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Poiché l’UA/NSTEMI è una sindrome cli- nica più che una patologia specifica (cioè come l’ipertensione più che la polmonite pneumococcica), è stato proposto un approc- cio eziologico. 8 Sono stati identificati cinque processi fisiopatologici che possono contri- buire allo sviluppo dell’UA/NSTEMI (Fig. 49- 1): (1) rottura di placca o presenza di erosioni cui si sovrappone una trombosi occlusiva (di gran lunga la più comune causa di UA/ NSTEMI), (2) ostruzione dinamica (cioè, spa- smo di un’arteria coronarica epicardica, come nell’angina di Prinzmetal [vedi angina di Prinzmetal (variante)] o costrizione dei pic- coli rami muscolari dell’albero arterioso coro- narico), (3) ostruzione meccanica progressiva, (4) infiammazione o infezione o compresenza di entrambe e (5) angina instabile secondaria, correlata a un aumento della richiesta mio- cardica o a una diminuzione dell’apporto di ossigeno (p.es., anemia). Singoli pazienti pos- sono presentare uno o più di questi meccani- smi patologici come causa dell’episodio di UA/NSTEMI. L’uso di questa classificazione eziologica può contribuire a perfezionare l’ap- proccio diagnostico e indirizzare le strategie terapeutiche verso il trattamento della pato- logia di base, responsabile a sua volta dell’epi- sodio acuto di UA/NSTEMI. Come riportato di seguito (vedi Stratificazione del rischio), diversi nuovi indicatori ematici si sono dimo- strati efficaci strumenti nell’identificazione di questi processi fisiopatologici e nella valuta- zione prognostica; questo approccio sta evol- vendo verso una “strategia multi-indicatore” per la valutazione e la stratificazione del rischio (Fig. 49-2; Fig. 49-10). 9 Fisiopatologia La fisiopatologia dell’UA/NSTEMI implica un’evoluzione prolungata in tre fasi piuttosto che un evento ischemico isolato. Tradizio- nalmente, l’attenzione è stata posta esclusi- vamente sulla fase acuta dell’UA/NSTEMI, mentre la reale fisiopatologia abbraccia due o più decenni prima dell’evento acuto e può inoltre prolungarsi per oltre 20 anni dopo di esso. L’evento acuto, che di solito coinvolge la formazione di un trombo sul sito di rottura CAPITOLO 49 Angina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST Christopher P. Cannon • Eugene Braunwald 1243 Secondo le stime attuali sono 1,7 milioni i pazienti con sindromi coronariche acute (SCA) ricoverati ogni anno negli ospedali degli Stati Uniti (Fig. 46-1). 1 Soltanto un quarto di questi pazienti presenta un infarto miocardico (IM) acuto associato a sopraslivellamento del tratto ST all’elettrocardiogramma (Capp. 46 e 47); i restanti tre quarti, ovvero approssimativamente 1,4 milioni di pazienti, hanno un’angina insta- bile o un infarto miocardico senza sopraslivel- lamento del tratto ST (Unstable Angina/Non ST Elevation Myocardial Infarction, UA/NSTEMI). 1 La prima condizione è più spesso causata dall’occlusione trom- botica acuta completa di una coronaria e la riperfusione d’urgenza costituisce il caposaldo della terapia, mentre UA/NSTEMI sono di solito associati a gravi ostruzioni coronariche in assenza tuttavia dell’occlusione totale dell’arteria responsabile. 2 Tra i pazienti con UA/NSTEMI, il 40-60% presenta evidenza di necrosi miocardica con troponina elevata. 3 Definizione e classificazione DEFINIZIONE. La definizione dell’angina instabile è basata soprattutto sulla modalità di presentazione clinica (Cap. 45). L’angina pectoris stabile è caratte- rizzata da un senso di fastidio (raramente descritto come dolore) profondo, mal localizzato al torace o al braccio, associato in maniera riproducibile all’esercizio fisico o allo stress emotivo e che scompare entro 5-15 minuti con il riposo e/o l’assunzione di nitroglicerina sublinguale, o con entrambi. Al contrario, l’angina instabile è definita come un’angina pectoris (o un tipo equivalente di fastidio ischemico) con almeno uno dei seguenti segni: (1) compare a riposo (oppure per sforzi minimi) e dura in genere più di 20 minuti (se non interrotta dalla nitro- glicerina), (2) è grave e descritta come dolore franco e di nuova insorgenza (cioè, da meno di 1 mese) e (3) si manifesta con una sintomatologia ingravescente (cioè, più grave, di maggiore durata o più frequente che in precedenza). 4 Alcuni pazienti con questa tipologia di fastidio ischemico, soprattutto quelli con dolore a riposo di lunga durata, sviluppano segni di necrosi miocardica, valutabili in base al rilascio degli indicatori cardiaci (come la frazione muscolare-cerebrale della creatinchinasi chinasi [CK-MB] o la troponina T o I, o entrambe) che consentono di porre diagnosi di NSTEMI. CLASSIFICAZIONE. Dal momento che la UA/NSTEMI comprende un gruppo estremamente eterogeneo di pazienti, sono utili schemi di classificazione basati sui segni clinici. Una classificazione clinica dell’UA/NSTEMI (Tab. 49-1) 5,6 si è dimostrata un utile mezzo per la stratificazione del rischio. 7 I pazienti vengono divisi in tre gruppi, in base alle caratteristiche cliniche dell’episodio ischemico acuto: angina instabile primitiva, angina instabile secondaria (p.es., con angina conseguente a evidenti fattori scatenanti non coronarici come anemia, infezioni o aritmie cardiache) e angina post-IM. I pazienti sono inoltre classificati anche in base alla gravità dell’ischemia (dolore a riposo acuto, dolore a riposo subacuto o angina di nuova insorgenza). Tale classificazione si è dimostrata predittiva della presenza di trombosi intra- coronarica, alla coronarografia o in campioni di aterectomia, e nella determina- zione della prognosi. 6,7 Definizione e classificazione, 1243 Fisiopatologia, 1243 Presentazione clinica, 1246 Stratificazione del rischio, 1248 Terapia medica, 1251 Terapia antitrombotica, 1255 Studi clinici, 1258 Terapia trombolitica, 1262 Strategia invasiva contro strategia conservativa, 1262 Studi clinici, 1262 Angina di Prinzmetal (variante), 1266 Test provocativi, 1267 Bibliografia, 1268 Linee guida: Angina instabile, 1274

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Page 1: Braun cap 44ok - Doctor33 · l’assunzione di nitroglicerina sublinguale, o con entrambi. Al contrario, l’angina

Poiché l’UA/NSTEMI è una sindrome cli-nica più che una patologia specifi ca (cioè come l’ipertensione più che la polmonite pneumococcica), è stato proposto un approc-cio eziologico.8 Sono stati identifi cati cinque processi fi siopatologici che possono contri-buire allo sviluppo dell’UA/NSTEMI (Fig. 49-1): (1) rottura di placca o presenza di erosioni cui si sovrappone una trombosi occlusiva (di gran lunga la più comune causa di UA/NSTEMI), (2) ostruzione dinamica (cioè, spa-smo di un’arteria coronarica epicardica, come nell’angina di Prinzmetal [vedi angina di Prinzmetal (variante)] o costrizione dei pic-coli rami muscolari dell’albero arterioso coro-narico), (3) ostruzione meccanica progressiva, (4) infi ammazione o infezione o compresenza di entrambe e (5) angina instabile secondaria, correlata a un aumento della richiesta mio-cardica o a una diminuzione dell’apporto di ossigeno (p.es., anemia). Singoli pazienti pos-sono presentare uno o più di questi meccani-smi patologici come causa dell’episodio di UA/NSTEMI. L’uso di questa classifi cazione eziologica può contribuire a perfezionare l’ap-proccio diagnostico e indirizzare le strategie terapeutiche verso il trattamento della pato-logia di base, responsabile a sua volta dell’epi-sodio acuto di UA/NSTEMI. Come riportato di seguito (vedi Stratifi cazione del rischio), diversi nuovi indicatori ematici si sono dimo-strati effi caci strumenti nell’identifi cazione di questi processi fi siopatologici e nella valuta-zione prognostica; questo approccio sta evol-vendo verso una “strategia multi-indicatore” per la valutazione e la stratifi cazione del rischio (Fig. 49-2; Fig. 49-10).9

Fisiopatologia

La fi siopatologia dell’UA/NSTEMI implica un’evoluzione prolungata in tre fasi piuttosto che un evento ischemico isolato. Tradizio-nalmente, l’attenzione è stata posta esclusi-vamente sulla fase acuta dell’UA/NSTEMI, mentre la reale fi siopatologia abbraccia due o più decenni prima dell’evento acuto e può inoltre prolungarsi per oltre 20 anni dopo di esso. L’evento acuto, che di solito coinvolge la formazione di un trombo sul sito di rottura

CAPITOLO 49

Angina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST Christopher P. Cannon • Eugene Braunwald

1243

Secondo le stime attuali sono 1,7 milioni i pazienti con sindromi coronariche acute (SCA) ricoverati ogni anno negli ospedali degli Stati Uniti (Fig. 46-1).1 Soltanto un quarto di questi pazienti presenta un infarto miocardico (IM) acuto associato a sopraslivellamento del tratto ST all’elettrocardiogramma (Capp. 46 e 47); i restanti tre quarti, ovvero approssimativamente 1,4 milioni di pazienti, hanno un’angina insta-bile o un infarto miocardico senza sopraslivel-

lamento del tratto ST (Unstable Angina/Non ST Elevation Myocardial Infarction, UA/NSTEMI).1 La prima condizione è più spesso causata dall’occlusione trom-botica acuta completa di una coronaria e la riperfusione d’urgenza costituisce il caposaldo della terapia, mentre UA/NSTEMI sono di solito associati a gravi ostruzioni coronariche in assenza tuttavia dell’occlusione totale dell’arteria responsabile.2 Tra i pazienti con UA/NSTEMI, il 40-60% presenta evidenza di necrosi miocardica con troponina elevata.3

Defi nizione e classifi cazione

DEFINIZIONE. La defi nizione dell’angina instabile è basata soprattutto sulla modalità di presentazione clinica (Cap. 45). L’angina pectoris stabile è caratte-rizzata da un senso di fastidio (raramente descritto come dolore) profondo, mal localizzato al torace o al braccio, associato in maniera riproducibile all’esercizio fi sico o allo stress emotivo e che scompare entro 5-15 minuti con il riposo e/o l’assunzione di nitroglicerina sublinguale, o con entrambi. Al contrario, l’angina instabile è defi nita come un’angina pectoris (o un tipo equivalente di fastidio ischemico) con almeno uno dei seguenti segni: (1) compare a riposo (oppure per sforzi minimi) e dura in genere più di 20 minuti (se non interrotta dalla nitro-glicerina), (2) è grave e descritta come dolore franco e di nuova insorgenza (cioè, da meno di 1 mese) e (3) si manifesta con una sintomatologia ingravescente (cioè, più grave, di maggiore durata o più frequente che in precedenza).4 Alcuni pazienti con questa tipologia di fastidio ischemico, soprattutto quelli con dolore a riposo di lunga durata, sviluppano segni di necrosi miocardica, valutabili in base al rilascio degli indicatori cardiaci (come la frazione muscolare-cerebrale della creatinchinasi chinasi [CK-MB] o la troponina T o I, o entrambe) che consentono di porre diagnosi di NSTEMI.

CLASSIFICAZIONE. Dal momento che la UA/NSTEMI comprende un gruppo estremamente eterogeneo di pazienti, sono utili schemi di classifi cazione basati sui segni clinici. Una classifi cazione clinica dell’UA/NSTEMI (Tab. 49-1)5,6 si è dimostrata un utile mezzo per la stratifi cazione del rischio.7 I pazienti vengono divisi in tre gruppi, in base alle caratteristiche cliniche dell’episodio ischemico acuto: angina instabile primitiva, angina instabile secondaria (p.es., con angina conseguente a evidenti fattori scatenanti non coronarici come anemia, infezioni o aritmie cardiache) e angina post-IM.

I pazienti sono inoltre classifi cati anche in base alla gravità dell’ischemia (dolore a riposo acuto, dolore a riposo subacuto o angina di nuova insorgenza). Tale classifi cazione si è dimostrata predittiva della presenza di trombosi intra-coronarica, alla coronarografi a o in campioni di aterectomia, e nella determina-zione della prognosi.6,7

Defi nizione e classifi cazione, 1243

Fisiopatologia, 1243

Presentazione clinica, 1246

Stratifi cazione del rischio, 1248

Terapia medica, 1251Terapia antitrombotica, 1255Studi clinici, 1258Terapia trombolitica, 1262

Strategia invasiva controstrategia conservativa, 1262

Studi clinici, 1262

Angina di Prinzmetal (variante), 1266

Test provocativi, 1267

Bibliografi a, 1268

Linee guida: Angina instabile, 1274

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Capitolo 49

o di ulcerazione di una placca aterosclerotica, è la manifesta-zione clinica di una malattia generalizzata e progressiva, attual-mente defi nita aterotrombosi (Cap. 35). Questo nuovo termine ha preso il posto della dizione “aterosclerosi” poiché descrive in maniera più completa la fi siopatologia della malattia, inclu-dendo sia la progressione dell’ateroma (p.es., sviluppo della placca ateromasica) che il danneggiamento della placca con conseguente trombosi. Pertanto, la fi siopatologia completa di un evento di SCA può essere divisa in tre fasi: (1) sviluppo della placca instabile che va incontro a rottura, (2) evento ische-mico acuto e (3) rischio a lungo termine di eventi coronarici ricorrenti dopo l’evento acuto. Come osservato nel Capitolo 35, l’infi ammazione può avere un ruolo di primo piano nel deter-minare l’instabilità della placca, in un contesto in cui le cellule infi ammatorie rilasciano citochine che, a loro volta, aumentano il rilascio delle metalloproteinasi, che rendono il cappuccio fi broso più sottile e maggiormente suscettibile alla rottura o all’erosione. Parallelamente, i processi infi ammatori possono ridurre la sintesi del collagene, indebolendo ulteriormente la placca e aumentando la probabilità di rottura.

L’ischemia acuta in corso di UA/NSTEMI può essere causata da un aumento della domanda miocardica d’ossigeno (p.es., precipitata da tachicardia o ipertensione), più spesso da una riduzione dell’apporto (p.es., associata alla riduzione del dia-metro del lume coronarico da parte di trombi ricchi in piastrine o da un vasospasmo), o da entrambi. In alcuni pazienti è stata documentata anche la rapida progressione della sottostante patologia coronarica (Coronary Artery Disease, CAD). Nell’UA/

Tabella 49–1 Classifi cazione clinica di Braunwald dell’angina instabile e dell’infarto miocardico senza slivellamento del tratto ST

Morte o infarto miocardico Classe Defi nizione ad 1 anno* (%)

Gravità Classe I Angina grave di nuova insorgenza o angina ingravescente; assenza di dolore a riposo

7,3

Classe II Angina a riposo nell’ultimo mese ma non nelle precedenti 48 ore (angina a riposo, subacuta)

10,3

Classe III Angina a riposo nelle ultime 48 ore (angina a riposo, subacuta) 10,8†

Circostanze cliniche A (angina secondaria) Si sviluppa in presenza di condizioni extracardiache che intensifi cano l’ischemia

miocardica 14,1

B (angina primitiva) Si sviluppa in assenza di condizioni extracardiache 8,5

C (angina postinfartuale) Si sviluppa entro 2 settimane dopo un infarto miocardico acuto 18,5‡

Intensità del trattamento I pazienti con angina instabile possono anche essere distinti in tre gruppi in relazione al verifi carsi (1) dell’angina instabile in assenza di trattamento per angina cronica stabile, (2) durante il trattamento per angina stabile o (3) nonostante una terapia farmacologica antischemica massimale. I tre gruppi possono essere designati rispettivamente dai numeri 1, 2 e 3, come pedice.

Modifi cazioni elettrocardiografi che

I pazienti con angina instabile possono essere ulteriormente suddivisi in base alla presenza o meno di transitorie modifi cazioni del tratto ST e dell’onda T durante il dolore.

*Dati da TIMI III Registry: Scirica BM, Cannon CP, McCabe CH, et al, for the Thrombolysis In Myocardial Ischemia III Registry Investigators: Prognosis in the Thrombolysis in Myocardial Ischemia III Registry according to the Braunwald unstable angina pectoris classifi cation. Am J Cardiol 90:821, 2002.

†p = 0,057.‡p <0,001.Da Braunwald E: Unstable angina: A classifi cation. Circulation 80:410, 1989.

Trombonon occlusivo

su placcapreesistente

Ostruzionemeccanicaprogressiva

Ostruzionedinamica

UA secondaria( MVO2)

Infiammazione/Infezione

FIGURA 49–1 Rappresentazione schematica delle cause di angina insta-bile (UA). MVO2 = consumo miocardico di O2. (Da Braunwald E: Unstable angina: An etiologic approach to management [editorial]. Circulation 98:2219, 1998.)

Infiammazione

hs-PCR, CD40L

Stressemodinamico

BNP, NT-proBNP

Aterosclerosiaccelerata

Hb A1cGlicemia

Danno vascolare

ClCrMicroalbuminuria

Necrosi miocitaria

Troponina

FIGURA 49–2 Una strategia multi-indicatore per la valutazione dell’ezio-logia e della prognosi dell’angina instabile o dell’infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST. Numerosi nuovi indicatori si sono dimostrati indicatori indipendenti di una prognosi avversa. La troponina è un indicatore di necrosi miocitaria; la proteina C reattiva a elevata sensibilità (hs-PCR) e il CD40 ligando (CD40L) sono indicatori di infi ammazione vascolare; la clearance della creatinina (CrCl) e la microalbuminuria sono indicatori di danno vascolare; l’emoglobina (Hb) A1c e la glicemia sono indicatori di diabete e aterosclerosi accelerata. (Adattato da Morrow DA, Braunwald E: Future of biomarkers in acute coronary syndromes: Moving toward a multimarker strategy. Circulation 108:250, 2003.)

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ngina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellam

ento del tratto ST

NSTEMI è possibile identifi care una sequenza di eventi in cui vi è inizialmente una riduzione della saturazione d’ossigeno del seno coronarico (indicativa di una riduzione del fl usso coronarico), poi sottoslivellamento del tratto ST seguito da fastidio toracico.10 Talvolta segue un aumento della pressione arteriosa e/o della frequenza cardiaca. Un paziente può pre-sentare un lieve aumento della domanda miocardica di ossi-geno e una riduzione del fl usso coronarico, che determinano l’episodio ischemico. Le cinque principali cause che contri-buiscono allo sviluppo di UA/NSTEMI sono passate in rasse-gna qui di seguito.

TROMBOSI (vedi Cap. 80). Il ruolo centrale della trombosi coronarica nella patogenesi dell’UA/NSTEMI è avvalorato da sei osservazioni

1. All’autopsia, è abitualmente possibile riscontrare dei trombi nel punto di rottura o di erosione della placca coronarica.11

2. I campioni ottenuti durante aterectomia coronarica da pazienti con UA/NSTEMI dimostrano un’elevata inci-denza di lesioni trombotiche in confronto a quelli otte-nuti da pazienti con angina stabile.12

3. I dati raccolti con l’angioscopia coronarica nell’UA/NSTEMI indicano che è spesso presente un trombo.13

4. L’angiografi a coronarica ha evidenziato ulcerazioni o irregolarità che suggeriscono la rottura di placca e/o la presenza di un trombo in numerosi pazienti (Fig. 49-3).2 Nello studio Thrombolysis in Myocardial Ischemia (TIMI) IIIA, coinvolgente pazienti con UA/NSTEMI, il 35% dei pazienti presentava all’angiografi a un trombo ben individuabile e un ulteriore 40% presentava segni compatibili con la presenza di un trombo.2

5. Evidenze di una concomitante trombosi sono state osser-vate in associazione all’elevazione di numerosi indi-catori di attività delle piastrine e della formazione di fi brina.14,15

6. Gli esiti clinici dei pazienti con SCA sono stati migliorati dalla terapia antitrombotica con aspirina,16 eparina non frazionata (UnFractionated Heparin, UFH) o eparine a basso peso molecolare (Low-Molecular-Weight Heparin, LMWH),17-19 inibitori della glicoproteina piastrinica (GP) IIb/IIIa,20-22 o clopidogrel.23

ATTIVAZIONE E AGGREGAZIONE PIASTRINICA (vedi Cap. 80). Le piastrine svolgono un ruolo chiave nella trasfor-mazione di una placca aterosclerotica stabile in una lesione instabile (Fig. 49-4). Con la rottura o l’ulcerazione di una placca aterosclerotica, la matrice subendoteliale (p.es., collagene e fattore tissutale) viene esposta al sangue circolante. Il primo momento è l’adesione piastrinica attraverso l’interazione del recettore della GP Ib con il fattore di von Willebrand. Questo processo è seguito dall’attivazione piastrinica, che determina (1) una modifi cazione conformazionale delle piastrine (da una forma discoidale liscia a una forma spiculata che aumenta l’area della superfi cie su cui può realizzarsi la generazione di

FIGURA 49–3 Trombo coronarico in un paziente con angina instabile. Un uomo di 60 anni si presentava con dolore prolungato a riposo e con un temporaneo sopraslivellamento del tratto ST in sede anteriore. L’angiografi a coronarica mostra un difetto irregolare mal defi nito di riempimento nell’arte-ria interventricolare anteriore sinistra a livello del secondo ramo diagonale (freccia). Il mezzo di contrasto circonda il trombo sferico, che si estende entro il ramo diagonale.

1

2

3

Adesione piastrinica

Attivazione piastrinica

ASA,Clopidogrel/Ticlopidina

Inibitori GP IIb/IIIa

Aggregazione piastrinica

Piastrina

Rottura di placca

Piastrina attivatae recettore GP IIb/IIIa

GP lb

FIGURA 49–4 Emostasi primaria – processo di adesione (1), attivazione (2) e aggregazione (3) piastrinica e sito di azione di farmaci antipiastrinici. Le piastrine danno inizio alla trombosi nel sito di rottura della placca; il primo momento è l’adesione piastrinica (1) attraverso l’interazione tra il recettore della glicoproteina (GP) Ib e il fattore di von Willebrand. Questo processo è seguito dall’attivazione piastrinica (2), che porta a modifi cazione conforma-zionale delle piastrine, degranulazione dei granuli alfa e dei granuli densi e aumento nell’espressione della GP IIb/IIIa sulla superfi cie delle piastrine, così che possa legare il fi brinogeno. Il momento fi nale è l’aggregazione piastrinica (3), quando il fi brinogeno (o il fattore di von Willebrand) si lega ai recettori attivati per GP IIb/IIIa di due piastrine. L’aspirina (ASA) e il clopidogrel riducono l’attivazione piastrinica (vedi testo per i dettagli), mentre gli inibitori delle GP IIb/IIIa bloccano la parte fi nale dell’aggregazione piastrinica.

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Capitolo 49

trombina); (2) degranulazione dei granuli alfa e dei granuli densi, con rilascio di trombossano A2, serotonina e altri fattori piastrinici aggreganti e chemiotattici; (3) incremento del-l’espressione della GP IIb/IIIa sulla superfi cie delle piastrine dove viene attivata così da potersi legare al fi brinogeno. Il ter-mine di tale processo è l’aggregazione piastrinica, cioè, la for-mazione del trombo piastrinico. Il fi brinogeno (o il fattore di von Willebrand) si lega alle GP IIb/IIIa attivate di due diverse piastrine, determinando una crescente aggregazione piastri-nica. La terapia antiaggregante è uno dei capisaldi della terapia dell’UA/NSTEMI (vedi Terapia Medica) ed è volta a ridurre la formazione di trombossano A2 (aspirina), a inibire l’attivazione delle piastrine tramite la componente P2Y12 della via del recettore per l’adenosindifosfato (ADP) (ticlopidina e clopido-grel)24 e a inibire direttamente l’aggregazione piastrinica (ini-bitori della GP IIb/IIIa) (Fig. 49-4).

EMOSTASI SECONDARIA. Contemporaneamente alla formazione del trombo piastrinico, si attiva il sistema della coagulazione. La liberazione del fattore tissutale sembra essere il meccanismo predominante nell’attivazione del-l’emostasi durante la rottura della placca e la trombosi coro-narica (Cap. 80).25 Infi ne, il fattore X viene attivato a fattore Xa portando alla generazione di trombina (fattore IIa), che ha un ruolo centrale nella trombosi arteriosa: (1) la trombina converte il fi brinogeno in fi brina, processo che rappresenta la via fi nale comune per la formazione del coagulo, (2) costi-tuisce un potente stimolo per l’aggregazione piastrinica e (3) attiva il fattore XIII, che determina la formazione di legami crociati e la stabilizzazione del coagulo di fi brina. Le mole-cole di trombina sono incorporate in trombi coronarici e pos-sono formare il substrato per la retrombosi (cioè, riocclusione o reinfarto) quando il trombo va incontro a fi brinolisi spon-tanea o farmacologicamente indotta. Pertanto, l’effi cace ini-bizione della trombina e del fattore Xa è importante nella terapia dell’UA/NSTEMI.

VASOCOSTRIZIONE CORONARICA. Vi sono tre differenti situazioni in cui è identifi cato il processo di ostruzione dina-mica delle coronarie:

1. L’angina variante di Prinzmetal con un intenso spasmo focale di un tratto di una coronaria epicardica, è l’esem-pio tipico.26 Può riscontrarsi in pazienti senza atero-sclerosi coronarica o in quelli con una o più placche ateromasiche non ostruttive.

2. La vasocostrizione coronarica che causa “angina micro-circolatoria”, determinata dalla costrizione dei piccoli vasi coronarici intramurali di resistenza, è la seconda tipologia di vasocostrizione27 coronarica. Sebbene non si riscontrino stenosi delle arterie coronarie epicardiche, il fl usso coronarico è di solito ridotto (Cap. 44).

3. La terza condizione in cui si verifi ca vasocostrizione, e probabilmente la più comune, è quella legata alla presenza di placche coronariche aterosclerotiche.28 La vasocostrizione può verifi carsi come risultato del rila-scio locale di fattori ad azione vasocostrittrice da parte delle piastrine, la serotonina e il trombossano A2, e dalle sostanza presenti nello trombo stesso, come la trom-bina. Anche la presenza di disfunzione endoteliale nel distretto coronarico, con ridotta produzione di ossido nitrico e aumentato rilascio di endotelina, può indurre vasocostrizione. Anche stimoli adrenergici, l’immer-sione in acqua fredda, la cocaina29 o lo stress mentale30 possono causare vasocostrizione coronarica.

OSTRUZIONE MECCANICA PROGRESSIVA. La quarta causa di UA/NSTEMI è il progressivo restringimento del lume, osservato soprattutto in caso di restenosi dopo inter-venti coronarici percutanei (Percutaneous Coronary Interven-tion, PCI) in cui non siano stati adoperati stent medicati (Cap. 52). Studi angiografi ci e basati sull’aterectomia hanno dimo-strato che molti pazienti che non avevano subito precedenti procedure presentavano un progressivo restringimento lumi-

nale del vaso colpevole dovuto alla proliferazione cellulare nel periodo precedente all’insorgenza dell’UA/NSTEMI.31

ANGINA INSTABILE SECONDARIA. Questa forma di angina instabile è scatenata da uno squilibrio tra la richiesta e l’apporto miocardico di ossigeno causato da condizioni estrin-seche alle coronarie in pazienti con preesistente stenosi coro-narica e angina cronica stabile.5-7 Può derivare da un’aumentata domanda miocardica di ossigeno, da una riduzione del fl usso coronarico, o da entrambi. Condizioni che aumentano il fab-bisogno di ossigeno comprendono la tachicardia (p.es.,tachicardia sopraventricolare o fi brillazione atriale di recente insorgenza con rapida risposta ventricolare), la febbre, la tireotossicosi, gli stati iperadrenergici e l’aumento del postcarico ventricolare sinistro, come in caso di ipertensione o di stenosi aortica. L’angina instabile secondaria può anche essere dovuta a ridotto apporto di ossigeno, come in caso di anemia, ipossiemia (p.es., correlata a polmonite o insuffi cienza cardiaca congestizia) e negli stati di iperviscosità o ipoten-sione. L’angina secondaria sembra avere una prognosi peggiore dell’angina instabile primaria (Tab. 49-1).7

Presentazione clinica

Il profi lo clinico dei pazienti con UA/NSTEMI differisce da quello dei pazienti con STEMI. Le donne manifestano più frequentemente un quadro clinico di angina instabile, costi-tuendo dal 30 al 45% dei pazienti con angina instabile in numerosi studi,32-34 rispetto al 25-30% del totale dei pazienti con NSTEMI e il 20% circa dei pazienti con STEMI.32,33 Rispetto a questi ultimi, i pazienti con angina instabile hanno inoltre una frequenza più elevata di pregressi episodi di IM, angina, rivascolarizzazione coronarica e patologia vascolare extracar-diaca.33,35 In effetti, circa l’80% dei pazienti con UA/NSTEMI ha un’anamnesi positiva per patologie cardiovascolari e la maggior parte di essi presenta evidenza di fattori di rischio coronarico precedenti.36

ESAME OBIETTIVO. La descrizione del “dolore ischemico” è la caratteristica fondamentale dell’UA/NSTEMI (Cap. 45). L’esame obiettivo può essere negativo oppure può fornire un supporto alla diagnosi di ischemia miocardica (Cap. 8). Segni che suggeriscono che l’arteria responsabile dell’evento per-fonde un’ampia porzione del ventricolo sinistro comprendono sudorazione, cute pallida e fredda, tachicardia sinusale, un terzo o quarto tono cardiaco e rantoli basali all’auscultazione del torace. Raramente, nell’UA/NSTEMI la gravità della disfun-zione ventricolare sinistra è tale da provocare ipotensione (cioè, shock cardiogeno).

