atti del congresso “diritti umani e riforma della giustizia per gli stati uniti d'europa”
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INDICE
“Atti: Diritti Umani e Riforma della Giustizia per gli Stati Uniti d’Europa;
IV Congresso Associazione Radicale Legalità e Trasparenza”
Prefazione di Domenico Letizia…………………………………………………pag. 1
Saluti dall’Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata…………………………...pag. 2
I valori europei, I diritti umani; i dimenticati……………………………………pag. 3
Edilizia penitenziaria, ripensare la reclusione…………………………………...pag. 6
Relazione sulle barriere architettoniche nel comune di Maddaloni (Caserta)…...pag. 9
I rimedi dopo la sentenza Torreggiani: risarcimento, svuota carceri, riduzione dei casi
di applicazione di custodia cautelare in carcere…………………………………pag.11
Riflessioni sul conflitto Israelopalestinese …………………………………...pag. 16
L’esperienza di formazione nell’IPM di Airola…………………………………pag.18
Prefazione
Anche quest’anno nelle difficoltà generali ha avuto luogo il nostro IV Congresso
Radicale di Caserta con la tematica dei “Diritti Umani e Riforma della Giustizia per
gli Stati Uniti d’Europa”. Come da prassi radicale e libertaria abbiamo stabilito con
assoluta urgenza la diffusione dei diritti umani intesi come necessità prioritaria per
l’avanzata in senso liberaldemocratico delle nostre istituzioni sempre più assuefatte
dai populismi e dalle varie demagogie. La tutela per i diritti umani resta una
prerogativa che dal continente Europeo, e particolarmente dal Mediterraneo, guarda
all’intero globo costatando che le nostre democrazie come il sogno di una patria
Europea sembrano allontanarsi dalle proposte e dalle agende politiche delle varie
sovranità nazionali. Voglio far mie le parole dell’avvocato canadese David Matas,
premio Nobel per la pace nel 2010 per il suo lavoro relativo alle indagini dei crimini
collegati ai trapianti di organi umani contro i praticanti del Falun Gong in Cina: “Il
lavoro sui diritti umani nel lungo periodo è difficile per una vasta gamma di motivi. I
responsabili delle violazioni sono impermeabili al cambiamento. A volte, quando
parlo di diritti umani internazionali, mi chiedo se qualcuno stia ascoltando.
Naturalmente, le vittime ascoltano. Mostrare loro che non sono sole, che altri si
uniscono nella solidarietà e preoccupazione, vale la pena farlo solo per questo.
Spesso la parte peggiore che una vittima deve sopportare è la sofferenza mentale, il
senso di isolamento, il fatto che a nessun altro importi. Il lavoro sui diritti umani
sono parole che altri ascoltano. Tuttavia, anche se questo accade, ma solo le vittime
ricevono il messaggio, non è sufficiente. Alleviare le sofferenze delle vittime con la
solidarietà non cambia il comportamento dei responsabili delle violazioni. Quasi
altrettanto importante come il trasmettere il messaggio alle vittime è trasmetterlo
all'opinione pubblica. I responsabili, ovviamente, non si preoccupano delle loro
vittime, altrimenti non le avrebbero rese tali. Però si preoccupano dell'opinione
pubblica. Persino la peggiore dittatura, al fine di mantenere il potere, ha bisogno di
qualche supporto al di là dei complici diretti. L'impatto sull'opinione pubblica
corrode il sostegno o la tolleranza necessari affinché i regimi repressivi mantengano
il potere. L'opinione pubblica che conta di più è quella all'estero. I responsabili
possono reprimere il proprio popolo ma non possono reprimere l'intero pianeta. Le
uniche voci che non possono controllare sono le voci straniere”. Diritti Umani e
Conoscenza saranno le problematiche da affrontare nell’immediato presente e nel
prossimo futuro se la priorità resta una società libertaria e libera di poter agire,
comprendere e tollerare.
Domenico Letizia
Segretario Associazione Radicale “Legalità e Trasparenza” di Caserta
Saluti dall’ Ambasciatore Terzi
"Ringrazio gli organizzatori per l'onore di poter rivolgere un cordiale saluto alle
Autorità presenti e a partecipanti a questo importante incontro su Diritti Umani e
riforma della Giustizia per gli Stati Uniti d'Europa.
La definizione del tema dà subito un segnale di assoluta centralità al ruolo che la
promozione dei Diritti Umani, l'affermazione della Legalità, la realizzazione di una
Giustizia degne dello Stato di Diritto devono avere nel percorso dell'integrazione
europea.
Solo il forte consolidamento dei valori propri alla cultura e alla tradizione europea
può sorreggere e alimentare l'ideale federalista degli Stati Uniti d'Europa. Incertezze
o distrazioni delle politiche europee su questo terreno non potrebbero che rallentare il
cammino, appannare la credibilità dell'intero progetto europeo, diminuire la grande
capacità di attrazione che l'Unione esercita sui Paesi partner, frenare le significative
leve di cui essa dispone per allargare la diffusione dei valori positivi propri allo Stato
di Diritto.
E' quindi per motivi propri alle dinamiche dell'integrazione europea e dei partenariati,
in particolare di quello Mediterraneo, oltre che per un’irrinunciabile identità
valoriale, che l'Italia pone al centro della sua politica estera ed europea i diritti
dell'uomo, la giustizia, la lotta alla corruzione, la trasparenza e la corretta gestione
della cosa pubblica.
