazione necessaria perché tramite i capillari peritoneali si
possano effettuare gli scambi con le soluzioni dialitiche introdotte in addome: ne
risulta una correlazione inversa tra sodiemia e quindi emodiluizione e BNP. Il
33
BNP di per sé potrebbe far aumentare la concentrazione citosolica di calcio
grazie alla attivazione del GMPc e pertanto anche in presenza di concentrazioni
extracellulari di calcio anche lievemente aumentate potrebbe dare origine ad un
overload citosolico di calcio che potrebbe esprimersi in un allungamento del
QT; il BNP inoltre diminuisce come già detto l’attività del SERCA ATPase
contribuendo alla riduzione dell’uptake di calcio nel reticolo sarcoplasmico e
questo peggiorerebbe l’overload citosolico di calcio. Nei pazienti studiati non
abbiamo trovato correlazioni tra QTc e gli altri parametri ematici che
tipicamente si alterano in caso di insuffenza renale terminale e cioè la crasi
ematica ed il metabolismo del ferro come invece evidenziato dal lavoro di Wu e
coll. (211) e questo lo attribuiamo al fatto che la metodica dialitica peritoneale
comporta spesso la preservazione della diuresi, elemento, questo, che è stato
associato ad una migliore risposta alla terapia con eritropoietina e ad un miglior
raggiungimento dei target per l’emoglobina (218); nella nostra esperienza la
diuresi residua è assai soddisfacente ed il suo mantenimento viene perseguito
attivamente, mentre nel lavoro di Wu e coll. (211) il dato non è presente e se la
diuresi in quei pazienti fosse esigua potrebbe spiegare la correlazione
evidenziata tra dispersione del QT superiore a 74 msec e saturazione della
transferrina superiore al 35%. Inoltre non si sono evidenziate correlazioni tra
QTc ed equilibrio acido base, altro parametro che viene fortemente influenzato
dalla perdita della funzione renale, ma che nei pazienti in terapia dialitica
peritoneale vede questa alterazione minimizzata proprio per le caratteristiche
della metodica che consente una sua correzione durante tutto l’arco della
giornata, e tra QTc ed efficienza dialitica determinata dall’indice KT/V. Le
relazioni esistenti tra alterazioni della ripolarizzazione ventricolare e le
variazioni della calcemia e del PTH erano note (219), (220), (221), mentre a
nostra conoscenza questo è il primo lavoro che dimostra una correlazione tra
valori di QTc e fosforemia nel paziente in terapia dialitica peritoneale. Queste
34
rilevazioni confermano ancora una volta come nei pazienti in terapia sostitutiva
della funzione renale, la somministrazione di farmaci per correggere l’alterato
metabolismo calciofosforico conseguente alla perdita della funzione renale, sia
cruciale nella pratica nefrologica e debba avvenire con grande cautela: il calcio
acetato e quello carbonato utilizzati per chelare il fosforo vanno somministrati a
dosi che non apportino insieme al calcio alimentare una quantità di calcio
elemento superiore ad 1,5 gr/die, quella della vitamina D e dei suoi analoghi per
correggere l’iperparatiroidismo secondario va adeguata ai valori di calcemia,
fosforemia, PTH cercando di evitare l’ipercalcemia, l’iperfosforemia e
l’ipersoppressione del PTH e mantenuta, se possibile, anche a bassi dosaggi, in
quanto il paziente nefropatico presenta un deficit ed una resistenza all’azione
della vitamina D, e per sfruttarne gli effetti pleiotropici soprattutto a livello
cardiovascolare magari in associazione al calciomimetico (222), (223) che
interagisce con la regione transmembrana del calcium sensing receptor (224)
localizzato nelle cellule principali della paratiroide e ne induce un cambiamento
conformazionale con conseguente potenziamento degli effetti dello ione calcio
sul recettore stesso (225), (226) e questo ha l’effetto di ridurre la secrezione del
PTH e quindi la calcemia; inoltre consente la induzione dei vitamin D
receptor(100); è ovvio, inoltre, che in questi pazienti va posta una attenzione
particolare alla dieta che deve prevedere un ridotto intake di cibi ricchi di calcio
ma soprattutto di fosforo che ha assunto un ruolo di assoluto rilievo nel
determinare le alterazioni del metabolismo minerale nel paziente nefropatico,
elemento che è presente oramai in una grande varietà di cibi in associazione con
il sodio come conservante, e che vada sempre perseguita la migliore efficienza
dialitica in quanto anche le migliori terapie sostitutive della funzione renale
raramente garantiscono un bilancio nullo ed ancora meno negativo del fosfato.