ELETTROCARDIOGRAMMA. Nell’UA/NSTEMI, il sotto-slivellamento (o il transitorio sopraslivellamento) del tratto ST e le modifi cazioni dell’onda T si verifi cano fi no al 50% dei pazienti.3,22,37 La presenza di modifi cazioni del tratto ST di nuova insorgenza (o presumibilmente tali) rappresenta una specifi ca e importante misura dell’ischemia e della prognosi. Tradizionalmente, il sottoslivellamento del tratto ST è stato considerato signifi cativo solo se maggiore di 0,1 mV e si veri-fi ca nel 20-25% dei pazienti. Tuttavia, un ulteriore 20% dei pazienti si presenta con sottoslivellamento del tratto ST di 0,05 mV,3,37 ed è stato osservato che la prognosi è sfavorevole come quella dei pazienti con sottoslivellamento di 0,1 mV.37,38 La prognosi peggiore si verifi ca tra pazienti con sopraslivella-mento ST transitorio (cioè, <20 minuti), che compare nel 10% circa dei pazienti con UA/NSTEMI. Le modifi cazioni dell’onda T sono indici sensibili ma non specifi ci di ischemia acuta a meno che non siano particolarmente marcate (≥0,3 mV).22

MONITORAGGIO ELETTROCARDIOGRAFICO CONTI-NUO. Il monitoraggio ECG continuo può essere usato per due scopi nell’UA/NSTEMI: per monitorare eventuali aritmie o ricorrenti alterazioni del tratto ST indicative di ischemia. Nel primo caso, la telemetria dei pazienti ricoverati in postazioni

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ento del tratto ST monitorate può rilevare l’eventuale presenza di aritmie asso-ciate all’evento acuto. Per quanto aritmie potenzialmente letali siano rare nell’angina instabile, possono essere più comuni nei pazienti con NSTEMI. Per il secondo scopo, in studi clinici sono state utilizzate apparecchiature Holter ad alta fedeltà per evidenziare deviazioni del tratto ST come prova di ischemia ricorrente. In molti studi, il monitoraggio del tratto ST è apparso più sensibile della valutazione dei sintomi e ha identifi cato fi no al 25% dei pazienti con evidenza di ischemia nelle prime 24 ore dal ricovero.39,40 In aggiunta, la presenza di deviazione del tratto ST costituisce un importante indicatore degli esiti a breve e lungo termine,39,40 perfi no quando usato in associazione alla troponina e alla valutazione clinica.41 Come nel caso di episodi ricorrenti di ischemia miocardica sintomatica e infarto miocar-dico acuto, l’ischemia silente è più frequente e prolungata nei pazienti con NSTEMI rispetto a quelli con angina instabile.

UTILIZZO DEGLI INDICATORI DI NECROSI CARDIACA NELLA DIAGNOSI DI NSTEMI. Nei pazienti con sintomi com-patibili con UA/NSTEMI, l’innalzamento degli indicatori di necrosi miocardica (cioè, CK-MB, troponina T o I) è impiegato per identifi care i pazienti con diagnosi di NSTEMI (rispetto all’UA).42 Con l’uso delle troponine, entrambe più sensibili e specifi che del CK-MB, una maggiore percentuale di pazienti viene classifi cata come affetta da NSTEMI. Nonostante le preoccupazioni circa le conseguenze dell’evidente cambia-mento della defi nizione di IM, numerosi studi hanno suppor-tato l’uso di questi indicatori più sensibili, che sono utili nella valutazione della prognosi.43

La questione di quale debba essere il “cutoff” da usare per valutare la positività di un esame con la troponina è attualmente discussa. Un aspetto importante è che il test discrimina livelli realmente elevati di troponina da risultati falsi positivi correlati alla scarsa qualità analitica dell’esame. È stato proposto che il limite superiore della norma per ogni specifi co esame sia defi nito come il 99° percentile di una popolazione di soggetti normali44 con criteri accettabili di precisione nella valutazione di tali concentrazioni (defi niti come un coeffi ciente di variazione del 10%, valutazione della ripro-ducibilità con ripetuti dosaggi di routine dello stesso campione). Clinici e laboratoristi hanno discusso la rilevanza clinica di un modestissimo aumento della troponina cardiaca. Tuttavia, alcuni studi hanno riscontrato che una elevazione di bassa entità della troponina cardiaca è associata a un più elevato rischio di morte o eventi ischemici ricorrenti45,46 suppor-tando la proposta congiunta di European Society of Cardiology e American College of Cardiology di assicurare una elevata accuratezza nel dosaggio di bassi livelli di troponina.47

Poiché ogni metodica è differente, ogni ospedale deve controllare i cutoff specifi ci del relativo esame.48 I test al letto possono fornire sia un risultato positivo che negativo o anche un risultato quantitativo, sebbene la sensibilità e l’accuratezza diagnostica di questi esami solo recentemente siano state in grado di eguagliare quelle degli esami di laboratorio dell’at-tuale generazione.

Malgrado l’aumento dell’accuratezza dei dosaggi, sono stati riscontrati innalzamenti della troponina apparentemente falsi positivi in pazienti in cui l’angiografi a coronarica non ha riscontrato stenosi epicardiche.49 Queste elevazioni possono essere dovute a una diagnosi alternativa, come la cardiopatia congestizia, in cui sono state osservate elevazioni in assenza di CAD, associate a una prognosi negativa.50 Un’analisi dello studio Treat Angina with Aggrastat and Determine Cost of Therapy with Invasive or Conservative Strategy (TACTICS)-TIMI 18 trial ha sollevato una questione di cautela suggerendo che i pazienti con questo tipo di elevazione della troponina non devono essere scartati semplicemente come falsi positivi. Pazienti che si erano presentati con UA/NSTEMI con un’elevazione della troponina ma nessuna evidente CAD all’angiografi a hanno avuto una pro-gnosi signifi cativamente peggiore rispetto a quelli con troponina negativa in assenza di malattia coronarica, con un tasso di mortalità o di IM a sei mesi del 5,3% contro lo 0%, rispettivamente.51 Questo gruppo aveva una prognosi simile a quella dei pazienti con documentata malattia corona-rica con troponina negativa all’esordio. Questi dati suggeriscono che gli aumenti della troponina possono essere segni di diagnosi alternative, come l’insuffi cienza cardiaca, che sono associate con prognosi avversa.

REPERTI CORONAROGRAFICI. I pazienti con UA/NSTEMI arruolati nel braccio a strategia invasiva dello studio TACTICS-TIMI 18 sono stati sistematicamente sottoposti ad angiografi a. Il 34% di questi presentava ostruzione critica (ste-nosi del diametro luminale >50%) di tre vasi, il 28% malattia

di due vasi, il 26% malattia di un singolo vaso e nel 13% non vi era evidenza di stenosi coronariche superiori al 50%.3 Il 5-10% circa presentava una stenosi del tronco comune maggiore del 50%.3 Rilievi simili sono stati segnalati nei registri di casi di UA/NSTEMI non selezionati.37,52 I pazienti di sesso femmi-nile e non bianchi con UA/NSTEMI presentano una coronaro-patia meno estesa delle rispettive controparti, e32,33,52,53 i pazienti con NSTEMI una maggiore estensione della malattia rispetto a quelli con UA.33

Circa il 15% dei pazienti che si presentano con sintomi di UA/NSTEMI non evidenzia stenosi signifi cative alla corona-rografi a.32,33,37,52,53 Pazienti di sesso femminile e non bianchi rappresentano una porzione più ampia dei pazienti senza coro-naropatia dei vasi epicardici, suggerendo una maggiore diffi -coltà di porre una diagnosi precisa di UA/NSTEMI in questi gruppi e/o un differente meccanismo fi siopatologico per il loro quadro clinico.32-34,37,52,53 Circa un terzo dei pazienti con UA/NSTEMI senza ostruzione epicardica critica ha un fl usso coro-narico alterato, suggerendo un ruolo fi siopatologico della disfunzione del microcircolo coronarico.54 In questo gruppo di pazienti la prognosi a breve termine è eccellente.55

La lesione colpevole di UA/NSTEMI si presenta solitamente come una stenosi eccentrica con margini debordanti o irrego-lari e collo ristretto.2 Questi reperti angiografi ci possono rap-presentare una rottura della placca aterosclerotica, un trombo o entrambi. Caratteristiche indicative della presenza di un trombo comprendono masse globose intraluminali con forma arrotondata o polipoide (Fig. 49-3).2 L’aspetto indistinto di una lesione è stato considerato come un indicatore angiografi co della possibile presenza di un trombo, ma tale reperto è meno specifi co. Pazienti con trombo visualizzato angiografi camente presentano alterazioni del fl usso coronarico ed esiti clinici peggiori, rispetto a quelli senza trombi.56

Anche il fl usso coronario, misurato dal grado di fl usso TIMI oppure come frame count e grado TIMI di perfusione miocar-dica, è risultato essere compromesso nei pazienti con UA/NSTEMI, specialmente quelli con un elevato livello di tropo-nina.56,57 Inoltre, come è stato osservato in pazienti con STEMI, un anormale livello di perfusione tissutale è anche associato a esiti avversi nei pazienti con UA/NSTEMI, indipendente-mente dalla presenza di trombosi e di compromissione del fl usso nelle arterie epicardiche.

ANGIOSCOPIA ED ECOGRAFIA INTRAVASCOLARE. La migliore defi nizione della lesione colpevole è stata resa possi-bile dal ricorso all’angioscopia, con cui si osservano più di frequente trombi “bianchi” (ricchi di piastrine) al contrario dei trombi“rossi”, più spesso riscontrati in pazienti con IM acuto con sopraslivellamento del tratto ST (Fig. 49-5).13 L’ecografi a intravascolare individua più placche soffi ci “ecorifl ettenti” e meno lesioni calcifi cate nei pazienti con angina instabile rispetto a quelli con angina stabile.58

ALTRI ESAMI DI LABORATORIO. Una radiografi a del torace può essere utile per identifi care congestione polmonare o edema, più frequenti in pazienti con NSTEMI coinvolgente un’elevata porzione del ventricolo sinistro o in quelli con pre-cedente e nota disfunzione del ventricolo sinistro. È stato dimostrato che la presenza di congestione depone per una prognosi sfavorevole.59

La misurazione dei livelli sierici di colesterolo e delle sue principali frazioni, lipoproteine a bassa densità (LDL) e lipo-proteine ad alta densità (HDL), è utile per identifi care un importante e trattabile fattore di rischio di aterotrombosi coro-narica. Dal momento che i livelli sierici di colesterolo comin-ciano a ridursi 24 ore dopo STEMI o UA/NSTEMI, la misura-zione va effettuata al momento del ricovero. Se si ha a dispo-sizione solo un prelievo tardivo, ma il risultato rientra nella fascia di valori che richiede una terapia a lungo termine (Cap. 39), si può iniziare un’appropriata terapia. Altri indicatori cir-colanti di aumentato rischio sono discussi più avanti. La valu-tazione di altre cause secondarie di UA/NSTEMI5 può risultare

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Capitolo 49

appropriata in casi selezionati (p.es., la valutazione della fun-zione tiroidea in un paziente che si presenta con UA/NSTEMI e tachicardia persistente).

Stratifi cazione del rischio

FISIOPATOLOGIA DEL RISCHIO A LUNGO TERMINE DOPO SINDROME CORONARICA ACUTA. Un importante

concetto emerso nel contesto del rischio a lungo termine in seguito a una SCA è che l’alto rischio di eventi ischemici ricor-renti osservato è legato alla presenza di lesioni multifocali diverse da quella responsabile dell’evento acuto. Lo studio dell’anatomia coronarica attraverso l’angiografi a,60-62 l’ecogra-fi a intravascolare coronarica63 o l’angioscopia64 ha dimostrato la presenza di molteplici placche attive oltre alla lesione responsabile dell’evento acuto (Fig. 49-5). Così, mentre un approccio interventistico aggressivo viene usato con successo

Placche multiple“vulnerabili” trovate insegmenti non-colpevoli

1-7

Placche multiple “vulnerabili”

trovate in segmentinon-colpevoli

10-12

Lesione colpevole (8)trovata in un

trombo (rosso)

FIGURA 49–5 Evidenza di molteplici placche vulnerabili in un paziente con sindrome coronarica acuta. Vengono mostrate delle immagini angiografi che e angioscopiche di un uomo di 58 anni con infarto miocardico anteriore. La lesione colpevole è visibile nel tratto prossimale dell’arteria interventricolare anteriore sinistra accanto al numero 8. Tuttavia, altri tratti dell’arteria, che appaiono normali alla angiografi a coronarica, all’angioscopia dimostrano la presenza di placche vulnerabili (siti da 10 a 12 e 1, 3, 4, 7). (Adattato da Asakura M, Ueda Y, Yamaguchi O, et al: Extensive development of vulnerable plaques as a pan-coronary process in patients with myocardial infarction: An angioscopic study. J Am Coll Cardiol 37:1284, 2001.)

100

80

60

40

20

0

P <0,001

30,8

46,3

89,9

Paz

ient

i (%

)

PCR terzile (mg/l)

Pazienti con placche “attive” multiple

Basso (0,12–1,0) Medio (1,1–4,3) Alto (4,5–29,4)

FIGURA 49–6 Il livello della proteina C reattiva (PCR) è correlato alla pre-valenza di molteplici placche contenenti trombi – in 228 pazienti con angina instabile o infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST. (Dati da Zairis MN, Papadaki OA, Manousakis SJ, et al: C-reactive protein and multiple complex coronary artery plaques in patients with primary unstable angina. Atherosclerosis 164:355, 2002.)

10

8

6

4

2

0

0 30 60 90 120 150 180

Mor

talit

à cu

mul

ativ

a (%

)

Giorni

ST SCAST SCA con fibrinoliticiInversione dell’onda T

FIGURA 49–7 Curve di Kaplan-Meier che mostrano la mortalità nei pazienti con sindrome coronarica acuta (SCA) nello studio Global Use of Strategies to Open Occluded Coronary Arteries (GUSTO) IIb, divisi in base al reperto elettrocardiografi co alla presentazione. (Adattato da Savonitto S, Ardissino D, Granger CB, et al: Prognostic value of the admission electrocardiogram in acute coronary syndromes. JAMA 281:707, 1999. Copyright 1999, American Medical Association.)

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ngina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellam

ento del tratto ST

per trattare la lesione responsabile, le rimanenti placche, che presentano spesso segni di instabilità all’angiografi a o all’an-gioscopia, sono responsabili degli eventi ricorrenti. In uno di questi studi veniva inoltre riscontrato il legame con i processi infi ammatori (Fig. 49-6): la presenza di molteplici placche attive all’angiografi a si verifi cava più frequentemente in asso-ciazione con un aumento dei livelli di proteina C-reattiva (PCR).63 Questo fornisce un importante legame fi siopatologico tra infi ammazione, malattia coronarica attiva più diffusa ed eventi cardiaci ricorrenti nel corso dei mesi o anni successivi a un evento clinico di SCA.

STORIA NATURALE. La mortalità a breve termine dei pazienti con angina instabile è risultata inferiore (1,7% a 30 giorni) rispetto a quella dei pazienti con NSTEMI o STEMI, mentre il rischio di mortalità nei due tipi di IM è simile (5,1% per ciascun tipo).38 La mortalità precoce in caso di SCA è cor-relata all’estensione del danno miocardico e alla compromis-sione emodinamica risultante.65 Viceversa, la prognosi a lungo termine – sia in termini di mortalità che di eventi non fatali – è effettivamente peggiore per i pazienti affetti da angina insta-bile o NSTEMI, rispetto a quelli con STEMI (Fig. 49-7),38 pro-babilmente a causa della maggiore estensione della malattia coronarica e di un pregresso IM nell’anamnesi dei pazienti con UA/NSTEMI, rispetto a quelli con STEMI.

Metodi per la stratifi cazione del rischio I pazienti con UA/NSTEMI rappresentano un gruppo eteroge-neo con una prognosi che va da un esito eccellente con minimi aggiustamenti della terapia a uno in cui il rischio di morte o IM è elevato ed è necessario un trattamento intensivo. Di conseguenza, la stratifi cazione del rischio ha attualmente un ruolo rilevante nella valutazione e nella gestione di questa condizione. Specifi ci sottogruppi di pazienti, identifi cati per caratteristiche cliniche, reperti ECG o indicatori cardiaci (o vascolari) hanno un maggiore rischio di esito sfavorevole (Tab. 49-2). Inoltre, questi gruppi sembrano trarre maggiore benefi -cio da una terapia antitrombotica più aggressiva, un approc-

cio interventistico, o entrambi (vedi oltre). I predittori clinici possono anche essere usati per aiutare il triage di pazienti con angina instabile, per stabilire se inviarli nelle unità di terapia intensiva coronarica o semplicemente in un reparto con letti monitorati. I pazienti considerati ad alto rischio devono essere ricoverati nelle unità di terapia intensiva coronarica mentre quelli con rischio intermedio o minore possono essere rico-verati in letti monitorati in un reparto cardiologico. A volte i pazienti defi niti a “basso rischio”, ma che sono meglio carat-terizzati dalla loro “bassa probabilità” di sviluppare una SCA, sono valutati e trattati nelle unità di osservazione in pronto soccorso o in centri per il dolore toracico (Cap. 45).

Variabili cliniche

La classifi cazione di Braunwald dell’angina instabile5 (Tab. 49-1) ha dimostrato in molti studi di essere clinicamente utile nel-l’identifi cazione dei pazienti ad alto rischio. Nel registro TIMI III, che ha incluso 3318 pazienti consecutivi con UA/NSTEMI, questa classifi cazione si è rivelata un importante fattore pre-dittivo del tasso di mortalità o di IM a un anno.7 I pazienti ad alto rischio con angina instabile sono quelli con dolore toracico acuto a riposo, quelli con angina instabile post-IM e quelli con angina instabile secondaria.

SOTTOGRUPPI CLINICI A ELEVATO RISCHIO. È stato dimostrato che l’aumento dell’età si associa a un signifi cativo aumento di esiti sfavorevoli in pazienti con UA/NSTEMI.66-68 I pazienti diabetici con UA/NSTEMI hanno un rischio del 50% più elevato rispetto a quelli non diabetici.69 I pazienti con vasculopatia extracardiaca cioè, con malattia cerebrovascolare o vasculopatia periferica, sembrano anch’essi avere una mor-talità e una ricorrenza di eventi ischemici del 50% circa più elevata rispetto ai pazienti senza preesistente vasculopatia periferica o cerebrale, anche dopo controlli per altre differenze nelle caratteristiche basali.70

Come nel caso dello STEMI, i pazienti con UA/NSTEMI che si presentano con evidenza di insuffi cienza cardiaca congesti-zia (classe Killip >II) hanno un aumentato rischio di morte.71 Inoltre, nei pazienti che dopo l’episodio iniziale presentano ricorrenti episodi di ischemia è stato riscontrato un aumento del rischio.72

Valutazione del rischio con l’ECG

L’esecuzione dell’ECG al momento del ricovero è molto utile per la previsione di esiti sfavorevoli a lungo termine. Nel regi-stro TIMI III di pazienti con UA/NSTEMI, i fattori predittivi

Tabella 49–2 Indicatori clinici di aumentato rischio nell’angina instabile e nell’infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST

Anamnesi Età avanzata (>70 anni)Diabete mellito Angina post-infartuale Precedenti vasculopatie periferiche Precedenti malattie cerebrovascolari

Presentazione clinica Classe Braunwald II o III (dolore acuto o subacuto a riposo) Classe B di Braunwald (angina instabile secondaria) Insuffi cienza cardiaca o ipotensione; aritmie ventricolari

Elettrocardiogramma Deviazione del tratto ST ≥0,05 mVInversione dell’onda T ≥0,3 mVblocco di branca sinistra

Indicatori cardiaci Aumento di troponina T o I o CK-MB Aumento della concentrazione della proteina C-reattiva o della conta dei globuli bianchi

Innalzamento del peptide natriuretico di tipo B Elevato CD40L Elevati livelli di glicemia o di emoglobina A1c;elevata creatininemia

Angiogramma Trombo; malattia trivasale; riduzione della frazione d’eiezione

10

9

8

7

6

5

4

3

2

1

0

c2 P = 0,0003

0,4

4,7

9,1

Mor

talit

à a

14 g

iorn

i (%

)

Entrambi negativi Uno positivo Entrambi positivi

FIGURA 49–8 Uso sia di troponina T che di PCR per predire la mortalità. Questi risultati dimostrano che un elevato livello di PCR valutata mediante dosaggio a elevata sensibilità (>15,5 mg/l in questo studio) e una precoce posi-tività “al dosaggio rapido della troponina” eseguito al letto del paziente (defi nito positivo <10 minuti) sono predittori indipendenti di aumentata mortalità. (Da Morrow DA, Rifai N, Antman EM, et al: C-reactive protein is a potent predictor of mortality independently and in combination with troponin T in acute coronary syndromes: A TIMI 11A substudy. J Am Coll Cardiol 31:1460, 1998.)

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Capitolo 49

indipendenti della mortalità o dello sviluppo di IM a un anno includevano il blocco di branca sinistra (risk ratio 2,8) e la presenza di alterazioni del tratto ST maggiori di 0,05 mV (risk ratio 2,45), entrambi p minori di 0,001.37 Sembra che vi sia un gradiente di rischio basato sull’entità delle alterazioni del tratto ST.73,74 Al contrario, la presenza di alterazioni dell’onda T maggiori di 0,1 mV era associata a un modesto73 o assente incremento di decesso o IM successivi.37,38

Valutazione del rischio tramite indicatori cardiaci

CK-MB E TROPONINE. I pazienti con NSTEMI, defi niti come quelli con elevati bioindicatori di necrosi, CK-MB o tro-ponina, hanno una prognosi a lungo termine peggiore rispetto a quelli con angina instabile.45,75-79 Oltre alla positività del test, vi è un rapporto lineare tra i livelli sierici di troponina T o I e il conseguente rischio di morte – quanto più alta è la troponina, tanto più alta è la mortalità.75 D’altra parte, un maggiore rischio di IM è stato osservato con livelli più bassi di troponina in molti studi, e pertanto la frequenza totale dei decessi o di IM è elevata anche nei pazienti con bassi o alti valori di tropo-nina.45,80 Risultati analoghi sono stati ottenuti con un rapido esame eseguibile al letto del paziente per il dosaggio della troponina T, in cui il tempo necessario per raggiungere la posi-tività è una misura semi-quantitativa della troponina T sierica ed è correlato all’aumento della mortalità.81 Quindi, le tropo-nine T e I sono utili nella diagnosi di infarto e anche nella valutazione del rischio e nell’indirizzare le terapie in pazienti ad alto rischio.

PROTEINA C-REATTIVA. Nella crescente lista degli indi-catori che sembrano utili nella valutazione dei pazienti con UA/NSTEMI, la PCR è molto promettente. Elevati livelli di PCR sono stati correlati a un aumento del rischio di morte, IM o a necessità di rivascolarizzazione urgente.80,82-84 Si deve rilevare che, poiché la PCR è un reagente della fase acuta, essa si innalza in una SCA e i tassi sono approssimativamente cinque volte quelli riscontrabili in pazienti stabili.82,85 Anche fra i pazienti con troponina I basale negativa, che nel com-plesso avevano una mortalità a 14 giorni dell’1,5%, la PCR era in grado di differenziare un gruppo ad alto e uno a basso rischio; la mortalità dei pazienti con elevata PCR era del 5,8% contro lo 0,4% dei pazienti con normali livelli di PCR.82 Quando si usano sia la PCR che la troponina T, la mortalità può essere stratifi cata nel seguente modo: 0,4% nei pazienti con entrambi gli indicatori negativi, 4,7% se l’uno o l’altro sono positivi, 9,1% se sono entrambi positivi (Fig. 49-8).82 Risultati simili sono stati osservati in altri studi.80,83,84,86-89 Tut-tavia, è interessante notare che, a differenza della troponina, estremamente utile nella selezione dei pazienti da destinare a un trattamento più aggressivo, la PCR non si è dimostrata in grado di predire i benefi ci derivanti da diverse terapie, in caso di UA/NSTEMI.90 La PCR misurata al momento della dimissione ospedaliera si è dimostrata un forte fattore pre-dittivo degli esiti tra 3 e 12 mesi.91

Altri indicatori di infi ammazione hanno offerto consistenti prove di una associazione tra l’infi ammazione sistemica e la ricorrenza di eventi sfavorevoli, comprese l’amiloide sierica A,92 la proteina chemiotattica per i leucociti (Monocyte Che-moattractant Protein-1, MCP-1)93 e l’interleuchina-6.94 Inoltre, alcuni di questi indicatori di infi ammazione rappresentano potenziali bersagli terapeutici, come può essere il caso della MCP-1.93 Questi studi indicano che l’entità dei processi infi am-matori è in relazione all’instabilità dei pazienti e all’aumentato rischio di eventi cardiaci ricorrenti.

CONTA LEUCOCITARIA. Un ulteriore indicatore di fl ogosi, perfi no più semplice e universalmente disponibile, è la conta dei leucociti. Diversi studi su pazienti con IM acuto95,96 e UA/NSTEMI96-98 hanno osservato che i pazienti con elevata conta leucocitaria presentano un rischio maggiore di mortalità e ricorrenza di IMA. Questa associazione è indipendente dai valori di PCR,87,97 indicando che non tutte le informazioni circa

l’infl uenza dell’infi ammazione sugli esiti sono racchiuse in un unico indicatore come la PCR.

LIGANDO DEL CD40. Un altro importante marcatore emer-gente è il ligando del CD40 (CD40L), un membro della famiglia di proteine cui appartiene il fattore di necrosi tumorale alfa. Il CD40L è espresso sulla superfi cie delle piastrine quando queste si attivano e viene successivamente scisso, generando un frammento idrolitico solubile denominato sCD40L. È stato riscontrato che questa molecola può essere sia protrombotica99 sia proinfi ammatoria, oltre ad avere un ruolo nella progres-sione delle lesioni aterosclerotiche.100 Il CD40L è stato correlato con l’entità dell’attivazione piastrinica, misurata mediante la valutazione della formazione di aggregati piastrine-monociti, e pertanto è un nuovo indicatore di attivazione piastrinica.101 Vari studi hanno dimostrato che livelli aumentati di CD40L sono associati a un aumentato rischio di morte, IM ed eventi ischemici ricorrenti, indipendentemente dai livelli di tropo-nina e PCR, in pazienti con SCA101,102 e nella popolazione di pazienti più stabili,103 suggerendo che si tratta di un nuovo indicatore di rischio.

PEPTIDE NATRIURETICO DI TIPO B. Il peptide natriu-retico di tipo B (B-type Natriuretic Peptide, BNP) è un neu-rormone sintetizzato nel miocardio ventricolare e rilasciato in risposta a un aumento della tensione parietale.104 Possiede molte azioni come quella natriuretica, vasodilatatrice, di ini-bizione dell’attività del sistema nervoso simpatico e del sistema renina-angiotensina-aldosterone. Il BNP si è dimo-strato un utile indicatore diagnostico e prognostico in pazienti con insuffi cienza cardiaca congestizia105 e con IM acuto.106 È inoltre recentemente emerso come il BNP abbia un valore prognostico per tutto lo spettro di pazienti con SCA, compresi quelli con UA/NSTEMI. I pazienti che presentano aumentati livelli di BNP (>80 pg/ml) hanno un rischio di morte a 10 mesi da due a tre volte maggiore.107 Questo dato è stato con-fermato dagli studi TIMI 11 e TACTICS-TIMI 18.108,109 Insieme, questi dati suggeriscono che la valutazione del BNP nei pazienti con UA/NSTEMI aggiunge un’importante informa-zione al nostro attuale armamentario per la stratifi cazione del rischio (Fig. 49-2).

MIELOPEROSSIDASI. La mieloperossidasi (MPO) è una emoproteina espressa dai neutrofi li polimorfonucleati con potenti proprietà proinfi ammatorie che promuove l’ossida-zione delle lipoproteine nell’ateroma vascolare. Uno studio caso-controllo ha riscontrato un’associazione tra livelli di MPO e la presenza di CAD dimostrata angiografi camente, indipen-dentemente da altri fattori di rischio cardiovascolare e dalla conta leucocitaria.110 In pazienti con UA/NSTEMI, i livelli sie-rici di MPO sono risultati associati a un aumentato rischio di successiva morte o IM, indipendentemente dalla presenza di altri fattori di rischio e ulteriori indicatori cardiaci.111 Elevati livelli di MPO sono stati riscontrati in tutto l’albero coronarico nei pazienti con UA/NSTEMI.112 Pertanto, la MPO può essere considerata un indicatore di fl ogosi e la sua presenza suggeri-sce un ruolo diretto dell’attivazione dei neutrofi li nella fi sio-patologia dell’infi ammazione vascolare e delle SCA.

