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Il minore sessualmente abusato: vicende processuali e trattamento terapeutico Laila Fantoni - Per concessione dell’autrice. - Già pubblicato (http://www.tsd.unifi.it/altrodir/minori/fantoni/index.htm ) su “L’altro Diritto - Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalitàLAILA FANTONI, nata a Firenze nel 1977, si è laureata in Giurisprudenza all’Università del capoluogo toscano in Sociologia del diritto con il Prof. Emilio Santoro. Negli anni 1998-2000, operando per l’associazione “L’Altro diritto” , ha prestato consulenza extragiudiziale ai detenuti del carcere di Sollicciano e dell’Istituto Penale per i minorenni di Firenze. Dal 2000 – anno in cui ha svolto volontariato presso l’associazione “Artemisia” di Firenze, la quale soccorre donne e minori maltrattati e/o violentati – ha sempre più approfondito la materia dell’abuso e della violenza all’infanzia, tanto da partecipare a vari corsi di formazione e convegni organizzati nell’area fiorentina sulla prevenzione a tale problematica. Nel 2002 ha poi conseguito l’idoneità come ausiliaria del giudice nell’ascolto della testimonianza del minore nelle fasi del giudizio, al termine del relativo corso di formazione tenutosi a Roma presso il Centro Studi Infanzia Violata. Ha inoltre frequentato, nell’anno 2004, il Corso seminariale in scienze psicologiche e forensi presso la Questura di Roma, organizzato dal Comitato Scientifico della Polizia di Stato in collaborazione con l’Associazione Italiana di Psicologia e Criminologia. Ha infine curato nel 2005, in collaborazione con il Centro Italiano di ricerche e d’informazione sull’economia pubblica, sociale e cooperativa per conto dell’Osservatorio Sociale Provinciale di Firenze, un’indagine territoriale conclusasi con un convegno in cui è stata presentata la relazione “Abusi sessuali a danno di minori in provincia di Firenze: problemi e proposte per un rafforzamento dei servizi” . Attualmente sta svolgendo l’attività di procuratore legale nella regione Basilicata nei tribunali dell’area potentina. Introduzione

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Page 1: Capitolo I - PSYCHOMEDIA  · Web view7.3.2. "Incesto" padre-figlia. 7.3.3. Le conseguenze "dell'incesto" Capitolo II Dalla rivelazione all'accertamento: testimonianza verbale del

Il minore sessualmente abusato: vicende processuali e trattamento terapeuticoLaila Fantoni

- Per concessione dell’autrice. - Già pubblicato (http://www.tsd.unifi.it/altrodir/minori/fantoni/index.htm) su “L’altro

Diritto - Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità”

LAILA FANTONI, nata a Firenze nel 1977, si è laureata in Giurisprudenza all’Università del capoluogo toscano in Sociologia del diritto con il Prof. Emilio Santoro. Negli anni 1998-2000, operando per l’associazione “L’Altro diritto”, ha prestato consulenza extragiudiziale ai detenuti del carcere di Sollicciano e dell’Istituto Penale per i minorenni di Firenze. Dal 2000 – anno in cui ha svolto volontariato presso l’associazione “Artemisia” di Firenze, la quale soccorre donne e minori maltrattati e/o violentati – ha sempre più approfondito la materia dell’abuso e della violenza all’infanzia, tanto da partecipare a vari corsi di formazione e convegni organizzati nell’area fiorentina sulla prevenzione a tale problematica. Nel 2002 ha poi conseguito l’idoneità come ausiliaria del giudice nell’ascolto della testimonianza del minore nelle fasi del giudizio, al termine del relativo corso di formazione tenutosi a Roma presso il Centro Studi Infanzia Violata. Ha inoltre frequentato, nell’anno 2004, il Corso seminariale in scienze psicologiche e forensi presso la Questura di Roma, organizzato dal Comitato Scientifico della Polizia di Stato in collaborazione con l’Associazione Italiana di Psicologia e Criminologia. Ha infine curato nel 2005, in collaborazione con il Centro Italiano di ricerche e d’informazione sull’economia pubblica, sociale e cooperativa per conto dell’Osservatorio Sociale Provinciale di Firenze, un’indagine territoriale conclusasi con un convegno in cui è stata presentata la relazione “Abusi sessuali a danno di minori in provincia di Firenze: problemi e proposte per un rafforzamento dei servizi”. Attualmente sta svolgendo l’attività di procuratore legale nella regione Basilicata nei tribunali dell’area potentina.

Introduzione

Capitolo ILa realtà dell'abuso sessuale

1. La cultura dell'infanzia: dal bambino battuto al bambino abusato 2. Lo studio del fenomeno dell'abuso sessuale in Italia 3. La violenza sui minori

3.1.La classificazione3.2.Le radici della violenza

4. Maltrattamento

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4.1.Maltrattamento fisico4.2.Maltrattamento psicologico

5. Patologia delle cure

5.1.Incuria5.2.Discuria5.3.Ipercura

6. Abuso sessuale

6.1.La definizione del termine "abuso sessuale sui minori"6.2.Gli interventi legislativi contro l'abuso sessuale sui minori 6.3.La realtà dell'abuso: elementi descrittivi6.4.Gli indicatori dell'abuso sessuale6.5.Le conseguenze dell'abuso sessuale

7. L'incesto: tra diritto e sentire sociale

7.1.Cenni storici7.2.La definizione giuridica di incesto7.3.L'incesto nella società 7.3.1.I vari tipi di incesto7.3.2."Incesto" padre-figlia7.3.3.Le conseguenze "dell'incesto"

Capitolo IIDalla rivelazione all'accertamento: testimonianza verbale del minore

1. La denuncia di abuso

1.1.Gli obblighi di denuncia da parte dei soggetti che rivestono funzioni o incarichi di natura pubblica1.2.Conflitto fra l'obbligo di referto e l'obbligo al segreto professionale

2. Il ruolo del Tribunale ordinario e del Tribunale per i minorenni 3. L'intervento terapeutico 4. Gli aspetti giuridici della testimonianza del minore sessualmente abusato 5. La videoregistrazione nel processo penale

5.1.Le video-testimonianze dei minorenni5.2.

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L'utilizzo delle tecnologie audiovisive in Italia6. La perizia sull'attendibilità del minore testimone 7. Nodi problematici nel percorso giudiziario 8. Il ruolo "dell'esperto" nelle audizioni protette di minori sessualmente abusati 9. L'audizione protetta secondo l'opinione di psicologi e giuristi 10. Il problema del ricordo e le tecniche d'intervista 11. Le tecniche di validazione

Capitolo IIIIl trattamento terapeutico del minore sessualmente abusato

1. Il ruolo del clinico 2. La terapia familiare 3. La terapia dell'adulto protettivo 4. L'intervento sui fratelli del minore abusato 5. La terapia dell'abusante 6. La terapia individuale della vittima di abuso sessuale 7. Principi generali sulla relazione terapeutica col minore vittima di abuso sessuale 8. Il trattamento terapeutico dei casi a rischio

Capitolo IVL'abuso sessuale in Italia: Milano, Firenze e Potenza, tre realtà a confronto

1. Milano: una realtà italiana significativa 2. Gli abusi sessuali sui minori nella realtà fiorentina 3. L'abuso sessuale a danno dei minori nella regione Basilicata

Capitolo VUna storia vera

1. La storia di Sara 2. La perizia medico-ginecologica 3. Osservazioni sulle condizioni psicologiche della minore 4. Interrogatorio del padre di Sara 5. Commento all'incidente probatorio di Sara 6. Interrogatorio della sorella di Sara: Ilaria 7. Interrogatorio della psicologa Assunta Basentini 8. Interrogatorio della zia di Sara 9. Sentenza

Conclusione

Appendice

Bibliografia

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Capitolo ILa realtà dell'abuso sessuale1. La cultura dell'infanzia: dal "bambino battuto" al "bambino abusato"Storicamente la società non è mai stata particolarmente sensibile al maltrattamento dei minori. Nell'antichità erano praticati correntemente i sacrifici dei bambini e neonati destinati agli dei; dall'antica Grecia alla Cina, l'uccisione di bambini deformi o non desiderati era comunemente accettata e praticata.

Nell'antica Roma l'ordinamento giuridico stabiliva il diritto di vita o di morte del pater familias sui propri figli. Tale condizione di sottomissione, propria dei minori nella famiglia patriarcale, rispecchiava due opinioni: anzitutto quella per cui i bambini erano proprietà dei genitori e si riteneva naturale che questi ultimi avessero pieno diritto di trattare i figli come pensavano fosse giusto, e conseguentemente quella secondo cui i genitori erano considerati responsabili dei figli, per cui un trattamento severo veniva giustificato dalla convinzione che potesse essere necessaria una punizione fisica per mantenere la disciplina, trasmettere le buone maniere e correggere le cattive inclinazioni (1).

Il concetto di "protezione" del bambino comparì la prima volta nell'anno 529 d.C., quando Giustiniano promulgò una legge che prevedeva l'istituzione di case per orfani e bambini abbandonati. Nel Medioevo il concetto di nucleo familiare, inteso come entità adatta ad offrire protezione ed educazione al fanciullo, era ben diverso da oggi, in quanto nell'ambito socio-culturale e tradizionale del tempo era normale l'allontanamento del bambino dalla famiglia in età assai precoce (verso i sette anni); da quell'età in poi i compiti educativi erano affidati ad istituzioni al di fuori della famiglia. Nella scuola, oltre che in famiglia, le pesanti punizioni corporali costituivano lo strumento pedagogico più utilizzato.

I fanciulli furono probabilmente la categoria che risentì più fortemente delle grandi trasformazioni della società europea dal XVII al XIX secolo. Il progressivo impoverimento delle classi popolari e il diffondersi dell'urbanesimo aumentarono enormemente il numero dei minori abbandonati, orfani o illegittimi, la maggior parte dei quali veniva raccolta da mendicanti e costretta all'accattonaggio e al furto. Spesso i bambini venivano storpiati o mutilati per suscitare maggiore compassione e quindi ottenere elemosine più generose (2).

Nel XVIII secolo, l'attenzione nei confronti dell'infanzia divenne maggiore sia in Inghilterra - dove famosi romanzieri inglesi (Scott e Dickens) denunciarono il comportamento della società verso i minori e, grazie alle loro opere, venne sensibilizzata la coscienza pubblica - sia in Francia - dove, in seguito alla Rivoluzione francese, la Costituzione del 1793 proclamò che "il bambino non possiede che diritti" (3). Ma, nonostante questi sviluppi, la protezione dei minori non venne attuata per ancora un secolo.

Nel XIX secolo sorsero in Europa numerosi istituti per orfani e bambini abbandonati dove essi vivevano in una condizione di grave disagio psichico e fisico. La gravità dei maltrattamenti subiti da questi bambini istituzionalizzati può essere ricavata dai dati che emergono dai registri di questi istituti, che evidenziano un decesso per stenti, incuria e maltrattamento fisico ogni quattro ricoverati.

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La denuncia di tale situazione sensibilizzò la pubblica opinione e il maltrattamento dei minori venne considerato finalmente un problema sociale.

All'inizio del Novecento pedagogia, psicologia e sociologia cominciarono a porsi il problema dell'infanzia e dei suoi bisogni. Al bambino furono riconosciuti esigenze e bisogni affettivi e psicologici, fu affermato che i diritti dei minori devono essere tutelati non solo dai genitori, ma da tutta la società. In quest'ottica, nel 1925 fu approvata a Ginevra la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, in cui è affermato che il minore deve essere posto in condizione di svilupparsi in maniera normale sia sul piano fisico che spirituale, che i bambini hanno il diritto di essere nutriti, curati, soccorsi e protetti da ogni forma di sfruttamento (4).

In seguito, nel 1959, è stata proclamata dall'Assemblea generale dell'ONU la Carta dei diritti del fanciullo, nella quale è stato ribadito il diritto di nascita (con cure adeguate alla madre e al bambino nel periodo pre e post-natale), il diritto all'istruzione, al gioco o alle attività ricreative, la protezione dalle discriminazioni razziali o religiose e il poter vivere in un clima di comprensione e tolleranza.

Tali obiettivi non sono stati ancora completamente raggiunti e nel gennaio 1986 il Parlamento europeo ha approvato una Risoluzione (5) nella quale si ritrovano le stesse raccomandazioni del precedente documento, con una particolare attenzione al problema dell'abuso sull'infanzia e sulla necessità di protezione del minore. Il Consiglio d'Europa, nel gennaio 1990, ha espresso la necessità di misure preventive a sostegno delle famiglie in difficoltà e misure specifiche di informazione, di individuazione delle violenze, di aiuto e terapia a tutta la famiglia e di coordinamento tra i vari servizi.

Nella metà del XX secolo la professione medica ha iniziato ad essere coinvolta seriamente nel problema dell'abuso all'infanzia.

Determinante è stato il contributo di Kempe (6), che nel 1962 ha parlato di "sindrome del bambino battuto", precisando gli elementi clinici e radiologici utili alla diagnosi. L'autore si è soffermato sull'importanza dell'interrogatorio ai genitori, che sembrano avere una totale amnesia dell'episodio che li ha portati ad aggredire il proprio figlio.

Successivamente un altro autore, Fontana (7), che si è molto occupato del fenomeno, estese il concetto di maltrattamento alle condizioni di malnutrizione, di mancanza di cure familiari e al maltrattamento psicologico. Egli vide nel maltrattamento solo la punta emergente del fenomeno "abuso", ipotizzando che un bambino vittima di violenza può anche non presentare alcun segno di trauma fisico.

Successivamente, ancora, Kempe (8) suggerì di abbandonare la definizione di battered child e cambiarla in child abuse and neglect, concetto che esprime meglio gli aspetti del maltrattamento in tutta la loro estensione.

2. Lo studio del fenomeno dell'abuso sessuale in ItaliaIn Italia la prima denuncia dell'esistenza, anche nel nostro Paese, del fenomeno "maltrattamento" comparve nella letterattura clinica, nel 1962, in seguito alle ricerche compiute da Rezza e De Caro (9). Queste prime ricerche vennero guardate con sospetto e ironia e si cercò di circoscrivere il problema dell'abuso e della violenza sui bambini al mondo anglosassone, come se la nostra società ne fosse stata immune. D'altra parte, sebbene mancassero ricerche epidemiologiche sul tema e la letteratura italiana fosse quasi inesistente, i dati clinici confermavano l'esistenza di numerosi casi di violenza. Solo a partire dagli anni Ottanta i grandi mezzi di comunicazione hanno iniziato ad occuparsi ampiamente dei maltrattamenti all'infanzia e più in generale della violenza intrafamiliare. Secondo Francesco Montecchi (10), neuropsichiatra infantile:

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Le ragioni di questo ritardo, significativo in Italia ma diffuso in tutti i paesi mediterranei, sono certamente molteplici e vanno dal carattere tradizionalmente "chiuso", proprio della struttura familiare, alla diffusa riluttanza e difesa sociale ad ammettere l'esistenza di un fenomeno riprovevole ed imbarazzante. Ancora più difficile risultava poi accettare che si trovassero dei bambini maltrattati non solo in seno a famiglie con cattive condizioni socio-economiche, o con problemi di etilismo o patologie psichiatriche, ma anche in famiglie le cui condizioni sociali, strutture coniugali e comportamenti esterni apparivano normali, o addirittura benestanti.

Il problema è stato circoscritto in un primo momento soprattutto agli Istituti per l'Infanzia, sollecitando inchieste e rilevazioni; in seguito venne studiato in una prospettiva sociologica, sottolineando il sovraccarico di richieste e compiti che gravano sulla famiglia. Dopo i primi contributi scientifici ed alcuni fatti di cronaca, in molte parti d'Italia, si formarono varie Associazioni, volte a prevenire il fenomeno dell'abuso sessuale sui minori, che furono molto attive nell'organizzazione di convegni e nel cercare di creare i primi contatti tra i vari operatori del settore. Da tali convegni emerse poi la necessità di chiarire il significato del concetto "abuso sessuale".

3. La violenza sui minori3.1 La classificazione

La classificazione della violenza, considerata dagli esperti quella più completa tra le varie esistenti, è stata proposta da Francesco Montecchi (11), il quale ritiene che "pur nell'artificiosità degli schemi e delle classificazioni, queste ci permettono di discriminare e riconoscere il fenomeno per poterlo prevenire e curare, nonché per poter promuovere e difendere la nuova cultura dell'infanzia, e offrire una più vasta capacità di attenzione ai problemi e alle esigenze più profonde dell'anima infantile da parte delle varie categorie di professionisti che si occupano di famiglia e di bambini".

1. Maltrattamento: a. fisico: è la forma più manifesta e facilmente riconoscibile;b. psicologico: è forse l'abuso più difficile ad essere individuato, se non quando ha

già determinato gli effetti devastanti sullo sviluppo della personalità del bambino; in notevole incremento negli ultimi anni con lo stile di vita della società consumistica e materialistica e la crisi della famiglia.

2. Patologia della fornitura di cure. Un tempo identificata nella incuria, in realtà viene individuata non solo nella carenza di cure, ma anche nella inadeguatezza delle cure fisiche e psicologiche offerte, considerandole sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. Si possono distinguere le seguenti forme (12):

a. incuria: cioè la carenza di cure fornite (la cosiddetta violenza per omissione);b. discuria: quando le cure, seppur fornite, sono distorte ed inadeguate se

rapportate al momento evolutivo del bambino;c. ipercura: quando viene offerto, in modo patologico, un eccesso di cure. In questo

gruppo è compresa la sindrome di Münchhausen per procura, il medical shopping e il chemical abuse.

3. Abuso sessuale. Tale forma di abuso è onnicomprensiva di tutte le pratiche sessuali manifeste o mascherate a cui vengono sottoposti i minori e comprende (13):

a. abuso sessuale intrafamiliare. Non riguarda solo quello comunemente considerato tra padri o conviventi e figlie femmine, ma anche quello tra madri o padri e figli maschi, nonché forme mascherate in inconsuete pratiche igieniche; è attuato da membri della famiglia nucleare (genitori, compresi quelli adottivi e affidatari, patrigni, conviventi, fratelli) o da membri della famiglia allargata (nonni, zii, cugini ecc.; amici stretti della famiglia);

b. abuso sessuale extrafamiliare. Interessa indifferentemente maschi e femmine e riconosce spesso una condizione di trascuratezza intrafamiliare che porta il bambino ad aderire alle attenzioni affettive che trova al di fuori della famiglia; è attuato, di solito, da persone conosciute dal minore (vicini di casa, conoscenti ecc.).

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A questa classificazione si può aggiungere una distinzione ancora più ampia (14):

c. abuso istituzionale, quando gli autori sono maestri, bidelli, educatori, assistenti di comunità, allenatori, medici, infermieri, religiosi, ecc., cioè tutti coloro ai quali i minori vengono affidati per ragioni di cura, custodia, educazione, gestione del tempo libero, all'interno delle diverse istituzioni e organizzazioni;

d. abuso da parte di persone sconosciute (i cosiddetti "abusi di strada");e. sfruttamento sessuale a fini di lucro da parte di singoli o di gruppi criminali

organizzati(quali le organizzazioni per la produzione di materiale pornografico, per lo sfruttamento della prostituzione, agenzie per il turismo sessuale);

f. violenza da parte di gruppi organizzati(sette, gruppi di pedofili, ecc.).

Non è affatto infrequente che vengano attuate da parte di più soggetti forme plurime di abuso (ad esempio, abuso intrafamiliare e contemporaneo sfruttamento sessuale a fini di lucro; abuso da parte di adulti della famiglia e di conoscenti, ecc.).

3.2 Le radici della violenza

I cosiddetti "rischi o fattori di violenza" (soprattutto familiare) sono stati individuati utilizzando il "modello ecologico di Bronfenbrenner" (15), secondo quattro livelli di analisi (16):

le caratteristiche individuali; il contesto sociale immediato; il contesto ambientale più ampio; il contesto sociale e culturale.

Riguardo alle caratteristiche individuali, il basso livello di autostima, lo scarso controllo dell'impulso, l'affettività negativa e l'eccessiva risposta allo stress sicuramente aumentano la probabilità che un individuo possa divenire perpetratore di violenza familiare. Anche la dipendenza da alcool e droghe gioca un ruolo importante sia come fattore di rischio sia come elemento predisponente alla violenza.

In relazione al contesto sociale immediato, le caratteristiche del sistema familiare hanno importanti implicazioni per l'eziologia o l'esercizio della violenza intrafamiliare: a questo proposito occorre citare la struttura e la dimensione della famiglia ed anche eventi "paranormativi", come la perdita di un lavoro o la morte di un familiare. Alcuni autori (17) hanno rilevato che le famiglie che abusano dei loro figli sono spesso caratterizzate da un maggior numero di eventi stressanti, anche se ciò non vuol dire che tutte le famiglie colpite da tali eventi abusino dei loro figli. Tuttavia, laddove ciò accade, pare che gli abusanti siano più aggressivi e ansiosi dei non abusanti.

In riferimento al contesto ambientale più vasto, la violenza intrafamiliare è legata anche alle caratteristiche della comunità in cui la famiglia è collocata, come la povertà, l'assenza di servizi per la famiglia, l'isolamento e la mancanza di coesione sociale. Inoltre alti livelli di disoccupazione, abitazioni inadeguate e violenza nella comunità contribuiscono ad aumentare il rischio. Considerando che certamente non tutte le famiglie povere abusano dei propri figli, varie ricerche hanno sottolineato che la principale differenza tra famiglie povere che abusano dei figli e quelle che non abusano consiste nel grado di coesione sociale e di assistenza reciproca trovata nelle loro comunità (18). Altre ricerche successivamente hanno dimostrato che le famiglie abusanti socializzano meno con i propri vicini di casa rispetto alle famiglie non abusanti (19).

Infine, la ricerca ha dimostrato che esiste uno specifico contesto sociale e culturale della violenza intrafamiliare. Si ritiene, infatti, che tale tipo di violenza sia compiuta attraverso precisi valori culturali: basti pensare all'uso della punizione fisica nella privacy familiare.

Ma se cause facilitanti la violenza dei minori (concause) possono essere le difficili condizioni di vita della famiglia (povertà, emarginazione, solitudine) e/o cause psicologiche (frustrazioni personali, immaturità, ecc...), da vari studi emerge che la "vera causa" sia il fatto che il

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genitore, che maltratta il figlio, abbia avuto nella propria infanzia tristi esperienze di abuso o di trascuratezza (20). La cosiddetta ripetitività dell'abuso o ciclo intergenerazionale della violenza sembra essere, infatti, l'aspetto più caratteristico delle storie di famiglie che compiono maltrattamenti o abusi, dove l'azione violenta o di trascuratezza viene trasmessa da una generazione all'altra (21). Secondo un'altra ipotesi (22) questa "familiarità" della violenza in famiglia potrebbe ascriversi ad una causa genetica piuttosto che ambientale, nonostante l'influenza dell'ambiente sia nondimeno rilevante.

A parte queste diverse tesi, si può sicuramente affermare che l'abuso può compromettere le normali tappe dello sviluppo del bambino come la formazione del legame di attaccamento, la regolazione affettiva, lo sviluppo dell'autostima e le relazioni con i coetanei. In particolare persistono, anche nell'età adulta, disturbi relazionali rappresentati da sentimenti di paura e di ostilità nei confronti delle figure parentali e reazioni di forte diffidenza nei confronti di altri adulti e dei partners; inoltre si rilevano varie disfunzioni del comportamento sessuale, tendenza alla prostituzione, alla tossicodipendenza e all'alcoolismo e tutto questo può costituire una predisposizione per compiere violenza sui propri figli, ma ciò non è detto che avvenga (23).

Comunque bisogna anche aggiungere che la violenza sui minori è strettamente legata al più generale fenomeno della violenza diffusa nella società (affermazione accreditata dal fatto che ci sono anche tantissime violenze al di fuori della famiglia). E questo non soltanto perché chi subisce quotidiana violenza tende ineluttabilmente a scaricare le proprie frustrazioni sui soggetti più deboli che gli sono vicini e che appaiono sotto il suo dominio, quanto principalmente perché sono identiche le cause culturali di ogni forma di violenza.

Nella società attuale si è cominciato a credere che l'educazione sia equivalente al condizionamento del comportamento umano e quindi che, con l'eccessivo utilizzo dell'attività educativa, siano venute meno la spontaneità e la libertà dei processi maturativi del bambino. Ma contro tale affermazione bisogna sostenere che "il condizionamento sociale è lo strumento che ha reso umano l'uomo" e per questo importantissimo. Il problema perciò non è di ridurre il condizionamento sociale ma di individuare quale condizionamento bisogna porre in essere e con quali scopi: bisogna mettere in atto dei condizionamenti utili al bambino, limitandoli al massimo, ma soprattutto essendo sempre tesi ad impedire che diventino deterministicamente operanti e dunque tali da soffocare le possibilità ed aspirazioni del bambino, per trasformarli al contrario in suggerimenti e spinte esistenziali positive (24).

Inoltre bisogna rendersi conto che, nella società moderna, l'infanzia è stata collocata all'interno della famiglia ed i bambini sono considerati un'appendice dei genitori. Il fenomeno esistente è quello dell'"adultocentrismo", dove sono i bambini che devono adeguarsi alle abitudini degli adulti e non viceversa. Quindi, è un "bambino a rischio" quello che non riesce a trarre dall'ambiente (socio-culturale in senso ampio) tutte le risorse necessarie per un suo armonico e pieno sviluppo psico-fisico e relazionale (25).

Secondo le ricerche (26) svolte dalla Dott.ssa Paola Di Blasio, Professore Ordinario di Psicologia dello Sviluppo all'Università Cattolica di Milano, che da anni si occupa di abuso e maltrattamento all'infanzia, è emerso che ogni agente causale, sia se considerato isolatamente, sia in associazione con altri, può essere responsabile solo di una parte dell'evento di violenza realizzatosi. Infatti è stato osservato che molte persone (anche minori) presentano la capacità di mantenere un discreto adattamento anche in condizioni di vita particolarmente sfavorevoli: questo perché, magari, i fattori di rischio che esistono nella loro condizione di vita, sono neutralizzati - o comunque affievoliti - dai cosiddetti "fattori protettivi" (ad esempio la relazione soddisfacente con almeno un componente della famiglia).