Nella nostra casistica le morti improvvise sono avvenute nei pazienti che
presentavano classi Lown più alte, presenza di NSVT e valori di QTc più lunghi.
35
Questo fa ipotizzare che il QT possa avere un ruolo nella genesi delle aritmie e
nella morte improvvisa di questi pazienti.
Quale sia la patogenesi del QT lungo non è ancora chiaro, comunque i nostri
dati che mostrano una correlazione tra calcemia, fosforemia, e PTH stanno a
significare che le profonde alterazioni del metabolismo calcio fosforo possano
essere colpevoli di queste alterazioni elettrofisiologiche.
Ne scaturiscono tre considerazioni:
- che il controllo stretto di calcemia, fosforemia e PTH è essenziale in
questi pazienti
- che l’uso di sostanze che possono dar luogo ad un allungamento del QTc
come il succo di pompelmo (227) e di farmaci come i chinolonici (228),
gli antidepressivi triciclici, i macrolidi, la cisapride, il ketokonazolo (229),
antiaritmici quali sotalolo (230) ed amiodarone (231) può aggravare lo
stato proaritmico di questi pazienti .
- Che l’uso di chelanti del fosforo contenenti calcio deve essere tale da non
indurre aumento della calcemia in grado di provocare sovraccarico
miocardio di calcio.
E’ ovvio che questi dati preliminari e retrospettivi hanno bisogno di una
validazione su uno studio prospettico controllato che testi l’ipotesi che le
alterazioni del metabolismo calcio fosforo, in particolare l’ipercalcemia e l’
iperfosforemia siano responsabili delle alterazioni della ripolarizzazione
ventricolare e quindi di aritmie ipercinetiche mortali. Rimane anche da stabilire
se il BNP elevato possa avere un ruolo aggravante o scatenante le aritmie
ventricolari ed il suo routinario monitoraggio così come quello del tratto QT
potrebbe essere di aiuto nel prevenire la morte improvvisa in questa categoria di
pazienti.
ABSTRACT
36
Introduzione
E’ noto che i pazienti con insufficienza renale cronica possono presentare un
allungamento del tratto QT. Questo fenomeno è ancora piu’ evidente nei
pazienti sottoposti a dialisi peritoneale e ad emodialisi. Le ragioni di ciò non
sono ancora del tutto note, anche se vi sono correlazioni con disionie quali la
ipopotassiemia e la ipomagnesemia. In situazioni acute, quali l’emodialisi, il QT
si può allungare usando bagni di dialisi poveri di calcio e quindi dopo calo della
calcemia. In cronico invece sembra esserci una correlazione diretta tra aumento
della calcemia e del tratto QT, quasi a rappresentare una situazione
caratterizzata da overload di calcio intramiocitario con conseguente
allungamento della ripolarizzazione ventricolare.
SIGNIFICATO DEL TRATTO QT
Il QT rappresenta il tratto elettrocardiografico compreso tra l’onda Q e la fine
dell’ onda T. Esso rappresenta la durata della ripolarizzazione ventricolare.
Poiché la durata del tratto QT varia con la frequenza cardiaca, solitamente,
attraverso una formula chiamata formula di Bazzett, la durata del QT viene
rapportata alla durata del ciclo cardiaco. Ne deriva la misura del QT corretto o
QTc. Il tratto QT deve essere di lunghezza inferiore ai 440 msec negli uomini e
450 msec nelle donne.
Un QT prolungato rappresenta un rischio aritmogeno tanto piu’ grande, tanto
maggiore è l’ allungamento del QT stesso. Il rischio è di sviluppare delle aritmie
ventricolari tipo torsione di punta che sono potenzialmente letali. Un altro
parametro di aritmogenicità cardiaca è la dispersione del QT sull’ ECG a dodici
derivazioni. Per dispersione del QT si intende la differenza tra il QT piu’ lungo e
quello piu’ breve misurato all’ ECG di superficie.
37
Questo è un indice di disomogeneità della ripolarizzazione ventricolare e della
probabilità che all’interno del miocardio si formino circuiti di micro o
macrorientro che portano alla torsione di punta.
MORTALITA’ NEI PAZIENTI EMODIALIZZATI
Si sa che il 20% circa dei pazienti sottoposti a dialisi muoiono nel primo anno.
Di questi il 25% muore di morte improvvisa.
La morte cardiovascolare è sicuramente la prima causa di morte tra questi
pazienti che possono presentare sindromi coronariche acute vista la grave
aterosclerosi coronarica con estese calcificazioni cui sono soggetti. La morte
aritmica può essere dovuta sia ad aritmie su causa ischemica (firing
arrhythmias), che a causa di QT lungo (aritmie da rientro da QT lungo). Queste
aritmie possono essere precipitate da fattori quali disionie gravi, coesistenza di
comorbilità, assunzione di farmaci che allungano il QT, accumulo di farmaci,
alterazioni farmacogenetiche a carico del gene CYP2D6 (slow metabolizers).