CREATININA SIERICA. Un altro semplice strumento per la stratifi cazione del rischio è la valutazione della creatinina o il calcolo della sua clearance, o di entrambi i valori. Diversi studi hanno riscontrato che elevati livelli di creatinina sono associati a una prognosi negativa (Fig. 49-2).113-116 Il rischio sembra essere indipendente da altri fattori di rischio standard, quali l’aumento della troponina. Questo fattore può avere anche un ruolo nella riduzione della clearance di alcuni far-maci, per cui i dosaggi di farmaci come le LMWH devono essere aggiustati.117

GLUCOSIO. È stata osservata una prognosi peggiore per i pazienti diabetici con IM acuto con elevati livelli di glicemia al ricovero rispetto a quelli che non presentano iperglicemia.118 Vari studi hanno dimostrato che questa associazione è presente anche nei pazienti senza precedente diagnosi di diabete. Inol-

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ento del tratto ST

tre, questa associazione veniva osservata tanto nei pazienti con STEMI quanto in quelli con UA/NSTEMI ed era indipendente da altri fattori di rischio basali.119,120 Una simile associazione

con uno scarso controllo glicemico, valutato attraverso il dosaggio dell’emoglobina A1c, è stata osservata in altri studi.121 Quindi, in pazienti con UA/NSTEMI, una maggiore concen-trazione basale di glucosio a digiuno al momento dell’esordio è associata a una mortalità a lungo termine signifi cativamente più alta, indipendentemente dalla presenza di diabete, un fat-tore di rischio modifi cabile con una terapia aggressiva.122

Valutazione combinata del rischio

Integrando tutti i precedenti fattori, alcuni ricercatori hanno sviluppato sistemi di valutazione del rischio che compren-dono variabili cliniche, dati ECG e valutazione degli indicatori cardiaci sierici.67,68 Nello studio Platelet Glycoprotein IIb/IIIa in Unstable Angina: Receptor Suppression Using Integrilin Therapy (PURSUIT), Boersma e coll. hanno identifi cato fattori che, indipendentemente tra loro, erano associati a un’aumen-tata mortalità e incidenza di IM. I più importanti determinanti basali di una maggiore mortalità erano l’età avanzata, l’ele-vata frequenza cardiaca, bassi valori di pressione sistolica, la presenza di sottoslivellamento del tratto ST e dei segni di insuffi cienza cardiaca, l’aumento degli enzimi indicatori car-diaci. Il TIMI risk score ha identifi cato sette fattori di rischio indipendenti: età maggiore di 65 anni, presenza contestuale di più di tre fattori di rischio per CAD, CAD documentata al cateterismo, slivellamento del tratto ST maggiore di 0,5 mm, più di due episodi di angina nelle ultime 24 ore, assunzione di aspirina nel corso della settimana precedente, aumento degli indicatori cardiaci. Questo sistema di punteggio è stato usato per la stratifi cazione del rischio attraverso una scala logarit-mica, dal 4,7 al 40,9% (p <0,001) (Fig. 49-9A).67 Più importante ancora, è stato riscontrato che questo punteggio di rischio pre-diceva la risposta a diverse tra le terapie praticate in corso di UA/NSTEMI: i pazienti con punteggio TIMI più alto avevano una signifi cativa riduzione degli eventi quando trattati con enoxaparina rispetto all’UFH,67 con il ricorso agli inibitori della GP IIb/IIIa rispetto al placebo,123 e con una strategia invasiva rispetto a una conservativa (Fig. 49-9B).3 Con la costante cre-scita del numero di nuovi indicatori cardiaci (vedi prima), ci si attende che questi esaustivi punteggi di rischio possano essere espansi a includere tali nuovi indicatori a mano a mano che questi diventano sempre più diffusi nella pratica clinica, come mostrato in uno studio che utilizzava tre indicatori in una “strategia multi-indicatore per la valutazione” (Fig. 49-10; Fig. 49-2).

Terapia medica

OBIETTIVI TERAPEUTICI. Gli obiettivi del trattamento dei pazienti con UA/NSTEMI sono concentrati sulla stabilizza-zione e sulla “passivazione” della lesione coronarica acuta, sul trattamento dell’ischemia residua e sulla prevenzione secon-daria a lungo termine. La terapia antitrombotica (p.es., aspi-rina, clopidogrel UFH o LMWH e inibitori della GP IIb/IIIa) è stata utilizzata per prevenire ulteriori fenomeni di trombosi e consentire alla fi brinolisi endogena di dissolvere il trombo e ridurre il grado di stenosi coronarica. La terapia antitrombotica va continuata a lungo termine per ridurre il rischio di svilup-pare futuri eventi e/o per prevenire la progressione verso la completa occlusione della coronaria. Le terapie antischemiche (p.es., beta-bloccanti, nitrati e calcioantagonisti) sono utilizzate primariamente per ridurre la richiesta miocardica di ossigeno ma sembra che abbiano anche effetti nel prevenire la rottura della placca, come mostrato dalle campagne di prevenzione degli eventi clinici con beta-bloccanti e ACE-inibitori. La riva-scolarizzazione coronarica è utilizzata frequentemente per trattare la grave stenosi di una lesione incriminata, prevenendo in tal modo l’ulteriore progressione del trombo e la conse-guente ischemia ricorrente. Dopo la stabilizzazione dell’evento acuto, i numerosi fattori responsabili devono essere antagoniz-

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OR = 0,55 IC (0,33, 0,91)

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Alto 5-7Intermedio3-4

Fattori di rischio TIMI• Età ≥65 anni• ≥3 fattori di rischio per CAD• CAD nota (stenosi >50%)

• ≥2 episodi di angina nelle 24 ore precedenti• Deviazione ST ≥0,5 mm all’ECG iniziale• Marker cardiaci

• Aspirina in precedenza

FIGURA 49–9 A, Punteggio di rischio Thrombolysis in Myocardial Ischemia (TIMI) per angina instabile o infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST (UA/NSTEMI). I fattori di rischio sono mostrati a destra e il rischio di morte (D), infarto miocardico (IM) o rivascolarizzazione urgente (RU) è mostrato lungo l’asse verticale. B, Uso del TIMI risk score per UA/NSTEMI allo scopo di predire il vantaggio di una strategia invasiva precoce. In una analisi defi nita prospetticamente, il TIMI risk score veniva utilizzato nello studio Treat Angina with Aggrastat and determine Cost of Therapy with an Invasive or Conservative Strategy (TACTICS)-TIMI 18 trial. Come mostrato, il 75% dei pazienti aveva un risk score di 3 o maggiore, e in questi pazienti era stato osservato un benefi cio signifi cativo con la condotta invasiva. SCA = sindrome coronarica acuta; CAD = coronaropatia; IC = intervallo di confi denza; CONS = conservativa; ECG = elet-trocardiogramma; Inv = invasiva; OR = odds ratio. (A, Adattato da Antman EM, Cohen M, Bernink PJLM, et al: The TIMI risk score for unstable angina/non-ST elevation MI: A method for prognostication and therapeutic decision making. JAMA 284:835, 2000; B, dati da Cannon CP, Weintraub WS, Demopoulos LA, et al: Comparison of early invasive and conservative strategies in patients with unstable coronary syndromes treated with the glycoprotein IIb/IIIa inhibitor tirofi ban. N Engl J Med 344:1879, 2001.)

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Capitolo 49

zati cioè, trattamento dei fattori di rischio per l’aterosclerosi come ipercolesterolemia, ipertensione e sospensione del fumo, ciascuno dei quali contribuisce alla stabilizzazione della placca di colesterolo e alla guarigione dell’endotelio.

Misure generali

I pazienti con UA/NSTEMI devono essere ricoverati in una unità con letti monitorati. Il monitoraggio ECG continuo (cioè, telemetria) è utilizzato per rilevare aritmie cardiache. Trac-ciati ECG continui più fedeli possono essere ottenuti con un monitor Holter e possono identifi care deviazioni asintomatiche del tratto ST come indicatori di ischemia. Negli studi clinici questo approccio si è dimostrato utile nella stratifi cazione del rischio in caso di elaborazione dei tracciati in un laboratorio centrale,41 ma la sua utilità nella pratica “on line” non è stata ben defi nita e merita ulteriore studio.

Inizialmente, nei pazienti con UA/NSTEMI è di solito pre-scritto il riposo a letto. La deambulazione, se tollerata, è con-sentita se il paziente si è mantenuto stabile emodinamicamente e in assenza di fastidio toracico per almeno 12-24 ore o dopo rivascolarizzazione. I mezzi per migliorare le condizioni fi si-che ed emotive del paziente, quali un ambiente tranquillo, lontano da problemi che lo coinvolgano emotivamente e le rassicurazioni del medico e/o una lieve sedazione possono ridurre l’attivazione del sistema nervoso simpatico e perciò l’ischemia. È opportuno fornire ossigeno supplementare solo ai pazienti con cianosi, rantoli diffusi o ipossiemia documen-tata. La determinazione della saturazione di ossigeno mediante l’ossimetria è utile, considerando che è indicata la sommini-strazione di ossigeno supplementare se la saturazione arteriosa di O2 scende al di sotto del 92%.

Il miglioramento del dolore toracico è uno degli obiettivi iniziali della terapia. Nei pazienti con dolore persistente no-nostante la terapia con nitrati e beta-bloccanti (vedi oltre), è raccomandata la somministrazione endovenosa di 1-5 mg di morfi na solfato. Tra le controindicazioni a tale terapia sono comprese l’ipotensione o pregresse allergie; in questi ultimi pazienti la meperidina idrocloruro può rappresentare una va-

lida alternativa. Con un atten-to monitoraggio della pressio-ne, possono essere sommini-strate ripetute dosi ogni 5-30 minuti. La morfi na può agire come analgesico e ansiolitico, ma anche il suo effetto veno-dilatatore può produrre bene-fi ci effetti emodinamici ridu-cendo il precarico. Ciò è par-ticolarmente utile nel caso di edema polmonare. Se insorge ipotensione dopo la sommi-nistrazione di morfi na, la po-sizione supina o la sommini-strazione endovenosa di solu-zione fi siologica devono essere in grado di ristabilire la pressione sanguigna e di rado sono necessari farmaci pressori. Se si sviluppa de-pressione respiratoria, si de-ve somministrare naloxone (0,4-2,0 mg).

Nitrati (vedi Cap. 50)

I nitrati sono vasodilatatori endotelio-indipendenti che aumentano il fl usso miocar-dico mediante vasodilata-zione del distretto coronarico e riducono la richiesta mio-

cardica di ossigeno. Quest’ultimo effetto è conseguenza della dilatazione dei vasi venosi, con riduzione del precarico mio-cardico e della tensione della parete ventricolare e conseguente riduzione della richiesta miocardica di ossigeno. I nitrati devono essere somministrati inizialmente per via sublinguale oppure come spray orale (0,3-0,6 mg) se il paziente ha dolore ischemico. Se il dolore persiste dopo l’assunzione di tre com-presse sublinguali (o spruzzi orali) a intervalli di 5 minuti e nonostante la somministrazione di beta-bloccanti (vedi oltre), è consigliato l’uso di nitroglicerina endovenosa (5-10 mg/min utilizzando defl ussori di materiale non assorbente). La velo-cità di infusione può essere incrementata di 10 mg/min ogni 3-5 minuti fi no alla scomparsa dei sintomi oppure fi no alla discesa della pressione arteriosa sistolica a valori inferiori a 100 mmHg. Sebbene non vi sia alcuna certezza sulla massima dose somministrabile, una dose di 200 mg/min è generalmente utilizzata come limite massimo. Controindicazioni all’uso dei nitrati sono l’ipotensione o l’uso di sildenafi l o composti della stessa classe nelle precedenti 24-48 ore.124 Quando l’episodio di dolore è risolto, possono essere usati nitrati transcutanei od orali, i quali possono sostituire la nitroglicerina per via endo-venosa anche nel caso in cui il paziente resti asintomatico per 12-24 ore. La posologia dei nitrati dipende dalla formulazione, ma si deve cercare di lasciare un periodo fi nestra di 8-10 ore per evitare lo sviluppo di tolleranza.

L’effetto dei nitrati sulla mortalità è stato valutato anche nei pazienti con sospetto di IM (sia STEMI che NSTEMI) nello studio Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nel-l’Infarto Miocardico (GISSI) e nell’International Study of Infarct Survival (ISIS) (ISIS-4).125,126 Non è stato osservato alcun benefi cio sulla mortalità nella popolazione complessiva o nel sottogruppo di pazienti con NSTEMI. Di conseguenza, lo scopo della terapia con i nitrati è alleviare il dolore; la terapia cronica con i nitrati può spesso essere ridotta nel trattamento a lungo termine, essendo la terapia principale rappresentata dall’uso di aspirina, clopidogrel, beta-bloccanti e così via, con nitrogli-cerina sublinguale od orale somministrata al bisogno per nuovi episodi di dolore.

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Numero di marker biologici elevati

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Numero di marker biologici elevati

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FIGURA 49–10 Una strategia multi-indicatore per predire la mortalità nella sindrome coronarica acuta. Troponina I, proteina C reattiva e peptide natriuretico di tipo B come determinanti della mortalità a 30 giorni nell’angina instabile o nell’infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST. La mortalità è funzione del numero di bioindicatori elevati nei due studi separati. OPUS-TIMI = Orbofi ban in Patients with Unstable Coronary Syndromes - Thrombolysis in Myocardial Infarction; TACTICS-TIMI = Treat Angina with aggrastat and determine Cost of Therapy with an Invasive or Conservative Strategy - TIMI. (Adattato da Sabatine MS, Morrow DA, de Lemos JA, et al: Multimarker approach to risk stratifi cation in non-ST elevation acute coronary syndromes: Simultaneous assessment of troponin I, C-reactive protein, and B-type natriuretic peptide. Circulation 105:1760, 2002.)

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ngina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellam

ento del tratto ST Beta-bloccanti (vedi Cap. 50)

Molti studi controllati con placebo coinvolgenti pazienti con UA/NSTEMI hanno dimostrato il benefi cio dei beta-bloccanti nel ridurre successivi episodi di IM e/o di ischemia ricor-rente.127-129 Inoltre, l’analisi di sottogruppo dei pazienti con IM non Q in almeno tre studi ha dimostrato i benefi ci dei beta-bloccanti (endovenosi e poi orali).130 Di conseguenza, i beta-bloccanti sono raccomandati in pazienti con UA/NSTEMI qualora non sussistano controindicazioni all’uso di questi farmaci (bradicardia, blocco AV avanzato, ipotensione persi-stente, disfunzione sistolica nota con edema polmonare acuto, storia di broncospasmo). Se ischemia e dolore toracico sono in corso, è indicato l’uso endovenoso precoce dei beta-bloccanti, seguito dalla terapia orale. La presenza di una ridotta frazione di eiezione, che era in passato una controindicazione, è ora divenuta un’indicazione alla terapia cronica con beta-bloccanti (Cap. 23), ma la dose va aumentata lentamente nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra, e la somministrazione per via endovenosa deve essere evitata.131

La scelta del beta-bloccante può essere individualizzata in base alla farmacocinetica del farmaco, al suo costo e alla fami-liarità del medico con esso. Tuttavia, non devono essere scelti quelli con attività simpaticomimetica intrinseca, come il pin-dololo. Esempi di dosi testate nelle grandi sperimentazioni comprendono l’atenololo (bolo endovenoso di 5-10 mg seguito da somministrazione orale quotidiana di 100 mg) e il metopro-lolo (tre boli endovenosi da 5 mg, a distanza di 2-5 minuti, seguiti dalla somministrazione orale di 50 mg due volte al giorno, da portare a 100 mg due volte al giorno).132

Calcioantagonisti (vedi Cap. 50)

I calcioantagonisti determinano vasodilatazione e riducono la pressione arteriosa e alcuni di essi (verapamil e diltiazem) abbassano anche la frequenza cardiaca. Possono essere utiliz-zati nei pazienti con sintomi persistenti o ricorrenti, ma sono attualmente raccomandati solo in quelli con ischemia persi-stente dopo trattamento con nitrati a piena dose e beta-bloc-canti e nei pazienti con controindicazioni ai beta-bloccanti. Tali pazienti devono essere trattati con calcioantagonisti che riducono la frequenza cardiaca (p.es., diltiazem o verapamil). Le dosi orali di diltiazem e di verapamil vanno da 30 mg tre volte per il primo e 80 mg tre volte al giorno per il secondo a 480 mg una volta al giorno con le formulazioni a lunga durata d’azione.

Nello studio Diltiazem Reinfarction Study, che comprendeva pazienti con IM non-Q, la ricorrenza di IM veniva ridotta dal 9,3% con il placebo al 5,2% con il diltiazem.133 Un più recente studio pilota che ha utilizzato il diltiazem per via endovenosa e un ampio studio clinico che ha usato il diltiazem134 a lunga durata di azione nei pazienti dopo terapia trombolitica hanno dimostrato il benefi cio del diltiazem rispetto al placebo. Nel Danish Verapamil Infarction Trial II (DAVIT II), su pazienti con sospetto IM o angina instabile, dei quali circa la metà non aveva IM confermato, il verapamil tendeva a ridurre l’incidenza di IM ricorrente o di morte.135 Tuttavia, diverse metanalisi non hanno riscontrato alcun benefi cio dei calcioantagonisti come classe nella riduzione della mortalità o di infarti successivi.136 Una rassegna aveva suggerito benefi ci del solo verapamil.137

È importante notare che nei pazienti con IM acuto con disfunzione del ventricolo sinistro o insuffi cienza cardiaca congestizia è stato osservato un effetto dannoso del diltia-zem.138 La nifedipina, che non riduce la frequenza cardiaca, ha dimostrato di aumentare l’incidenza di eventi sfavorevoli in pazienti con IM acuto quando non somministrata con un beta-bloccante. Al contrario, non sono stati osservati effetti sfavorevoli in uno studio su pazienti con insuffi cienza cardiaca congestizia trattati con ACE-inibitori.139 Allo stesso modo, non sono stati osservati effetti sfavorevoli con un trattamento a lungo termine con amlodipina o felodipina140 in pazienti con

documentata disfunzione ventricolare sinistra e CAD, indi-cando che questi calcioantagonisti vasoselettivi possono essere usati con sicurezza nei pazienti con UA/NSTEMI con disfun-zione ventricolare sinistra.

Riassumendo, i calcioantagonisti devono essere usati nei pazienti con UA/NSTEMI se necessario per la presenza di ischemia ricorrente nonostante l’utilizzo di beta-bloccanti o in quelli in cui i beta-bloccanti sono controindicati (p.es., bron-cospasmo); il diltiazem deve essere evitato nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra e/o insuffi cienza cardiaca congestizia.

ACE-inibitori

Per il trattamento acuto tre grandi studi hanno mostrato un benefi cio dello 0,5% sulla mortalità assoluta in pazienti con IM acuto che iniziavano precocemente (entro le 24 ore) la terapia con ACE-inibitori.125,126,141 Tuttavia, nello studio ISIS-4, sono stati osservati alcuni effetti sfavorevoli in pazienti senza sopraslivellamento del tratto ST. Quindi, l’inibizione a breve termine dell’ACE non sembra dare benefi cio nei pazienti con UA/NSTEMI.

D’altra parte, l’uso a lungo termine degli ACE-inibitori è utile nel prevenire recidive ischemiche e sulla mortalità in un’am-pia parte della popolazione di pazienti, compresi quelli in cui vi sia una qualsiasi evidenza di CAD (Cap. 50).142,143 L’IM ricor-rente e la necessità di rivascolarizzazione risultavano ridotti con captopril ed enalapril negli studi Survival And Ventricu-lar Enlargement (SAVE) e Studies Of Left Ventricular Dysfun-ction (SOLVD),144,145 dati confermati oggi dall’uso di ramipril e perindopril nello studio Heart Outcomes Prevention Evalua-tion (HOPE) e nello EURopean trial On reduction of cardiac events with Perindopril in stable coronary Artery disease (EUROPA),142,143 suggerendo un effetto antischemico di questa intera classe di farmaci.

Terapia ipolipemizzante (vedi Cap. 39)

Il trattamento a lungo termine con ipolipemizzanti, soprattutto con le statine, ha dimostrato benefi ci rispetto al placebo nei pazienti dopo IM acuto e angina instabile.146-149 Nello Scandi-navian Simvastatin Survival Study (4S), condotto in pazienti ipercolesterolemici con storia di IM o angina instabile, la mortalità è risultata ridotta del 30% (p = 0,0003) e le morti coronariche signifi cativamente ridotte del 42%.146 Inoltre, gli IM ricorrenti erano signifi cativamente ridotti del 37% (p

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FIGURA 49–11 Risultati dello studio PROVE-IT TIMI 22 che mostrano ridu-zione degli eventi avversi (morte, IM non fatale o rivascolarizzazione urgente) con terapia ipolipemizzante intensiva con atorvastatina 80 mg/die, rispetto alla terapia standard con pravastatina 40 mg/die. I tassi tra parentesi sono valutati a 2 anni.

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Capitolo 49<0,001), la necessità di ricorrere a rivascolarizzazione corona-rica del 37% (p <0,0001), e la riospedalizzazione per eventi cardiovascolari acuti del 26% (p <0,001).146,150 Nello studio Long-term Intervention with Pravastatin in Ischemic Disease (LIPID), coinvolgente un sottogruppo prestabilito di oltre 3200 pazienti con angina instabile, la terapia con pravastatina portò a una signifi cativa riduzione del 26% della mortalità totale (p = 0,004).151

Il National Cholesterol Education Program raccomanda una terapia con dieta e farmaci se le LDL superano il valore di 100 mg/dl, con un obiettivo di riduzione delle LDL a meno di 100 mg/dl.152 Il momento per eseguire il prelievo è teoricamente nelle prime 24 ore dopo il ricovero, poiché i livelli di coleste-rolo si riducono dopo un evento acuto. Dunque, il colesterolo deve essere misurato in un certo momento durante la proce-dura di ricovero, perché se fosse elevato sarebbe raccomanda-

ta una terapia. Poiché la terapia con le statine è associata ai bene-fi ci precedentemente menziona-ti sulla mortalità e sulla morbili-tà cardiovascolare, queste rap-presentano attualmente i farmaci di prima scelta. Secondo il Na-tional Cholesterol Education Program è necessaria anche una terapia aggiuntiva o alternativa (Cap. 39).153

Diversi studi pilota e osserva-zionali hanno tentato di determi-nare se vi sia un benefi cio clinico precoce con l’inizio tempestivo del trattamento con statine nelle SCA.154-157 Lo studio randomizza-to più ampio, Myocardial Ischae-mia Reduction with Aggressive Cholesterol Lowering (MIRACL) ha osservato che il trattamento a breve termine (4 mesi) con ator-vastatina ad alte dosi (80 mg/die) riduceva l’endpoint primario combinato di morte cardiaca, in-cidenza di IM non fatali, morte improvvisa cardiaca sottoposta a rianimazione o necessità di riospedalizzazione urgente del 16% (p = 0,048). I potenziali be-nefi ci della terapia precoce e ag-gressiva con statine rispetto al placebo sono stati studiati nello studio Aggrastat to Zocor (A to Z; TIMI 21).158

Lo studio Pravastatin or Ator-vastatin Evaluation and Infec-tion Therapy – Thrombolysis in Myocardial Infarction (PROVE IT-TIMI) 22 ha valutato il ruolo di una terapia ipolipemizzante aggressiva rispetto alla terapia standard in 4162 pazienti, ini-ziando la stessa entro 10 giorni dal ricovero per sindrome coro-narica acuta.158a Il trattamento con terapia standard (pravastati-na, 40 mg) determinava un valo-re medio di LDL di 95 mg/dl (li-miti, 79-113 mg/dl), mentre con una terapia aggressiva (atorvasta-tina, 80 mg) si otteneva una con-centrazione media di LDL di 62 mg/dl (limiti interquartile, 50-79

mg/dl) (p <0,001). Il rischio di morte, infarto del miocardio non fatale, episodi documentati di angina instabile, necessità di rivascolarizzazione o ictus si riduceva del 16% (p = 0,005),

Attivazione

cAMP

COX

TXA2

ADP

ADP

ADP

GP IIb/IIIa(fibrinogeno/

recettore)

Clopidogrel/ticlopidina

Antagonista GP IIb/IIIa

Aspirina

CollageneTrombina

TXA2

FIGURA 49–12 Meccanismo d’azione della terapia antipiastrinica. Vedi testo e Capitolo 80 per i dettagli. ADP = adenosindifosfato; cAMP = adenosinmonofosfato ciclico; COX = ciclossigenasi; GP = glicoproteina; TXA2 = trombos-sano A2. (Adattato da Schafer AI: Antiplatelet therapy. Am J Med 101:199, 1996.)

12

8

4

0

5*n = 178

10,1n = 155

15

10

5

0

6,2*n = 276

12,9n = 279

15

10

5

0

3,3*n = 121

11,9n = 118

20

15

10

5

0

6,5*n = 399

17,1n = 397

Paz

ient

i (%

)

Lewis et al.

Placebo ASA

*P = 0,0005

Cairns et al.

*P = 0,012

Theroux et al.

*P = 0,008

Incidenza di morte o IM successivo

RISC group

*P <0,0001

FIGURA 49–13 Quattro studi randomizzati mostrano il benefi cio dell’aspirina nell’UA/NSTEMI. In corso di UA/NSTEMI, l’incidenza di morte e infarto miocardico (IM) era ridotta di oltre il 50% in ognuno di questi quattro studi. Le dosi di aspirina nei quattro studi erano rispettivamente di 325, 1300 e 75 mg/d, indicando l’assenza di qualsiasi differenza nella effi cacia dell’aspirina tra le suddette dosi. ASA = acido acetilsalicilico (aspirina). (Dati da Lewis HD, et al: N Engl J Med 309:396, 1983; Cairns, et al: N Engl J Med 313:1499, 1985; Theroux P, et al: N Engl J Med 319:1105, 1988; RISC Group: Lancet 349:827, 1990.)

Tabella 49–3 Frequenza di sanguinamenti maggiori in base alla dose di aspirina

Dose di aspirina (mg) Aspirina + placebo Aspirina + clopidogrel

75-100 1,9% 3,0%

100-199 2,8% 3,4%

200-325 3,7% 4,9%

Dati da Peters RJ, Mehta SR, Fox KA, et al: Circulation 108:1682, 2003.

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ngina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellam

ento del tratto ST

zione piastrinica durante il trattamento con aspirina. Questi pazienti tendono ad avere un maggiore rischio di eventi car-diaci ricorrenti.169 Non è stata riscontrata alcuna relazione tra dose somministrata e tale forma di resistenza all’aspirina. Uno studio più ampio ha correlato la prognosi a 5 anni alla quantità di metaboliti del trombossano nell’urina.168 Quando i pazienti sono stati divisi in quartili in base alla quantità di trombossano nell’urina, che poteva essere vista come una misura dell’atti-vità del trombossano nonostante la terapia con aspirina, sono state osservate percentuali di eventi cardiovascolari tanto più elevate quanto maggiore era la concentrazione dei metaboliti del trombossano.168

Le controindicazioni assolute alla terapia con aspirina sono poche ma comprendono l’allergia documentata all’aspirina (p.es., l’asma), il sanguinamento in atto o una patologia pia-strinica nota. In pazienti che riferiscono dispepsia o altri sin-tomi gastroenterici con la terapia a lungo termine con aspirina (cioè, intolleranza), non si ritiene che questo rappresenti un problema acuto per il trattamento intraospedaliero, e la terapia con aspirina è raccomandata, almeno a breve termine. Nei pazienti che hanno un’allergia o che non tollerano l’aspirina, è raccomandato l’uso del clopidogrel.4

0,98

1,00

0,96

0,94

0,92

0,90

0 1 2 3 4

0,98

1,00

0,96

0,94

0,92

0,90

1 4 6 8 10 12

Pro

porz

ione

libe

ra d

a ev

enti

Settimane

IM, ictus, morte CV: 0-30 giorni

31 giorni - 1 anno

Clopidogrel + ASAPlacebo + ASA

IC 95%: 0,67–0,92P = 0,003

RRR 21%

Pro

porz

ione

libe

ra d

a ev

enti

Mesi

Clopidogrel + ASAPlacebo + ASA

IC 95%: 0,70-0,95P = 0,009

RRR 18%

con tassi di incidenza a 2 anni (tempo medio di follow-up) che scendevano dal 26,3 al 22,4% rispettivamente con la terapia standard e quella aggressiva. Il rischio di morte, infarto del miocardio non fatale o necessità di rivascolarizzazione era ri-dotto del 25% (p = 0,0004) (Fig. 49-11). Inoltre, la mortalità per tutte le cause era ridotta del 28% (p = 0,07), con tassi di mortalità a 2 anni del 32% col trattamento standard con stati-ne rispetto al 2,2% col trattamento aggressivo. Il benefi cio si manifestava già a 30 giorni dalla randomizzazione e si mante-neva per tutta la durata del follow-up (2,5 anni). Questo studio ha quindi dimostrato che (1) l’uso precoce delle statine ad alte dosi dopo una sindrome coronarica acuta è effi cace nel ridurre la mortalità e l’incidenza di eventi cardiaci ricorrenti e che (2) terapie ipolipemizzanti più aggressive che hanno ottenuto concentrazioni di colesterolo LDL notevolmente al di sotto degli attuali livelli bersaglio determinano benefi ci.

