benjamin

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Benjamin Walter. L'arte è morta? Chissà. Per ora, prendiamola con ironia... Torna il famoso saggio di Walter Benjamin sulla riproducibilità tecnica con uno scritto di Massimo Cacciari che ci spiega la sua attualità sopratutto rispetto a una creatività contemporenea sempre più "comica", dal Pop a Cattelan come aveva profetizzato Hegel. Milano. Nel 1934, sei anni prima di uccidersi al confine franco-spagnolo per sfuggire alla Gestapo, Walter Benjamin pronunziò a Parigi la conferenza intitolata L'autore come produttore. Regolato sull'orologeria della battaglia antifascista, sulle sue urgenze, il testo si interrogava su come intellettuali e artisti potessero riconvertire a un pronto uso rivoluzionario le macchine. Cioè, in senso largo, i nuovi mezzi capitalistici di comunicazione e produzione culturale: stampa, radio, fotografia... Lo stesso teatro, "che invece di entrare in concorrenza con i moderni strumenti" dovrebbe "applicarli e imparare da essi". Se non altro per spezzare la divisione del lavoro, forare la diga che separa autore e pubblico. Tra guardinghe spinte utopiche - che l'effimera esperienza proto- sovietica dell'"arte socializzata" aveva galvanizzato, ma che il patto Hitler-Stalin del '39 avrebbe presto raso al suolo - in Benjamin si andava precisando l'idea che, nella grande mobilitazione moderna, a fare arte non è più, o è sempre meno, "il soggetto quanto piuttosto l'apparato tecnico" ricorda Massimo Cacciari: "O l'arte si immerge totalmente nel sistema dell'innovazione oppure cessa di avere un significato". Riparandosi in forme consolatorie, passatiste, contemplative. O viceversa attivamente reazionarie: come quelle che, a suo tempo, Benjamin riconosceva nella movenza futurista, con la sua estetizzazione "fascista" della macchina-nuova bellezza. Tendenza che oggi sembra prolungarsi, ma in versione postpolitica, in quei linguaggi creativi che vibrano acriticamente al brivido di ogni pseudonovità tecnologica. L'artista moderno sa che se vuol essere riconosciuto "i suoi prodotti non possono che apparire nella forma di merce". Ma in Benjamin permane - "come possibilità reale o speranza" - la scommessa che "proprio in quanto perfettamente collocato nel sistema di produzione", l'autore-produttore possa "opporsi al suo "uso" capitalistico". Una visione (un'utopia?), questa del dirottamento politico-rivoluzionario della macchina, "che risale a Marx, o meglio è riconducibile a una certa lettura di Marx alla quale Benjamin si richiamava, come il suo amico Brecht" spiega Cacciari negli spazi dell'università milanese Vita-Salute. Questi ed altri temi vengono criticamente ripercorsi nel Produttore malinconico, il suo ultimo saggio che apre la nuova edizione del più famoso e controverso fra i testi di Benjamin: quello sull'Opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (Einaudi, pp. 100, euro 8). Fu scritto nel 1935 e più volte rimaneggiato. Ora viene riproposto in una versione infine filologica, corredata di note e varianti, a cura di Francesco Valagussa. Col suo tono didascalico, assertivo, militante - in apparenza così distante dall'ipnotica complessità di tante altre pagine benjaminiane - il lavoro sull'opera riproducibile ha generato parecchi fraintendimenti. Lo si è potuto scambiare per un'entusiastica apologia avanguardista dell'Arte tecnicizzata di massa e delle sue "nuove Muse: fotografia e cinema" (seriali nel loro dna; non esiste l'esemplare originale di un film), in contrapposizione "all'espressione artistica tradizionale", quella - legata ai valori accademico-museali di unicità, irripetibilità, genio, mistero - che Benjamin condensò, notoriamente, nel concetto di "aura". Persino l'amico T.W. Adorno - che pure ne aveva caldeggiato il progetto - ebbe da eccepire sullo stile del saggio, annusandovi l'influsso, a suo giudizio malefico, del radicalismo brechtiano. Ma, per Cacciari, nelle riflessioni benjaminiane non pulsa nessuna "esaltazione apologetica", nessuna euforia progressista, nessun ottimismo tecnologico. A dominare è piuttosto la malinconia. Da non intendersi come piega nostalgico-sentimentale, ma come sofferta lucidità analitica di fronte alla moderna "crisi del fatto artistico e dell'arte in quanto tale". Anche per questo, il testo sull'epoca della riproducibilità riesce incomprensibile se astratto da quel gigantesco cantiere che fu l'incompiuto magnum opus benjaminiano sulla metropoli - Parigi Capitale del XIX secolo - e sul suo eroe-campione Charles Baudelaire, drammaticamente in bilico fra vecchio e nuovo, individualismo e massificazione. La metropoli dei passages - le gallerie commerciali - , dei grandi magazzini, delle Esposizioni Universali, è

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  • Benjamin Walter. L'arte morta? Chiss. Per ora, prendiamola con ironia...Torna il famoso saggio di Walter Benjamin sulla riproducibilit tecnica con uno scritto di Massimo Cacciari che cispiega la sua attualit sopratutto rispetto a una creativit contemporenea sempre pi "comica", dal Pop a Cattelancome aveva profetizzato Hegel.

    Milano. Nel 1934, sei anni prima di uccidersi al confine franco-spagnolo per sfuggire alla Gestapo, Walter Benjamin pronunzi a Parigi la conferenza intitolata L'autore come produttore. Regolato sull'orologeria della battaglia antifascista, sulle sue urgenze, il testo si interrogava su come intellettuali e artisti potessero riconvertire aun pronto uso rivoluzionario le macchine. Cio, in senso largo, i nuovi mezzi capitalistici di comunicazione e produzione culturale: stampa, radio, fotografia... Lo stesso teatro, "che invece di entrare in concorrenza con i moderni strumenti" dovrebbe "applicarli e imparare da essi". Se non altro per spezzare la divisione del lavoro, forare la diga che separa autore e pubblico. Tra guardinghe spinte utopiche - che l'effimera esperienza proto-sovietica dell'"arte socializzata" aveva galvanizzato, ma che il patto Hitler-Stalin del '39 avrebbe presto raso al suolo - in Benjamin si andava precisando l'idea che, nella grande mobilitazione moderna, a fare arte non pi, o sempre meno, "il soggetto quanto piuttosto l'apparato tecnico" ricorda Massimo Cacciari: "O l'arte si immerge totalmente nel sistema dell'innovazione oppure cessa di avere un significato". Riparandosi in forme consolatorie, passatiste, contemplative. O viceversa attivamente reazionarie: come quelle che, a suo tempo, Benjamin riconosceva nella movenza futurista, con la sua estetizzazione "fascista" della macchina-nuova bellezza. Tendenzache oggi sembra prolungarsi, ma in versione postpolitica, in quei linguaggi creativi che vibrano acriticamente al brivido di ogni pseudonovit tecnologica.

