semeiotica e metodologia medica indice · 2016. 6. 20. · semeiotica e metodologia medica indice...
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SEMEIOTICA E METODOLOGIA MEDICA
Indice
Introduzione pag. 2
L'anamnesi ” 4
SEGNI E SINTOMI Dolore “ 6
Anoressia, nausea, vomito, rigurgito “ 14
aritmie “ 16
Coma “ 22
Disfagia “ 25
Dispnea “ 26
Febbre e distermie “ 27
Dita a bacchetta di tamburo “ 31
Edema “ 32
Shock “ 34
Sincope “ 35
SEMEIOTICA DEGLI APPARATI Semeiotica dell'apparato respiratorio e del mediastino “ 37
Semeiotica dell'apparato cardiaco “ 47
Semeiotica dei vasi arteriosi “ 59
Semeiotica dei vasi venosi “ 62
Semeiotica dell'apparato digerente “ 63
Semeiotica del sistema nervoso “ 67
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INTRODUZIONE AL CORSO DI SEMEIOTICA E
METODOLOGIA MEDICA
La semeiotica medica studia i segni ed i sintomi che permettono di iniziare
l’iter che conduce alla formulazione della diagnosi clinica di malattia. Essa fornisce
anche la metodologia per assemblare insieme segni e sintomi e formulare un
ventaglio di possibilità (diagnosi di malattia più probabile e diagnosi differenziale fra
le malattie che, come quasi sempre avviene, condividono sintomi e segni comuni).
Il metodo per giungere alla diagnosi è, quindi, quello di approcciare il paziente,
dapprima ascoltandolo per raccogliere ed organizzare i sintomi (anamnesi), poi
visitandolo per raccogliere i segni (esame obiettivo) e formulare, in base alla propria
conoscenza delle malattie, (studiate nelle patologie sistematiche) un elenco di
possibilità diagnostiche che condividano i sintomi ed i segni riscontrati (diagnosi
differenziale).
Questo procedimento, però, nel nostro corso, non può che essere rudimentale
perché, nell’attuale ordinamento didattico, l’insegnamento della semeiotica fa parte
delle materie pre-cliniche, e, come tale, si rivolge a studenti che non conoscono
ancora la nosografia delle malattie. Per questo motivo il corso, oltre che a definire
correttamente i segni ed i sintomi più importanti, non può che dare i rudimenti
metodologici che verranno poi ripresi ed affinati nello studio delle patologie
sistematiche, per essere poi definitivamente messi in pratica nei corsi di medicina
interna e di chirurgia generale. Il corso ha il compito di preparare l’allievo al
linguaggio ed al ragionamento usato dal medico. Per la prima volta egli sente parlare
in “linguaggio clinico” che è tipico del modo di pensare del clinico, abituato di
frequente a rimanere nell’incertezza diagnostica. Ad esempio si sentirà definire una
malattia a patogenesi “essenziale” o “idiopatica” termini utilizzati per indicare che la
patogenesi è sconosciuta, mentre al contrario una malattia è “secondaria a…” quando
la patogenesi dipende da processi noti. Lo studente che ha assimilato bene i concetti
che fanno parte del corpo dottrinale, sarà in seguito facilitato a recepire con una certa
facilità lo studio delle patologie sistematiche, perché ha imparato a conoscere il
linguaggio ed il ragionamento adoperato dalla clinica.
Durante l’assimilazione dei concetti deve essere sempre chiaro nella mente
dello studente che essi serviranno quando, affrontando lo studio delle malattie
(patologie sistematiche), sapranno ritrovarli e avranno modo di inserirli in un
contesto più organico.
Il corso è stato preparato con meticolosità, non solo nella selezione degli
argomenti ritenuti fondamentali, ma anche nel modo con cui essi sono stati esposti,
privilegiando la semplicità e la chiarezza.
Gli argomenti sono stati rivisti dai colleghi che insegnano le varie discipline
della patologia sistematica, per ottenere una “cerniera” con gli insegnamenti
successivi.
Una viva raccomandazione è quella di utilizzare l’internato obbligatorio per
mettere subito in pratica i concetti appresi nel corso, in particolare durante la raccolta
e la stesura dell’anamnesi e l’esecuzione dell’esame obiettivo, vera e propria palestra
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per lo studente, che gli permetterà di familiarizzare sia con le difficoltà di estrarre dal
racconto del paziente gli elementi utili e tradurli in terminologia clinica, sia con le
difficoltà nel rilievo dei segni. Si ricordi che la raccolta corretta dell’anamnesi e
l’esecuzione di un accurato esame obiettivo costituiscono i passi fondamentali
necessari per formulare in seguito la diagnosi e la diagnosi differenziale delle
malattie che condividono i segni ed i sintomi. La raccolta dell’anamnesi, non solo dal
paziente, ma anche dai suoi familiari, prevede capacità che si possono acquisire solo
con l’esperienza. Il linguaggio del paziente è semplice, spesso lacunoso, che può
sviare dai processi morbosi più importanti di cui è affetto. I sintomi dovranno essere
accuratamente rilevati e tradotti in linguaggio clinico. Il successivo studio delle
patologie sistematiche sarà meglio compreso dopo aver imparato a visitare
correttamente il paziente.
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L’ANAMNESI
L’anamnesi rappresenta quasi sempre il primo passo che apre l’incontro fra
medico e paziente. I vecchi clinici riferivano cha “la diagnosi accurata deriva da
un’anamnesi meticolosa” oppure che “la diagnosi si basa soprattutto sull’anamnesi”.
Nonostante il vertiginoso progresso tecnologico, è difficile oggi contestare la validità
di queste asserzioni per cui l’anamnesi rimane tuttora un caposaldo della visita al
paziente. Gran parte della cultura medica oggi disponibile è basata sui preziosi
patrimoni rappresentati dalle cartelle cliniche ospedaliere. La raccolta di una corretta
anamnesi rimane, quindi, un documento di enorme importanza per lo studio
dell’insorgenza della varie forme morbose. L’anamnesi vede la sua più completa
espressione istituzionale nella cartella clinica dei degenti nelle divisioni ospedaliere,
ma dovrebbe essere altrettanto adeguatamente raccolta da qualunque medico al di
fuori del contesto ospedaliero.
L’estensore di ogni anamnesi deve essere conscio del fatto che, oltre a
compilare un documento che servirà per la cura del paziente, sta trasmettendo ai
posteri un documento che può contenere notizie di grande importanza.
L’esperienza ha consigliato di ordinarla in settori, per renderne più semplice la
consultazione. I settori hanno fondamentalmente un ordine cronologico e vengono
divisi come segue:
1) anamnesi familiare
2) anamnesi personale fisiologica
3) anamnesi personale patologica remota
4) anamnesi personale patologica prossima
Anamnesi familiare. In essa vengono riportati gli eventi patologici più importanti di
cui hanno sofferto i componenti del nucleo familiare: il padre, la madre, fratelli e
sorelle. In caso di patologie con particolare familiarità patologica, l’esplorazione si
estende anche ai collaterali. Vengono indagate in particolare la presenza di particolari
patologie ereditarie frequenti, quali neoplasie, ipertensione arteriosa, diabete mellito,
cardio-vasculopatie ecc. e, in caso di decesso, le cause attribuite alla morte. (esempio:
padre iperteso, deceduto a 62 anni per ictus cerebrale. Madre vivente ed
apparentemente sana. Due fratelli ed una sorella in apparente buona salute).
Anamnesi personale fisiologica. Contiene lo sviluppo delle tappe
dell’accrescimento. Va particolarmente estesa nei pazienti giovani, in cui è più
probabile che la patologia in atto possa essere ricollegata ad eventi durante
l’accrescimento, mentre riveste scarso significato nelle persone anziane. Si inizia dal
parto, specificando il mese di vita intrauterina (se disponibile) in cui è avvenuto il
parto, ed il tipo (es.: nato a termine da parto eutocico (parto fisiologico), oppure parto
distocico (non regolare, con applicazione di forcipe), oppure da parto per taglio
cesareo. Si prosegue con lo sviluppo nei primi anni mediante la registrazione di
eventuali ritardi nella deambulazione, dentizione, fonazione (spesso abbreviati in
D.D.F.). In caso di normalità si riporta “DDF in epoca fisiologica”. Si prosegue poi
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con la scolarità, per evidenziare eventuali ritardi di sviluppo psichico. Molto
importanti sono le abitudini di vita, riferite in particolare:
- al fumo, di cui è bene riportare gli anni e il numero di sigarette,
- all’alcool di cui è bene specificare tipo di bevande alcoliche (vino, birra,
liquori) e quantità.
- all’attività fisica (vita sedentaria, attività fisica modesta o discreta)
Nel sesso femminile vengono registrati inoltre:
- l’epoca di comparsa del ciclo mestruale, il ritmo, la quantità e la durata del
flusso,
- il numero delle gravidanze con l’esito (eventuale presenza di aborti),
- l’epoca della menopausa.
Anamnesi personale patologica remota. Contiene tutti i processi morbosi sofferti
dal paziente prima dell’episodio morboso che conduce il paziente a rivolgersi al
medico. Devono essere descritti in modo sintetico se trattasi di episodi cui segue una
guarigione (esempio: tra le comuni malattie esantematiche ricorda il morbillo a 8 anni
e la varicella a 13 anni. E’ stato appendicectomizzato a 23 anni). Se, viceversa, si
tratta di malattie di una certa importanza o malattie croniche, quindi inguaribili, è
bene essere più circostanziati entrando nei particolari. Se il paziente è stato sottoposto
ad esami, è necessario farsi consegnare in visione la relativa documentazione, che
dovrà essere restituita. Se inoltre sono stati effettuati precedenti ricoveri ed il paziente
è stato così diligente da conservare fotocopie di cartelle cliniche o semplici referti di
dimissione contenenti la/le diagnosi e gli esami eseguiti, si ha a disposizione una
documentazione di grande importanza per ricostruire gli eventi morbosi nei dettagli e
riportarli in anamnesi. In caso di mancanza di documentazione di ricoveri, è sempre
bene riportare l’indisponibilità della documentazione affinché rimanga traccia dello
sforzo eseguito dall’estensore dell’anamnesi per la ricostruzione della storia clinica.