Sul piano comunitario abbiamo insistito affinché' la Politica estera e di sicurezza
europea si dotasse di linee guida e di strumenti che leghino sempre più strettamente ai
Diritti Umani l'azione politica e di sviluppo dell'Unione. Si può forse trascurare che le
Primavere Arabe sono state mosse più di ogni altra cosa, come ha notato Bernard
Lewis, dall'inarrestabile esigenza di Giustizia? Si può accettare che i rapporti
economici con alcuni grandi violatori dei diritti umani e della legalità internazionale
prevalgano sulla pressante, continua azione in sostegno dei diritti dell'uomo, della sua
dignità e della libertà?
In questa direzione sarà certamente importante ascoltare il contributo di Esmail
Mohades, autore di una assai pregevole storia dell'Iran. Anche a Lui, come a Voi
tutti, va il mio augurio di successo per questa iniziativa."
Giulio Terzi di Sant’Agata
I valori europei, I diritti umani; i dimenticati
Emsail Mohades (Consiglio della Resistenza Iraniana)
Viviamo in tempo di crisi, non c’è dubbio. Con riferimento a fenomeni economici,
sociali e politici - come riporta l’enciclopedia Treccani - la parola crisi è un termine
per indicare uno squilibrio traumatico. Uno stato più o meno permanente di
disorganicità, di mancanza di uniformità e corrispondenza tra valori e modi di vita.
Guardiamoci un po’ intorno, lo squilibrio trabocca da ogni foro ed è palpabile. La
crisi invade tutta l’Europa, l’Italia, il nostro quartiere. La crisi è l’ospite permanente
dell’anima dell’uomo del 21° secolo.
Nel 1941 quando sembrava ancora che vincessero le forze dell’Asse, tre illuminate
menti di antifascisti italiani scrissero al confino il Manifesto di Ventotene, che
prevedeva la nascita degli Stati Uniti d’Europa e poneva le basi dell’attuale Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea. Altiero Spinelli ed i suoi compagni
previdero la caduta dei poteri totalitari e l’avvento di una nuova era in cui si
sarebbero realizzati i diritti e le libertà degli individui e dei popoli, gli ordinamenti
democratici e l’autodeterminazione dei popoli. Salim al-Juburi, eletto l’altro giorno
alla presidenza del parlamento iracheno, a febbraio proprio a Bruxelles in qualità di
presidente della Commissione dei Diritti Umani del parlamento iracheno, all’Europa
dichiarava: “noi abbiamo chiesto aiuti dalla comunità internazionale ma abbiamo
ricevuto solo vacue parole”.
La crisi brucia letteralmente tutto il Medio Oriente. Attanaglia il mio popolo in Iran,
produce 200.000 morti in Siria, lacera l’Iraq e incendia un’ennesima guerra tra
israeliani e palestinesi. Non andiamo altrove, per stare al tema del congresso
rimaniamo in Europa e ci affacciamo in Medio Oriente. Da dove arriva la crisi, dove
ci porterà?
Che cosa è successo al mio popolo, l’antico popolo persiano che, dopo un secolo di
lotta per la democrazia, oggi viene governato dal più oscurantista dei regimi? Un
regime teocratico e sanguinario con cui l’Occidente cerca di trovare l’accordo.
L’Europa chiudendo tutti e due gli occhi ha fatto e fa gli affari con il regime
dittatoriale iraniano. Fino a qualche anno fa, negli incontri col regime, si parlava, in
punta di piedi, anche dei diritti umani in Iran. Nell’ultimo decennio i diritti umani
sono spariti del tutto dal protocollo degli incontri. In qualche modo l’Occidente e
l’Europa in perenne crisi economica avevano dato credito alle urla del regime di
considerare le sue barbarie come leggi islamiche. Certo poi gli esperti e i mass media
occidentali si sono mostrati più zelanti, più audaci e più ciechi ed hanno valutato la
guerra del Medio Oriente come una guerra di religione, tra sciiti e sunniti, tra
maroniti e salafiti etc.; cosicché tutto l’Occidente s’è perso definitivamente nei
meandri alquanto tortuosi di questa terra bruciata che è il Medio Oriente. S’inganna
chi vuole essere ingannato! Ora gli stati europei nel solco degli Stati Uniti d’America
perseguono nel Medio Oriente una sola politica: non irritare la Repubblica islamica.
Come non capire che l’appetito di questo innaturale regime vorace aumenta
mangiando. La conseguenza di questa scellerata politica è sotto gli occhi di tutti. Con
tanti saluti, naturalmente ai valori umani. A furia di tollerare ogni tipo di violazione
dei diritti umani, l’Europa ha perso del tutto la sua autorevolezza che derivava dalla
sua storia e soprattutto dalla sua elaborazione e applicazione dei diritti.
L’inconsistenza di Catherine Ashton e prima di lei di Javier Solana e il loro
inginocchiamento penoso di fronte ad un regime che è stato condannato 60° volte dai
vari organismi dell’ONU per la violazione dei diritti umani è il risultato di una
politica estera che è a livello di un commesso viaggiatore, dettata da Eni, Totale,
Shell, e dalle altre sorelle. Vi assicuro che non sto semplificando. Questa Europa non
ha indugiato a incatenare l’opposizione al regime dittatoriale e teocratico iraniano,
quando questo nel 2001 le ha chiesto di inserire il movimento della Resistenza
Iraniana nella lista dei gruppi terroristici. L’Europa con quella decisione perversa ha
rinnegato la sua storia e ha relegato i diritti naturali dell’uomo nel cestino.
Quanto valgono i diritti umani nel mondo di oggi? Di quali diritti e di quali uomini
parliamo? Andiamo più a fondo! Quanto vale la salute del nostro pianeta e dei suoi
abitanti? A chi importa dei diritti dei lavoratori e dei salariati, e dell’esercito dei
disoccupati, anche qui in Europa? Perché non livellare i diritti dei lavoratori europei a
livello di quelli cinesi o albanesi? Vedete che non si tratta di violazione dei diritti. Si
tratta di negarli del tutto. Si tratta di dimenticare e di mettere da parte gli uomini e
perfino il nostro pianeta, e usarli strumentalmente.