    L'artista moderno sa che se vuol essere riconosciuto "i suoi prodotti non possono che apparire nella forma di merce". Ma in Benjamin permane - "come possibilit reale o speranza" - la scommessa che "proprio in quanto perfettamente collocato nel sistema di produzione", l'autore-produttore possa "opporsi al suo "uso" capitalistico". Una visione (un'utopia?), questa del dirottamento politico-rivoluzionario della macchina, "che risalea Marx, o meglio riconducibile a una certa lettura di Marx alla quale Benjamin si richiamava, come il suo amico Brecht" spiega Cacciari negli spazi dell'universit milanese Vita-Salute. Questi ed altri temi vengono criticamente ripercorsi nel Produttore malinconico, il suo ultimo saggio che apre la nuova edizione del pi famoso e controverso fra i testi di Benjamin: quello sull'Opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilit tecnica (Einaudi, pp. 100, euro 8). Fu scritto nel 1935 e pi volte rimaneggiato. Ora viene riproposto in una versione infine filologica, corredata di note e varianti, a cura di Francesco Valagussa.

    Col suo tono didascalico, assertivo, militante - in apparenza cos distante dall'ipnotica complessit di tante altre pagine benjaminiane - il lavoro sull'opera riproducibile ha generato parecchi fraintendimenti. Lo si potuto scambiare per un'entusiastica apologia avanguardista dell'Arte tecnicizzata di massa e delle sue "nuove Muse: fotografia e cinema" (seriali nel loro dna; non esiste l'esemplare originale di un film), in contrapposizione "all'espressione artistica tradizionale", quella - legata ai valori accademico-museali di unicit, irripetibilit, genio, mistero - che Benjamin condens, notoriamente, nel concetto di "aura". Persino l'amico T.W. Adorno - che pure ne aveva caldeggiato il progetto - ebbe da eccepire sullo stile del saggio, annusandovi l'influsso, a suo giudizio malefico, del radicalismo brechtiano. Ma, per Cacciari, nelle riflessioni benjaminiane non pulsa nessuna "esaltazione apologetica", nessuna euforia progressista, nessun ottimismo tecnologico. A dominare piuttosto la malinconia. Da non intendersi come piega nostalgico-sentimentale, ma come sofferta lucidit analitica di fronte alla moderna "crisi del fatto artistico e dell'arte in quanto tale". Anche per questo, il testo sull'epoca della riproducibilit riesce incomprensibile se astratto da quel gigantesco cantiere che fu l'incompiuto magnum opus benjaminiano sulla metropoli - Parigi Capitale del XIX secolo - e sul suo eroe-campione Charles Baudelaire, drammaticamente in bilico fra vecchio e nuovo, individualismo e massificazione.

    La metropoli dei passages - le gallerie commerciali - , dei grandi magazzini, delle Esposizioni Universali,

  • apoteosi del capitale, della forma-merce che si fa forma di vita, del denaro che rende ogni cosa equivalente, qualitativamente "indifferente"; ma, per le stesse ragioni, la grande citt anche il momento che innesca la contraddizione-lavoro, la lotta di classe, la rivolta. Perci, l'artista moderno o metropolitano - e si carica di tutti questi contrasti - oppure non . Sottolinea Cacciari: "Per Benjamin, la metropoli ancora la stella che orienta tutta la vita sociale e politica". Nel guado della razionalizzazione tecnica, " ancora un luogo di passioni calde. Di corpi. Come quello, concreto, di Baudelaire che incarna le mutazioni del proprio tempo ma insieme le soffre con angoscia, soffocamento. Per Benjamin la metropoli resta pur sempre quella dove la massa genera la classe operaia, dove ci si rivolta contro un certo tipo di vita. Oggi per quella metropoli non esiste pi. esplosa" registra Cacciari.

    In un altro suo saggio recente, La citt (Pazzini editore), la post-metropoli attuale inseguita come "delirio", cio continua cancellazione dei vecchi confini urbani. Quelli della citt fordista, strutturata secondo le esigenze di produzione industriale e scambio del vetero-capitalismo, e ancora progettabile, pianificabile. Mentre oggi "la citt ovunque. Quindi non c' pi. Si trasformata in citt-territorio" e "non dunque programmabile". Un monstre. "Questo il dramma di tutti gli architetti e gli urbanisti" contemporanei. Fuori da ogni retorica sociologizzante sulle neo-metropoli liquide, dalle incessanti metamorfosi (un'ex area industriale che adesso un'universit e domani sar centro commerciale...) - la nuova forma della citt secondo Cacciari: "un unico processo di dissoluzione di ogni identit urbana". Una dinamica che, obbedendo alla razionalit globale del nuovo turbo-capitalismo, si rivela, allo stato, razionalmente ingovernabile. "Oggi non sembrano esserci politiche in grado di governare efficacemente i territori" dice l'ex-sindaco di Venezia. "I problemi - basti pensare al pi imponente: quello ecologico - potranno essere affrontati solo a livello sovracomunale, sovrastatuale, sovranazionale". Ma dirne di pi adesso sarebbe strologare. Quel domani terra incognita, "Hic sunt leones" sorride Cacciari.

    La crisi del fatto artistico sta annodata a queste trasformazioni. Nel saggio su Benjamin, Cacciari la ricostruisce nel quadro della "morte dell'arte" decretata da Hegel. "Uno "slogan" che stato spesso equivocato". Non era infatti un referto medico-legale sul decesso di ogni pratica artistica, ma - semplificando - esprimeva l'idea che l'arte nuova sarebbe stata sempre pi concettuale, mentale. Linguaggio dell'ironia, dell'indagine, della critica. "Per in Hegel l'opera moderna ancora frutto dell'artista-genio". Del grande individuo. "Mentre Benjamin fa unpasso avanti e incorpora la creativit nell'apparato tecnico-produttivo del mondo contemporaneo. Epper Benjamin pur sempre Novecento - grandissimo Novecento. E ha ancora in mente la centralit della fabbrica. Ma al suo autore come produttore ormai subentrato da tempo l'artista come mercante". Centrale il mercato. "Che non ha alcuna accezione spregiativa" precisa Cacciari, "ma designa una dimensione in cui, ancor prima che merci, quel che va prodotto il loro consumo". Chiave per afferrare il funzionamento di questo mercato la moda - ai cui dispositivi Benjamin annetteva non a caso un'importanza fondamentale. "Infatti che cos' la moda" commenta Cacciari, "se non quella forma di produzione che ogni giorno deve inventarsi, produrre il proprio consumatore? L'artista-mercante sta interamente dentro a questo assetto, dentro il "Sistema della Moda" - come lo chiamava Barthes". Un sistema dove tutto dev'essere novit, attualit, e dunque nulla lo . "La moda non altro che l'eterno ritorno del nuovo" scriveva Benjamin. Un prestissimo. Che nell'arte contemporanea crea valore allo stesso ritmo con cui lo brucia. "Perci trovi, che so, il cinese di trent'anni che vende opere a tre milioni di euro e fra sei mesi tutti si son dimenticati di lui". Quelli dell'arte "sono ormai apparati produttivi in piena regola: per promuovere un artista devi mettere in piedi una struttura pari a quella che serve per lanciare un'auto o un vestito".

