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Numero 3 A.S. 2018/2019 Gennaio 2019 Embrioni manipolati Rifiuti urbani La scuola italiana: dalla nascita agli anni 90 Vent'anni dalla morte, Fabrizio De André I Queen Viterbo e viterbesitá Chiara Conti, IV A Classico (pag.1) Siria Andrea Frida Latini, III D Classico (pag.2) Ilario Pasculini, V A Classico (pag.3/9) Michela Travaglini, V A Classico (pag.10) Benedetta Chiappini, I C Linguistico (pag.11) Leonardo Santini, V A Classico (pag.12) “IL BURATTINO SENZA FILI” Il giornale degli studenti del Liceo Classico e Linguistico Mariano Buratti

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Page 1: “IL BURATTINO SENZA FILI” · 2019. 1. 28. · Pagina 1 EMBRIONI MANIPOLATI L'attuale concezione della scienza, come socialmente utile e capace di migliorare le condizioni dell'uomo

Numero 3 A.S. 2018/2019 Gennaio 2019

→ Embrioni manipolati

→ Rifiuti urbani

→ La scuola italiana: dalla nascita agli

anni 90

→ Vent'anni dalla morte, Fabrizio De

André

→ I Queen

→ Viterbo e viterbesitá

Chiara Conti, IV A Classico (pag.1)

Siria Andrea Frida Latini, III D Classico

(pag.2)

Ilario Pasculini, V A Classico

(pag.3/9)

Michela Travaglini, V A Classico

(pag.10)

Benedetta Chiappini, I C Linguistico

(pag.11)

Leonardo Santini, V A Classico

(pag.12)

“IL BURATTINO SENZA FILI”

Il giornale degli studenti del Liceo Classico e Linguistico Mariano Buratti

Page 2: “IL BURATTINO SENZA FILI” · 2019. 1. 28. · Pagina 1 EMBRIONI MANIPOLATI L'attuale concezione della scienza, come socialmente utile e capace di migliorare le condizioni dell'uomo

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EMBRIONI MANIPOLATI

L'attuale concezione della scienza, come socialmente utile e capace di migliorare le condizioni dell'uomo nel mondo, affonda le sue radici nella rivoluzione scientifica iniziata nel XVI secolo. L'idea della scienza, come sapere vero e utile al tempo stesso, è stato uno dei grandi temi della battaglia illuministica contro l'ignoranza e la superstizione. Tuttavia già dal Novecento, si è assunto un atteggiamento più critico nei confronti sia delle capacità conoscitive di questa, sia degli esiti pratici a cui può condurre. L'equazione "scienza=progresso" è stata messa in forte crisi dalla consapevolezza che la tecnica mette nelle mani dell'uomo un potere enorme che rischia di diventare controproducente e pericoloso per la nostra stessa vita. Abbiamo il recente esempio degli "embrioni manipolati", che hanno portato molti scienziati ed esperti ad allarmarsi di fronte ai rischi di una tecnica ancora non precisa, che consentirebbe di modificare i tratti fisici e mentali dei propri figli. La pratica prende il nome di CRISPR/cas9; si tratta di un processo di gene-editing attraverso il quale sequenze di DNA vengono tagliate e poi sostituite all'interno del genoma di un organismo. Le potenzialità sono davvero enormi e la ricerca sembra andare alla velocità della luce. Gli scienziati stanno lavorando anche su tumori, malattie infettive e malattie genetiche come la beta-talassemia, e chissà se giungeranno ad una soluzione in grado di eliminarle una volta per tutte! Lo scorso 26 ottobre, lo scienziato cinese He Jiankui avrebbe dichiarato la nascita di due gemelle grazie a CRISPR/Cas9. Tuttavia questo evento ha sollevato molte questioni. In primo luogo riguardo la modalità di divulgazione che sembra non aver rispettato le procedure del metodo scientifico, in quanto la notizia è pervenuta attraverso un video divulgato su YouTube dallo scienziato direttamente interessato. Il secondo problema è di carattere etico. Con CRISPR/Cas9, infatti, la possibilità di modificare il DNA umano potrebbe essere sfruttata non solo per fini terapeutici, ma anche per migliorare il patrimonio genetico dei nascituri e ciò implicherebbe una strumentalizzazione della prole da parte dei genitori. Avevano pertanto ragione i filosofi del Novecento a credere che la scienza può rappresentare un pericolo per la vita umana? Chi lo sa! In ogni caso la scienza fa così parte di noi che il destino umano, nel bene e nel male, appare ormai indissolubilmente legato ad essa.