Anamnesi personale patologica prossima. Contiene la storia che il paziente
racconta e che lo porta a rivolgersi al medico. Essa deve essere dettagliata perché
permette di conoscere bene l’insorgenza (o il riacutizzarsi) dell’evento morboso. La
presenza e la tipologia di segni, come ad esempio la febbre, deve essere riportata con
accuratezza, cercando di descrivere bene la tipologia e la cronologia sull’insorgenza
di altri sintomi e segni. Deve essere riportata con correttezza di dettagli l’eventuale
terapia che il paziente assumeva (in caso di presenza di patologia cronica) o che ha
assunto nei giorni immediatamente precedenti l’inizio (o il riacutizzarsi) della
malattia. Questo aspetto è di particolare importanza in quanto sono numerosi gli
effetti collaterali dei farmaci. Devono pertanto essere riportati i nomi dei medicinali e
la corretta posologia (per es. Enapren compresse da 20 mg, 1 cp al mattino).
E’ da tener presente inoltre che la cartella clinica è un documento che ha
valore legale, e, come tale, deve essere compilato con grande accortezza, a
cominciare dall’anamnesi. E’ per questo motivo che vengono spesso utilizzate frasi
del tipo “il paziente riferisce che…”, “la moglie ha riferito che…”, il fratello
Giovanni riferisce che…”, trattandosi di notizie che possono anche non essere
necessariamente corrette e che potrebbero essere sottoposte a successiva verifica.
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IL DOLORE
DOLORE SOMATICO E VISCERALE
Presentano caratteristiche diverse che possono aiutare nel loro riconoscimento.
Dolore somatico: proviene da strutture innervate da nervi somatici (cute, muscoli,
articolazioni ecc.) e dai nervi frenici.
Dolore viscerale: proviene da strutture innervate da fibre viscerali, sia di tipo
simpatico che parasimpatico.
I due tipi di dolore non sono nettamente differenziabili, ma la conoscenza delle
diversità fra i due tipi, evidenziate nella tabella, può aiutare ad orientarsi nel loro
riconoscimento.
Caratteristiche dolore somatico dolore viscerale
Sede superficiale profonda
Localizzazione ben localizzabile mal localizzabile
Dimensione bidimensionale tridimensionale
Qualità trafittivo, puntorio sordo, ottuso, compressivo
Postura varia con la posizione desiderio di “piegarsi in due”
Distribuzione corrisponde alla sede
dell’impulso algogeno
si proietta anteriormente sulla linea
mediana
Riflessi rigidità muscolare riflessa estensione del riflesso viscerale a
visceri contigui
La proiezione del dolore in periferia segue la legge metamerica: il nervo
viscerale ed il nervo somatico che condividono lo stesso metamero di ingresso,
condividono grossolanamente lo stesso territorio doloroso (pag. 82).
Come già detto, nonostante le differenze fra i due tipi di dolore, non è sempre
agevole distinguere un dolore somatico da un dolore viscerale per il modo con cui la
sensazione algogena viene elaborata dalla corteccia cerebrale e proiettata in periferia.
Tale modalità non permette una distinzione netta fra le aree interessate. Se ad
esempio vi è una lesione del nervo somatico che interessa la porzione cutanea
dell’area precordiale, dove è presente il dolore, può non essere sempre netta la
sensazione della superficialità del dolore, e la sua bidimensionalità, per cui dovrà
sempre essere sospettata la sua possibile origine viscerale (cuore, aorta ecc.). Questo
è il motivo per cui, di fronte a un dolore precordiale, nel quale non è possibile
riconoscere una origine somatica certa (per es. la presenza di vescicole di herpes
zooster), è sempre bene eseguire un ECG per escludere una cardiopatia ischemica,
soprattutto se il soggetto non è più giovane.
Vi è un’altra peculiarità da sottolineare: vi sono alcuni casi in cui un metamero
veda l’ingresso di un nervo viscerale proveniente da un organo piuttosto lontano
dall’area superficiale innervata dal corrispondente nervo somatico. Questa
caratteristica permetterà di comprendere alcune condizioni nelle quali vi è una
dissociazione fra territorio di competenza somatica e viscerale. Ad esempio il dolore
cardiaco è veicolato dai nervi cardiaci, alcuni dei quali afferiscono a metameri
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toracici, ma altri a metameri cervicali (fig. pag. 65). Si comprende così come un
dolore evocato da un infarto cardiaco possa essere percepito anche (o addirittura
esclusivamente) a livello mandibolare per cui il soggetto è portato a pensare ad un
problema odontoiatrico(fig. pag. 67). Un altro esempio è rappresentato dal dolore
frenico: i nervi frenici, che innervano le due cupole diaframmatiche, entrano nei
metameri cervicali C3-C (pag. 61) per cui una lesione di una delle 2 cupole
diaframmatiche da una sintomatologia dolorosa che viene proiettata in alto (regione
acromiale e margine anteriore del trapezio), luogo lontano dalla sede anatomica del
diaframma.
CEFALEE
Si dividono in 2 grandi gruppi:
da causa non nota (cefalee primitive o essenziali o idiopatiche)
da causa nota (cefalee secondarie)
La diagnosi di cefalea primitiva è sempre una diagnosi di esclusione da una forma
secondaria.
Cefalee primitive.
La cefalea primitiva è molto frequente e colpisce circa il 15% della popolazione
generale. Si riconoscono 3 forme
1. Emicrania (frequenza elevata)
2. Cefalea a grappolo (Cluster headache) (la meno frequente delle 3)
3. Cefalea muscolo-tensiva (frequenza elevata)
Emicrania: dolore prevalentemente diurno, accessionale, ricorrente, pulsante, della
durata da alcune ore a 1-2 giorni, localizzato in un terzo dei casi ad una metà del
cranio (emi-crania), più frequente nel sesso femminile, dovuta a vasodilatazione delle
arterie (cefalea vasomotoria) (fig. pag.42).
Spesso è preceduta, o anche accompagnata, da un “aura”, cioè da disturbi
sensoriali il più delle volte di tipo visivo (scotomi scintillanti, fosfeni, riduzione
fugace del campo visivo, emianopsie), acustico (acufeni), olfattivo (disosmie,
iperosmie).
Si divide in: emicrania classica se preceduta da aura
emicrania comune se l’aura è assente
emicrania sine emicrania se vi è solo l’aura, non seguita da emicrania
Cefalea a grappolo (Cluster headache): il termine “grappolo” definisce uno spazio di
tempo in cui si raggruppano i singoli attacchi, i quali sono caratterizzati da dolori, più
frequenti nel sesso maschile, prevalentemente notturni, non pulsanti, di breve durata
(30-90 m’), ad insorgenza e scomparsa generalmente improvvise, di intensità elevata,
in zona retro-oculare o periorbitaria, raramente al collo o al braccio, monolaterali e
sempre dallo stesso lato. La durata del grappolo oscilla da 3-6 giorni a settimane, e gli
attacchi si verificano spesso alla stessa ora. A differenza dell’emicrania, coesistono
spesso fenomeni vegetativi locali come arrossamento congiuntivale, lacrimazione,
congestione nasale, seguita da rinorrea, fotofobia. Patogenesi: probabile
vasodilatazione arteriosa.
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Cefalea muscolo-tensiva è sostenuta da tensione dei muscoli del collo e della testa,
episodica o cronica, non pulsante, generalmente di intensità lieve o media (spesso
non impedisce le normali attività).
Cefalee secondarie
Da lesioni intracraniche
Da processi occupanti spazio (tumori cerebrali, ematomi sottodurali)
(possibili segni focali e/o da ipertensione endocranica)
Da alterazioni meningee (emorragie subaracnoidee, meningiti)
(presenza di rigidità nucale)
Da lesioni extracraniche
dell’occhio (glaucoma, uveite, cheratite)
dei seni paranasali (sinusite frontale, mascellare, etmoidale (fig. pag. 49)
dell’orecchio (otiti medie, mastoiditi)
dei denti (fig. pag. 50)
Di tipo nevralgico
Il dolore è fra i più acuti, fugacissimo (pochi secondi), violento, fulminante
Il più tipico e frequente è la nevralgia del trigemino, che interessa quasi sempre
solo la branca mascellare o la mandibolare, mentre risparmia la branca
oftalmica
Da patologie di interesse internistico
Da stati infettivi (batterici o virali)
Da farmaci (nitrati)
Da arterite temporale di Horton
Da alterazioni del rachide cervicale.
DOLORE TORACICO
Dolore somatico: pleura parietale e mediastinica (T1-T12), pleura diaframmatica
periferica (nervi spinali T8-T12) e cupola diaframmatica (n. frenici C3-C5); il dolore
è superficiale, ben localizzato ed influenzato dai movimenti respiratori e dai colpi di
tosse.
Cause di dolore toracico somatico: nevralgie intercostali, herpes zooster, fratture,
pleurodinie virali, spondiloartrosi, mediastiniti
Dolore viscerale: cuore, pericardio, grossi vasi, esofago; il dolore è retrosternale,
profondo, mal localizzabile.
Cause di dolore toracico viscerale: Infarto miocardico, angina pectoris, pericardite,
lesioni aortiche (es. aneurisma), embolia polmonare (distensione arteria polmonare),
lesini dell’esofago.
Strutture indolori: la parte periferica dell’albero bronchiale (polmone), pleura
viscerale (che ricopre il polmone)
Dolore diaframmatico con componente frenica (somatico): per processi morbosi
provenienti dalla periferia del diaframma (T8-T12) (fig. pag. 60) o dalla cupola
diaframmatica (C3-C5) (fig. pag. 61);
- versante toracico, (pleuriti, pericarditi)
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- versante addominale (per interessamento dei legamenti epatici e della capsula
glissoniana del fegato da parte di periepatiti, ascessi subfrenici, neoplasie del
fondo gastrico, ernia dello jatus)
- Il dolore proveniente dalla parte periferica del diaframma si localizza alla parte
inferiore del torace mentre quello proveniente dalla cupola viene riferito al collo e
alla spalla (fig. pag 80) perché il nervo frenico, dopo il percorso toracico, affiora a
livello del collo, nella fascia sovraclavicolare, davanti allo scaleno.
- Il dolore si accentua con il respiro, con la tosse ed è accompagnato spesso da
singhiozzo.
Dolore pleurico (somatico) per lesioni pleuriche primitive o secondarie a lesioni
polmonari (polmoniti, infarto, tumori, pneumotorace ecc)
Precordialgie: dolore localizzato sulla parte anteriore del torace sulla linea mediana,
al di dietro dello sterno (fig. pag. 68).