    A questa ipermercificazione corrisponde un'estetica del comico, "che - come preconizzato, ancora, da Hegel - diviene categoria essenziale del Moderno. Indispensabile per capire l'arte dal Pop in poi". Senonch, rispetto ai tempi del Ready made ("dove sopravvive un residuo di soggettivit perch a mostrarti che l'arte ormai un prodotto sono pur sempre Io, l'Artista"), il comico si ormai spersonalizzato. Declinandosi sempre pi massicciamente nei linguaggi "dell'indifferenza. Dell'assoluta interscambiabilit fra immagini, merci equivalenti, nell'orizzonte della comunicazione globale. l'arte che vediamo a Palazzo Grassi, a Punta della Dogana". Un'arteche spogliandosi di ogni soggettivit "ci si presenta nuda e perci ci fa ridere". Ma, occhio: "non un giochetto: una testimonianza decisiva del nostro essere sociale". Testimonianza che "artisti come Cattelan, ad esempio,

  • interpretano con grande intelligenza".

    E gli architetti in tutto questo? "L'enfasi sulle cosiddette archi-star la capisco fino a un certo punto" dice Cacciari."Fanno aeroporti, stazioni, grattacieli, ma non sono loro a decidere il nostro paesaggio". Che, intanto, resta ingovernabile far west "da cento milioni di ville e villette". Una Brianza infinita.

    Walter Benjamin: ieri, oggi e (speriamo) domaniE molto meritoria la pubblicazione da parte di Einaudi del pi noto lavoro di Walter Benjamin Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, traduzione di Enrico Filippini, la cura e le note di Francesco Valagussa e Con un saggio di Massimo Cacciari.

    Il merito maggiore quello di riproporre un testo che entrato nella leggenda e nel citazionismo generalizzato che spesso basato su interpretazioni pi o meno corrette piuttosto che sulla lettura. Editarlo ad un prezzo molto basso (euro 8 pagg. 154) , da collana economica (nonostante il lavoro attento e profondo che lo ha generato e senzaltro motivato) da considerarsi un ulteriore merito; il lettore ha dunque in un agile volumetto tutti gli strumenti essenziali per farsi unidea compiuta e ragionata sulleffettivo contenuto di unopera cos famosa e cos, come vedremo fraintesa perch in pochi lhanno effettivamente letta.

    Come lo stesso Massimo Cacciari afferma, magari al fine di mettere in guardia il lettore dalla sua inevitabile delusione, questopera cos esaltata ormai da generazioni, appare nullaltro che un coacervo, (in quanto neppure ben organizzato), di vere e proprie banalit e di considerazioni superficiali ed anche propriamente errate, sino allimbarazzo, senza neppure la giustificazione, per lautore, di non aver ancora potuto metabolizzare limpatto dei nuovi mezzi come il cinema e la fotografia che allepoca si erano gi affermati e la cui effettiva valenza era ormai chiara almeno allo stesso modo in cui lo oggi.

    Lopera si rivela proprio per quello che era e rimane, e cio una specie di manuale ad uso di un attivismo militante di stampo marxista, Marx che sicuramente Benjamin, come purtroppo moltissimi altri, troppi, non aveva per niente capito o voluto capire. E per chiarire il nostro pensiero sul punto ricordiamo che fu proprio lo stesso Marx, sarcasticamente, ci tenne a dichiarare di non essere marxista, al fine di prendere nettamente le distanze da certi esegeti che si impossessarono indebitamente del suo pensiero e si definirono marxisti.

    Niente di pi errato dunque e su questo errore, oggi nullaltro che vecchio pregiudizio, lo si ritrova in questo saggio. Neppure Massimo Cacciari, nel suo scritto che giustamente stato pubblicato dal curatore come saggio a parte e non come presentazione, sembra aver superato questo pregiudizio ed anzi, per cos dire, rincara la dose sia sulla valenza degli strumenti quali fotografia e cinema, sia sulla moda, sia addirittura attualizzando al contemporaneo la definizione di artista produttore nata con Benjamin: lartista, essendo un produttore deve confrontarsi sul mercato per trarne la sua stessa esistenza e per dimostrare il suo valore.

    Non per nulla Cacciari intitola il suo saggio Il produttore malinconico, riferito per un verso alla nota ammirazione di Benjamin per Baudelaire, quel Benjamin che avendo vissuto a Parigi per alcuni anni, si riconosceva nel suo flaneur a passeggio nelle strade di quella citt , e per altro verso allaltra opera di Benjamin, Lautore come produttore. E lo stesso Cacciari che ci invita dunque a leggere Lopera come se fosse altro e ci mette in guardia da banalizzazioni e fraintendimenti avvertendoci che Non c dubbio che il timbro stesso del saggiocos perentorio e didascalico, facilita fraintendimenti di questo genere; e tuttavia esso va inquadrato in quella teoria della conoscenza e del progresso che innerva lintero, grande progetto del Passagen-Werk: nessuna connessione causale tra economia e cultura; la relazione di tipo espressivo;la cultura non rispecchia, la struttura economico sociale. Espressione significa,s, connessione necessaria, ma anche comprensione interpretante, dove rappresentante e rappresentato si condizionano reciprocamente, scambiandosi

  • spesso anche le parti. (!).

    Noi interpretiamo questo passaggio come una, quanto meno, forzata giustificazione del contenuto didascalico de Lopera che oltre ad essere irrimediabilmente datata per di pi elementarmente strumentale a quella specifica interpretazione della causa politica.

    Tornando al testo di Benjamin, detto quanto sopra, appare pi chiaro il suo intento nel presentare lartista come mero produttore che si vede scalzato nel suo gi a lui noto inutile lavoro, dagli strumenti nuovi come la fotografia ed il cinema che farebbero meglio di lui. Lopera darte verrebbe praticamente smascherata e perderebbe definitivamente lo schermo di quellaura datale dallhic et nunc che secondo Benjamin la connota e la deve connotare.

    E ovviamente mette in contrasto dialettico questi nuovi mezzi con il teatro. L s che, secondo Benjamin si stabilisce tra attore e pubblico quellempatia-simpatia proprie dellaura. Nel cinema essa scompare in quanto costituito da una serie di scene spezzate nelle quali lattore non ha rapporto alcuno con il pubblico. E con lunit dellopera.

    Ma facile osservare che nel teatro lopera non la sua rappresentazione, come nel cinema non costituita dalla singole scene ma dallidea unitaria volta per volta di chi scrive il testo, se c, comunque dalla sceneggiatura, dallintenzione del regista e a volte, lo sappiamo bene, del montatore. Lo stesso dicasi della fotografia: lopera ed il suo contenuto artistico sono il vedere del fotografo e non certo dal suo banale guardare.

    Non sono equivoci questi, ma considerazioni ovvie che Benjamin aveva tutti gli strumenti per fare e che non ha fatto o non ha voluto fare. Il perch presto detto. Gli interessava solo dimostrare che lartista un mero produttore, inserito come altri produttori nel meccanismo del mercato. La nuova arte, cos ridefinita, sarebbepoi stata funzionale ad altri scopi.