Chiara Conti, IV A Classico

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RIFIUTI URBANI

Spendo qualche parola su un argomento che a volte mi è apparso imbarazzante: l’immondizia e i rifiuti con cui oggi conviviamo. I rifiuti sono materiali di scarto o avanzo di svariate attività umane. Io mi riferisco in particolare a quei materiali di rifiuto che vengono allontanati dai luoghi abitati, i cosiddetti RIFIUTI URBANI. L’italiano, e sicuramente non solo lui, ha un cattivo rapporto con i rifiuti. Sono in molti a buttare, lasciare, abbandonare le cose nei posti e luoghi in cui non si dovrebbe; da questo si può notare l’innata carenza di senso civico, poiché la raccolta dell’immondizia esiste e, benché non sempre funzioni perfettamente, il nostro paese potrebbe essere sicuramente più sano e più bello. Oggigiorno c’è ancora chi getta a terra un pezzo di carta anziché tenerla in mano o in tasca sino al cestino più vicino, per non parlare di quelli che gettano il sacco dell’immondizia dal finestrino dell’auto (questo succede soprattutto fuori dai centri urbani, lungo le strade che collegano i paesi) o di chi, laddove c’è la raccolta differenziata, incurante mischia le varie tipologie dei rifiuti. Sono allibita nel constatare quanta immondizia abbandonata abbiamo intorno; cosa si può fare per far crescere il senso civico? Quale legge o altro strumento potrebbe aiutarci? Leggi più rigide? L’istituzione di un corpo di guardie ecologiche? Non è bella una società in cui le persone si trasformano in sceriffi, oppure sono circondate dai divieti ma forse abbiamo toccato il fondo e per risollevarci sono necessari nuovi metodi e nuove regole, nuovi insegnamenti che devono partire dalle scuole. Senza una vera educazione civica salta l’obiettivo della formazione dell’individuo quale cittadino pronto per una consapevole e corretta partecipazione alla dimensione civile e sociale. Ma non dobbiamo neppure sottovalutare la sostanziale latitanza di alcuni comuni sul problema immondizia. Quando una pensilina della fermata dell’autobus ha il vetro rotto, è imbrattata, o, all’interno, è piena di immondizia, la responsabilità è dei cittadini e del loro mancato senso civico. Ma anche delle istituzioni perché prendendo atto di ciò e volendo fare qualcosa se si iniziasse a pulire e mantenere pulito, questa sarebbe la prima lezione di educazione civica. Anche l’incivile e lo sporcaccione ha più difficoltà a gettare a terra o abbandonare immondizia laddove non ce n’è: abbandonare un sacchetto dove non ce ne sono altri è più difficile farlo una prima volta e soprattutto ripeterlo nel tempo. E poi perché alcune regioni sono più curate e altre no? Le risposte le conosciamo e sono note ai più, ad esempio la collusione in alcuni casi di politica e criminalità organizzata, ma il dato di fatto che altre nazioni e alcuni comuni italiani sono già “belli” per la sola pulizia che vi regna, mi fa sperare che anche il luogo in cui vivo un giorno sarà più bello!

Siria Andrea Frida Latini, III D Classico

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LA SCUOLA ITALIANA: DALLA NASCITA AGLI ANNI 90

Le Leggi Casati e Coppino: lotta all’analfabetismo e formazione dei cittadini italiani La scuola elementare italiana nasce convenzionalmente con la legge Casati, promulgata nel Regno di Sardegna nel 1859 poi estesa al Regno d’Italia nel 1861, che disponeva l’obbligo di frequenza delle prime tre classi e si prefiggeva di assicurare a tutti gli italiani le conoscenze elementari del «leggere, scrivere e far di conto». l battaglia per la piena scolarizzazione è condotta dalla successiva legge Coppino (1877) che affida la vigilanza ai provveditori agli studi e prosegue la lotta dello stato postunitario contro l’analfabetismo che nel 1861 interessava il 74% dei cittadini, e per migliorare la qualità, assai carente, dell’insegnamento magistrale.