4. MaltrattamentoIl maltrattamento presenta un quadro clinico fortemente variabile ed è un termine molto ampio sia perché comprende al proprio interno le conseguenze di due tipi di eventi, "attivi" (come la violenze fisica, psichica o l'abuso sessuale) e/o "passivi" (come la mancanza di cure adeguate), sia perché tali situazioni possono, di volta in volta, o presentarsi come isolate, o associarsi in diverso modo tra loro, determinando manifestazioni polimorfe e variabili nel tempo.

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D'altra parte qualsiasi tipo di maltrattamento produce una complessità di conseguenze, che vanno direttamente a minare la salute fisica e la sicurezza del bambino, ma anche il suo equilibrio emotivo e il suo sviluppo psico-relazionale, la stima di sé e il presente e futuro ruolo sociale. In questi termini il maltrattamento va considerato come una "patologia sindromica", nella cui storia naturale sono comprese evoluzioni gravi a lungo termine, che intaccano la successiva possibilità dell'adulto maltrattato nell'infanzia di stringere legami affettivi stabili e di svolgere un competente ruolo genitoriale (27).

Per tali ragioni la diagnosi di maltrattamento e/o abuso è quasi sempre complessa e difficile, richiede quasi costantemente la stretta collaborazione di diverse figure professionali e presuppone che i professionisti abbiano la sensibilità e l'attitudine a prevederla tra le possibili diagnosi e la preparazione tecnica per accertarla. D'altra parte individuare le situazioni di abuso o maltrattamento è di importanza essenziale sia per la sopravvivenza fisica del bambino, sia per il suo successivo sviluppo, poiché la condizione di maltrattamento persiste fino a quando non viene realizzato un intervento terapeutico esterno: è dunque impossibile che un bambino maltrattato esca da solo da questo stato (28).

Nella categoria del maltrattamento è possibile distinguere:

a. maltrattamento fisico;b. maltrattamento psichico.

4.1 Maltrattamento fisico

Per maltrattamento fisico s'intende l'infliggere intenzionalmente dolore al bambino allo scopo di penalizzare i comportamenti indesiderati o disapprovati e di impedirne il ripetersi.

Chi e' il bambino maltrattato

Tutti gli studi e le indagini fatte al fine di individuare dei tratti specifici che caratterizzino il bambino picchiato, oltre ad avere un interesse puramente conoscitivo, mirano ad offrire il maggior numero possibile di elementi che permettano una facile individuazione del minore che ha subito delle violenze.

Per quanto riguarda l'età in cui il bambino è soggetto con maggiore frequenza a sevizie, già Kempe (29) aveva affermato che gli episodi di violenza si scatenano più facilmente nel caso di bambini molto piccoli della fascia da 0 a 3 anni, dato questo confermato anche in ricerche successive. Nel tentativo di spiegare il perché di tale concentrazione cronologica si è ipotizzato che la nascita e le prime fasi di sviluppo di un bambino rappresentino una crisi che può disorganizzare difese e sistemi adattativi consolidati e dar luogo a vere e proprie "esplosioni aggressive" (30) che travolgono il funzionamento familiare. Inoltre quella è un'età in cui il bambino vive un periodo in cui sono più complessi i problemi di adattamento e per cui esso ha poche capacità personali di sottrarsi alle percosse o comunque di denunciare il suo abusante.

Nelle distribuzioni statistiche vi è una assoluta parità nel maltrattamento tra i due sessi. Al più si può affermare che più frequentemente viene maltrattato il bambino del sesso opposto a quello desiderato dai genitori poiché la sua nascita delude le loro aspettative (31).

Non vi sono delle caratteristiche specifiche del bambino maltrattato, ma piuttosto vi sono dei fattori che più di altri possono far sì che il minore divenga vittima dell'episodio violento. Infatti, non tutti i bambini sono uguali: già al momento della nascita presentano caratteristiche proprie che vengono definite "personalità di base" o "differenze costituzionali". Naturalmente un bambino irrequieto, che piange, che ha difficoltà di alimentazione sarà più esposto al rischio di essere maltrattato rispetto ad un bambino che non crea problemi ai genitori.

Sono stati indicati quali fattori che scatenano l'episodio violento una gravidanza ed un parto difficili, una nascita prematura, la presenza di malformazioni congenite, danni cerebrali provocati al momento del parto, handicap (32).

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D'altra parte in conseguenza dello stesso maltrattamento a cui è sottoposto, il bambino può acquisire schemi comportamentali che a loro volta sollecitano risposte aggressive da parte delle persone a lui vicine: cioè il maltrattamento può modellare degli schemi di comportamento nel bambino che aumentano la probabilità che egli sia vittima di ulteriori maltrattamenti.

I genitori che maltrattano

Chi aggredisce il bambino è nella maggioranza dei casi un familiare (raramente entrambi) e più spesso la responsabile è la madre, forse perché, di solito, è colei che passa più tempo con i figli.

Si tratta generalmente di coppie giovani, frustrate o comunque in grave disaccordo, inconsapevoli del loro ruolo di genitori e pertanto incapaci di acquisire un modo accettabile di svolgerlo. È spesso evidente un'ingiustificata eccessiva severità (33).

Non di rado sono rilevabili precedenti penali.

La possibilità che i responsabili di violenza sul minore appartengano ad una classe sociale bassa, per quanto trovi un effettivo riscontro dai dati emergenti, non deve far trascurare l'ipotesi verosimile che nei ceti sociali più elevati è maggiore la capacità di occultamento.

Infine, come accennato, accade spesso che il maltrattante sia stato a sua volta maltrattato nell'infanzia (cosiddetto ciclo della violenza) e questo rende più probabile (ma non automatico) il ricorso nell'età adulta a comportamenti violenti verso i propri figli (34).

Corretta è, dunque, la definizione di "genitori maltrattanti" data dalla Dott.ssa Ciampi (35), neuro-psichiatra infantile dell'ospedale Mayer di Firenze, che trova la causa del loro comportamento nell'insicurezza e nell'immaturità della loro persona:

"I genitori maltrattanti non sono spesso dei genitori che vogliono essere crudeli con i propri figli: anzi per lo più vogliono essere "i migliori genitori mai conosciuti". Ma la loro immaturità, l'incapacità di instaurare un rapporto autentico, le eccessive aspirazioni spesso coniugate con un'incapacità di conoscere le reali possibilità dei propri figli, la debolezza nel controllare i propri impulsi e la precarietà emotiva, la rigidezza caratteriale costituiscono nell'insieme una miscela esplosiva che fa scattare l'aggressività.

È per questo che il genitore violento non presenta stigmate fisiche né sociali particolari e non si differenzia sostanzialmente dal normale uomo che ognuno di noi è".

Problemi connessi al riconoscimento delle situazioni di maltrattamento

È frequentemente riscontrato che sia il medico a trovarsi di fronte al bambino maltrattato, in un servizio di Pronto Soccorso, se le lesioni sono di entità tale da richiedere il ricovero in ospedale, oppure il medico o il pediatra di famiglia se le lesioni sono di minore entità. È quindi importante per il medico e comunque, in senso più generale, per tutti coloro che nella routine quotidiana di lavoro hanno contatti con i bambini e con le loro famiglie, avere un'approfondita conoscenza degli "indici" del maltrattamento, che dovrebbero indurre il sospetto di un episodio di violenza (36).

Una volta che il bambino è arrivato all'attenzione del medico del Pronto Soccorso, se necessario, sarà bene che questi, oltre a prestare le immediate cure, consigli anche il ricovero del piccolo per due motivi ben precisi: prima di tutto perché si avrà così la possibilità di praticare tutti gli esami atti ad appurare la presenza di eventuali danni fisici e psichici subiti precedentemente, e secondariamente perché la separazione del bambino dalla famiglia consentirà ad entrambi di alleviare la grave situazione di stress emotivo, questo soprattutto per quelle madri che non hanno nessuno a cui affidare il bambino (37).

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I medici, invece, come la maggior parte degli altri membri della società, sono riluttanti nell'associare il termine "maltrattamento" al fatto che questo sia opera dei genitori.

Le spiegazioni di questi atteggiamenti possono essere numerose. Prima di tutto ci può essere da parte del medico la paura che venga iniziata nei suoi confronti un'azione legale da parte delle persone da lui denunciate e di essere pertanto coinvolto in prima persona (38), anche se questa eventualità è del tutto infondata perché per quei medici che «in buona fede» denunciano un caso sospetto, è prevista l'immunità.

Vi è, inoltre, da parte del medico, la paura di mettere a repentaglio il suo rapporto professionale con i genitori del bambino (39). Questo è un evento che può verificarsi molto facilmente: il medico deve aspettarsi l'ostilità dei genitori. A ciò si può comunque ovviare facendo sì che egli lavori coadiuvato da altre persone, sia perché l'ansia creata da una tale situazione possa essere condivisa, sia perché in tal modo il genitore si renda conto che il medico non agisce ad un livello personale, magari per disprezzo nei suoi confronti, ma che la sua reazione è frutto della decisione di persone che unitamente collaborano al benessere della famiglia.

Infine il medico può pensare che sia inutile denunciare l'episodio perché i provvedimenti che verranno presi o non sortiranno effetti utili o addirittura saranno nocivi (40). Anche questo modo di pensare può essere giustificato, poiché molto spesso non si è abbastanza pronti ad affrontare e soprattutto a risolvere positivamente un problema come quello del maltrattamento. Ma anche in questo caso spetta agli organi competenti infondere fiducia nel medico, dargli la sicurezza e soprattutto la consapevolezza che qualsiasi cosa si possa fare per il bambino e per la sua famiglia va fatta e che per operare in questo senso ci vuole la collaborazione di tutti, la reciproca stima ed il reciproco aiuto, ognuno con le proprie tendenze.

Ci sono inoltre ragioni più profondamente psicologiche alla base di tale riluttanza. Kempe ha messo in evidenza come il medico che si trovi di fronte ad un caso di maltrattamento debba avere contatti contemporaneamente almeno con quattro persone: il bambino, la madre, il padre e se stesso, ossia i propri sentimenti nei confronti di un episodio che suscita sempre emozioni discordanti. Dunque, oltre ai problemi di ordine etico, il medico può avere problemi nel denunciare il caso perché tale denuncia comporta anche l'accettazione da parte sua di un dato che tutti vorrebbero negare, e cioè che un genitore possa odiare il proprio figlio tanto da avere nei suoi confronti impulsi violenti. È per questo motivo che, per giungere ad una precoce diagnosi di maltrattamento, il medico deve vincere questo sentimento di negazione (41).

Le lesioni, che sono conseguenza di un maltrattamento fisico, devono essere distinte da quelle derivanti da un incidente. Di regola, infatti, è proprio un "meccanismo accidentale" quello che viene riferito, dai genitori o dagli adulti che hanno in carico il bambino nel corso delle visite mediche come causa delle lesioni.

Ci sono, comunque, degli "elementi generali" (42) che sono sempre presenti nel corso di maltrattamento fisico: ad esempio, suggestivi sono il ritardo nel cercare l'aiuto del medico, il racconto vago, povero di dettagli e variabile da persona a persona di quanto sarebbe accaduto, la descrizione della dinamica dell'incidente all'origine delle lesione non compatibile con la loro tipologia, sede, estensione e gravità. Anche l'atteggiamento del genitore, che presenti un comportamento ed un coinvolgimento emotivo non adeguati alle circostanze ed alle condizioni del bambino, che si dimostri oppositivo ed ostile, oppure l'atteggiamento del bambino triste, impaurito o viceversa iperattivo, incontenibile, possono suscitare ragionevoli perplessità. Infine la storia di numerosi incidenti o ricoveri precedenti, di maltrattamenti già diagnosticati per altri fratelli o di violenza intrafamiliare nota costituisce elemento di grave rischio. Occorre, però, ricordare che nessuno di questi fattori può condurre con certezza alla diagnosi di maltrattamento, anche se la loro presenza, specie se associata ad altri elementi, impone al medico di valutare questa diagnosi differenziale (43).

È in ogni caso necessario che il medico, che si trova a curare il bambino, compia un'anamnesi accurata della dinamica dell'incidente e un'osservazione attenta del comportamento spontaneo del bambino e dell'adulto che lo accompagna, anche se si tratta di una lesione presunta

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accidentale. Il successivo esame e i conseguenti accertamenti strumentali devono essere altresì particolarmente accurati e mirati ad evidenziare alcune specifiche caratteristiche delle lesioni cutanee, scheletriche e viscerali, delle ustioni o delle eventuali intossicazioni o asfissie (44).

Dunque è importante non limitare il problema diagnostico al solo bambino: per svelare la dinamica dell'episodio e dargli un significato all'interno del contesto familiare è necessario raccogliere informazioni sull'intero nucleo familiare, ricostruendo le varie fasi del ciclo vitale del gruppo familiare ed i motivi più contingenti che hanno scatenato la crisi (45).

Le conseguenze del maltrattamento

Gli studi che hanno cercato di individuare le conseguenze neurologiche degli abusi hanno concordemente rilevato che le sevizie sui bambini portano ad un'alta incidenza di deficit di vario tipo e questo non solo quando si provochino lesioni alla testa, ma anche quando il bambino piccolo sia stato violentemente scosso pur senza provocare lividi o fratture craniche (46).

Assai più preoccupanti sono invece le conseguenze psicologiche di tipo depressivo che insorgono. Il maggior danno, perché rende assai difficile il recupero, è costituito dalla passività, dalla abulia, dalla chiusura su se stessi, dalla definitiva chiusura di ogni speranza e di ogni stimolo a crescere e a strutturarsi. I ragazzi che hanno subito violenza sono bambini prima, ragazzi poi, adolescenti infine, spenti isolati, regrediti, disinteressati alla vita propria e a quella sociale, ai quali è stata tolta ogni forza vitale (47).

4.2 Maltrattamento psicologico

Un comportamento diventa lesivo sul piano psicologico in quanto trasmette uno specifico messaggio negativo o in quanto interferisce con aspetti dello sviluppo psichico (48).

I numerosi tentativi di definire le varie forme di maltrattamento psicologico si sono concentrati sulla combinazione di tre dimensioni fondamentali: le azioni, le intenzioni e gli esiti. In generale un comportamento è giudicato dannoso sulla base della probabilità che abbia effetti deleteri su chi lo subisce.

Dato che i segni del danno psicologico o emozionale sono più difficili da individuare rispetto a quelli della violenza fisica, spesso manifestandosi solo tardivamente ed essendo legati alla causa presunta in modo indiretto, la ricerca in questo campo dovrebbe essere orientata ad identificare le probabilità che il danno risulti effettivamente da una specifica azione e quindi a determinare l'indice di pericolosità potenziale di questa (49).

In realtà un'attenta valutazione della natura della sofferenza psichica deve tener conto che le ripercussioni sull'individuo di qualsiasi evento nascono dalla interazione tra varie dimensioni quali l'intensità, la frequenza, la durata, il contesto, il significato soggettivo assunto dall'evento stesso. All'interno di ciascuna dimensione è difficile tracciare una linea di demarcazione tra ciò che è tollerabile da parte del soggetto, della comunità, della cultura e ciò che non può essere accettato.

Il termine "maltrattamento psicologico" viene usato, in una accezione più generale, per indicare tutti gli aspetti affettivi e cognitivi del maltrattamento infantile derivanti da atti o da omissioni (50).

La Dott.ssa Ciampi (51), neuropsichiatra infantile dell'ospedale Mayer ha, infatti, definito tale forma di maltrattamento come un "tradimento" dei genitori nei confronti dei loro figli in quanto, invece di proteggerli e prendersi cura di loro, ne abusano, anche se a livello psicologico:

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"I genitori maltrattanti tipicamente incolpano il bambino dei suoi stessi disturbi, attribuendogli responsabilità inadeguate e non curandosi dell'esistenza dei suoi problemi che piuttosto negano, rifiutando qualsiasi offerta di aiuto".

La Dott.ssa Ilaria Lombardi (52), coordinatrice degli educatori della casa di accoglienza per gestanti e madri dello Spedale degli Innocenti, ha infatti definito il maltrattamento psicologico come "la costante incapacità di riconoscere i bisogni del bambino". Da ciò derivano non solo insufficienti risposte alle richieste, anche tacite, di aiuto che il bambino lancia, ma anche a quelle violenze dovute alla non-conoscenza della realtà del minore, che porta ad imposizioni di modelli di vita o a sottovalutazione delle sue difficoltà che si risolvono in abusi da lui vissuti con sensi di profonda ansia e di grave angoscia. Gli indicatori di tale maltrattamento più che fisici (talvolta ritardi dello sviluppo e disturbi psicosomatici) sono comportamentali: il bambino presenta abitudini anomale per la sua età (come succhiare il dito o mordere), difficoltà di socializzazione e disturbi del linguaggio.

5. Patologia delle cureNegli ultimi anni l'attenzione degli operatori si è progressivamente orientata anche verso i minori vittime di carenze gravi, nutrizionali o affettive. Questo tipo di violenze vengono individuate in quella che abitualmente viene chiamata incuria, termine che - pur essendo entrato nella pratica comune - è improprio: sarebbe più giusto parlare di patologia delle cure (53).

In queste violenze l'elemento centrale è l'inadeguatezza delle cure, per cui possono esistere diversi tipi di patologia:

a. incuria: quando le cure sono latenti;b. discuria: quando le cure sono distorte;c. ipercura: quando le cure sono eccessive.

5.1 Incuria

Si parla di incuria quando le persone legalmente responsabili del bambino non provvedono adeguatamente ai suoi bisogni sia fisici che psichici in rapporto all'età e al momento evolutivo. Rientrano quindi nella categoria dell'incuria anche quei casi in cui i genitori, pur occupandosi dei bisogni nutrizionali del figlio, non rispettano i suoi bisogni affettivi, emotivi e di socializzazione. Si possono avere, quindi, diversi gradi di questo tipo di abuso, che vanno dall'abbandono al disinteresse per i bisogni emotivi del bambino (54).

La personalità e lo sviluppo di un minore si realizzano attraverso fasi molto diverse tra di loro, ciascuna delle quali ha delle caratteristiche e dei bisogni psichici e fisici specifici; il genitore attento e comprensivo è sensibile a questi bisogni e modula su di essi il suo comportamento e le sue richieste nei confronti del figlio. Talvolta però ciò non si realizza, perché inconsapevolmente i genitori non riescono a comprendere e quindi ad adeguarsi alle necessità del bambino in quel particolare momento. Si determina così un'alterazione della qualità di vita e delle modalità di relazione del bambino con il mondo esterno, con ripercussioni sullo stato fisico, mentale e comportamentale (55).

I "fattori o indicatori di rischio" (56), che permettono una diagnosi precoce della patologia, impedendo così il cronicizzarsi della situazione di abuso, possono essere suddivisi in: notizie sullo stato di salute, segni fisici e segni comportamentali.

a. Notizie sullo stato di salute

Informazioni che permettono di diagnosticare un caso di incuria si possono rilevare al solo colloquio con i genitori, quando emerge una loro difficoltà a fornire notizie esatte e complete sulla nascita e sulle tappe evolutive del figlio: ciò fa sorgere il dubbio di essere

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di fronte ad un genitore che ha difficoltà a contenere nella propria mente la storia del proprio figlio, perché magari non è sensibile ai suoi bisogni.

È importante controllare se è stato rispettato il calendario delle vaccinazioni obbligatorie: questo dato permette di verificare le capacità di un genitore di prendersi cura del figlio fin dai primi mesi di vita. Inoltre carie dentali non curate, disturbi visivi o uditivi non trattati sono altri elementi che possono indicare uno stato di incuria (57).

b. Segni fisici

Il bambino trascurato spesso indossa vestiti inadeguati all'età, al sesso e alla stagione. Si possono inoltre riscontrare scarsa igiene e dermatiti recidivanti, soprattutto scabbia e pediculosi. Dal punto di vista clinico quasi tutti questi bambini presentano una distorsione delle abitudini alimentari con denutrizione o, al contrario, anche se più raramente, obesità. Infine il loro sviluppo psico-motorio è spesso ritardato (58).

c. Segni comportamentali

I bambini non curati appaiono pigri, demotivati, sempre stanchi, con scarso rendimento scolastico e disturbi dell'alimentazione. In realtà sono dei bambini fondamentalmente tristi, che non hanno energie da investire in tali attività e si comportano da pseudo-insufficienti. Sono soggetti ad avere molti infortuni domestici, non essendo in grado di percepire il pericolo perché non hanno un'esperienza di contenimento e attenzione-protezione da parte dei genitori (59).

5.2 Discuria

La discuria è la distorsione della prestazione della cura; in realtà le cure vengono effettuate, ma non sono adeguate al momento evolutivo. In queste situazioni, di solito, i genitori caricano il figlio di proprie aspettative, che sono quasi sempre quelle che un tempo erano i loro desideri. Il bambino è "normale" per i genitori solo (o quasi sempre) quando il suo comportamento coincide con le loro aspettative, laddove queste ultime sono spesso il volerlo il più possibile simile all'immagine che essi hanno, o hanno avuto, di se stessi o del proprio ideale. Tutto questo porta tali genitori ad ignorare i veri bisogni del bambino, appropriati alla fase evolutiva che sta attraversando (60). Quando il bambino viene considerato come una proprietà su cui realizzare determinati scopi, la sua crescita vitale subisce una violenta interruzione.

Chi esercita una violenza fisica sa di fare molto male all'altro; nelle forme di discuria, invece, molto spesso i genitori sono ignari della violenza che stanno esercitando, spesso anzi pensano di agire per il bene dei propri figli e inconsapevolmente possono causare danni maggiori.

I tipici atteggiamenti (61) di discuria sono:

anacronismo delle cure. L'atteggiamento dei genitori sarebbe corretto se il bambino fosse in uno stadio evolutivo diverso (ad esempio un bambino di sei anni al quale la madre somministra solo dieta lattea o cibi frullati);

imposizione di ritmi di acquisizione precoci. Raramente i bisogni del bambino nei primi anni di vita sono in perfetta armonia con le abitudini degli adulti (ad esempio il ritmo del sonno del bambino raramente coincide con le esigenze e i ritmi di vita dei genitori). Alcuni genitori sono incapaci di vedere nel loro bambino un soggetto immaturo che necessita di un adeguato e tutelato sviluppo per diventare adulto. Sono spesso presenti dei conflitti tra le richieste del bambino e gli impegni dei genitori, che pretendono da lui una precoce autonomia nel controllo sfinterico, nella motricità e nei ritmi alimentari (62);

aspettative irrazionali, quando i genitori richiedono ai propri figli delle prestazioni superiori alla norma o alle possibilità del bambino e vogliono che il loro figlio sia il più bravo in qualsiasi attività intraprenda. Questi bambini sono sempre pieni di impegni (scuola, sport, inglese, pianoforte), hanno una grande competitività e non riescono a raggiungere una buona socializzazione con i coetanei. La situazione diventa ancora più

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grave quando il bambino presenta delle difficoltà fisiche o psichiche che rendono più profondo il distacco tra il bambino idealizzato dal genitore e il bambino reale.

5.3 Ipercura

Rientrano in tale categoria tutti i casi in cui i genitori offrono "cure" eccessive al loro figlio. La forma più importante è la sindrome di Münchhausen per procura, ma esistono delle varianti (63).

La sindrome di Münchhausen per procura

Questa patologia è una forma di abuso in cui il bambino rischia seri danni fisici e psicologici e, spesso, la vita. I genitori, però, non hanno l'intenzione di procurare danni o uccidere il proprio figlio; essi con il loro comportamento vogliono ricreare una situazione di cure e presa in carico del bambino da parte di altri e rimangono fortemente turbati se egli muore: dunque, paradossalmente la morte del figlio è contraria agli interessi patologici dei genitori.

Questo tipo di violenza è molto complessa da descrivere perché intervengono, oltre alla coppia genitoriale con le caratteristiche soggettive e le dinamiche interne, anche le caratteristiche del bambino legate all'età, alle capacità di verbalizzazione, alla sua forza interna, al tipo di relazione con i genitori e soprattutto con la madre. Perché si verifichi l'abuso, infatti, è necessaria la collaborazione di tutto il sistema familiare; tutti i membri della famiglia, anche di quella estesa, utilizzano la sindrome per mantenere la stabilità familiare e negare i conflitti (64).

Per la diagnosi è fondamentale studiare attentamente la storia clinica, verificare se vi è un'associazione temporale tra i sintomi del bambino e la presenza della madre, chiedere molti dettagli sulla storia personale, sociale e familiare e verificare se la madre inventa sintomi anche su se stessa, cercare di capire il significato di tale comportamento.

La diagnosi deve poi essere comunicata alla famiglia in modo chiaro, senza farsi condizionare dalle reazioni della madre che possono andare dalla completa ammissione dell'abuso all'aggressività verso i medici con l'accusa di essere loro i responsabili per imperizia e incompetenza (65). I genitori vanno informati se il caso è stato segnalato al Tribunale per i minorenni o ai Servizi territoriali, non per accusarli ma per poter intervenire in difesa del minore. Contemporaneamente va offerto un sostegno psicologico alla madre, al bambino e a tutto il gruppo familiare.

Forme di abuso simili alla sindrome di Münchhausen per procura

La sindrome di Münchhausen per procura viene distinta da altri comportamenti simili:

a. DOCTOR SHOPPING PER PROCURA

Si tratta di bambini che hanno sofferto nei primi anni di vita di una grave malattia e da allora vengono portati dai genitori da tantissimi medici per disturbi di minima entità. Consiste in una "esagerazione della malattia" (66): le madri, eccessivamente preoccupate per le condizioni fisiche del figlio, ricorrono continuamente all'aiuto medico, percependo lievi patologie come gravi minacce per la vita del bambino e chiedendo o facendo in modo che essi vengano ricoverati in ospedale o sottoposti a continui accertamenti.