Oggi vi potevo fare una drammatica relazione piena di numeri sulla situazione dei
diritti umani in Iran. Vi potevo portare la testimonianza di migliaia di persone che
hanno subito inimmaginabili torture, sistematiche nel regime al potere in Iran, il più
osannato della storia dall’Occidente. Non vi dirò dello stupro sistematico nelle carceri
iraniane dei prigionieri politici, donne e uomini, avrete letto la relazione di Ahmad
Shaheed. Sarebbe servito a qualche cosa? Non siamo forse vaccinati abbastanza,
quando ogni mattina, appena aperti gli occhi, sentiamo di guerre e di morti? C’è
ancora la possibilità di immaginare esseri umani in carne e ossa, quei 200.000 siriani
massacrati dalla ferocia di Assad sostenuto palesemente da Khamenei e
dall’indifferenza indicibile di Obama? I genocidi di decine di migliaia di persone in
Ruanda, a Srebrenica non hanno forse schiacciato e buttato via per sempre la nostra
coscienza? Il tragico massacro a Gaza non è un diversivo sulla delicata situazione
dell’Iraq, pedina fondamentale per la teocrazia iraniana, visto che la balla dell’Isis
non ha retto? Come facciamo noi ad affrontare tutta questa mole di problemi se per
risolverli in prima linea abbiamo queste istituzioni, e questi uomini politici che nei
sondaggi di fiducia difficilmente conquistano il 5%? Eppure io non sono per niente
pessimista, anzi ho ottimismo da vendere. Da molti anni ho fatto anch’io quello che i
medici chiamano il giuramento di Ippocrate; insomma ho giurato a me stesso di
essere degno di chiamarmi uomo e non lasciare il mio destino in mani insicure. Io ci
sono!
Edilizia penitenziaria, ripensare la reclusione
Domenico Alessandro De Rossi (Lega Italiana per i Diritti dell’Uomo)
Quando parliamo di “Giustizia” non dimentichiamo che essa si esercita (anche)
all’interno di strutture edilizie che si chiamano carceri. A seconda di come queste
sono costruite, gestite e mantenute verifichiamo nello stesso tempo la qualità e
l’efficienza del servizio-giustizia.
Non tutti sanno che l’attuale patrimonio edilizio penitenziario italiano è costituito da
un 20% di edifici realizzati tra il 1200 e il 1500 (praticamente tra il Medioevo e il
Rinascimento!); da un 60% costruito tra il 1600 e il 1800; e solo il rimanente 20% è
stato realizzato successivamente. Questi dati aprono scenari inquietanti se
consideriamo anche il “valore” storico di questi edifici, la loro qualità architettonico-
ambientale e la loro effettiva, quanto tragicamente bassa corrispondenza funzionale a
quelle che dovrebbero essere le finalità di una pena rispettosa dei diritti umani e
conforme al dettato costituzionale che, al terzo comma dell’art. 27, fissa il principio
di umanizzazione della pena: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari
al senso di umanità”. La Costituzione con questo articolo ha inteso bandire ogni
trattamento disumano e crudele che non sia inscindibilmente connesso alla restrizione
della libertà personale.
Edilizia penitenziaria dunque: manufatti spesso di qualità, abbandonati a fronte di un
inevitabile e progressivo degrado, assolutamente inadatti ad ospitare la funzione
penitenziaria ad essi attribuita nel tempo passato. Quasi l’ottanta per cento di queste
costruzioni risale a edifici realizzati oltre duecento anni fa. Castelli medioevali
trasformati in penitenziari, conventi ed antichi edifici, spesso presenti nei centri
storici delle nostre città, forzatamente destinati alla detenzione; complessi edilizi
presenti su molti dei territori delle nostre isole più belle destinati ad avvilire, con la
loro funzione inadatta, ambienti naturalistici di grandissimo pregio. A parte l’enorme
costo che comporta la manutenzione di questi edifici, lo spreco ambientale e la
difficoltà di un reale collegamento funzionale col territorio, sussiste di fatto una
strutturale incompatibilità con le nuove concezioni della funzione e con la finalità
della pena. Funzione e finalità che, alla luce della normativa vigente, nel rispetto dei
diritti dell’individuo e delle esigenze di un corretto recupero riabilitativo del
detenuto, debbono trovare quelle attrezzature, spazi, ambienti e dotazioni che
consentano a chi è detenuto un’effettiva reintegrazione, un miglioramento
comportamentale e, se del caso, una concreta occasione per imparare un lavoro.
Nonostante i ripetuti appelli del Presidente Giorgio Napolitano, le sanzioni della
Corte Europea e le tante proteste che provengono da quella parte della società più
sensibile, emerge con tutta chiarezza l’incapacità di saper rispondere con criteri
innovativi alla domanda di nuovi modelli funzionali nella concezione del carcere.
Questa incapacità è il prodotto di un intricato complesso di competenze, di poteri
consolidati, di inadeguatezze culturali di saper compiere scelte innovative anche in
questo campo. Si preferisce il più comodo mantenimento dello status quo con ciò
consolidando, oltre gli altissimi costi umani per le condizioni di rassegnazione in
ambienti non idonei per i detenuti, anche pesanti oneri destinati alla manutenzione
per la quotidiana gestione dell’impianto carcerario, con bassissimi rendimenti
funzionali in termini di qualità. Rinunciando irresponsabilmente alla sicurezza per
coloro che scontano la pena, da un lato, e per coloro che lavorano all’interno delle
carceri, dall’altro. Si pensi ad esempio al gravissimo problema delle misure
antincendio, collegato alla mancanza di ambienti protetti o alle scale di sicurezza; si
pensi al fattore della funzionalità destinata alla componente impiantistica, molto
carente quando se non addirittura inesistente. Si pensi ad esempio all’uso
irresponsabile di bombolette a gas usate nelle celle dai detenuti per preparare cibi o
talvolta per inalare.