Nonostante la questione dell’esistenza o meno di un bene-fi cio clinico precoce e del livello ottimale di abbassamento dei lipidi, gli studi hanno riscontrato che il precoce inizio della terapia dopo una SCA può migliorare la compliance a lungo termine. Uno studio ha utilizzato prescrizioni standardizzate per assicurarsi che tutti i pazienti ricevessero una terapia appropriata, come raccomandato dalle linee guida, ed è emerso un incremento dell’uso delle statine al momento della dimis-sione e al follow-up a 1 anno, con il 91% dei pazienti che riceveva terapia appropriata.159 Altri hanno osservato un miglioramento della percentuale di trattamento a lungo ter-mine con l’attuazione di programmi intraospedalieri di miglio-ramento della qualità.160

Terapia antitrombotica Aspirina (vedi Cap. 80)

L’aspirina acetila irreversibilmente la ciclossigenasi 1, bloc-cando di conseguenza la sintesi di trombossano A2 da parte delle piastrine (Fig. 49-12). Riducendo la quantità di trom-bossano A2 rilasciato, che agirebbe stimolando altre piastrine, viene ridotta l’aggregazione piastrinica complessiva nel sito di trombosi. Tale inibizione della ciclossigenasi è permanente, e così gli effetti antiaggreganti durano per la durata di vita delle piastrine, dell’ordine di 7-10 giorni. Molti studi hanno dimo-strato chiari effetti benefi ci dell’aspirina, con una riduzione del rischio di mortalità e di IM superiore al 50% nei pazienti con UA/NSTEMI (Fig. 49-13).16,161 Il benefi cio si manifesta entro il primo giorno di trattamento.161 Quindi, l’aspirina ha un importante effetto nella riduzione degli eventi clinici sfa-vorevoli precoci nel corso del trattamento di UA/NSTEMI ed è la principale terapia per questi pazienti.

La dose di aspirina nei quattro studi randomizzati oscillava da 75 a 1300 mg/die ed ogni studio ha mostrato una riduzione del 50% circa della mortalità o dell’incidenza di IM.16,161-163 Nell’ampia panoramica della totalità degli studi a breve e lungo termine, non sembra esistere un effetto dose-risposta nell’effi -cacia dell’aspirina.164 Nell’International Study of Infarct Sur-vival 2 (ISIS-2) una dose di 160 mg/die si dimostrava associata a un benefi cio sulla mortalità, così questa è la dose minima iniziale raccomandata.165 In termini di sicurezza (p.es., emor-ragie gastrointestinali), due studi osservazionali hanno riscon-trato che la frequenza del sanguinamento sembra essere più bassa con l’aspirina a basse dosi che con un regime a medio dosaggio (cioè, 325 mg/die) (Tab. 49-3).166,167 Questo veniva osservato tra pazienti trattati con terapia medica, PCI o inter-vento di bypass coronarico (Coronary Artery Bypass Graft, CABG). Così, dopo la dose iniziale di carico di 162-325 mg, una dose tra 75 e 81 mg/die sembra essere appropriata per la terapia a breve e lungo termine.

Durante terapia cronica, è stata descritta una forma di resi-stenza all’aspirina.168,169 Piccoli studi hanno evidenziato che il 5-8% dei pazienti ha minimi livelli di inibizione dell’aggrega-

FIGURA 49–14 Benefi cio dell’aggiunta del clopidogrel all’aspirina rispetto ad aspirina più placebo durante i primi 30 giorni (in alto) e tra 31 giorni e 1 anno (in basso). La seconda analisi è stata ristretta ai pazienti che erano andati incontro a un evento maggiore durante i primi 31 giorni. ASA = acido acetilsalicilico (aspirina); IC = intervallo di confi denza; CV = cardiovascolare; IM = infarto del miocardio. (Da Yusuf S, Mehta SR, Zhao F, et al: Early and late effects of clopidogrel in patients with acute coronary syndromes. Circulation 107:966, 2003.)

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Capitolo 49

Clopidogrel e ticlopidina (vedi Cap. 80)

Il clopidogrel e la ticlopidina sono derivati tienopiridinici che inibiscono l’aggregazione piastrinica, aumentano il tempo di sanguinamento e riducono la viscosità del sangue attraverso l’inibizione dell’azione dell’adenosindifosfato (ADP) sui recet-tori piastrinici.24 Essi esercitano la loro attività antiaggregante inibendo il legame dell’ADP al suo recettore piastrinico, in particolare la componente P2Y12 del recettore per l’ADP (Fig. 49-12).24 Il blocco di questi recettori non solo inibisce l’attiva-zione piastrinica ADP-indotta e la conseguente aggregazione, ma sembra diminuire anche l’attivazione piastrinica indotta da altri stimoli esterni (p.es., fattore di von Willebrand).170 Quindi, poiché il recettore P2Y12 è parte della catena di amplifi cazione dell’attivazione piastrinica all’interno della piastrina stessa, l’inibizione di questo recettore sembra avere un effetto più ampio di riduzione dell’attivazione piastrinica e non solo del-l’aggregazione ADP-indotta.

La ticlopidina è stata confrontata con placebo (senza aspirina) in uno studio randomizzato su 652 pazienti con UA/NSTEMI, mostrando una signi-fi cativa riduzione del 46% della mortalità per cause vascolari o di IM non fatale.171 La ticlopidina ha anche dimostrato di essere effi cace in combi-nazione con l’aspirina per la prevenzione della trombosi e dell’ischemia ricorrente nei pazienti sottoposti a impianto di stent coronarico, una parte dei quali ha sofferto di UA/NSTEMI nell’ultimo periodo (Cap. 80).172 Tutta-via, la ticlopidina è associata a neutropenia e trombocitopenia in circa l’1% dei pazienti e raramente alla porpora trombotica trombocitopenica, che può essere fatale nel 25-40% dei casi.173 Quindi, se si utilizza la ticlopidina, sono generalmente raccomandati l’uso per brevi periodi (2-3 settimane) e il monitoraggio bisettimanale dell’esame emocromocitometrico completo.

Il clopidogrel è stato sviluppato allo scopo di evitare tali complicanze ematologiche e negli studi clinici a oggi non è stato associato a un’aumen-tata incidenza di neutropenia o di porpora trombotica trombocitopenica rispetto al trattamento con sola aspirina.23,174,175 Quando aggiunto all’aspi-rina, il clopidogrel sembra inoltre essere effi cace quanto la ticlopidina nel prevenire la trombosi degli stent.176

STUDIO CURE. L’aggiunta del clopidogrel all’aspirina è stata studiata nell’ampio studio Clopidogrel in Unstable angina to prevent Recurrent Events (CURE), nel quale i pazienti sono stati trattati con aspirina (75- 325 mg), eparina o LMWH e altre terapie standard e poi assegnati in maniera random alla terapia con 300 mg di carico di clopidogrel seguiti da 75 mg/die. La combinazione di clopidogrel e aspirina ha prodotto una riduzione del 20% della morte per cause cardiovascolari, IM o ictus rispetto alla sola aspirina in entrambi i gruppi a basso e alto rischio (Fig. 49-14).23 Il benefi cio veniva osservato già a 24 ore, con divergenza delle curve di Kaplan-Meier appena dopo 2 ore, indicando la presenza di un effetto antitrombotico e clinico molto precoce (Fig. 49-15).177 Inoltre, i benefi ci venivano mante-nuti per tutta la durata del trattamento di 1 anno, coerentemente con i dati emersi dagli studi Clopidogrel for Recurrent Events During Obser-

vation (CREDO) e Clopidogrel versus Aspirin in Patients at Risk of Ischaemic Events (CAPRIE) che hanno mostrano l’effi cacia del clo-pidogrel attraverso follow-up di 1 e 3 anni, rispettivamente, nei pazienti con precedente malattia aterotrom-botica.174,178

Anche nello studio PCI-CURE, veniva osservato un benefi cio col trattamento precoce con clopido-grel prima di PCI con una riduzione del 31% degli eventi cardiaci a 30 giorni e a 1 anno.179

STUDIO CREDO. Lo studio CREDO ha coinvolto pazienti sotto-posti a PCI pianifi cato o probabile (arruolando approssimativamente due terzi dei pazienti con SCA). I pazienti sono stati randomizzati alla terapia con bolo iniziale di clopido-grel (300 mg) o placebo tra 3 e 24 ore prima del PCI. Dopo lo stenting, tutti i pazienti hanno ricevuto clopi-dogrel per 28 giorni, indipendente-mente dalla randomizzazione; dopo 28 giorni, i pazienti nel gruppo col pretrattamento hanno continuato la terapia con clopidogrel per 1

anno, mentre l’altro gruppo è stato trattato con placebo. Questo studio ha osservato un aumento piccolo ma non statisticamente signifi cativo delle emorragie nei pazienti che ricevevano il clopidogrel rispetto al placebo, in aggiunta alla terapia con aspirina, eparina e inibitori della GP IIb/IIIa. Simili osservazioni in termini di sicurezza sono state fatte in altri studi.179-181

I risultati sull’effi cacia derivati dallo studio CREDO forniscono un ulte-riore sostegno all’uso del clopidogrel tanto nella terapia a breve termine che in quella a lungo termine nei pazienti con UA/NSTEMI. Il pretrattamento con il clopidogrel ha portato a una riduzione non signifi cativa del 19% del rischio di eventi cardiovascolari; tuttavia, quelli trattati con clopidogrel almeno 6 ore prima del PCI mostravano una riduzione del 38,6% del rischio relativo degli eventi maggiori a 28 giorni (p = 0,05) rispetto a nessuna riduzione osservata nel caso il trattamento fosse stato avviato meno di 6 ore prima del PCI. Questo sottolinea la necessità di iniziare il clopidogrel appena possibile al ricovero per UA/NSTEMI, prima ancora di pianifi care un cateterismo con eventuale PCI. Complessivamente, il trattamento per 1 anno con clopidogrel più aspirina ha portato a una riduzione relativa del 26,9% della mortalità, dell’incidenza di IM o di ictus, rispetto alla terapia con clopidogrel per un solo mese in seguito a PCI (8,5 versus 11,5% [placebo], p = 0,02). Tale risultato includeva una ulteriore riduzione relativa del 37,4% degli eventi maggiori dal 29° giorno a 1 anno con il clopidogrel (p = 0,04). In sintesi, i risultati del PCI-CURE e del CREDO sostengono il carico prepro-cedurale e la terapia a lungo termine con clopidogrel nei pazienti per cui sia stato programmato o si prospetti un PCI. Benefi ci signifi cativi erano presenti con o senza concomitante utilizzo degli inibitori della GP IIb/IIIa;

0,020

0,025

0,015

0,010

0,005

0,0

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24

P = 0,003

Tempo dopo randomizzazione (ore)

Tass

i di r

isch

io c

umul

ativ

o 34% di riduzione del rischio relativo

Placebo + ASAClopidogrel + ASA

FIGURA 49–15 Effetti del clopidogrel nelle prime 24 ore dello studio Clopidogrel in Unstable angina to prevent Recur-rent Events (CURE). ASA = acido acetilsalicilico (aspirina). (Da Yusuf S, Mehta SR, Zhao F, et al: Early and late effects of clopidogrel in patients with acute coronary syndromes. Circulation 107:966, 2003.)

Tabella 49–4 Nomogramma standardizzato per la titolazione dell’eparina

Dose iniziale: 60 U/kg in bolo ed infusione di 12 U/kg/h Il tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT) deve essere controllato e l’infusione corretta conseguentemente a 6, 12 e 24 ore dopo l’inizio dell’eparina, poi quotidianamente, oltre a 4-6 ore dopo ogni correzione della dose.

aPTT Infusione endovenosa (sec) Cambiamento (U/kg/ora)

<35 Bolo di 60 U/kg +3

35-49 Bolo di 30 U/kg +2

50-70 0 0

71-90 0 -2

>100 Continuare l’infusione per 30 min -3

Adattato da Becker RC, Ball SP, Eisenberg P, et al: A randomized, multicenter trial of weight-adjusted intravenous heparin dose titration and point-of-care coagulation monitoring in hospitalized patients with active thromboembo-lic disease. Antithrombotic Therapy Consortium Investigators. Am Heart J 137:59, 1999.

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ngina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellam

ento del tratto ST

DOSAGGI. Sulla base dei dati a disposizione,198 l’attuale regime ottimale sembra consistere nell’adattamento del dosag-gio dell’UFH al peso (bolo di 60 U/kg e infusione di 12 U/kg/ora), il frequente monitoraggio dell’aPTT (ogni 6 ore fi no al raggiungimento dei valori terapeutici e ogni 12-24 ore in seguito) e la titolazione dell’UFH utilizzando un nomogramma standardizzato (Tab. 49-4) con un valore bersaglio dell’aPTT pari a una volta e mezzo-due volte il controllo o, aprossimati-vamente, tra 50 e 70 secondi.

Eparina a basso peso molecolare (vedi Cap. 80)

Le LMWH sono state ampiamente testate come strumento per migliorare l’anticoagulazione rispetto all’UFH. Questi farmaci associano l’inibizione del fattore IIa a quella del fattore Xa, e quindi impediscono sia l’azione che l’attivazione della trom-bina.199 Le LMWH sono ottenute dalla depolimerizzazione del-l’UFH standard e dalla selezione dei polimeri con più basso peso molecolare. Rispetto all’UFH che ha quasi uguale attività anti-IIa (trombina) e anti-Xa, le LMWH hanno un aumentato rapporto tra l’attività anti-Xa e anti-IIa di 2:1 (p.es., come la dalteparina) o di 3,8:1 (p.es.,come l’enoxaparina).

La LMWH offre molti vantaggi potenziali rispetto all’UFH. In primo luogo, la sua maggiore attività anti-fattore Xa inibisce in modo più effi cace la generazione della trombina. La LMWH può anche indurre un maggior rilascio dell’inibitore del fattore tissutale rispetto all’UFH e non è neutralizzata dal fattore pia-strinico 4.199 È stato riscontrato che la LMWH induce trombo-citopenia con minor frequenza rispetto all’UFH.200 La sua ele-vata biodisponibilità permette una somministrazione sottocu-tanea, che fornisce una lunga durata di anticoagulazione sistemica, cosicché è possibile una somministrazione biquo-tidiana. Inoltre, la LMWH si lega in minor misura alle proteine plasmatiche (tra cui le proteine della fase acuta) e pertanto ha un più omogeneo effetto anticoagulante in rapporto alla dose somministrata. Pertanto, il monitoraggio dei livelli di anticoa-gulazione (necessario utilizzando l’aPTT per l’UFH) non è necessario. Queste ultime due differenze rendono la LMWH un anticoagulante molto più semplice da somministrare rispetto all’UFH. Tuttavia, è necessario tenere conto che le LMWH risentono in maggior misura di eventuali disfunzioni renali rispetto all’UFH, e si deve prendere in considerazione una riduzione della dose in pazienti con clearance della crea-tinina inferiore a 30 ml/min.

In caso di UA/NSTEMI, la somministrazione di clopidogrel va fatta con una dose iniziale di carico di 300 mg, seguita da 75 mg/die. Iniziando con la dose di 75 mg/die si raggiunge un livello adeguato di inibizione piastrinica solo dopo 3-5 giorni, mentre la dose di attacco di 300 mg determina un’effi cace ini-bizione piastrinica entro 4-6 ore.182 È stato dimostrato che l’uso di una dose iniziale di 600 mg determina il raggiungimento dello stato stabile di inibizione piastrinica dopo appena 2 ore.183 Questa dose è stata utilizzata in due ampi studi clinici ed è stata ben tollerata.184,185 In uno studio, tutti i 2159 pazienti ricevevano una dose iniziale di 600 mg almeno 2 ore prima del PCI e venivano poi randomizzati a una delle seguenti tera-pie: abciximab ed eparina a dosi ridotte oppure placebo ed eparina a dosi standard. Non vi era alcuna differenza tra i due gruppi negli esiti a 30 giorni.185 Questo dato è in contrasto con la riduzione del rischio del 35-50% osservata con l’abciximab in altri studi controllati con placebo condotti prima della dif-fusione del pretrattamento con tienopiridine,186-188 suggerendo che il raggiungimento di un effi cace livello di inibizione pia-strinica col clopidogrel prima di un PCI è effi cace nel ridurre gli eventi. Sono in corso ulteriori studi per valutare la dose di carico di 600 mg.

Come per l’aspirina, in diversi studi sono stati identifi cati “low responders” alla terapia con clopidogrel.189,190 Defi nire cosa sia una bassa risposta e quanto questa rifl etta la variabilità nello stato di aggregazione piastrinica del paziente o la varia-bilità della risposta delle piastrine al farmaco, è stato diffi cile con gli esami attuali. Questi risultati hanno alimentato l’inte-resse per lo sviluppo di nuovi farmaci di questa classe che possono raggiungere livelli più elevati di inibizione piastri-nica.24 Il bilancio dell’effi cacia e della sicurezza dei livelli più alti di inibizione con questa classe di farmaci deve essere valu-tato in studi prospettici.

Eparina (vedi Cap. 80)

L’anticoagulazione con UFH è stata una pietra miliare della terapia dei pazienti con UA/NSTEMI per oltre un decennio, in base ai risultati di molti studi randomizzati che avevano riscontrato una minore incidenza di morte o IM con la terapia con UFH e aspirina rispetto alla sola aspirina.16,161,191,192 Una metanalisi ha mostrato una riduzione del 33% della mortalità o dell’incidenza di IM a 2-12 settimane di follow-up quando si confrontava la terapia con UFH più aspirina con l’aspirina da sola, sebbene tale riduzione fosse di signifi cato statistico marginale.17

La variabilità nell’effetto anticoagulante dell’UFH, la cosid-detta resistenza all’eparina, sembra dovuta all’eterogeneità dell’eparina e alla sua neutralizzazione da parte di fattori cir-colanti nel plasma e di proteine rilasciate dalle piastrine atti-vate.193 Clinicamente, è raccomandato il frequente monitorag-gio della risposta anticoagulante con l’uso del tempo di trom-boplastina parziale attivata (aPTT), con aggiustamento del dosaggio in relazione a un nomogramma standardizzato (Tab. 49-4). Quest’ultimo riduce al minimo la variabilità delle dosi somministrate dai diversi medici e si è dimostrato un miglio-ramento nel raggiungimento di un aPTT bersaglio.194

L’esatto livello di anticoagulazione che costituisce lo spet-tro terapeutico non è stato ancora chiaramente stabilito. Pic-coli studi hanno suggerito che valori inferiori di aPTT pos-sono essere correlati a eventi ischemici ricorrenti,195,196 sug-gerendo che il limite inferiore dello spettro terapeutico dell’aPTT sia almeno 1,5 volte il valore di controllo. Ai limiti superiori dello spettro terapeutico, i più elevati valori di aPTT sono associati a un aumentato rischio di emorragia.196 La più bassa frequenza di sanguinamento (e mortalità) nei pazienti con STEMI trattati con terapia trombolitica si osservava quando l’aPTT alle 12 ore era tra i 50 e i 70 secondi.196 Inoltre, nel TIMI IIIB, non sembrava esserci un vantaggio in termini di riduzione degli eventi ischemici con livelli più elevati di anticoagulazione.197

0,25 0,5 1,0 2,0 4,0

Morte

Morte/IM

Endpoint triplo

ESSENCE, TIMI 11B, INTERACT, A2Z

Odds ratio per enoxaparina versus UFH

FIGURA 49–16 Metanalisi degli studi Thrombolysis in Myocardial Infarc-tion (TIMI 11B), Evaluation of the Safety and Effi cacy of Enoxaparin in Non-ST elevation Coronary Events (ESSENCE), Interact, and Aggrastat to Zocor (A to Z) che confrontano l’enoxaparina con l’eparina non frazionata (UFH). Sussiste una signifi cativa riduzione nel tasso di mortalità o di infarto del miocardio (IM) in pazienti trattati con enoxaparina. (Da Blazing MA: The A-to-Z Trial: Results of the A-Phase, investigating combined use of low-molecular-weight heparin with the glycoprotein IIb/IIIa inhibitor tirofi ban. Presented at the American College of Cardiology Scientifi c Sessions, New Orleans, LA, March 2003.)

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Capitolo 49

testata nello studio Global Use of Strategies to Open Occlu-ded Coronary Arteries (GUSTO) IIb su 12.142 pazienti con UA/NSTEMI e STEMI. Nell’intera coorte, l’incidenza di morte o IM a 30 giorni tendeva a essere più bassa, 8,9% rispetto al 9,8% (p = 0,06),35 con nessuna differenza nella mortalità e una modesta riduzione nel reinfarto (5,4% contro 6,3% con l’eparina, p = 0,04). Negli 8011 pazienti con UA/NSTEMI, l’in-cidenza di morte o IM a 30 giorni non era signifi cativamente ridotta (8,3 versus 9,1%, p = 0,22).35

Lo studio Organisation to Assess Strategies for Ischemic Syn-dromes (OASIS-2)211 ha confrontato il trattamento con lepiru-dina, un farmaco analogo all’irudina, con UFH; la mortalità cardiovascolare o l’incidenza di IM a 7 giorni erano tenden-zialmente più bassi con lepirudina (3,6% e 4,2% rispettiva-mente, p = 0,08). I sanguinamenti maggiori, tali da rendere necessaria una trasfusione, erano rari ma più frequenti con la lepirudina (1,2% contro 0,7% con eparina, p = 0,01). Una meta-nalisi di tutti gli studi con l’irudina ha mostrato un modesto benefi cio del 10% a favore dell’irudina, che non è statistica-mente signifi cativo nei pazienti con UA/NSTEMI. Anche altri inibitori diretti della trombina sintetici sono stati valutati in piccoli studi (p.es., argatroban e bivalirudina), con una ten-denza alla riduzione dell’incidenza di eventi cardiaci ricor-renti e dei sanguinamenti.212-214

BIVALIRUDINA. Questo inibitore diretto della trombina è stato testato in corso di PCI ed è stata riscontrata una tendenza a esiti migliori rispetto all’UFH215 e risultati simili a quelli con associazione di UFH e inibitori delle GP IIb/IIIa.216 Nell’ultimo studio, solo il 40% dei pazienti era classifi cato come affetto da UA/NSTEMI, e la differenza nell’incidenza di eventi cardiaci ricorrenti era numericamente maggiore ma non statisticamente signifi cativa in questo sottogruppo ad alto rischio. Quindi, l’ef-fi cacia della bivalirudina nell’UA/NSTEMI non è stata com-pletamente valutata, ma è in corso un ampio studio. Gli inibitori diretti della trombina si sono dimostrati in grado di fornire un livello molto stabile di anticoagulazione, valutato mediante l’aPTT,35,217 senza che fosse segnalato alcun episodio di trombocitopenia per i farmaci del gruppo dell’irudina. Si deve rilevare che la lepirudina e l’argatoban sono approvati dalla FDA statunitense come anticoagulanti in pazienti con trombocitopenia indotta dall’eparina e malattie tromboembo-liche associate.

Anticoagulanti orali (vedi Cap. 80)

L’anticoagulazione orale con warfarin successiva a SCA è stata esaminata in molti studi, con il razionale che un trattamento prolungato può aumentare il vantaggio di una anticoagula-zione precoce con farmaco antitrombinico (p.es., eparina o LMWH). Tre dei primi grandi studi non sono riusciti a dimo-strare un benefi cio signifi cativo del warfarin più aspirina a lungo termine rispetto alla sola aspirina. Nello studio OASIS-2 su pazienti con UA/NSTEMI, il tasso di mortalità cardiovasco-lare, IM o ictus a 5 mesi era del 7,6% per quelli che ricevevano warfarin più aspirina contro l’8,3% di quelli che ricevevano la sola aspirina (p = NS).218 Similmente, nello studio Combi-nation Hemotherapy and Mortality Prevention (CHAMP) sui sopravvissuti a IM, non era presente alcuna differenza nel tasso di mortalità per tutte le cause, su una media di 2,7 anni di follow-up, tra l’associazione di warfarin con aspirina rispetto alla sola aspirina, ma vi era una maggior frequenza di emorra-gie maggiori.219 Inoltre, una dose fi ssa di warfarin più aspirina non era migliore rispetto a sola aspirina nel Coumadin Aspirin Reinfarction Study (CARS).220

Tuttavia, tre successivi studi, oltre a un’analisi post hoc dell’OASIS-2, hanno suggerito che se è raggiunto un grado suffi ciente di anticoagula-zione, si può osservare un benefi cio con la combinazione di aspirina e warfarin rispetto alla sola aspirina.221-224 In ciascuno di questi studi, l’Inter-national Normalized Ratio (INR) per il braccio di trattamento con warfarin (più aspirina) era, in media, tra 2,3 e 2,4, indicando il raggiungimento di

STUDI CLINICI

Vi sono stati più di 12 studi randomizzati che hanno confrontato le LMWH con placebo201 o con UFH18,202,203 e uno che ha confrontato due differenti LMWH. La LMWH (aggiunta all’aspirina) si è dimostrata effi cace rispetto alla sola aspirina, comportando una riduzione del 66% della probabilità di morte o IM.201,204

Nei confronti tra LMWH e UFH, è stata riscontrata eterogeneità fra le diverse LMWH. A tutt’oggi, nessuna differenza è stata osservata tra dalte-parina202 o nadroparina rispetto all’UFH.202,203

D’altra parte, tre o quattro studi con enoxaparina hanno riscontrato un signifi cativo miglioramento degli esiti clinici. Negli studi Evaluation of the Safety and Effi cacy of Enoxaparin in Non-ST Elevation Coronary Events (ESSENCE)18 e TIMI 11B,19 l’enoxaparina dimostrava un benefi cio signifi ca-tivo, del 20% circa, nel ridurre mortalità, incidenza di IM o ischemia ricor-rente rispetto all’UFH. In entrambi gli studi, i pazienti con slivellamento del tratto ST presentavano una riduzione signifi cativa degli eventi cardiaci con enoxaparina confrontata con UFH, assente in quelli senza slivellamento del tratto ST.18,19 Allo stesso modo, nel sottostudio TIMI 11B sulla troponina, anche tra pazienti con CK-MB negativa, quelli con elevazione della tropo-nina I traevano un maggior benefi cio dall’enoxaparina, rispetto all’UFH, al contrario di quelli con troponina negativa.205 Usando il TIMI risk score (Fig. 49-9A), il benefi cio dell’enoxaparina rispetto all’UFH veniva osservato nei pazienti con uno score di 3 o maggiore (sia nell’ESSENCE che nel TIMI 11B).67 Di conseguenza, i benefi ci clinici dell’enoxaparina si osservano nel gruppo di pazienti a maggior rischio.

In una formale analisi farmacoeconomica, l’uso di enoxaparina si è dimostrato vantaggioso in termini di costo/effi cacia. È stato rilevato un piccolo aumento nel costo del farmaco (enoxaparina contro UFH con misurazione dell’aPTT), ma questo veniva compensato da una frequenza signifi cativamente più bassa di cateterismi e procedure di rivascolariz-zazione, e pertanto la terapia con enoxaparina porta a un risparmio di $1172 per ogni paziente trattato.206 Pertanto, sono stati osservati sia un miglioramento degli esiti che una riduzione dei costi con il trattamento intraospedaliero con enoxaparina rispetto all’UFH. Non è stato osservato alcun benefi cio aggiuntivo con la continuazione della terapia con enoxapa-rina dopo la dimissione.19 D’altra parte, un più importante benefi cio veniva osservato con l’enoxaparina nei pazienti sottoposti a PCI.207

Tre studi hanno valutato i vantaggi dell’enoxaparina rispetto all’UFH in pazienti già trattati con aspirina e un inibitore della GP IIb/IIIa.40,158,208 In uno studio, in cui l’enoxaparina veniva somministrata approssimativa-mente per 4 giorni prima di qualunque intervento di rivascolarizzazione, tale trattamento conduceva a una riduzione signifi cativa di decessi o IM e di ischemia ricorrente documentata da sottoslivellamento del tratto ST al monitoraggio Holter.40 Nello studio A to Z, veniva osservata una tendenza non signifi cativa verso un miglioramento degli esiti.208 Un terzo studio (Superior Yield of the New strategy of Enoxaparin, Revascularization, GlYcoprotein IIb/IIIa inhibitors [SYNERGY]) condotto su circa 10.000 soggetti, non evidenziava nel contesto di una strategia invasiva precoce con inibizione della GP IIb/IIIa alcuna differenza signifi cativa nella mortalità o nell’incidenza di infarto miocardico tra trattamento con enoxaparina e UFH, ma un aumento delle emorragie si riscontrava con l’utilizzo del-l’enoxaparina.208a La Figura 49-16 riassume i dati sull’uso dell’enoxapa-rina nell’UA/NSTEMI: una riduzione signifi cativa, approssimativamente del 15-20%, del rischio relativo di decesso o IM e dell’endpoint combinato di morte, IM o ischemia ricorrente a 7 giorni.208

Infi ne, uno studio di 438 pazienti con UA/NSTEMI ha confrontato diret-tamente due LMWH – enoxaparina e tinzaparina. L’endpoint primario com-posito (morte, IM o ischemia ricorrente) a 7 giorni era signifi cativamente più basso nel gruppo dell’enoxaparina (12,3% versus 21,1% nel gruppo tinzaparina, p = 0,015).209 Questi dati, combinati con gli studi multipli sull’enoxaparina contro UFH, suggeriscono che la prima è di particolare benefi cio nei pazienti con UA/NSTEMI e, a meno che nuovi studi con altre LMWH non dimostrino un benefi cio rispetto all’eparina non frazionata, l’enoxaparina sembra essere la LMWH (e, più in generale, il farmaco anti-trombina) di scelta nell’UA/NSTEMI.