Precordialgie di origine cardiaca: angina pectoris, infarto miocardico, pericardite
acuta
Precordialgie di origine non cardiaca: aorta (aneurisma), polmoni (tumori, pleurite,
mediastinite), arteria polmonare (embolia polmonare), esofago (spasmo, diverticolo,
tumore, ulcera), sistema osteo-neuro-muscolare del rachide (sindromi da
compressione delle radici spinali da osteofitosi, mialgie ecc)
Dolore cardiaco: Le fibre nervose cardiache trasmettono gli stimoli algogeni ai gangli
toracici T1-T4 e cervicali C3-C8 (fig. pag. 65). Per tale motivo il dolore cardiaco può
essere riferito, oltre che sulla zona precordiale (fig. pag. 68), più frequentemente
retrosternale, anche al lato ulnare del braccio e avambraccio, quasi sempre sinistro
(C8-T1) (fig. pag. 66), ed alla mandibola (C3) per le connessione con il trigemino,
oltre alla regione posteriore del torace (fig. pag. 67). Da sottolineare la possibilità
che il dolore può anche non essere recepito (infarti muti, in particolare nel diabetico).
DOLORE ADDOMINALE
Dolore somatico: peritoneo parietale, parte periferica del diaframma, mesentere,
mesocolon, piccolo omento (fig. pag. 72) (nervi spinali T5-L1) e nervi frenici per la
parte superiore del diaframma (fig. pag. 80).
Dolore viscerale: stomaco, intestino, fegato, vie biliari, rene, ureteri, utero, vescica.
Vie simpatiche. Dai plessi viscerali di Auerbach e Meissner (fig. pag.79) si dipartono
le fibre viscerali che convogliano gli impulsi verso i plessi celiaci, ipogastrici e
pelvici (pag. 74)e da questi, nei gangli celiaco, mesenterico superiore ed inferiore
(fig. pag. 76). Da questi si dipartono i nervi splancnici grande, medio e piccolo) che
conducono gli impulsi nei gangli toracici paravertebrali e quindi nel midollo.
Vie vagali. Dallo stomaco le fibre decorrono verso l’alto nei 2 nervi vaghi anteriore e
posteriore che poi divengono destro e sinistro nei gangli giugulare e nodoso (fig pag
77). Lo somaco possiede anche l’innervazione simpatica.
Strutture indolori: peritoneo viscerale, grande omento, milza
Considerazioni con rilevanti riflessi clinici:
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- Proiezione mediana o laterale del dolore viscerale. Gli organi addominali
(stomaco duodeno, tenue, colon, appendice, colecisti e vie biliari, pancreas) hanno
una innervazione bilaterale. Rene ed ureteri viceversa sono innervati
separatamente. Per tali motivi il dolore viscerale dei primi si proietta sulla linea
mediana, mentre per il dolore del rene ed ureteri viene rispettata la monolateralità.
Quando il dolore viscerale è puro e l’innervazione dell’organo è bilaterale è
possibile schematizzare grossolanamente tre zone mediane (fig. pag. 84) nelle
quali ipotizzare l’organo di provenienza: per la zona A: stomaco, duodeno,
colecisti, pancreas; per la zona B: pancreas, tenue, valvola ileo-cecale, appendice;
per la zona C: colon ascendente, trasverso e discendente, sigma, retto, vescica,
utero, ovaio. Ciò indica che per uno stesso dolore esistono necessariamente
numerose ipotesi patogenetiche, che danno ragione del vecchio aforisma
“l’addome è la tomba del medico”.
- Sommazione del dolore viscerale e somatico. Se l’organo addominale coinvolge
nel processo patologico anche il peritoneo, (mesentere, mesocolon, piccolo
omento) che ha una innervazione somatica, (fig. pag. 60) il dolore acquista anche
le caratteristiche del dolore somatico: Esso diviene più localizzabile, trafittivo,
puntorio, compare la contrattura muscolare riflessa (riflesso viscero-motore di
“difesa” addominale), che prende il nome di “peritonismo”. Quando il fenomeno
si estende a tutto l’addome con compromissione del peritoneo parietale, si
configura il cosiddetto addome “a tavola”.
- Proiezione del dolore somatico in sede diversa. Il caso più frequente è
rappresentato dalla posizione della parte distale dell’appendice in zone distanti
dalla sede di origine: la necrosi dell’apice di un’appendice posizionata in alto, che
contrae rapporti di contiguità con il fegato o con lo stomaco, e che coinvolge
anche il peritoneo, evoca dolori in sede epatica, lontani dalla origine anatomica
dell’organo.
- Dolore modesto in situazioni cliniche rilevanti. La mancata innervazione del
grande omento può creare una dissociazione fra intensità del dolore e importanza
del quadro patologico. Un’appendice coperta dal grande omento può giungere alla
perforazione nonostante una scarsa sintomatologia dolorosa.
- Dolore addominale in affezioni toraciche: numerose affezioni della pleura e del
miocardio possono dare dolori a prevalente proiezione addominale
Dolore diaframmatico con componente frenica. (vedi stesso argomento del dolore
toracico)
Dolore esofageo. si avverte spesso sotto forma di bruciore (pirosi) per il frequente
rigurgito acido gastrico attraverso il cardias e si localizza nella parte mediana
corrispondente grossolanamente a T4-T5 per lesioni del 3° superiore, T6 per il 3°
medio e T7-T8 per il 3° inferiore (figg. pag. 82 e 88). I processi morbosi più
frequenti sono lo spasmo esofageo, lo spasmo cardiale, l’ernia dello jatus, l’esofagite
e i tumori. Si accompagna di frequente a deglutizione dolorosa (odinofagia)
Dolore gastrico: è variabile a seconda del processo morboso (spasmo, ulcera, tumore,
gastrite erosiva, stenosi del piloro). Le fibre entrano nei metameri da T6 a T10 (fig.
pag. 82).
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- Il dolore da spasmo è a crisi (da contrattura muscolare liscia) e la durata è molto
variabile.
- Il dolore da ulcera è più frequente al cambio delle stagioni (primavera ed
autunno), della durata di 15-30 giorni, prevalentemente diurno, e in rapporto ai
pasti (compare dopo 2-4 ore dal pasto e recede con l’assunzione di cibo per cui è
stato definito come dolore “da fame”). In caso di perforazione insorgono i sintomi
del peritonismo.
Dolore pancreatico: I processi morbosi più frequenti sono le pancreatiti acute in tutte
le varietà, che danno un dolore particolarmente intenso, continuo, insopportabile
(dramma pancreatico), spesso accompagnato a shock. Le fibre entrano nei metameri
da T5 a T11. Il dolore è localizzato in regione epigastrica e periombelicale ed è
tipicamente irradiato a sbarra posteriormente (fig. pag. 98). Può esservi
compartecipazione diaframmatica.
Dolore epatico: E’ spesso di tipo gravativo (senso di peso), diffuso a tutta l’area
epatica sia anteriormente che posteriormente e può comparire anche dopo una corsa,
soprattutto in soggetti non allenati. E’ un dolore somatico che fa capo:
- al nervo frenico destro per la porzione centrale della capsula di Glisson, con la
tipica irradiazione (dolore frenico)
- ai nervi intercostali T6-T9 per la porzione periferica (fig. pag. 82).
I processi morbosi più frequenti sono:
- fegato da stasi nello scompenso cardiaco destro
- epatite acuta nella sua fase iniziale
- periepatite
Dolore della colecisti e delle vie biliari: E’ a tipo di colica con intervalli in cui è
presente un senso di tensione. Mentre l’innervazione viscerale (n. splancnico) è
bilaterale, quella somatica, che interessa il peritoneo che ricopre le vie biliari, ed i
legamenti epato-duodenali, è solo destra. Ciò fa comprendere come la localizzazione
del dolore a destra è chiara solo quando il processo morboso si propaga alla
componente somatica del dolore (sierosa peritoneale)
I processi morbosi più frequenti sono:
- spasmi o distensione acuta da ostruzione del deflusso
- colecistite acuta da litiasi
- calcolosi ostruente i dotti /cistico, coledoco)
Dolenzie possono essere provocate anche a seguito di processi patologici non gravi:
una colelitiasi, (asintomatica per tutta la vita nella metà dei casi), un polipo o la
semplice bile spessa, possono produrre irritazione della mucosa ed essere responsabili
di spasmi riflessi.
Un particolare segno, caratteristico di processi acuti è il segno di Murphy: nel corso
di un atto respiratorio profondo l’evocazione di dolore produce un blocco
dell’escursione respiratoria.
Dolore splenico: deriva dalla partecipazione al processo morboso del peritoneo
parietale o del peduncolo vascolare della milza, in quanto sia l’organo splenico, sia il
peritoneo viscerale che lo avvolge, sia il grande omento non sono dotati di recettori
algogeni.
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Il peritoneo parietale contiguo alla milza viene innervato da radici T9-T11 (fig.
pag. 82), per cui il dolore è localizzato nell’ipocondrio sinistro e, in caso di
compartecipazione della cupola diaframmatica sinistra, anche di tipo frenico.
I processi morbosi più frequenti sono:
- infarto splenico
- perisplenite
- rottura della milza
- congestione splenica
Dolore renale: è un tipico dolore viscerale, senza componente somatica, molto
intenso, di tipo continuo, localizzato nella regione lombare, non irradiato. I metameri
di ingresso corrispondono a T10-T12.
I processi morbosi più frequenti sono:
- ascesso renale e/o perirenale
- infarto renale
- rottura del rene
- litiasi renale (è descritto nel dolore pielo-ureterale)
Dolore pielo-ureterale: sempre monolaterale, molto intenso, a tipo colica, con periodi
anche molto lunghi, tali da simulare un dolore continuo. E’ irradiato al fianco
corrispondente e poi anteriormente ed in basso fino al testicolo (pelvi renale, calici ed
ureteri condividono l’innervazione metamerica con il testicolo, avendo quest’ultimo
subito durante lo sviluppo la migrazione verso il basso). I metameri di ingresso sono
da T10 a L1. (fig. pag. 82 e pag. 114).
I processi morbosi più frequenti sono:
- litiasi pielo-ureterale
- pieliti
Concomitano spesso febbre di tipo settico, nausea, vomito, ematuria.
