la povertà: una spoliazione necessaria
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La povertà: una spoliazione necessaria
Prima ancora di essere un servizio per i poveri,
la povertà evangelica è un valore in se stessa,
in quanto richiama la prima delle beatitudini
nell’imitazione di Cristo povero.
Il suo primo senso, infatti, è testimoniare Dio
come vera ricchezza del cuore umano...
La vita consacrata partecipa all’estrema povertà
abbracciata dal Signore
e vive il suo specifico ruolo
nel mistero salvifico della sua incarnazione
e della sua morte redentrice.
(Vita consecrata, 90)
«Essendo ricco, per voi si è fatto povero…»
La povertà accompagna come un filo rosso tutti i testi del NT,
dai Vangeli all’Apocalisse.
In Marco:
il mistero pasquale di Gesù (Mc 14,51-15,47),
il viaggio verso Gerusalemme (Mc 9,2-10,52);
l’insegnamento ai discepoli in due incontri.
In Paolo:
due testi significativi (2Cor 8, Fil 2)
2Cor 8,1-15
Raccolta di fondi per la comunità madre di Gerusalemme,
come segno di comunione e di condivisione tra le chiese.
2Cor 8,9: il fondamento teologico e spirituale
Conoscete infatti la grazia
del Signore nostro Gesù Cristo:
da ricco che era, si è fatto povero per voi,
perché voi diventaste ricchi
per mezzo della sua povertà.
Il Signore da ricco che era (ploúsios ōn)
si è fatto povero (eptōcheusen)
perché i Corinzi potessero arricchirsi (ploutēsēte)
grazie a quella sua povertà (ptōcheía).
Fil 2,5-11
[Cristo Gesù] 6essendo per natura Dio, non stimò un bene irrinunciabile
l’essere uguale a Dio, 7ma annichilì se stesso prendendo natura
di servo, diventando simile agli uomini; e apparso in forma u-
mana 8si umiliò facendosi obbediente fino alla morte e alla mor-
te in croce. 9Per questo Dio lo ha sopraesaltato ed insignito di
quel Nome che è superiore a ogni nome…
Il percorso dell’incarnazione di Gesù,
è un processo di spoliazione
che raggiunge il suo culmine nella morte di croce.
Paolo indica questo percorso a tutti i credenti,
invitandoli a custodire il dono dell’unità,
coltivando gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù.
La prima parte dell’inno (vv. 6-8)
l’abbassamento del Figlio tramite lo svuotamento,
La seconda parte (vv. 9-11) l’esaltazione del Figlio.
Al centro:
l’icona della morte di croce (v. 8).
La povertà assunta liberamente da Cristo:
eautòn ekénōsen (svuotamento)
etapeínōsen eautón (abbassamento)
Gesù si svuota dei diritti che la divinità gli garantisce (non
della divinità in sé), per assumere la via di chi non ha alcun
diritto, la via degli schiavi, facendo di quella condizione il
luogo di rivelazione della divinità.
La terminologia paolina della povertà
abbracciata da Cristo e indicata ai discepoli:
non è: peináō - l’indigenza di chi si trova nel bisogno ma
può sopravvivere,
è sì: ptōcheúō - la povertà in assoluto, la condizione di
chi è costretto a tendere le mani, a mendicare.
Il verbo opposto: ploutéō (insieme al sostantivo ploutós),
indica chi è ricco e ha molto di più del necessario;
tapeinóō - chi si china verso il suolo e si fa piccolo.
non ha una connotazione negativa,
esprime la serena e intenzionale scelta di non contare,
di non farsi valere,
di non reclamare né spazi né attenzione su di sé.
cf. i cosiddetti “canti” del servo sofferente di Isaia
(cf. Is 42,1-7; 49,1-6; 50,1-7; 52,13-53,12),
a Gesù tale situazione non viene imposta,
essa è il frutto di una scelta libera e attiva.
Il verbo opposto: hyperypsóō - elevare al più alto grado,
esaltare.
kenóō - la povertà di chi si svuota (soltanto in Paolo)
eautòn ekénōsen non ci sono altre attestazioni
il verbo opposto è plēróō, riempire, compiere.
La povertà abbracciata da Gesù:
la condizione di chi tende le mani,
di chi si china
di chi si svuota,
pur di condividere la condizione dell’uomo.
La povertà di Gesù: Mc 15,25-37
Mc 14,51-16,8: passione, morte e risurrezione di Gesù
Mc 14,51-52: un neanískos che fugge nudo
Riapparirà il «primo giorno dopo il sabato»,
vestito di bianco, con l’annuncio della risurrezione (Mc 16,1-8).