Si differenzia dalla sindrome di Münchhausen per procura poiché il disturbo materno è di tipo nevrotico-ipocondriaco e, accogliendo le ansie e le preoccupazioni che la madre proietta sul figlio, è possibile rassicurarla sullo stato di salute del bambino.

b. HELP SEEKERS

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In questo tipo di patologia il bambino presenta dei sintomi fittizi indotti dalla madre, ma si differenzia dalla sindrome di Münchhausen per la frequenza con cui vengono indotti i sintomi e per la motivazione materna. Infatti gli episodi di ricerca di cure sono limitati nel tempo e rappresentano un preciso bisogno della madre in particolari momenti. Il confronto con il medico spesso la induce a comunicare i suoi problemi, quali l'ansia e la depressione (67).

Di solito, se viene offerto un sostegno psicoterapeutico o proposto l'affidamento temporaneo del bambino, la madre accetta e si mostra disposta a collaborare.

c. ABUSO CHIMICO

Con tale termine viene indicata l'anomala somministrazione di sostanze farmacologiche o chimiche al bambino. Le sostanze somministrate possono essere suddivise in quattro gruppi (68):

o sostanze qualitativamente prive di proprietà tossicologiche ma che possono tuttavia risultare nocive se somministrate in quantità o modalità eccessive. (Rientra in questo gruppo l'abnorme somministrazione di acqua);

o sostanze con scarsa tossicità e di comune impiego domestico (ad esempio il sale da cucina);

o sostanze ad azione farmacologica dotate di media tossicità e di facile reperibilità come lassativi, diuretici, glucosio, insulina;

o farmaci dotati di spiccata tossicità ad azione sedativa e di non usuale disponibilità. Si tratta di solito di sonniferi prescritti alla madre dal medico curante: la loro somministrazione a dosi inadeguate causa nel bambino una sindrome neurologica grave che talvolta causa coma e/o morte.

Questa sindrome va sospettata quando ci si trova di fronte a sintomi non spiegabili in base alle consuete indagini di laboratorio e strumentali, che insorgono ogni volta che la madre ha un contatto diretto con il bambino (69).

d. SINDROME DA INDENNIZZO PER PROCURA

Si tratta di quei casi in cui la necessità dei genitori di avere un indennizzo (ad esempio nel caso di un infortunio) porta il bambino ad assumere dei sintomi riferiti dai genitori stessi. Il meccanismo con cui si struttura è identico alla sindrome da indennizzo dell'adulto (70), solo che in questo caso la sintomatologia viene indotta nel bambino, che fedelmente si adegua (71).

La motivazione psicologica è quella del risarcimento e viene totalmente negata sia dai genitori che dal bambino; i sintomi variano a seconda delle conoscenze mediche della famiglia e la sindrome si risolve con totale e improvvisa guarigione una volta ottenuto il risarcimento.

6. Abuso sessualeMariti e mogli possono spingersi vicendevolmente alla follia,ma possono divorziare.I bambini sono indissolubilmente legati ai loro genitori.

(R.D. Laing) (72)

6.1 La definizione del termine "abuso sessuale sui minori"

La rilevazione e l'accertamento di un fatto di abuso sessuale è un'operazione estremamente complessa, soprattutto perché sussiste tra gli specialisti molta incertezza su cosa debba

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intendersi per "abuso sessuale" (73). In realtà non è affatto semplice delimitare i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, in una materia così fortemente condizionata da inclinazioni soggettive, dove la linea di demarcazione è molto sfumata.

La difficoltà di definire i comportamenti umani è ancor più forte quando la classificazione riguarda i comportamenti sessuali illeciti, cioè quelli integranti fattispecie di reato.

Nelle ricerche sull'abuso sessuale (sulla sua estensione e le sue caratteristiche) qualunque operatore adotta una definizione diversa e utile per la sua attività, per cui esse sono difficilmente comparabili e i risultati cui pervengono possono variare anche di molto da lavoro a lavoro, benchè tutte abbiano apparentemente lo stesso oggetto di indagine (74). E questa diversità nelle definizioni è ancora più evidente nel caso dell'incesto, dove la pluralità di definizioni si coniuga con il carattere intrafamiliare dell'abuso sessuale.

Un primo effetto pratico immediato di tutta questa confusione è la difficoltà a promuovere le opportune politiche sociali e a mobilitare le risorse necessarie. Sul piano operativo la clinica e il diritto risentono in maniera ancor più consistente della mancanza di una definizione condivisa dalle varie discipline.

Nasce così tra gli operatori in questa materia la "polarizzazione" (75):

tra quanti ritengono giustificabile l'intervento esterno solo nei casi più estremi e sono favorevoli ad una definizione di abuso sessuale assai circoscritta;

e quanti collocano al primo posto la protezione del minore e sostengono che l'adozione di una definizione, la più ampia possibile, può concorrere a prevenire un'escalation da forme di abuso meno gravi ad altre più gravi.

La definizione nella ricerca

Da un attento esame comparativo, compiuto da alcuni autori (Peters, Wyatt e Finkelhor (76)), delle principali ricerche sull'incidenza dell'abuso sessuale sui minori, è emerso che le definizioni del termine "abuso sessuale sui minori" divergono nelle diverse attività lavorative in quattro punti fondamentali (77):

1. l'inclusione o meno dell'esibizionismo e delle proposte oscene nella definizione di abuso sessuale,

2. il limite di età della vittima,3. l'inclusione o meno delle aggressioni commesse da coetanei,4. la differenza di età tra vittima e aggressore.

1. Molti ricercatori usano una definizione assai ampia di abuso sessuale che comprende, oltre agli abusi sessuali con contatto fisico (contact abuse), anche atti che non contemplano un contatto fisico tra vittima e aggressore (non contact abuse), come ad esempio l'invito a partecipare ad attività sessuali: includono, dunque, nella definizione di "abuso sessuale" anche gli atti di esibizionismo e le proposte oscene.

Essi sostengono la loro scelta in base a due ragioni:

o l'esibizionismo è considerato un atto criminale il cui scopo è spaventare e colpire moralmente la vittima;

o le proposte oscene, quando provengono da un adulto con cui il minore ha una relazione affettiva significativa e di dipendenza, hanno un considerevole impatto psicologico sul minore (78).

Altri autori, invece, esitano ad accomunare l'esibizionismo e le proposte oscene all'abuso sessuale caratterizzato da contatto fisico, dal momento che quest'ultimo implica un ben più alto grado di gravità con seri effetti psicologici. Alcune ricerche

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sostengono infatti che sia improbabile che il solo abuso sessuale senza contatto fisico possa determinare disturbi psicologici a lungo termine.

2. Anche riguardo al limite di età delle vittime le definizioni variano da ricerca a ricerca, spaziando dall'età prepuberale ai sedici anni fino al limite dei diciotto anni (che coincide con la minore età giuridica).

3. Un altro argomento di divergenza riguarda il problema se debbano essere inclusi nella definizione anche episodi che abbiano quali autori del reato dei coetanei della vittima. L'orientamento più recente è di includere anche queste esperienze ogni volta che esse implichino coercizione e non siano ricercate, bensì subite dalla vittima (79).

Anche la legislazione italiana accoglie tale orientamento, prevedendo "la reclusione per chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali", includendovi dunque anche i coetanei della vittima (art. 609-bis c.p.).

4. L'ultima divergenza è costituita dalla differenza minima di età tra vittima ed aggressore, necessaria perché si possa ricorrere alla definizione di abuso sessuale indipendentemente dall'esistenza di un apparente consenso da parte della vittima.

In genere, tutti sono d'accordo nel ritenere sempre abuso sessuale ogni relazione tra un adulto ed un bambino. Quando però gli episodi sessuali interessano vittime adolescenti, i confini necessari a definire l'abuso sessuale si fanno più confusi. È infatti impossibile e sempre arbitrario definire in modo astratto il momento in cui l'adolescente raggiunge la capacità di acconsentire liberamente e pienamente a una relazione sessuale (80).

La definizione clinica di abuso sessuale

Il problema della grande varietà di definizioni di abuso sessuale merita un'attenzione particolare quando interessa l'ambito clinico.

Vari professionisti (medici, magistrati, avvocati, psicologi, operatori sociali insegnanti) affrontano l'intervento nei casi di incesto ognuno partendo dalla propria specifica identità professionale. Dalla propria esperienza ciascuno trae una propria visione su ciò che debba essere ritenuto abuso sessuale o incesto. Spesso queste visioni possono essere assai discordanti e produrre fraintendimenti e divergenze sostanziali su aspetti di primaria importanza, come la protezione dei minori o l'apertura di procedimenti penali a carico degli adulti. Sul terreno dell'intervento operativo si pone quindi ancora più forte l'esigenza di una definizione che possa essere largamente condivisa da diverse figure professionali (81).

D'altra parte, però, una definizione troppo ampia o generale rischia di lasciare un margine eccessivo alla discrezionalità, favorendo il riemergere di punti di vista parziali. Diversi autori, infatti, raccomandano di diffidare di definizioni troppo ampie e invitano ad affiancare sempre ad espressioni generali, quali "abuso sessuale sui minori", descrizioni dettagliate ed esplicitamente connesse al contesto di riferimento in cui vengono usate (per esempio "bambini molestati dai genitori"), invece di "bambini vittime di abusi sessuali" (82).

La pedofilia e l'abuso sessuale sono tradizionalmente trattati come aberrazioni sessuali, laddove l'esperienza clinica ha ampiamente messo in evidenza che chi aggredisce sessualmente i bambini cerca, attraverso comportamenti sessuali, di soddisfare bisogni che hanno più a che fare con la ricerca di sensazioni di potere, di controllo e di dominio su soggetti più deboli che con il piacere sessuale. La possibilità di coinvolgere un minore in una relazione sessuale è determinata, infatti, dalla posizione di superiorità e dal potere che ha l'adulto nei confronti del bambino, che si trova invece in una posizione di dipendenza e di soggezione. È attraverso questa sua autorità che l'aggressore, implicitamente o esplicitamente, costringe il minore a sottomettersi alla relazione sessuale (83).

Una definizione operativamente efficace è quella proposta da Goodwin, che utilizza indifferentemente le espressioni "incesto" e "abuso sessuale intrafamiliare" per indicare "ogni

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azione sessuale commessa su un bambino da parte di un adulto avente ruolo di genitore" (84). Sotto un profilo teorico, criminologico e giuridico, far coincidere l'incesto con l'abuso sessuale intrafamiliare può apparire arbitrario. Ogni distinzione si rivela però secondaria quando ci si muove nella prospettiva dettata da esigenze di intervento operativo (giuridico, sociale o psicologico) nell'interesse di minorenni. Infatti, indipendentemente dal grado, dalla durata e dalla stabilità del coinvolgimento del minore nella relazione incestuosa si attivano le medesime esigenze di protezione, di indagine e trattamento da parte delle istituzioni. Ai fini della scelta di intervenire la distinzione appare cioè irrilevante. È solo in un secondo momento che essa torna ad acquisire tutta la sua importanza, quando si tratta di ricostruire la dinamica dell'incesto per definire i trattamenti idonei o per accertare il grado di responsabilità (psicologica e penale) del genitore e di altri familiari (85).

Il concetto clinico di abuso sessuale elaborato dalla letteratura sociologica e psicologica risulta dunque più esteso rispetto alla condotta che integra la fattispecie di reato sul piano giudiziario. Anche nella Legge n. 66 del 1996 la definizione del reato implica la costrizione del soggetto-vittima a "compiere o subire atti sessuali con violenza, minaccia o mediante abuso di autorità", anche se molti correttivi rendono presunta tale componente violenta in situazioni in cui essa non è esercitata in modo esplicito (con riguardo all'età della vittima e al tipo d'autore).

Tuttavia rimane escluso da tale definizione, ad esempio, il verificarsi di relazioni sessualizzate tra soggetti minorenni con differenza di età pari o inferiore a tre anni se tali soggetti hanno più di tredici anni, indipendentemente dalla relazione che li lega; non possono inoltre essere considerate reato - in quanto non comportano veri e propri "atti"- altre situazioni in cui il minore è esposto ad un clima psicologico decisamente negativo e fuorviante per il corretto sviluppo di una sua propria identità sessuale e della sua personalità, o sia coinvolto come spettatore più o meno complice di giochi erotici tra persone cui sia fortemente legato. Secondo molti autori tali situazioni non differiscono invece, almeno sul piano qualitativo, dalle esperienze codificate come violenza sessuale, in quanto le conseguenze dannose che possono produrre potrebbero essere le medesime (86).

Si può dunque affermare che c'è un'importante differenza tra la definizione clinica e quella giuridica di abuso sessuale. Nella prima, il bene giuridico protetto è l'integrità del minore come persona, il quale può essere danneggiato da qualunque atto sessuale che subisce, chiunque sia il soggetto agente. La legge n. 66/96, invece, fornisce una tutela dello sviluppo della sessualità del minore e prevede, a seconda della sua età o della relazione con il soggetto agente, l'intangibilità sessuale oppure la sua capacità di autodeterminazione in ambito sessuale (purchè egli abbia compiuto almeno tredici anni e la differenza di età con il coetaneo non sia superiore a tre anni). Quindi, mentre nella definizione clinica l'intervento operativo di protezione e trattamento dovrà essere attivato indipendentemente dal grado, dalla durata o dalla modalità dell'atto sessuale compiuto o dall'età del minore, perché la sua integrità come persona sarà stata comunque compromessa, nella definizione giuridica questi elementi qualificanti il fatto sono importanti per poter valutare il grado di responsabilità del soggetto agente.

La definizione giuridica

"Le definizioni normative dei comportamenti di abuso sessuale sui minori - afferma Ferrando Mantovani (87) - devono rispondere ad una duplice esigenza: da un lato quella di conciliare la libertà sessuale di un individuo con i diritti degli altri individui e con i valori ammessi dalla collettività; dall'altro quella di inserire i comportamenti in questione nell'uno o nell'altro titolo di legge, anche in rapporto alla predominanza delle istanze sessuali o di quelle violente nella realizzazione delle pulsioni sessuali del reo". È quindi importante chiedersi che cosa può essere correttamente definito come comportamento abusante nei confronti di un minore. Anche se istintivamente può sembrare che non vi debbano essere dubbi in proposito, non è certo un caso che gli esperti ancora dibattano sull'estensione di tale definizione, sia in merito agli atti commessi, che al tipo di relazione intercorrente.

Da un punto di vista puramente psicologico si potrebbe affermare che qualsiasi attivazione di desiderio sessuale in un adulto nei confronti di un bambino rappresenta una patologia che può dar luogo ad un abuso. Tuttavia è pure evidente che quando tale desiderio non si concretizza in

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azioni o si manifesta in forme tali da non essere direttamente percepibile dalla vittima (pensiamo ad esempio ad atti di voyeurismo), non sembra appropriato parlare di abuso.

Secondo la definizione proposta dal Consiglio d'Europa (88) nel 1978, per abuso sessuale di un minore deve intendersi «ogni atto o carenza che turbi gravemente i bambini o le bambine, che attenta alla loro integrità corporea, al loro sviluppo psico-fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o le lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di un terzo, ed ogni atto sessuale imposto al bambino non rispettando il suo libero consenso». Questa definizione solleva il grande problema dell'accertamento e della valutazione del grado di maturità e di capacità critica del minore che sia tale da consentirgli di esprimere realmente il suo libero consenso. Vi è l'esigenza di fissare un'età minima al di sotto dalla quale si può affermare in modo assoluto l'incapacità da parte del soggetto di esercitare tale consenso (89).

Il nostro codice penale fornisce una definizione di "violenza sessuale" (art. 609-bis) riferendosi a "taluno che è costretto a compiere o subire atti sessuali, con violenza o minaccia ovvero mediante abuso di autorità", facendo alcune distinzioni riguardo all'età della vittima per l'inasprimento della pena (un numero maggiore di anni di reclusione). La condizione di minore età costituisce, in tali ipotesi di reato, sia presupposto di violenza indipendentemente dal consenso espresso dalla vittima, sia circostanza aggravante rispetto alla punibilità, sia presupposto d'inferiorità psichica e fisica tipica dei minori, cioè essi si trovano sempre in un rapporto subalterno con l'autore del reato (adulto) e dunque nell'impossibilità di esprimere un consenso consapevole (90).

La scelta compiuta dalla legge italiana n. 66/1996 ("Norme contro la violenza sessuale") è stata quella di introdurre, al posto della precedente normativa (che prevedeva sia l'ipotesi di violenza carnale, sia l'ipotesi di atti di libidine con differenti criteri di valutazione rispetto alle pene), la definizione di un'unica fattispecie di reato (atti sessuali), includendo così, in tale espressione, anche quei casi in cui non vi è stato un contatto fisico tra vittima e aggressore (91) (non contact abuse), come ad esempio nel reato di corruzione di minorenne.

L'elemento costitutivo del reato è la coercizione compiuta sulla vittima, mediante violenza, minaccia o abuso d'autorità, da parte del soggetto agente (che può essere anche un coetaneo del minore aggredito). Il nostro codice penale, infatti, ha stabilito che la differenza di età tra soggetti adolescenti, affinchè si possa escludere una situazione di abuso sessuale, debba essere al massimo di 3 anni (art. 609-quater, 2º comma), purchè il minore ne abbia almeno 13. Con questo comma è stato così riconosciuto il diritto del minore ad esprimere la propria sessualità, senza alcuna penalizzazione.

Nella pratica giudiziaria si cerca però di valutare le varie situazioni di "violenza sessuale sui minori" in base anche alle definizioni date dagli esperti in tali problematiche, che configurano tali reati anche quando la violenza o la minaccia non è presente in modo esplicito. Certo è che una definizione giuridica di un fenomeno, per la sua stessa natura, sarà sempre più ristretta di una sociologica, ma il loro utilizzo è diverso: la prima serve per incriminare un fatto, la seconda per spiegarlo o trovarne la causa. È però auspicabile, perché certamente vantaggioso, il loro utilizzo congiunto per risolvere una questione problematica come quella della violenza all'infanzia (92).

Una delle definizioni, ad esempio, più utilizzate perché ritenuta più appropriata, forse per la sua ampiezza e genericità, è quella avanzata da Kempe (93). L'autore infatti afferma che si deve considerare "abuso sessuale" sui minori: "il coinvolgimento di bambini e adolescenti, soggetti quindi immaturi e dipendenti, in attività sessuali che essi non comprendono ancora completamente, alle quali non sono in grado di acconsentire con totale consapevolezza o che sono tali da violare tabù vigenti nella società circa i ruoli familiari".

Rientrano in questa definizione gli episodi di pedofilia, di stupro, d'incesto e più in generale di sfruttamento sessuale. Si tratta, ovviamente, di situazioni che possono dar luogo ad episodi molto diversi l'uno dall'altro, in presenza o meno di violenza fisica, ma accomunati dalla caratteristica di agire in modo molto forte sulla vita psicologica e sulle relazioni sociali dei

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minori, turbandone i processi di sviluppo della personalità e di maturazione della sessualità (94).

Tale definizione evita la specificazione dei singoli atti effettuati e permette così di classificare (e considerare, almeno ai fini dell'intervento clinico e giuridico-protettivo) come abuso anche le prime manifestazioni d'interessamento e di seduzione rivolte dall'adulto al bambino.

Essa ridimensiona anche l'importanza del concetto di violenza (utilizzato invece da altri autori o dalla nostra legislazione come caratteristica essenziale al configurarsi di un'esperienza traumatica), concetto ambiguo e pericoloso da utilizzare quando debba essere applicato a quelle situazioni in cui i legami affettivi siano tanto forti da imporre reazioni di adattamento del bambino, capaci di "diluire" il significato intrusivo e traumatico che la stessa situazione assumerebbe se vissuta al di fuori di quella relazione, senza che ciò significhi danni meno gravi come conseguenza dell'atto stesso (95).

La definizione di Kempe include, infine, il concetto importante di violazione dei tabù sociali, utile quando bisogna stabilire se le interazioni sessualizzate tra minorenni integrano un abuso. Ad esempio la differenza di età tra abusante e vittima, usato sia nel nostro che in altri paesi come criterio per discriminare la liceità delle condotte, può essere insufficiente e portare artificialmente, da un punto di vista legale, ad escludere l'abuso in casi in cui viceversa, sul piano clinico, esistono tutti i presupposti per configurare quella situazione come altamente traumatica.

Alla definizione di Kempe si avvicina quella inserita nella Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all'infanzia (96), approvata a Roma nel 1998, dove l'abuso sessuale è stato definito come «il coinvolgimento di un minore da parte di un partner preminente in attività sessuale anche non caratterizzata da violenza esplicita», «fenomeno diffuso, che si configura sempre e comunque come un attacco confusivo e destabilizzante alla personalità del minore e al suo percorso evolutivo».

6.2 Gli interventi legislativi contro l'abuso sessuale sui minori

La normativa prima della legge n. 66/96

La violenza sessuale contro i minori non è un fenomeno nuovo, neanche dal punto di vista legislativo: si è rivelato, infatti, come l'abuso fosse contemplato come reato già nell'antico codice di Hammurabi, risalente a 4000 anni fa, il quale prevedeva rigide pene per gli autori.

Nelle antiche civiltà le grandi punizioni previste per tali reati erano per lo più legate al valore attribuito alla verginità, intesa però come "proprietà" dell'uomo, e quindi del padre o del marito o del fratello: la violenza sessuale era così considerata un reato compiuto contro la proprietà (97).

Nel corso dei secoli la commissione dell'abuso sessuale è stata più o meno rilevata a seconda soprattutto dei cambiamenti nei valori etici e sociali dei rapporti umani: il rilevare o il denunciare un abuso sessuale è, ad esempio, incoraggiato ed auspicabile dalla maggior parte delle realtà territoriali attuali, mentre qualche tempo fa costituiva ancora una vergogna e un tradimento nei confronti della famiglia ed era quindi tenuto segreto.

Le evoluzioni della società, inoltre, comportarono anche vari cambiamenti legislativi e, nei codici penali pre-unitari (come in quello toscano del 1853 ed in quello sardo-italiano del 1859) e nel codice Zanardelli del 1889, il delitto di violenza carnale e quello di corruzione di minorenne furono inseriti nei delitti contro il buon costume e l'ordine delle famiglie. Ma questo non bastava: ad esempio la libertà sessuale non era neanche menzionata e risulterà espressamente richiamata come tale soltanto nel codice Rocco del 1930 (nel capo I del libro IX) (98).

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Quest'ultimo collocò la violenza sessuale nei reati contro la moralità pubblica e il buon costume. Con ciò venne espressa l'idea di fondo, presente nella tradizione giuridica al momento della codificazione penale italiana: gli interessi connessi alla libertà sessuale erano considerati non interessi intrinsecamente meritevoli di tutela di per sé, in rapporto al valore e alla dignità del soggetto che ne è portatore, bensì interessi necessariamente funzionali ad un altro sovrastante interesse dal quale traevano valore e validità: erano considerati il riverbero del superiore interesse alla pubblica moralità. E quindi l'introduzione dell'autonomo rilievo dato alla libertà sessuale fu una novità rispetto alla tradizione preesistente, ma affievolita da questa visione pubblicistica dell'interesse tutelato (99).

Nei confronti dei minori, il riconoscimento del problema della violenza (seppur inizialmente nei suoi aspetti più eclatanti come l'abbandono, l'incuria e lo sfruttamento sul lavoro) si è però concretizzato veramente nella promulgazione di leggi, nel corso del tempo, volte a favorire un'attività di protezione sempre più articolata e intensa del minore da questi fenomeni. Ogni paese, infatti, dimostra il proprio grado di riconoscimento della violenza sui minori in base all'esistenza o meno di un insieme di norme dirette ad incrementare tali fenomeni ed in base alla loro accuratezza legislativa.

Inizialmente sono stati sanzionati i fenomeni più facilmente percepibili all'estero quali il maltrattamento e l'incuria, seguiti poi dal riconoscimento di forme più "nascoste" quali la violenza psicologica e l'abuso sessuale. Con tale protezione l'ordinamento ha affermato che il valore da tutelare va ravvisato nell'integrità della persona di minore età (100), considerandola come soggetto che ha potenzialità che vanno salvaguardate, ed ha inoltre realizzato una misura preventiva, impedendo indirettamente la commissione di ulteriori reati attraverso la minaccia della sanzione penale.

Purtroppo ci sono ancora molte situazioni pregiudizievoli per i minori che non sono state riconosciute, o comunque dove essi non sono stati tutelati in modo tale da ottenere una "protezione reale". È importante, però, che anche il diritto - seppur con un notevole ritardo - abbia cominciato a riconoscere sia che gli adulti hanno dei doveri nei confronti dei minori, sia che questi ultimi sono portatori di diritti che non solo devono essere rispettati, ma devono anche essere concretamente attuati (101).

La legge n. 66/96: "Norme contro la violenza sessuale"

Una grande innovazione in materia di reati di violenza sessuale è stata apportata, negli ultimi anni, dalla legge n. 66/96 (102), con la quale è stata realizzata la riforma del codice Rocco sull'argomento.

Primo punto cardine della riforma è stato lo spostamento di tale normativa dal capo relativo ai delitti contro la moralità pubblica e il buon costume a quello dei delitti contro la libertà personale, con ciò mettendo in evidenza come la tutela offerta da tali disposizioni è rivolta prevalentemente al diritto di autodeterminazione dell'individuo nella sfera dell'attività sessuale (103). È stato quindi abrogato tutto il capo I del titolo IX del libro II del codice penale, relativo ai delitti contro la libertà sessuale, nonché gli artt. 530 (corruzione di minorenne), 539 (età della persona offesa), 541 (pene accessorie agli effetti penali), 542 (querela dell'offeso), 543 (diritto di querela).