    Problema, quello dellattacco allarte per gestirla ad altri scopi, che purtroppo attualissimo ed legato a quella interpretazione strumentale di Marx detta, come visto sopra, marxismo. Trattasi di pura questione relativa alla presa e alla conservazione del potere; basta riflettere a cosa sta accadendo in Cina ad Ai Weiwei e a come viene trattato ed usato lartista nel sistema capitalistico e a come lo stato nei sistemi totalitari storici.

    Una sottospecie di questo modo di intendere larte, nel quale anche Cacciari si riconosce insieme a Benjamin (dietro il paravento di Simmel), quello di equipararla alla moda. Questo per ricordare anche in quali ambiti di oscillazioni Benjamin si dibatte per dimostrare una tesi precostituita, attraverso passaggi dal religioso al magico, dal rituale alla tecnica e appunto alla moda. Larte insomma per Benjamin sempre qualcosa di altro finendo cosper non esistere.

    Significativa in questa ovvia mancanza di filo conduttore che non sia la tesi precostituita ad uso della manualisticarivoluzionaria (meglio dire reazionaria) cosa che emerge dalla lettura della nota 31 alle pagg. 47 e 48. Si tratta in sintesi della riprova della volont di arrivare alla liquidazione dellarte e dellartista in funzione di un fine.

    Non possiamo a questo punto chiudere senza ringraziare Francesco Valagussa. Nelle sue Note e nella sua Nota introduttiva c lunico grande merito di questo volume. I meriti che secondo noi hanno gli altri, Benjamin e Cacciari, sono determinati dalla implacabile incombenza in tutte le azioni delluomo della eterogenesi dei fini.

    La fiamma e la cenere. Su Walter Benjamin (I)1. Tra il 1924 e il 1925 Benjamin pubblica, sulla rivista Neue Deutsche Beitrge diretta da Hofmannsthal, un

  • saggio sulle Affinit elettive di Goethe che resta, tra tutti i suoi lavori, uno dei pi impegnativi e penetranti. Il testo si apre con una riflessione di ordine metodologico che inerisce in particolare alla distinzione tra due modi diavvicinamento allopera letteraria, la critica e il commento. Anzich alimentare la confusione, ancor oggi corrente,tra queste forme, Benjamin procede non solo sceverando luna dallaltra ma anche additando, per ciascuna di esse, un differente oggetto conoscitivo: La critica cerca il contenuto di verit di unopera darte, il commentario il suo contenuto reale(1). Tuttavia, proprio nel loro aver di mira aspetti diversi dellopera, i due modi di considerarla non risultano tali da escludersi a vicenda, ma si danno anzi come idealmente complementari. Inoltre,secondo Benjamin, nella durata storica dellopera il contenuto reale e questo soltanto si fa pi appariscente, sicch diviene necessaria una sua ricognizione preliminare; il commento si trova dunque a dover precedere la critica, e le due forme appaiono come idealmente successive.

    Questi due tempi dellindagine nei riguardi dellopera vengono illustrati, nella loro logica interna, attraverso unimmagine. Si tratta di una circostanza frequentissima in Benjamin, che non solo predilige questo particolare procedimento (che si pu chiamare, in senso ampio, metaforico), ma tende ad affidarsi a esso nellenunciazione dei punti salienti del proprio discorso(2). Scrive Benjamin: Si pu paragonare il critico al paleografo davanti a una pergamena il cui testo sbiadito ricoperto dai segni di una scrittura pi forte che si riferisce ad esso. Come il paleografo deve cominciare dalla lettura di questultima, cos il primo atto del critico ha da essere il commento(3). Possiamo cominciare a riscontrare qui verificando quello che probabilmente un dato ricorrente in relazione allimpiego della metafora nei testi filosofici e saggistici in genere che limmagine evocatanon si propone come semplice illustrazione di un concetto gi espresso altrimenti, ma ha una sua propria portataconoscitiva, in quanto comunica implicitamente qualcosa di pi, o qualcosa di diverso, rispetto a ci che sembrava, in prima istanza, dover significare(4). Se critica e commento apparivano finora, nellesposizione benjaminiana, come forme assiologicamente equivalenti, la metafora paleografica suggerisce forse una situazione differente. Dei due testi che il decifratore si trova a prendere in esame, il pi importante sembra essere quello sbiadito (corrispondente al contenuto di verit dellopera); la lettura comincia da quello pi forte (immagine del contenuto reale) solo per ragioni tecniche, e perch esso si riferisce allaltro, ne parla sovrapponendovisi e contribuendo forse a renderlo illeggibile. Cos al commento spetta essenzialmente il compito di preparare il terreno alla critica. Il decorso storico, che scinde i due contenuti, rende pi cospicuo il lavoro preparatorio del commentatore, ma, liberando il contenuto di verit dalle tracce del contenuto reale, aumenta nel contempo la capacit di penetrazione, lacuit di visione, da parte del critico.

    La differenza tra lottica critica e quella commentatoria viene evidenziata attraverso il ricorso ad una nuova immagine, anche pi significativa, quella del rogo: Se si vuol concepire, con una metafora, lopera in sviluppo nella storia come un rogo, il commentatore gli sta davanti come il chimico, il critico come lalchimista. Se per il primo legno e cenere sono i soli oggetti della sua analisi, per laltro solo la fiamma custodisce un segreto, quello della vita. Cos il critico cerca la verit la cui fiamma vivente continua ad ardere sui ceppi pesanti del passato e sulla cenere lieve del vissuto(5). In queste parole di Benjamin si accentua e precisa il divario tra il conoscere del critico e quello del commentatore: luno appare impegnato a cogliere la verit vivente, la fiamma, mentre laltro non coglie che la verit spenta, raggelata, il legno e la cenere. Limportanza di questa immagine non sta solo nel fatto che essa suggerisce nuovamente un certo privilegio del sapere esoterico del critico nei riguardi di quello, meno profondo, del commentatore, ma in un ulteriore spostamento che si viene a determinare rispetto alle premesse benjaminiane. Se i due metodi di lettura venivano presentati inizialmente come complementari, e anzi tali da poter essere applicati successivamente dal medesimo interprete, non si pu dire che ci trovi conferma nelpasso in esame. Al contrario, chiamando in causa le due figure dellalchimista e del chimico, il cui operare appare fondato su modelli epistemologici differenti, la metafora sembra implicare piuttosto che anche quelli del critico e del commentatore possono rivelarsi come due atteggiamenti tendenzialmente alternativi, e comunque non agevolmente conciliabili.