Tali problematiche di cui poco o nulla si parla, perché spesso nella questione
dell’edilizia carceraria all’interno del Dap controllore e controllato coincidono anche
per ciò che riguarda il rispetto della normativa antincendio, interessano non solo
coloro che sono nelle carceri per scontare la pena ma interessano molto da vicino
anche tutte quelle figure che per motivi di lavoro vivono nelle carceri condividendo
disagi, pericoli, rischi e responsabilità di altissimo livello. Interventi determinati in
una nuova cultura della pianificazione, se non scoraggiati dalla burocrazia, se ben
governate da un Centro decisore e da efficienti e qualificati apparati dello Stato,
eventualmente sostenuti dall’intervento privato nei modi e nelle forme tutte da
studiare, possono rappresentare oggi una grande opportunità per la futura soluzione
strategica del problema penitenziario, del sovraffollamento, della stessa qualità degli
edifici e degli ambienti destinati alla detenzione.
La complessità delle problematica destinata alla costruzione di nuovi moderni istituti,
unita allo stato attuale del patrimonio penitenziario esistente e alle scelte che
riguardano in generale il “piano carceri”, evidenziano la necessità di organizzare un
Centro di coordinamento (possibilmente) interdisciplinare in grado di sovrintendere,
pianificare, modulare e indirizzare secondo il contributo sistemico delle diverse
specifiche competenze, tutti gli interventi all’interno di un quadro unitario di
riferimento. L’urgenza di soluzioni per l’oggi non deve escludere programmi e scelte
più coraggiose per il domani. Il compito del “Soccorso azzurro” per la detenzione,
problematica della quale da molti anni mi occupo come responsabile del settore per la
Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, intende svolgere in questo campo il doppio ruolo
di evidenza critica e di contributo di idee per soluzioni alle quali l’Amministrazione
penitenziaria può guardare con interesse. Mai dimenticando in tale impegno che se la
detenzione ha uno scopo deve sussistere il principio che la vera cura per la
riabilitazione è il lavoro. Ci auguriamo che le prossime misure che tratteranno la
sicurezza e il recupero del detenuto diano spazio a tutta una serie di provvedimenti
finalizzati a trovare situazioni di lavoro dignitose alle persone in carcere. Non per un
fatto di buonismo o per un malcelato rispetto al politicamente corretto. No, proprio
perché va sempre più aumentando la domanda di sicurezza dentro e fuori le carceri,
per usare meglio le poche risorse a disposizione, occorrerà trovare effettive
opportunità di lavoro alla persona detenuta che sia disposta a mettersi in gioco. Solo
questo può garantire la migliore sicurezza permanente che lo Stato possa dare. Ormai
è dimostrato che ogniqualvolta si è riusciti a trovare delle risposte lavorative serie nei
confronti delle persone detenute, esse non sono più tornate in carcere.
Concludo domandando quanto costerà allo Stato e alla sicurezza sociale tenere in
carcere una persona, per poi metterla fuori in condizioni peggiori di quando è entrata.
Noi saremo vigili attenti sospingendo lo Stato a rispettare se stesso e la propria Carta
costituzionale.
Relazione sulle barriere architettoniche nel comune di Maddaloni (Caserta)
Fortunato Materazzo (Movimento CambiaMenti)
Gentile presidenza, gentili relatori, vi ringrazio della possibilità di poter presentare
oggi la nostra iniziativa riguardante la problematica delle barriere architettoniche nel
Comune di Maddaloni.
Sono Fortunato Materazzo, attivista del Movimento di liberi cittadini, CambiaMenti,
un movimento apartitico che ha al centro della propria attività sociale gli interessi
della cittadinanza attiva e il ripristino della legalità nei nostri territori.
Da alcuni mesi, ci stiamo interessando alla condizione particolare dei cittadini
disabili presenti nel territorio maddalonese, soprattutto cercando di verificare se sia
garantita loro la completa accessibilità ai servizi e alle strutture essenziali della nostra
quotidianità.
A tal proposito, anche grazie alla collaborazione di Domenico Letizia, abbiamo
cominciato un lavoro di analisi e monitoraggio relativamente alla presenza di barriere
architettoniche in varie strutture fondamentali della nostra città, che costituiscono un
ostacolo alla piena fruizione dei più fondamentali servizi primari da parte dei nostri
concittadini: in particolare ci siamo focalizzati su scuole, l’ospedale e l’Asl, fermate
autobus, stazione ferroviaria, chiese, e anche poste e farmacie.
Il quadro delineato dalla nostra indagine è purtroppo alquanto negativo: tranne alcune
eccezioni virtuose, ciò che abbiamo rilevato è la sistematica violazione dei più
basilari diritti civili dei diversamente abili maddalonesi, nonché il totale disprezzo per
i regolamenti legislativi riguardante la materia da parte delle nostre istituzioni
comunali.
Nei prossimi mesi, il Movimento Cambiamenti ha quindi intenzione di creare di un
evento specifico, nel Comune di Maddaloni, in cui verrà trasmessa la video-inchiesta
(risultato del lavoro di indagine di questi mesi), accompagnata da un successivo
dibattito; tuttavia, accanto alla pur fondamentale diffusione della problematica
vorremmo affiancare la proposta, attraverso la denuncia presso gli enti competenti. A
tal proposito, conosciamo il lavoro dell’Associazione Luca Coscioni, che da sempre
si batte anche per il ripristino delle norme per l’accesso ai luoghi pubblici per i
cittadini portatori di disabilità, così come conosciamo la sensibilità del movimento
politico radicale nell’intraprendere vertenze su tali problematiche.