Le norme sulla violenza sessuale sono adesso inserite nella sezione II del capo III del titolo XII del c.p., che regola i delitti contro la libertà personale. Con tale nuova sistemazione il legislatore ha voluto affermare che il vero bene leso non è una generica moralità sessuale, il cui titolare è la collettività, ma la singola persona (104), la cui sfera di libertà viene gravemente violata dai comportamenti sanzionati nella legge e la cui personalità risulta essere fortemente compromessa.

Secondo Tullio Padovani (105), però, la nuova collocazione prescelta dal legislatore della riforma risulta priva di qualsiasi intrinseca coerenza con il sistema normativo del codice: la serie delle gravi incriminazioni in materia di violenza sessuale segue, infatti, un modestissimo

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delitto (art. 609 - Perquisizioni ed ispezioni personali arbitrarie), alterando così in modo tanto vistoso ed incomprensibile la distribuzione dei reati all'interno del codice.

La legge n. 66/96 costituisce, da una parte, un riconoscimento della richiesta del movimento delle donne di giudicare la violenza sessuale come un reato contro la persona, ma sicuramente è anche un atto significativo di adeguamento della legislazione italiana a quanto stabilito dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, in particolare agli articoli 19 e 39 riguardanti le misure e le azioni per provvedere alla tutela dei minori da ogni forma di abuso. L'introduzione nel codice penale di un richiamo esplicito e specifico alla protezione dei bambini fu sollecitato all'Italia anche da parte del Comitato ONU sui diritti del fanciullo - organismo di controllo e di monitoraggio sullo stato di attuazione della Convenzione (costituito in base a quanto disciplinato dall'art. 43) - il quale, a seguito della valutazione effettuata nel 1994 sul primo rapporto italiano riguardo alle misure adottate per dare applicazione alla Convenzione stessa, formulò osservazioni e raccomandazioni nei confronti del governo italiano, ma soprattutto incisivo fu il reclamo per l'assenza nel codice penale di un'adeguata protezione dei minori dall'abuso fisico, sessuale e dalla violenza all'interno della famiglia, per la carenza di misure appropriate di ascolto del bambino e per l'insufficiente numero di risorse e servizi appropriati per il recupero psico-fisico dei minori vittime di abusi (106).

Infatti l'art. 19 della Convenzione incita gli Stati ad adottare provvedimenti legislativi, amministrativi, sociali ed educativi per difendere il minore da ogni forma di violenza, oltraggio fisico o mentale, di abbandono, di negligenza, di maltrattamento o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale, ponendo l'attenzione sul fatto che l'applicazione di tali provvedimenti deve essere necessariamente correlata alla creazione di programmi sociali finalizzati a fornire l'appoggio necessario al fanciullo e alla sua famiglia (sia questa quella naturale, adottiva o affidataria) e alla predisposizione di strategie di prevenzione e di adeguata indagine sulle condizioni socio-familiari del minore. L'articolo, dunque, sottolinea l'importanza di attivare interventi polisettoriali (107) per tutelare efficacemente il minore, poiché il maltrattamento, lo sfruttamento e l'abuso sessuale sono fenomeni complessi che richiedono un approccio multidisciplinare da parte di ogni operatore e settore operante nelle cinque funzioni fondamentali di tutela: la prevenzione, la rilevazione, la diagnosi, la protezione e la cura/trattamento degli effetti a breve e lungo termine del trauma.

L'articolo 39, inoltre, sancisce la necessità di assicurare interventi integrati di aiuto finalizzati a promuovere la cura e il reinserimento sociale dei minori vittime di qualsiasi forma di abuso che interferisca con il loro normale processo di crescita.

L'abuso sessuale può essere realizzato sia con comportamenti attivi, sia con condotte definite commissive mediante omissione: dunque sia attraverso il compimento di atti sessuali direttamente sul corpo del bambino, sia costringendo quest'ultimo ad assistere a rapporti sessuali. Dunque sono di due tipi le condotte punite dall'ordinamento: quelle poste in essere con costrizione (violenza, minaccia o abuso d'autorità) e quelle poste in essere con induzione (inganno o abuso delle condizioni d'inferiorità fisica o psichica, nel senso di soggezione psicologica) (108).

Le disposizioni della legge n. 66/96 tendono a tutelare qualsiasi persona da illecite e conturbanti invasioni nella propria sfera di libertà, sia essa maschio o femmina, adulto o minore. Una tutela particolare è riservata a quest'ultimo a ragione della sua immaturità psichica e fisica, della sua conseguente incapacità di esprimere un consenso automaticamente libero e cosciente, della sua inesperienza e delle conseguenze altamente dannose per un suo equilibrato ed armonico processo di crescita (109).

Un altro importante aspetto della riforma è stato quello dell'unificazione delle due precedenti figure di violenza carnale e degli atti di libidine violenta (atti sessuali violenti diversi dalla congiunzione carnale), valutati diversamente rispetto alle pene, nell'unica figura degli "atti sessuali" (art. 609 bis), con ciò volendosi eliminare la necessità di indagini, umilianti per la vittima, volte ad identificare nel caso concreto la specifica condotta compiuta dal colpevole.

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Tale unificazione è un chiaro sintomo di cambiamento culturale e di percezione sessuale sia rispetto alla sessualità, sia rispetto al ruolo di "persona". Infatti, prima della riforma si riteneva che la congiunzione carnale dovesse stimarsi, sul piano normativo, figura criminosa di maggiore gravità rispetto agli atti sessuali di natura diversa, non tenendo evidentemente in considerazione né il grado di compromissione della libertà sessuale derivante da atti in cui non si ha la "congiunzione degli organi genitali" (110), nè le conseguenze dannose che ne derivano.

Alla nuova legge, per l'unificazione delle due figure criminose, sono state fatte subito, dalla dottrina, numerose critiche che hanno evidenziato come, per cercare di risparmiare alla persona offesa indagini umilianti e mortificanti (risultato che si voleva perseguire con tale unificazione), occorreva eliminare dal dettato normativo i requisiti della violenza e della minaccia (modalità costitutive delle condotte incriminate) e sostituirli con altri, quali ad esempio l'assenza di consenso o il dissenso, maggiormente rispettosi della persona e più rispondenti alla realtà dei fatti.

È stato infatti rilevato che con tale unificazione non si può esonerare la vittima dal sottoporsi a tutte le visite medico-legali ed ai colloqui, che seppur frustranti e dolorosi, sono comunque attività necessarie per l'attività giudiziaria, in quanto volte a valutare l'esistenza, la consistenza e le modalità esecutive dell'atto. Infatti abolire ogni riscontro sulla vittima del reato porterebbe a riconoscerle il potere di qualificare direttamente i fatti, da lei denunciati, come verificatisi, ma questo è contrario ad ogni logica giuridica (111). L'unica funzione che può essere riconosciuta all'unificazione delle condotte illecite è quella di far sì che gli inquirenti, di fronte ad un caso sospetto o accertato di abuso sessuale, non debbano ricercare la specifica norma da applicare al caso concreto, ma possano utilizzare quella che prevede la generica azione di compiere "atti sessuali".

La critica si è rivolta anche alla scelta di tale terminologia generica, la quale sembra non permettere l'individuazione esatta dei confini del fatto illecito. Le motivazioni del legislatore di voler, in questo modo, salvaguardare la riservatezza della persona offesa dalle indagini volte all'accertamento della verità non riescono a giustificare la conseguente violazione del principio di tassatività (contenuto implicitamente nell'art. 25 Cost.), che impone al legislatore di delineare in maniera precisa l'azione delittuosa, per far sì che ognuno sappia distinguere ciò che è lecito da ciò che non lo è. Tutto ciò ha portato alcuni giuristi a prospettare l'illegittimità costituzionale dell'art. 609 bis (112).

La legge n. 66/96 individua quattro figure criminose di violenza sessuale in senso ampio: la violenza sessuale propriamente detta, gli atti sessuali con minorenne, la corruzione di minorenne e la violenza sessuale di gruppo.

La violenza sessuale e gli atti sessuali con minorenne

Per i minori la nuova normativa ha predisposto una rete di particolare protezione: infatti ha previsto, in primo luogo, la minore età fra le aggravanti specifiche della violenza sessuale (113).

La riforma ha disciplinato sia le condotte di violenza sessuale propria (art. 609 bis), nelle quali la minore età della persona offesa costituisce una mera circostanza aggravante dell'aggressione, sia gli atti sessuali consensuali compiuti con un minorenne (la cosiddetta violenza sessuale presunta o impropria), quegli atti, cioè, che il minorenne compie volontariamente, senza che sia utilizzata violenza o minaccia.

Fino a quattordici anni, di regola, il minorenne non può validamente consentire al compimento di atti sessuali (art. 609 quater n. 1 c.p.): infatti il compimento, senza violenza né minaccia, di tali atti nei confronti di un soggetto che non abbia raggiunto tale limite di età è equiparato a tutti gli effetti alla violenza sessuale (art. 609 bis c.p.) (114).

Tale limite di età viene elevato a sedici quando l'autore rivesta una particolare qualifica che comporti un contatto più diretto e frequente con il minore (come ad esempio il genitore), o un'autorità su di lui, oppure un particolare carisma nei suoi confronti (art. 609 quater n. 2 c.p.).

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Le due disposizioni enunciano due presunzioni assolute (che non ammettono prova contraria) di invalidità del consenso prestato dal minore (anche senza l'utilizzo di violenza o minaccia) al compimento di atti sessuali. L'assolutezza di tali presunzioni risiede in ciò che il soggetto agente non è mai ammesso a provare: cioè che il minore, nonostante fosse di età inferiore ai limiti fissati dalla legge, avesse nel caso concreto la maturità e la consapevolezza sufficienti a consentire validamente al compimento degli atti sessuali (115).

La prima presunzione assoluta, enunciata nel n. 1 dell'art. 609 quater c.p. e relativa all'invalidità del consenso prestato dal minore infraquattordicenne, è completata dal disposto dell'art. 609 sexies c.p., per il quale l'autore del reato non è mai ammesso a provare l'errore sull'età della persona offesa. Quindi, la legge presume che l'autore conosca l'età della vittima e l'ignoranza non rileva neanche se è stato cagionato dal dolo malizioso del minore (il quale, ad esempio, ha mostrato un documento sul quale, per errore dell'Amministrazione che lo ha rilasciato, compaia una data di nascita non vera ed anteriore a quella reale).

Il significato del limite minimo di quattordici fissato dal legislatore risiede nella presunzione che prima di tale età il minore non abbia alcuna possibilità di avvertire in maniera limpida e non traumatica i mutamenti fisiologici, inerenti allo sviluppo, che si sono appena verificati o che si stanno verificando in lui (116). Si è voluto così tutelare l'inviolabilità sessuale del minore, in quanto si tratta di un soggetto considerato dall'ordinamento incapace di manifestare un valido consenso all'atto sessuale (117). E l'esigenza di proteggere assolutamente il minore in tale fase ha portato all'emanazione dell'art. 609 sexies c.p.

La seconda presunzione, enunciata nel n. 2 dell'art. 609 quater c.p., è relativa ai minori di età compresa tra i quattordici e i sedici anni: essi, in linea di principio, sono ritenuti capaci di esprimere un valido consenso ai fini del compimento di atti di natura sessuale, ma non nei confronti di persone cui il minore sia legato da rapporti qualificati.

Tale norma, infatti, opera solo nei confronti di alcuni particolari soggetti agenti: commette reato chi compie atti sessuali consensuali con una persona che (pur avendo compiuto quattordici anni) non abbia ancora compiuto i sedici, quando ne è l'ascendente, o il tutore, o abbia con lui un rapporto di convivenza, o comunque rivesta una particolare funzione di supremazia nei suoi confronti.

Il rapporto di convivenza, in quanto circostanza aggravante, tiene conto di fattori che non solo fanno riferimento alla relazione tra abusato e abusante, e pertanto alla frattura di qualsiasi fiducia e senso di sicurezza che possa esistere tra adulto e minore, ma anche alla continuità dell'abuso nel tempo, che caratterizza quegli abusi compiuti ove esista un rapporto di convivenza che, è dimostrato, contiene contenuti di invasività e traumaticità maggiori rispetto ad episodi isolati (118).

Infatti, quando l'abuso diviene una relazione protratta nel tempo contribuisce ad una vera strutturazione progressiva (119) della personalità del minore, caratterizzata da insicurezza e paura degli altri, che condiziona la qualità delle relazioni future familiari ed extrafamiliari. L'importanza della relazione abusato-abusante è pertanto ribadita anche dalla normativa, oltre che dagli esperti in chiave di valutazione clinica e psicodiagnostica.

In queste ipotesi, il bene giuridico tutelato è l'intangibilità sessuale relativa. Il legislatore ritiene che il minore non sia in grado di esprimere un consenso libero ed inoltre che il tipo di rapporto con il soggetto agente non è compatibile con il compimento di atti sessuali, essendovi il rischio di una strumentalizzazione della fiducia del minore stesso (120).

Il fondamento logico della presunzione di invalidità del consenso prestato al minore dei sedici anni risiede nella convinzione che l'agente può avere - e spesso ha - un notevole ascendente sui minori affidatigli. La sua posizione, infatti, può spesso determinare nel minore un sentimento che non si sviluppa e non si manifesta in maniera consapevole e libera da condizionamenti, ma risente il più delle volte del concorso di fattori inerenti alla situazione concreta, i quali possono indurre il minore (che a quell'età può sicuramente essere ancora confuso sia sotto il profilo esistenziale, che sotto i profili fisiologico e psicologico) a delle scelte

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compiute con poca riflessione (ad esempio il caso dell'allieva dei primi anni delle scuole superiori che si invaghisce dell'aitante e giovanile insegnante) (121). L'instabilità emotiva e passionale sono caratteristiche peculiari del periodo adolescenziale e da questo si comprende l'opportunità della tutela apprestata dall'ordinamento contro possibili strumentalizzazioni da parte di adulti di tale vulnerabile personalità.

In considerazione di tali situazioni, il legislatore si è quindi preoccupato di proteggere gli infrasedicenni colpendo con la sanzione penale quei soggetti i quali, pur senza violenza o minaccia, comunque approfittino di essi.

La norma, però, pare gravemente discriminatoria per tutte quelle vittime di abuso sessuale intrafamiliare che hanno più di 16 anni e che si trovano nell'imbarazzante situazione di dimostrare di essere state costrette al rapporto incestuoso con violenze e minacce (122).

Poiché gli abusi, solitamente, avvengono in assenza di testimoni e la violenza psicologica a cui sono sottoposte è impossibile da dimostrare in sede processuale, le vittime rischiano di veder cadere tutte le loro accuse.

Inoltre, l'incesto non si limita quasi mai ad un solo episodio: in generale si tratta di una relazione che dura per anni e che quasi sempre inizia durante l'infanzia della vittima; non si può dunque pensare che un minore, che comincia a subire abusi da piccolissimo, sia in uno stato di soggezione verso il proprio violentatore fino a 16 anni, mentre, da allora in poi, il rapporto di subalternità psicologica fino a quel momento subìto improvvisamente si rompa.

Il legislatore, invece, dà per scontato che debba subentrare il coraggio di ribellarsi: se non c'è stata ribellione, si ritiene che la vittima sia consenziente (123).

Questa seconda presunzione, però, non è completata da alcuna norma analoga all'art. 609-sexies c.p., quindi l'autore del fatto può sempre provare l'errore sull'età del soggetto passivo, purchè la falsa rappresentazione della realtà consista in un errore di fatto (ad esempio nel caso di un documento contenente dati anagrafici inesatti), e non di diritto (quale sarebbe, ad esempio, quello sul computo dei termini e dell'età secondo il diritto civile vigente). Ciò, in linea teorica, vale anche quando autore del fatto sia l'ascendente, o il genitore adottivo, o il tutore, o l'abituale convivente: non sembra possibile, però, ipotizzare un solo caso concreto nel quale questi soggetti possano ragionevolmente sostenere l'ignoranza dell'età del minore (124).

Dunque il contenuto di queste presunzioni può essere sintetizzato nei seguenti enunciati:

1. l'autore delle condotte indicate non è mai ammesso a provare che, nonostante l'età inferiore ai 14 o ai 16 anni (a seconda dei casi), il minore abbia dato il proprio consenso con libertà e consapevolezza;

2. nel caso di soggetto passivo di età inferiore ai 14 anni, l'autore non è mai ammesso a provare l'ignoranza sull'età della vittima;

3. nel caso di soggetto passivo fra i 14 e i 16 anni, l'errore sull'età della vittima, consistente in errore di fatto, ha efficacia scriminante secondo il disposto dell'art. 47 c.p. (125)

Atto sessuale su minore compiuta con violenza o minaccia(violenza sessuale propria)

Età del minore

Atto sessuale su minore consenziente(violenza sessuale presunta o impropria)

Reclusione da 7 a 14 anni.

Procedibilità d'ufficio.

Minore al di sotto di 10 anni.

Il consenso a compiere atti sessuali è invalido perché il minorenne è ritenuto per legge immaturo per prendere decisioni di tal genere.

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Reclusione da 7 a 14 anni.

Procedimento d'ufficio. Reclusione da 6 a 12

anni.

Procedibilità d'ufficio.

Minore tra 10 e 14 anni.

Di regola, il consenso è invalido, salvo eccezioni.

Reclusione da 5 a 10 anni. Procedibilità a querela.

(N.B.) Eccezione = Il consenso del minore tra 13 e 14 anni rende non punibile il patner minorenne che ha non più di 3 anni rispetto al primo (609-quater, 2º comma c.p.).

- Reclusione da 5 a 10 anni.

- Procedibilità a querela.

Eccezione = procedibilità d'ufficio se l'autore del reato è il genitore anche adottivo o la persona cui il minore è affidato (609-septies, 4º comma, n. 2).

Minore al di sopra di 14 anni.

- Di regola il consenso è valido (l'atto è lecito penalmente).

Eccezione = se il minore è al di sotto di 16 anni è punibile il colpevole che ne sia il nonno, il genitore anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui per ragioni di cura educazione, istruzione, vigilanza o custodia il minore è affidato, o che abbia col minore una relazione di convivenza (609-quater, 1º comma, n. 2 c.p.). Soltanto in questi casi si procede d'ufficio.

Sul problema rappresentato dagli atti sessuali consensuali compiuti fra minorenni, la previgente normativa non prevedeva disposizioni in merito e ciò era considerato come uno dei profili di maggiore inadeguatezza di essa. Una volta confermato che il limite, al di sotto del quale il consenso prestato dal minore al rapporto sessuale deve ritenersi invalido, era 14 anni (e dunque rifiutata la proposta dei fautori della libertà, anche sessuale, dei minori di abbassare il limite a 12 anni), è emerso il problema di trovare una giusta soluzione per evitare di compiere una compressione troppo forte della personalità dei minori (126).

Dopo un lungo dibattito, la soluzione di compromesso (127) tra la tutela del minore e il riconoscimento, nell'ambito giuridico, della sua capacità di autodeterminazione è stata raggiunta con la previsione di una particolare causa di non punibilità dei rapporti sessuali tra minorenni, inserita nella legge n. 66/96 all'art. 609 quater, comma 2, c.p.

Secondo tale articolo, le effusioni compiute fra adolescenti, purchè siano consensuali, sono consentite alla duplice condizione che il più piccolo dei due abbia compiuto almeno i tredici anni e che non vi sia fra di loro una differenza di età superiore a tre anni.

Riguardo all'elemento necessario del consenso del minore che ha compiuto almeno tredici anni, sarebbe più corretto parlare di "mancanza di costrizione" all'atto sessuale. In realtà, secondo alcuni autori (128), essendo l'intera normativa indirizzata verso una tutela rafforzata nei confronti del minore, sarebbe stato più opportuno non limitarsi ad un richiamo alla mancanza di costrizione e richiedere, viceversa, un espresso consenso. In tal modo si sarebbe dovuto anche accertare, caso per caso, se il minore avesse realmente avuto quella capacità (naturalistica) che permette di vedere quell'atto come espressione della sua libertà.

Tale norma consente di contemperare il dato sociale esistente e non discutibile degli atti sessuali compiuti fra teenager con le esigenze di tutela dell'armonia di crescita del minore. Si è cercato, cioè, di porre una distinzione tra le condotte che costituiscono un'interferenza degli adulti nello sviluppo del minore e quelle che, viceversa, costituiscono esperienze spontanee tra adolescenti.

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È certo che la previsione di rigidi limiti temporali (tredici anni compiuti, non oltre tre anni di differenza), come in tanti altri casi nell'ordinamento giuridico, può suscitare qualche perplessità (129): tanti giovani si domanderanno sicuramente perché non possono avere una relazione con un partner che ha tre anni e un giorno meno o più di loro. È però necessario evidenziare che un limite doveva essere imposto dal legislatore per rispettare la codificazione normativa e l'odierna soluzione sembra rappresentare la più semplice da applicare e la più efficace per la tutela del minore (anche da un punto di vista di crescita personale).

Con questa disposizione è stata prevista una causa personale di non punibilità (130), che consegue ad una valutazione di mera opportunità politica-criminale. Il bene giuridico tutelato dall'ordinamento nel caso di atti sessuali con minorenne (cioè la sua intangibilità sessuale) viene meno, in questa ipotesi, perché il minore si trova in una fascia di età in cui il legislatore ritiene non debba sussistere una tutela particolare nei suoi confronti, purchè però si tratti di rapporti consensuali tra coetanei.

Un grande problema interpretativo, posto dalla nuova normativa, è stato quello della previsione, all'art. 609-bis, co. 3, c.p., "dei casi di minore gravità", nei quali la pena è diminuita fino a due terzi così da rendere possibile il patteggiamento.

La difficoltà consiste nel fatto che né la legge n. 66/96, né il sistema normativo nel suo complesso forniscono alcuna indicazione per poter comprendere il vero significato di tali casi. Ne consegue che è il giudice a dover valutare concretamente il caso secondo una sua valutazione soggettiva e questo comporta enunciazioni diverse di fronte a casi simili. Il grave danno sembra doversi registrare a carico di quei minori che, per la situazione di abuso che hanno vissuto (ad esempio intrafamiliare), non hanno il coraggio di denunciare e così il loro silenzio, magari accompagnato anche da atteggiamenti affettivi nei confronti proprio del loro presunto abusante, rendono concreta l'ipotesi del "caso di minore gravità" (131).

Infine, i fatti di violenza sessuale, siano essi consensuali o meno, sono puniti in maniera particolarmente grave (reclusione da 7 a 14 anni) ove il soggetto passivo abbia un'età inferiore a 10 anni. Con tale disposizione il legislatore ha voluto dare una risposta forte ad un fenomeno grave che ormai sta emergendo anche nei paesi industrializzati: la pedofilia (132).

Il reato di corruzione di minorenni

La legge n. 66/96 ha totalmente riformulato la definizione del reato di corruzione di minorenne (art. 609 quater), configurandolo nelle ipotesi in cui vengono compiuti atti sessuali in presenza di minore di anni 14 al fine di farlo assistere a tali atti e prevedendone la procedibilità d'ufficio.

La condotta è punibile solo se compiuta al preciso fine di fare assistere il minore a tali atti (si tratta cioè di una fattispecie a dolo specifico), mentre non rileva penalmente se l'azione è compiuta, pur consapevolmente in presenza del minore, per un fine diverso, quale potrebbe essere quello della mera soddisfazione del piacere personale (ad esempio nel caso di rapporti fra coniugi costretti a coabitare nella medesima stanza con figli di età inferiore a quattordici anni) (133). Inoltre, per integrare tale fattispecie di reato, occorre comunque che il minore abbia un'età tale da poter rimanere influenzato dall'episodio cui assiste. Questo è, infatti, l'ultimo indirizzo della giurisprudenza che ritiene sussistente il reato solo nel caso in cui il minore abbia la possibilità di percepire l'atto lascivo nella sua materiale realtà(il che non si verificherà, ad esempio, nel caso del neonato o del minore di un anno) (134). Questo è considerato un aspetto particolarmente preoccupante, considerando il fatto che spesso i minori sono costretti a vivere, in certi ambienti, in condizioni di promiscuità, per cui non possono evitare di assistere al compimento di atti sessuali fra adulti, con i danni che ne conseguono per la loro personalità in sviluppo (135).

Infine, va notato che il reato di corruzione di minorenne è un reato di pericolo e non di danno. Ciò implica che, per la consumazione delittuosa, non è necessaria l'effettiva corruzione, ma è sufficiente l'apprezzabile possibilità di tale evento da valutarsi in relazione alle circostanze di tempo, di luogo, di modalità in cui si compie l'azione e alle condizioni personali del soggetto passivo (136). La giurisprudenza, con la sentenza 25/2/69, ha ritenuto che il reato non

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sussistesse quando il minore, pur trovandosi nel luogo dell'attività, stesse dormendo, perché in tal caso il pericolo di corruzione non deve essere confuso con il pericolo di risveglio del minore.

La predisposizione di questo reato, contemplando il caso in cui siano compiuti "atti sessuali" in presenza di minore di 14 anni al fine di farlo assistere ad essi, è rivelatrice del chiaro intento del legislatore di voler rendere legittima la consumazione di atti sessuali nei confronti o in presenza di un minore di età tra i 14 e i 16 anni, purchè consenziente e non avente legami con il soggetto agente tra quelli indicati nell'art. 609-quater n. 2. Infatti, il vecchio testo di questa ipotesi di reato (art. 530 c.p.) prevedeva due diverse situazioni criminose (137) (e cioè il fatto di colui che, al di fuori dei casi di violenza carnale e atti di libidine violenti, commette atti di libidine su o in presenza di un minore di sedici anni e il fatto di chi induce un minore di sedici anni a commettere atti di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole o su altri), nelle quali veniva tutelato maggiormente il minore tra i quattordici e i sedici anni - in quanto per l'infraquattordicenne trovavano applicazione le specifiche norme relative alla violenza carnale e agli atti di libidine violenti (artt. 519, 520, 521) - e il minore di quattordici anni che si trovava in tutte quelle ipotesi in cui i fatti non potevano rientrare nelle precedenti fattispecie.