Le Istruzioni ai Programmi del 1888 di Aristide Gabelli Un passaggio significativo sono i programmi del 1888, preceduti dalle Istruzioni del pedagogista Aristide Gabelli nelle quali si legge che la scuola deve essere «accomodata al tempo», deve cioè comprenderne lo spirito e appagarne i bisogni in vista dell’utilità sociale, alla quale si lega quella dei singoli. Deve essere cioè, vicina alla vita. Gabelli, provveditore a Firenze e Roma, poi deputato, redasse il Metodo di insegnamento nelle scuole elementari d’Italia (1880), poi le Istruzioni per i Programmi del 1888 che recepiscono il nuovo fermento positivistico teso a cogliere le trasformazioni della realtà sociale e il contributo dell’intelligenza umana volto a «far bene le teste più che riempirle». Gli scopi della scuola elementare sono «dar vigore al corpo, penetrazione dell’intelligenza e rettitudine morale», in cui è il fine etico a prevalere, attraverso l’educazione dell’intelligenza. Il metodo è pratico, induttivo, basato sull’osservazione e sull’esperienza, in grado di sottrarre gli individui ad ogni dogmatismo.

La Riforma Gentile del 1923

La riforma della scuola disegnata dal filosofo neoidealista Giovanni Gentile insieme

a Giuseppe Lombardo Radice, colloca la scuola italiana in una nuova prospettiva,

organica e unitaria, opposta alla precedente concezione positivista dell’individuo e

della scuola.

Se per Gabelli è centrale il costante confronto con la realtà e il metodo didattico, per Gentile è centrale l’atto pensante e l’uomo che attraverso di esso scopre e conquista la propria umanità. Il metodo è semplicemente il maestro che con la sua vasta cultura riesce a guidare l’allievo alla conquista della ragione e della consapevolezza. L’educazione non è un metodo che agisce dall’esterno sull’allievo, ma un’esperienza spirituale, un processo dello spirito attraverso il quale l’individuo conosce socraticamente «se stesso».

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La scuola elementare è pensata come luogo della libertà infantile in cui assume rilievo il rapporto affettivo tra maestro e allievo.

L’obbligo scolastico è elevato a 14 anni, alla fine del ciclo unico elementare, anche se è perlopiù disatteso. In ossequio alla visione gerarchica e classista del fascismo in cui Gentile fu Ministro dell’Istruzione (1922-1943), la scuola secondaria si differenzia in Scuola di avviamento professionale e Licei, con netta preminenza del Liceo Classico che permetteva di accedere a tutti i corsi di Laurea (dallo Scientifico non si poteva accedere invece a Lettere e Filosofia e a Giurisprudenza). Dalla scuola di avviamento non era possibile accedere all’Università.

Giuseppe Lombardo Radice redasse i programmi per la scuola elementare, nei quali opponeva all’arido didatticismo, frutto dell’interpretazione che i maestri facevano dell’approccio positivista, la “didattica viva”, più adatta all’immagine romantico-poetica dell’infanzia contenuta nell’idea di “scuola serena”. Questa scuola punta sulla creatività dando libertà all’insegnante di cercare i migliori mezzi per insegnare forme espressive e artistiche, dal canto al disegno, al folclore alla religione. Per questo Lombardo Radice fu poco interessato all’esperienza montessoriana e più a quella delle sorelle Agazzi e della Pizzigoni. Al sistema teorico gentiliano e all’approccio romantico di Lombardo Radice si rimprovera spesso di aver determinato il ritardo della scuola italiana nella ricezione del movimento delle scuole nuove e dell’attivismo. Dopo la guerra, i programmi del 1945 sono redatti da una commissione di esperti diretta dal pedagogista allievo di Dewey, Carleton Washburne che si prefisse principalmente di ridare costume democratico all’educazione di un paese uscito dalla dittatura fascista. La scuola del dopoguerra punta così sull’autogoverno, sull’attivismo e sull’adeguamento psicologico dei metodi.

Nel 1955 i programmi della scuola elementare sono sostituiti da quelli firmati dal Ministro dell’Istruzione Giuseppe Ermini che daranno un’impronta durevole al primo ciclo d’istruzione, restando operativi fino al 1985. Con Ermini la scuola italiana riconosce le proprie radici culturali nella tradizione cattolica informando i suoi valori alla dottrina personalistica (umanesimo cristiano) e il metodo all’attivismo (Dewey, Piaget).