SINDROMI DOLOROSE RADICOLARI
Sono caratterizzate da dolore che si proietta prevalentemente agli arti superiori
ed inferiori, sulla superficie innervata dal nervo corrispondente al metamero sede del
processo morboso.
Vengono trattate le proiezioni dolorose delle più tipiche sindromi dolorose
radicolari, che, a causa della peculiare proiezione del dolore, offrono al medico la
possibilità di un facile orientamento sul metamero interessato, sul quale focalizzare le
indagini.
La particolare mobilità del tratto cervicale e lombare del rachide spiegano
perché la maggioranza delle sindromi dolorose radicolari si presentano in queste sedi
del rachide.
Il processo morboso che coinvolge la radice del nervo (da cui i termini di
sindromi radicolari o radicolalgie) comprimendo il punto di emergenza dal rachide
può essere di vari tipi, fra cui i più comuni sono
- processi osteofitici (di apposizione ossea)
- la protrusione del nucleo polposo del disco intervertebrale (ernia del disco)
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- lo scivolamento di una vertebra su quella sottostante con riduzione del foro
intervertebrale (fig. pag. 116).
Oltre al dolore, che è di tipo somatico, ben localizzabile e piuttosto intenso, la
sindrome nervosa compressiva produce: intorpidimento, formicolio, ipotonia dei
muscoli corrispondenti e diminuzione o abolizione dei riflessi dei muscoli
corrispondenti.
Sindrome della sesta radice cervicale (fig. pag. 117)
Sindrome della settima radice cervicale (fig. pag. 118)
Sindrome della ottava radice cervicale (fig. pag. 119)
Sindrome dello scaleno anteriore (ottava cervicale - prima toracica (fig. pag. 120)
Sindrome della quarta radice lombare (fig. pag. 121)
Sindrome della quinta radice lombare (fig. pag. 122)
Sindrome della prima radice sacrale (fig. pag. 123)
Sindrome della seconda radice sacrale (fig. pag. 124)
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ANORESSIA – NAUSEA – VOMITO – RIGURGITO
ANORESSIA – NAUSEA – VOMITO
Anoressia: mancanza di desiderio di assumere cibo
Nausea: sensazione di disgusto per i cibi
Vomito: emissione forzata di cibo dalla bocca, accompagnato a contrazioni
addominali e diaframmatiche, spesso preceduto da nausea. Nel conato di vomito
manca l’emissione di cibo, per mancato rilasciamento del cardias.
Sintomatologia frequentissima, ascrivibile alle più varie cause, che impegna il
medico nella ricerca di associazioni con altri sintomi e segni per formulare una
diagnosi corretta.
Cause: • viscerali
• tossiche
• centrali
• otovestibolari
Cause viscerali:
- tutte le flogosi acute dell’apparato digerente, fegato, pancreas e peritoneo.
- ostruzione intestinale
- scompenso cardiaco con fegato da stasi
- gravidanza
Cause tossiche:
- malattie febbrili
- insufficienza epatica, renale, surrenalica, chetoacidosi diabetica
Cause centrali:
- aumento della pressione intracranica
- eventi emotivi acuti (paura, dolore ecc)
In caso di aumento della pressione intracranica (emorragie cerebrali, tumori,
contusioni ecc.) il vomito può non essere preceduto da nausea ed è improvviso, “a
getto”.
Cause otovestibolari
Mal di mare, mal d’auto (cinetopatie)
Tipi di vomito: acquoso o mucoso (succo gastrico), alimentare, biliare, emorragico
(= ematemesi), fecaloide (da occlusione intestinale)
RIGURGITO: emissione di materiale alimentare non digerito, prodotto da una
violenta contrazione antiperistaltica della parete gastrica, senza le tipiche contrazioni
addominali e diaframmatiche che accompagnano il vomito. Se il materiale è acido
viene detto rigurgito acido. Cause di rigurgito sono:
• ernia dello jatus esofageo
• stenosi cicatriziali dell’esofago
• diverticoli esofagei
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A volte il reflusso gastro-esofageo (da disfunzione dello sfintere esofageo inferiore,
che produce frequentemente una esofagite da reflusso, responsabile di un dolore
urente epigastrico e/o retrosternale, detto pirosi), può dare rigurgito.
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ARITMIE
Rappresentano un disordine del normale ritmo cardiaco e possono essere
diagnosticate con la palpazione dei polsi, con l’ascoltazione del cuore o con le due
metodiche utilizzate contemporaneamente. Solo raramente vi può essere la cosiddetta
“dissociazione polso-cuore”, condizione in cui all’ascoltazione di un battito non
segue la percezione dell’onda sfigmica al polso a causa dell’inefficienza contrattile
del ventricolo sinistro.
Le più importanti aritmie sono le seguenti:
aritmia sinusale fasica;
extrasistoli (o battiti ectopici prematuri) atriali, nodali e ventricolari;
tachicardie parossistiche sopraventricolari o ventricolari;
fibrillazione e flutter atriali e ventricolari;
blocchi atrio-ventricolari.
Non sono invece da considerarsi a rigore disturbi del ritmo le alterazioni della
frequenza del ritmo cardiaco (tachicardie e bradicardie sinusali).
Tachicardia sinusale: aumento della frequenza del pace-maker del nodo seno-
atriale al di sopra dei 100 battiti/min. (fig. pag. 173). Le cause più frequenti sono: lo
sforzo fisico, la febbre, l’ipertiroidismo, l’ansia, lo scompenso cardiaco.
Bradicardia sinusale: (fig. pag. 173) diminuzione della frequenza al di sotto dei
60 battiti/min. Le cause più frequenti sono l’allenamento o le manovre di
stimolazione vagale (massaggio del seno carotideo, compressione dei bulbi oculari,
manovra di valsalva o torchio addominale eseguibile mediante espirazione forzata a
glottide chiusa).
Aritmia sinusale fasica: è fisiologica ed è caratterizzata dall’influenza del
tono simpatico e vagale che è ritmato dalle fasi del respiro; si ha un aumento della
frequenza cardiaca durante l’ispirazione per la prevalenza del simpatico ed una sua
diminuzione durante la espirazione, per la prevalenza del vago (fig. pag. 173). E’
particolarmente accentuata nella giovane età e si attenua con il progredire degli anni.
Viene abolita in caso di alterazioni del sistema nervoso vegetativo, come avviene, ad
esempio, nei soggetti diabetici da molti anni e con scarso controllo metabolico
(neuropatie vegetativa)
Extrasistoli o battiti ectopici prematuri atriali e nodali. Quando sono isolati
sono facilmente rilevabili al polso perché risulta netta la sensazione di rottura del
ritmo. La diagnosi corretta è possibile all’ECG dove si rileva una normalità del QRS
ed una onda P diversa da quella sinusale (fig. pag. 173). La pausa che segue non è
compensatoria perché il pace-maker sinusale viene “scaricato” dal battito ectopico ed
il ritmo riprende normalmente. (fig. sottostante).
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La sintomatologia è assente o si può avvertire “il salto di un battito”. Dal punto
di vista clinico, queste forme sono spesso benigne e non espressione di processi
patologici.
Extrasistoli o battiti ectopici prematuri ventricolari. Come per gli atriali e
nodali, è molto facile il loro riconoscimento al polso. L’ECG mostra: un tipico
allargamento del QRS, una scomparsa dell’onda P (perché l’attivazione inizia dal
ventricolo e la sua eventuale presenza segue il QRS (fig. pag. 174)) e la pausa è
compensatoria, perché il pace-maker sinusale non viene influenzato. In questo caso la
pausa è più lunga del caso precedente perché, nonostante il pace-maker atriale dia
l’impulso elettrico, questo non è seguito dalla contrazione meccanica, perché trova il
miocardio sia atriale che ventricolare in periodo refrattario (fig. sottostante).
Di frequente riscontro nei cardiopatici cronici è il “bigeminismo extrasistolico”
caratterizzato da un alternarsi di un battito normale ed uno prematuro. (fig. pag. 174).
Al contrario delle forme atriali e nodali, essi sono spesso espressioni di processi
patologici di diversa entità. Una particolarità clinicamente molto importante è
rappresentata dal fenomeno “R su T”. Esso è in relazione al momento di insorgenza
dell’impulso ectopico nei confronti della fase di ripolarizzazione cardiaca (Fig.
sottostante).
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Questa presenta dei momenti refrattari e dei momenti di grande vulnerabilità.
La caduta dell’impulso nella fase di vulnerabilità può innescare una fibrillazione
ventricolare, che può anche esitare in morte improvvisa. (fig 5 a pag 165).
Tachicardia parossistica sopraventricolare. E’ molto comune e fastidiosa,
ma non è quasi mai espressione di cardiopatie importanti. Insorge e recede
improvvisamente e questo elemento permette una diagnosi di sospetto. La
sintomatologia è caratterizzata da una sensazione di tachicardia, senso di stanchezza
e, raramente, senso di mancamento. Spesso, per la sua brevità, non permette altro che
una diagnosi di sospetto perché spesso sfugge alla rilevazione ECGrafica, (fig. pag.
174) non sempre disponibile all’atto dell’insorgenza. La diagnosi è spesso possibile
mediante monitoraggio dinamico Holter, che a volte può rilevare sequenze talmente
brevi (successione di poche sistoli di tachicardia parossistica) da non essere neanche
sintomatiche. La frequenza cardiaca è variabile e se inferiore a 130/min deve essere
posta la diagnosi differenziale nei confronti di una tachicardia sinusale. Ciò è
possibile mediante le manovre vagali (vedi bradicardia sinusale), in quanto la risposta
alle manovre segue la legge del tutto o nulla, mentre la tachicardia sinusale presenta
una risposta graduale. La terapia delle forme che non recedono alle manovre vagali è
farmacologica o chirurgica (ablazione trans-catetere con energia a radiofrequenza).
Tachicardia parossistica ventricolare. Al contrario della precedente, è
espressioni di grave sofferenza cardiaca e può essere seguite da flutter e fibrillazione
ventricolare e dare, quindi, morte improvvisa. Un paziente in tachicardia ventricolare
è considerato in grave pericolo, le contrazioni ventricolari hanno una frequenza
compresa fra 100 e 180 battiti/min e presentano all’ECG una morfologia diversa dal
normale QRS (fig. pag 174).