Vogliamo per questo approfittare dell’opportunità che l’Associazione Legalità e
Trasparenza Radicali Caserta ci ha gentilmente fornito oggi, per chiedere il sostegno,
il consiglio e l’appoggio del movimento radicale e delle associazioni per la tutela dei
diritti umani oggi presenti. Chiediamo di poter intraprendere un percorso comune per
il ripristino dei una vita dignitosa dei cittadini diversamente abili nel nostro comune.
Salutiamo con gratitudine l’invito al IV Congresso dei radicali Caserta e speriamo
possa essere la prima tappa per una futura azione comune.
Nel ringraziare i presenti per l’ascolto, prego chiunque voglia restare informato sul
procedere dei nostri lavori di rilasciarci i propri contatti.
In conclusione, qualche nostro contatto:
Potete trovarci su Facebook: basta digitare ‘cambiamenti Maddaloni’ nel campo di
ricerca;
Oppure, scriverci al nostro indirizzo mail cambiamentimaddaloni@gmail.com
Ringrazio tutti per l’attenzione.
I rimedi dopo la sentenza Torreggiani: risarcimento, svuota carceri, riduzione
dei casi di applicazione di custodia cautelare in carcere.
Vincenzo Guida (Avvocato e Responsabile PD di Caserta)
La drammaticità della situazione delle carceri è nota, è un tema lungamente dibattuto,
approfondito. Le ispezioni presso gli istituti penitenziari hanno consentito di
apprendere i numeri del sovraffollamento.
Una situazione che da tempo ha certificato la contrarietà all’art. 27 della
Costituzione.
Se la pena deve tendere “alla rieducazione del condannato” e prima ancora “non può
consistere in un trattamento contrario al senso dell’umanità”, in Italia vi è stata una
generale violazione di questo principio.
Ed è singolare che questa situazione dovesse essere portata alla ribalta dalla sentenza
“Torreggiani”, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, poiché l’intera
problematica era conosciuta da tutti.
Con la sentenza in questione abbiamo assistito ad un intervento forte e decisivo
dell’Europa nelle vicende interne.
Espressione di un condizionamento e di un vincolo esercitato dalle norme del diritto
comunitario. Questa pronuncia, oltre a produrre un effetto pratico sulla legislazione
penitenziaria e sul codice di procedura penale, con la presa d’atto della emergenza
carceri, ha avuto a anche un effetto, di natura sociologica, sull’opinione pubblica.
Si è passati da una fase in cui si inneggiava al carcere come rimedio, una situazione
di eccessivo giustizialismo, ad una nuova epoca, in cui vi sono dei timidi accenni ad
una maggiore comprensione, con la presa di coscienza che il carcere non è la
soluzione.
Pure perché le condizioni attuali sono quelle descritte dai numeri della popolazione
carceraria, dati allarmanti, che diventavano ancor più preoccupanti se si verifica quale
è la percentuale di soggetti tossicodipendenti, se si accerta il numero degli stranieri, ci
si rende conto che “solo il carcere” non può essere la soluzione.
Poi vi sono le condizioni dei casi specifici: carcere di S. Maria C.V., Carcere di
Secondigliano e Poggioreale, solo per citare degli esempi.
Presso la struttura penitenziaria di S. Maria C.V. ogni anno, d’estate, si ripropone il
problema della mancanza di acqua. I detenuti di Secondigliano, di recente, hanno
stilato un documento dove mettono in evidenza una serie di aspetti negativi, come ad
esempio il vitto scadente, le problematiche legate ai colloqui con i familiari. La
situazione di Poggioreale pure è nota ed è stata portata alla ribalta mediante dossier
dei giornali.
***
La sentenza “Torreggiani” (Corte Europea dei diritti dell’Uomo – Cedu 08/01/2013)
La pronuncia in questione ha origine dalla presentazione di 7 ricorsi da parte di
altrettanti detenuti contro l’Italia ai sensi dell’art. 34 della Convenzione per la
Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali.
Le condizioni denunciate riguardavano lo spazio personale nelle celle pari a 3 metri
quadri, la mancanza di acqua, di luce.
Tra i ricorsi portati all’attenzione della CEDU vi era anche il caso di un detenuto che
si era visto riconoscere dal Magistrato di Sorveglianza di Lecce il risarcimento.
Provvedimento anomalo ma confermato dalla Corte di Cassazione Penale, poiché il
ricorso della Procura della Repubblica era stato dichiarato inammissibile, in quanto
depositato fuori termine.
Nella sentenza “Torreggiani” si prende atto che in Italia c’era e c’è una situazione
emergenziale, perché lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri nel gennaio 2010
lo aveva decretato. C’era stato un “Piano Carceri” cioè una ipotesi progettuale per la
costruzione di nuove strutture.
Sempre nel 2010 vi era stata la prima legge c.d. “Sfolla Carceri” la n° 199/10.
Queste norme consentivano di espiare una pena detentiva, anche se parte residua di
maggior pena, non superiore a 12 mesi presso il domicilio. Una norma dal carattere
transitorio, legata alla emergenza carceri, che avrebbe dovuto avere termine nel 2013.
Con il D.L. 211/11 il termine viene innalzato a 18 mesi.
La sentenza “Torreggiani” detta le linee al nostro paese, sotto forma di
raccomandazioni, da seguire per incidere sul sistema normativo e cercare di ridurre il
fenomeno del sovraffollamento.