È la chiave per accedere al destino
che attende il Maestro e i discepoli,
anticipando la centralità della croce sul Golgota.
Neanískos: sintetizza la cristologia di Marco e la sequela:
la spoliazione è una tappa obbligata
che tocca sia i discepoli sia Gesù.
Un mistero di spoliazione
Al centro della sezione di Mc 14,51-16,8
la pericope 15,25-37
unita dalle tre indicazioni orarie
durante le quali Gesù resta esposto, spoglio, sulla croce:
l’ora terza (Mc 15,25),
l’ora sesta (Mc 15,33),
l’ora nona (Mc 15,34).
Solo Mc menziona l’ora terza.
Le sue indicazioni temporali (15,1.42)
scandiscono in tre brevi sequenze
la progressiva spoliazione umana e spirituale di Gesù.
L’ora terza (Mc 15,25-32). «era l’ora terza quando lo crocifissero».
Il verbo che unisce l’intero brano è stauróō.
i passanti insultano (v. 29),
i capi dei sacerdoti e gli scribi beffeggiano (v. 31),
i con-crocifissi riprovano (v. 32).
i discepoli - “grandi assenti”.
la desolazione provata da Gesù sul piano umano:
l’ora del fallimento pieno;
nessuna figura positiva,
nessuna condivisione,
nessun chiaro compimento delle Scritture.
tutto il mondo umano ha abbandonato
e respinto il Maestro.
L’ora sesta (Mc 15,33)
Le tre ore di tenebre precedono la morte:
la totale desolazione sperimentata dal Cristo.
Le tenebre: segno del giudizio divino (J. Schreiber)
su Gesù stesso
che si è assunto la condizione di peccato dell’uomo.
La notte esteriore è l’espressione della notte interiore:
Gesù viene privato di ogni minima comunione
con l’uomo e con la creazione.
Il restauratore della pace paradisiaca (Mc 1,12-13),
viene immerso nelle tenebre del caos originario
(fallimento totale del suo ministero).
L’ora nona (Mc 15,34-37)
Il vertice di tutta la narrazione della passione:
il grido di Gesù (v. 34),
il suo fraintendimento (vv. 35-36)
la sua morte (v. 37).
V. 34: «Gesù gridò con voce forte»;
V. 37: «Gesù dando un forte grido, spirò»
Lo sfondo della morte di Gesù in Mc:
l’assenza di segni “straordinari” visibili da Gesù e da
coloro che lo circondano (contrasta con eventi matteani)
(«la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si
aprirono e molti corpi … risuscitarono»: Mt 27,51-52)
Il grido di Gesù in Mc 15,34 (la prima menzione di Dio
nella passione). La ripetizione di ho Theós mou
sottolinea la forte esperienza di abbandono che Gesù
sente come “sua” (enkatélipès me) e l’incomprensione
con cui essa è vissuta.
Il grido sposta l’attenzione sul Padre: se l’ora terza aveva
dato rilievo al totale fallimento di Gesù sul piano umano e
se l’ora sesta, sotto il segno delle tenebre, aveva mostrato
il ritrarsi della stessa creazione che sembrava ripiombare
nel caos originario,
l’ora nona chiama in causa tutta la sfera divina,
mostrando come Gesù sia stato spogliato
anche della comunione con il Padre.
Al Getsemani Gesù si era rivolto al Padre con il titolo
di Abbà ho Pater (Mc 14,36),
in un atteggiamento filiale di confidenza e fiducia piena.
Sulla croce la preghiera di Gesù si muta in un “grido”,
nel quale egli esprime la forte esperienza di desolazione
il titolo è ho Theós mou.
Il contrasto tra le due preghiere in Mc
è più violento tramite l’aramaico (Abba ed Elōì):
le parole sembrano uscire dal cuore di Gesù.
L’esperienza dell’abbandono (enkataleípō)
si trova solo in Mt 27,46 e in Mc 15,34. Cf. NT: At 2,27.31; 2Cor 4,9; 2Tim 4,10.16; Eb 10,25; 13,5.
Il soggetto a cui il verbo si riferisce non è mai Dio.
Il grido del Golgota (Mt e Mc):
l’unica menzione in tutto il NT,
di Dio che abbandona.
Gesù aveva iniziato proclamando la buona novella
della vicinanza di Dio e della intimità con lui (Mc 1,14-15),
chiude ora la sua esistenza con un grido
che denuncia la sua assenza.
Dramma ulteriore: il fraintendimento dei presenti
Fraintendimento continuo:
davanti al sinedrio le false testimonianze giocano sul
fraintendimento della predicazione di Gesù (Mc 14,58);
la domanda che Pilato gli rivolge (Mc 15,2)
la farsa organizzata dai soldati (Mc 15,16-20) prendono
spunto da un fraintendimento della buona novella del
Maestro.
l’iscrizione affissa alla croce (Mc 15,26).