Tra le disionie ricordiamo soprattutto l’ipokaliemia, l’ ipomagnesemia e la
ipercalcemia o l’ ipocalcemia.
Nei pazienti in dialisi la necessità di chelare il fosforo ha portato all’uso di
metalli quali l’alluminio, di calcio che potrebbe determinare nel tempo un suo
sovraccarico intracellulare con ripercussioni sia sul QT che sul calcium handling
intracellulare e che, quindi, potrebbe portare al triggering di aritmie.
OBBIETTIVO DELLO STUDIO
In letteratura non sono presenti al momento attuale studi disegnati per rilevare
nei pazienti sottoposti a terapia dialitica peritoneale la presenza di aritmie e la
loro correlazione con parametri biochimici e ciò al fine di evidenziare la
presenza di aritmie ventricolari ipercinetiche che potrebbero costituire la causa
di morte improvvisa. I pazienti in dialisi peritoneale spesso presentano un
38
allungamento dell’intervallo QT e della dispersione del QT, indice di una
disomogeneità elettrica del miocardio. Non è tuttora noto se questo
allungamento del QT e la disomogeneità della ripolarizzazione possano essere
causa di aritmie anche fatali nei pazienti in dialisi peritoneale. Questo potrebbe
rendere conto di una parte delle morti improvvise che spesso si hanno in questa
popolazione. Il nostro obbiettivo, quindi, è stato quello di studiare la
popolazione sottoposta a terapia dialitica peritoneale presso la Unità Operativa
Complessa di Nefrologia, Dialisi Trapianto dell’Azienda Sanitaria numero sei di
Vicenza per individuarvi la eventuale presenza di alterazioni della
ripolarizzazione ventricolare, e quindi di cercarne le correlazioni con eventuali
aritmie rilevate all’esame elettrocardiografico secondo Holter e con le
alterazioni dei parametri biochimici tipiche dei soggetti sottoposti a terapia
sostitutiva peritoneale della funzione renale.
MATERIALI E METODI
Abbiamo studiato una popolazione di 79 pazienti in dialisi peritoneale.
Abbiamo misurato la fosforemia, la calcemia, la sodiemia, la potassiemia, la
magnesemia, il PTH, l’NT-proBNP, la cloremia, la crasi ematica, la ferritinemia,
la transferrinemia, la saturazione della transferrina, l’albuminemia, l’equilibrio
acido base, il KT/V, durata del QTc sull’ ECG a 12 derivazioni. Con l’esame
ECG sec Holter abbiamo valutato la presenza di artimie sopraventricolari,
extasistoli ventricolari complesse, extrasistoli ventricolari monomorfe≥2/h,
tachicardia ventricolare ≥ a 3 battiti consecutivi usando la classificazione di
Lown per l’analisi
Abbiamo quindi correlato le alterazioni della ripolarizzazione ventricolare con i
parametri biochimici.
39
RISULTATI
La durata Media del QTc nella popolazione dei dializzati era 0.445+0.04 msec
Il PTH era 344+25 pg/ml
L’ NT-proBNP era 6528+93 pg/ml
La Calcemia era 9.27+0.11 mg/dl
La Fosforemia era 5.5+1,5 mg/dl
La magnesemia era 2,5+ 0,43 mg/dl
La sodiemia era 139,6+3,4 mMol/L
La potassiemia era 4,04+ 0,63 mMol/L
L’ECG sec Holter ha dimostrato la presenza di aritmie sopraventricolari in 38
pazienti, di extrasistoli ventricolari complesse in 44 pazienti, di extrasistoli
ventricolari monomorfe ≥2/h in 16 pazienti, di tachicardia ventricolare (≥3
battiti consecutivi) in 10 pazienti, mentre i pazienti appartenenti alle classi Lown
4a o 4b erano 11. Abbiamo trovato le seguenti correlazioni tra i parametri
studiati.
QTc / P r= 0.045 p<0.05
QTc / PTH r= 0.077 p<0.02
QTc / Ca r= 0.076 p<0.02
QTc / PTH r= 0.077 p<0.02
BNP / Na r= 0.057 p<0.02
BNP / QTc r=0.025 p=0.19.
