comunicazione scientifica a scuola

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Incontro con gli insegnanti di scienze - Celebrazione dei 10 anni del Life Learning Center di Bologna, autunno 2010.

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Fuori dalle accademie e dentro la società:

la scuola come prima agorà scientifica

elisabetta tola

Un po’ di storia

William Whewell

(1794 - 1866)

Joseph Norman Lockyer

1836 - 1920

Samuel Hubbard Scudder

1837 - 1911

Progetto Manhattan

1942 - 1945

John Ziman

1925 - 2005

«Credo che le caratteristiche della scienza post-accademica annullino le barriere tradizionali tra scienza e etica. (…)Con l’intensificarsi della competizione per i finanziamenti, le proposte di progetti di ricerca devono necessariamente essere sempre più specifiche in merito ai risultati attesi, incluse le ricadute più ampie sull’economia e la società. (…)Un’altra caratteristica della scienza post-accademica è che ormai il lavoro è il frutto di una collaborazione tra tanti gruppi e spesso tra tante istituzioni diverse. Dove e su chi ricadono, allora, le responsabilità etiche? (…)»

Science 4 December 1998: Vol. 282. no. 5395, pp. 1813 - 1814

Stephen Jay Gould

1942 - 2002

«Di tutto quello che mi mancherà, nel chiudere questa rubrica, sentirò più di tutto la mancanza di un'interazione continua con i miei lettori.

In fondo, non abbiamo forse condiviso 300 momenti di apprendimento reciproco?»

2002

Scienziati

Pubblico

Scienzacomunicazione

Background/contesto

Ultimo risultato Background/contesto

Ultimo risultato

ARTICOLO SCIENTIFICO ARTICOLO DIVULGATIVO

50% fiducia

=

empatia/capacità di ascolto

15-20% → competenza/expertise

15-20% → onestà/trasparenza

15-20% → dedizione/impegno

«Agli studenti si insegna che il miglior modo per indagare fenomeni e scoprire verità è l’osservazione oggettiva. Un particolare accento viene posto sulla neutralità e il distacco. (…)L’osservatore scientifico non partecipa mai alla realtà che osserva: è, appunto, solo uno spettatore. E il mondo che osserva è un luogo freddo e disinteressato, che non conosce stupore, compassione e senso di determinazione. (…)Non meraviglia che generazioni di bambini abbiano trovato l’esperienza dell’apprendimento sconfortante o alienante: da loro ci si aspetta proprio che abbandonino lo stupore, eliminino ogni passione, divengano disinteressati e assumano un ruolo di spettatori dell’esistenza. (…)La chiave del successo di un viaggio nel mondo della biosfera dipende dalla profondità del processo di ripartecipazione».

La civiltà dell’empatia, Mondadori ed., 2009

Jeremy Rifkin

13/08/12

Fuori dalle accademie e dentro la società:

la scuola come prima agorà scientifica

elisabetta tola

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Il concetto di scienza con cui ci relazioniamo oggi è nato a circa metà 800.

Questo signore è il primo ad avere inventato il termine scienziato riferito a qualcuno pagato per fare ricerca scientifica.

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Whewell è il primo anche a compilare una tassonomia delle discipline scientifiche.

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Nascono le prime accademie – la baas – 1831

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nascono le riviste scientifiche: nature (1839) fondata dal’astronomo britannico joseph norman lovkyer scopritore dell’elio

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Nasce in quel periodo anche science (1883) grazie al paleontologo americano samuel scudder.

Nello stesso periodo (1888) nasce anche national geographic.

L’interesse di portare la scienza al pubblico è dato dall’emergere della classe borghese che accompagna la rivoluzione industriale in europa e la conquista del west in america. Si avverte la necessità di uno sviluppo delle conoscenze scientifiche e della tecnologia.

La scienza accademica in questo periodo è quella della torre d’avorio, gli scienziati sono puri ricercatori dell’unica verità e il resto della società si accontenta della volgarizzazione scientifica, cioè della semplificazione e trasmissione della conoscenza per i fini applicativi.Lo sfondo filosofico è quello del positivismo.

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Nel ‘900 le cose cambiano un po’. la scienza diventa parte attiva nelle vicende belliche mondiali a partire dalla I guerra mondiale. Ma è con la II che la scienza conosce il peccato. Un’espressione coniata dal fisico robert oppenheimer, uno degli inventori della bomba atomica, che dopo l’esplosione della bomba su hiroshima ha commentato proprio così: i fisici hanno conosciuto il peccato. È di quegli anni la nascita della big science, qui rappresentata dal fisico italiano enrico fermi, che ha preso parte al progetto manhattan, la più grande impresa scientifica le cui sorti sono fortemente intrecciate con la politica e le vicende belliche.