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Dalla scuola elementare attivista (1955) a quella cognitivista (1985) La scuola elementare dei programmi Ermini (1955-1984)

Avevano carattere prescrittivo, perché prevedevano il livello di istruzione che l’alunno doveva raggiungere, per assicurare a tutti la formazione dell’intelligenza e del carattere necessari alla partecipazione alla vita della società. Alla scuola elementare si attribuiva dunque il compito di fornire gli elementi essenziali della cultura e di educare le capacità fondamentali dell’uomo. La scuola elementare doveva realizzare la «formazione integrale della persona», con particolare enfasi sulla creatività, il sentimento e la fantasia dell’alunno(residuo della pedagogia di Lombardo Radice). Sul piano didattico, prescriveva l’individualizzazione dell’insegnamento in rapporto alla maturazione e agli interessi dell’allievo, l’assunzione dell’ambiente, nei suoi diversi aspetti, come base dell’insegnamento, nella valorizzazione delle attitudini all’osservazione, alla riflessione e all’espressione, nel metodo globale. Il paradigma attivistico si ritrova nel risalto dato al gioco, al lavoro libero e organizzato, individuale e di gruppo, alla responsabilizzazione dell’alunno, oltre che nell’esigenza di muovere dai vissuti dell’alunno e di legare percorsi formativi e tessuto sociale.

Dalla fine degli anni ’60, questo modello iniziò ad essere criticato per: -la visione parziale dell’età infantile, sbilanciata sull’intuizione, la fantasia, il sentimento, a danno della componente cognitiva e razionale della personalità; – la visione del maestro unico, esperto in tutti gli ambiti della didattica elementare (linguistico e matematico); – l’impostazione filo-cattolica dei programmi, in contrasto con lo spirito della Costituzione che afferma la libertà di coscienza e di religione (ma non con i Patti lateranensi).

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La scuola cognitivista del 1985 La società italiana degli anni ’80 era profondamente diversa da quella degli anni ’50: è industrializzata, pluralista sul piano degli stili di vita, consumista, ampiamente scolarizzata (l’80% dei ragazzi prosegue gli studi secondari dopo la terza media). I programmi del 1985 costruiscono una scuola che passa dal personalismo cattolico all’umanesimo laico, pluralista, fondato sui principi costituzionali (con il concordato del 1984, la Chiesa aveva rinunciato a proporsi come religione di stato). L’istruzione elementare viene quindi fondata su criteri educativi irrinunciabili:

– il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo;

– la tutela del pieno sviluppo della personalità di ogni bambino e l’impegno a rimuovere ogni ostacolo che possa limitarlo.

Mentre lo sfondo pedagogico dei programmi del 1955 era l’attivismo, quelli del 1985

aderiscono al cognitivismo,rappresentato da Piaget, Bruner e Gardner, i cui lavori

rispondo all’esigenza di superamento dell’attivismo, non più rispondente al mutato

clima socio-culturale.

Sia in Piaget che in Bruner c’è la preoccupazione di valorizzare la componente intellettiva del processo conoscitivo. Piaget insiste sul rispetto delle fasi di maturazione dell’allievo, Bruner invece, reagisce contro il motto attivista secondo cui «la scuola è vita» e insiste sulla natura artificiale della scuola per consentire l’ingresso nella «vita della ragione» e acquisire le chiavi di lettura della realtà. Piaget e Bruner sostengono il concetto di alfabetizzazione culturale, finalizzata all’acquisizione di tutti i fondamentali tipi di linguaggio e del primo livello di padronanza dei quadri concettuali, delle abilità e delle tecniche di indagine essenziali alla comprensione del mondo naturale, artificiale, umano, laddove i linguaggi non sono altro che i sistemi simbolici costruiti dall’uomo e i quadri concettuali le modalità di organizzazione delle conoscenze (Gardner). La scuola elementare del 1985 si configura così come un’impresa cognitiva, un’istituzione educativa che coniuga le esigenze di una scuola di cultura e di una scuola di valori.

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I principi didattici della nuova scuola sono; –la continuità, realizzata attraverso il metodo; – l’ampliamento del tempo scuola; – la modularità (e la pluralità dei docenti); – la formazione sistematica del corpo docente, l’approfondimento delle competenze didattiche e la dilatazione della ricerca pedagogica.

La stagione riformatrice degli anni ’60 e ’70 La scuola media unificata del 1962

Il provvedimento istitutivo della scuola media unica, triennale, gratuita e obbligatoria è una legge di primaria importanza per la scuola italiana che sancisce la fine della segregazione di classe iniziata col fascismo e lo sforzo più importante per la costruzione dell’uguaglianza sociale.