    Proseguendo questi rapidissimi prelievi da un testo che, per la sua ricchezza e complessit, meriterebbe unindagine molto pi approfondita, ci soffermeremo ora su un altro passaggio essenziale, che chiarisce con maggiore precisione il modo in cui, per Benjamin, si configura il rapporto tra contenuto reale e contenuto di verit. Non parr, a questo punto, singolare la circostanza che anche in questo caso il discorso dellautore trovi

  • espressione in forma metaforica. Decisivo appunto che il contenuto o il valore di una cosa non si presenta maicome deducibile da essa, ma va piuttosto concepito come il sigillo che essa costituisce. Come la forma di un sigillo indeducibile dalla materia della cera, indeducibile dallo scopo della chiusura, indeducibile perfino dallo strumento, dove concavo ci che l convesso, come comprensibile solo da chi abbia avuto lesperienza del sigillo, ed evidente solo a chi conosce il nome cui le iniziali accennano soltanto, cos il contenuto della cosa non sipu dedurre n dalla conoscenza della sua costituzione, n dalla scoperta della sua destinazione, e neppure dal presentimento del contenuto, ma si pu intendere solo nellesperienza filosofica del suo conio divino, ed evidente solo allintuizione beata del nome divino. Cos la piena conoscenza del contenuto reale delle cose durevoli coincide in definitiva con quella del loro contenuto di verit. Il contenuto di verit si rivela come il nocciolo stesso del contenuto reale. E tuttavia la loro distinzione e insieme ad essa quella fra commentario e critica delle opere non superflua(6). La metafora del sigillo, che gode di una lunga fortuna in ambito filosofico(7), chiamata qui a sostenere unasserzione che pu apparire paradossale: non dalle cose stesse che possibile dedurre il loro contenuto o il loro valore. Da che cosa, dunque, lo si dedurr? Prima di rispondere, Benjamin chiama in causa lidea dellimpronta lasciata dal sigillo, imprevedibile, nella sua forma, per chi si limiti a considerare separatamente lo strumento usato per sigillare, la materia su cui lo si applica o il fine delloperazione; prevedibile e comprensibile, invece, per chi abbia gi verificato gli effetti dellazione eseguita e, ancor meglio, sia in grado di completare mentalmente il nome di cui il sigillo non offre che labbreviazione. La metafora, particolarmente complessa, sembra quasi costruita in funzione delle enunciazioni teoriche successive, alle quali dunque prepara il terreno. Il contenuto della cosa, sostiene in sintesi Benjamin, si pu intendere solo nellesperienza filosofica del suo conio divino, ed evidente solo allintuizione beata del nome divino. Per comprendere questa osservazione, in cui vediamo affacciarsi una dimensione teologica del discorso rimasta fin qui sottintesa, occorre rifarsi alla teoria benjaminiana del linguaggio, quale emerge in primo luogo nel fondamentale saggio del 1916 Sulla lingua in generale e sulla lingua delluomo(8).

    In questo testo viene esposta una concezione della lingua che si differenzia sia da quella (definita borghese) che attribuisce alla parola un carattere immotivato e convenzionale, sia almeno in prima istanza da quella (definita mistica) che vede invece nellespressione verbale lessenza della cosa. Per Benjamin le cose, luomo e Dio partecipano della lingua, sia pure in modi e a livelli assai diversi. Le cose sono s mute, ma da esse sirraggia, in una tacita e magica comunicazione, un residuo della parola divina. Spetta alluomo tradurre questa lingua silenziosa, non solo in suoni ma, cosa ben pi rilevante, in nomi. Egli essenzialmente un datore dei nomi, e proprio da ci vediamo che parla da lui la pura lingua: il nome, infatti, lessenza pi intima della lingua, ci in cui essa non comunica pi nulla, ma si comunica. Se luomo ha un tale potere di nominare, che poi anche un compito e unespressione della sua propria essenza spirituale, perch lo ha ricevuto direttamente da Dio. questo ci che emerge da alcuni passi della Genesi, che Benjamin dichiara di non voler propriamente interpretare, n porre come verit rivelata alla base della sua riflessione, ma solo esaminare per ci che ne risulta in rapporto alla natura della lingua. Da essi si desume che Dio ha fatto s che nella lingua umana, e pi precisamente nel nome, splenda un riflesso del verbo creatore, e che proprio alluomo sia affidata la responsabilit di compiere, nominando le cose, lopera divina: La creazione di Dio si completa quando le cose ricevono il loro nome dalluomo, da cui nel nome parla solo la lingua(9). Ma a chi rivolto questo movimento per cui la lingua si comunica, sia nel nome delle cose che in quello, ancor pi prossimo al verbo creatore, che luomo d a se stesso, vale a dire il nome proprio? Evidentemente a Dio, termine ultimo dellintero processo. Certo, dopo la caduta, lunica lingua paradisiaca, che conosceva perfettamente le cose nel nome, si prepara a cedere il passo al pluralizzarsi delle lingue (sancito ufficialmente con lepisodio biblico di Babele), e le cose, non pi nominate ma iperdenominate nei molteplici idiomi umani, sembrano chiudersi in un nuovo e pi triste mutismo. Tuttavia il processo non si arresta, e ancora scrive Benjamin il fiume ininterrotto di questa comunicazione scorre attraverso tutta la natura, dallinfimo esistente fino alluomo e dalluomo a Dio(10).

    proprio questidea del linguaggio affine, per certi aspetti, al pensiero di un autore settecentesco come Johann Georg Hamann(11) o, su un altro versante culturale, alle elaborazioni teoriche della mistica ebraica(12) che fa probabilmente da sfondo alla metafora del sigillo e allo svolgimento filosofico che ne deriva. In particolare, lenigmatico nome divino, la cui beata intuizione rende evidente il contenuto della cosa, andr

  • dunque inteso come il nome che Dio ha impresso su di essa e che luomo (sia pure in modo assai meno agevole, dopo la cacciata dallEden e dopo Babele) pu ancora tentare di intravedere.

    Ma lintuizione del nome mostra altres che la piena conoscenza del contenuto reale delle cose durevoli coincide in definitiva con quella del loro contenuto di verit; anzi, il contenuto di verit si rivela come il nocciolo stesso del contenuto reale. Ci non comporta, come potrebbe sembrare, un annullarsi della distinzionefra i due contenuti, e neppure quindi come precisa Benjamin di quella fra commentario e critica delle opere.Al massimo livello di intendimento dellessenza linguistica della cosa, conoscere il contenuto reale significa gi, incerto modo, conoscere anche il contenuto di verit: ma non perch se ne scopra la coincidenza, tanto vero che luno si rivela pur sempre come il nocciolo dellaltro. In questa nuova immagine, che torna ad opporre interno ed esterno, profondit e superficie, gi implicita lidea del permanere dei due metodi conoscitivi della critica e del commento. In altri termini, se anche il processo critico e quello commentatorio possono pervenire al medesimo risultato, ci non annulla n la diversit dei percorsi seguiti n il fatto che essi tendessero inizialmente a raggiungere oggetti teorici distinti.

    Tuttavia resta sempre possibile formulare lipotesi che il critico e il commentatore, divisi quanto a procedimenti e obiettivi specifici, siano uniti almeno in un punto: nella rinuncia a considerare la bellezza dellopera come un semplice involucro, dietro cui si celi ci che davvero essenziale. Quando, nella parte finale del saggio su Goethe, Benjamin torna a parlare della critica, lo fa attribuendole unattitudine che probabilmente, ai suoi occhi, si riscontra a fortiori anche nel commento (che appunto perci non viene pi chiamato esplicitamente in causa): Di fronte a tutto ci che bello, lidea del disvelamento diventa quella della sua indisvelabilit. Essa lidea della critica. La critica non deve sollevare il velo, quanto piuttosto attraverso lesatta conoscenza di esso come velo sollevarsi, solo cos, alla vera intuizione del bello. Allintuizione che non si dischiuder mai alla cosiddetta immedesimazione, e solo imperfettamente alla pi pura contemplazione dellingenuo: allintuizione del bello come segreto(13). solo in questo venir meno dellillusione di poter svelarela bellezza dellopera, in questo impegno a custodirne il segreto, che la concordia discors di critica e commento pu forse trasformarsi in uneffettiva unit.