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La citazione di john ziman

Nel dopoguerra inizia quindi una riflessione, promossa proprio dai fisici, sul ruolo sociale ed etico della scienza. È il fisico john ziman e coniare il termine di scienza post-accademica per indicare una scienza non più rinchiusa nella torre d’avorio ma fortemente interconnessa, sia per motivi politici che economici, con le vicende sociali.Leggiamo la citazione di Ziman. Dagli anni ’50 inizia quindi un lungo periodo di riflessione sul ruolo della scienza e sulle pratiche della ricerca.

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Oggi questa riflessione è tutt’altro che confinata alla fisica ma si estende a tutte le discipline e in primis alle bioscienze.

Un esempio è craig venter: lo scienziato che ha preso parte al consorzio pubblico per la sequenza del genoma umano, poi 3 anni prima ha messo pepe nella competizione fondando una azienda privata Celera genomics che arriva al risultato insieme al consorzio pubblico. L’evento è quasi più importante dal punto di vista politico e sociale che scientifico: conferenza stampa di Clinton e Blair, le due principali riviste che si accordano per uscire con i due risultati contemporaneamente, etc.

Più recentemente è saltato agli onori delle cronache per la notizia che avrebbe creato il primo organismo sintetico.

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Però la caratteristica di venter è di essere proprio uno scienziato imprenditore, come ama essere ritratto. Riesce a farsi dare molti finanziamenti anche grazie a una innata capacità di presenza mediatica.

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Un altro esempio di scienziato contemporaneo post-accademico è Stephen Jay

Gould, morto nel 2002. Paleontologo che insieme a Niels Eldredge ha messo a

punto la teoria degli equilibri punteggiati che completerebbe la visione

darwiniana dell’evoluzione.

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Gould ha fin dall’inizio della sua carriera scientifica svolto un ruolo importante nella comunicazione al pubblico, pubblicando ogni settimana un articolo divulgativo sulla rivista Natural History. Per Gould la comunicazione e l’attività scientifica formale non erano affatto più importanti e degne di attenzione della relazione e comunicazione con un pubblico di non esperti.

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Pochi mesi prima di morire, chiudendo la trentennale collaborazione con questa rivista, infatti Gould scrisse ai suoi lettori “FRASE”

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Amava talmente il rapporto con il pubblico da essere ben contento di essere rappresentato così nel mondo pop dei Simpsons, il cartone animato più visto in america.

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Dalla nascita della scienza accademica a oggi, il modello predominante di comunicazione scientifica è sempre stato quello della divulgazione verso il basso, il cosiddetto deficient model. Questo modello viene in realtà raforzato da un rapporto pubblicato dalla royal society britannica, a metà anni ’80, chiamato rapporto bodmer, che sostanzialmente indica la necessità di raforzare la difusione della cultura scientifica nella società attraverso molteplici iniziative, scolastiche e non. In questo periodo nasce dunque il movimento definito Public Understanding of science, PUS, che quindi continua a proporre come modalità predominante di comunicazione quella della divulgazione, della semplificazione, della mera traduzione delle conoscenze scientifiche a un pubblico di non esperti. Di fatto si rimane nell’ambito della volgarizzazione già sperimentata durante il positivismo.

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Tuttavia, numerosi studi di valutazione fat negli ultimi 30 anni dimostrano che questo modello di trasmissione della conoscenza non è efcace. Sta così prendendo forma una rifessione più complessa che punta a realizzazione una comunicazione ispirata a un modello diverso, nel quale la partecipazione e il coinvolgimento giocano un ruolo preminente. Si passa così dal PUS al PEST, il public engagement of science and technology, una teoria fortemente ispirata alla necessità di valorizzare l’entusiasmo, la curiosità, le domande e le richieste che vengono direttamente dai vari settori di pubblico. Si tratta di un modello che mette al centro la comunicazione a più vie, tra la comunità scientifica, non più percepita come monolitica ma multiforme, dove convivono interessi politici, economici, questioni etiche e sociali, con le varie componenti della società: i legislatori, la associazioni di vario ordine (pazienti di malati, per esempio, o associazioni ambientaliste), i consumatori, gli studenti, etc etc

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Facendo qualche esempio questo discorso è del tutto evidente: ciascuno dei grandi temi di discussione degli ultimi anni non ha solo una dimensione squisitamente scientifica ma implica molte altre dimensioni: quelle economiche, etiche, sociali, culturali, etc.