Un primo passo per la CEDU dovrebbe essere la riduzione del ricorso alla custodia
cautelare. Per altro già nel 2005 la CEDU aveva sanzionato, nella causa Sardinas vs
Italia, il nostro Paese per la eccessiva durata della custodia cautelare. La CEDU
richiama la necessità di applicare un sistema di misure alternative che sia concreto e
dunque effettivo. Descrive, poi, quelle che dovrebbero essere le condizioni del
carcere richiamando implicitamente degli interventi strutturali per far sì che ogni
cella sia occupata dal singolo detenuto, separazione tra detenuti in custodia cautelare
e definitivi, distinzione tra giovani ed anziani.
Una serie di misure, dunque, da attuare entro un anno, ipotizzando anche il rimedio
risarcitorio.
Sappiamo che l’Europa per il momento non ha applicato le preannunciate pesanti
sanzioni, tenendo la nostra nazione ancora sotto osservazione.
Prima di giungere alla previsione del rimedio risarcitorio, ci sono stati una serie di
interventi che hanno contribuito a far diminuire la popolazione carceraria.
A parte l’indulto del 2006 che è stato una misura temporanea e non ha contribuito a
risolvere il problema ma per certi versi lo ha aggravato, il primo provvedimento teso
a ridurre la popolazione carceraria è stato lo “svuota carceri”, cioè la legge 199/10
che prevedeva la possibilità di una detenzione domiciliare per chi avesse da scontare
una pena non superiore ai 12 mesi.
Previsione questa legge conteneva pure con riferimento ai soggetti tossicodipendenti
per la espiazione presso strutture per il recupero.
Con il Decreto Legge n°211/11 il limite di pena è stato innalzato a 18 mesi.
Questo provvedimento legislativo ha introdotto anche la possibilità in caso di arresto
in flagranza e successivo giudizio per direttissima di tenere l’arrestato a disposizione
del Pm e quindi del Giudice presso la caserma, evitando il passaggio per il carcere,
con una detenzione di 10 giorni.
Nel 2013, con il DL n° 78, abbiamo avuto il “decreto carceri” (conv. in legge 94/13)
che prevede l’applicazione della liberazione anticipata calcolata in anticipo, cioè in
sede di emissione dell’ordine di carcerazione.
Sono stati ampliati anche i casi di lavoro di pubblica utilità.
Sempre nel 2013, abbiamo avuto il D.L. n° 146/13, c.d. “svuota carceri”, con
l’introduzione di modifiche al sistema delle misura alternative e la previsione della
liberazione anticipata speciale, con uno sconto di pena di 75 giorni per ogni semestre
espiato. Previsto anche un meccanismo di tutela maggiore per il detenuto, con l’art.
35 bis legge n° 354/75, per ottenere provvedimenti che riguardano proprio le
condizioni delle detenzioni. Un aiuto è giunto anche dalla Corte Costituzionale, con
le dichiarazioni di illegittimità che hanno riguardato la recidiva, la obbligatorietà
delle misure della custodia cautelare in carcere. Così come un importante contributo è
giunto dalla Corte Costituzionale con la sentenza (n°32/14) che ha dichiarato
incostituzionale la legge “Fini-Giovanardi”, reintroducendo la distinzione tra droghe
leggeri e droghe pesanti.
Importante è stata anche la vicenda legislativa che ha riguardato il V comma dell’art.
73 del DPR 309/90 in materia di spaccio di droghe per fatti di lieve entità.
Il D.L. 143/2013 lo ha reso reato autonomo mentre la legge n° 79/14 ha ridotto il
trattamento sanzionatorio con impossibilità di applicare il carcere in questi casi.
La riforma della custodia cautelare, la legge n° 67/14 in materia di messa alla prova,
l’estensione generalizzata del braccialetto elettronico per gli arresti domiciliari, la
delega al Governo per la depenalizzazione ed un nuovo sistema delle pene sono
finalizzati al raggiungimento della riduzione del sovraffollamento.
Il decreto legge N° 92/14 ha introdotto delle disposizioni urgenti in materia di rimedi
risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in
violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea Per La Salvaguardia Dei Diritti
dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali.
A tal fine è stata introdotta la possibilità di ottenere un risarcimento pari ad euro 8,00
per ogni giorno di detenzione.
Tutti coloro che hanno subito un periodo di carcerazione, sia a titolo di custodia
cautelare sia per espiazione pena definitiva, possono ottenere questo risarcimento.
Il decreto in questione, però, presenta dei punti pochi chiari.
La prima osservazione è quella relativa alla procedura da seguire. Vale a dire il
detenuto o l’internato deve prima presentare reclamo ai sensi dell’art. 35 bis della
legge n° 354/1975 al Magistrato di Sorveglianza per far accertare l’inosservanza delle
condizioni “umane” del carcere, oppure l’istanza va presentata direttamente al
magistrato di sorveglianza per chiedere la liberazione anticipata o il rimedio
risarcitorio?
Pure perché il problema più ampio è quello relativo all’accertamento.
Vale a dire per il sol fatto che un soggetto è detenuto o è stato detenuto in un carcere
italiano, in virtù della sentenza c.d. “Torreggiani” sta subendo o ha subito un
trattamento contrario alla Convezione Europea oppure occorre fornire le prove?
Questa premessa iniziale è fondamentale.
Nel caso di soggetto detenuto, se l’istanza deve essere arricchita di taluni particolari,
per dimostrare di aver diritto alla liberazione anticipata o al risarcimento, l’aspetto
pratico è di facile soluzione. In quanto fino a quando si è detenuti il riscontro è facile.
Basta acquisire, da parte del Magistrato di Sorveglianza, presso la direzione del
carcere i dati necessari.
Di contro, ciò comporta un lavoro di istruttoria per il magistrato di sorveglianza
enorme.