Cf. anche il contrasto tra l’esperienza di rivelazione nella
trasfigurazione (Mc 9,2-8) e questa esperienza di desolazione:
Gesù non è circondato né da Elia, né da Mosè, né dai discepoli
prediletti, ma da persone che lo insultano. Dall’alto nessuna
voce si fa sentire per esprimere un cenno di comunione da parte
di Dio.
La morte di Gesù:
la ripresa del forte grido indica la violenza dolorosa che
accompagna tale morte,
il verbo utilizzato per esprimere la fine (ek-pnéō) apre una
prospettiva positiva.
Una morte violenta potrebbe essere resa con apothnēskō,
(richiamo del sostantivo thánatos, morte,
cf. Mc 5,35; 9,26; 12,19.20.21.22),
Per descrivere la morte di Gesù Mc utilizza il verbo ekpnéō:
al posto di evocare la morte,
richiama il soffio della vita, il sostantivo pneúma.
Il grido con cui si chiude l’esistenza mortale di Gesù
diventa il soffio di vita che fa germogliare una nuova realtà.
Mc 15,25-37, messo al centro del mistero pasquale
enfatizza la progressiva spoliazione
a cui Gesù è stato sottoposto durante la sua crocifissione:
spoliazione da ogni comunione umana (Mc 15,25-32),
spoliazione da ogni comunione con il creato (Mc 15,33),
spoliazione da ogni comunione con Dio (Mc 15,34-37).
L’icona marciana del Gesù povero:
la spoliazione è un passaggio necessario,
ma non è fine a se stesso.
Dalla spoliazione alla fecondità
L’immagine del giovane che fugge nudo (Mc 14,51-52) anticipa
l’aggressione verso il Maestro di Galilea e l’abbandono di tutte
le figure in dialogo con lui.
Tre distinti gruppi:
le autorità religiose: con un processo sommario,
condannano Gesù (Mc 14,53-65);
i discepoli: nella figura di Pietro e di Giuda sono sospesi
tra la fuga, il rinnegamento e il tradimento (Mc 14,66-72);
le autorità romane (insieme ai soldati): trattano Gesù
come un condannato comune, spogliandolo delle vesti e
della dignità (Mc 15,1-24).
Dalla spoliazione piena e totale di Gesù,
si aprono tre significativi spiragli di speranza:
Mc 15,38-39: la professione di fede del centurione
ribadisce l’identità di Gesù e riscatta il gruppo delle
autorità romane;
Mc 15,40-41: le donne riempiono il vuoto lasciato dai
discepoli; non tutti hanno abbandonato il Maestro; le
discepole sono ancora presenti;
Mc 15,42-47: Giuseppe d’Arimatea riscatta le autorità
religiose (Sinedrio) e risponde alla domanda che aveva
caratterizzato il processo romano del Maestro.
Il Golgota si trasforma:
la storia può ricominciare da qui con germogli di speranza.
Il neanískos nella scena della risurrezione
Mc 14,51-52: si era dato alla fuga
Mc 16,1-8: ritorna, simbolo del riscatto operato dalla croce.
È segno della vittoria di Gesù sulla morte:
parole: «Non abbiate paura. Voi cercate Gesù, il
Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui [...] Andate a
dire ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in
Galilea: là voi lo vedrete, come ha promesso» (vv. 6-7),
posizione: «assiso alla destra» (v. 5);
abbigliamento: «vestito di una veste bianca» (v. 5);
tempo: «il primo giorno della settimana, di buon mattino,
appena spuntò il sole» (v. 1);
Egli è anche segno del riscatto di ogni discepolo
che si era ritrovato nudo (la fuga, l’abbandono, il tradimento)
davanti all’abissale mistero dell’amore gratuito di Cristo.
L’esperienza del discepolato riprende:
da dove è iniziata: «egli vi precede in Galilea»: v. 7;
con le stesse persone che Gesù aveva scelto:
«andate a dire ai discepoli e a Pietro»: v. 7;
senza ridimensionamento delle promesse originarie:
«lo vedrete, come ha promesso»: v. 7.
L’armonia delle origini è ricomposta La presenza del neanískos trasfigura il luogo del sepolcro,
le sue parole cambiano la percezione della storia.
La povertà abbracciata dal Maestro
e continuamente ribadita
lungo il ministero pubblico
come punto di passaggio obbligato,
non è fine a se stessa.
Essa è carica di quella fecondità
che si libera nella storia
e nella vita dei discepoli
solo grazie allo svuotamento
e all’umiliazione.
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