Poiché uno dei supposti vantaggi delle LMWH sull’UFH è la maggiore inibizione del fattore Xa, la ricerca sta proseguendo nella direzione degli inibitori puri del fattore Xa. Uno di questi è un pentasaccaride sintetico, che si è dimostrato più effi cace dell’enoxaparina nella prevenzione della trom-bosi venosa profonda;210 è attualmente in fase di valutazione nei pazienti con UA/NSTEMI e STEMI.

Inibitori diretti della trombina (vedi Cap. 80)

Anche gli inibitori diretti della trombina sono stati sottoposti a estese valutazioni. Il prototipo è l’irudina, un anticoagulante presente naturalmente nelle sanguisughe. L’irudina prodotta con le tecniche del DNA ricombinante è un polipeptide di 65 residui aminoacidici che lega direttamente la trombina, indi-pendentemente dall’antitrombina. L’irudina desirudina è stata

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ngina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellam

ento del tratto ST una piena anticoagulazione, rispetto al valore di 1,9 riscontrato nello studio CHAMP, in cui non si riscontrava alcun benefi cio col warfarin. Nel più vasto studio,223 4930 pazienti con SCA nelle 8 settimane precedenti venivano casualmente assegnati al solo warfarin (obiettivo di INR da 2,8 a 4,2), aspirina (160 mg/d), o aspirina (75 mg/d) com-binata con warfarin, obiettivo di INR da 2,0 a 2,5. Durante una media di 4 anni di follow-up, la morte, l’IM o l’ictus cerebrale tromboembolico si verifi ca-vano nel 20,0% dei pazienti trattati con aspirina, contro il 16,7% dei pazienti che ricevevano il warfarin (p = 0,03), e il 15,0% dei pazienti che ricevevano il warfarin e l’aspirina (p = 0,001). I tassi di emorragie maggiori sono stati dello 0,62% per anno di trattamento in entrambi i gruppi che ricevano il war-farin e dello 0,17% nei pazienti trattati con aspirina (p <0,001). Quindi, l’asso-ciazione di aspirina con warfarin è più effi cace della sola aspirina per la pre-venzione secondaria a lungo termine.

Tuttavia, considerati l’effi cacia simile riscontrata con l’associazione clopidogrel più aspirina, la mancanza della necessità di monitorare l’INR e il frequente ricorso a PCI e stenting in una popolazione di pazienti in cui la terapia con clopidogrel è ormai con-solidata, l’utilizzo clinico dell’associa-zione aspirina più warfarin è limitato. Tuttavia, tra i pazienti con altre indi-cazioni per il warfarin, come la fi bril-lazione atriale cronica o la grave disfunzione ventricolare sinistra, che sono ad alto rischio di embolia sistemica, la combinazione di aspirina più warfarin deve essere la terapia antitrombotica di scelta per il lungo termine.225 La combinazione dei tre farmaci non è stata testata a tutt’oggi ma può determinare un più alto rischio di emorragia durante la terapia a lungo termine. L’uso di tutti e tre i farmaci insieme è a volte necessario nei pazienti con fi brillazione atriale o altra forte indicazione per il warfarin a cui venga praticato lo stenting. In questi pazienti, un tipo di approccio è l’uso di aspirina (da 75 a 81 mg/d) e warfarin (INR da 2,0 a 2,5) e associare il clopidogrel per un solo mese (il periodo durante il quali il rischio di trombosi è massimo).

È in corso la ricerca per identifi care anticoagulanti orali alternativi. Uno solo di essi, lo ximelagatran, un inibitore diretto della trombina assumibile per via orale, è stato valutato in pazienti in seguito a SCA in uno studio sulle posologie. Complessivamente, la combinazione di ximelagatran più aspirina ha ridotto la percentuale di morte, IM o grave ischemia ricorrente del 24% rispetto all’aspirina, dal 16,3% al 12,7% (p = 0,049).226 Nonostante questo farmaco fosse associato a elevazione dei test di funzionalità epatica, esso viene somministrato a dose fi ssa e non richiede il monitoraggio del livello di anticoagulazione, ma richiede il monitoraggio della funzionalità epatica. Gli inibitori del fattore Xa sono ai primi stadi di sviluppo.

Inibitori della glicoproteina IIb/IIIa (vedi Cap. 80)

Gli inibitori del recettore GP IIb/IIIa rappresentano una potente classe di farmaci antipiastrinici che agiscono prevenendo l’at-tivazione della via fi nale comune dell’aggregazione piastrinica, cioè, la formazione dei ponti piastrinici trasversali mediata dal fi brinogeno attraverso il legame alla GP IIb/IIIa (Fig. 49-4). Queste sostanze sono potenti inibitori della aggregazione pia-strinica indotta da tutti i tipi di stimoli (p.es., trombina, ADP, collagene, serotonina). Tre farmaci sono attualmente disponi-bili per l’uso in corso di UA/NSTEMI, l’abciximab, il tirofi ban e l’eptifi batide, tra cui il primo è attualmente approvato solo nei pazienti sottoposti a PCI. L’abciximab è un frammento Fab di un anticorpo monoclonale diretto contro il recettore della GP IIb/IIIa. L’eptifi batide, un eptapeptide sintetico, e il tirofi ban, una molecola non peptidica, sono antagonisti del recettore della GP IIb/IIIa, la loro struttura simula la sequenza aminoa-cidica arginina-glicina-acido aspartico (abbreviata RGD) attra-verso cui il fi brinogeno si lega al recettore della GP IIb/IIIa.

Numerosi studi hanno dimostrato un benefi cio dell’inibi-zione IIb/IIIa nell’UA/NSTEMI nei pazienti trattati preferen-zialmente farmacologicamente,21 in quelli in cui si sceglieva una precoce strategia interventistica227 e in quelli sottoposti a entrambe.20,22,228 Nello studio Platelet Receptor Inhibition for Ischemic Syndrome Management in Patients Limited by Unsta-ble Signs and Symptoms (PRISM-PLUS) il regime con tirofi ban più eparina e aspirina riduceva signifi cativamente il tasso di morte, IM o ischemia refrattaria a 7 giorni nei confronti della terapia con eparina più aspirina.22 Anche l’incidenza di morte e IM a 30 giorni si riduceva signifi cativamente del 30%, dallo 11,9 all’8,7%. Anche nello studio PURSUIT, che ha arruolato 10.948 pazienti, l’eptifi batide ha signifi cativamente ridotto la mortalità e l’incidenza di IM a 30 giorni.20

Sembrava esservi un maggiore benefi cio del trattamento quando somministrato precocemente rispetto all’insorgenza di dolore, cioè, entro le prime 6-12 ore.229 Il benefi cio osservato può essere in parte correlato alla riduzione dell’entità della necrosi miocardica in caso di trattamento precoce.230 Inoltre, è stato osservato che gli inibitori della GP IIb/IIIa portano a una maggiore risoluzione del trombo e a un miglioramento del fl usso coronarico rispetto al solo trattamento con aspirina ed eparina.56,231 L’insieme di questi dati stabilisce il legame fi sio-patologico tra la potente inibizione piastrinica raggiunta con l’inibizione della GP IIb/IIIa, la riduzione dei trombi, il miglio-ramento del fl usso ematico coronarico e il conseguente miglio-ramento nell’esito clinico.

Tuttavia, il più recente studio, GUSTO-IV ACS, non ha evi-denziato benefi ci bensì una maggiore mortalità precoce con l’uso dell’abciximab nei pazienti con UA/NSTEMI ad alto rischio per i quali era stata pianifi cata una strategia conserva-tiva precoce (iniziale trattamento medico).232 È stato ipotizzato che la più alta mortalità osservata nel gruppo in cui veniva praticata l’infusione per 48 ore sia dovuta al basso livello di inibizione dell’aggregazione piastrinica durante l’infusione di abciximab alle dosi testate. Questa teoria è in parte basata sui dati provenienti da altri studi che hanno mostrato che durante l’infusione di 12 ore il livello di inibizione piastrinica scende

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Eparina Tirofiban

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CAPTURE PRISM

FIGURA 49–17 Sinistra, Benefi ci dell’abciximab nello studio CAPTURE su pazienti con angina instabile refrattaria trattati con angioplastica, manifestati nei pazienti con troponina T positiva rispetto a quelli con troponina negativa al momento dell’arruolamento; Destra, Un maggiore benefi cio del tirofi ban rispetto all’eparina nei pazienti con angina instabile o con infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST è stato osservato anche in quelli con tropo-nina I positiva nello studio PRISM, con quasi il 70% di riduzione dei casi di morte o infarto miocardico (IM) a 30 giorni con gli inibitori della GP IIb/IIIa. (Sinistra, Dati da Hamm CW, Heeschen C, Goldmann B, et al: Benefi t of abciximab in patients with refractory unstable angina in relation to serum troponin T levels. C7E3 Fab antiplatelet therapy in unstable refractory angina [CAPTURE] study investigators. N Engl J Med 340:1623, 1999; destra, da Heeschen C, Hamm CW, Goldmann B, et al: Troponin concentrations for stratifi cation of patients with acute coronary syndromes in relation to therapeutic effi cacy of tirofi ban. PRISM study investigators. Platelet Receptor Inhibition in Ischemic Syndrome Management. Lancet 354:1757, 1999.)

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Capitolo 49

stabilmente.233 È stato scoperto che bassi livelli di inibizione piastrinica portano al rilascio di CD40L, una proteina protrom-botica e proinfi ammatoria. Quindi, il fallimento di questo far-maco nel migliorare la prognosi nei pazienti con UA/NSTEMI in terapia medica può essere correlato alla farmacodinamica del farmaco e alla dose testata. Nelle metanalisi che non com-prendevano il GUSTO-IV ACS e che valutavano le “piccole molecole” inibitrici della GP IIb/IIIa, si è osservata una ridu-zione del 20% dei decessi o IM a 30 giorni.234 Tuttavia, se viene incluso il GUSTO-IV ACS, il benefi cio dell’inibizione della GP IIb/IIIa nella riduzione della mortalità o IM a 30 giorni è solo del 9% (p = 0,015).

STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO E INIBIZIONE DELLA GLICOPROTEINA IIB/IIIA. L’inibizione della GP IIb/IIIa sem-bra essere un trattamento da indirizzare ai pazienti a più alto rischio. Negli studi iniziali, fu osservato che il sottogruppo di pazienti con sottoslivellamento o transitorio sopraslivella-mento del tratto ST aveva un benefi cio assoluto maggiore di due-tre volte rispetto a quello osservato per i pazienti senza modifi cazioni del tratto ST.22 Nei pazienti diabetici con UA/NSTEMI è stata riscontrata una riduzione del 26% della mor-talità con l’inibizione della GP IIb/IIIa, mentre nessuna ridu-zione veniva osservata nei non diabetici.69

Sottostudi che hanno utilizzato i livelli basali di troponina (ed ora altri indicatori cardiaci) hanno riscontrato che il bene-fi cio dell’inibizione della GP IIb/IIIa sembra essere maggiore in questi pazienti ad alto rischio. Tale osservazione veniva fatta per la prima volta con il trial Chimeric c7E3 AntiPlatelet The-rapy in Unstable angina REfractory to standard treatment (CAP-TURE): in pazienti con livelli basali di troponina T positivi, il trattamento con abciximab prima del PCI conduceva a una riduzione del 68% della mortalità o incidenza di IM a 6 mesi, mentre nessun benefi cio signifi cativo veniva osservato nei sog-getti con troponina T negativa (p <0,001).78 Questi risultati sono stati di recente fondamentalmente riprodotti con il tiro-fi ban contro eparina nello studio PRISM (Fig. 49-17)79 e in altri due studi.235,236 Risultati simili sono stati osservati utilizzando il TIMI risk score per identifi care i soggetti ad alto rischio che traessero benefi cio dall’inibizione della GP IIb/IIIa.123 In questi sottogruppi si è riscontrato al controllo angiografi co una mag-giore presenza di trombosi coronarica57,237 e pertanto tali pazienti sono a rischio di embolizzazione microvascolare238 e rappresentano i sottogruppi in cui questa potente classe di farmaci antitrombotici può essere di gran benefi cio.

Anche altri indicatori cardiaci sono stati in grado di iden-tifi care i pazienti ad alto rischio, che traggono benefi cio dal-l’inibizione dalla GP IIb/IIIa. Il CD40L sembra aggiungere ulteriori informazioni a quelle fornite dalla troponina nel-l’identifi care i pazienti che traggono benefi cio; tra i soggetti con troponina positiva, quelli con bassi livelli di CD40L non traevano alcun benefi cio dalla terapia con abciximab. Al con-trario, tra i soggetti con troponina negativa, che nel com-plesso non avevano alcun benefi cio dalla terapia con abcixi-mab nello studio originale,78 quelli con aumentati livelli di CD40L presentavano una signifi cativa riduzione degli eventi con l’aggiunta dell’abciximab alla terapia. Questi dati sugge-riscono che una più accurata identifi cazione della trombosi coronarica e dell’attivazione piastrinica con questi nuovi indicatori cardiaci può aiutare a identifi care i pazienti in cui gli inibitori della GP IIb/IIIa saranno di maggior benefi cio.

INIBIZIONE DELLA GLICOPROTEINA IIB/IIIA E INTER-VENTI CORONARICI PERCUTANEI. Con il maggiore benefi -cio relativo osservato negli studi clinici con gli inibitori della GP IIb/IIIa su pazienti sottoposti a PCI,186,188 confrontato con il benefi cio complessivo del 9% in tutti i pazienti con UA/NSTEMI, molti hanno ritenuto che questa classe di farmaci potesse essere riservata ai soggetti sottoposti a PCI. Due meta-nalisi hanno riscontrato che la maggior parte del benefi cio osservato negli studi su UA/NSTEMI si osservava nei pazienti sottoposti precocemente a PCI (o CABG).239 Tuttavia, un aspetto

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%)

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Mesi

FIGURA 49–18 Curve degli eventi di Kaplan-Meier relative a tre studi che hanno confrontato la strategia invasiva con quella conservativa nella SCA. In alto, Probabilità di morte o infarto miocardico (IM) in base alla assegnazione alla strategia invasiva o non invasiva nello studio FRagmin and Fast Revascu-larisation during InStability in Coronary artery disease (FRISC) II. Al centro, Prognosi sfavorevole (morte, IM e riospedalizzazione) di entrambi i gruppi di trattamento nel Treat Angina with aggrastat and determine Cost of Therapy with an Invasive or Conservative Strategy – Studio Thrombolysis in Myocardial Infarction (TACTICS-TIMI) 18. In basso, Morte, IM o angina refrattaria (RA) nello studio Randomised Intervention Treatment of Angina-3 (RITA-3). (In alto, Adattato da Wallentin L, Lagerqvist B, Husted S, et al: Outcome at 1 year after an invasive compared with a non-invasive strategy in unstable coronary artery disease: The FRISC II invasive randomized trial. Lancet 356:9, 2000; al centro, da Cannon CP, Weintraub WS, Demopoulos LA, et al: Comparison of early inva-sive and conservative strategies in patients with unstable coronary syndromes treated with the glycoprotein IIb/IIIa inhibitor tirofi ban. N Engl J Med 344:1879, 2001; in basso, adattato da Fox KAA, Poole-Wilson PA, Henderson RA, et al: Interventional versus conservative treatment for patients with unstable angina or non-ST-elevation myocardial infarction: The British Heart Foundation RITA 3 randomised trial. Lancet 360:743, 2002.)

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ngina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellam

ento del tratto ST quelli trattati in ospedali in cui l’inibizione della GP IIb/IIIa veniva usata meno frequentemente.244 Una quadro quasi iden-tico è stato osservato in una simile analisi del registro CRU-SADE (Can Rapid Risk Stratifi cation of Unstable Angina Patients Suppress Adverse Outcomes with Early Implemen-tation of the ACC/AHA Guidelines), con una maggiore effi ca-cia nei pazienti con troponina positiva al momento della pre-sentazione.245 Questi dati supportano l’uso degli inibitori della GP IIb/IIIa nel trattamento dei pazienti con NSTEMI ad alto rischio. Attualmente, sono in corso studi randomizzati per valutare quale sia il momento più appropriato per iniziare il trattamento con inibitori della GP IIb/IIIa.

SICUREZZA. La frequenza di emorragie importanti era leggermente più alta nei pazienti trattati con inibitori della GP IIb/IIIa rispetto a quelli che ricevevano solo aspirina o eparina. In una metanalisi dei grandi studi clinici controllati con placebo, un episodio di sanguinamento maggiore si veri-fi cava nel 2,4% dei pazienti trattati con inibitori della GP IIb/IIIa contro l’1,4% del gruppo placebo, p minore di 0,0001.228 La trombocitopenia è una complicanza poco comune ma importante della terapia con inibitori della GP IIb/IIIa. Per quanto riguarda il tirofi ban, nello studio PRISM-PLUS la frequenza di trombocitopenia grave (<50.000 cellule/mm3) era dello 0,5% contro lo 0,3% con l’eparina (p = non signifi cativo)22; nello studio PURSUIT, la trombocitopenia (<20.000 cellule/mm3) si verifi cava nello 0,2% rispetto a meno dello 0,1% con l’eparina.20 La trombocitopenia è associata a un aumentato sanguinamento e, in una minor percentuale di pazienti, a eventi trombotici ricorrenti.246 Questa sindrome sembra somigliare alla trombocitopenia indotta da eparina e indica il bisogno di controlli quotidiani della conta piastri-nica durante la terapia con inibitori della GP IIb/IIIa.

di cui non si teneva conto in queste analisi era la proporzione di benefi cio ottenuto prima dell’esecuzione del PCI. In un’ana-lisi combinata dei tre studi, PRISM-PLUS, PURSUIT e CAP-TURE, che hanno arruolato complessivamente 12.296 pazienti, c’era una riduzione relativa del 34% della mortalità o dell’in-cidenza di IM durante un periodo di 24 ore di solo trattamento medico (3,8 versus 2,5%, p = 0,001), con il mantenimento di tali benefi ci fi no al termine del PCI.240 Inoltre, c’è evidenza che l’iniziale trattamento medico con un inibitore della GP IIb/III di piccole dimensioni conduce a un benefi cio clinico; nello studio PRISM si riscontrava una signifi cativa riduzione del 32% di mortalità, IM o ischemia refrattaria a 48 ore, suggerendo un signifi cativo benefi cio clinico durante il semplice tratta-mento medico.21

BYPASS AORTOCORONARICO. I pazienti sottoposti a CABG sembrano ottenere un particolare benefi cio dalla terapia precoce con l’inibizione della GP IIb/IIIa,241 riscontrato anche nella metanalisi di pazienti sottoposti a CABG entro 5 giorni dalla randomizzazione.228 Come avviene per i pazienti sotto-posti a PCI, il benefi cio degli inibitori della GP IIb/IIIa è stato osservato sia prima del CABG che nella fase postoperatoria precoce. L’ipotesi è che la terapia antipiastrinica precoce riduca il trombo e stabilizzi preoperatoriamente il paziente, ridu-cendo quindi le complicanze perioperatorie.

Pertanto, sembra che vi sia un benefi cio dell’inibizione della GP IIb/IIIa durante la fase di trattamento medico nonché nei pazienti sottoposti a PCI e CABG. Poiché i pazienti con UA/NSTEMI rappresentano un gruppo a rischio così alto, il bene-fi cio dell’inibizione della GP IIb/IIIa è stato piuttosto impres-sionante, con una riduzione dell’incidenza di morte o IM che va dal 30 al 70%.242 Di conseguenza, i soggetti sottoposti a PCI devono essere stati trattati con un inibitore della GP IIb/IIIa al momento della presentazione o, in alternativa, durante la procedura.

SCELTA DELLA CONDOTTA TERAPEUTICA BASATA SULLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO O SULL’IMPOSTA-ZIONE STRATEGICA. La questione del benefi cio relativo del-l’inibizione della GP IIb/IIIa scelta in base alla valutazione del rischio rispetto a logiche di strategia terapeutica è stata affron-tata in numerosi studi. Nello studio PRISM, il benefi cio del-l’inibizione della GP IIb/IIIa in pazienti con troponina positiva è stato osservato con o senza rivascolarizzazione, 79 indicando che una scelta terapeutica basata sul rischio piuttosto che sul tipo di procedura scelta può essere ottimale. Risultati simili sono stati osservati nello studio PRISM-PLUS, usando un pun-teggio di rischio; tra i pazienti a maggior rischio, il grado di benefi cio dell’inibizione della GP IIb/IIIa era simile in quelli che avevano ricevuto un PCI e in quelli che non erano andati incontro a tale procedura.123,243 Siccome non è chiaro al momento della presentazione se un determinato paziente verrà trattato con PCI, CABG o con la sola terapia medica, destinare l’inibizione della GP IIb/IIIa ai pazienti ad alto rischio appare fortemente indicato.

Nuovi dati derivati da due ampi studi osservazionali costi-tuiscono un ulteriore supporto per il trattamento precoce. Il National Registry of Myocardial Infarction (NRMI) ha arruo-lato 60.770 pazienti con NSTEMI. I pazienti in cui veniva effettuata l’inibizione della GP IIb/IIIa entro 24 ore dalla pre-sentazione sono stati confrontati con un secondo gruppo in cui questo non avveniva, e il cui 10% era rappresentato da pazienti in cui gli inibitori della GP IIb/IIIa per il PCI venivano somministrati più tardivamente nel corso del ricovero.244 Sola-mente il 25% dei pazienti potenzialmente candidati alla som-ministrazione precoce di GP IIb/IIIa riceveva tale terapia. I pazienti trattati con inibizione precoce della GP IIb/IIIa pre-sentavano una mortalità aggiustata per gli altri fattori di rischio del 12% inferiore. Inoltre, i pazienti trattati in ospedali in cui era più diffuso l’utilizzo precoce degli inibitori della GP IIb/IIIa presentavano un tasso di mortalità aggiustato inferiore a

Tabella 49–5 Test non invasivi predittivi di alto rischio di eventi sfavorevoli

Test ergometrico Sottoslivellamento orizzontale o discendente del tratto ST con

Insorgenza a frequenza cardiaca <120 battiti/min o £6,5 MET Ampiezza ≥2,0 mm Persistenza per oltre 6 minuti dopo l’esercizio ≥6 min Sottoslivellamento in derivazioni multiple

Alterazioni della risposta della pressione arteriosa sistolica Con prolungata riduzione di >10 mmHg o profi lo pressorio piatto

£130 mmHg, associate ad alterazioni dell’elettrocardiogramma Altro

Sopraslivellamento del tratto ST indotto dall’esercizio Tachicardia ventricolare

Scintigrafi a di perfusione miocardica Alterata distribuzione miocardica del tracciante in più di una

regione corrispondente alla singola arteria coronarica a riposo o sotto sforzo o difetto antecedente di riperfusione

Anormalità nella distribuzione miocardica con aumento della captazione polmonare

Dilatazione cardiaca

Diagnostica per immagini del ventricolo sinistro Ventricolografi a radioisotopica da stress

FE sotto sforzo £50% FE a riposo £35% Riduzione della FE del ≥10%

Ecocardiografi a da stress FE a riposo £35% Valutazione della cinetica parietale >1

FE = frazione di eiezione; MET = equivalenti metabolici.Adattato da Schlant RC, Blomqvist CG, Brandenburg RO, et al: Guidelines for

exercise testing. Circulation 74:653A, 1986; Guidelines for Clinical Use of Cardiac Radionuclide Imaging, December 1986. J Am Coll Cardiol 8:1471, 1986; Cheitlin MD, Alpert JS, Armstrong WF, et al: ACC/AHA Guidelines for the Clinical Application of Echocardiography. Circulation 95:1686, 1997.

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Capitolo 49

INIBIZIONE ORALE DELLA GP IIB/IIIA. Poiché il benefi cio dell’uso degli inibitori della GP IIb/IIIa per via endovenosa si verifi ca solo durante l’infusione, è stato ipotizzato che la prolungata inibizione della GP IIb/IIIa utilizzando farmaci assumibili per via orale potesse migliorare ulterior-mente la prognosi. Sfortunatamente, cinque ampi studi non hanno dimo-strato i benefi ci di questo approccio.166,247-250 Inoltre, si è potuto osservare un aumento della mortalità del 35% in tutti gli studi.

TERAPIA TROMBOLITICA. Dal momento che la terapia trombolitica è utile nel trattamento dei pazienti con IM acuto con sopraslivellamento del tratto ST, si riteneva che potesse anche essere effi cace nelle altre SCA in cui è implicata la trombosi. Nello studio TIMI IIIB, 1473 pazienti con UA/NSTEMI sono stati trattati con aspirina, UFH e terapia antischemica e sono stati randomizzati a ricevere l’attivatore tissutale del plasminogeno (t-PA) oppure placebo. Non è stata osservata alcuna differenza nell’incidenza di morte, IM post-randomizzazione o ischemia ricorrente documentata obiettivamente nel corso delle successive 6 settimane.251 Il meccanismo proposto per spiegare gli effetti sfavorevoli della trombolisi in corso di UA/NSTEMI è un effetto protrombotico della trombolisi.

Strategia invasiva contro strategia conservativa

Esistono due approcci generali all’uso del cateterismo cardiaco e della rivascolarizzazione nell’UA/NSTEMI. Il primo è una strategia “invasiva precoce”, che contempla il cateterismo cardiaco e la rivascolarizzazione con PCI o bypass chirur-gico precoci di routine, in rapporto all’anatomia coronaria il secondo è una strategia più “conservativa” con iniziale tratta-mento medico con cateterismo e rivascolarizzazione solo per l’ischemia ricorrente o a riposo o documentata con un test da sforzo non invasivo.