Le componenti che determinano una carcerazione “inumana” non sono solo il
sovraffollamento, ma anche i metri quadrati a disposizione, l’acqua e tanti altri
aspetti. Per cui sarebbe stato opportuno specificare, in via preliminare, come si
determina se c’è stata la violazione. Se, dunque, è onere della parte richiedente
allegare le ragioni della domanda o sarà compito del Magistrato verificarlo. Ed
ancora: a monte deve esservi un reclamo ai sensi dell’art. 35 bis O.P. oppure si può
presentare direttamente l’istanza?
La questione diviene ancora più complicata per i soggetti che, alla data di entrata in
vigore del D.L., sono liberi e quindi hanno già sofferto il carcere. In questo caso
bisognerà dimostrare di essere stati detenuti e basta oppure bisognerà dimostrare di
aver subito, in concreto, una carcerazione inumana?
Il tutto poi è legato ad un termine, di 6 mesi, entro cui proporre la domanda.
Il rischio è quello di avere elaborato un provvedimento legislativo che, di fatto, non
ottemperi alle indicazioni della CEDU, con il pericolo che a questa Corte vengano
segnalate, nuovamente, le insufficiente dell’apparato normativo proposto.
Riflessioni sul conflitto Israelopalestinese
Giuseppe Ingrassia (Radicali Roma)
Facciamo un po’ di Storia, ad uso e consumo dei "nostri" pacifisti, sempre più
sensibili in modo "unilaterale". Anni 20: La Migrazione Ebraica in Terra di Palestina
nacque sia per il sentimento "Nazionale", guidato da un'Organizzazione chiamata
"ALYA BETH", che da Razzismo
Imperante in Europa. Nel 1933 Hitler prese il potere avviando una spietata caccia
all'Ebreo!
Nel 1934 Stalin ed il suo Regime Comunista, ebbero come "Progetto" quello di
mettere in una paludosa zona siberiana denominata "BIROBIDJAN", le varie
Comunità Ebraiche dell'URSS, In tutta Europa, come detto, sorsero partiti e
movimenti Fascisti e Nazisti che avevano ne loro Programma una forte
caratterizzazione Antisemita. Nel 1940 nella Francia Occupata, Petain, capo del
governo di Vichy, avviò una politica razzista ed antiebraica con arresti, deportazioni
e confische. Ciò però accallerò la Migrazione verso la cosiddetta "Terra Promessa", la
Palestina, tra proteste delle Autorità Inglesi e Allarme Arabo.
Tutto questo non impedì la vendita della Terra agli Ebrei, (terre spesso incolte e
sabbiose). Nelle quali essi avviarono la costruzione dei “KIBBUTZ”, cioè
insediamenti abitativi ed anche di difesa. Però vi fu anche un mutamento di rapporti
fra Autorità Britannica ed Ebrei, fra i quali molti giovani vennero arruolati ed inviati
in Nord Africa.
Si formò una Brigata che partecipò con Onore ed Atti di Eroismo alla Campagna
d'Italia, con l'VIIIa Armata Inglese. Nel dopoguerra l'ONU, ormai costituito, a causa
della guerriglia fra Ebrei e Arabi, Emanò una Risoluzione per la spartizione della
Palestina. Gli Inglesi lasciarono il suolo palestinese, mentre a Tel Aviv Ben Gurion,
Capo del Governo annunciò la nascita dello Stato d'Israele.
Questo avrebbe dovuto prefigurare l'Inizio della Collaborazione fra due Stati. In
verità lo Stato Palestinese non nacque per l'Opposizione di tutti gli Arabi, i quali
avevano, come obbiettivo la Guerra e la conseguente cancellazione di Israele. In
definitiva, e siamo arrivati ai nostri giorni, a mio parere, non è Israele il vero
"Nemico" dei Palestinesi, ma sono i "Finti" Amici Arabi, anche quelli che si
autodefiniscono "Moderati", ma che in realtà aiutano i tanti Kamikaze a compiere
Attentati, distogliendo l'Attenzione sulla loro Enorme Ricchezza a fronte della
Povertà Assoluta della popolazione. Un altro nemico dei Palestinesi e della Pace è il
Leader Iraniano Mahmoud Almadinejad che vuole la Cancellazione di Israele. Sua
una Agghiacciante frase: "Il Regime che sta a Gerusalemme va Cancellato anche
fisicamente dalla Storia
Bisognerebbe sedersi ad un tavolo e dialogare, al fine di trovare una Soluzione. Ma se
da un lato abbiamo Simon Peres, (un vero amante della pace), dall'altro il Leader
dell'ANP Abu Mazen, legato mani e piedi ai fanatici di Hamas, non ha la facoltà di
decidere! Così continuano i lanci dei Missili Katiuscia in Israele e la conseguente
reazione
Aerea a Gaza!
Credo che sarebbe ora di misurare il livello di "Livore Ideologico" di tanti Pacifinti,
vedovi è inutile nasconderlo, dell'URSS e della Guerra Fredda, e ora divenuti fervidi
sostenitori dell'Islam, Naturalmente, non per una questione puramente religiosa, ma
solo in funzione antiisraeliana e antioccidentale. La Pace, cari Pacifisti una Tantum,
la si ottiene con la vere volontà di costruirla.
La PACE al momento è UTOPIA!
L’esperienza di formazione nell’IPM di Airola
Giovanna Megna (Fondazione Angelo Affinita Onlus)
La Fondazione Angelo Affinita ONLUS ha sede ad Arpaia in Valle Caudina,
territorio di confine tra le province di Benevento e Caserta; è una fondazione di
impresa, nata nel 2010 con l’obiettivo di raccogliere l’eredità Angelo Affinita,
imprenditore campano, fondatore di un importante realtà aziendale (Gruppo Sapa),
migliorando l’efficacia delle iniziative filantropiche da lui portate avanti e rendendole
stabili nel tempo.