Importante è stata, inoltre, l'abolizione, da parte del legislatore, della causa di non punibilità, prevista dalla vecchia disciplina nell'art. 530 c.p., costituita dal fatto che il minore fosse "persona già moralmente corrotta". Tale disposizione, infatti, presupponeva l'irreversibilità della personalità del minore che aveva vissuto esperienze corruttive o perverse nei suoi confronti, quando invece, essendo un soggetto in piena formazione e non ancora strutturato e stabilizzato, deve fortunatamente essere ritenuto capace di recupero (138).

La legge n. 269/98: "Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù"

Con la legge n. 269/98 sono state previste tutte le incriminazioni corrispondenti agli ulteriori sviluppi dell'attività criminale riguardo allo sfruttamento sessuale dei minori e, in specie, il fenomeno dilagante della pedofilia. La legge è stata redatta in adesione alla Convenzione sui diritti del fanciullo (ratificata ai sensi della legge n. 176/91) e alla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma del 1996, la quale si concluse con l'approvazione del Progetto delle dichiarazioni di intenti e del programma operativo, in cui si poneva come obiettivo la cooperazione a livello locale, nazionale, regionale ed internazionale dei paesi aderenti per combattere il fenomeno.

Sono dunque perseguibili condotte quali l'induzione e lo sfruttamento della prostituzione del minore di 18 anni, anche quando il fine è quello di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico, la distribuzione o la divulgazione (anche per via telematica) di tale materiale o di informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento di minori ed inoltre la prostituzione minorile a scopo di turismo sessuale (139).

L'aspetto più interessante di questa normativa, non solo dal punto di vista giuridico e criminologico, ma anche etico e sociale, è costituito dall'aver inserito tali condotte in una definizione più ampia di "riduzione in schiavitù di minori", coinvolti in attività sessuali e, dunque, la loro collocazione sistematica tra i "reati contro la personalità individuale", in quanto considerate condotte criminali che compromettono la libera determinazione della "personalità individuale" del minore in crescita. La legge così mostra di considerare, come bene giuridico leso dalle nuove fattispecie di reato, lo sviluppo della personalità del minore sotto il profilo però della sua libera autodeterminazione piuttosto che della cosciente esplicazione della libertà personale (come invece ha fatto la legge n. 66/96) (140). Le nuove figure di reato, infatti, non incriminano gli atti sessuali compiuti con violenza o minaccia (e dunque in assenza del libero consenso della vittima), ma lo sfruttamento della prostituzione e della pornografia minorile, che oltre ad essere di per sé atti caratterizzati da profondo disvalore sociale e morale, costituiscono anche una grave lesione alla personalità individuale di soggetti che, a causa dell'età, non sono completamente in grado di autodeterminare la propria condotta.

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L'elemento discriminante dalla legge n. 66/96 è costituito sia dalla finalità di lucro che il coinvolgimento del minore in tali attività comporta, sia dalla differenziazione di queste tipologie di comportamento da altre forme di abuso sessuale su minore di tipo familiare o extrafamiliare ove non sia presente però la finalità economica. Il legislatore, dunque, ha inteso colpire la cosiddetta "mercificazione professionalmente organizzata del sesso minorile" (141), con riguardo sia alle prestazioni sessuali vere e proprie, sia alla creazione o riproduzione di suoni o immagini a contenuto erotico.

In Italia la prostituzione minorile coinvolge sia minori italiani che stranieri, questi ultimi spesso vittime della tratta, un crimine che si fonda sulla compravendita e lo sfruttamento di esseri umani sottratti con violenza o inganno dai luoghi di origine, portati nei Paesi occidentali e venduti come schiavi. Numerose vittime sono state rapite da organizzazioni criminali internazionali, altre sono state vendute dalle proprie famiglie o attirate con false promesse di lavoro.

Non è facile quantificare il numero di minori che sono costretti a prostituirsi in Italia perché esistono, specialmente nel caso di minori italiani, numerose situazioni di prostituzione familiare o amicale che è difficile portare alla luce (142).

La lotta contro la prostituzione minorile richiede, dunque, uno sforzo di coordinamento sia a livello locale che nazionale ed internazionale perché l'organizzazione del crimine è complessa e articolata. Per perseguire tale reato è necessario anche un efficace coordinamento con i paesi destinatari dei flussi di turisti interessati a questo tipo di mercato: le polizie locali, infatti, sono autorizzate a segnalare agli organismi internazionali la nazionalità di coloro che sono considerati sospetti autori di violenze sessuali sui minori nei paesi di destinazione "turistica".

Le attività svolte dopo la legge n. 269/98

Dopo la ratifica della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989, gli appuntamenti considerati più significativi per valutare il più recente percorso compiuto dall'Italia nella prevenzione e nel contrasto dell'abuso e dello sfruttamento sessuale di bambini e adolescenti sono stati due: il Secondo congresso mondiale di Yokohama contro lo sfruttamento sessuale commerciale dei minori (svoltosi nel dicembre del 2001) - preceduto da importanti conferenze intergovernative che hanno consentito di avviare un confronto a livello regionale - e la Sessione speciale delle Nazioni unite sull'infanzia (143).

La Sessione speciale di New York ha verificato i risultati, gli obiettivi e gli impegni che erano stati presi con la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo. Inoltre, in occasione del primo incontro mondiale sull'infanzia nel 1990 (al quale ha partecipato anche l'Italia), è stato adottato il documento A World Fit for Children, nel quale la lotta contro ogni forma di violenza, abuso e sfruttamento sessuale a danno di bambini ed adolescenti è stata riaffermata tra le priorità assolute dell'attività politica internazionale.

In tale testo i fenomeni di abuso e violenza sui minori vengono additati come fossero "un'epidemia", contro la quale ogni "attività strategica" di contrasto (legislativa, sociale, culturale, economica, sanitaria, educativa, ecc.) si presenta complessa e destinata ad incontrare non poche difficoltà.

Vengono segnalate una serie di azioni che i paesi devono attuare in modo prioritario nella lotta contro ogni forma di violenza ed in particolare contro la tratta e lo sfruttamento sessuale dei minori: ridurre e contrastare ogni forma di discriminazione sociale e culturale e di emarginazione, da cui possono generarsi le condizioni che favoriscono l'abbandono e lo sfruttamento dei minori; attivare le istituzioni, la società civile e le comunità locali affinchè ci sia una diffusa assunzione di responsabilità rispetto al problema "sia nel Nord che nel Sud del mondo"; garantire ogni misura di protezione che risulti necessaria; provvedere al recupero, al reinserimento sociale e alla cura dei minori vittime dei vari fenomeni di violenza (144). Tale documento si configura come uno stimolo per l'Italia a proseguire lungo i percorsi già avviati, a migliorarli e ad aprirne di nuovi. Infatti deve essere fatto ancora molto per riuscire ad ottenere migliori condizioni di vita per i minori vittime di tali fenomeni e per prevenire a livello primario,

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l'insorgere del trauma della violenza e, a livello secondario e terziario, l'aggravarsi dei danni e degli effetti conseguenti (145).

Successivamente, in preparazione del Congresso di Yokahama, si è svolta a Budapest, nel novembre 2001, una Conferenza intergovernativa, conclusasi con l'adozione del Commitment and Plan of Action for Protection of Children from Sexual Exploitation in Europe and in Central Asia. Questo documento è molto chiaro nell'indicare che il criterio-guida, che le politiche nazionali e sovranazionali devono seguire per contestare contro ogni forma di violenza sull'infanzia, deve essere quello della logica "zero tolerance" (146), la quale si concretizza in una serie di comportamenti che ogni paese deve realizzare integralmente come propria strategia d'azione, senza prevedere eccezioni: prevenire e reprimere la violenza sui minori, proteggerli, applicare ed adeguarsi alla normativa, integrare e programmare gli interventi.

La legge n. 154/01: "Misure contro la violenza nelle relazioni familiari"

Grande importanza ha avuto l'emanazione della legge n. 154/2002, la quale ha introdotto (all'art. 282-bis c.p.p.) la misura coercitiva dell'allontanamento del familiare violento. La ratio della norma è stata quella di predisporre un rimedio rapido ed efficace nei casi più gravi di violenza in famiglia, di pornografia e di sfruttamento della prostituzione minorile, attuati in danno dei prossimi congiunti o del convivente. Gli ordini, che possono anche essere emessi dal giudice laddove non si sia in presenza di reati perseguibili d'ufficio, possono essere di vario tipo: allontanamento dalla casa familiare (anche se questa è di proprietà esclusiva del soggetto allontanato), divieto di frequentazione di luoghi in cui abitualmente si trova il minore, obbligo di pagamento di un assegno al familiare che permanga in uno stato di bisogno.

Anche in precedenza era possibile ottenere misure di allontanamento, ma la novità (147) della legge sta nella possibilità di farvi ricorso anche laddove non si sia di fronte a situazioni che si configurano come reato accertato: è il caso degli ordini di protezione emanabili in sede civile, ma in presenza di una certa situazione di grave e pregiudizievole disagio (condizione che si può verificare in casi di grave e ripetuta "violenza assistita" (148), trascuratezza e maltrattamento psicologico ai danni di minori). Con questa normativa, dunque, si è registrato un importante progresso perché è stata eliminata l'ingiustizia, finora realizzata, per cui il minore diventava vittima due volte: prima perché subiva l'abuso, poi perché subiva anche l'allontanamento da casa (149).

È inoltre interessante rilevare che in questa legge è presente un altro aspetto fortemente innovativo: l'introduzione di una più ampia definizione di violenza (150), che viene individuata in tutte quelle situazioni di grave pregiudizio dell'integrità (fisica o morale) o della libertà di un componente qualsiasi del nucleo familiare causate da un altro componente della famiglia (legittima o naturale).

Dal punto di vista dei minori, la legge riconosce il diritto del bambino a non essere sradicato dal proprio ambiente familiare quando sia necessario porlo al riparo dal ripetersi della violenza. Sotto questo aspetto, per poter applicare attentamente la legge, è necessaria la collaborazione tra magistratura e servizi sociali (151), perché è ormai dimostrato che un genitore non abusante o maltrattante non è per questo necessariamente protettivo e, anzi, necessita anch'esso di un forte sostegno. Purtroppo la difficoltà di tale integrazione comporta una scarsa applicazione della legge. Ma va anche ricordato che, se da un lato, si può considerare l'introduzione di tali norme come un fatto positivo, dall'altro, è opportuno (specialmente nei casi di abuso sessuale e di maltrattamento grave) una valutazione attenta della protettività del genitore che rimane con il minore. Non può, infatti, essere esclusa l'ipotesi che tale adulto di riferimento abbia comportamenti fortemente ambivalenti nei confronti del coniuge maltrattante o abusante allontanato e possa agire sul figlio con minacce e ritorsioni (152).

6.3 La realtà dell'abuso: elementi descrittivi

Un'importante ricerca sull'argomento è stata quella compiuta da Sgroi, Blick e Porter (153), i quali nel 1982 hanno individuato varie fasi dell'abuso sessuale, che si ripetono ancora oggi:

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1. fase dell'adescamento: l'abusante mette in atto una serie di comportamenti per attirare su di sé il minore, separandolo dagli altri componenti della famiglia, in particolare dalla madre e creando delle situazioni che lo facilitino nei suoi piani;

2. fase dell'interazione sessuale: durante la quale l'abusante passa a forme di violenza via via sempre più intrusive e devastanti (ad esempio da discorsi pornografici a esibizionismo, voyeurismo, a contatti fisici fino alla penetrazione, a volte con il coinvolgimento anche di altri minori, o inducendo il/la bambino/a a compiere a sua volta atti sessuali su fratelli e sorelle più piccoli;

3. fase del segreto (il quale è presente anche nella fase precedente): in cui l'abusante costringe con vari mezzi il minore al silenzio;

4. fase dello svelamento dell'abuso;5. fase della rimozione: caratterizzata dal tentativo di negare la realtà dell'abuso o di

minimizzarlo, o di negare o minimizzare il danno derivato al/alla bambino/a dall'abuso stesso (154).

Più recentemente, la Commissione Scientifica "Monitoraggio del maltrattamento" del Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l'Abuso all'Infanzia (CISMAI) ha realizzato nel 1999 una rilevazione del maltrattamento e dell'abuso sessuale sui minori sulla base dei dati raccolti da alcuni centri e servizi del CISMAI in relazione ai casi di maltrattamento e/o abuso sessuale segnalati o in carico a tali enti negli anni 1998 e 1999. Alla rilevazione hanno partecipato 7 centri o servizi aderenti al Coordinamento e, di questi, 2 sono servizi/centri pubblici, mentre 5 sono servizi/centri privati (che spesso hanno però convenzioni con gli enti pubblici per gestire l'intervento nei casi di abuso sessuale su minori).

Il materiale raccolto è riferibile a 928 minori segnalati o in carico negli anni indicati (155).

Nome Centro/Servizio Provincia N.

casi

CAF Milano 189CBM Milano 326Fondazione Maria Regina Teramo 34

Centro Infanzia Violata Roma 29Numero Blu Cagliari 178

Servizio Tutela Minori Desio - Seregno 79

Centro Tutela Bambino-TCF Bergamo 93

TOTALI 7 928

Rilevazione della violenza sui minori nei centri CISMAI

Lo strumento per la rilevazione è stato una scheda specifica, elaborata in tre anni dalla Commissione.

Riguardo alle varie tipologie di violenza, dal diagramma relativo (realizzato dalla ricerca del CENSIS) risulta che dopo le situazioni a rischio di violenza (oltre il 26%) e la trascuratezza (quasi il 22%) - situazioni queste in cui dovrebbe maggiormente operare l'attività di prevenzione - la tipologia di violenza percentualmente più commessa è l'abuso sessuale (circa il 20%).

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Emerge, dunque, l'immagine di un bambino abbandonato a se stesso, non stimolato, non curato, isolato affettivamente e spettatore della conflittualità in famiglia che spesso arriva a coinvolgerlo.

Tali violenze, secondo questa ricerca (156), sono commesse, nella quasi totalità dei casi, in ambiente domestico (91%).

Anche da un'altra ricerca (157) svolta nel 2002, dalla Scuola Romana Rorschach (Centro studi e intervento infanzia violata), sui dati raccolti da 35 audizioni protette di minori sessualmente abusati, è stato confermato quest'ultimo risultato. L'abuso sessuale è stato distinto in:

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abuso sessuale intrafamiliare ed intradomestico: quando l'abuso sessuale è commesso dal genitore o comunque da un parente convivente con il minore;

abuso sessuale intrafamiliare ed extradomestico: quando l'abuso è perpetuato da un parente non convivente o da un amico di famiglia;

abuso sessuale extrafamiliare: quando l'abuso è compiuto da un soggetto estraneo al minore e/o alla famiglia.

Le tipologie dell'abuso sessuale

È emerso che si ha un numero più elevato di casi di abuso sessuale intrafamiliare extradomestico. Considerando poi, oltre a questa, la percentuale dei casi di abuso sessuale intrafamiliare intradomestico, il numero dei casi di abuso intrafamiliare risulta fortemente maggiore rispetto a quello dei casi di abuso extrafamiliare. Dalla ricerca del CENSIS (158) risulta infatti che chi ha compiuto violenza è in prevalenza il padre (autore principale o unico), seguito dalla madre (secondo autore).

Tipo violenza Autore principale

Secondo autore

Terzo autore

Abuso sessuale Padre Estraneo SconosciutoMaltratt. Fisico Padre Madre SconosciutoTrascuratezza Padre Madre Altri parentiMaltratt. Psicologico Padre Madre Altri parenti

Situaz. a rischio Padre Madre Altri parentiIpercura Padre/Madre Madre/Padre -Relazione tra autore e vittima della violenza

Definire il contesto dell'abuso significa, in primo luogo, comprendere il tipo di relazione esistente tra l'abusante e la vittima (159). Infatti, la violenza compiuta dall'estraneo è sicuramente diversa da quella massa in atto dal padre incestuoso, così come è diversa quella compiuta dal vicino di casa o dal conoscente.

Soggetto MILANO NAPOLI VENETO

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agente

Padre-patrigno 16 23 14Altro familiare 4 19 4Fidanzato - 18 1Amico 2 5 6Insegnante 10 - 7Conoscente 28 14 13Persona "autorizzata" 10 2 11

Estraneo 30 19 44Totale 100 100 100Relazione tra l'abusante e la vittima (valori percentuali)

Una particolare categoria di abusanti è quella delle cosiddette "persone autorizzate", cioè di coloro che, in virtù dell'attività che svolgono (infermiere, medico, ecc.), hanno l'opportunità di entrare in relazione con la vittima in maniera naturale (160).

Le violenze che il bambino subisce nell'ambito familiare sono, comunque, quelle più rilevanti perché la carenza di un sostegno o dell'affetto della famiglia è quella che più gravemente condiziona la regolare strutturazione della personalità e l'adeguato sviluppo del processo di socializzazione del bambino. La famiglia abusante non è soltanto la famiglia autoritaria e dispotica, né solo quella sfruttatrice in senso economico del bambino (considerato come "merce"). Può danneggiare il minore anche la famiglia che, per rispettare "troppo" la sua libertà, lo lascia solo ad esplorare la vita; quella che - per assicurargli un luminoso avvenire - è particolarmente esigente e perfezionista; quella che per iperprotezionismo gli impedisce di fare esperienze significative e strutturanti perché tutto costituisce pericolo; quella ripiegata narcisisticamente su se stessa e quindi portata ad inculcare nel figlio l'idea che tutto il mondo è ostile e negativo e che solo il modello familiare è valido; quella che attraverso il ricatto della riconoscenza, per l'amore dato e per i sacrifici compiuti, soffoca il bambino con un amore possessivo e distruggente (161).

Per svolgere adeguatamente il proprio ruolo genitoriale, e così captare le esigenze del bambino, e per saper rispettare la sua sensibilità sono necessari nei genitori un'adeguata maturità personale ed un forte controllo di sè e delle proprie reazioni. Il che non è facile, specialmente in una società che tende ad infantilizzare anche gli adulti, che isola ed emargina la famiglia, che moltiplica le situazioni di fragilità familiare, che propone continuamente modelli diversi e spesso contrastanti di educazione (162).

Per quanto riguarda la composizione familiare, da un'ulteriore rilevazione (163) sulla violenza all'infanzia, compiuta nel 2002 dalla Dott.ssa Celeste Pernisco, pedagogista, è emerso che la maggioranza dei bambini vittime di violenze vive in nuclei costituiti da entrambi i genitori biologici conviventi (il 56%) e la famiglia "normale" continua ad essere l'ambito in cui si verificano la maggior parte degli abusi.

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Negli abusi sessuali consumati in famiglia, possono essere riconosciute modalità complesse di realizzazione, tanto da poterli distinguere in tre sottogruppi (164):

a. abusi sessuali manifesti:

lo sono, di solito, gli abusi di tipo incestuoso, consumati nella maggior parte dei casi da figure maschili con figlie femmine, ma dovrebbero essere considerati tali anche altri rapporti simili, di cui si parla poco: tra padri e figli maschi; tra madri e figli maschi; tra fratelli e sorelle.

Questi tipi di violenze sono, per i traumi e le conseguenze che lasciano sul minore, i più evidenti e sono quelli sui quali è possibile intervenire con fermezza; ma la difficoltà nel riconoscerli è proprio nel fatto che avvengono all'interno del nucleo di vita più vicino al bambino: la sua famiglia.

b. abusi sessuali mascherati:

lo sono pratiche genitali inconsuete, quali frequenti lavaggi del bambino, ispezioni ripetute e applicazioni di creme e preparati medicinali.

c. pseudo-abusi:

a questo gruppo appartengono gli abusi dichiarati quando in realtà non sono stati concretamente consumati per:

o convinzione errata, a volte delirante, che il/la figlio/a (più frequentemente la figlia) sia stato/a abusato/a; dietro a tali convinzioni c'è talvolta la proiezione sul/la figlio/a di esperienze di abuso subite nella propria infanzia dal genitore;

o consapevole accusa all'ipotetico autore di abuso sessuale finalizzato ad aggredirlo, screditarlo, perseguirlo giudizialmente. Queste accuse avvengono

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frequentemente da parte di madri o nonne contro i padri nel corso delle separazioni;

o dichiarazione inventata dal/dalla giovane, di solito adolescente, per sovvertire una situazione familiare insostenibile. Anche se l'abuso non si è realizzato, sono situazioni che vanno sempre prese in considerazione perché indicano che il minore ha sicuramente un disagio e, pertanto, deve essere aiutato;

o l'abuso sessuale "assistito", quando cioè il/la bambino/a assiste all'abuso che un genitore agisce su un fratello o una sorella, o viene fatto assistere alle attività sessuali dei genitori.

od. abusi sessuali extrafamiliari:

sono forme di abuso frequentemente sommerse e che riemergono nei racconti dei pazienti, ormai adulti, poiché, quando l'abuso si era verificato, i sentimenti di vergogna, imbarazzo, pudore dei genitori avevano prevalso sull'opportunità non solo di denunciare il fatto all'autorità giudiziaria, ma anche di occuparsi della salute mentale del minore che aveva subito l'abuso.

Il problema delle conseguenze psicologiche di questi soggetti non ha un'evoluzione univoca (165), ma è in funzione della situazione psicologica individuale e soprattutto di come l'ambiente familiare e sociale in cui vivono reagisce.

Nella maggior parte dei casi vi è una situazione di trascuratezza fisica e/o affettiva, in cui vive il minore, che non gli permette di sviluppare la capacità di discriminare i pericoli e lo rende predisposto ad accettare qualunque attenzione affettiva gli venga proposta dall'esterno, credendola compensatoria di una vuoto affettivo intrafamiliare.

Quando la negazione e l'omertà non reggono e il problema diventa palese, il bambino subisce dalla propria famiglia altre violenze, che consistono nel costringerlo a ripetute e minuziose descrizioni dei fatti alle diverse autorità (in numero anche superiore al necessario). Tutto questo perchè il pensiero dominante per il genitore offeso diventa la vendetta, quasi perdendo di vista i bisogni e le angosce del/la proprio/a figlio o figlia (166).

Riguardo al sesso delle vittime di abuso sessuale, dalla ricerca svolta da Terragni (167) risulta che si tratta soprattutto di soggetti di sesso femminile e di età media raramente al di sotto dei sei anni. Egli sostiene che "parlare di violenza nei confronti di bambini significa, nella grande maggioranza dei casi, parlare di violenze nei confronti di bambine e adolescenti". Per i maschi è stato comunque registrato un notevole rischio di abuso sessuale extrafamiliare, a differenza delle femmine dove l'abuso avviene più frequentemente nell'ambito familiare.

Età MILANO NAPOLI VENETOFemmine Maschi Femmine Maschi Femmine Maschi

Minorenni 36 75 54 100 42 58Maggiorenni 64 25 46 0 58 42Totale 100 100 100 100 100 100Incidenza degli abusi e delle violenze a seconda dell'età e del sesso delle vittime (valori percentuali)

Età MILANO NAPOLI VENETO

Fino a 6 anni 2 2 4Da 7 a 11 anni 33 19 26Da 12 a 14 anni 33 40 38

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Da 15 a 17 anni 32 39 32Totale 100 100 100Età dei ♣vittime di abusi e violenze sessuali (valori percentuali)

Lo stesso risultato è stato confermato sia dalla rilevazione compiuta nel 1999 dal CISMAI (168), sia da quella compiuta nel 2002 dalla Scuola Romana Rorschach (169):

Rilevazioni statistiche sul sesso ed età delle vittime di abuso sessuale compiute dal CISMAI nel 1999

Si può notare che l'unica differenza emergente dalle tre ricerche (compiute da Terragni, dal CISMAI e dalla Scuola Romana Rorchach) riguarda l'età in cui i minori subiscono con più frequenza abusi sessuali: nel 1998 era tra i 12 e i 14 anni, nel 1999 tra i 6 e i 10 anni, nel 2002 nella cosiddetta preadolescenza/adolescenza.

Il cambiamento registrato dal 1999 al 2002 potrebbe essere il risultato di un maggior numero di denunce da parte dei minori-preadolescenti, dovute al fatto probabilmente che in questi ultimi anni sono state realizzate più iniziative di sensibilizzazione all'interno delle scuole (anche in luoghi dove prima l'argomento era considerato una specie di "tabù"), c'è stata una maggior diffusione sul territorio e conoscenza dei consultori ed infine, sicuramente, perché la violenza e l'abuso sessuale sono diventati un argomento più discusso che in passato.

Rilevazione statistica compiuta dalla Scuola Romana Rorschach nel 2002 sull'incidenza degli abusi sessuali a seconda del sesso del minore e dell'età

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Dalla rilevazione compiuta dalla Dott.ssa Pernisco (170), maschi e femmine non risultano subire una quantità diversa di azioni abusanti per quanto riguarda la violenza sessuale "tradizionale" (come gli atti di libidine e i rapporti sessuali penetrativi o nell'avvio alla prostituzione), mentre nelle violenze connesse alle attività organizzate di pedofilia i maschi sono coinvolti in misura quasi doppia rispetto alle femmine.

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È stato inoltre rilevato che i bambini stranieri subiscono maggiormente le varie forme di violenza sessuale rispetto ai minori italiani.

Le statistiche evidenziano, infatti, che i bambini extracomunitari sono, più spesso di quelli italiani, vittime di rapporti sessuali, indotti alla visione di pornografia ed avviati alla prostituzione (171). La causa, probabilmente, si può ricondurre alla loro stessa situazione di vita, caratterizzata da un quasi totale abbandono sia da parte delle istituzioni, sia da parte della famiglia (costretta a lottare per la sopravvivenza con un elevato numero di figli).