    2. Gi alcuni anni prima di accingersi a scrivere il saggio goethiano, Benjamin aveva colto loccasione offerta dalla tesi di laurea per affrontare dei problemi di ordine metodologico. La sua dissertazione verteva infatti sul modo in cui la nozione di critica si configura nel pensiero dei romantici tedeschi(14). Per lautore non si trattava di condurre unindagine storico-letteraria, bens di attuare una ricerca di natura pi specificamente filosofica, muovendo dal presupposto che il concetto romantico di critica poggia interamente su premesse gnoseologiche(15).

    Il lavoro benjaminiano, che si incentra in particolare sulle posizioni teoriche di Friedrich Schlegel e Novalis, intende evidenziare come esse si fondino sullidea desunta da Fichte(16) ma ampiamente rielaborata e potenziata di riflessione. Questultima va intesa essenzialmente come autoriflessione, e assume dunque la forma di un pensiero intento a pensare, in un processo infinito, se stesso. Una tale infinit della coscienza, che Fichte aveva rifiutata, proprio ci che affascina i romantici; per essi, non appena si ha pensiero del pensiero, cio riflessione, nasce subito la possibilit di un pensiero che pensi la riflessione stessa, e cos via, attraverso una serie crescente di gradi di intelligibilit che conduce fino alla pi alta chiarezza nellassoluto(17). In tal modo, ben lungi dallo smarrirsi in un labirinto di specchi, il pensiero perviene ad abbracciare progressivamente la totalit del reale.

    Pur senza voler attribuire le caratteristiche di un compiuto sistema filosofico alle teorie dei romantici, Benjamin le ritiene tuttavia determinate da orientamenti e nessi sistematici(18). Ci vale in particolare per le concezioni di Friedrich Schlegel, a dispetto della loro stessa modalit di espressione, non di rado legata alla formadel frammento. Nel periodo, breve ma decisivo, in cui Schlegel d vita con un ristretto numero di collaboratori alla rivista Athenum (1798-1800), al centro dei suoi scritti sta, a parere di Benjamin, lidea che lassoluto sia il sistema nella forma dellarte, ovvero che larte svolga la funzione di medium della riflessione(19). Che nello stesso ruolo possano sostituirsi a quello di arte altri concetti (come quelli di genio, ironia, storia, ecc.) non il

  • sintomo di unincertezza sul piano teorico, ma un indizio della propensione schlegeliana allimpiego di una terminologia che tenti di chiamare per nome il sistema, cio di afferrarlo in un concetto mistico e individuale(20).

    Anche il termine critica rappresenta un caso esemplare di terminologia mistica(21), giacch in questambito esso acquista un valore esoterico, non rinviando esclusivamente alla critica darte, ma, pi in generale, ad un pensiero produttivo autoconsapevole, e dunque (nel senso sopra indicato) riflettente. Per i romantici, infatti, il processo riflessivo la cellula germinale di ogni conoscenza; ai loro occhi non esiste un oggetto inerte di cui il soggetto debba prendere conoscitivamente possesso, bens allopposto, secondo lespressione di Novalis, tutto ci che si pu pensare pensa a sua volta, e pensa precisa Benjamin se stesso(22). Ci non ostacola, come potrebbe sembrare, la possibilit di entrare in rapporto con laltro da s, in quanto i soggetti umani (ma anche i cosiddetti oggetti naturali, riconosciuti come pensanti) possono, con lelevarsi dei loro individuali processi riflessivi, incorporare senza fine, nella loro propria autocoscienza, altre essenze, altri centri di riflessione(23). Cade cos ogni rapporto rigido e univoco tra soggetto e oggetto e le singole unit riflettenti stabiliscono tra di loro una relazione interattiva di conoscenza e di potenziamento reciproci.

    Se al posto delloggetto in genere si pone il prodotto artistico, il risultato non cambia, sicch anche per la critica, intesa quale conoscenza dellarte nel medium della riflessione(24), valgono le stesse leggi. Come losservazione o lesperimento nelle scienze naturali hanno, secondo i romantici, il compito di destare lautoriflessione nelloggetto, cos la critica mette in atto un analogo processo nei riguardi dellopera. In tal senso si potrebbe anche dire, pi semplicemente, che la critica autoconoscenza dellopera(25). Questa autoconoscenza implica altres una autovalutazione, che tende per ad escludere del tutto il momento negativo del giudizio, privilegiando allopposto quello positivo del potenziamento, infinito, della coscienza. Il critico, che stimola ed eleva la riflessione interna allopera e assolutizza questultima rapportandola allinfinit dellarte, viene dunque ad assumere, come dice Novalis, il ruolo di autore ampliato, di istanza superiore che riceve la cosa gi elaborata dallistanza inferiore(26). Benjamin chiarisce questa posizione privilegiata assegnata allinterprete osservando che per i romantici la critica molto meno il giudizio su unopera, che non il metodo del suo compimento(27). Non vi quindi opposizione tra il lavoro del critico e quello del poeta, ma anzi, secondo le formulazioni schlegeliane, la poesia pu essere criticata solo con la poesia e la critica poetica [] vorr formare ancora una volta il gi formato, compir lopera, la ringiovanir, le dar una nuova forma(28). solo approfondendo e sistematizzando il momento riflessivo germinalmente presente nel prodotto artistico che il critico potr dare ad esso compimento, cos come solo ponendolo in rapporto con lidea dellarte che potr determinarne lidea specifica e individuale.

    Da tutto ci risulta fortemente ridotto il ruolo valutativo e giudicante che si soliti attribuire alla critica. Se infatti lopera criticabile, significa che contiene gi in s un nucleo riflessivo: verificarlo equivale allora a riconoscerle, sia pure implicitamente, un valore positivo. Ma se non lo , sar da ritenersi artisticamente irrilevante, e dunque di essa non si potr dire nulla, almeno in termini propriamente critici. Questa forma sommaria di giudizio, che si esprime attraverso la semplice selezione (non si d infatti, tra le opere riconosciute come criticabili, alcuna graduatoria interna di valori), non ha per i romantici un carattere soggettivo ma oggettivo,essendo in certo modo dettata dallopera stessa. A ci sembra far contrasto lapparente soggettivismo della criticaromantica, e pi in particolare il ricorso schlegeliano al concetto di ironia. Ma come in letteratura non vi solo unironizzazione soggettiva della materia, che tende ad esaltare la libert e larbitrio del poeta, bens anche unironizzazione oggettiva della forma, che mira a distruggere questultima a fini puramente artistici (Benjamin pensa in primo luogo alle commedie di Tieck e ai romanzi di Jean Paul), cos unanaloga ironia oggettiva si ritrovanella critica, che dissolve la forma per trasformare la singola opera nellopera darte assoluta(29).