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Flutter atriale. E’ caratterizzato da una frequenza elevata di contrazioni atriali
(frequenza fra 200 e 370/min). Non tutti gli impulsi elettrici atriali sono condotti ai
ventricoli: la conduzione può essere fissa o variabile (2:1, 3:1, 4:1 a seconda che vi
sia rispettivamente una contrazione ventricolare ogni 2,3 o 4 contrazioni atriali). Se è
fissa (ad esempio sempre 2:1 o sempre 3:1), allora al polso o all’ascoltazione cardiaca
non si noterà alcuna aritmia. Se, al contrario, la conduzione è continuamente
variabile, si percepirà un’aritmia. All’ECG l’attività atriale si evidenzia con i
caratteristici “denti di sega” (fig. pag. 173). Le manovre vagali possono agire sulla
conduzione atrio-ventricolare e trasformare una conduzione 2:1 in una 3:1 o più. La
terapia del flutter atriale è di tipo farmacologico o elettrico (cardioversione o
ablazione transcatetere).
Fibrillazione atriale. E’ un’aritmia molto frequente (0,4% della popolazione
generale, il 3% della popolazione con età>60 anni) ed è caratterizzata da una
rapidissima successione di contrazioni atriali (onde fig. pag. 173), superiore a quella
del flutter atriale. In pratica l’atrio, sottoposto ad un fine tremolio, non svolge più
alcuna funzione emodinamica e diviene ricettacolo di coaguli (che possono essere
diagnosticati con l’ecografia trans-esofagea). I problemi clinici che insorgono nei
pazienti che sviluppano una fibrillazione atriale cronica sono principalmente correlati
all’aumento degli eventi trombo-embolici nei distretti arteriosi, in particolare
cerebrali, con esito in trombosi cerebrale (ictus cerebri). I riflessi emodinamici della
fibrillazione atriale sulla funzione sistolica del ventricolo sinistro sono modesti o
inesistenti.
Per i suddetti motivi alla diagnosi sospetta di fibrillazione atriale, confermata
con ECG segue ogni tentativo di ripristinare il ritmo sinusale, che sono tanto più
efficaci, quanto più precoce è la diagnosi. Questo è il motivo per cui oggi si tende a
fare ogni possibile tentativo per porre una diagnosi precoce. La sintomatologia è
muta. La diagnosi è quasi sempre fatta in occasione di una visita medica a seguito
della rilevazione di un’aritmia, al polso o all’ascoltazione cardiaca. L’aritmia è
completa, tanto che è stato anticamente coniato il termine di “anarchia cordis”. Tale
aritmia è dovuta al passaggio di solo alcuni dei numerosissimi impulsi atriali, ed in
modo totalmente imprevedibile e caotico. Dal momento che non vi è nessun’altra
aritmia così caratteristica, la diagnosi è agevole, purchè si esegua con accuratezza
l’esame del polso e l’ascoltazione cardiaca. La terapia si avvale di cardioversione
farmacologica e di terapia anti-coagulante.
Flutter ventricolare e fibrillazione ventricolare. Sono aritmie molto gravi
che spesso esitano nel decesso. Mentre nel flutter l’attività ventricolare è regolare sia
come frequenza che come morfologia delle onde (fig. pag. 175), la fibrillazione
ventricolare è caratterizzata da una attività ventricolare caotica con onde
assolutamente irregolari (fig. pag. 175). Inoltre, dal punto di vista emodinamico, la
fibrillazione ventricolare è assolutamente inefficace (come avviene per l’atrio durante
la fibrillazione atriale), per cui ha lo stesso effetto dell’arresto cardiaco. La presenza
di fibrillazione ventricolare è possibile solo se, durante il suo innesco, si sta
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eseguendo un tracciato ECGrafico. Infatti, dal punto di vista clinico, non è possibile
distinguere un arresto cardiaco da una fibrillazione ventricolare, essendo entrambe
caratterizzate da assenza di polso e di toni cardiaci all’ascoltazione.
Blocchi Atrio-ventricolari (BAV). La diagnosi è possibile solo
ECGraficamente, anche se, in alcuni di essi, può essere fortemente sospettata per le
aritmie che inducono.
Blocco AV di I° grado. La diagnosi è possibile solo mediante ECG che mette
in evidenza il ritardo della conduzione dall’atrio al ventricolo. Il tratto PQ (o PR se
non esiste la Q), che esprime detto tempo di conduzione, è aumentato e supera i 20
centesimi di secondo. Nel tracciato a velocità standard ogni quadratino è pari a 4
centesimi di secondo, per cui la diagnosi viene posta quando tra l’inizio della P e
quello del QRS vi è una distanza superiore a 5 quadratini (fig. pag. 176).
Blocco AV di II° grado. Si distinguono due tipi:
1) Nel tipo I di Mobitz con periodismo di Luciani-Wenckebach, si assiste ad un
progressivo allungamento del PQ (o PR) finché una P non è più seguita dal QRS,
dopo di che il ciclo riprende (fig. pag. 176). L’osservazione del polso o
l’ascoltazione del cuore mette in evidenza che, dopo un certo numero di sistoli
ritmiche, vi è il salto di una sistole.
2) Nel tipo II di Mobitz si assiste, rimanendo il PQ normale, ad un blocco della
conduzione atrio-ventricolare che, se avviene ogni 2 sistoli regolari, sarà 2:1, se
ogni 3, 3:1 e così via (fig. pag. 176). Anche in questo caso l’osservazione del
polso o l’ascoltazione del cuore mette in evidenza che, dopo un certo numero di
sistoli ritmiche, vi è il salto di una sistole.
Blocco AV di III° grado o blocco completo. Il sospetto diagnostico deriva dalla
rilevazione di una bradicardia, dovuta al ritmo idioventricolare, emergente dal
ventricolo che si sostituisce al pace-maker sinusale, essendo completamente
bloccata la via di conduzione atrio-ventricolare. La localizzazione ventricolare del
nuovo pace-maker può essere alta (hissiana) o bassa. Nel primo caso la
bradicardia sarà modesta (di circa 50/min), ed il soggetto sarà asintomatico mentre
nel secondo caso sarà più marcata (di circa 30/min) e possono insorgere
sensazioni di mancamento, fino alla sincope. L’ECG metterà in evidenza la
completa dissociazione fra le onde P e i complessi QRS. Le prime avranno una
frequenza normale, mentre i secondi mostreranno una bradicardia. Si documenterà
la perdita completa dei rapporti temporali fra onde P e QRS (fig. pag. 176)
L’insorgenza di un blocco di III° grado può avvenire in modo asintomatico se
il nuovo pace-maker ventricolare è rapido nella sua funzione vicariante; se al
contrario vi è un minimo ritardo si può avere da una sensazione di mancamento
fino alla sincope, o, in casi rari, la morte improvvisa. Questi episodi prendono il
nome di “Sindrome di Morgagni-Adams-Stokes” o più semplicemente “sindrome
di MAS”. La perdita di coscienza avviene dopo 7-17 secondi dall’inizio
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dell’asistolia e, se l’asistolia permane, dopo 20-45 secondi compaiono le
convulsioni (che si distinguono da quelle epilettiche, generalmente precedute da
aura).
Ogni sindrome lipotimica o sincopale, insorgente improvvisamente in persone
anziane in pieno benessere, deve sempre far sospettare una possibile sindrome di
MAS e mettere in pratica gli accorgimenti del caso (ECG, Holter).
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COMA
Stato di sopore profondo con perdita della coscienza, parziale (stato
semicomatoso) o totale (stato comatoso), della motilità volontaria e della sensibilità.
Permangono le funzioni vegetative in modo più o meno completo.
Dal momento che è sempre molto difficile orientarsi, soprattutto se non vi sono
notizie anamnestiche, è di notevole importanza clinica utilizzare una classificazione
che permette un primo rapido orientamento:
1) coma con rigidità nucale
2) coma con segni neurologici focali
3) coma senza rigidità nucale e senza segni neurologici focali
Coma con rigidità nucale. Questo segno indica una irritazione meningea e le cause
più frequenti sono l’emorragia subaracnoidea (causa vascolare), e la meningite o
meningo-encefalite (causa infettiva).
Coma con segni neurologici focali: la presenza di essi (vedi semeiotica del sistema
nervoso) fa orientare verso una eziologia cerebrale di tipo vascolare (trombosi,
emorragia, embolia) o verso altre cause (traumi, tumore, ascesso ecc.).
Coma senza rigidità nucale e senza segni neurologici focali. Sono diversi a
seconda della eziologia e si distinguono in metabolici (uremico, epatico, diabetico,
ipoglicemico, da insufficienza surenale e mixedematoso) e tossici (ipercapnico, da
alcool, da oppio e derivati (morfina ecc.), da barbiturici, da ossido di carbonio.
Comi metabolici.
Coma uremico. Rappresenta la fase terminale cui vanno incontro tutti i soggetti affetti
da insufficienza renale che colpisca entrambe i reni e che non possono essere trattati
con emodialisi o dialisi peritoneale. La diagnosi clinica si basa sulla presenza del
tipico alito urinoso e la conferma di laboratorio sull’aumento dell’azotemia e della
creatininemia. La conoscenza anamnestica di nefropatie è della massima importanza.
L’ ipertensione arteriosa è frequente in numerose nefropatie.
Coma epatico. Rappresenta la fase terminale cui vanno incontro tutti i soggetti affetti
da insufficienza epatica. La diagnosi clinica si basa sul caratteristico “foetor
hepaticus” e eventuale presenza di segni di epatopatia (ittero o subittero, ascite,
circoli collaterali ecc.), e dalla conferma di laboratorio con il dosaggio
dell’ammoniemia. La conoscenza anamnestica di epatopatie è della massima
importanza.
Coma diabetico. E’ necessario distinguere:
un tipo più frequente, caratterizzato dalla presenza di chetoacidosi (coma diabetico
chetoacidosico) nel quale la diagnosi clinica si basa sul caratteristico alito acetonico e
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la conferma di laboratorio evidenzia una iperglicemia compresa fra 200 e 500 mg/dl,
e l’esame delle urine la presenza di acetone e di glucosio;
ed un tipo molto raro (coma diabetico iperosmolare) nel quale è assente la
chetoacidosi, ma la glicemia è molto elevata (può arrivare fino a 2.000 mg/dl) e
rappresenta la causa dell’iperosmolarità, Le urine contengono soltanto glicosuria ma
non chetonuria.