Cibi biotech

Questioni ambientali

Produzione dei farmaci

Fecondazione artificiale

Neuroscienze

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I contesti dove si comunica scienza sono, in sintesi, diversi:

la scuola che costituisce il primo e più importante approccio alla scienza per tutti noi

naturalmente i media dove la scienza non è più argomento solo delle pagine culturali ma spesso è al centro del dibattito pubblico (vedi esempi di cui sopra)

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E infine festival e i musei, che oggi a livello europeo conoscono un momento di grande rinascimento, con fortissime partecipazioni di pubblico

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Background/contesto

Ultimo risultato Background/contesto

Ultimo risultato

ARTICOLO SCIENTIFICO ARTICOLO DIVULGATIVO

Un primo elemento è avere ben chiara la diversa logica della comunicazione formale della scienza, cioè come sono costruiti gli articoli scientifici, rispetto agli articoli di informazione.

Nella retorica scientifica, si parte dalle conoscenze nel campo, e si costruisce tutto il percorso fino ad arrivare all’ultimo risultato. Questo non è molto dissimile da quanto avviene nella didattica classica. Per esempio, per arrivare a parlare della notizia della creazione della vita sintetica, cui abbiamo accennato prima, si parte dal Dna, che cos’è e a cosa serve, come si fa la sequenza, quali sono i metodi di modifica e infine si arriva a descrivere la composizione dell’organismo sintetico.

Nell’articolo informativo, così come in una mostra pensata per un festival o un museo, si parte invece dalla notizia: “è stata creata la vita artificiale”. Poi si va a spiegare nei dettagli allargando il discorso fino ad arrivare al Dna e alla sua storia.

Intuitivamente però capiamo che questo secondo approccio, anche se rischia di essere spesso incompleto, è quello che cattura di più la nostra attenzione. Questa intuizione è confermata dalla ricerca nel campo delle scienze cognitive: l’interesse verso il nuovo innesca attenzione, curiosità, cattura la nostra mente. Se la partenza è buona, poi è più facile proseguire e mantenere viva l’attenzione del nostro uditore.

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Un aiuto per fare questo collegamento ci viene dai media.

Si può usare un pezzetto del TG con l’intervista a craig venter (si trova su youtube) per introdurre la vita sintetica

Un articolo di giornale può darci lo spunto per parlare della fisiologia e delle problematiche connesse ai trapianti

Un frammento del film Gattaca ci aiuta a introdurre le questioni relative al controllo genetico di una popolazione, alle questioni etiche come a quelle biologiche.

CSI, e l’italiana RIS, costituiscono una delle risorse più ricche di esempi di usi e metodi di biologia molecolare. Il DNA profiling, il fingerprinting, l’uso di metodi biochimici… ci sono moltissimi esempi di applicazioni che possono introdurre un argomento in classe.

Poi ci sono i blog. In rete, queste conversazioni informali, soprattutto se sono scritti da autori certificati e noti, possono essere preziosissime come spunto per introdurre vari argomenti. Per esempio, Dario Bressanini su Le Scienze tiene un blog che parla di cucina, ma che di fatto dà moltissimi spunti e informazioni nel campo della chimica degli alimenti e della nutrizione.

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Per chi ama tenere comunque in mano un libro vero e proprio i saggi costituiscono un ottimo elemento di approfondimento di un argomento e contengono, oltre ai dati scientifici, anche le storie e gli aspetti sociali.

Spesso si possono isolare e consultare i singoli capitoli che diventano materiale di riferimento interessante e appassionante anche per gli studenti, per completare l’informazione strettamente didattica data in classe o sul libro di testo.

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Perché la comunicazione sia efficace non bastano naturalmente i materiali prodotti. È necessario che lavoriamo anche sul nostro modo di presentare le cose.

È ormai assodato, a livello di studi di percezione e di apprendimento, che il contenuto è probabilmente solo una minima parte di quello che attira e coinvolge un uditorio. Gli studi dello psicologo Albert Mehrabian, pubblicati nel 1972 e noti come legge di M., indicherebbero che il contenuto conta per non più del 7%. La stragrande attenzione del pubblico è legata al come quel contenuto viene veicolato.

Naturalmente non sono tutti d’accordo, e molti altri psicologi sostengono che il contenuto è essenziale e va quindi rivalutato.

Il punto fondamentale, per noi, è comunque che il contenuto da solo non ce la fa. Il modo in cui parliamo è perlomeno tanto importante quanto quello che diciamo.

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Non basta quindi essere molto preparati né naturalmente comunicativi.

Negli ultimi anni a livello cognitivo si studiano in modo particolare i meccanismi dell’empatia. È l’empatia infatti che si dimostra essere alla base delle maggior parte dei processi di comunicazione efficace. Non si tratta solo di tecnica, ma anche di disposizione.

L’empatia sta acquisendo una tale importanza, perfino negli studi economici, da aver dato a Jeremy Rifkin, economista e pensatore americano, lo spunto per un libro interamente dedicato alla Civiltà dell’empatia.

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