La nuova scuola media nacque per fornire a tutti le stesse opportunità educative, anche

se fu proprio questo sforzo a far risaltare le differenze cognitive esistenti tra le

diverse classi sociali, generate dal diseguale accesso alle fonti culturali, accentuate

dalle diversità linguistiche. È questa, infatti, la scuola della dispersione e

dell’umiliazione dei poveri contro cui insorgono Don Milani ed altri.

La riforma del 1973 e i Decreti delegati La riforma dei “Decreti delegati” è la più importante degli anni ’70 per l’introduzione di un nuovo modello di scuola e di una nuova fisionomia del lavoro docente. La scuola è indicata come luogo non soltanto di trasmissione del sapere, ma di elaborazione autonoma di essa, in stretto rapporto con la società, per il pieno sviluppo della personalità dell’alunno, nell’attuazione del diritto allo studio.

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La scuola è ora una comunità che agisce con la più vasta comunità sociale e civica attraverso la collaborazione di tutte le componenti interessate al processo formativo (genitori, alunni, personale docente, non docente). L’organizzazione e il funzionamento della scuola sono affidati a organi collegiali a gestione partecipativa (consigli di classe, di circolo, di Istituto, Collegio docenti), alcune dei quali con rappresentanze elette. Confronto e collegialità diventano così le strategie fondanti del nuovo modello di scuola. Al docente sono riconosciute: la libertà di insegnamento, il diritto/dovere all’aggiornamento e la

possibilità della sperimentazione didattica quale espressione dell’autonomia didattica dei docenti.

La legge 4 settembre 1977 n. 517 La legge 517/77 introduce altri fondamentali cambiamenti: l’obbligo della programmazione didattica e curricolare, la possibilità di lavorare per «classi aperte», l’introduzione del principio della valutazione formativa continua, ricavata dal’osservazione della maturazione e dei progressi d’apprendimento dell’allievo (invece degli sterili principi della media dei voti e del recupero) e quello dell’integrazione dei ragazzi portatori di handicap. La scuola del 1977 è quindi una scuola flessibile e senza classi speciali che si lascia alle spalle la valutazione fiscale fatta di voti ed esami.

Il nuovo programma per la Scuola Media del 1979 Il forte impulso sperimentatore e innovativo degli anni ’60 e ’70 è strettamente condizionato dalle ricerche in ambito psicologico e della sociologia dell’educazione che evidenziano l’importanza delle strutture cognitive e del background familiare e culturale dell’alunno, carichi di possibili condizionamenti sui futuri esiti scolastici. Quest’epoca si conclude con il D.M. 1979 contenente i nuovi programmi per la Scuola Media, le cui importanti Premesse richiamano i principi di collegialità e flessibilità organizzativa finalizzati ai necessari interventi tesi alla rimozione delle condizioni di emarginazione sociale o culturale degli alunni. L’ultima legge legata a questa stagione può essere considerata la legge n. 148 di Riforma dell’ordinamento della scuola elementare del 1990 che punta sulla continuità con il ritmo di crescita degli alunni, sull’innalzamento del tempo scuola a 30 ore e sulla modularità, stante la varietà e complessità dei saperi e degli stimoli educativi, non più gestibili dal maestro unico. La Conferenza nazionale sulla scuola, tenutasi a Roma tra gennaio e febbraio 1990 apre un’altra stagione: quella dell’autonomia.

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Gli anni 90 e l’autonomia scolastica

Il cambio di paradigma annunciato dalla Conferenza sulla scuola, parte da una critica ai risultati del sistema scolastico che viene chiamato a rispondere come «servizio» (e non più come un diritto) dell’uso efficiente ed efficace delle risorse assegnate. La riforma della scuola del 1997 segue ad una serie di misure riorganizzative della pubblica amministrazione ispirate ai principi di decentramento e di sussidiarietà (oggi sancito dal’art. 118 dopo al Riforma del Titolo V della Costituzione). L’organizzazione scolastica, costruita sul modello del centralismo ministeriale e sulla logica dell’«adempimento», è sostituito da quello della “scuola-servizio” centrato sulla singola realtà scolastica (decentramento), finalizzata al «successo formativo» degli allievi. Il principio di sussidiarietà è invece il principio che regola i rapporti tra i diversi livelli territoriali di potere, stabilendo che lo svolgimento di funzioni pubbliche debba essere svolto al livello più vicino ai cittadini e che i livelli superiori (e più lontani) possano intervenire solo se in grado di assolvere al compito meglio del livello inferiore (sussidiarietà verticale). L’affermazione del principio di sussidiarietà orizzontale e del nuovo rapporto tra stato e cittadini è contenuta nell’affermazione che: “Stato, Regioni, città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”. Ciò comporta che singoli e formazioni sociali, quali la famiglia, siano riconosciuti come titolari di servizi alla persona. È chiaro che ciò comporta differenziazione e autonomia dei sistemi locali (di servizi, tra i quali la scuola).