La conoscenza anamnestica della presenza di diabete mellito è della massima
importanza.
Coma ipoglicemico. Nella grande maggioranza dei casi colpisce soggetti diabetici sia
in trattamento con ipoglicemizzanti orali che con insulina. Il motivo è legato alla non
adeguata capacità del soggetto a gestire l’alimentazione (contenuto di glicidi, orari
dei pasti ecc.) con l’assunzione del farmaco. La diagnosi clinica si basa sulla
sudorazione profusa e la conferma di laboratorio su valori di glicemia inferiori a 50
mg/dl.
Coma da insufficienza surrenale. E’ molto raro e può avvenire in soggetti affetti da
morbo di Addison non diagnosticato.
Coma mixedematoso. E’ molto raro e può avvenire in soggetti affetti da ipotiroidismo
primitivo non diagnosticato.
Comi tossici.
Coma ipercapnico. La diagnosi si basa sulla presenza di cianosi, particolarmente
visibile al volto e sul letto ungueale. La conferma di laboratorio si effettua sulla emo-
gas-analisi (EGA) che documenta una acidosi respiratoria. La conoscenza
anamnestica della presenza di malattie polmonari croniche è della massima
importanza.
Coma etilico. La diagnosi si basa sul tipico odore di alcool nell’alito e sulla conferma
nel dosaggio del medesimo nel sangue o nell’aria espirata.
Coma da oppio e derivati. Il sospetto deriva dalla presenza di stigmate di tossico-
dipendenza; la diagnosi di laboratorio sul dosaggio della morfinuria.
Coma da barbiturici e psicofarmaci. La diagnosi è difficile se non si possiedono
notizie anamnestiche ed il laboratorio può confermare la presenza di psicofarmaci.
Coma da ossido di carbonio. La diagnosi si basa sull’aspetto rosso congesto del viso e
sull’anamnesi di permanenza in ambienti saturi di ossido di carbonio (riscaldamento
con bracieri o stufe con cattivo tiraggio, scarico di gas in abitacoli di veicoli a scopo
suicida ecc).
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Classificazione in stadi. E’ utile per diagnosticare il grado di compromissione della
coscienza. Si divide in 4 stadi:
Stadio I (precoma): il paziente presenta ancora una reattività a stimoli di una certa
intensità. Può riscontrarsi un accenno a movimenti del capo e/o degli arti a seguito di
stimoli acustici (per es. quando lo si chiama per nome) o dolorosi (gesti di difesa,
retrazione). Generalmente il paziente non riconosce persone o oggetti, non risponde a
domande, non esegue ordini elementari. Già in questo stadio vi è la perdita del
controllo degli sfinteri, per cui è necessaria l’applicazione di catetere vescicale non
solo per evitare il globo vescicale da anuria ma anche per avere il controllo della
diuresi, parametro di fondamentale importanza per la gestione clinica dello stato
comatoso. Il riflesso della deglutizione è ancora presente. Il tono muscolare è ancora
conservato.
Stadio II (coma propriamente detto). In questo stadio è perduta la reattività agli
stimoli presente nello stadio precedente, ma sono ancora conservati i riflessi pupillare
e corneale ed il respiro può ancora essere regolare o già presentare delle
modificazioni. Il tono muscolare è diminuito.
Stadio III (coma profondo). I riflessi pupillare e corneale sono assenti ed il tono
muscolare è abolito, talvolta interrotto da ipertonia da decerebrazione; i riflessi
osteo-tendinei sono aboliti e può comparire il segno di Babinski. Le funzioni
vegetative sono alterate: il respiro presenta irregolarità e la temperatura può
modificarsi (ipertermia o ipotermia).
Stadio IV (coma “depassé”). Le funzioni vegetative sono assenti e la vita è possibile
grazie alle moderne tecniche di respirazione assistita.
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DISFAGIA
La disfagia è caratterizzata da una difficoltà alla deglutizione
Può essere dovuta a
Ostacolo meccanico con occlusione che può essere presente
- all’interno dell’esofago (corpo estraneo, tumore, stenosi congenita o cicatriziale)
- da compressione “ab estrinseco”, cioè da tumefazioni che comprimano l’esofago
dall’esterno, ostacolando la normale progressione del bolo alimentare (aneurisma
dell’aorta, voluminose masse linfoghiandolari ecc.)
Cause nervose senza occlusione
- da spasmo del cardias
- di natura isterica (“bolo isterico”)
DISORDINI DELLA MOTILITA’ INTESTINALE (Stipsi e diarrea)
Stipsi: defecazione poco frequente con espulsione di feci di consistenza aumentata,
dovuta a rallentamento del transito intestinale. Nella massima parte dei casi la stipsi
è da imputare a mancata educazione alla regolarità della defecazione ed è
particolarmente legata a stati ansiosi. Un’altra importante causa è la carenza di fibre
alimentari nei soggetti che non utilizzano frutta e verdura nell’alimentazione
quotidiana. E’ inoltre presente nei soggetti con particolare torpidità della peristalsi
intestinale ed infine può essere dovuta ad alcuni farmaci. Fra le malattie in cui è
particolarmente presente vi è l’ipotiroidismo, oltre a malattie che colpiscono
l’intestino (megacolon ecc)
Diarrea: defecazione molto frequente con espulsione di feci non formate. Quando la
peristalsi è molto vivace il fenomeno è intenso sia come frequenza di scariche, sia
come consistenza delle feci che possono assumere il carattere acquoso ed in questi
casi vi è frequentemente dolore colico. La diarrea può assumere caratteri di urgenza,
soprattutto nei bambini, per la disidratazione che può produrre in breve tempo. Si
distingue
- una forma acuta in relazione a processi patologici acuti (di tipo infettivo, tossico,
emotivo)
- una forma cronica da cause diverse (in malattie intestinali di tipo infettivo e non
infettivo, come la colite ulcerosa, nell’ipertiroidismo, in forme psichiche nelle
quali si realizza il cosiddetto “colon irritabile”)
DISPEPSIA Definizione piuttosto complessa perché formata da un insieme di sintomi:
senso di “peso” o di “vuoto” in regione epigastrica (che può essere anche dolenzia),
con anoressia, nausea, flatulenza e disordini intestinali.
La dispepsia è comune a numerose patologie non solo dello stomaco-duodeno
(che sono le più frequenti), ma anche del fegato, pancreas e intestino.
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DISPNEA
E’ caratterizzata da senso di respirazione difficoltosa. Un intenso esercizio
fisico eseguito da un soggetto sano porta ad un aumento della frequenza delle
escursioni respiratorie (18-20 al min. in condizioni di tranquillità), ma se non vi è la
senzasione sgradevole di difficoltà, viene definita polipnea o iperpnea. E’ quindi la
sensazione di difficoltà (che può essere percepita anche da un soggetto sano a seguito
di esercizio particolarmente intenso) che fa porre diagnosi di dispnea.
Può essere dovuta a cause cardiache, polmonari, metaboliche, psicogene.
Dispnea cardiaca. E’ dovuta:
a insufficienza ventricolare sinistra, con vari gradi:
- ortopnea: dispnea che compare solo in posizione supina (uno dei primi segni dello
scompenso cardiaco è la necessità di dormire con più di un cuscino),
- Dispnea da sforzo, per sforzi progressivamente minori,
- Dispnea parossistica notturna, che ha la caratteristica di comparire di notte
all’improvviso,
- Edema polmonare acuto, dramma respiratorio acuto ed improvviso, dovuto a
scompenso ventricolare sinistro, gravato da mortalità. Si ha una trasudazione di
liquido dai capillari polmonari nel lume bronchiale, inondazione delle vie aeree e
espettorazione di liquido schiumoso, a volte roseo o striato di sangue.
a insufficienza ventricolare destra a seguito quasi sempre di cardiopatia polmonare
cronica scompensata, molto più raramente a cardiopatia valvolare tricuspidalizzata.
Dispnea polmonare; dovuta:
- a patologie ostruttive (soprattutto asma bronchiale)
- a patologie restrittive (che riducono la superficie del parenchima polmonare
funzionante come una cifoscoliosi (che riduce la volumetria della gabbia toracica
e la dinamica respiratoria), una resezione polmonare o una fibrosi polmonare
(residuo cicatriziale di forme infiammatorie, per es. tubercolari),
- a patologie interstiziali (fibrosi polmonare idiopatica, carcinomatosi, sarcoidosi
ecc)
- a patologie che alterano il rapporto ventilazione/perfusione come avviene
nell’infarto polmonare.
Dispnea dismetabolica; dovuta a cause diverse quali anemia (per riduzione del
pigmento ematico), o all’acidosi metabolica come nella chetoacidosi diabetica, dove
la iperventilazione è compensatoria per eliminare la CO2 e ristabilire un pH
fisiologico.
Dispnea psicogena. Reazioni ansiose. Vi è alcalosi respiratoria.
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FEBBRE
Detta anche iperpiressia o ipertermia, rappresenta un segno di grande
importanza clinica che indica una reazione dell’organismo ad una noxa patogena. Si
considera 37 gradi il limite al di sopra del quale è giustificato porre diagnosi di
febbre.
Dal punto di vista clinico, quando si deve inquadrare una febbre, si utilizza il
criterio epidemiologico della frequenza e, se non si trovano cause contingenti (per es.
un colpo di calore in estate), si considerano i seguenti raggruppamenti:
• febbre dovuta ad una causa infettiva (batteri, virus);
• febbre dovuta ad un processo disreattivo (reazioni allergico-iperergiche,
malattie del collageno ecc);
• febbre dovuta ad un processo neoplastico.
L’osservazione dell’andamento febbrile è molto importante non solo quando questo è
spontaneo, ma anche e soprattutto quando si opera con misure terapeutiche che
possono influenzare il processo morboso. Dal momento che la febbre, essendo
espressione di numerosissime condizioni patologiche, presenta spesso difficili
inquadramenti eziologici, l’attenta osservazione del suo andamento in relazione ad
altri segni e sintomi, o in relazione a provvedimenti terapeutici, diviene della
massima importanza.
In base alla curva termica nel tempo, è possibile definire alcuni andamenti, che
permettono un orientamento clinico di tipo generale.