STUDI CLINICI

A tutt’oggi, nove studi randomizzati hanno valutato i vantaggi relativi di una condotta invasiva, che preveda l’esecuzione routinaria del cateterismo cardiaco con rivascolarizzazione laddove possibile, rispetto a una strategia conservativa in cui l’arteriografi a e la rivascolarizzazione sono riservate a pazienti che abbiano evidenza di ischemia ricorrente a riposo o in corso di test provocativo. I primi tre studi non sono riusciti a dimostrare un benefi cio signifi cativo,251 tuttavia i successivi sei, inclusi il FRagmin and Fast Revascularisation during InStability in Coronary artery disease (FRISC) II e il TACTICS-TIMI 18 trials and the Randomized Intervention Trial of unstable Angina (RITA), hanno tutti evidenziato un signifi cativo benefi cio (Fig. 49-18).3,252,253

Nel FRISC II, 2457 pazienti con UA/NSTEMI sono stati randomizzati al braccio che prevedeva una condotta invasiva con angiografi a coronarica effettuata in media 4 giorni dopo la randomizzazione cioè una strategia invasiva ritardata oppure a una strategia conservativa. Quest’ultima adot-tava dei rigidi criteri per porre l’indicazione al cateterismo, richiedendo la presenza di angina refrattaria nonostante terapia medica massimale o test da sforzo positivo con depressione dell’ST maggiore di 0,3 mV. Con questa strategia conservativa, solo il 9% dei pazienti è stato sottoposto a rivasco-larizzazione durante i primi 7 giorni. Questo studio ha evidenziato che la percentuale di mortalità o IM a 6 mesi era signifi cativamente inferiore nel gruppo trattato con strategia invasiva rispetto a quella conservativa, rispettivamente 9,4% contro il 12,1%, p = 0,031. A un anno era presente una riduzione signifi cativa della mortalità nel gruppo invasivo rispetto a quello conservativo (2,2 versus 3,9%, rispettivamente, p = 0,016).252

Nello studio TACTICS-TIMI 18, tutti i pazienti ricevevano aspirina, eparina e il tirofi ban, inibitore della GP IIb/IIIa, al momento della rando-mizzazione per almeno 48 ore, comprendenti le 12 ore successive a PCI. L’incidenza di morte, IM o riospedalizzazione per SCA a 6 mesi era ridotta con la strategia precoce invasiva, dal 19,4% nel gruppo a strategia conser-vativa rispetto al 15,9% nel gruppo precoce invasivo, p = 0,025.3 A 30 giorni l’incidenza di eventi maggiori era del 10,5% per la strategia conservativa e del 7,4 % per quella invasiva, p = 0,009. L’incidenza di morte o IM non fatale era signifi cativamente ridotta a 30 giorni (da 7,0 a 4,7%, rispettivamente, p = 0,02) e a 6 mesi (p = 0,0498). In un’analisi prospettica dei costi, il costo stimato per anno di vita guadagnato con la strategia invasiva, basandosi sull’aspettativa di vita, era di $12.739, confermando che la strategia invasiva precoce ha un rapporto costo/effi cacia migliore rispetto agli altri farmaci cardiologici e alle altre tipologie di intervento.254

STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO. I benefi ci della strategia precoce invasiva sono stati osservati nei pazienti a più alto rischio, specialmente in quelli con modifi cazioni del tratto ST e troponina positiva al ricovero.3,45,252 Nel TACTICS-TIMI 18, un’ipotesi prestabilita era l’osservazione di un bene-fi cio signifi cativamente maggiore nei pazienti con troponina positiva

rispetto a quelli con valori negativi.3 Nei pazienti con troponina T maggiore di 0,01 ng/ml, si osservava una riduzione relativa del 39% dell’endpoint primario con la strategia invasiva rispetto a quella conservativa (p <0,001), mentre nei pazienti con troponina negativa si osservavano esiti analoghi con entrambe le strategie. Anche l’incidenza di morte o IM non fatale era signifi cativamente ridotta con la strategia invasiva in pazienti con tropo-nina T maggiore di 0,01 ng/ml. Risultati simili sono stati ottenuti usando un cutoff di 0,1 ng/ml per la troponina T e con la troponina I.45

Gli stessi benefi ci sono stati osservati in pazienti con modifi cazioni del tratto ST al ricovero, con un benefi cio assoluto del 10% per l’endpoint primario nel TACTICS-TIMI 183 rispetto a nessun benefi cio osservato nel gruppo senza modifi cazioni del tratto ST al ricovero. Risultati simili sono stati osservati nel FRISC II.252

Usando il TIMI risk score nel TACTICS, vi era un signifi cativo benefi cio con la strategia precoce invasiva nei pazienti a rischio intermedio (score 3 a 4) e in quelli ad alto rischio (5 a 7), laddove nei pazienti a basso rischio (0 a 2) si osservavano risultati simili con le varie strategie (Fig. 49-9B).3 I gruppi a rischio intermedio e alto costituivano il 75% della popolazione totale nello studio.

SCELTA DEL MOMENTO OPPORTUNO PER L’APPROC-CIO INVASIVO. Essendo ormai ben stabilito il benefi cio di una strategia invasiva precoce, la ricerca si è rivolta alla valu-tazione del momento ottimale in cui avviare tale terapia. Lo studio Intracoronary Stenting with Antithrombotic Regimen COOLing-Off (ISAR-COOL) ha osservato il benefi cio di una strategia invasiva immediata con un tempo medio per il cate-terismo di 2 ore, rispetto a una strategia invasiva ritardata (tempo medio per il cateterismo 4 giorni).184 Un’analisi del momento di esecuzione dell’angiografi a nell’ambito del brac-cio precoce invasivo del TACTICS-TIMI non è riuscita a riscon-trare differenze signifi cative tra i pazienti sottoposti a cateterismo cardiaco nelle prime 12 ore rispetto a quelli in cui la stessa procedura veniva effettuata entro 12-24 ore o entro 24-48 ore.255 Sono in corso ulteriori studi per valutare il momento ottimale di un approccio invasivo, ma sulla base dei dati disponibili il momento ottimale sembra essere entro le prime 48 ore dalla presentazione.

UA/NSTEMI

Stratificazione del rischio

Rischio intermedio o elevato† Rischio basso

ASA, enoxaparina o eparina‡, b-bloccanti, nitrati, clopidogrel*

*Vedi testo per il tempo†Ischemia ricorrente; Trop; ST; insufficienza/disfunzione VS;

instabilità emodinamica; TV, pregressa CABG‡Enoxaparina preferita in caso di strategia conservativa; eparina preferita in caso di strategia invasiva precoce

FIGURA 49–19 Algoritmo per la gestione dei pazienti con angina insta-bile o infarto miocardico con sopraslivellamento dal tratto ST (UA/NSTEMI). I pazienti in cui la diagnosi è confermata o sospettata sono trattati con aspirina (ASA), eparina (enoxaparina preferita all’eparina non frazionata), beta-bloc-canti, nitrati e clopidogrel. Viene poi effettuata una stratifi cazione del rischio, e la terapia viene conseguentemente orientata in base alla categoria di rischio. CABG = bypass arterioso coronarico; VS = ventricolo sinistro; TV = tachicar-dia ventricolare. (Da Braunwald E: Application of current guidelines to the management of unstable angina and non-ST elevation myocardial infarction. Circulation 108:III-28, 2003.)

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ngina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellam

ento del tratto ST Riassunto: indicazioni per strategie invasive contro strategie conservative Sulla base di molti studi randomizzati, una strategia inva-siva precoce è fortemente raccomandata per i pazienti ad alto rischio con UA/NSTEMI con modifi cazioni del tratto ST o con troponina positiva (al momento del ricovero o che evolve nell’ambito delle successive 24 ore), o di entrambi. Inoltre, la presenza di altri indicatori di rischio elevato, come l’ischemia ricorrente e l’evidenza di insuffi cienza cardiaca congestizia, è un’indicazione a una strategia invasiva precoce.4 Un tratta-mento invasivo precoce sembra raccomandato in pazienti con instabilità emodinamica, in base agli studi sull’IM acuto.256 Inoltre, una strategia invasiva precoce è indicata in pazienti con UA/NSTEMI entro 6 mesi da un precedente PCI o con pregressa rivascolarizzazione con CABG.257

ATTUALE UTILIZZAZIONE. L’utilizzazione di procedure cardiache varia da una regione del mondo all’altra, tuttavia il trattamento dei pazienti con UA/NSTEMI sta complessiva-mente spostandosi verso un approccio più invasivo in tutto il mondo. Nel corso del 2003, negli Stati Uniti, nel registro CRU-SADE, che ha incluso pazienti con UA/NSTEMI ad alto rischio, il 62% è stato sottoposto a cateterismo cardiaco durante l’ospe-dalizzazione, il 37% è andato incontro a un PCI e l’11% sotto-posto a intervento chirurgico per la realizzazione di un bypass

Rischio basso

+ Rischio alto

Angiografiacoronarica

Considerarediagnosi

alternativa

Via ad alto rischio

Negativa

Stress test

+ Non alto rischio

Statine, ACE inibitori, Rx per

pazienti ambulatoriali

FIGURA 49–20 Pazienti con angina instabile o infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST. ACE-inibitori = inibitori dell’enzima di conver-sione dell’angiotensina. (Da Braunwald E: Application of current guidelines to the management of unstable angina and non-ST elevation myocardial infarc-tion. Circulation 108:III-28, 2003.)

Tabella 49–6 Check list cardiologica per angina instabile/infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST*

Check list cardiologica — Dimissione

Nome del paziente: Ricovero _________________________________________ data: (Nome) (iniziale intermedia) (Cognome) __________________

Breve anamnesi: _____________________________________________________________

Farmaci 1. Aspirina � 2. Clopidogrel � 3. Statina � 4. ACE-inibitore � 5. Beta-bloccante �

Procedure 6. LDL controllato a bersaglio � 7. Pressione controllata � 8. Diabete controllato � 9. Raccomandazioni per la sospensione del fumo (se indicato) �10. Modifi che dello stile di vita/riabilitazione cardiaca �

Check list cardiologica — Ricovero

Nome del paziente: Ricovero _________________________________________ Data: (Nome) (iniziali) (Cognome) __________________

Breve anamnesi: _____________________________________________________________

Farmaci 1. Aspirina � 2. Clopidogrel � 3. Eparina (o LMWH) � 4. Inibitore della GP IIb/IIIa � 5. Beta-bloccante � 6. Nitrato � 7. ACE-inibitore �

Procedure 8. Cateterismo/rivascolarizzazione per ischemia ricorrente o in

pazienti a rischio intermedio o alto �

Modifi cazione dei fattori di rischio 9. Colesterolo - controllare e trattare se necessario �10. Trattare altri fattori di rischio (p.es., fumo) �

*Questa semplice lista funge da promemoria per le terapie raccomandate dalle linee guida, come l’aspirina, il clopidogrel, l’eparina o le eparine a basso peso molecolare. Questa “check list cardiologica”può essere usata in due modi: i medici possono tenerne una copia in tasca su un cartoncino o sul proprio palmare e visualizzare la lista al momento della prescrizione della terapia al ricovero o può essere usata per sviluppare schede di prescrizione standard per l’angina instabile o infarto del miocardio senza elevazione dell’ST – su fogli di richiesta prestampati o computerizzati. Vedere il testo per i dettagli sulle specifi che indicazioni e controindicazioni dei farmaci.

ACE = enzima di conversione dell’angiotensina; GP = glicoproteina; LDL = lipoproteine a bassa densità; LMWH = eparina a basso peso molecolare.

Rischio intermedio/alto

PCI

CABGConsiderare

diagnosialternativa

Dimettere con ASA, clopidogrel, statine, ACE- inibitori

Normale

Coronarografia

Inibitorillb/IIIa

LMCD, 3VD + disfunzione VS

o diabete mellito

1 o 2 VD, adatto a PCI

FIGURA 49–21 Gestione dell’angina instabile/infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST. ACE-inibitori = inibitori dell’enzima di con-versione dell’angiotensina; ASA = aspirina; LMCD = malattia della coronaria principale sinistra; VS = disfunzione ventricolare sinistra; VD = malattia dei vasi. (Da Braunwald E: Application of current guidelines to the management of unstable angina and non-ST elevation myocardial infarction. Circulation 108:III-28, 2003.)

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Capitolo 49

coronarico.258 Nel corso del 2002, stando ai dati dell’Euro Heart Survey of ACS, un registro con 10.484 pazienti ricoverati in 103 ospedali di 25 Paesi, le corrispondenti percentuali di tali procedure sono state 52,0, 25,4 e 5,4% nei soggetti con UA/NSTEMI. Le procedure cardiache sono usate più frequente-mente nei pazienti a rischio inferiore, non in quelli ad alto rischio, come è invece raccomandato nelle linee guida.259

Indagini non invasive Nel trattamento dell’UA/NSTEMI, i test non invasivi sono utilizzati (1) all’inizio, spesso in Pronto Soccorso per diagno-sticare la presenza o meno di CAD (in pazienti con bassa pro-babilità di coronaropatia) (Cap. 45); (2) allo scopo di indirizzare la terapia nell’ambito di una strategia precoce conservativa; (3) dopo aver somministrato una terapia medica, allo scopo di valutare l’estensione dell’ischemia residua; (4) per valutare la funzione ventricolare sinistra; e (5) per stimare la prognosi (cioè, stratifi cazione del rischio).

I risultati dei test non invasivi che prospettano un rischio elevato di futuri eventi cardiaci sono mostrati nella Tabella 49-5 (Capp. 10, 16 e 50). Tali dati sono derivati da studi che coinvolgevano pazienti con angina instabile, IM e CAD stabile. Gli indicatori di elevato rischio sono evidenza di ischemia al test da sforzo o di disfunzione del ventricolo sinistro (a riposo o sotto sforzo). L’esecuzione dell’angiografi a e della rivascola-rizzazione nei pazienti con prova da sforzo positiva (cioè con evidenza di ischemia) è stata accettata da lungo tempo e inclusa nell’approccio “conservativo”nella maggior parte degli studi randomizzati.3,251,260 Il benefi cio della rivascolarizzazione per ischemia inducibile è stato documentato in pazienti con ECG da sforzo positivo in seguito a terapia trombolitica per STEMI.261

La sicurezza di un test da sforzo eseguito precocemente in pazienti con UA/NSTEMI è oggetto di controversia, ma i dati provenienti da vari studi hanno suggerito che un test da sforzo farmacologico262 o limitato dai sintomi263 è sicuro dopo un periodo di almeno 24-48 ore di stabilizzazione senza ischemia ricorrente in pazienti con UA/NSTEMI.264 Controindicazioni al test da sforzo sono una recente ricomparsa di dolore a riposo, specialmente se associato ad alterazioni dell’ECG o ad altri segni di instabilità (emodinamica o aritmie signifi cative).

I meriti delle diverse modalità delle prove da sforzo sono stati confrontati in un numero relativamente piccolo di pazienti (Capp. 10 e 16). Nella maggior parte dei pazienti, l’ECG da sforzo è raccomandato se l’ECG a riposo non mostra signifi ca-tive anomalie del tratto ST. Se queste anomalie sono presenti, sono raccomandate la scintigrafi a e l’ecocardiogramma da sforzo. Il test da sforzo è generalmente raccomandato a meno che il paziente non sia in grado di camminare suffi cientemente per ottenere un signifi cativo carico di lavoro, in tal caso si raccomanda la prova farmacologica da sforzo.

Rivascolarizzazione INTERVENTO CORONARICO PERCUTANEO (Cap. 52). Il

PCI è un valido mezzo per ridurre l’ostruzione coronarica, migliorando l’ischemia acuta e la funzione ventricolare sinistra regionale e globale nei pazienti con UA/NSTEMI. Attualmente il tasso di successi è elevato, superiore al 95%, sebbene la presenza di UA/NSTEMI o la visualizzazione dei trombi sia associata a un aumentato rischio di complicanze acute quali occlusione improvvisa o IM (se paragonati ai pazienti con angina stabile o a quelli senza trombo visualizzabile).56,265 Così, l’uso degli inibitori della GP IIb/IIIa, del clopidogrel, della bivalirudina o di altri farmaci antitrombotici in tali pazienti è associato a un miglioramento degli esiti a breve e lungo termine dopo un PCI. L’uso di stent medicati ha dimostrato di ridurre il rischio di restenosi,266 incrementando ulteriormente il bene-fi cio clinico di un approccio invasivo.

CONFRONTO TRA PCI E CABG. Quando in pazienti con UA/NSTEMI è necessaria la rivascolarizzazione, la scelta è tra PCI e CABG. Più di otto studi hanno confrontato PCI e CABG nei pazienti con cardiopatia ischemica, molti dei quali avevano UA/NSTEMI.267,268 I risultati di questi studi sono esaminati nel Capitolo 50. Sulla base dei risultati di questi studi, il CABG è raccomandato per i pazienti con malattia del tronco comune della coronaria sinistra, malattia multivasale e alterazione della funzione ventricolare sinistra. Per gli altri pazienti, pos-sono essere adatti sia il PCI che il CABG. Il PCI è associato a morbilità e mortalità lievemente più basse rispetto al CABG ma a frequenza più alta di interventi ripetuti; il trattamento con CABG è associato a una più effi cace risoluzione dell’an-gina.

CONTROPULSATORE INTRA-AORTICO A PALLONCINO. La contropulsazione intra-aortica mediante palloncino (IntraAortic Balloon Counterpulsation, IABP) è un mezzo molto effi cace per aumentare il fl usso coronarico diastolico e ridurre il postcarico ventricolare sinistro, meccanismi che agi-scono insieme nel ridurre l’ischemia (Cap. 25). La IABP è di solito riservato ai pazienti con UA/NSTEMI refrattari alla tera-pia medica massimale, a coloro che presentano compromis-sione emodinamica in attesa di cateterismo cardiaco o con un’anatomia coronarica a rischio molto elevato (p.es., malattia del tronco comune) come ponte per il PCI o il CABG. Benché nessuno studio randomizzato abbia documentato il benefi cio della IABP, questo metodo è effi cace nello stabilizzare i pazienti con ischemia refrattaria.

Riassunto: trattamento acutodell’angina instabile o infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST La valutazione dei pazienti con UA/NSTEMI inizia con la storia clinica, l’ECG e la misurazione dei bioindicatori cardiaci allo scopo di valutare (1) la possibilità di coronaropatia e (2) il tasso di rischio di morte o di eventi cardiaci ricorrenti (Fig. 49-19). I pazienti con bassa probabilità di avere UA/NSTEMI devono essere sottoposti a un “iter diagnostico” attraverso ECG seriati, bioindicatori cardiaci e test da sforzo precoce per valutare l’eventuale presenza di coronaropatia (Fig. 49-20). Spesso questa valutazione può essere realizzata in osserva-zione nel dipartimento di emergenza – unità per la valutazione del dolore toracico. Per quanto riguarda i pazienti con una storia clinica fortemente sospetta per UA/NSTEMI, quelli a basso rischio devono essere trattati con terapia antitrombotica con aspirina, clopidogrel, eparina o LMWH, beta-bloccanti e nitrati. Una strategia conservativa precoce è adatta nei casi a basso rischio, benché una strategia invasiva porti agli stessi benefi ci clinici. Nell’ambito dei soggetti ad alto rischio (p.es., quelli con troponina positiva, modifi cazioni del tratto ST, TIMI risk score >3), ai precedenti farmaci deve essere aggiunta l’ini-bizione della GP IIb/IIIa, e va preferita una strategia invasiva precoce (Fig. 49-21).

Prevenzione secondaria a lungo termine in seguito ad angina instabile/infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST

Il momento della dimissione in seguito a UA/NSTEMI è risul-tato essere un “momento educativo” per il paziente,269 laddove il medico e il personale possono riesaminare e ottimizzare il regime terapeutico per il trattamento a lungo termine. La modi-fi cazione dei fattori di rischio è critica e include la discussione con il paziente (a seconda dei fattori di rischio presenti) circa l’importanza della cessazione del fumo, del raggiungere un peso ottimale, della pratica giornaliera di esercizio fi sico, di seguire una dieta appropriata, mantenere un buon controllo della pressione arteriosa, uno stretto controllo dell’iperglicemia nei pazienti diabetici e una gestione dei lipidi (Tab. 49-6).

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ngina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellam

ento del tratto ST Cinque classi di farmaci

che hanno mostrato, in ampi studi randomizzati, di miglio-rare la prognosi in seguito a UA/NSTEMI sono attual-mente consigliati per il tratta-mento a lungo termine. Cia-scun farmaco può contribuire alla stabilità clinica a lungo termine in modi differenti. Le statine149,270 e gli ACE-inibi-tori143,144,271 sono raccoman-dati in terapie a lungo ter-mine potendo facilitare la stabilizzazione della placca. I beta-bloccanti sono indicati per la terapia antische-mica130,272 e possono contri-buire a ridurre i “fattori sca-tenanti” di IM durante il fol-low-up. Per quanto riguarda la terapia antiaggregante, l’as-sociazione di aspirina e clo-pidogrel per almeno un anno si è dimostrata benefi ca175,177 e dovrebbe prevenire o dimi-nuire la gravità di qualunque trombosi nel caso si verifi chi una rottura di placca. Quindi, un approccio multifattoriale alla terapia medica a lungo termine è diretto alla preven-zione delle diverse compo-nenti dell’aterotrombosi.

Esperienze dei registri

Un problema rilevante iden-tifi cato nella pratica clinica è che una gran parte di pazienti non riceve le terapie racco-mandate dalle linee guida. Cinque ampi registri, negli Stati Uniti e nel mondo, hanno documentato che solo l’80-85 % dei pazienti assu-meva aspirina.34,66,253,273,274 In aggiunta allo sviluppo delle linee guida e all’educazione del paziente, vi è la necessità di sviluppare strumenti speci-fi ci per assicurarsi che le raccomandazioni delle linee guida vengano implementate nel singolo paziente. Si è osservato che l’aderenza alle linee guida è associata al miglioramento degli esiti.269 Tale osservazione fu fatta per la prima volta per l’UA/NSTEMI, da Giugliano e coll., che hanno osser-vato in uno studio basato sull’attività di un singolo centro che i pazienti trattati secondo le linee guida avevano una sopravvivenza a un anno, aggiustata per gli altri fattori di rischio, signifi cativamente migliore rispetto ai soggetti con bassa compliance nei confronti delle raccomandazioni delle linee guida.275

Algoritmi critici e miglioramento continuo della qualità

Gli algoritmi critici e il processo di miglioramento continuo della qualità (MCQ) sono strumenti utili nel tentativo di migliorare la terapia.276,277 Gli algoritmi critici sono protocolli standardizzati per il trattamento di specifi che malattie (p.es., SCA) che mirano a ottimizzare e orientare il trattamento dei pazienti.276,278 In genere, questi schemi comprendono il ricorso a set codifi cati di procedure (anche su supporto informatico), semplici cartoline tascabili, promemoria o liste di terapie

appropriate (Tab. 49-6). Il processo di implementazione degli algoritmi comprende generalmente un’adeguata formazione del personale medico e infermieristico, comprendenti pre-sentazioni in riunione plenaria, nel servizio corrente, e altri incontri a fi nalità educativa in tutta l’istituzione coinvolgendo le persone coinvolte nell’assistenza. Un altro elemento chiave per un progetto globale MCQ è la valutazione dell’impiego delle terapie raccomandate dalle linee guida.

Gli algoritmi critici migliorano gli esiti

Attualmente ci sono molti studi ben condotti che mostrano che l’uso di algoritmi critici può condurre a una migliore qualità dell’assistenza. Lo studio Cardiac Hospitalization Atheroscle-rosis Management Program (CHAMP) ha coinvolto il personale che assisteva i medici per assicurarsi che tutti i pazienti venis-sero trattati con terapie appropriate raccomandate dalle linee guida.269 Si è riusciti in tal modo a migliorare l’uso di terapie, come l’aspirina, dal 78% prima che il programma venisse avviato al 92% al momento della dimissione ospedaliera. In particolare, al follow-up a 1 anno il programma CHAMP pre-sentava un ulteriore aumento dell’utilizzazione, fi no al 94% dei pazienti, mentre prima del programma la compliance a

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B C

II Derivazione

FIGURA 49–22 Reperti in un uomo di 39 anni con angina di Prinzmetal. A, Durante un episodio di angina, veniva osser-vato un transitorio sopraslivellamento del tratto ST (nella derivazione II) alla telemetria continua. Continua registrazione telemetrica che dimostra sopraslivellamento dinamico del tratto ST. B, Occlusione totale indotta dalla iperventilazione della arteria circonfl essa sinistra (visibile all’angiografi a alla proiezione anteriore destra obliqua caudale). C, Spasmo risolto con la somministrazione intracoronarica di nitroglicerina e diltiazem. I sintomi del paziente sono stati controllati con nitrati orali e calcio antagonisti nel corso di un follow-up di 2 anni. (Da Chen HSV, Pinto DS: Prinzmetal’s angina. N Engl J Med 349:e1, 2003.)

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Capitolo 49

1 anno scendeva al 68%.159 Lo stesso veniva osservato per i beta-bloccanti, gli ACE-inibitori e le statine.

Il Guideline Applied in Practice (GAP) Program supportato dell’American College of Cardiology ha fornito importanti dati attraverso uno studio multicentrico, avvalorando l’effi cacia degli algoritmi critici.279 I ricercatori hanno osservato un miglioramento nell’uso delle terapie e delle procedure racco-mandate dalle linee guida in seguito all’implementazione dei loro algoritmi: l’uso precoce di aspirina e di beta-bloccanti e la misurazione del colesterolo LDL miglioravano tutti dopo l’applicazione del programma GAP per il miglioramento della qualità.279 Di notevole interesse l’osservazione che i pazienti per i quali c’era evidenza nelle cartelle cliniche che erano stati utilizzati algoritmi e altri strumenti presentavano i maggiori tassi di trattamento con le terapie raccomandate. Questo reperto ha dimostrato che disporre di strumenti da usare come promemoria può realmente condurre a miglioramenti nell’uso delle varie terapie.

Quindi, gli algoritmi critici hanno ormai dimostrato di deter-minare miglioramenti della qualità dell’assistenza e a essere associati a un miglioramento degli esiti. Il monitoraggio della performance è la chiave per garantire che gli sforzi nella for-mazione sull’implementazione delle linee guida e modifi ca-zioni nel sistema si traducano effettivamente in una miglior assistenza.

Angina di Prinzmetal (variante)

Nel 1959, Prinzmetal e coll. hanno descritto una sindrome insolita di dolore cardiaco secondario a ischemia miocar-dica che si verifi ca quasi esclusivamente in condizioni di riposo, non è in genere precipitata dall’esercizio fi sico o stress emotivo ed è associata a sopraslivellamento del tratto ST all’ECG (Fig. 49-22).280 Questa sindrome, ora nota come angina di Prinzmetal, o variante (i termini sono equivalenti), può essere associata a IM acuto e ad aritmie cardiache gravi, incluse la tachicardia e la fi brillazione ventricolare, così come alla morte improvvisa. Un’impressione clinica predominante è che l’angina Prinzmetal sia divenuta meno frequente in Nordamerica per ragioni non chiare, ma sembra rimanere diffusa in Giappone.

Meccanismi L’ipotesi originaria di Prinzmetal e coll., che l’angina variante fosse il risultato di un temporaneo aumento del tono vaso-motorio coronario o di un vasospasmo, è stata convincente-mente dimostrata all’angiografi a coronarica. Il vasospasmo determina una riduzione marcata, improvvisa, transitoria, del diametro di una arteria coronarica epicardica (o di una grosso ramo settale) che esita in grave ischemia miocardica. Questo evento si verifi ca in assenza di qualsiasi preesistente incremento della richiesta miocardica di O2, come denota un aumento della frequenza cardiaca o della pressione arteriosa. La diminuzione del diametro luminale può essere solitamente invertita dalla nitroglicerina, e talora sono necessari dosaggi elevati. Sebbene le sedi del vasospasmo possano corrispon-dere ad aree di grave stenosi focale, in alcuni pazienti con vasi apparentemente normali all’angiografi a, i segmenti interessati dal vasospasmo sembrano essere sede di minime alterazioni di tipo aterosclerotico, come viene evidenziato allo studio ecografi co intravascolare.281 Questo grave vasospasmo focale non deve essere confuso con la vasocostrizione dei rami coronarici sia di grosso che di piccolo calibro, una risposta normale a stimoli come l’esposizione al freddo. Quest’ultima è molto meno intensa e si verifi ca in modo diffuso in tutto il letto vascolare coronarico.

Sebbene le risposte alle varie sostanze vasocostrittrici, compresi le catecolamine, il trombossano A2, la serotonina, l’endotelina e l’arginina vasopressina, siano maggiori nei segmenti coronarici con spasmo, l’iper-sensibilità agli stimoli vasocostrittori si verifi ca anche nell’intero albero coronarico nei pazienti con angina di Prinzmetal, 282 forse come manife-stazione di una risposta più generalizzata a stimoli vasoattivi. I meccanismi precisi non sono ancora defi niti, ma è stato suggerito come evento causale un’alterazione sistemica della produzione di NO o uno squilibrio tra fattori vasodilatatori e vasocostrittori endotelio-derivati.282,283 Nell’angina di Prin-zmetal è stata dimostrata la presenza di alterazioni della vasodilatazione endotelio-dipendente nell’arteria brachiale,284 e le fl uttuazioni diurne della dilatazione fl usso-mediata ed endotelio-dipendente in questi vasi sono asso-ciate alle variazioni della frequenza degli episodi ischemici.285 Fibroblasti cutanei in coltura, ottenuti da pazienti con angina di Prinzmetal, hanno dimostrato un aumento dell’attività della fosfolipasi C (PhosphoLipase C, PLC). Poiché la PLC (attraverso l’attivazione della via dell’inositolo trifo-sfato) mobilizza Ca2+ dai depositi intracellulari, può aumentare la contrat-tilità delle cellule muscolari lisce;286

Le sedi dello spasmo nell’angina di Prinzmetal possono essere vicine a una placca ateromasica. È stato proposto che in questo sottogruppo di pazienti, l’anomalia alla base dello spasmo coronarico sia un’ipercontratti-lità della parete arteriosa associata allo stesso processo aterosclerotico. Altri meccanismi suggeriti comprendono un danno endoteliale (che inverte la risposta dilatatrice a diversi stimoli, p.es., l’acetilcolina [Cap. 44]) e l’ipercontrattilità del muscolo liscio vasale come risultato dell’azione di vasocostrittori mitogeni, leucotrieni, serotonina, endotelina, angiotensina II, istamina287 ed elevate concentrazioni locali di vasocostrittori di deri-vazione plasmatica nelle aree adiacenti alla placca aterosclerotica neo-vascolarizzata.