Ilario Pasculini, V A Classico

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VENT’ANNI DALLA MORTE, FABRIZIO DE ANDRÉ

"Fermati Piero, fermati adesso Lascia che il vento ti passi un po' addosso Dei morti in battaglia ti porti la voce Chi diede la vita ebbe in cambio una croce" Così recita una parte del testo di una delle canzoni più famose del grande Fabrizio De André, che si spense a Milano l'11 gennaio del 1999. Oggi, dopo vent'anni esatti, siamo ancora onorati di ricordarlo con le sue ballate. Chiamato "Faber", dedicò la sua vita alla poesia messa in musica, una musica incentrata su pochi accordi e sulla sua voce profonda. La particolarità delle sue ballate risiede nelle parole dei testi e nel significato che assumono. Il cantautore viene ancora denominato "il poeta degli sconfitti" per la sua attenzione verso la realtà vissuta dagli emarginati nel secondo dopoguerra, ed è questo che fa di lui uno dei maggiori cantautori della storia della musica italiana. In questo senso, esempio per eccellenza è la canzone "Via del campo", dedicata alla via, nel quartiere Pré di Genova, che ospitava il negozio di dischi di Tassio, grande amico di De André, il quale fin da giovane frequentava quel luog per esercitarsi con la sua musica. Venduto al comune del capoluogo ligure, oggi è un museo in onore del cantautore, dove è esposta la sua chitarra. Una vita dedicata alla poesia finita dopo soli 59 anni, a causa di una grave malattia polmonare, scoperta a seguito di un concerto tenutosi cinque mesi prima. Faber viene ricordato da tutti con la perenne sigaretta in bocca; tra le altre cose, un pacchetto di sigarette fu messo all'interno della sua bara , pur essendo state la causa principale della malattia. La morte di questo grande personaggio non può fermare la sua musica, ormai parte della tradizione italiana. Tutti dovrebbero conoscere De André, come cantautore, come poeta, come persona. Il nostro compito, da italiani amanti della canzone d’autore, è quello di celebrarlo e rendergli onore, restituendogli almeno in parte ciò che lui ha donato a noi, ovvero la poesia.

"E ora siedo sul letto del bosco che ormai ha il tuo nome Ora il tempo è un signore distratto è un bambino che dorme Ma se ti svegli e hai ancora paura ridammi la mano Cosa importa se sono caduto se sono lontano Perché domani sarà un giorno lungo e senza parole Perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole Ma dove dov'è il tuo cuore, ma dove è finito il tuo cuore." (Hotel Supramonte)

Michela Travaglini, V A Classico

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I Queen

Il 5 settembre del 1946 a Stone Town, nell'isola africana di Zanzibar, nasce, da una famiglia di origini indiane, Farrokh Bulsara, che il mondo conoscerà con il nome d'arte di Freddie Mercury, cantante, pianista e compositore, fondatore dei Queen.