6.4 Gli indicatori dell'abuso sessuale

Nel caso di violenze sessuali su minori al di fuori del contesto familiare, molto spesso i genitori preferiscono non denunciare subito all'autorità giudiziaria il crimine, sia perché il danno in ogni caso non è totalmente risanabile, sia perché esiste il rischio che l'apertura del procedimento esponga il bambino a morbose curiosità e a facili etichettature (soprattutto se il contesto familiare è un piccolo paese), sia infine perché la necessaria rievocazione del fatto in sede giudiziaria può aprire nuove ferite nel minore impedendogli di superare il trauma di cui è stato vittima (172). Il rischio di violenze di questo tipo è particolarmente elevato in bambini che non sono seguiti a sufficienza dai genitori per incuria o disinteresse: la consapevolezza di ciò fa sentire i genitori oscuramente colpevoli e poco disposti alla denuncia.

Per accertare l'effettivo verificarsi di un abuso sessuale è possibile utilizzare una serie di criteri o indicatori (173), i quali però non possono costituire un elenco completo e certo sul quale poter desumere con esattezza se l'abuso si è realizzato oppure no. Sono molti, infatti, i casi in cui la sintomatologia clinica non è troppo esaustiva e dove rimangono molti dubbi (ad esempio quando non c'è stata penetrazione).

Gli indicatori variano in relazione alla fase di sviluppo del minore e si distinguono (174) in:

1. indicatori cognitivi

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2. indicatori fisici;3. indicatori comportamentali/emotivi.

Tra gli indicatori cognitivi rientrano le conoscenze sessuali inadeguate per l'età, le modalità di rivelazione da parte del bambino dell'abuso sessuale, i dettagli dell'abuso e, a volte, si verifica una certa confusione nel ricordo dei fatti e nella sovrapposizione dei tempi. Per scoprire questi indicatori, le aree da indagare sono: il livello di coerenza delle dichiarazioni, l'elaborazione fantastica, la distinzione tra il vero e il falso, il giudizio morale e la chiarezza semantica.

Gli indicatori fisici di abuso sessuale sono: la deflorazione, la rottura del frenulo, le ecchimosi e i lividi in zona perineale, i sintomi di malattie veneree ed altri che devono considerarsi più equivoci per le molteplici cause che possono averli generati, come le incisure imenali, le neovascolarizzazioni a livello del derma nelle grandi labbra (nelle bambine) o le irritazioni del glande o del prepuzio (nei bambini) oltrechè arrossamenti e infiammazioni aspecifiche localizzate (175).

Gli indicatori comportamentali ed emotivi comprendono sentimenti di paura, depressione, disturbi del sonno e dell'alimentazione, un comportamento ipervigilante che indica la paura della ripetizione del trauma, la mancanza di interesse verso le attività ludiche con i compagni, l'alterazione significativa della personalità con possibili sintomi psiconevrotici (isteria, fobie, ipocondria) (176). La timidezza e la paura si manifestano soprattutto in presenza del genitore abusante o nei confronti di adulti di tal sesso. A causa dei sensi di colpa e delle minacce che ricevono, i bambini abusati possono mettere in atto comportamenti autodistruttivi fino al suicidio.

De Young (177) ritiene che un ulteriore indicatore comportamentale di abuso sessuale sia una spiccata erotizzazione della propria vita: infatti i bambini abusati tendono a diventare sessualmente aggressivi nei comportamenti e nei giochi. Vero è che occorre tener conto che tali indicatori di abuso non possono essere utilizzati indiscriminatamente, poiché la presenza di uno o più di essi può essere determinata anche da altre cause; bisogna fare attenzione al rischio di vedere una correlazione illusoria tra causa supposta (abuso sessuale) e conseguenze (indicatori), dove questa non c'è (178). Nel caso degli indicatori fisici, ad esempio nelle bambine, una diagnosi di neovascolarizzazione è giudicata compatibile con atti traumatici ripetuti (quali atti di abuso sessuale), ma anche con esiti di infiammazioni vaginali. La stessa integrità dell'imene si presta a conclusioni equivoche, in quanto apparenti lacerazioni di essa possono in realtà corrispondere a particolarità morfologiche congenite.

L'equivocità può riguardare anche gli indicatori comportamentali. La presenza di incubi, l'eccesso di masturbazione e la depressione non costituiscono di per sé sintomi di abuso sessuale e possono essere ricollegati a varie cause che incidono sulla vita e crescita del bambino. Anche gli indicatori cognitivi possono trarre in inganno: spesso si è portati a pensare che, se un bambino ha conoscenza in materia di sesso inadeguate alla sua età, non può che averle acquisite attraverso contatti sessuali diretti. In realtà, frequentemente capita che il bambino abbia visto determinate scene nei film oppure abbia ascoltato gli adulti che ne parlavano (179).

Gli indicatori da soli non possono, dunque, essere considerati gli indici certi di un avvenuto abuso sessuale: sono necessarie ulteriori indagini sulla situazione.

6.5 Le conseguenze dell'abuso sessuale

Si può affermare con certezza che un bambino che non comprende il significato delle azioni dell'adulto, non per questo non riporterà un danno: non è cioè la comprensione intellettuale di ciò che accade a dare la misura dell'effetto traumatico dell'abuso sessuale.

A proposito della violenza sessuale intrafamiliare, Lanza (180) ha scritto:

L'incesto, in tutte le sue manifestazioni, anche quelle più raffinate e sottili (che sono poi quelle che creano forme di dipendenza psicologica), quando ha come referente un minore, è in modo

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assoluto una forma di violenza con effetti permanenti e irreversibili. La violenza è qualcosa che ha a che fare con la "forza" e il "potere", è un "male" che aggredisce la persona nella sua totalità, la tocca nella libertà, crea "sofferenza" reale e lascia "paura".

La violenza all'interno della famiglia può causare una serie di conseguenze nocive per le vittime, quali gravi danni fisici, disturbi psicologici a breve e a lungo termine e il bisogno di andare via di casa. Emery e Laumann-Billings (181) ritengono che le conseguenze della vittimizzazione siano comunque una funzione di almeno cinque classi variabili:

1. la natura dell'atto abusivo (percosse, abuso sessuale) come pure la sua frequenza, intensità e durata;

2. le caratteristiche individuali della vittima (ad esempio l'età);3. la natura della relazione tra vittima e abusante (coniuge, patrigno, ecc.);4. la risposta degli altri all'abuso (sostegno sociale, intervento legale o psicologico e

soprattutto reazione della famiglia);5. i fattori legati all'abuso che possono esasperare i suoi effetti o sostenere alcune delle

conseguenze dell'abuso stesso (caos familiare precedente all'atto abusivo).

La violenza è intrinseca agli atti di abuso sessuale e consiste nell'impatto traumatico che la sessualità adulta (anche quando è mascherata da approccio "gentile") ha sul minore e nella natura di per sé coercitiva di tali atti sessuali. Bambine e bambini, data l'immaturità psichica ed emotiva e dato lo svantaggio di strumenti, potere e autorità rispetto all'adulto, sono nell'impossibilità di dare un consenso libero ed informato. L'abuso sessuale su un minore, dunque, viene sempre attuato dall'adulto, anche quando non c'è apparente uso di forza, sfruttando questa disparità di potere, autorità, dipendenza materiale ed affettiva del bambino, ed è poi ripetuto utilizzando lo stato di confusione, disperazione, paura e vergogna causati dall'abuso stesso.

Per parlare di "mancato consenso" non è inoltre necessario che il minore sia completamente all'oscuro del significato sessuale degli atti compiuti dall'adulto: infatti è la posizione di vantaggio di questo rispetto al minore e il clima di soggezione, confusione, ambiguità, colpevolizzazione creato dall'adulto ad impedire alla vittima una reazione efficace. Per i bambini piccoli inoltre il "bene" è obbedire all'adulto; per loro un'azione che non solo risponde al requisito dell'obbedienza, ma che viene anche premiata dall'adulto è "buona" (182).

I mezzi usati dagli abusanti sono un insieme di lusinghe e minacce, di promesse e intimidazioni, di uso di forza fisica e di atteggiamenti gentili, in un'alternanza di facce e ruoli via via assunti da chi abusa al fine di togliere alla vittima qualsiasi possibilità di difendersi.

In molti casi le ragazze e le donne che sono state da bambine vittime d'abuso non ricordano i tentativi che hanno inizialmente fatto per difendersi dalla violenza e sono convinte che l'abusante non abbia mai fatto uso di forza fisica. In realtà, ricostruendo con loro la storia, si scopre che spesso durante le prime aggressioni è stato fatto uso di vera e propria coercizione fisica. Successivamente il senso di impotenza, la vergogna, la disperazione, i ricatti a cui venivano sottoposte dall'abusante («Se non ci stavo lui picchiava la mamma e i miei fratelli»; «Mi diceva che dovevo essere gentile con lui; se poi non lo ero diventava cattivo»), l'isolamento in cui venivano costrette, la paura che provavano ed i messaggi ambigui e distorti che ricevevano toglievano loro totalmente la possibilità di reazione (183).

La confusione, il fallimento dei tentativi di difesa, la sessualizzazione traumatica, la ripetizione dei messaggi dell'abusante che addossa alla minore la responsabilità dell'abuso, fanno sì che essa dimentichi la reale successione dei fatti e non riesca a darne la giusta interpretazione neanche da adulta. In molti casi l'abusante arriva a pretendere dimostrazioni "d'amore": «Mi diceva le frasi d'amore che dovevo dirgli e non voleva che lo chiamassi papà; però se cercavo di ribellarmi cambiava faccia e diceva: "Devi fare come ti dico io, perché sono tuo padre"» (184).

Per quanto riguarda la durata dell'abuso, si può intuitivamente concordare con l'affermazione secondo cui un episodio isolato risulta meno dannoso di un'esperienza protratta nel tempo.

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Tuttavia i dati disponibili sono contraddittori in quanto la durata e la frequenza dei rapporti sono comunque elementi collegati ad altre variabili quali l'età del bambino all'esordio, il contesto familiare o extrafamiliare, la natura della relazione con l'abusante ed il tipo di attività sessuale commessa (185). A questo proposito, un sintomo particolare è costituito dal disturbo post-traumatico da stress (PTSD), il cui rischio tende ad aumentare quando l'abuso fisico è più grave e di lunga durata e quando l'abuso sessuale avviene in una relazione segreta o comporta un senso di pericolo o colpa da parte del bambino vittima. È stato inoltre dimostrato che lo stupro, in particolare, comporta un più elevato rischio di PTDS rispetto ad altri traumi comuni, a causa della forte coercizione fisica utilizzata (186).

Si può sicuramente affermare che l'abuso può compromettere le normali tappe dello sviluppo e formazione del bambino, agendo sulla regolazione affettiva, lo sviluppo dell'autostima e le relazioni con i coetanei. Anche nell'età adulta persistono disturbi di relazione rappresentati da sentimenti di paura e diffidenza nell'incontro con gli altri e di ostilità nei confronti delle figure parentali; varie disfunzioni del comportamento sessuale, tendenza alla prostituzione, alla tossicodipendenza e all'alcolismo.

Anche la "Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all'infanzia" (187) afferma che «l'intensità e la qualità degli esiti dannosi dell'abuso sessuale derivano dal bilancio tra le caratteristiche dell'evento (precocità, frequenza, durata, gravità degli atti sessuali) e gli interventi protettivi e riparativi esterni, che si attivano in relazione all'abuso». Inoltre «il danno è tanto maggiore quanto più:

a. il fenomeno resta nascosto, o non viene riconosciuto;b. non viene attivata alcuna protezione nel contesto primario e in quello sociale;c. l'esperienza resta non verbalizzata e non elaborata;d. è forte il legame di dipendenza fisica ed affettiva della vittima dall'abusante».

L'abuso sessuale che si verifica in un clima di calore affettivo, di lusinghe, di gratificazione mediante le concessioni di speciali privilegi e di estrema segretezza, può essere per il bambino traumatico e sconcertante al pari di un'aggressione violenta (188).

Molti bambini subiscono per anni un abuso sessuale ma, mentre crescono, aumenta in loro la consapevolezza che qualcosa è sbagliato e possono rendersi conto improvvisamente di ciò che sta loro succedendo (per esempio nel corso di un tentativo disperato di proteggere un membro più giovane della famiglia da un abuso dello stesso tipo, o quando la possessività e la gelosia del padre diventano intollerabili).

Non c'è da stupirsi che i bambini vittime di abuso sessuale si dimostrino molto ansiosi. Un'adolescente può apparire orgogliosa del potere che ha sul padre o su altri uomini, ma dietro questo atteggiamento si cela un grande bisogno di affetto. Essa continuerà ad incontrare difficoltà nel dare e nel ricevere amore, anche quando magari sarà stata inserita in una famiglia diversa (ad esempio adottiva) (189).

Il fatto che tali effetti non si protraggano a lungo termine dipende, probabilmente in larga misura, dalla possibilità di una diagnosi e di una terapia precoci.

Uno dei caratteri più tipici dell'abuso sessuale, soprattutto intrafamiliare, è l'instaurazione e il mantenimento del segreto riguardo all'atto compiuto, che crea forti barriere nel minore sia a livello interiore, che nelle relazioni con gli altri.

L'abusante costringe la vittima al silenzio con l'imbroglio; con i bambini piccoli viene usato il "discorso del gioco": «Questo è un gioco che si fa sempre tra padri e figlie, però non lo devi dire a nessuno». Il bambino viene anche ricattato e minacciato: «Se parli mi uccido» oppure «La mamma e i tuoi fratelli finiscono sul lastrico», «Viene un mostro e ti uccide». Sono tutte frasi riferite dai bambini quando parlano delle violenze subite durante l'infanzia. E ancora (in casi di abuso extrafamiliare): «Se lo dici a qualcuno, lo dico ai tuoi genitori», con un'incongruenza di messaggi spaventosa e colpevolizzante, oltre che altamente confusiva per il/la minore (190).

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La vittima della violenza, inoltre, per poter sopravvivere ad eventi così distruttivi mette in atto potenti meccanismi di difesa che rendono possibile quello che viene chiamato "adattamento all'abuso". Attraverso di esso il bambino tenta di ripararsi in qualche modo dal senso di catastrofe e di distruzione e può permettersi l'illusione che niente sia cambiato, che il suo papà sia comunque un papà buono che gli vuole bene e che la rovina che gli è caduta addosso possa essere in qualche modo tenuta sotto controllo.

Tali meccanismi patologici di adattamento partecipano al mantenimento del segreto. Il far finta di essere altrove durante gli atti abusivi (sentirsi per esempio parte del muro o un piccolo animale che guarda da un angolo della stanza quanto succede), sforzi auto-ipnotici di induzione anestetica riguardo al dolore fisico e alla sofferenza psicologica, e sforzi di non sentire rientrano nei primissimi meccanismi messi in atto dal bambino per difendersi dall'assoluta confusione, angoscia e paura che prova al termine dell'atto abusivo (191).

Tali reazioni sono determinate, oltre che dagli atti abusivi in sé, anche dalle circostanze in cui avviene l'abuso. Ad esempio le aggressioni notturne avvengono nell'assoluto silenzio e al buio mentre il/la bambino/a dorme, di modo che ciò che avviene è contemporaneamente negato dalle stesse circostanze, che rendono più facile la negazione della realtà dei fatti da parte dell'abusante («Hai fatto un sogno»).

Il bambino e la bambina vengono premiati o perlomeno non puniti quanto più e quanto meglio riescono a mettere in atto i meccanismi di difesa, cioè quanto più e meglio riescono a tenere il segreto richiesto dall'autore della violenza, segreto che non è solo verbale ma anche emotivo e comportamentale (192).

Infatti non sempre e non subito il bambino abusato ha comportamenti sintomatici manifesti. Ad esempio, se il brusco calo di rendimento scolastico è uno degli indicatori di violenza sessuale, tuttavia ci sono bambini e bambine che riescono a mantenere una buona riuscita scolastica, per poi riferire più tardi: «L'unica cosa a cui mi aggrappavo era la scuola».

Ciò non significa che il bambino e la bambina non siano danneggiati, ma che essi riescono a mantenere per un periodo più o meno lungo i meccanismi di adattamento messi in atto ai fini della sopravvivenza. Il segreto, anche quello emotivo, evita la punizione e tiene sotto controllo la paura di perdere i familiari o di sentirsi la causa della loro rovina. Invece, il pianto, la paura manifesta e i tentativi di ribellione portano alla punizione, scatenano la rabbia dell'abusante e ne aumentano i comportamenti sadici, che possono essere a lungo mascherati da atteggiamenti comprensivi e solidali. Infatti, spesso, il consolare il bambino triste, che è proprio tale perché vive una situazione di violenza, è da parte dell'abusante il preludio di nuovi atti abusivi (193).

Fattore basilare di mantenimento dell'abuso è la negazione da parte di chi abusa della realtà dei fatti, negazione che spesso persiste tenacemente anche dopo la rilevazione e l'accertamento dell'abuso, e persino di fronte a referti medici inequivocabili. Il negare degli abusanti comprende il negare di avere abusato e di avere progettato l'abuso. Infatti è affermazione ormai consolidata che l'abuso non è un "raptus": prima della messa in atto dei comportamenti abusivi ci sono dei pensieri, delle fantasie sul bambino ed una progettazione per così mettere in atto l'abuso con la ricerca delle circostanze ad esso favorevoli (194). I meccanismi di negazione agiscono molto spesso anche negli altri adulti non abusanti (ad esempio nella madre connivente, che pur sospettando o essendo a conoscenza dell'abuso non ha la forza di cambiare la situazione) e persino negli stessi operatori, che si possono far condizionare nelle loro attività dalla condizione economica della famiglia o dalla buona educazione impartita al bambino dalla famiglia stessa (195).

Le reazioni negative dell'ambiente circostante, a seguito dello svelamento dell'abuso, riportano il minore al silenzio e al segreto, lo spingono alla ritrattazione, aggravano la stigmatizzazione (la visione negativa che il bambino e la bambina hanno di se stessi come cattivi, colpevoli, irrimediabilmente sporchi e contaminati dagli atti abusivi), aumentano il profondissimo senso di vergogna e colpa che egli prova (196); inoltre aumentano le difficoltà di relazione, determinate dalla situazione abusiva, e portano il minore all'isolamento totale, confermando in esso la

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convinzione di non poter condividere con nessuno la propria sofferenza, né di poter trovare in nessun luogo le risposte alla propria confusione.

Tutte queste reazioni sono dette "forme di abuso secondario" (197).

Per poter meglio comprendere che cosa prova, nella maggior parte dei casi, una bambina vittima di abuso sessuale da parte ad es. del padre, significativa è la testimonianza di una bambina, riportataci dal Centro Artemisia di Firenze (che si occupa di maltrattamenti e abuso sessuale all'infanzia), la quale ha vissuto una tale esperienza:

La prima volta avevo 12 anni ed è avvenuto così. C'erano degli ospiti in casa, e così io, mia madre e mio padre abbiamo dormito tutti nella mia stanza: mia madre nel mio letto, ed io e mio padre in due brandine. Mio padre aveva messo le brandine una accanto all'altra. Non sapevo che il giorno dopo il mondo per me sarebbe stato irriconoscibile. Così mi sono addormentata come sempre.

Ad un certo punto mi sono svegliata. Ho realizzato che era mio padre, cercavo di mandarlo via ma non ci riuscivo. Cosa stava facendo?

Ecco capivo cosa stava facendo. Era chiaro. Pensai di chiamare la mamma. Ma era vero quello che stava succedendo. Sì, era vero.

E se era vero, come facevo a dirlo alla mamma? Così non ho urlato. L'ho lasciata dormire tranquilla. Avevo sempre cercato di non darle dei dispiaceri: la mamma era lì, eppure ormai era lontana, come in un altro mondo.

Ho visto il mondo diventare un buco nero. Ma forse ho sognato? - pensai. Ma l'impressione non era di un sogno.

È così che sono cambiata.

Mi aggrappavo alla mia vita precedente, cercando di essere uguale, anche se non lo ero più. Cercavo di pensare che era stato un sogno, ma io non ero più quella di prima e tutto era diverso: mi sentivo sempre più strana ed ero sempre triste.

Intanto cercavo di fare le cose di sempre, ma anche le cose di sempre non erano più per me le stesse.

Mio padre mi prometteva sempre grandi cose che si sarebbero fatte fra un anno e che poi non si facevano mai. Mi diceva: Usciamo! Per parlarmi dei suoi progetti su di me. Io uscivo. Ma dopo un po' mi diceva che dato che ero grande c'erano cose che dovevo sapere. Quelle cose erano molto strane, non mi piacevano. Cercavo di cambiare discorso, ma lui ritornava sempre lì.

Poi ha cominciato a controllare "se crescevo". Aveva un'aria tanto normale, era così normale, secondo lui, "che un papà si preoccupasse dello sviluppo della figlia", che io non osavo oppormi. Come potevo dirgli quello che sospettavo? Ed io come potevo essere così cattiva da sospettare cose del genere? Che mostro ero?

Avrei voluto chiedergli spiegazioni ma non osavo. Intanto stavo sempre più male. E capivo che era colpa sua. Ma non sapevo oppormi, non osavo chiedere niente. Stavo diventando muta.

Così non ho chiesto aiuto quella notte alla mamma, così non ho chiesto aiuto per anni, così non mi sono ribellata. E intanto il tempo passava e non mi riusciva più di stare in mezzo agli altri.

Per anni e anni ho avuto questa sensazione: che io in realtà ero morta.

Ho aspettato tanto e per tanto tempo che mio padre mi desse una spiegazione, che si giustificasse. Ma non lo ha mai fatto.

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Nel frattempo continuavo a giurare dentro di me che non avrei mai dato quel dispiacere alla mamma. Nel frattempo lo odiavo. Perché adesso era chiaro, era così chiaro tutto. Era una mostruosità, era un inferno ma era reale.

Tutto era buio ormai dentro e fuori di me. Tutto era paura.

E alla fine per la paura, ho iniziato a tenere un coltello sotto il cuscino, quando andavo a dormire. Così se fosse venuto ad ammazzarmi mi sarei potuta difendere...

7. L'incesto: tra diritto e sentire sociale7.1 Cenni storici

Già ai tempi degli antichi Greci esistevano norme riguardanti l'incesto: tale popolo, infatti, passò da un'iniziale tolleranza fino alla repressione delle unioni incestuose. La repressione più rigorosa riguardava il matrimonio fra ascendenti e discendenti, mentre era interdetto quello fra fratello e sorella, ed infine tollerato se costoro avevano madri diverse (198).

Nel diritto romano le parole «incestum» o «incestus» designavano un significato più ampio del termine: indicavano i gravi attentati alle leggi religiose e per i quali non era ammessa espiazione. Tra questi vi erano le contaminazioni dei rapporti di consanguineità. La vera e propria incriminazione dell'incesto risale alle origini del diritto romano, quando tale comportamento veniva punito con la pena di morte; in epoca imperiale, poi, la pena capitale venne sostituita dalla deportazione, poiché la maggior parte dei comportamenti incestuosi venivano compiuti da soggetti appartenenti alle classi sociali più privilegiate.

Con l'avvento degli imperatori cristiani vi fu un ulteriore inasprimento della pena: venne inflitta la vivicombustione (199).

Nel periodo illuminista, invece, venne contestata la necessità di reprimere penalmente l'incesto, tantochè esso non venne ricompreso tra i delitti previsti nel codice francese del 1810 e, così, neanche in quello delle Due Sicilie del 1819 né in quello di Parma del 1820.

Successivamente, poi, nel codice sardo-italiano del 1859 e nel codice toscano del 1853 fu ripristinata la previsione di tale reato.

Il codice Zanardelli del 1889 adottò, invece, una soluzione di compromesso, subordinando la punizione del reato al verificarsi del "pubblico scandalo". Tale soluzione non aveva trovato unanime accordo, in quanto erano in molti a proporre di sopprimere l'ipotesi delittuosa.

Il codice Rocco (attualmente in vigore) ha, infine, previsto tale reato all'articolo 564 nel fatto di avere rapporti sessuali, in modo che derivi "pubblico scandalo", con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, o con una sorella o un fratello (200).

Nei lavori preparatori non fu neanche discusso sull'opportunità o meno di punire l'incesto. L'unica perplessità riguardò il mantenimento dello "scandalo pubblico", che venne ribadito, riconoscendosi anzi proprio in esso il requisito fondamentale per la configurazione del reato o almeno per la sua punibilità (201).

La subordinazione della punibilità della condotta al verificarsi di tale elemento fa riflettere sulla concezione sociale che è trasferita nella norma: in base ad essa si può ritenere che tutto ciò che avviene all'interno delle mura domestiche, a prescindere dai motivi per i quali ciò non sia conosciuto all'esterno, non possa e non debba in alcun modo interessare il giudice penale, fino a quando tali azioni non comportino una reazione di disgusto e di sdegno nella coscienza pubblica.

7.2 La definizione giuridica d'incesto

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Che cosa s'intenda per incesto varia da cultura a cultura, da codice a codice, ed è in funzione soprattutto dei diversi punti di vista (giuridico o psicologico o antropologico) che si assumono.

Il nostro legislatore ha deciso di inserire l'art. 564 nel Capo II (Dei delitti contro la morale familiare) del Titolo IX (Dei delitti contro la famiglia) del c.p.

Scopo dell'incriminazione non è, come da taluno (202) si ritiene, la necessità di evitare la degenerazione della razza per il danno che deriverebbe dalla procreazione fra consanguinei. A prescindere dalla considerazione che tale danno è tutt'altro che scientificamente accertato, va tenuto presente che l'incesto ricorre anche quando i rapporti sessuali si verificano tra gli affini in linea retta (suocero e nuora, genero e suocera), fra i quali il vincolo di consanguineità non sussiste. La vera ratio della punizione dell'incesto sta, dunque, nella sua particolare riprovevolezza morale, nella sua turpitudine che lo rende assolutamente intollerabile per la comunità sociale. La profonda ripugnanza che il fatto desta nella coscienza pubblica, induce lo Stato ad intervenire con la più grave delle sanzioni di cui dispone, e cioè con la pena. Infatti l'incesto, secondo l'Antolisei (203), più che gli interessi della famiglia, offende la moralità pubblica e il buon costume. L'offesa agli interessi della famiglia può presentarsi solo sotto il profilo della violazione della norma di condotta che impone l'asessualità nei rapporti parentali. Secondo la Relazione ministeriale sul progetto del codice penale (204), questa violazione spiega il collocamento dell'incesto fra i delitti contro la famiglia.