Quello di Angelo Affinita è uno degli esempi di successo del fare impresa in Italia,
partito nel 1970 con una piccola attività artigianale di famiglia, ha costruito nel tempo
un gruppo aziendale solido, che opera nel settore dello stampaggio e verniciatura di
materie plastiche per il settore automotive, ed è uno dei principali fornitori di
componenti in plastica del Gruppo FIAT Auto, SUZUKI e VOLKSWAGEN.
Angelo Affinita credeva molto nei giovani e nell’importanza di unire l’impegno nel
fare impresa con il fare sociale.
La Fondazione a lui dedicata promuove progetti di eccellenza, attraverso i quali
sostenere l’infanzia e far emergere le potenzialità di giovani in condizioni di
difficoltà economica e sociale, sia a livello locale che globale, con la reazione di
partnership di lunga durata con ONG internazionali e associazioni locali.
Oltre a proseguire nell’attività di sostegno all’ONG brasiliana Casa do Menor, dal
2012 l'attività della Fondazione si è allargata anche al territorio campano: il primo
progetto ha interessato l’Istituto penale minorile di Airola, con “CreAttiva”, un
progetto di formazione sulla lavorazione artistica della ceramica, che coinvolge circa
10 ragazzi ogni anno, in un percorso di riabilitazione che vuole contribuire ad
un’uscita definitiva dal circuito penale. La struttura detentiva di Airola è, dopo
Nisida, il secondo istituto minorile campano; dal 1978 ospita ragazzi in custodia
cautelare, nonché condannati provenienti da tutta la Campania, a cui si aggiungono
casi nazionali particolarmente difficili. Ha una sezione di semilibertà e
semidetenzione. La struttura è situata in un Palazzo Ducale settecentesco, sul corso
principale del paese; il teatro e la palestra sono utilizzati normalmente anche dagli
esterni, contribuendo all’integrazione con il territorio. I ragazzi ammessi al lavoro
esterno di solito trovano collocazione negli esercizi commerciali del centro.
L’ubicazione è strategica poiché situata al crocevia tra le Province di Benevento,
Caserta, Avellino e Napoli. La zona ha sofferto di un’atavica carenza d’infrastrutture
che, pur rappresentando una deprivazione per il territorio, ha determinato un
maggiore distacco dalle dinamiche criminali delle aree circostanti, favorendo le
attività di recupero realizzate dall’Istituto. L’I.P.M. è destinato ad ospitare circa 30
minori, ma a pieno regime arriva fino a 56 unità, con problemi di gestione del
sovraffollamento, aggravato da una grave carenza di organico, nonché ad una scarsità
di risorse. La posizione periferica, infatti, costituisce un limite ad accedere ai canali
di finanziamento che offrono i grandi centri urbani, e le strutture più conosciute che
invece godono di maggiore visibilità. L’I.P.M. può contare, pertanto, principalmente
sull’intervento di associazioni o soggetti privati del territorio, territorio che,
certamente non gode di una situazione socio-economica florida.
Il progetto “CreAttiva”, finanziato dalla Fondazione Affinita, è nato nell’ottica di
riscoperta di antichi mestieri artigianali del distretto della ceramica (San Lorenzello-
Cerreto Sannita).
La fase iniziale ha riguardato in un primo momento il ripristino dei locali destinati al
laboratori, mentre nel 2013, con una raccolta di fondi proprio dei dipendenti del
Gruppo Sapa, è stato acquistato un nuovo forno per la cottura dei lavori realizzati dai
ragazzi.
I primi due anni sono serviti per testare la metodologia, la struttura, le potenzialità e
la risposta dei ragazzi: in considerazione del livello di scolarizzazione dei
partecipanti, è stata adotta una metodologia incentrata prevalentemente
sull’apprendimento pratico della varie tecniche di lavorazione, trasferendo, di volta in
volta, anche nozioni teoriche su materiali, attrezzature e tempi di lavorazione. Il
laboratorio è stato condotto da un maestro ceramista di una ditta artigiana con attività
pluriennale del settore di riferimento, specializzata in ceramiche artistiche della
tradizione cerretese-san lorenzello; il trainer ha, inoltre, una consolidata esperienza in
corsi tenuti in precedenza con minori a rischio. La risposta dei ragazzi è stata molto
positiva, con una presenza costante alle lezioni; inoltre, la manipolazione della
materia, la creazione dal nulla un oggetto finito, ha un valore fortemente simbolico,
che stimola la creatività. È inoltre un lavoro che richiede precisione e grande
pazienza, doti che un adolescente con un particolare vissuto, come un giovane
detenuto, deve imparare ad acquisire col tempo.
In questi anni l’aspetto più problematico è stato quello legato alla continuità: spesso
la formazione si è interrotta per fine pena, applicazione di misure alternative,
possibilità di lavoro esterno oppure per il passaggio ad una struttura detentiva per
adulti. L’obiettivo per il futuro, pertanto, è di aprire un laboratorio anche all’esterno
dell’istituto, in modo da poter continuare nella formazione iniziata all’interno e
coinvolgere anche altre figure, con l’obiettivo di far nascere una vera e propria
attività d’impresa sociale. Il settore dell’artigianato, infatti, può fornire ai soggetti in
condizioni di disagio (giovani detenuti, ma anche disabili, immigrati, disoccupati)
una prospettiva di reinserimento sociale e lavorativo, a condizione che si adegui agli
standard di qualità richiesti dal mercato, non limitandosi alla produzione di oggetti
tradizionali e sfruttando, al contempo, moderni strumenti imprenditoriali.
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