    Per Schlegel, infatti, lidea dellarte ha un carattere individuale: essa non costituisce, ai suoi occhi, unastrazione dalle opere empiricamente incontrate, bens unidea in senso platonico, e dunque il fondamento reale di tutte le opere empiriche(30). Al fine di evitare la confusione tra astratto e universale, egli insiste sullindividualit dellidea al punto da sostenere, ad esempio, che tutte le poesie classiche degli Antichi

  • sono in relazione reciproca, indivisibili, formano un tutto organico, sono, qualora si osservi bene, una poesia sola,lunica nella quale la Poesia stessa si mostri perfetta. Analogamente, in una letteratura perfetta tutti i libri devono essere un libro solo(31). Benjamin riassume questa tesi mistica dicendo che per Schlegel larte stessa unopera, ovvero che lidea opera e anche lopera idea(32). Realizzare questa unificazione precisamente il compito che viene assegnato alla poesia romantica, la quale, al pari della critica, ha il suo fondamento nella riflessione, e appunto perci pu essere definita poesia trascendentale o poesia della poesia. Ma sarebbe erroneo intenderla in senso stretto, poich anzi per i romantici la forma poetica pi spirituale il romanzo(33), privilegiato proprio per il suo carattere ritardante e riflessivo. Non vi quindi opposizione fra prosa e poesia, ma al contrario si pu dire che lidea della poesia la prosa(34).

    Levidenziazione del prosaico legata a quel concetto della sobriet dellarte (della riflessione quale opposto dellestasi, della di Platone) che per Benjamin rappresenta unacquisizione essenziale, di grande importanza storica, da parte dei romantici. Su questo terreno si assiste anche ad una significativa convergenza con le teorie estetiche di un grande poeta coevo, Friedrich Hlderlin: lauspicio, formulato da questultimo, che la poesia possa tornare ad essere elevata al grado della degli antichi, e dunque che il suo procedimento possa essere calcolato e insegnato(35), trova infatti riscontro in analoghe affermazioni di Novalis e Schlegel. Ed chiaro che i romantici attribuiscono le medesime caratteristiche di sobriet e rigore anche alla critica, che appareloro legata, al pari dellarte, al medium della prosa e nel contempo impegnata ad esporre il nucleo prosaico dellopera in modo tale da dissolvere in essa gli aspetti caduchi e non validi e portarla, nel senso gi indicato, a compimento.

    Nella parte finale del suo studio, Benjamin evidenzia la contrapposizione tra le concezioni romantiche dellarte e della critica e le corrispondenti concezioni goethiane. Cos, se Schlegel e Novalis tendono alla determinazione dellidea dellarte, intesa come la priori di un metodo, Goethe interessato piuttosto allideale dellarte, inteso come la priori del relativo contenuto(36). I puri contenuti, dal punto di vista goethiano, non sono reperibili in alcuna opera concreta, ma solo intuibili: si tratta infatti di ci che egli definisce archetipi. Ad essi si sono avvicinate in particolare le creazioni artistiche degli antichi, che appunto perci assurgono al rango dimodelli. A questa visione dellarte, che nega alle opere la possibilit di conseguire lassoluto ed offre loro in cambio dei modelli canonici, i romantici si oppongono con decisione. A loro avviso, infatti, ogni opera deve poter significare lintero e in certo modo diventarlo, mentre daltro canto non c ragione di considerare larte dellantichit come necessariamente classica e imitabile. Unanaloga divergenza si verifica in relazione alla critica: se per Goethe, almeno in linea di principio, essa non n possibile, n necessaria, e in ogni caso la criticabilit non figura tra i caratteri essenziali del prodotto artistico, a parere dei romantici, invece, non soltanto [] la critica possibile e necessaria, ma inevitabile [] il paradosso secondo il quale alla critica spetta una considerazione pi alta che non allopera(37).

    Benjamin pu dunque affermare, conclusivamente, che per il romanticismo tedesco e in particolare per Friedrich Schlegel , pi ancora che la creazione artistica importante il procedimento critico, che assolutizza le opere e, con la sua luce sobria, le abbaglia, dissolvendone la molteplicit nellunit dellidea.

    3. Linteresse della dissertazione benjaminiana, che ci ha indotto a richiamarne, almeno a grandi linee, le argomentazioni essenziali, non dipende solo dal fatto che essa offre un rilevante contributo alla comprensione di un aspetto significativo del pensiero di Schlegel e Novalis, ma consiste anche nel suo definire con notevole precisione unidea di critica cui lo stesso Benjamin non cesser in fondo di rapportarsi, pur senza aderirvi completamente.

    Di ci si pu trovare una prima conferma nella corrispondenza dellautore, a partire dagli anni giovanili. In una lettera del 1916, ad esempio, limmagine della luce su cui si chiuder la tesi gi compare a definire lazionead un tempo disgregatrice e salvifica esercitata dalla critica: La vera critica non procede contro il suo oggetto: come una sostanza chimica che ne attacca unaltra solo nel senso che dissolvendola scopre la sua natura pi interna, non la distrugge. La sostanza chimica che attacca in questo modo (dieteticamente) le cose spirituali la luce. [] Appare allora la particolare magia critica, che la cosa contraffatta viene a contatto con la luce, e si

  • disgrega. Lautentico resta: cenere(38). Due anni dopo, Benjamin, durante la stesura della dissertazione, afferma con chiarezza lattualit delle teorie su cui verte il suo lavoro: Dal concetto romantico di critica emersoil corrispondente concetto moderno; ma, per quanto riguarda la conoscenza, il concetto romantico di critica totalmente esoterico e si fonda su premesse mistiche, e, per quanto riguarda larte, esso racchiude in s le intuizioni pi profonde dei poeti dellepoca e di quelli successivi, e insieme un nuovo concetto di arte che per molti versi il nostro(39).

    in una lettera del 1923 che si nota, da parte di Benjamin, un tentativo di distanziarsi almeno in parte dalle teorie romantiche e di proporre una concezione pi personale: La critica esposizione di unidea. La loro infinit intensiva caratterizza le idee come monadi. Voglio definire la critica in questo modo: mortificazione delle opere. Non potenziamento della coscienza presente in esse (romanticismo!), ma insediamento in esse del sapere. La filosofia deve nominare le idee come Adamo la natura, per superarle(40). Si ha qui da un lato il ritorno di tematiche pi antiche, come quella della nominazione adamitica che stava al centro del saggio sulla lingua, e dallaltro una significativa anticipazione delle prospettive metodologiche che verranno esposte nella grande opera (scritta tra il 1923 e il 1925 ma edita solo nel 1928) sullOrigine del Trauerspiel tedesco(41).