Invece, secondo un altro autore, Romano, nella fattispecie dell'art. 564 non è agevolmente determinabile il bene oggetto di protezione al punto da apparire quasi "inafferrabile", trattandosi di una disposizione il cui contenuto viene integrato da elementi normativi extragiuridici, che cioè rinviano a norme sociali o di costume, quindi a parametri di valore rimasti spesso travolti dal cambiamento di talune ideologie, per essere sostituiti da altri, non ancora colti e recepiti dal legislatore. L'autore ha inoltre osservato che la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, degli ultimi anni, non ha avuto quasi più modo di occuparsi di tale reato, il che può far pensare che in un prossimo futuro la norma non troverà più applicazione perché ormai estranea agli interessi ed ai valori della società contemporanea (205).

La fattispecie normativa, contenuta nell'art. 564 c.p., è di quelle cosiddette "necessariamente plurisoggettive": in essa, infatti, la condotta tipica è commissibile da almeno due soggetti, i quali devono essere legati fra loro da vincolo di parentela in linea retta (ascendente o discendente) o collaterale entro il secondo grado (fratelli e sorelle), ovvero da vincolo di affinità in linea retta (suoceri, genero, nuora e loro ascendenti o discendenti). Fratelli e sorelle sono sia i germani (figli degli stessi genitori), sia i consanguinei (figli dello stesso padre ma non della stessa madre), sia gli uterini (figli della stessa madre ma non dello stesso padre) (206). Inoltre, non vi è dubbio che, per il disposto dell'art. 540 c.p., vi sono compresi anche gli ascendenti e i discendenti naturali, mentre ne sono esclusi gli adottivi. Sono sorte varie esitazioni per l'esclusione di tali soggetti, soprattutto dopo l'equiparazione legale tra il rapporto familiare di sangue e quello adottivo.

Quanto agli affini è ritenuto valido il criterio interpretativo che si desume dall'ultimo comma dell'art. 307 c.p. per cui agli effetti penali il vincolo cessa allorchè sia morto il coniuge e non vi sia prole. In conseguenza, in tal caso non ricorrono gli estremi del reato di incesto (207). Contro tale tesi, però, gran parte della dottrina rileva che, di fronte al mancato rinvio da parte dell'art. 564 c.p. all'elencazione di cui all'art. 307 ultimo comma c.p., consegue che non può trovare applicazione, ai fini dell'incesto, la disposizione secondo cui «nella denominazione di prossimi congiunti non si comprendono gli affini affinchè sia morto il coniuge e non vi sia prole», ma va invece applicato l'art. 78 c.p. secondo cui l'affinità non cessa per la morte, anche senza prole, del coniuge dal quale deriva (208).

Poiché il codice non precisa in che cosa consista l'incesto, fornendone una nozione puramente tautologica («chiunque commette incesto con...»), sorgono nei confronti di questo reato varie incertezze. Secondo la giurisprudenza e la maggior parte della dottrina il reato si consuma con il compimento di un rapporto sessuale; non manca però chi (209) ritiene sufficiente il compimento di atti sessuali anche diversi dalla congiunzione fisica da parte dei soggetti indicati, in modo che ne derivi pubblico scandalo. Questa seconda opinione si basa sulla motivazione per cui il disgusto morale, che giustifica la punizione, si verifica pure nei casi in cui

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la relazione sessuale si esplica in altre forme, le quali possono essere anche più ripugnanti (210). Nel caso di relazione incestuosa, invece, occorre che la reiterazione dei fatti abbia la caratteristica dell'abitualità.

Il "pubblico scandalo", che è richiesto per la punibilità dell'incesto, va ravvisato nella morale della coscienza pubblica, accompagnata da un senso di disgusto e di sdegno contro un fatto tanto grave. Tale scandalo deve essersi effettivamente verificato e, quindi, non basta che la generalizzata riprovazione, in cui esso si concretizza, venga ad evidenza in qualsiasi modo (e cioè la semplice possibilità che ne derivi pubblico scandalo), occorre che essa sia stata cagionata dalla condotta almeno colposa degli autori. La legge, infatti, non dice «in modo che ne possa derivare», ma «in modo che ne derivi pubblico scandalo». Sotto tale profilo, la giurisprudenza ha ritenuto che non è necessario che la relazione sia conosciuta da tutti: basta che il pubblico scandalo sia derivato da un concreto comportamento incauto degli autori, o di uno di essi, pur se non manifestato direttamente in pubblico, ma rivelato dagli effetti materiali o da confessioni (211).

Un'ampia discussione è sorta riguardo alla natura del pubblico scandalo. Due sono le interpretazioni espresse in merito (212). Secondo una prima, prevalente in giurisprudenza, il pubblico scandalo rappresenta un'ipotesi di condizione obiettiva di punibilità: conseguentemente, esso non sarebbe oggetto di una volizione da parte degli agenti. Peraltro, la sua verificazione dovrebbe comunque essere causalmente riconducibile alla condotta degli agenti stessi. Una seconda interpretazione, prevalente in dottrina, individua nel pubblico scandalo l'evento del reato. Esso deve pertanto essere voluto (o quanto meno accettato a titolo di dolo eventuale) dagli agenti quale risultato (certo o anche solo probabile) della propria condotta.

Per quel che, invece, riguarda la prova del pubblico scandalo, è stato rilevato che in passato si è sostenuto che l'insorgere di tale scandalo derivasse automaticamente dalla conoscenza del rapporto sessuale intervenuto tra consanguinei: la sussistenza di tale elemento non necessiterebbe, dunque, di alcuna specifica prova. Tale opinione pare peraltro condurre ad un'abrogazione implicita di tale requisito, il quale resterebbe sostanzialmente assorbito nella conoscenza della relazione incestuosa, senza necessità che da tale conoscenza nasca effettivamente la pubblica riprovazione. Se ciò è già inammissibile quando si consideri il pubblico scandalo quale condizione obiettiva di punibilità, a maggior ragione è criticabile quando lo si interpreti quale evento costitutivo del reato. Tale opinione non è più condivisa: il pubblico scandalo deve essere provato (213).

L'elemento psicologico del reato è costituito dal "dolo generico": dunque, deve esservi sia la consapevolezza dell'esistenza del vincolo tra gli autori del fatto (è sufficiente anche un vincolo di filiazione illegittima purchè noto agli autori), sia la coscienza e volontà di avere rapporti sessuali con una delle persone indicate in modo specifico nell'art. 564 c.p. (214). Per quanti poi ritengono che il pubblico scandalo costituisca evento del reato, anche quest'ultimo elemento dovrà essere coperto dal dolo, in quanto esso individua una modalità dell'azione criminosa e, dunque, è inerente alla condotta volontaria dei soggetti (215).

La norma non indica limiti di età per gli autori: è però previsto, al terzo comma, un aggravamento di pena nell'eventualità che uno dei responsabili sia minore degli anni diciotto, a carico del correo maggiorenne. Dunque, qualora uno dei due autori non sia imputabile (ad esempio il minore di età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni che venga riconosciuto non imputabile nel caso concreto) o non punibile per qualsiasi motivo, ciò non fa venir meno il reato: e ne risponde però ovviamente solo il soggetto imputabile e punibile.

Per ciò che riguarda la pena e le sanzioni accessorie, la condanna comporta la reclusione da uno a cinque anni nel caso di incesto, e da due a otto anni nel caso di relazione incestuosa; per il genitore, inoltre, la condanna comporta la perdita della potestà sul figlio minore (216). Il reato è di competenza del Tribunale e la procedibilità è d'ufficio: la denuncia, di conseguenza, andrà inoltrata al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale.

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Escludendo l'ipotesi in cui gli autori sono entrambi maggiorenni, occorre vedere quali sono le ipotesi normative di applicabilità della norma in esame.

Nel reato di incesto il minore non è qualificabile tecnicamente come vittima e ciò discende dalla naturale plurisoggettività della fattispecie: se uno dei due subisce, con violenza o minaccia, il fatto dell'altro, non si ha incesto ma violenza sessuale; ugualmente se uno dei due non è capace di prestare un consenso valido.

Dunque il reato di incesto viene compiuto nella seguenti situazioni:

a. quando l'ascendente, oppure la sorella o il fratello convivente, compiono atti sessuale con il discendente di età superiore ai sedici anni e consenziente;

b. quando il fratello, la sorella o l'affine in linea retta non conviventi compiono tali atti con il familiare di età superiore a quattordici anni.

Devono ritenersi applicabili le norme sulla violenza sessuale tutte le volte che una delle due persone deve essere considerata soggetto passivo del fatto dell'altra, anziché concorrente nel fatto stesso (217).

La legge italiana stabilisce all'art. 609-quater c.p. dei limiti tassativi entro i quali il consenso del minore è presunto invalido, a causa dell'età inferiore dei sedici anni. In certe ipotesi, però, può verificarsi che quel particolare minorenne, nel caso concreto, avesse raggiunto una fase di maturazione fisica, psichica e morale tale da far sì che il suo consenso potesse essere considerato umanamente (anche se non giuridicamente) ponderato e consapevole.

Può però accadere anche il contrario, e cioè che allo scadere di tale termine il minore di età compresa tra i sedici ed i diciotto anni non abbia ancora raggiunto quella maturità indicata. In questo caso, sarà il giudice che dovrà compiere un apprezzamento con prudenza (218) per valutare se il minore aveva tale maturità al momento del fatto e, senza fermarsi a ciò, se l'eventuale immaturità di questo soggetto non renda applicabile la fattispecie di cui all'art. 609-bis, 2 comma, n.1, c.p., laddove si punisce come violenza sessuale presunta il fatto commesso in danno alla persona che non sia in grado di resistere all'autore a causa delle proprie condizione di inferiorità fisica o psichica. Bisogna cioè che il giudice non si limiti ad accertare la sussistenza di una causa di proscioglimento (immaturità psichica), che nel caso concreto colpirebbe il minore qualificandolo correo, invece che non imputabile, di un incesto.

7.3 L'incesto nella società

Mentre da un punto di vista giuridico quando si parla di incesto ci si riferisce a situazioni in cui viene violata la morale familiare (che è l'oggetto tutelato dall'art. 564 c.p.) attraverso il compimento di atti sessuali che causano "pubblico scandalo", nella percezione sociale la nozione di incesto viene riferita a tutti quei casi in cui vengono compiute delle violenze sessuali tra soggetti appartenenti alla stessa famiglia. Ciò che rileva in questa definizione è l'elemento della violenza con cui viene commesso l'atto sessuale (219): dunque, viene considerato un caso particolare e specifico della situazione di abuso sessuale.

Esemplificativa è la definizione proposta dal Comitato di protezione giovanile del Quebec, che ha individuato l'incesto in qualsiasi tipo di relazione sessuale che avviene all'interno della famiglia tra un bambino ed un adulto che svolge nei suoi confronti una funzione parentale. Dunque vi rientrano atti compiuti in ogni tipo di relazione, etero od omosessuale (non soltanto se si arriva all'accoppiamento, ma anche quando si verificano pratiche oro-genitali, anali e masturbatorie), e determinati comportamenti parentali caratterizzati da un'intimità fisica eccessiva e dall'imposizione al bambino di atti voyeuristici ed esibizionistici.

Dunque, quando la società discute di situazioni di incesto si riferisce ai casi di abuso sessuale intrafamiliare, che vengono puniti dall'ordinamento con la normativa introdotta dalla Legge n. 66/1996.

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Da anni, comunque, anche i giudici che devono valutare casi di incesto tra un soggetto minorenne ed uno maggiorenne non applicano più l'art. 564 c.p., in quanto tale norma non ha di mira la tutela del minore - che è invece quello che l'attuale percezione sociale ritiene essere l'obiettivo più importante dell'ordinamento - e fanno ricorso alle norme sulla violenza sessuale. Questo cambiamento è risultato anche dal fatto che i vari studi di psicologia sul rapporto sessuale tra un soggetto minorenne ed uno maggiorenne (soprattutto se legati da un rapporto di parentela) hanno individuato che in questa situazione vi è sempre una posizione di soggezione del minore nei confronti dell'altro e un atteggiamento di violenza intrinseca all'atto stesso, anche se non esplicita. È dunque più opportuna la tutela del minore attraverso le norme sulla violenza sessuale (220).

7.3.1 I vari tipi di incesto

Attualmente il numero dei casi di "incesto" più frequenti e dunque conosciuti, nell'accezione considerata dalla società che è, dunque, sinonimo di abuso sessuale intrafamiliare (sia intra che extradomestico), riguarda le relazioni sessuali tra genitori (o adulti aventi funzione parentale) e figli minori di sedici anni: dunque i casi di abuso sessuale intrafamiliare intradomestico.

Moro (221) ritiene che l'eziologia dell'incesto debba essere oggi più esattamente individuata in una "cultura della violenza" pervasiva delle relazioni familiari, nelle quali ogni membro della famiglia contribuisce allo sviluppo e al mantenimento del problema. Dunque non è corretto interpretare l'incesto come qualcosa riguardante esclusivamente il sesso, ma come un fatto legato ai rapporti di potere all'interno della famiglia e ad una serie di sottoculture ancora molto diffuse all'interno della nostra società, come la "cultura del possesso del figlio", che scambia la forza con la potenza, l'affetto con il possesso (222).

In base alle ricerche effettuate dalla letteratura psicologica sull'argomento, la famiglia incestuosa può essere definita come un "blocco monolitico" (223), all'interno del quale le distinzioni generazionali sono ignorate, non esistono ruoli definiti perché le parti si scambiano e si invertono in modo dinamico. I posti non sono stati assegnati: le relazioni tra i membri del nucleo incestuoso sono connotate dalla promiscuità e dall'autarchia. La famiglia è chiusa su di sé, si ritiene autosufficiente e circonda con il segreto ogni azione che avviene al suo interno (224). Poiché non sono mai state affrontate le dinamiche di separazione, la famiglia incestuosa si ritiene autosufficiente. Inoltre, la sua caratteristica predominante è l'autarchia, il suo apparente aspetto è quello di una fortezza impenetrabile, difesa strenuamente dall'arma del "segreto" (225).

Gli abusi sessuali nell'ambito della famiglia possono essere ulteriormente distinti (226) in:

a. Incesto/abuso sessuale tra padre e figlia. Si tratta del caso che si realizza più frequentemente e di cui la letteratura si è maggiormente occupata;

b. Incesto/abuso sessuale tra padre e figlio. Secondo la maggioranza degli studiosi le dinamiche di questa situazione presenterebbero delle analogie con quelle dell'incesto padre/figlia, compreso l'atteggiamento collusivo della madre;

c. incesto/abuso sessuale tra madre e figlia. Non si hanno denunce frequenti;d. incesto/abuso sessuale commesso dal familiare. Nell'ambito della famiglia abusi sessuali

possono essere compiuti da altri parenti, conviventi o comunque presenti con particolare assiduità, come nonni o zii (227). Spesso l'aggressione sessuale viene effettuata da figure sostitutive del padre - assente perché deceduto o separato dalla moglie, come il patrigno o il convivente della madre o anche un fratello maggiore della vittima (228). Quando questo viene compiuto dal convivente o dal coniuge in seconde nozze del genitore è chiamato "paraincesto".

e. incesto/abuso sessuale tra madre e figlio. Il dibattito sul quesito se le madri incestuose/abusanti esistono oppure no è aperto. C'è chi sostiene che le madri non abusino mai dei propri figli, ma c'è chi ritiene invece anche loro autrici di veri e propri abusi sessuali.

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I dati esistenti al riguardo sono pochissimi e quindi avvallerebbero la prima ipotesi: in qualunque ricerca le madri risultano sempre all'ultimo posto tra gli autori di reati sessuali su minori e in percentuali insignificanti. Una delle cause di questa realtà è sicuramente il fatto che "l'incesto" in relazione al rapporto madre-figlio è un tabù culturale (229). Ma i dati registrati in questi ultimi anni dall'esperienza dell'equipe di neuropsichiatria infantile dell'ospedale Bambin Gesù di Roma evidenziano, purtroppo, una certa rilevanza del fenomeno. Infatti secondo una ricerca effettuata nel 1995 su 250 casi trattati, le madri sarebbero nell'11% dei casi le autrici degli abusi sessuali intrafamiliari su figli minori, al terzo posto dopo i padri e i conviventi (230). Gli abusi delle madri sui figli sono molto difficili da scoprire soprattutto perché sono mascherati dalla pratica delle cure e dell'affettività materna. Molti atti di libidine si celano infatti nei bagni e nei lavaggi intimi, nelle applicazioni superflue di creme sui genitali dei figli di entrambi i sessi, nel condividere con questi ultimi fino all'età adolescenziale il letto o le carezze erotiche, arrivando anche al rapporto completo. Tutti questi comportamenti sono naturalmente perversioni materne, spesso anche molto sottili, che sono difficilmente riconoscibili e che non riescono ad emergere se non in terapia (231). Essi sono stati considerati fino a non molti anni fa quasi "naturali", o comunque un "eccesso" tollerato dal sentire comune, in quanto è considerato un dato scontato che il rapporto tra madre e figlio sia esclusivo. Infatti, se una donna esagera nel fare il "bagnetto" al figlio o ad utilizzare le creme siamo tutti propensi a credere che abbia la fobia dell'igiene e censuriamo immediatamente il pensiero che tale donna potrebbe avere desideri incestuosi verso i suoi figli (232).

L'aumento (anche se relativo) della casistica di questo tipo di crimine deriva, dunque, da un'accresciuta sensibilità al fenomeno, sia da parte degli operatori sanitari e sociali, sia da parte della società. Un "rapporto incestuoso" tra madre e figlio crea un futuro uomo (o donna) psicotico. È per questo motivo che questo fenomeno è stato rilevato fino ad oggi dalla sola psichiatria infantile la quale, però, continuava a confondere un trauma reale con un desiderio o una fantasia incestuosa del bambino, ostinandosi a negare la realtà (233).

Un'analista junghiana, Nadia Neri, ha notato che, poiché spesso l'abusante ha anch'esso nel suo passato un'infanzia di violenze ed abusi sessuali (cosiddetto ciclo intergenerazionale della violenza), nei nuclei familiari incestuosi la figura materna instaura con i propri figli un rapporto di continua rivalità - identificazione, fino ad accettare anche la relazione tra la figlia e il proprio marito. La figura maschile, invece, è considerata in questi nuclei come un'entità ostile e sconosciuta, un "estraneo" che irrompe nella vita familiare (234). È dunque inevitabile che a questa cultura del padre-estraneo corrisponda un'idea di madre-titolare esclusiva del rapporto con i figli.

In genere i padri riescono ad esercitare un immenso potere sui propri figli, facendo uso della violenza, dell'intimidazione, delle minacce o di strategie seduttive alle quali è impossibile resistere, soprattutto da parte di un minore; se una madre, invece, ha desideri "incestuosi" non ha bisogno di ricorrere alla violenza, né alle intimidazioni, né alle minacce (235). Le basta il potere che le è conferito come "madre" ed i danni che produce nella psiche del bambino sono devastanti. Dunque l'elemento della violenza rappresenta una discriminante forte tra "l'incesto" padre-figlia e quello madre-figlio: nel primo è probabile che ci sia, nel secondo no.

7.3.2 "Incesto" padre-figlia

L'incesto/abuso sessuale padre-figlia rimane tuttora la combinazione più diffusa e conosciuta (3/4 dei casi di violenza sessuale intrafamiliare (236)) e non è sempre accompagnato da atti di violenza, come la maggior parte delle persone presumono.

Tale tipo di violenza si inserisce all'interno di una dinamica particolare e complessa che certamente lo differenzia da qualsiasi altra forma di abuso compiuta da un adulto ai danni di un minore. Infatti, mentre in qualsiasi altra forma di violenza sessuale la vittima, di qualsiasi età essa sia, ha la possibilità di riconoscere nell'abusante la figura del colpevole, "l'incesto" priva chi lo subisce della libertà di difendersi e di odiare (237).

Le figure genitoriali, all'interno della "famiglia incestuosa", sono complementari: ad un padre-padrone corrisponde una madre assente, ad un padre endogamico una madre anaffettiva. Nel

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primo caso, il cosiddetto "padre-padrone" (238) è indicato dalla letteratura come colui che ha la convinzione che la disponibilità sessuale sui propri figli sia uno degli aspetti della totale disponibilità che egli non può non avere su tutta la famiglia; che i rapporti familiari siano di puro dominio e che quindi sia del tutto ammissibile che si punisca la figlia con l'abuso sessuale; che il compito educativo del padre che svela il mondo alla figlia comprenda anche il rito di iniziazione connesso con l'esperienza sessuale. Questa immagine è associata, complementarmente, a quella della "madre assente", dipendente, sottomessa e spesso anch'essa abusata dal marito (239).

Esiste, però, un'imponente letteratura che rivela come il modello delle relazioni affettive nella famiglia incestuosa possa essere esattamente l'opposto, essendo il padre inadeguato, debole, timido, dipendente: questa è l'immagine del cosiddetto "padre endogamico". Questa figura è solo in apparente contraddizione con quanto descritto prima, perché in realtà il padre-padrone nasconde, sotto l'atteggiamento di ostentata autorità, una sostanziale insicurezza e debolezza (240). Questo tipo di padre viene spesso associato ad una "madre affettivamente distante", poco attenta ai bisogni degli altri membri del nucleo familiare e che demanda il suo ruolo coniugale e materno alla figlia, la quale diventa così la nuova partner del padre. La figlia viene caricata di pesanti responsabilità alle quali non può sottrarsi, pena la perdita dell'affetto dei genitori da cui il bambino dipende: si tratta del cosiddetto "terrorismo della sofferenza", cioè della tendenza a riversare sulle spalle dei figli ogni tipo di disordine interno alla famiglia (241).

Vi sono, però, anche casi in cui il padre appare alla figlia genericamente insoddisfatto della moglie ed egli attua "l'incesto" con la figlia come un paradossale tentativo di ristabilire l'equilibrio familiare. La madre, sentendosi incapace di accontentare il marito, si mostra debole ed arrendevole, cedendo la figlia alle cure del marito, il quale adotterà con la figlia atteggiamenti da coetaneo, esplicitando chiaramente quanto si senta realizzato solo in sua compagnia. Il rapporto si sessualizza nel momento in cui il padre allude chiaramente alla sua insoddisfazione per le prestazioni sessuali con la moglie ed inizia così la relazione con la figlia (242).

A volte può accadere che una moglie, particolarmente dipendente, sia ossessionata dall'idea di non perdere il proprio uomo e veda la figlia come un tramite di offerta di un legame sessuale con una ragazza più giovane, che possa così renderlo felice ed appagato. Ciò è vero specie se a questo tratto si aggiunge la frigidità e il fatto di essere sessualmente rifiutata. In questo tacito "gioco" non ci sono sensi di colpa, a meno che la "relazione incestuosa" non venga alla luce (243).

Si può affermare con certezza che dietro l'abuso sessuale c'è sempre una premeditazione, cioè la fase di vera e propria interazione sessuale è sempre preceduta da fantasie sessuali sulla minore, dalla progettazione dell'abuso e dalla ricerca attiva di circostanze che ne permettano l'attuazione.

In molti casi l'abusante stabilisce con la bambina un rapporto esclusivo e la isola con vari mezzi dal resto della famiglia, facendole credere che è la figlia preferita, l'unica della famiglia "alla sua altezza", con cui si può parlare da pari a pari ecc., oppure cercando di impietosirla mostrandosi incompreso, bisognoso di cure ed attenzioni, e svalutando la madre agli occhi della bambina. Può mettere di fronte alla figlia tutta una serie di promesse e progetti in cui lei sarà la protagonista, inserendola in aspettative di realizzazioni sociali grandiose e facendole credere di averne le chiavi di accesso; le può promettere di concederle di partecipare ad attività al di fuori della famiglia in un futuro che non arriverà mai, in quanto nella realtà tutte queste promesse servono da esca a mantenerla nella sua orbita e per poterle nel contempo proibire le attività di socializzazione normali per la sua età. In questo modo mantiene viva nella bambina l'aspettativa che le cose potranno cambiare e la speranza che il suo papà sia in realtà un papà buono che le vuole bene e che la vuole aiutare (244). Inoltre mette in atto una serie di strategie volte a svalutare su tutti i piani la figura materna e interferisce nella relazione madre-figlia, in modo che la bambina non possa trovare aiuto in questa.

L'azione del padre volta all'isolamento della figlia agisce in molti casi su una difficoltà già presente nella madre in termini di protettività e di vicinanza affettiva verso la bambina, legata a sue difficoltà personali o a fattori contingenti quali malattie fisiche, aumentando la distanza

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tra le due al punto tale da rendere entrambe del tutto impotenti; l'una ad accorgersi dell'abuso e a difendere la figlia, l'altra a chiedere aiuto. L'azione del padre è volta spesso anche a "buttare fumo negli occhi" della moglie, facendo cadere anche lei in una fitta rete di inganni.

D'altro canto madri che iniziano a sospettare che qualcosa "non funzioni", perché colgono qualche comportamento "strano" del marito nei confronti della bambina, e che per questo lo affrontano, vengono subito da lui accusate di essere pazze, visionarie e incapaci come madri, spesso picchiate per tale visionarietà e minacciate («Se non la pianti ti faccio togliere i figli») (245).