Le sequele dello spasmo coronarico possono accelerare il processo aterosclerotico e predisporre a ulteriori spasmi. Un meccanismo può coin-volgere il rilascio di potenti vasocostrittori come i fattori di crescita pia-strino-derivati, in aggiunta all’attivazione del sistema della coagulazione.288 La combinazione di una riduzione del fl usso ematico e un aumento dell’atti-vazione piastrinica e trombosi localmente può accelerare l’aterosclerosi.288 Riscontri istologici nei pazienti sottoposti ad aterectomia coronarica sug-geriscono che il vasospasmo coronarico ripetuto può provocare danno vascolare e condurre alla formazione di una iperplasia neointimale in cor-rispondenza della sede iniziale dello spasmo. A questo riguardo, lo spasmo coronarico può avere un importante ruolo nella rapida progressione delle stenosi coronariche in alcuni pazienti.289

La diagnostica per immagini con metaiodobenzilguanidina marcata con iodio 123 (123I-MIBG) ha dimostrato la presenza di denervazione simpatica regionale miocardica nell’area di distribuzione del vaso in cui si sviluppa lo spasmo.290

Lo spasmo coronarico nei pazienti con angina variante può indurre stasi ed esitare nella conversione del fi brinogeno in fi brina nei vasi coro-narici, con elevati livelli plasmatici di fi brinogeno291 e fi brinopeptide A, un indice di formazione della fi brina.292 È stato segnalato che l’ipomagnesie-mia predispone all’angina variante,293 ed è stato dimostrato che il magnesio solfato interrompe gli attacchi di angina.

Reperti clinici e strumentali I pazienti con angina variante sono tendenzialmente più giovani di quelli con angina stabile o angina instabile secon-daria ad aterosclerosi coronarica, e molti non presentano i clas-sici fattori di rischio coronarico tranne il fatto che spesso sono forti fumatori.294 Il fastidio anginoso è spesso molto intenso e può essere accompagnato da sincope. Elementi associati con sincope includono il sottoslivellamento del tratto ST e gravi aritmie, o blocco atrioventricolare e asistolia o tachiaritmie ventricolari.295-297

Gli attacchi di angina di Prinzmetal tendono a essere rag-gruppati tra la mezzanotte e le 8 del mattino292 e talvolta si presentano in gruppi di due o tre nel corso di 30-60 minuti. I pazienti studiati per mezzo dell’ECG ambulatoriale, anche quelli che non hanno angina pectoris clinicamente evidente, mostrano alterazioni del tracciato più frequenti al mattino. Sebbene la capacità di compiere sforzi fi sici sia in genere ben conservata nei pazienti con angina di Prinzmetal, alcuni pazienti sviluppano il tipico dolore e un sopraslivellamento del tratto ST non solo a riposo ma anche durante o dopo sforzo. L’induzione dell’angina spesso indica un vasospasmo indotto dallo sforzo oppure presenza di un’ostruzione fi ssa.

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ento del tratto ST Pazienti con angina di Prinzmetal e grave ostruzione coro-

narica fi ssa possono presentare una associazione di angina indotta da sforzo a soglia fi ssa con sottoslivellamento del tratto ST, così come episodi di angina a riposo con sopraslivella-mento del tratto ST. Sembra che in alcuni pazienti vi sia una chiara relazione tra stress emotivi ed episodi di spasmo coro-narico, il che è compatibile con gli studi che indicano in uno squilibrio simpatovagale la causa scatenante dello spasmo nei pazienti con angina variante. In rari casi, l’angina di Prinzme-tal si sviluppa dopo un intervento chirurgico di bypass, e occa-sionalmente sembra essere la manifestazione di un disordine vasospastico generalizzato associato ad attacchi di emicrania e al fenomeno di Raynaud; è stata anche descritta in associa-zione all’asma indotto da aspirina298 e sono stati segnalati casi provocati da 5-fl uorouracile e da ciclofosfamide (Capp. 62 e 83). La sospensione del consumo di alcool può scatenare l’an-gina variante e, viceversa, l’ingestione di alcool può prevenire lo spasmo coronarico.299

ELETTROCARDIOGRAMMA. La chiave per la diagnosi di angina variante poggia sull’individuazione di un sopraslivel-lamento episodico del tratto ST con dolore (Fig. 49-22). In una casistica di pazienti con angina variante e arterie coronarie normali monitorati con una registrazione computerizzata di 24 ore, dell’ECG a 12 canali e un sistema automatico di analisi, il 90% circa degli episodi è risultato essere associato a un sopraslivellamento del tratto ST, con associate aritmie nel 19%, ma non sono state osservate aritmie nel piccolo gruppo di pazienti con sottoslivellamento del tratto ST.295 In alcuni pazienti, gli episodi di sottoslivellamento del tratto ST seguono episodi di sopraslivellamento del tratto ST e sono associati a modifi cazioni dell’onda T. L’alternanza del tratto ST e del-l’onda T e l’aumentata dispersione del QT sono il risultato di un ritardo di conduzione ischemico e possono associarsi ad aritmie ventricolari potenzialmente letali. Molti pazienti mani-festano episodi multipli di sopraslivellamento asintomatico del tratto ST (ischemia silente). Gli slivellamenti del tratto ST possono essere presenti in qualunque derivazione.

I disturbi transitori della conduzione possono verifi carsi duranti episodi ischemici.296 L’attività ectopica ventricolare è più frequente durante prolungati episodi ischemici, ed è spesso associata a tratto ST e onda T alternante ed è di signifi cato prognostico negativo. Nei sopravvissuti ad arresti cardiaci extraospedalieri senza stenosi limitanti il fl usso coronarico, è stato osservato che lo spasmo coronarico focale spontaneo o indotto era associato ad aritmie ventricolari potenzialmente letali. In alcuni pazienti, la riperfusione piuttosto che l’ische-mia di per sé è correlata alla comparsa di aritmie ventricolari.300 Nei pazienti con attacchi prolungati di angina variante, può essere presente un danno delle cellule miocardiche, che si rifl ette nel rilascio di piccole quantità di CK-MB anche in assenza di modifi cazioni persistenti dell’ECG; è stata osservata una comparsa di onde Q transitorie, che può essere spiegata da una transitoria perdita della normale attività elettrica della membrana cellulare durante lo spasmo. È stato ben documen-tato un IM a onda Q causato da uno spasmo coronarico in assenza di CAD ostruttiva dimostrabile angiografi camente.301

Il test da sforzo nei pazienti con angina variante è di scarso valore poiché la risposta è variabile. Un numero quasi uguale di pazienti mostra un sottoslivellamento del tratto ST, nessun cambiamento nel tratto ST durante sforzo o un sopraslivella-mento, fatto che rifl ette la presenza di CAD fi ssa in alcuni pazienti, l’assenza di signifi cative lesioni negli altri e la pro-vocazione di uno spasmo da parte dello sforzo nei rimanenti. Il monitoraggio ECG ambulatoriale o l’impiego di un trasmet-titore telefonico possono essere utili nel catturare il soprasli-vellamento del tratto ST durante gli episodi sintomatici.302

CORONAROGRAFIA. Lo spasmo di un’arteria coronarica nel suo tratto prossimale con conseguente ischemia transmu-rale e alterazioni della funzionalità ventricolare sinistra sono il segno diagnostico caratteristico di angina di Prinzmetal (Fig.

49-22). Nella maggior parte dei pazienti è presente una ostru-zione coronarica prossimale fi ssa di almeno una delle arterie maggiori e in essi lo spasmo solitamente si produce entro 1 cm da tale ostruzione. Gli altri hanno coronarie normali in assenza di ischemia. I pazienti senza stenosi o con una lieve ostruzione coronarica fi ssa tendono ad avere un decorso più benigno rispetto a quelli con associate lesioni ostruttive gravi.303 Il pro-cesso vasospastico quasi sempre interessa ampi segmenti dei vasi epicardici in una singola sede, ma in tempi diversi possono essere colpite altre aree. La coronaria destra è la sede più fre-quente, seguita dalla arteria discendente anteriore sinistra.302

TEST PROVOCATIVI

TEST ALL’ERGONOVINA. Sono stati sviluppati molti test provocativi per lo spasmo coronarico. Di questi, il test all’ergonovina è quello più sen-sibile. L’ergonovina maleato, un alcaloide della segale cornuta che stimola i recettori sia alfa-adrenergici che serotoninergici e quindi ha un effetto vasocostrittore diretto sulla muscolatura304 liscia vasale, è stata usata per indurre lo spasmo coronarico, che determina dolore toracico e soprasli-vellamento del tratto ST in pazienti con angina di Prinzmetal. Talvolta, l’ergonovina può produrre una risposta simile nei pazienti con sintomi più tipici di angina da sforzo.302 Quando somministrata per via endove-nosa in dosi variabili da 0,05 a 0,40 mg, l’ergonovina rappresenta un test sensibile e specifi co per l’induzione dello spasmo coronarico. La maggior parte dei pazienti che presentano una risposta all’ergonovina, lo fa a una dose inferiore a 0,20 mg.302

A basso dosaggio e in situazioni cliniche ben controllate, l’ergonovina è un farmaco relativamente sicuro, ma uno spasmo coronarico prolungato indotto dall’ergonovina può scatenare un IM. Talvolta, si sviluppano disturbi della conduzione (blocco cardiaco, asistolia o tachiaritmie gravi). A causa di questi rischi, si raccomanda di somministrare l’ergonovina soltanto ai pazienti con coronarografi a normale o con arterie coronarie quasi normali utilizzando dosaggi gradualmente crescenti, iniziando con un dosaggio molto basso. I nitrati e i calcioantagonisti sono di solito effi caci nel fornire un pronto sollievo dallo spasmo indotto dal farmaco, e la via di sommini-strazione intracoronarica è solitamente la più rapida nei pazienti sottoposti ad angiografi a.

Il test all’ergonovina deve essere effettuato soltanto in un ambiente in cui siano prontamente disponibili apparecchiature, farmaci e personale adeguati per un’eventuale rianimazione, di solito nel laboratorio di cateteri-smo cardiaco e con un catetere pronto per incannulare le arterie coronarie, cosicché si possa porre diagnosi angiografi ca di spasmo e somministrare nitroglicerina intracoronarica per invertire lo spasmo stesso. Controindi-cazioni assolute al test all’ergonovina includono gravidanza, grave iperten-sione, grave disfunzione ventricolare sinistra, stenosi aortica da moderata a grave e stenosi di grado elevato del tronco principale della coronaria sinistra. Le controindicazioni relative comprendono l’angina instabile o non controllata, le aritmie ventricolari non controllate, un recente IM e CAD in fase avanzata. Benché il test provocativo con ergonovina rappre-senti un utile strumento, il farmaco non è più facilmente reperibile negli Stati Uniti.

IPERVENTILAZIONE. Questo stimolo si è dimostrato a rischio di pro-vocare alcuni episodi di intensa angina,305 sopraslivellamento del tratto ST all’ECG, segni angiografi ci di spasmo coronarico e aritmie ventricolari. Una casistica recente e ampia ha documentato la relativa specifi cità del test di iperventilazione nei pazienti con angina vasospastica.306 I pazienti con test risultati positivi avevano un aumento statisticamente signifi cativo della frequenza di elevata attività di malattia (cinque o più episodi a settimana), gravi aritmie durante gli attacchi e spasmi multivasali.

ACETILCOLINA. La stimolazione dei recettori dell’acetilcolina provoca una dilatazione uniforme endotelio-dipendente dei vasi coronarici di tutte le dimensioni che porta alla vasocostrizione se la funzione endoteliale è ridotta.307 Nei pazienti con angina variante, la somministrazione intracoro-narica di acetilcolina induce un intenso spasmo e riproduce la sindrome clinica.308 Questo spasmo focale non deve essere confuso con la lieve costrizione diffusa provocata dall’acetilcolina nei pazienti con endotelio coronarico alterato. Poiché questo metodo permette l’induzione dello spasmo separatamente nelle coronarie sinistra e destra, è utile nei pazienti con malattia multivasale nota o con spasmo. L’acetilcolina viene infusa per un tempo di 1 minuto in un’arteria coronaria a dosi crescenti di 10, 25, 50 e 100 mg, e le dosi devono essere separate da intervalli di 5 minuti.

Anche l’istamina, la dopamina e la serotonina possono indurre uno spasmo coronarico. Come l’ergonovina e l’acetilcolina, queste sostanze sono in grado di provocare uno spasmo coronarico marcato sia nei pazienti con angina variante che in quelli con una grave malattia ostruttiva arte-riosclerotica sottostante e in quelli senza tali stenosi persistenti. L’attività fi sica, il test al freddo e l’alcalosi indotta possono tutti provocare uno spasmo coronarico nei pazienti con angina variante, ma nessuno di questi test è sensibile quanto quello all’ergonovina o all’acetilcolina.

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Capitolo 49

Trattamento I pazienti con angina variante devono essere esortati a smettere di fumare. Il trattamento d’elezione per l’angina vasospastica è un calcioantagonista da solo o in associazione a nitrati a lunga durata d’azione. Vi sono numerose importanti differenze tra il trattamento ottimale dell’angina variante di Prinzmetal e quello dell’angina classica (stabile e instabile).

1. I pazienti con entrambe le forme di angina variante e clas-sica di solito rispondono prontamente ai nitrati; la nitro-glicerina per via sublinguale o endovenosa spesso risolve rapidamente gli attacchi di angina variante, e i nitrati a lunga durata d’azione sono utili per la prevenzione degli attacchi.309 Comunque, i meccanismi d’azione di questi farmaci possono differire nei due tipi d’angina. Come descritto nel Capitolo 50, nell’angina stabile (indotta da sforzo) come pure in quella instabile, un importante effetto dei nitrati è di ridurre il fabbisogno miocardico di O2 e un altro è legato alla vasodilatazione coronarica. Nell’angina di Prinzmetal, i nitrati risolvono o prevengono l’ischemia miocardica esclusivamente esercitando un effetto vasodi-latatorio diretto sulle arterie coronarie interessate dallo spasmo.

2. Nei pazienti con angina classica (stabile e instabile), si rivela solitamente effi cace il blocco dei beta-recettori, ma la risposta nei pazienti con angina di Prinzmetal a queste sostanze è variabile.310 Alcuni, particolarmente quelli con lesioni fi sse associate, presentano una riduzione della fre-quenza di attacchi di angina indotta da sforzo determinati essenzialmente dall’aumento del fabbisogno miocardico di O2. In altri, comunque, i beta-bloccanti non selettivi possono essere in realtà dannosi poiché il blocco dei recet-tori beta2, che inducono la dilatazione coronarica, rende incontrastata la vasocostrizione coronarica mediata dai recettori alfa; in questi pazienti, la durata degli episodi di angina vasospastica può essere prolungata dal propra-nololo.

3. Contrariamente alla variabile effi cacia dei beta-bloccanti, i calcioantagonisti sono estremamente effi caci nel preve-nire lo spasmo coronarico dell’angina variante311 e devono essere utilizzati di routine al massimo dosaggio tollerato e in terapia a lungo termine. Questi farmaci, insieme ai nitrati a lunga e a breve durata d’azione, rappresentano la terapia principale. Poiché i calcioantagonisti agiscono con meccanismi diversi dai nitrati, l’effetto vasodilata-tore di queste due classi di farmaci può essere additivo. Tutti i calcioantagonisti di prima e seconda generazione hanno effi cacia simile (circa il 90%) nel miglioramento dei sintomi,282,312-314 e sopprimono inoltre l’ischemia asintoma-tica. In rari casi, un paziente risponde soltanto a uno di questi tre farmaci e, ancor meno frequentemente, si rende necessaria la somministrazione simultanea di due o anche tre calcio-antagonisti. Alcuni pazienti richiedono dosi estremamente elevate, sebbene aumentino gli effetti col-laterali. Alcune pubblicazioni hanno segnalato la ricom-parsa dei sintomi quando viene interrotta la terapia con calcioantagonisti.314 Può essere necessario un trattamento a lungo termine, in alcuni casi per tutta la vita.

4. La prazosina, un bloccante selettivo dei recettori alfa-adrenergici, si è dimostrata utile nei pazienti con angina di Prinzmetal.315 Il nicorandil,* un vasodilatatore che infl uenza il tono delle arterie coronarie mediante l’atti-vazione dei canali del potassio, sembra essere effi cace per il trattamento dell’angina vasospastica.316 L’aspirina, utile nell’angina instabile, può effettivamente aumentare la gravità di episodi ischemici in pazienti con angina di Prinzmetal poiché inibisce la biosintesi della prostaci-clina, vasodilatatore coronarico naturale. Gli ACE-inibitori si sono dimostrati ineffi caci.317 Altri nuovi ma promettenti approcci per il trattamento dell’angina vasospastica com-

prendono il troglitazone, un sensibilizzante all’insulina318 e, in un piccolo studio di pazienti nei quali l’angina vaso-spastica era indotta dall’iperventilazione, l’infusione di peptide natriuretico di tipo B (cerebrale) era altamente effi cace.319 È stato descritto che la supplementazione con estradiolo sopprime il vasospasmo coronarico indotto da iperventilazione nelle donne con angina variante.320

5. PCI e, occasionalmente, CABG possono essere utili nei pazienti con angina variante e lesioni ostruttive prossi-mali fi sse defi nite.321,322 Tuttavia, lo spasmo si può svilup-pare a un sito differente da quello della stenosi iniziale. I calcioantagonisti devono essere continuati per almeno 6 mesi dopo una rivascolarizzazione effi cace. PCI e CABG sono controindicati nei pazienti con spasmo coronarico isolato in mancanza di una concomitante patologia ostrut-tiva fi ssa.

6. I pazienti che hanno sperimentato fi brillazione ventrico-lare associata all’ischemia che continuano a manifestare ischemia nonostante il trattamento devono essere sotto-posti a posizionamento di defi brillatore impiantabile.323

Prognosi Molti pazienti con angina di Prinzmetal passano attraverso una fase acuta, attiva, con frequenti episodi di angina ed eventi cardiaci nel corso dei primi mesi dalla diagnosi. In un’ampia casistica di 277 pazienti con un follow-up mediano di 7,5 anni, l’angina ricorrente era frequente (39%), ma la morte cardiaca e l’IM erano relativamente rari e si verifi cavano rispettivamente nel 3,5 e nel 6,5% dei pazienti.324 L’entità e la gravità della CAD sottostante e l’attività o la velocità di progressione della sindrome hanno un importante effetto sull’incidenza della mortalità e dell’IM tardivi. I pazienti con angina variante nei quali si sviluppano gravi aritmie (tachicardia ventricolare, fi brillazione ventricolare, blocco AV di grado elevato o asi-stolia) durante episodi spontanei di dolore hanno un rischio maggiore di morte improvvisa.325

Nella maggior parte dei pazienti che sopravvive a un infarto o al periodo iniziale di 3-6 mesi in cui si verifi cano episodi frequenti, le condizioni si stabilizzano e i sintomi e gli eventi cardiaci tendono a diminuire nel tempo. Nei pazienti che pre-sentano tali remissioni, è possibile tentare di ridurre cauta-mente i calcioantagonisti. In una casistica, il 16% dei pazienti presentava una remissione spontanea per 3 mesi dopo la sospensione della terapia, il 44% continuava ad avere sintomi nonostante il trattamento con calcioantagonisti e nitrati e l’al-tro 40% risultava libero da angina ma assumeva la terapia. La remissione si verifi cava più frequentemente nei pazienti senza stenosi coronariche signifi cative e in quelli che avevano smesso di fumare.326

Per ragioni che non sono chiare, alcuni pazienti, dopo un periodo di relativa quiescenza di malattia di mesi o anche anni, presentano una recrudescenza dell’attività vasospastica con frequenti e gravi attacchi ischemici. Fortunatamente, questi pazienti rispondono al reinserimento in terapia con calcioan-tagonisti e nitrati.

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*Il nicorandil non è disponibile negli Stati Uniti al momento della stesura di questo libro.

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ngina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellam

ento del tratto ST 4. Braunwald E, Antman EM, Beasley JW, et al: ACC/AHA guideline update for the

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Braun cap 49melior.indd 1269Braun cap 49melior.indd 1269 19-02-2007 17:47:2019-02-2007 17:47:20

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1270

Capitolo 49

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Braun cap 49melior.indd 1270Braun cap 49melior.indd 1270 19-02-2007 17:47:2019-02-2007 17:47:20

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1271A

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Braun cap 49melior.indd 1271Braun cap 49melior.indd 1271 19-02-2007 17:47:2119-02-2007 17:47:21

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1272

Capitolo 49

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ngina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellam

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Capitolo 49

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Le linee guida per la gestione dell’angina instabile e dell’infarto mio-cardico senza sopraslivellamento del tratto ST (UA/NSTEMI) sono state pubblicate nel 20001 e aggiornate appena 2 anni dopo a causa del rapido progresso nella ricerca clinica in quest’area.2 Il testo com-pleto della versione aggiornata delle linee guida, incluse le variazioni, è disponibile su Internet (www.acc.org or www.americanheart.org). Le raccomandazioni contenute in tali linee guida che sono utili per l’ini-ziale valutazione del paziente con dolore toracico acuto sono incluse nel testo del Capitolo 45. Altre raccomandazioni di rilievo per questo argomento sono state pubblicate nelle linee guida per l’uso degli inter-venti coronarici percutanei (PCI), riassunte nell’appendice al Capitolo 52, e nelle linee guida per il trattamento dell’infarto miocardico acuto, riassunte nell’appendice al Capitolo 48.

Queste linee guide continuano a usare la classifi cazione ACC/AHA per le indicazioni (classe I per le indicazioni generalmente accettate, classe IIa quando le indicazioni sono controverse ma il peso del-l’evidenza è di sostegno, classe IIb quando l’utilità o l’effi cacia non siano ancora perfettamente stabilite, e classe III quando vi è consenso contro l’utilità dell’intervento). Le linee guida utilizzano anche una convenzione per classifi care i livelli di evidenza sui quali si basano le raccomandazioni. Le raccomandazioni di livello A sono derivate da dati provenienti da molteplici sperimentazioni cliniche randomizzate, le raccomandazioni di livello B sono derivate da un singolo studio randomizzato oppure da studi non randomizzati, e le raccomandazioni di livello C sono basate sul consenso di opinione degli esperti.

STRATIFICAZIONE PRECOCE DEL RISCHIO E GESTIONE

Le linee guida ACC/AHA forniscono una struttura per la classifi cazione dei pazienti in gruppi ad alto, intermedio e basso rischio di compli-canze in base ai primi dati clinici (Tab. 49L–1). (I dettagli sulle compo-nenti dell’iniziale valutazione clinica e sul trattamento del paziente con possibile malattia cardiaca ischemica acuta sono indicati nel Capitolo 45.) Degna di nota è la raccomandazione che la troponina è il bioin-dicatore preferito di danno miocardico e che i bioindicatori di danno

miocardico devono essere valutati entro 6 ore e poi nuovamente a 6 e fi no a 12 ore dall’inizio dei sintomi (Tab. 49L–2). Le linee guida considerano alquanto favorevoli (classe IIa) le evidenze per l’uso di indicatori precoci di danno cardiaco come la mioglobina o le isoforme MB della creatinchinasi (CK-MB) nei pazienti che si presentino preco-cemente dopo l’inizio della sintomatologia e in cui i risultati degli altri esami siano meno dirimenti.

Le linee guida ACC/AHA raccomandano il ricovero ospedaliero nei pazienti con diagnosi di sindrome coronarica acuta e con ognuna delle seguenti caratteristiche:

• Dolore in atto • Indicatori cardiaci positivi • Alterazioni del tratto ST di nuova insorgenza • Profonda inversione dell’onda T di nuova insorgenza • Alterazioni emodinamiche • Risultato positivo del test da sforzo

Per i pazienti con una possibile sindrome coronarica acuta e indi-catori cardiaci negativi, è raccomandata l’esecuzione precoce di un test da sforzo; questo test può essere eseguito in contesto ambulatoriale per i pazienti a rischio inferiore.

CURE OSPEDALIERE

Le linee guida raccomandano che i pazienti ricoverati per sindromi coronariche acute con perdurare della sintomatologia o dell’instabi-lità emodinamica, o di entrambi, restino in ambiente ospedaliero per almeno 24 ore in una unità coronarica caratterizzata da un rapporto infermieri/pazienti suffi ciente a garantire il monitoraggio continuo del ritmo e la rapida rianimazione con defi brillazione in caso di necessità. I pazienti in cui non persistano sintomi o instabilità emodinamica possono essere ricoverati in unità non intensiva.

Quando viene ricoverato un paziente con sindrome coronarica acuta ad alto rischio, deve essere iniziato il trattamento con aspirina, un beta-bloccante, una terapia antitrombinica e un inibitore della

LINEE GUIDA Thomas H. Lee

Angina instabile

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ngina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellam

ento del tratto ST

glicoproteina IIb/IIIa salvo controindicazioni (Fig. 49L–1). I medici devono scegliere tra una strategia invasiva precoce, inclusa la pronta angiografi a con rivascolarizzazione qualora indicata, e una strategia conservativa precoce, in cui pazienti vengono stabilizzati con terapia medica e l’angiografi a viene eseguita se i pazienti hanno sintomi ricor-renti, ischemia, insuffi cienza cardiaca o aritmie gravi. I soggetti gestiti in base alla strategia conservativa precoce devono essere sottoposti

a una valutazione della funzione ventricolare sinistra e un test provo-cativo; essi devono inoltre essere sottoposti ad angiografi a in caso di frazione di eiezione inferiore al 40% oppure se hanno un profi lo di rischio intermedio o alto al test da sforzo.

I pazienti ricoverati per sindrome coronarica acuta devono essere posti a riposo a letto con monitoraggio elettrocardiografi co (Tab. 49L–3). Il supplemento di ossigeno non viene raccomandato per l’uso

Tabella 49L–1 Sistema raccomandato dall’American College of Cardiology/American Heart Associationper la stratifi cazione del rischio in pazienti con angina instabile

Rischio intermedio Basso rischio Alto rischio Senza caratteristiche di alto rischio Paziente non a rischio alto o intermedio Almeno una delle seguenti ma con almeno una delle seguenti ma con una qualsiasi delle seguenti Caratteristiche caratteristiche caratteristiche caratteristiche

Anamnesi Aumentata frequenza dei sintomi ischemici nelle precedenti 48 ore

Pregresso IM, malattia periferica o cerebrovascolare, o CABG, pregresso uso di aspirina

Caratteristichedel dolore

Dolore a riposo di lunga durata(>20 min)

Angina a riposo prolungata, poi risoltasi, con moderata o alta probabilità di CAD

Angina a riposo <20 min o alleviato con il riposo o nitroglicerina sublinguale

Angina di Classe CCS III o IV di nuova insorgenza o progressiva nelle precedenti 2 settimane, assenza di dolore prolungato a riposo ma con moderata o alta probabilità di CAD

Reperti clinici Edema polmonare probabilmente dovuto all’ischemia

Soffi o da insuffi cienza mitralica di nuova insorgenza o ingravescente

S3 o rantoli ingravescenti di nuova insorgenza

Ipotensione, bradicardia, tachicardia Età >75 anni

Età >70 anni

ECG Angina a riposo con transitorie alterazioni del tratto ST >0,05 mV

Blocco di branca, di nuova insorgenza o presunta tale

Tachicardia ventricolare sostenuta

Inversione dell’onda T >0,2 mVOnde Q patologiche

ECG normale o immodifi cato durante un episodio di fastidio toracico

Indicatori cardiaci Elevati Lievemente elevati Normali

CABG = bypass arterioso coronarico; CAD = coronaropatia; CCS = Canadian Cardiovascular Society; ECG = elettrocardiogramma; IM = infarto miocardico; MR (Mitral Regurgitation) = insuffi cienza mitralica; NTG = nitroglicerina.

Tabella 49L–2 Linee guida dell’American College of Cardiology/American Heart Association per la stratifi cazione precoce del rischio

Classe Indicazione Livello di evidenza

Classe I (indicato) Una misurazione va fatta in tutti i pazienti con dolore toracico e probabilità alta, intermedia o bassa di ischemia acuta causata da CAD.

I pazienti che si presentano con dolore toracico devono sottoporsi alla stratifi cazione del rischio che si focalizza su sintomi anginosi, reperti obiettivi, segni ECG e bioindicatori di danno cardiaco.

Un ECG a 12 derivazioni deve essere registrato immediatamente (entro 10 minuti) nei pazienti con fastidio toracico in atto e quanto prima possibile nei pazienti con storia di fastidio toracico compatibile con SCA, ma con risoluzione della sintomatologia al momento della valutazione.

I bioindicatori di danno cardiaco devono essere misurati in tutti i pazienti con fastidio toracico compatibile con SCA. Una troponina cardio-specifi ca è l’indicatore preferito e, se disponibile, deve essere misurata nei pazienti con risultati negativi agli altri indicatori cardiaci entro 6 ore dall’inizio del dolore; un’altra valutazione deve essere effettuata nell’arco di 6-12 ore (p.es., a 9 h dall’esordio dei sintomi).

C

B

C

C

Classe IIa (buona evidenza a

supporto)

Per pazienti che si presentano entro 6 ore dall’inizio dei sintomi, un indicatore precoce di danno cardiaco (p.es., mioglobina o le isoforme del CK-MB) deve essere preso in considerazione in aggiunta alla troponina cardiaca.