I pazienti deceduti improvvisamente erano 5 ed il loro QTc medio era 465±0,03
msec, 11 pazienti avevano una classe Lown 4a o 4b con valori di QTc medio di
465±0,02 msec, 10 pazienti presentavano una tachicardia sopraventricolare non
sostenuta ed avevano un QTc medio di 464±0,03 msec. Tutti i 5 pazienti
deceduti improvvisamente avevano all’Holter una NSVT o classe Lown 4.
CONCLUSIONI
40
Nella Popolazione studiata Il QTc era allungato nella maggioranza dei pazienti
(solo 24 avevano un QTc<0.45), suggerendo che il rischio aritmogenico di
questa popolazione è elevato.
La durata del QTc correla in maniera significativa con il calcio serico, il fosforo
ed il PTH ed a nostro conoscenza questo è il primo studio che evidenzia la
presenza di alterazioni della ripolarizzazione ventricolare con la fosforemia.
I valori di Nt-pro BNP sono molto elevati, questo per due motivi, primo per la
incapacità del rene ad eliminare il peptide, secondo per il load di liquidi
circolanti di questi pazienti (infatti esiste una correlazione inversa tra sodiemia e
quindi emodiluizione e BNP). Il BNP di per sé potrebbe far aumentare la
concentrazione citosolica di Calcio (attivazione del GMP ciclico) e pertanto, in
presenza di concentrazioni extracellulari di calcio anche lievemente aumentate
potrebbe dare origine ad un overload citosolico di calcio che potrebbe esprimersi
in un allungamento del QT con aumentato rischio aritmogenico.
Il BNP inoltre diminuisce la attività del SERCA contribuendo alla diminuzione
del reuptake di Ca nel reticolo sarcoplasmico. Questo peggiorerebbe l’overload
citosolico di Calcio.Nella nostra casistica le morti improvvise si sono verificate
nei pazienti che presentavano classi Lown più alte, presenza di NSVT e valori di
QTc più alti. Questi dati fanno riflettere sull’ attenzione di correggere ove
possibile il QTc e comunque di non impiegare in dialisi farmaci che sono in
grado di allungare il QT, quali i macrolidi, i chinolonici, antiaritmici quali
sotalolo, flecainide ed amiodarone, cisapride, antidepressivi. Questi dati
preliminari e retrospettivi necessitano di uno studio prospettico che testi l’ipotesi
che le alterazioni del metabolismo calciofosforo siano responsabili di alterazioni
della ripolarizzazione ventricolare anche gravi ed inoltre rimane da stabilire se il
BNP possa avere un ruolo aggravante o scatenante le aritmie ventricolari e
41
proponiamo un suo routinario monitoraggio insieme a quello del tratto QT per
cercare di prevenire la morte improvvisa in questi pazienti.
ABSTRACT
Patients in peritoneal dialysis very often show elongation of the QTc interval.
This can carry an arrhythmogenic risk that can be worsened by ischaemia or by
electrolitic abnormalities.
We have measured the duration of the QTc interval and recorded a 24 h ECG
Holter in 79 patients in peritoneal dialysis and we correlated the duration of
QTc and the arrthymias with plasma levels of Ca++, PO4--, PTH, K+, Na+ and
Mg++.
Qtc was calculated on 12 leads surface ECG with the Bazzetts formula.
Mean QTc duration in dialyzed patients was 0.445+0.04 sec. 55 patients showed
a long QTc (>0.45 sec).
PTH was 344+25 pg/ml, Ca++ 9.27+0.11 mg/dl, PO4-- 5.5+1,5 mg/dl, Na+
139,6+ 3,4 mMol, K+ 4.04+0.64 mMol/L,. Mg 2.52+043 mg/dl.
We found at 24 h ECG Holter supraventricular arrhytmias in 38 patients,
complex premature ventricular contractions in 44 patients, monomorphic
premature ventricular contractions in 16 patients, NSVT in 10 patients.
We also found the following statistically significant positive correlations: QTc /
P r= 0.045 p<0.05,QTc / PTH r= 0.077 p<0.02, QTc / Ca r= 0.076 p<0.02.
5 patients had a sudden death and their QTc was 465+ 0,03 msec, 11 patients
belonged to Lown class 4a or 4b and their QTc was 465+0,02 msec, 10 patients
showed NSVT and their QTc was 464+0,03 msec. The 5 sudden death patients
showed a NSTV and belonged to Lown class 4.
42
QTc is prolonged in the majority of patients with peritoneal dialysis. The QTc
value is correlated with the plasma levels of PTH, PO4—and Ca++. To our
knowledge this is the first study to eamine the relationship between phosphorus
and arrthymias in peritoneal dialysis patients.
The role of hyperparathyroidism and elevated levels of calcium and phosphates
in the prolongation of QTc and in the alterations of ventricular repolarization has
to be established with perspective studies.
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