    Questultima si apre, com noto, con una premessa di carattere gnoseologico la cui complessit divenuta proverbiale presso i lettori e gli studiosi di Benjamin, ma che non manca di fornire utili indicazioni riguardo alle teorie dellautore in materia di critica. La premessa esordisce delineando il concetto di trattato, che la forma cui lopera intende attenersi. Ladozione di questa particolare modalit espositiva si spiega in primo luogo col fatto che essa contiene, per quanto magari latente, quel rinvio agli oggetti della teologia senza i quali non si pu pensare alla verit; inoltre il trattato, a differenza della dottrina, non pretende di affermarsi per forza propria, mapreferisce ricorrere alla citazione dellautorit, e pi in generale alla via indiretta della rappresentazione. In uno scritto di questa natura, costantemente il pensiero riprende da capo, circostanziatamente ritorna alla cosa stessa, e nella considerazione di un unico e medesimo oggetto ne segue i diversi gradi di senso. Come in un mosaico ciascuna tessera, cos in esso ogni frammento di pensiero riveste importanza, e la relazione dellelaborazione micrologica con lentit del tutto figurativo e intellettuale esprime il fatto che il contenuto di verit pu essere colto soltanto penetrando con estrema precisione i particolari(42). Se questo richiamo al contenuto di verit ci riconduce al saggio su Goethe, dove esso rappresentava appunto ci che la critica aspira a conoscere, le considerazioni successive, che indicano nella prosaica sobriet il modo di scrittura adeguato alla ricerca filosofica e attribuiscono a questultima il compito della rappresentazione delle idee, ci appaiono familiari perch ne abbiamo incontrate di simili nella dissertazione sul romanticismo e nella lettera a Rang. Ma ora la teoria delle idee si presta a sviluppi di assai maggiore ampiezza e rilevanza, cui peraltro potremo riservare solo pochi accenni.

    Benjamin sottolinea anzitutto che la verit non direttamente interrogabile, e non va dunque confusa con loggetto di conoscenza. Questo principio costituisce anzi, a suo avviso, una delle intenzioni pi profonde della filosofia alle sue origini, della teoria platonica delle idee(43). Il rimando a Platone si rafforza con il successivo riferimento alla concezione del rapporto tra verit e bellezza quale esposta nel Simposio. Secondo Benjamin, il dialogo platonico presenta la verit come il contenuto del bello, contenuto che per non viene in luce nellesplicitazione: piuttosto, esso si attesta lungo il processo che, con espressione analogica, si potrebbe definire come linfiammarsi dellinvolucro che penetra nel regno delle idee, come la combustione dellopera, per cui la suaforma raggiunge il massimo di luminosit(44). La verit, dunque, proprio come accadeva nel saggio sulle Affinit elettive, assume laspetto della fiamma, che trasformando lopera in un rogo la consuma, ma al tempo stesso la fa splendere in tutto il suo fulgore. Il merito della dottrina platonica (ma anche della monadologia leibniziana o della dialettica hegeliana) appunto quello di aver saputo accogliere i contenuti empirici del reale risolvendoli in un ordine concettuale di grado superiore. Il filosofo e qui Benjamin pensa anche a se stesso si trova quindi ad occupare un nobile punto intermedio tra il ricercatore e lartista, essendo accomunato al primo dallinteresse allestinzione della mera empiria e al secondo dal compito della rappresentazione(45).

    Lapprofondimento del rapporto tra le idee e i fenomeni viene condotto fra laltro, secondo un procedimento che sappiamo essere tipico dellautore, per il tramite di immagini: cos quella delle stelle le idee sono

  • costellazioni eterne, e in quanto gli elementi vengono concepiti come punti dentro simili costellazioni, i fenomenivengono suddivisi e insieme salvati(46) oppure quella, desunta da Goethe, delle madri faustiane, che rimangono oscure quando i fenomeni non si riconoscono in esse e non si raccolgono intorno ad esse(47).

    Per Benjamin lessere delle idee si sottrae a qualsiasi relazione intenzionale, rivelandosi piuttosto come caratterizzato da una natura linguistica: lidea infatti parola, ma parola che di nuovo pretende ai suoi diritti denominativi(48). Con un ulteriore richiamo alle tesi del giovanile saggio sulla lingua, Benjamin ci ricorda che il denominare adamitico talmente lontano dal gioco e dallarbitrio che, anzi, precisamente in esso confermato lostadio paradisiaco in quanto tale, il quale non era ancora costretto a lottare col significato informativo delle parole, ma al tempo stesso riafferma, come nella lettera a Rang, che se Adamo ha denominato la natura, spetta ora al filosofo il compito di dar nome alle idee(49). In questa sintesi teorica, neppure le considerazioni svolte nel lavoro sul romanticismo vengono dimenticate, tanto vero che poco oltre si d atto ai romantici di aver promosso un energico tentativo di rinnovare la dottrina delle idee, tentativo compromesso per dal fatto che nella loro speculazione la verit assumeva, al posto del carattere linguistico, quello di una coscienza riflettente(50).

    Non possiamo seguire qui le ulteriori argomentazioni dellautore, volte fra laltro a definire il Trauerspiel (ossiala forma teatrale tipica del barocco tedesco) come idea, e a chiarire le ragioni del tradizionale misconoscimento cui questo genere di testi andato incontro da parte degli storici letterari. Ma almeno un punto dovr essere sottolineato, ed quello in cui si riaffaccia un concetto essenziale nel pensiero di Benjamin, vale a dire quello di monade. Nella Premessa si legge infatti: Lidea monade ci significa in breve: ogni idea contiene limmagine del mondo(51). Ne consegue che varrebbe la pena di penetrare in tutto ci che reale tanto profondamente da far in modo che si dischiudesse una rappresentazione obiettiva del mondo; diverrebbe allora possibile tratteggiare, di questultimo, unimmagine in scorcio(52). In queste considerazioni si trova racchiusa, appunto come in una monade, leffigie miniaturizzata del metodo benjaminiano, un metodo che stato giustamente definito micrologico e frammentario(53). Secondo Benjamin, ogni aspetto del reale, preso a s, pu essere considerato con tanta attenzione da farne scaturire tutti quei nessi che permettano di rivelarne la natura microcosmica. Questo passaggio dal particolare alluniversale, attuato seguendo non la via dellastrazione generalizzante bens quella dellapprofondimento intensivo, si configura dunque come un modo per adempiere a quel compito platonico della salvazione dei fenomeni che non a caso costituisce un Leitmotiv della Premessa.

    La pratica della critica letteraria rientra a tutti gli effetti in questo quadro metodologico: se il critico mortificalopera insediando in essa il sapere, lo fa appunto con lintenzione di salvarla elevandola allidea. questo che consente al Trauerspiel, da lungo tempo negletto e dunque anche allallegoria, che in questo genere regna sovrana di ricevere nuova luce grazie alle analisi condotte da Benjamin. Per questultimo non si tratta di rivalutare il teatro barocco tedesco o la forma espressiva dellallegoria (dei quali non vengono affatto occultati i limiti e le manchevolezze), ma piuttosto di evidenziarne la conoscibilit, e quindi, nel senso pi volte indicato, la salvabilit. Il compito del critico, pur essendo essenzialmente di carattere teorico, presenta fin dora delle implicazioni di ordine etico. E sar proprio dal versante delletica nel senso pi ampio del termine, inclusivo della politica che giungeranno i maggiori impulsi per un rinnovamento della concezione benjaminiana della critica e della letteratura.