C

Classe IIb (debole evidenza a

supporto)

La proteina C-reattiva (PCR) e altri indicatori dell’infi ammazione devono essere misurati. B

Classe III (non indicato)

CK totale (senza MB), aspartato aminotransferasi (AST, SGOT), beta-idrossibutirrico deidrogenasi,e/o lattico deidrogenasi dovrebbero essere gli indicatori per l’identifi cazione del danno miocardico nei pazienti con dolore toracico suggestivo di SCA.

C

SCA = sindrome coronarica acuta; AST = aspartato aminotransferasi; CAD = coronaropatia; CK-MB = isoforma muscolare/cerebrale della creatina chinasi; ECG = elettrocardiogramma; SGOT = transaminasi sierica glutamica-ossaloacetica.

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1276

Capitolo 49

routinario dalle linee guida a cau-sa della mancanza di evidenza di benefi ci; invece, deve essere usa-to quando i pazienti presentano cianosi o distress respiratorio. La terapia medica a lungo termine deve includere i nitrati ed, in as-senza di controindicazioni, i beta-bloccanti. Se esistono controin-dicazioni alla terapia con beta-bloccanti, i pazienti con ischemia ricorrente possono essere trattati con un calcioantagonista non diidropiridinico (p.es., verapamil o diltiazem). La morfi na solfato deve essere usata nei pazienti le cui condizioni non risultano con-trollate coi nitrati o quando pre-sentino congestione polmonare o un grave stato di agitazione, o entrambi. La terapia con ini-bitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) deve es-sere cominciata se l’ipertensione arteriosa persiste nonostante la terapia antischemica o in caso di disfunzione sistolica ventricola-re a riposo o diabete. Le linee guida considerano inappropriato l’uso dei calcioantagonisti dii-dropiridinici a immediato rilascio in assenza di un beta-bloccante (Classe III).

Le raccomandazioni per l’uso della terapia antitrombotica so-no state modifi cate considere-volmente in base alle più recen-ti ricerche nell’aggiornamento delle linee guida del 2002, con un’espansione del ruolo del clo-pidogrel e strategie più comples-se per l’uso degli inibitori della glicoproteina IIb/IIIa.2 L’aspirina continua a essere raccomandata per la terapia iniziale, ma le linee guida del 2002 considerano indi-cazione di classe I il trattamento con clopidogrel per pazienti inca-paci di prendere aspirina, per i pazienti nei quali sia programmata una strategia precoce non interventistica e per quelli in cui invece venga pianifi cato un intervento coronarico percutaneo (PCI) (Tab. 49L–4). Il clopidogrel deve essere sospeso per 5-7 giorni prima dell’esecuzione in elezione di un intervento di rivascolarizzazione mediante bypass arterioso coronarico (CABG). Le linee guida inoltre raccomandano l’anticoagulazione con eparine a basso peso molecolare o eparina non frazionata oltre alla terapia antipiastrinica.

Gli inibitori della glicoproteina IIb/IIIa sono chiaramente indicati (classe I), secondo le linee guida del 2002, quando è programmato un PCI in pazienti che ricevono aspirina ed eparina. Se questi pazienti sono già trattati con eparina, aspirina, e clopidogrel, la task force ACC/AHA considera l’evidenza meno conclusiva ma comunque a sostegno dell’aggiunta di un inibitore della glicoproteina IIb/IIIa (indicazione di classe IIa) (Tab. 49L–4). L’uso di questi farmaci riceveva supporto anche nei sottogruppi di pazienti con sindromi coronariche acute ad alto rischio anche laddove non fosse programmata una condotta invasiva (classe IIa), tuttavia la task force riteneva che l’evidenza fosse generalmente non favorevole all’impiego di tali farmaci nei pazienti senza evidenza di ischemia continua o altre caratteristiche di alto rischio. L’abciximab era considerato inappropriato nei pazienti per i quali non fosse programmato un PCI.

STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO E GESTIONE TARDIVA

Le linee guida dell’ACC/AHA supportano l’esecuzione precoce della prova da sforzo nei pazienti a basso rischio (Tab. 49L–1 per la defi ni-zione della categoria di rischio); per i pazienti a rischio intermedio, il test da sforzo può essere eseguito dopo un intervallo minimo di 2-3 giorni in assenza di ischemia o insuffi cienza cardiaca (Tab. 49L–5). La prima scelta nell’ambito dei test non invasivi è l’elettrocardiografi a sotto sforzo. Le tecnologie di diagnostica per immagini e i test da stress farmacologico devono essere utilizzati per quei sottogruppi di pazienti per i quali vi è una elevata probabilità che l’elettrocardiografi a da sforzo fornisca dati inadeguati. I dati provenienti dai test non inva-sivi possono essere usati per la stratifi cazione dei pazienti in gruppi a rischio alto, intermedio o basso (Tab. 49L–6). Le linee guida approvano il ricorso tempestivo all’angiografi a senza precedente stratifi cazione del rischio non invasiva per i pazienti che non sono facilmente stabi-lizzabili col trattamento medico.

Le linee guida raccomandano una strategia invasiva precoce nei pazienti con sindromi coronariche acute e indicatori di alto rischio provenienti sia da informazioni cliniche che da test non invasivi (Tab.

Strategiainvasivainiziale

Angiografiacoronaricaimmediata

Angiografiacoronarica

dopo 12–24 ore

Il paziente si stabilizza

Valutarefunzione VS

FE <0,40

Basso rischio

Seguirecon terapia

medica

FE ≥0,40

Test da sforzo

Strategia conservativainiziale

Ischemia ricorrente e/o deviazione del tratto ST, o inversione profonda onda

T, o marker cardiaci positivi

Aspirina Beta-bloccanti

NitratiRegime antitrombotico

Inibitore GP IIb/IIIaMonitoraggio (ritmo e ischemia)

Sintomi/ischemia ricorrenti

Insufficienza cardiaca

Aritmia grave

Non basso rischio

FIGURA 49L–1 Algoritmo per l’ischemia acuta. FE = frazione di eiezione; GP = glicoproteina. (Da Braunwald E, Antman EM, Beasley JW, et al: ACC/AHA 2002 guideline update for the management of patients with unstable angina and non-ST-segment elevation myocardial infarction: Summary article: A report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Practice Guidelines [Committee on the Management of Patients with Unstable Angina]. J Am Coll Cardiol 36:970, 2000).

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ngina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellam

ento del tratto ST Tabella 49L–3 Raccomandazioni dell’American College of Cardiology/American Heart Association per la terapia antischemica

Classe Indicazione Livello di evidenza

Classe I (indicato) Riposo a letto con monitoraggio ECG continuo per l’identifi cazione di ischemia e aritmie in assenza di dolore a riposo.

NTG, compressa sublinguale o spray o EV, seguita dalla somministrazione endovenosa, per l’immediato sollievo dell’ischemia e dei sintomi associati.

Supplemento di ossigeno per i pazienti con cianosi o diffi coltà respiratorie; ossimetria pulsata o emogasanalisi per confermare l’adeguata saturazione arteriosa di ossigeno (SaO2 maggiore del 90%) e l’esigenza continua di integrazione di ossigeno in presenza di ipossiemia.

Morfi na solfato EV quando i sintomi non si riducono prontamente con NTG quando è presente edema polmonare acuto e/o grande stato d’ansia.

Un beta-bloccante, con somministrazione della prima dose per via endovenosa se è in atto una sintomatologia dolorosa, seguita da somministrazione orale, in assenza di controindicazioni.

Nei pazienti con ischemia persistente o frequentemente ricorrente quando i beta-bloccanti sono controindicati, un calcioantagonista non diidropiridinico (p.es., diltiazem o verapamil) orale e/o EV, come terapia iniziale in assenza di grave disfunzione del ventricolo sinistro o di altre controindicazioni.

Un ACE-inibitore quando l’ipertensione arteriosa persiste nonostante il trattamento con NTG e beta-bloccanti e nei pazienti con disfunzione sistolica del ventricolo sinistro con disfunzione sistolica a riposo o insuffi cienza cardiaca congestizia in soggetti con SCA o diabetici.

C

C

C

C

B

B

B

Classe IIa (buona evidenza a supporto)

Calcioantagonisti a lunga durata d’azione per l’ischemia ricorrente in assenza di controindicazioni e se beta-bloccanti e nitrati sono già adoperati a dosi piene.

Un ACE-inibitore in tutti i pazienti che abbiano avuto una SCA.Contropulsatore intra-aortico (IABP) in caso di grave ischemia in atto o frequentemente

recidivante nonostante la terapia medica intensiva o per instabilità emodinamica in pazienti prima o dopo un’angiografi a coronarica.

C

BC

Classe IIb (debole evidenza a supporto)

Un calcioantagonista a lunga durata d’azione non diidropiridinico anziché un beta-bloccante.Un calcioantagonista diidropiridinico a immediato rilascio in presenza di un beta-bloccante.

BB

Classe III (non indicato)

NTG o altri nitrati entro 24 ore dall’assunzione di sildenafi l.Un calcioantagonista diidropiridinico a immediato rilascio in assenza di un beta-bloccante.

CA

ACE-inibitori = inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina; SCA = sindrome coronarica acuta; CHF = insuffi cienza cardiaca congestizia; ECG = elettro-cardiografi co, VS = ventricolare sinistro; NTG = nitroglicerina; SaO2 = saturazione dell’ossigeno nel sangue arterioso.

Tabella 49L–4 Linee guida dell’American College of Cardiology/American Heart Association per la terapia antiaggregante e anticoagulante

Classe Indicazione Livello di evidenza

Classe I (indicato) La terapia antiaggregante deve essere iniziata rapidamente. L’ASA deve essere somministrato il più presto possibile possibilmente dopo la presentazione e proseguendo indefi nitamente.

Il clopidogrel deve essere somministrato ai pazienti ospedalizzati che non possono assumere ASA a causa di ipersensibilità o intolleranza gastrointestinale maggiore.

Nei pazienti ospedalizzati in cui è programmato un approccio precoce non interventistico, il clopidogrel deve essere aggiunto all’ASA appena possibile al ricovero e somministrato per almeno 1 mese e fi no a 9 mesi.

Nei pazienti in cui un è programmato un PCI, deve essere iniziato il trattamento con clopidogrel e continuato per almeno 1 mese e fi no a 9 mesi in pazienti che non sono ad alto rischio di emorragie.

Nei pazienti che assumono clopidogrel per cui sia programmata una procedura elettiva di CABG, il farmaco deve essere sospeso per 5-7 giorni.

L’anticoagulazione con somministrazione sottocutanea di LMWH o UFH per via endovenosa deve essere aggiunta alla terapia antipiastrinica con ASA e/o clopidogrel.

Un antagonista del recettore piastrinico GP IIb-IIIa deve essere somministrato, in aggiunta all’ASA e all’eparina, ai pazienti in cui sono previsti il cateterismo e un PCI. Gli antagonisti della GP IIb/IIIa possono anche essere somministrati subito prima di un PCI.

A

A

B

B

B

A

A

Classe IIa (buona evidenza a supporto)

L’eptifi batide o il tirofi ban devono essere somministrati, oltre ad ASA e LMWH o UFH, ai pazienti con ischemia continua, troponina elevata o altre caratteristiche ad alto rischio in cui non è pianifi cata una strategia terapeutica invasiva.

L’enoxaparina è da preferire come anticoagulante all’UFH nei pazienti con UA/NSTEMI, a meno che non sia programmato un intervento per CABG nelle successive 24 ore.

Un antagonista della GP IIb/IIIa piastrinica deve essere somministrato ai pazienti che già ricevono eparina, ASA, e clopidogrel in cui sono pianifi cati un cateterismo e un PCI. L’antagonista della GP IIb/IIIa può anche essere somministrato subito prima del PCI.

A

A

B

Classe IIb (debole evidenza a sostegno)

Eptifi batide o tirofi ban, in aggiunta ad ASA e LMWH o UFH, a pazienti senza continua ischemia che non presentano altre caratteristiche di alto rischio e in cui non sia pianifi cato un PCI.

Classe III (non indicato)

Terapia fi brinolitica endovenosa nei pazienti senza sopraslivellamento acuto del tratto ST, un vero IM posteriore oppure un blocco di branca sinistra, presumibilmente di nuova insorgenza.

Somministrazione di abciximab nei pazienti in cui non è programmato un PCI.

A

A

ASA = acido acetilsalicilico (aspirina); CABG = bypass arterioso coronarico; GP = glicoproteina; LMWH = eparina a basso peso molecolare; IM = infarto mio-cardico; PCI = intervento coronarico percutaneo; UA/NSTEMI = angina instabile o infarto miocardico senza sopraslivellamento dell’ST; UFH = eparina non frazionata.

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Capitolo 49

Tabella 49L–5 Linee guida dell’American College of Cardiology/American Heart Association per la stratifi cazionedel rischio nei pazienti con sindromi coronariche acute

Classe Indicazione Livello di evidenza

Classe I (indicato) Valutazione non invasiva dei pazienti a basso rischio (Tab. 49L–1) che sono stati liberi da ischemia a riposo o a basso carico di lavoro e da CHF per un minimo di 12-24 ore.

Test da sforzo non invasivi in pazienti a rischio intermedio che siano liberi da ischemia a riposo o a basso carico di lavoro e da CHF per un minimo di 2 o 3 gg.

La scelta del test da sforzo è basata sull’ECG a riposo, sull’abilità a eseguire lo sforzo, sul grado di esperienza locale e sulle tecnologie disponibili. Il test al treadmill è adatto ai pazienti in grado di eseguire l’esercizio nei quali l’ECG di base è privo di anomalie basali del tratto ST, blocco di branca sinistra, ipertrofi a del ventricolo sinistro, alterata conduzione intraventricolare, preeccitazione o effetti della digossina.

Una tecnica di diagnostica per immagini viene aggiunta nei pazienti con sottoslivellamento del tratto ST a riposo (maggiore di o uguale a 0,10 mV), ipertrofi a del ventricolo sinistro, blocco di branca, alterata conduzione intraventricolare, preeccitazione o digossina che siano capaci di compiere l’esercizio. Nei pazienti sottoposti a bassi livelli di esercizio, la diagnostica per immagini può aggiungere sensibilità.

Test da sforzo farmacologico con diagnostica per immagini quando le limitazioni fi siche (p.es., artrite, amputazione, gravi vasculopatie periferiche, grave BPCO, astenia generale) impediscono l’esercizio.

Angiografi a rapida senza stratifi cazione di rischio non invasiva per insuffi ciente stabilizzazione con la terapia medica terapia medica massimale.

C

C

C

B

B

B

Classe IIa (buona evidenza a supporto)

Un test non invasivo (ecocardiogramma, angiogramma con radionuclidi) per valutare la funzione del ventricolo sinistro nei pazienti con SCA defi nita non prenotati per arteriografi a coronarica e ventricolografi a sinistra.

C

Classe IIb (debole evidenza a supporto)

Nessuna

Classe III (non indicato)

Nessuna

SCA = sindrome coronarica acuta; CHF = insuffi cienza cardiaca congestizia; BPCO = broncopneumopatia cronica ostruttiva; ECG = elettrocardiogramma.

Tabella 49L–6 Stratifi cazione non invasiva del rischio secondo l’American College of Cardiology/American Heart Association

Alto rischio (> tasso annuale di mortalità del 3%) 1. Grave disfunzione del VS (FEVS <0,35)2. Indice di alto rischio al test al treadmill (punteggio £11)3. Grave disfunzione del VS durante esercizio (FEVS durante l’esercizio <0,35)4. Estesa alterazione della perfusione miocardica indotta da stress (particolarmente se anteriore) 5. Multipli difetti di perfusione di dimensioni moderate, indotti da stress 6. Ampio, fi sso difetto di perfusione con dilatazione ventricolare sinistra o aumentata captazione polmonare (tallio 201)7. Moderato difetto di perfusione con dilatazione ventricolare sinistra o aumentata captazione (tallio 201)8. Anomalia della cinetica parietale all’ecocardiografi a (che interessa >2 segmenti) che insorgono a basse dosi di dobutamina (£10 mg/kg/min)

oppure a una bassa frequenza cardiaca (<120 battiti/min)9. Evidenza di ischemia estesa all’ecocardiografi a da stress

Rischio medio (1 – tasso annuale di mortalità del 3%) 1. Disfunzione del VS lieve/moderata a riposo (FEVS 0,35-0,49)2. Punteggio di rischio intermedio al test al tappeto rotante (-11< score <5)3. Lieve difetto di perfusione indotto da stress senza dilatazione del ventricolo sinistro o aumentata captazione polmonare (tallio 201)4. Lieve ischemia indotta all’ecocardiografi a da stress con alterazione della cinesi parietale solo ad alte dosi di dobutamina, coinvolgente £ due

segmenti

Basso rischio (< tasso annuale di mortalità dell’1%)1. Indice di basso rischio al test al tappeto rotante (score ≥5)2. Risposta normale o piccolo difetto di perfusione miocardica a riposo o allo sforzo 3. Normale cinesi parietale all’ecocardiografi a da stress o nessuna modifi ca durante lo stress di un’alterazione della cinesi parietale già presente

a riposo

FEVS = frazione di eiezione ventricolare sinistra.Dalla Tabella 23 in Gibbons RJ, Chatterjee K, Daley J, et al: ACC/AHA/ACP-ASIM guidelines for the management of patients with chronic stable angina. J Am

Coll Cardiol 33:2092, 1999.

49L–7). In assenza di tali indicatori di alto rischio, le linee guida considerano ragionevole una strategia precoce conservativa o una strategia invasiva precoce. Le linee guida inoltre forniscono supporto all’utilizzo di una strategia invasiva precoce nei pazienti con ripetuti episodi di sospetta sindrome coronarica acuta senza una chiara evi-denza di ischemia.

Per pazienti che necessitano di rivascolarizzazione coronarica, i

principi da seguire nella scelta tra CABG e PCI sono simili a quelli usati nei pazienti con angina stabile cronica. Le linee guida raccomandano il CABG rispetto al PCI nei pazienti con signifi cativa malattia della coronaria principale sinistra e nei pazienti con patologia multivasale e ridotta frazione di eiezione o diabete (Tabb. 49L–8 e 49L–9). Sia CABG che PCI sono considerati indicati per i pazienti con malattia di un vaso non coinvolgente il tratto prossimale della discendente anteriore sini-

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ngina instabile e infarto miocardico senza sopraslivellam

ento del tratto ST Tabella 49L–7 Linee guida dell’American College of Cardiology/American Heart Association per la scelta tra strategia

precoce conservativa e precoce invasiva

Classe Indicazione Livello di evidenza

Classe I (indicato) Una strategia invasiva precoce nei pazienti con UA/NSTEMI e uno dei seguenti indicatori di alto rischio:

Angina ricorrente o ischemia a riposo o con attività di bassa intensità malgrado terapia antischemica massimale

Aumento di TnT o TnI Sottoslivellamento del tratto ST di nuova insorgenza o presumibilmente tale Angina ricorrente o ischemia con sintomi di CHF, un tono S3 di galoppo, edema polmonare,

rantoli ingravescenti, soffi o da insuffi cienza mitralica di nuova insorgenza o ingravescente Fattori di alto rischio ai test da sforzo non invasivi Depressa funzione sistolica del VS (p.es., FE minore di 0,40 agli esami non invasivi) Instabilità emodinamica Tachicardia ventricolare sostenuta PCI entro 6 mesi Pregresso CABG

In assenza di questi risultati, possono essere seguite una strategia precoce conservativa o una strategia invasiva precoce nei pazienti ricoverati senza controindicazioni alla rivascolarizzazione.

A

B

Classe IIa (buona evidenza a supporto)

Una strategia invasiva precoce nei pazienti con ripetuti ricoveri per SCA nonostante la terapia e senza evidenza di ischemia in atto o ad alto rischio.

C

Classe IIb (debole evidenza a supporto)

Classe III (non indicato)

Angiografi a coronarica in pazienti con estesa comorbilità (p.es., insuffi cienza epatica o polmonare, cancro) in cui i rischi della rivascolarizzazione non sembrano bilanciare i benefi ci.

Coronarografi a in pazienti con dolore toracico acuto e una bassa probabilità di SCA.Coronarografi a nei pazienti che non danno il consenso per la rivascolarizzazione

indipendentemente dai reperti.

C

CC

SCA = sindrome coronarica acuta; CABG = bypass arterioso coronarico; CHF = insuffi cienza cardiaca congestizia; FE = frazione di eiezione; VS = ventricolare sinistro; MR (Mitral Regurgitation) = insuffi cienza mitralica; PCI = intervento coronarico percutaneo; TnI= troponina I; TnT = troponina T; UA/NSTEMI = angina instabile o infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST.

Tabella 49L–8 Raccomandazioni dell’American College of Cardiology/American Heart Association per la rivascolarizzazione con PCI e CABG in pazienti con angina instabile o infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST

Classe Indicazione Livello di evidenza

Classe I (indicato) CABG nei pazienti con CAD signifi cativa del tronco comune.CABG nei pazienti con malattia trivasale; il benefi cio sulla sopravvivenza è maggiore nei pazienti

con anomalie della funzione del VS (FE minore di 0,50).CABG nei pazienti con malattia di due vasi coinvolgente in maniera signifi cativa il tratto prossimale

della discendente anteriore CAD con anomalie della funzione del VS (FE minore di 0,50) o ischemia dimostrabile ai test non invasivi.

Sia CABG che PCI nei pazienti con CAD di uno o due vasi senza signifi cativa ostruzione prossimale dell’anteriore sinistra CAD della discendente anteriore ma in presenza di un’ampia area di miocardio vitale e criteri di alto rischio alle indagini non invasive.

PCI per i pazienti con malattia multivasale con adeguata anatomia coronarica, con normale funzione del VS e senza diabete.

Inibitori della GP IIb/IIIa piastrinica nei pazienti con UA/NSTEMI sottoposti a PCI.

AA

A

B

A

A

Classe IIa (buona evidenzaa supporto)

Ripetere il CABG nei pazienti con stenosi multiple in diversi bypass venosi, in particolare se è presente una signifi cativa stenosi di un innesto che irrora la LAD.

PCI per occlusione focale o stenosi multiple in pazienti con scarsa indicazione al reintervento.CABG o PCI in pazienti con CAD di uno o due vasi senza signifi cativa CAD della discendente

anteriore prossimale con una moderata zona di miocardio vitale e ischemia agli esami non invasivi.PCI o CABG per i pazienti con malattia di un singolo vaso con CAD signifi cativa della discendente

anteriore prossimale.CABG con arteria mammaria interna nei pazienti con malattia multivasale e diabete mellito.

C

CB

B

B

Classe IIb (debole evidenzaa supporto)

PCI nei pazienti con malattia di due o tre vasi con coinvolgimento signifi cativo della discendente anteriore prossimale, con diabete in trattamento o alterata funzione ventricolare sinistra e con anatomia adatta alla terapia percutanea.

B

Classe III (non indicato)

CABG o PCI in pazienti con CAD di uno o due vasi senza signifi cativa malattia prossimale della discendente anteriore sinistra o con sintomi lievi o sintomi di non probabile origine ischemica o che non hanno ricevuto una adeguata terapia medica e in cui non sia dimostrabile ischemia alle indagini non invasive.

PCI o CABG nei pazienti con stenosi coronariche non signifi cative (minori del 50% del diametro).PCI nei pazienti con lesione signifi cativa del tronco comune della coronaria sinistra già candidati al

CABG.

C

CB

CABG = bypass aorto-coronarico; CAD = coronaropatia; FE = frazione di eiezione; GP = glicoproteina; LAD = discendente anteriore sinistra; VS = ventricolo sinistro; PCI = intervento coronarico percutaneo; UA/NSTEMI = angina instabile o infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST.

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Capitolo 49

stra (Left Anterior Descending, LAD) ma con grosse aree di miocardio in pericolo (Tab. 49L–9). Le linee supportano la rivascolarizzazione con CABG o PCI per i pazienti con malattia focale della LAD prossimale (classe IIa) ma non raccomandano la rivascolarizzazione nei pazienti senza malattia della discendente anteriore sinistra prossimale o in quelli che presentano un’ischemia di piccola estensione individuata in base a esami non invasivi.

DIMISSIONE OSPEDALIERA E ASSISTENZA POST DIMISSIONE

Le linee guida ACC/AHA enfatizzano l’importanza della riduzione aggressiva dei fattori di rischio e dell’educazione dei pazienti sulla gestione degli episodi ischemici. Le indicazioni di classe I per il tratta-mento farmacologico includono: Aspirina da 75 a 325 mg/die in assenza di controindicazioni Clopidogrel 75 mg/die in assenza di controindicazioni nei casi in cui

l’aspirina non è tollerata L’associazione di aspirina e clopidogrel per 9 mesi dopo UA/

NSTEMI Beta-bloccanti in assenza di controindicazioni Gli interventi dietetici e la terapia farmacologia devono essere iniziati

solo se il colesterolo LDL è superiore a 130 mg/dl Farmaci ipolipemizzanti se il colesterolo LDL è maggiore di 100 mg/dl

dopo la dieta ACE-inibitori nei pazienti con insuffi cienza cardiaca, disfunzione ven-

tricolare sinistra, ipertensione o diabete

GRUPPI PARTICOLARI

Le linee guida indicano che le donne con sindrome coronarica acuta devono essere trattate secondo gli stessi principi usati per gli uomini, utilizzando le stesse indicazioni per i test non invasivi e i trattamenti. Per i pazienti anziani, le linee guida raccomandano che il medico consideri la percezione globale di salute del paziente, le comorbilità, le condizioni cognitive e l’aspettativa di vita nello scegliere l’aggressività della terapia.

Per i pazienti con diabete, in presenza di patologie multivascolari che richiedano la rivascolarizzazione, le linee guida raccomandano il CABG con uso dell’arteria mammaria interna rispetto al PCI; in altre situazioni, le decisioni terapeutiche devono essere simili a quelle per i pazienti non diabetici. La task force ha riscontrato che l’uso di stent, in particolare con abciximab, può determinare risultati più favorevoli nei diabetici ma che ulteriori dati sono necessari prima che questo approccio possa essere sistematicamente raccomandato.

Per i pazienti con sindromi coronariche precedentemente sotto-posti a CABG, le linee guida raccomandano una soglia più bassa per porre indicazione all’angiografi a considerate le molteplici potenziali cause di ischemia. Le linee guida sostengono l’uso di tecniche di dia-gnostica per immagini con stress test nei pazienti precedentemente sottoposti a CABG (indicazione di classe IIa).

I calcioantagonisti e i nitrati sono raccomandati nei pazienti con dolore toracico dopo l’uso di cocaina e nei pazienti con sindromi cliniche compatibili con la presenza di spasmo coronarico. In pazienti che hanno utilizzato cocaina, l’angiografi a coronarica è raccomandata nel caso in cui il tratto ST permanga sopraslivellato dopo il trattamento medico.

Bibliografi a1. Braunwald E, Antman EM, Beasley JW, et al: ACC/AHA guidelines for the

management of patients with unstable angina and non-ST-segment eleva-tion myocardial infarction: A report of the American College of Cardiology/ American Heart Association Task Force on Practice Guidelines (Committee on the Management of Patients with Unstable Angina). J Am Coll Cardiol 36:970, 2000.

2. Braunwald E, Antman EM, Beasley JW, et al: ACC/AHA 2002 guideline update for the management of patients with unstable angina and non-ST-segment elevation myocardial infarction: Summary article: A report of the Ameri-can College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Prac-tice Guidelines (Committee on the Management of Patients with Unstable Angina). Circulation 106:1893, 2002.

3. Smith SC Jr, Dove JT, Jacobs AK, et al: ACC/AHA guidelines for percutane-ous coronary intervention: A report of the American College of Cardiology/ American Heart Association Task Force on Practice Guidelines (Committee to Revise the 1993 Guidelines for Percutaneous Transluminal Coronary Angio-plasty). J Am Coll Cardiol 37:2239i, 2001.

Tabella 49L–9 Raccomandazioni dell’American College of Cardiology/American Heart Association per la scelta della modalità di rivascolarizzazione in seguito ad angina instabile o infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST

Estensione della malattia Trattamento Classe di appropriatezza Livello di evidenza

Malattia del tronco comune (stenosi ≥50%), candidata a CABG CABGPCI

IIII

AC

Malattia del tronco comune, non candidata a CABG PCI IIb C

Malattia di tre vasi con FE <0,50 CABG I A

Malattia multivasale coinvolgente la LAD prossimale, con FE <0,50 o diabete trattato

CABGPCI

IIIb

AB

Malattia multivasale con FE >0,50 e senza diabete PCI I A

Malattia di uno o due vasi coronarici non coinvolgente il tratto prossimale della LAD ampie zone di ischemia miocardica o criteri di alto rischio indagini non invasive

CABG o PCI I B

Malattia di un vaso coinvolgente la LAD prossimale CABG o PCI IIa B

Malattia di uno o due vasi coronarici escluso il tratto prossimale della LAD area di ischemia o assenza di ischemia ai test non invasivi

CABG o PCI III* C

Stenosi coronarica non signifi cativa CABG CABG o PCI IIIC

*Classe I = se persiste angina invalidante nonostante terapia medica massimale.CABG = bypass arterioso coronarico; FE = frazione di eiezione; LAD = discendente anteriore sinistra; PCI = intervento coronarico percutaneo.

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