BOHEMIAN RHAPSODY : "Quando ho ottenuto questo ruolo ho pensato che sarebbe potuta essere una performance in grado di definire una carriera. Due minuti dopo ho invece pensato 'Questa parte potrebbe distruggere una carriera" .Per vestire i panni di Freddie è stato scelto Rami Malek, il quale ha dichiarato che è stata un’impresa recitare il ruolo di Freddie, interpretare la sua passione, devozione per la musica è stata la cosa più difficile Secondo la critica, Bohemian Rhapsody era un pasticcio «ideologicamente» irricevibile e musicalmente inascoltabile. Il singolo dei Queen, quasi sei minuti, era articolato in sezioni e conteneva una ballata, un inserto operistico e un'esplosione di chitarre rock. La mini rock opera conquistò gli ascoltatori. Bohemian Rhapsody fu il primo singolo dei Queen ad entrare nella classifica USA e restò al primo posto della classifica del Regno Unito per nove settimane. Nel 1992 fu riproposto dalla colonna sonora del film Fusi di testa e rientrò in classifica, così come accadde dopo la morte di Freddie Mercury. Nel 2000 è stato eletto «canzone del secolo» nel Regno Unito, dove è il terzo singolo più venduto di sempre e il secondo più trasmesso nella storia della radiofonia britannica. Dopo la morte di Freddie mercury uno dei più celebri tributi a lui dedicati è stata la statua ritraente il cantante nella sua famosa posa che si affaccia sul Lago Lemano, a Montreux, in Svizzera, tra le altre numerose erette in suo onore nel corso degli anni. In occasione di quello che sarebbe stato il suo settantesimo compleanno, nel settembre del 2016 l'asteroide 17473, scoperto nel 1991 (anno della scomparsa dell'artista), è stato rinominato 17473 Freddie mercury. Benedetta Chiappini, I C Linguistico

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VITERBO E VITERBESITA’

Viterbo (Vetèrbe in dialetto viterbese, Viterbium in latino medioevale) è un comune italiano di 67 831 abitanti, capoluogo dell’omonima provincia nel Lazio settentrionale, nota anche come Tuscia o Alto Lazio. Ha antiche origini (si ritiene che Viterbo derivi dal latino Vetus Urbs cioè Città Vecchia) e ha il più vasto centro storico medievale d'Europa – con alcuni quartieri medioevali ben conservati – cinto da mura e circondato da quartieri moderni. Viterbo è storicamente nota come la Città dei Papi, in quanto nel XIII secolo fu infatti sede pontificia e per circa 24 anni nel Palazzo papale dimoraono o furono eletti vari Papi. Papa Alessandro IV decise nel 1257 il trasferimento della Curia Papale nella città a causa del clima ostile presente a Roma; il soggiorno papale durò, salvo brevi interruzioni, fino a quando papa Martino IV, appena eletto (22 febbraio 1281), allontanò definitivamente la corte pontificia da Viterbo. Le moltissime sfaccettature di questa città rendono difficile analizzarla a 360 gradi: è indubbiamente una città in crescita, lo dicono i dati, il numero degli abitanti è in crescita costante, ma mentre lo sviluppo avviene principalmente nelle aree periferiche, il centro storico di Viterbo subisce il processo inverso. Passeggiando infatti per le vie più note di Viterbo, come via Saffi, che un tempo veniva soprannominata la via Condotti di Viterbo, ci si rende conto di come quella che una volta era una via frequentata, con moltissimi negozi e bar, ora sia praticamente vuota, con ilocali sfitti e poche persone che passeggiano. Il comune ha provato a dare nuova linfa al centro storico con l’apertura del christmas village, una manifestazione che si svolge nel periodo delle festività natalizie e attira sempre un gran numero di visitatori. Peccato che questa iniziativa termini dopo l’epifania, e la città ripiombi nel suo stato di desolazione. Le attrazioni principali di Viterbo sono due: la Viterbese, squadra di calcio locale che milita in Serie C e sta ottenendo grandi risultati nelle ultime stagioni grazie alla presidenza Camilli, e la macchina di Santa rosa. Il calcio a Viterbo è sempre stato un argomento delicato, sia perché non si è mai raggiunto un livello altissimo, sia perché i viterbesi sono sempre stati molto scettici, e prima di dare il loro massimo sostegno alla squadra ci mettono del tempo. Quest’anno però la Viterbese ha raggiunto un traguardo storico, andandosi a giocare gli ottavi di coppa Italia a Marassi contro la Sampdoria, ed essendo stata sconfitta soltanto da un autogol; ma non conta tanto il risultato della partita, quanto il fatto che un intero popolo si sia mosso alla volta di Genova per sostenere la squadra della propria città, sembrando per un giorno una tifoseria di serie A. L’altro evento invece è la magia della notte del 3

settembre, dove tutto si ferma per un instante, come se si fosse sospesi in un limbo mistico, e il popolo è unito in un’unica frase, “semo tutti de ‘n sentimento”, ed è proprio in quel momento che ogni cittadino sente ben radicata dentro di sé la propria viterbesità.

Leonardo Santini, V A Classico