Febbre continua: nell’arco delle 24 ore la temperatura si mantiene
costantemente elevata e le oscillazioni non superano un grado. Si suole indicare la
polmonite o il secondo settenario del tifo come paradigmi di questo tipo di febbre, ma
esso è presente in numerosissime situazioni cliniche.
Febbre remittente: le oscillazioni nelle 24 ore superano il grado, ma la
temperatura non dovrebbe scendere al di sotto di 37°C (come nel 3° settenario del
tifo non sottoposto a terapia). Questo criterio in pratica non è sempre seguito e si
parla di febbre remittente anche quando si registrano nello stesso giorno periodi di
apiressia.
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Febbre remittente
Febbre intermittente: accessi febbrili separati da giorni di completa apiressia
come avviene classicamente nella malaria, in occasione del ciclo vitale del parassita.
Se la febbre si manifesta a giorni alterni, prende il nome di terzana (perché ritorna il
terzo giorno), se invece vi sono due giorni di apiressia, viene chiamata quartana
(perché ritorna il quarto giorno).
Febbre ondulante: l’andamento osservato nel corso di alcuni giorni è di tipo
ondulatorio ed è presente nella brucellosi non trattata o nel linfogranuloma maligno.
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Febbricola: la febbre non supera di solito i 37,5 °C ed è frequentemente
caratterizzata da lunghi periodi, come avviene per es. in alcune forme di tubercolosi,
o anche nell’ipertiroidismo.
Febbre di tipo settico: è caratterizzata da improvviso senso di freddo intenso
con brivido, cui segue febbre elevata che dura alcune ore, seguita poi da
defervescenza con profusa sudorazione. E’ presente in caso di infezioni delle vie
urinarie o biliari o in presenza di ascessi purulenti, che danno improvvise gittate
setticemiche.
E’ necessario osservare come la febbre precede, accompagna o segue altre
manifestazioni come, ad esempio, nel caso della scarlattina
o della leptospirosi ittero-emorragica.
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IPPOCRATISMO DIGITALICO
DITA A BACCHETTA DI TAMBURO
E’ un non raro segno che si riscontra osservando le dita delle mani e dei piedi, che
appaioni ingrossate alle estremità, proprio come l’stremità di una bacchetta di
tamburo (Fig. pag 233). La forma bilaterale è la più diffusa e deve far pensare in
particolare a:
- malattie croniche dell’apparato respiratorio (broncopatie croniche ostruttive,
bronchiectasie, fibrosi interstiziale)
- malattie cardiache (gravi malattie congenite, endocarditi)
- raramente sono presenti in malattie di altri apparati.
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EDEMA
L’edema è una raccolta di liquido interstiziale in quantità abnorme e diviene
clinicamente visibile quando raggiunge proporzioni di una certa entità. Dal punto di
vista clinico è una spia preziosa, e spesso del tutto iniziale, di importanti e frequenti
processi morbosi quali lo scompenso cardiaco, la cirrosi epatica, la glomerulonefrosi.
Per tali motivi il medico non deve mai sottovalutare la presenza di stati
edematosi, soprattutto se diffusi e simmetrici, e, anzi, deve ricercarli spontaneamente
durante la visita medica in persone anziane, nelle quali è particolarmente frequente la
patologia da scompenso cardiaco.
Innanzitutto è bene definire come si rileva l’edema. Il paziente riferisce di aver
notato un gonfiore. Sta al medico verificare se il gonfiore è imputabile ad aumento di
fluido interstiziale. La manovra da eseguire è quella della digitopressione, con
l’accuratezza si eseguirla possibilmente su un piatto osseo (la tibia se l’edema è
localizzato alla gamba, la regione ossea del sacro se l’edema è presente nella regione
sacrale e così via). L’impronta che rimane dopo aver affondato il dito prende il nome
di “fenomeno della fovea”, (fig a pag. 199) dovuto alla dislocazione temporanea del
liquido nei tessuti vicini. La mancanza di tale fenomeno fa escludere la presenza di
edema (frequentemente i soggetti obesi riferiscono di gonfiore diffuso o variamente
localizzato e possono indurre il medico in errore, errore che si evita se si utilizza il
fenomeno della fovea)
Una volta posta diagnosi di edema è necessario valutare se si tratta di:
• generalizzato e simmetrico
• localizzato ed asimmetrico
L’edema generalizzato e simmetrico compare di frequente nelle regioni
declivi (regioni sacrali o arti inferiori), bilateralmente. Questo indica che il processo
che l’ha condizionato è sistemico e non locale. La patologia più frequentemente
coinvolta è uno scompenso cardiaco, anche in soggetti che non presentano altri segni
dello scompenso come la dispnea da sforzo e il turgore delle vene giugulari. Il ritorno
venoso è ostacolato dal deficit di pompa e il conseguente aumento della pressione
idrostatica nel territorio capillare, soprattutto nelle parti più declivi e più lontani dal
cuore, induce la trasudazione di liquido interstiziale.
Secondo in ordine di frequenza è un problema cronico di fegato (soprattutto
cirrosi epatica) che induca una ridotta produzione di albumina da parte della cellula
epatica. La riduzione di albumina provoca riduzione della pressione oncotica e
trasudazione di liquido interstiziale. L’edema può essere il primo segno che induce il
paziente a ricorrere al medico, il quale potrebbe essere indotto, soprattutto se non vi
sono altri sintomi, a sottovalutare questo segno.
Una terza possibilità è data da una glomerulonefrosi, malattia renale
caratterizzata, tra le altre, da una perdita urinaria di grandi quantità di albumina, con
conseguente riduzione della pressione oncotica.
L’ edema localizzato ed asimmetrico riconosce quasi sempre patologie
circoscritte al territorio colpito ed in particolare:
Processi di stasi:
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- edema conseguente ad asportazione di linfonodi a seguito di invasione
neoplastica (es.: edema di un arto superiore a seguito di asportazione dei
linfonodi ascellari dopo mastectomia e svuotamento del cavo ascellare
invaso da metastasi di carcinoma della mammella)
- edema conseguente a ostruzione del ritorno venoso da parte di processi
morbosi che comprimono vene di grosso calibro (compressione ab
estrinseco) o di trombosi venose che producano una riduzione o una
interruzione del flusso ematico.
Processi infiammatori:
- processi artritici di varia natura, dove la componente edematosa sia
prevalente su quella infiammatoria
- punture di insetti
Processi allergici localizzati in particolari zone.
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SHOCK
Lo shock è una sindrome di insufficienza circolatoria acuta con ipotensione
arteriosa associata a sintomi e segni di ridotta perfusione di vari organi. Dal punto di
vista clinico l’evoluzione è fra le più diverse: può essere fugace (come nelle forme
lievi di shock neurogeno da spavento) come anche portare alla morte.
I segni e sintomi più importanti sono:
• la caduta della pressione arteriosa sistolica al di sotto di 90 mmHg se il soggetto
non è iperteso (tale limite viene portato a 110 se il soggetto è iperteso). L’esistenza di
alcuni soggetti in perfetta buona salute ma costituzionalmente ipotesi, con valori
pressori sistolici inferiori a 90 mm Hg, deve far comprendere come la sola
ipotensione arteriosa non sia sufficiente per porre diagnosi di shock. Occorre che essa
sia necessariamente associata ad altri segni di ridotta perfusione periferica perché si
possa diagnosticare di shock;
• la riduzione della diuresi al di sotto di 30/ml ora (oliguria), determinata dopo aver
posizionato un catetere vescicale, manovra di grande importanza perché serve sia per
monitorizzare la diuresi, sia per impedire la possibile ritenzione di urina (per blocco
della minzione). L’oliguria o, in casi gravi, l’anuria, è dovuta alla ridotta perfusione
renale. Si ricordi come le arteriole del glomerulo siano fisiologicamente predisposte a
mantenere una adeguata pressione di filtrazione renale quando la pressione sistemica
si riduce entro certi limiti. Se l’oliguria o l’anuria non si sblocca rapidamente, si può
avere grave sofferenza dei tubuli fino alla necrosi tubulare e può insorgere
insufficienza renale acuta, con rapido aumento dell’azotemia e creatininemia. Se non
viene instaurata una pronta terapia, l’evoluzione futura, nel caso non sopraggiunga la
morte, potrà essere verso l’insufficienza renale cronica.
• disturbi da ridotta irrorazione cerebrale con ansietà, agitazione, confusione mentale,
sonnolenza e persino aggressività.
• diminuzione della temperatura cutanea (per riduzione dell’irrorazione) con senso di
freddo.
• tachicardia compensatoria.
• Nei casi gravi e prolungati si ha una ipossiema arteriosa ed acidosi metabolica da
aumento di lattato.
Dal punto di vista patogenetico lo shock riconosce quattro tipi di forme:
cardiogeno, ipovolemico, settico e neurogeno.
Shock cardiogeno: può essere dovuto a deficit contrattile del miocardio (come può
avvenire per es. nell’infarto cardiaco o nella grave miocardite con insufficienza
cardiaca) ed in questo caso è detto primario. Se invece è dovuto a condizioni che non
permettono un normale riempimento diastolico del ventricolo sinistro (come nel caso
di tamponamento cardiaco da pericardite essudativa, o embolia polmonare oppure in
caso di gravi aritmie tipo fibrillazione ventricolare), è detto secondario.
Shock ipovolemico. Si instaura quando si ha perdita di sangue (shock emorragico) o
di liquidi (da diarrea profusa, da ustioni, da vomito ripetuto).
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Shock settico. Si instaura in corso di gravi processi settici, nei quali la produzione di
endotossine batteriche agisce diminuendo le resistenze periferiche e inducendo quindi
ipotensione.
Shock neurogeno. Stimoli psichici intensi (paura, dolore, ma anche gioia intensa)
possono innescare una stimolazione vagale che è caratterizzata da bradicardia e
ipotensione.
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SINCOPE
E’ una improvvisa perdita di coscienza transitoria associata ad una incapacità a
mantenere il tono posturale. Si differenza dalla LIPOTIMIA che, pur condividendone
l’eziopatogenesi, NON giunge alla perdita di coscienza ma è caratterizzata dai
sintomi vegetativi che preludono ad essa quali senso di mancamento, sudorazione,
pallore. Quando la perdita di coscienza è immediata il soggetto non riesce a mettere
in atto meccanismi per evitare cadute con conseguenti traumi (ed in questo caso si
impone la diagnosi differenziale con la crisi epilettica). La diagnosi di queste forme è
a volte ardua e i casi che rimangono non diagnosticati, nonostante la moderna
tecnologia, sono la maggioranza. L’esposizione segue un criterio epidemiologico di
frequenza e le classifica come segue:
Sincopi vasodepressive
Sincopi cardiache
Sincopi neurologiche
Sincopi metaboliche
Sincopi situazionali
Sincopi vasodepressive (o vago-vasali o vaso-vagali). E’ la forma clinica più
frequente e corrisponde al comune “svenimento”, dovuto a forti perturbazioni
psichiche (paura, dolore ecc.) che innescano una sindrome vagale. Si distingue:
una fase pre-sincopale, caratterizzata da pallore, sudorazione, nausea,
annebbiamento della vista, ipotensione arteriosa e bradicardia;
una fase sincopale, caratterizzata dalla perdita totale, ma transitoria, della
coscienza;
una fase post-sincopale nella quale si ha la progressiva scomparsa dei sintomi
della prima fase.
In soggetti particolarmente sensibili, manovre vagali (vedi aritmie) accidentali
che stimolino il vago possono dare la sincope (sindrome da “barbiere” caratterizzata
da sincope a seguito di stimolazione dell’area cutanea sovrastante il glomo
carotideo).
Sincopi cardiache da gettata cardiaca inadeguata:
sincope in corso di infarto miocardico
“Sindrome di Morgagni-Adams-Stokes” (vedi Aritmie, BAV III grado)
sincope da stenosi aortica, da mixoma atriale, da trombo atriale a palla.
Sincopi neurologiche
Sincope da vasculopatia occlusiva cerebrale. La occlusione del territorio
carotideo o di quello vertebro-basilare, su base arteriosclerotica, avviene di solito
gradualmente e si manifesta principalmente con emiparesi e disartria nel primo caso,
con vertigini e diplopia nel secondo. L’occlusione però può avvenire anche in modo
clinicamente acuto ed esordire con una sincope. A questo proposito è bene
sottolineare che un massaggio del seno carotideo, eseguito a scopo terapeutico in un
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soggetto con stato preocclusivo della carotide, può indurre occlusione completa
transitoria e scatenare una sincope che potrebbe erroneamente essere addebitata alla
stimolazione vagale. Ciò induce a usare cautela nelle persone anziane, in cui il rischio
di lesioni arteriosclerotiche è molto elevato. Le sincopi da vasculopatia occlusiva
vengono denominate in gergo anglo-sassone “drop attack”.
Sincope da ipotensione ortostatica. Quando il passaggio dall’orto- al
clinostatismo non è rapidamente seguito dai fenomeni di adattamento emodinamico
(rapida costrizione arteriolare, tachicardia, secrezione di catecolamine ecc.) si ha una
fase pre-sincopale, caratterizzata da ipotensione arteriosa e riduzione acuta
della irrorazione cerebrale, (ma talmente acuta da non avere il tempo da dare quei
sintomi, incontrati nello shock, quali ansietà, agitazione, confusione mentale,
sonnolenza e persino aggressività) ed una
fase sincopale con improvvisa perdita di coscienza, che, quindi, giunge quasi
sempre senza preavviso.
La sincope da ipotensione ortostatica si può avere con maggior frequenza:
- in soggetti che mantengono a lungo la posizione eretta, senza muoversi
(soldati sull’attenti, specie sotto il sole in estate);
- in soggetti allettati per molto tempo, nei quali i riflessi posturali sono rimasti
inattivi per lungo tempo;
- in soggetti con alterazioni del sistema nervoso vegetativo (come i diabetici
rimasti per lungo tempo scompensati);
- in soggetti ipertesi sottoposti a terapia antipertensiva con farmaci che
agiscono sul il sistema nervoso vegetativo.
Si noti come in questo tipo di sincope manchino spesso i sintomi premonitori e
spesso il soggetto, quando esce dallo stato di incoscienza, ricorda solo ciò che stava
facendo prima dell’evento.
Sincopi metaboliche
Sincope da ipoglicemia. Vedi coma ipoglicemico.
Sincope da iperpnea (da alcalosi metabolica). Può colpire soggetti che, per situazioni
particolarmente ansiose, iperventilano producendo un aumento del pH.
Sincopi situazionali. Sono così denominate perché scatenate da particolari situazioni
quali accessi prolungati di tosse, la minzione, la defecazione. La più frequente è
quella che avviene in soggetti bronchitici cronici con insufficienza respiratoria dopo
un prolungato accesso di tosse (vertigine laringea). L’interruzione della regolare
dinamica respiratoria a causa della tosse produce un’ipossia acuta che si sovrappone
ad uno stato di ipossia cronica presente in questi soggetti, e che determina
l’insorgenza di uno stato vertinoso e successiva perdita di coscienza.
Epidemiologia: nella maggior parte dei casi (35%) gli episodi sincopali rimangono
indiagnosticati e questo sottolinea la frequente difficoltà di giungere ad una corretta
definizione diagnostica, anche dopo aver eseguito tutti gli esami del caso. Fra gli
episodi nei quali è possibile porre una diagnosi con una ragionevole certezza, le
forme più frequenti risultano essere le sincopi vaso-depressive (30%), seguite dalle
sincopi cardiache (19%), neurologiche (11%) e dovute ad altre cause (5%).
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APPARATO RESPIRATORIO
LINEE DI RIFERIMENTO
Torace: visione anteriore (Fig. pag 251). Le linee più importanti sono:
- verticali: la linea medio-sternale (centrale), la margino-sternale o para-sternale
(sul margine dello sterno) e la emiclaveare (per il punto medio della clavicola)
- orizzontali: angolo-sternale (passante dall’angolo fra manubrio e corpo dello
sterno) e xifo-sternale (passante dalla giunzione xifo-sternale)
- Tali linee demarcano le regioni bilateralmente: sovraclaveari, sottoclaveari,
mammarie e ipocondriache.
Torace: visione laterale (Fig. a pag. 252). Le linee più importanti sono:
- solo verticali: ascellare anteriore, media e posteriore
Torace: visione posteriore (Fig pag 253) Le linee più importanti sono:
- verticali: linea vertebrale (centrale) e linea angolo-scapolare (passante per l’angolo
della scapola)
- orizzontali: linea soprascapolare (passante per il margine più alto della scapola),
linea della spina della scapola (pasante per il processo spinoso scapolare), linea
dell’angolo inferiore sella scapola (passante per il margine più basso della
scapola).
- Tali linee demarcano le regioni bilateralmente: sovrascapolari, scapolari
(sovraspinosa e sottospinosa), sottoscapolare o dorsale.
ANATOMIA TOPOGRAFICA DI SUPERFICIE. E’ importante conoscere le
proiezioni dei lobi polmonari sulla superficie toracica per rendere agevole la
localizzazione dei processi morbosi attraverso l’osservazione dei radiogrammi del
torace. La fig a pag 249 localizza la proiezione sul radiogramma anteriore (in alto) e
posteriore (in basso) la sede dei lobi polmonari destri (anteriore, medio e posteriore) e
sinistri (anteriore e posteriore) e dei relativi segmenti.
ANGOLO DEL LOUIS. E’ la giunzione sporgente fra manubrio e corpo dello sterno
(Fig. pag 254). Permette di conoscere con esattezza la localizzazione della seconda
costa. Questo punto di repere viene utilizzato quando è necessario localizzare con
esattezza gli spazi intercostali. Il secondo spazio intercostale è quello situato subito al
di sotto della seconda costa.
SEMEIOLOGIA DELL’APPARATO RESPIRATORIO.
- Ispezione
- Palpazione
- Percussione
- Ascoltazione
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ISPEZIONE.
- Alterazioni della morfologia della gabbia toracica: le più importanti sono
caratterizzate da deviazioni del rachide, soprattutto in senso latero-laterale
(scoliosi), per patologia della colonna dello sterno (pectus excavatum)
- Alterazioni della dinamica respiratoria:
- asimmetria della dinamica respiratoria per processi patologici pleuro-
parenchimali monolaterali, in atto o pregressi
- riduzione simmetrica delle escursioni respiratorie negli enfisematosi
- Alterazioni della cute:
- edema a mantellina nelle sindromi mediastiniche
- circoli collaterali
- eventuali cicatrici da pregressi interventi chirurgici
PALPAZIONE.
Immediata, per rilevare:
- il grado delle espansioni respiratorie sia degli apici che delle basi polmonari (Fig
pag 259)
- eventuali pulsazioni, per es. le pulsazioni aortiche al giugulo;
- la presenza di sfregamenti pleurici (Fig pag 258, 4), (pleuriti secche, esiti
cicatriziali si pleuriti siero-fibrinose);
Mediata, per rilevare, attraverso la vibrazione vocale indotta dalla pronuncia della
parola “trentatrè”, la sua propagazione e la sua diffusione sulla superficie della cassa
toracica, in particolare nella regione dorsale: il cosiddetto “fremito vocale tattile” o
FVT. Esso si percepisce con il margine ulnare della mano, (fig a pag 257), esplorando
bilateralmente tutto l’ambito polmonare. Questa manovra è di fondamentale
importanza nella semeiotica del torace e, se ben eseguita, permette di apprezzare
modificazioni sia in senso rafforzativo che diminutivo (Fig pag 258).
Nel primo caso (Fig pag 258, 1), si percepisce un rinforzo della trasmissione,
prodotto da un addensamento parenchimale, il quale, privato del suo fisiologico
contenuto aereo, produce un aumento di trasmissione delle vibrazioni e quindi un
rinforzo del FVT. E’ il caso di un addensamento infiammatorio (polmonite,
broncopolmonite) oppure di una ostruzione di un bronco di grosso calibro da parte di
un tumore o di un grosso tappo di muco che produce la mancanza di aerazione del
parenchima polmonare tributario e progressivo riassorbimento dell’aria (atelettasia).
Nel secondo caso (Fig pag 258, 2, 3), si percepisce una riduzione della
trasmissione, fino alla sua scomparsa, in quanto i foglietti pleurici non sono più a
contatto l’uno dell’altro, essendosi avuta l’interposizione di
- liquido, nel caso di versamento pleurico (sia di tipo infiammatorio ed allora si
porrà diagnosi di pleurite, sia di tipo trasudatizio ed allora interverranno le cause
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