Inoltre, nei casi di concomitante maltrattamento fisico, l'inizio dell'abuso può coincidere con una diminuzione degli episodi di percosse sulla figlia, che deve così pagare la sua "incolumità" fisica a prezzo della violenza sessuale; tale prezzo viene frequentemente pagato dalle figlie anche al fine di evitare altri episodi di violenza sulla madre e sugli altri bambini e bambine della famiglia. A volte, invece, le bambine - che verranno poi abusate - vengono "preservate" dalle percosse, che sono riservate agli altri figli e/o alla mamma: questo "riguardo" nei loro confronti, che fa parte del lavoro di adescamento, fa sentire le bambine privilegiate e nello stesso tempo colpevoli nei confronti di chi all'interno della famiglia viene percosso o percosso di più; l'impotenza nel constatare di non poter difendere in altro modo la madre e i fratelli, la situazione di apparente privilegio, unite spesso ad aperte minacce del padre circa ulteriori aggressioni fisiche al resto della famiglia, consolidano sempre più il ruolo segreto di vittima sacrificale della bambina sessualmente abusata (246).

Le bambine e i bambini piccoli, inoltre, non riescono assolutamente ad individuare la colpa dell'adulto, se l'adulto è esteriormente gentile ed affettuoso, se quanto avviene è presentato come fosse un gioco e se vengono date delle ricompense per la partecipazione a certi atti.

La complicità della madre può essere di tipo passivo, tacito, talora inconscio, o estrinsecarsi in un comportamento attivo. Ai due comportamenti corrispondono personalità distinte (247). Nel primo caso, la madre è incapace di stabilire una qualsiasi relazione con la figlia e con il marito: questo "abbandono emotivo" della famiglia da parte della moglie può indurre il marito ad incentrare le proprie attenzioni sulla figlia. La complicità attiva della madre, invece, può variare da incoraggiamenti ambigui sino al vero e proprio aiuto fisico prestato al coniuge che usa violenza alla figlia. Nella madre, in quest'ultimo caso, al distacco emotivo si accompagnano disturbi più gravi della personalità e talora tratti psicotici. La donna, fortemente dipendente nei confronti del marito, teme di venir sostituita nel proprio ruolo dalla figlia, che sta crescendo, e prova nei confronti di quest'ultima un risentimento sempre più forte, sino a desiderare di vederla punita ed umiliata (anche attraverso l'abuso).

Ha un'importanza fondamentale anche l'elemento culturale legato ad una concezione arcaica, esasperatamente patriarcale, del ruolo del capofamiglia, che grande potere assumeva nel passato ma che ha ancora oggi la sua rilevanza negli strati sociali di basso livello culturale o presso comunità arretrate. In questi casi il padre considera l'attività dell'incesto come un legittimo esercizio del suo potere assoluto; perciò egli ben può abusare della o delle figlie - che secondo il suo pensiero costituiscono una sua "proprietà" - per soddisfare esigenze sessuali e/o affettive o semplicemente a scopo punitivo. Come osserva Isabella Merzagora (248), «l'incesto è probabilmente una delle conseguenze di una sottocultura che confonde la forza con la violenza, la virilità con l'ipersessualità, l'autorevolezza con l'autoritarismo (....) Il problema non è sessuale, ma di violenza esercitata dal padre-padrone su moglie e figlie e trasmessa - come valore culturale da imitare - ai figli». Le interpretazioni più recenti tendono, infatti, a vedere "nell'incesto" commesso dal padre un tentativo di riaffermare la propria supremazia nell'ambito familiare, una violenta rivendicazione di potere più che un'espressione di problematiche sessuali.

La figlia vive la situazione "dell'incesto" con il padre come un conflitto dilaniante (249): da un lato vorrebbe porre fine ad una situazione imbarazzante e traumatica per andare incontro ad una vita normale, dall'altro non è in grado di parlare un po' per vergogna e un po' per paura; inoltre questa decisione minerebbe la sicurezza e l'apparente stabilità della famiglia, che a questo punto essa ritiene dipendano esclusivamente da lei. Marinella Malacrea (250) infatti

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afferma che "la vittima di abuso sessuale si trova davanti ad un doppio vicolo cieco: «o cercare di valere qualcosa e quindi perdere il legame, oppure restare spregevole per conservarlo»".

In generale è possibile affermare che da ambo le parti si tende comunque ad occultare l'incesto con un silenzio molto rigido. I genitori tendono a razionalizzare "l'incesto" («...volevo solo mostrarle come si fa.»); a questo si aggiunga che, pur di preservare la famiglia, i genitori negano persino dopo che la scoperta è avvenuta, fino a condannare la stessa vittima se è la causa della scoperta (251). Spesso, infatti, alle violenze subite dal genitore abusante, si aggiungono quelle - forse ancor più brucianti - compiute da parte di tutto il nucleo familiare e dalla società, per il fatto di non essere credute. L'isolamento, che caratterizza la situazione infantile di questi bambini, si protrae anche dopo la denuncia: si forma il vuoto intorno al loro coraggio e da vittime innocenti si trasformano in calunniatrici colpevoli. Una ragazza, dopo anni di violenze compiute dal padre, non essendo stata creduta dalla madre, ha fatto questo amaro commento: "È stato quello il più grande dolore della mia vita. Lui mi ha violentata e tormentata per tutta l'infanzia. Ma mia madre mi ha uccisa" (252).

7.3.3 Le conseguenze "dell'incesto"

Raramente "l'incesto" si esaurisce in un singolo episodio; la durata della relazione è mediamente di due anni, ma può protrarsi anche per più di cinque. Inoltre le attenzioni sessuali del genitore (specialmente nel caso dell'incesto padre-figlia) sono frequentemente rivolte a più soggetti e quando vi sono più figli viene realizzato nei confronti di tutti, anche se magari in periodi diversi.

Tra gli autori vi è una larga concordanza nel ritenere che "l'incesto" provochi conseguenze negative e che queste siano spesso gravi e durature, soprattutto sul piano psicologico. Oltre alle reazioni immediate, l'abuso determina nei minori effetti a lungo termine, tanto che questo tipo di violenza è stato definito "una bomba ad orologeria" (253). La reazione dei bambini a questo tipo di violenza non è immediatamente di rifiuto e difesa, perché i bambini non possiedono ancora una personalità forte e consolidata tale da opporre ai desideri sessuali dei genitori; più spesso sono ammutoliti dall'autorità delle figure parentali e dalla confusione generata in loro dall'atto compiuto (254).

Occorre inoltre ricordare che alle conseguenze della stessa violenza sessuale si aggiungono, quando il fatto viene scoperto, gli ulteriori effetti derivanti dall'aggravarsi della disgregazione familiare, dal discredito sociale e dall'intervento istituzionale sul minore. Anche a distanza di anni le vittime presentano stati ansiosi, depressione, insicurezza, talvolta aumento dell'aggressività, difficoltà scolastiche e, nei rapporti interpersonali, complessi di colpa e problemi sessuali. In certi casi l'esperienza incestuosa può determinare nelle vittime, dopo un certo periodo, l'insorgere d'anoressia.

Una delle conseguenze più gravi, derivanti dall'abuso sessuale intrafamiliare, è la confusione a lungo termine dei livelli cognitivi, emozionali e sessuali generati nel bambino. Egli, infatti, si trova ad essere, durante il periodo dell'abuso, uno "pseudo-partner" e al tempo stesso è strutturalmente dipendente, in quanto bambino, dal genitore. Tutto questo comporta nel bambino, a causa anche delle minacce di violenza e segretezza, un'incapacità di orientarsi, in modo significativo, cognitivamente, emozionalmente e socialmente (255).

Inoltre, gli effetti a lungo termine sullo stato psicologico delle vittime (256), nell'adolescenza e nella prima maturità, si manifestano spesso con l'aumento della delinquenza, con l'abuso di droga e alcool, con la promiscuità e la prostituzione, con l'isolamento sociale, con l'aumento dei tentativi di suicidio e con l'incremento significativo degli indici di sintomi depressivi. Le conseguenze psicologiche possono comunque variare secondo il modo con cui è stato attuato l'incesto. Ad esempio, se la vittima ha subito un abuso sessuale violento da parte di un genitore, le conseguenze saranno aggravate dal fortissimo trauma psicologico dovuto alla trasformazione negativa della figura genitoriale, che passa d'improvviso da un ruolo protettivo a quello di aggressore.

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La situazione si presenta diversamente se il genitore ha agito senza violenza apparente, assumendo un atteggiamento seduttivo, sfruttando l'ingenuità del figlio o della figlia e attuando ricatti affettivi. In questo caso la partecipazione all'incesto potrà portare la vittima (specialmente dopo la fine della relazione e con il sopraggiungere della piena consapevolezza dell'accaduto) a sviluppare un profondo senso di colpa e di disprezzo verso se stesso, unitamente ad istanze autopunitive e a repulsione verso il sesso opposto.

Occorre considerare anche i sensi di colpa della vittima, che può avere la sensazione di aver tradito il genitore abusante, sentire che è responsabile della sua carcerazione e del disfacimento della famiglia. Inoltre, va ricordato che la perdita improvvisa e inaspettata di tale genitore è per il minore la perdita di un importante figura genitoriale, anche se è colui che lo ha danneggiato abusando di lui: per qualche bambino è addirittura l'adulto più importante della sua vita (257).

È importante rilevare che la crescita del senso di colpa nella vittima d'incesto è stimolata in modo decisivo dal comportamento della famiglia e della società in genere, le quali attuano un vero e proprio processo di "colpevolizzazione" nei suoi confronti (258). Specialmente le bambine subiscono queste conseguenze poiché l'opinione comune tende ad attribuire loro un ruolo "attivo" nella dinamica dell'incesto, ossia di provocazione verso il padre.

Non è da escludere che in alcuni casi le bambine abbiano mostrato atteggiamenti seduttivi nei confronti dell'adulto, o che siano state effettivamente ambivalenti nei comportamenti, ma è riconosciuto come una tappa obbligata ed indispensabile del processo di formazione dell'identità infantile quello che la psicoanalisi ha chiamato il complesso d'Edipo: dunque provare amore per il genitore del sesso apposto e gelosia per quello dello stesso sesso è lecito, inevitabile e normale nei bambini dai tre ai sei anni.

Oggi l'orientamento scientifico più recente tende ad essere piuttosto severo verso l'impostazione, accusata di facilitare un'ulteriore vittimizzazione del minore, secondo la quale il bambino può essere considerato, in alcuni casi, "vittima partecipante" (259) in quanto, conoscendo l'aggressore, avrebbe consciamente o inconsciamente voluto il trauma sessuale, provocando l'adulto o assumendo un comportamento compiacente, oppure accettando in cambio dell'atto sessuale regali o denaro. Sarebbero in realtà gli adulti ad equivocare, interpretando come advance sessuali gli atteggiamenti di ricerca e di sollecitazione affettuosa da parte dei bambini. La tesi prevalente al riguardo è che la partecipazione del minore non può in ogni modo incidere sulla responsabilità dell'adulto (260).

Oggigiorno possono essere causati anche "traumi secondari" nel bambino vittima di un abuso sessuale, a causa dell'incompetenza degli operatori nei vari ambiti di presa in carico della situazione (261). Occorre ricordare che l'abuso sessuale non cessa di avere effetti al momento della neutralizzazione e dell'allontanamento dell'abusante dalla vittima. Di conseguenza, quando viene intrapreso un accertamento peritale è necessario cercare molto di più dell'attendibilità di una testimonianza: bisogna entrare in contatto emotivo con il bambino per individuare, al suo interno, la presenza di un'esperienza estranea ed imposta, che continua a produrre effetti nel tempo. Il bambino, che è stato abusato a lungo, non ha alcuna aspettativa di trovare un adulto comprensivo ed accogliente, perché l'esperienza subita è tale da fargli vedere la realtà alla luce degli eventi vissuti: così egli chiederà di lasciarlo solo, perché la solitudine è comunque uno spazio vuoto in cui forse crede di potersi rifugiare (262).

Un'attività di prevenzione dovrà, dunque, mirare anche all'opportuna preparazione di tali operatori

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Capitolo IIDalla rivelazione all'accertamento: testimonianza verbale del minore1. La denuncia di abuso sessualeLa denuncia costituisce il primo passo necessario per avviare sia un intervento di tutela della vittima, sia un procedimento penale nei confronti del presunto colpevole. Quanti sostengono la validità di questo strumento sono convinti che chiunque rinunci a denunciare, magari adottando procedure più informali di approccio alla famiglia abusante, corre il rischio di entrare a far parte della "patologia del segreto" (1).

La denuncia dovrebbe essere fatta dalla persona cui il bambino ha raccontato per la prima volta dell'abuso subito; spesso, però, l'estrema delicatezza e difficoltà del procedimento penale per fatti di abuso sessuale crea sempre tra gli operatori sociali e coloro che stanno a contatto con i bambini (ad esempio le insegnanti) una forte riluttanza ad adire l'autorità penale.

La presentazione della denuncia è una decisione molto difficile, spesso subordinata ad una serie di condizioni: prima fra tutte, una sorta di delibazione preventiva dell'attendibilità del minore (giudizio che, invece, può essere fatto solo al termine delle indagini e che è di pertinenza esclusiva del magistrato penale) o, peggio ancora, una valutazione sull'esistenza di riscontri obiettivi o sulla dannosità del processo penale, o anche sull'esistenza del consenso alla denuncia da parte del minore.

Tutte queste valutazioni sono fatte dall'operatore che si trova di fronte ad un caso sospetto di abuso. Si vengono così a creare, fra notitia criminis e denuncia, una serie di filtri con l'unico risultato di ritardare l'inizio delle indagini (2).

Una situazione di abuso sessuale può emergere o in forma esplicita (rivelazione), quando il minore confida la propria situazione traumatica ad una persona a lui vicina, oppure in forma implicita (rilevazione), attraverso indicatori comportamentali.

Più in particolare si possono distinguere:

casi in cui si manifesta una rivelazione "diretta" dell'abuso da parte del minore, nella quale cioè lo stesso racconta al proprio interlocutore fatti che, se veri, costituiscono, senza dubbio, ipotesi di abuso sessuale nei suoi confronti;

e casi in cui si ha una rivelazione "mascherata" con cui il minore non riferisce fatti di abuso, ma descrive situazioni che ordinariamente ne costituiscono la premessa, quali fatti di grave maltrattamento, comportamenti ambigui dell'adulto nei suoi confronti, ecc.

Equiparabili a queste ultima situazioni sono quelle in cui il minore, senza raccontare esplicitamente fatti di abuso, tiene comportamenti che possono far sorgere il sospetto che ne sia vittima: ad esempio comportamenti erotizzati, incongrui rispetto all'età, ed atti autolesionistici privi di comprensibile spiegazione. Queste sono le ipotesi di rivelazione.

I casi a presentazione "diretta" solo in apparenza comportano un accertamento più semplice. Infatti, si pone qui in tutta la sua complessità il problema della credibilità del minore che rivela l'abuso. Del resto, anche escludendo l'intenzione di mentire, quale può essere l'attendibilità dei racconti di bambini piccoli, per loro natura imprecisi, senza parametri chiari su ciò che è o non è semplice manifestazione d'affetto? Se è vero che è tipico del bambino confondere i tempi

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degli avvenimenti e mescolare sensazioni soggettive a dati oggettivi, come è possibile per l'interlocutore farsi una chiara idea sui fatti? (3)

D'altra parte, questo fenomeno di apparente confusione si verifica anche in bambini più grandi o addirittura in adolescenti, soprattutto se gli episodi ricordati devono essere fatti risalire ad un passato non troppo recente e/o riguardano comportamenti dai connotati sfumati, come le molestie sessuali.

Occorre ricordare che non sempre ciò che è rilevante e centrale per l'adulto lo è altrettanto per un bambino e che ogni giudizio sulla credibilità di quest'ultimo deve tener conto di questa differenza di prospettiva (4).

Dopo che il minore ha potuto raccontare un episodio ed è stato aiutato a ricordarlo più nitidamente, non infrequentemente ne rivela altri: ciò non deve indurre sospetto e far pensare ad invenzioni del bambino. Probabilmente questi ulteriori ricordi riguardano fatti altrettanto reali, che solo a posteriori possono ritornare nella sua memoria ed essere riconosciuti da lui come episodi di abuso sessuale. Ciò potrà avvenire proprio grazie sia all'esperienza affettiva di essere creduti e oggetto di attenzione, sia a quella cognitiva di aver potuto tradurre in parole ed inquadrare con certezza un'esperienza tanto carica di emotività conflittuale (5).

I casi a presentazione "mascherata" sono molto più frequenti di quanto si pensi e pongono, per di più, una serie di interrogativi: quanto è lecito sospettare? Si possono, e in che termini, proporre accertamenti medici non richiesti, sapendo che una buona percentuale di essi si rivelerà inutile (6)?

In questi casi acquista particolare rilievo la possibilità di valorizzare i dati che provengono da un'accurata valutazione sanitaria del soggetto che si presume abbia subito abuso sessuale (7). Di solito questo tipo di scoperta avviene perché qualche persona che sta a contatto con il minore nota dei comportamenti che lo "insospettiscono" e chiede che vengano fatti degli accertamenti medici (8).

Premessa indispensabile è che gli operatori sanitari "sospettino" che una delle possibili conclusioni del percorso diagnostico in campo ginecologico e/o pediatrico e/o psicologico possa essere proprio la diagnosi di abuso sessuale. Solo a partire da questa preoccupazione si aprirà la possibilità di indagini appropriate, che saranno successivamente compito dello specifico operatore (9).

L'acquisizione della notizia del reato apre la fase degli accertamenti che potranno portare - se saranno riscontrati concreti elementi di prova - al procedimento penale.

La notitia criminis può derivare o dalla ricezione, da parte del pubblico ministero o della polizia giudiziaria, della rivelazione del reato da parte della vittima o di terzi oppure da un'iniziativa diretta da parte di tali organi, comunque venuti a conoscenza del fatto od operanti per l'individuazione di fatti costituenti reato (10).

Per i reati in cui le vittime sono minori sarebbe opportuno che si costituisse un nucleo di polizia specializzata in grado di effettuare indagini approfondite al fine di identificare situazioni in cui è più facile lo sfruttamento del soggetto in formazione. È molto difficile che in questi casi vi sia una denuncia diretta, perché spesso l'ambiente in cui vive il minore è insensibile ai suoi bisogni e, così, solo una vigilanza continua sul territorio da parte di organi di polizia, particolarmente attenti a questi aspetti della tutela della personalità del minore, potrà far emergere il fenomeno. Un esperimento in tal senso è stato posto in essere a Milano con la costituzione, nei primi anni novanta, presso la questura di una sezione specializzata in reati in danno di minori che fa parte della squadra mobile (11)

Regola fondamentale, ai fini di un'efficace indagine penale, è la possibilità per il pubblico ministero di ricevere la notitia criminis con tempestività, e cioè prima che il potenziale indagato sia a conoscenza delle indagini in corso.

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Perché questo possa realizzarsi è necessario istituire con tutti gli operatori del settore (ASL, servizi sociali dei comuni, scuola, istituti minorili, giudici minorili, ecc.) intese finalizzate a creare rapporti stabili, basati sulla fiducia reciproca e sulla conoscenza dei rispettivi metodi di lavoro, in modo da renderli reciprocamente compatibili ed ottimizzare i risultati.

Bisogna, inoltre, che sia incentivata la trasmissione dovuta all'ufficio del pubblico ministero di tutte le segnalazioni che presentino, oggettivamente, le caratteristiche minimali di una notitia criminis, tranquillizzando gli interlocutori (soprattutto dicendo loro che le indagini verranno condotte con la massima riservatezza, senza alcun clamore esterno, all'insaputa del diretto interessato e con la metodologia che tenga conto delle esigenze del minore) (12).

Infine, sarebbe utile promuovere una forte esortazione di tutti gli operatori del settore a contatto diretto con il pubblico ministero (o con la polizia giudiziaria): essi devono essere competenti non solo quando viene trasmessa una denuncia che richiede interventi d'urgenza (tipico è il caso dell'allontanamento), ma anche in tutti i casi dubbi nei quali occorra stabilire se sussistano o meno gli elementi essenziali della notitia criminis. Infatti, anche quando sussistono meri sospetti di abuso (caso tipico è il comportamento erotizzato di minori in età infantile), anche se la denuncia può essere ritenuta prematura, è importante un contatto preliminare con il pubblico ministero al fine di concordare le modalità di un approfondimento che potrebbe portare alla rivelazione dell'abuso. Infatti tali modalità devono, nei limiti del possibile, tutelare le esigenze di un'eventuale indagine penale, prima fra tutte la riservatezza del possibile indagato (13).

Per consentire un pronto intervento nei casi delicati ed urgenti potrebbe essere opportuno creare nelle grandi Procure, una sorta di "turno esterno" fra pubblici ministeri che si occupano della materia, eventualmente dotato di mezzi di pronta reperibilità, quale il telefono cellulare, al fine di far fronte alle segnalazioni da parte degli operatori del settore. L'esperienza della Procura milanese insegna, infatti, che è della massima importanza per tali operatori avere come referenti non un anonimo pubblico ministero ma una persona conosciuta con la quale già esista un rapporto di fiducia e di collaborazione (14).

1.1 Gli obblighi di denuncia da parte dei soggetti che rivestono funzioni o incarichi di natura pubblica

A prescindere dall'utilità o meno della denuncia penale, la segnalazione del sospetto abuso da parte dell'insegnante, del personale sanitario in servizio nei presidi pubblici o degli operatori dei servizi pubblici rappresenta un atto obbligatorio che espone a precise responsabilità, anche penali, in caso di omissione.

In primo luogo vi è l'articolo 331 c.p.p. che stabilisce l'obbligo di denuncia per il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio per i reati procedibili d'ufficio. Le pene per chi omette la denuncia sono previste dagli artt. 361 e 362 c.p (15).

Va inoltre tenuto presente che, dopo le modifiche introdotte dalla legge 15 febbraio 1996 n. 66, sono procedibili d'ufficio i più significativi tra i reati sessuali posti in essere all'interno della famiglia.

Negli altri casi i reati sessuali sono procedibili a querela ossia su richiesta della persona danneggiata, querela che deve essere proposta entro sei mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato (art. 609 septies, comma 2 c.p.) e che una volta proposta è irrevocabile. Se si tratta di un minorenne che non ha compiuto almeno i quattordici anni deve provvedere chi esercita la potestà, ossia, di regola, uno dei genitori (art 120 c.p.). Se invece il minorenne ha più di quattordici anni, egli può presentare personalmente querela oppure, nonostante ogni sua volontà contraria, può presentarla anche chi esercita su di lui la potestà (16).

Per i reati sessuali procedibili a querela, se risultano connessi con altri reati procedibili d'ufficio (art. 609-septies, comma 4 n. 4 c.p.) - condizione che si verifica abbastanza spesso, potendo ricorrere l'ipotesi di minacce gravi (art. 612 c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.), lesioni personali (artt. 582, 583 c.p.), sequestro di persona (art 605 c.p.) - è prevista la procedibilità

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d'ufficio e l'obbligo di denuncia. La presenza di queste circostanze può non essere facilmente identificabile al momento della denuncia. Quindi, per realizzare un'effettiva tutela del minore, sarebbe opportuno che i soggetti obbligati effettuassero sempre la denuncia, lasciando al magistrato la valutazione se nel caso esiste oppure no una condizione di procedibilità (17).

In ogni modo, l'obbligo per il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio sorge solo quando il reato è già delineato nelle sue linee essenziali e quando vi sono elementi fondati tali da indurre a ritenere che esso sussista.

Una disposizione molto importante è inoltre contenuta negli artt. 121 c.p. e 338 c.p. secondo i quali, in caso di conflitto d'interessi con l'esercente la potestà o quando non vi è chi abbia la rappresentanza del minore di quattordici anni, la querela può essere proposta da un curatore speciale, nominato dal giudice delle indagini preliminari su istanza del pubblico ministero o degli stessi servizi che hanno per scopo «la cura, l'educazione, la custodia o l'assistenza dei minorenni» (18).

Infine, altro obbligo di segnalazione discende dall'art. 9 della legge 4 maggio 1983 n. 184, che riguarda la segnalazione al Tribunale per i minorenni dei casi di "abbandono di minori". Infatti, l'abbandono può essere anche di tipo morale; non sussiste, cioè, solo nel caso di pesanti trascuratezze materiali, ma anche in presenza di comportamenti che possono pregiudicare un equilibrato sviluppo psicoaffettivo del minore (e tra questi possono essere indicati gli abusi sessuali) (19).

1.2 Conflitto fra l'obbligo di referto e l'obbligo al segreto professionale

L'art. 622 c.p. punisce la rivelazione del segreto professionale. Obbligato al tale segreto è chiunque sia venuto a conoscenza del reato nell'esercizio o a causa delle sue funzioni: ciò significa che occorre un nesso di consequenzialità immediata tra l'informazione ricevuta e l'espletamento della funzione o del servizio, cioè occorre che la notizia di reato sia stata appresa nello svolgimento del lavoro o della funzione.

Il problema si pone in particolare per gli esercenti una professione sanitaria (fra i quali sono ricompresi psicologi e psicoterapeuti, anche quando operano come professionisti privati) che hanno l'obbligo di inviare un referto all'autorità giudiziaria ai sensi dell'articolo 365 c.p. (20)

Il discorso riguardo gli esercenti una professione sanitaria è abbastanza controverso. Al medico la legge impone di inviare un referto all'autorità giudiziaria tutte le volte che abbia prestato la sua assistenza in casi che possono presupporre un delitto perseguibile d'ufficio, e solo quando il paziente sia vittima o parte lesa; non «quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale come imputato». Allora interviene l'obbligo del segreto professionale e viene a cadere il reato di omissione di referto (21).

La controversia riguarda chi sia la persona assistita nel caso del minorenne abusato, che ad esempio venga accompagnato alla visita medica dal genitore abusante. Qualche autore ha sostenuto che, poiché nel caso del minore, la richiesta di prestazione medica deriva dal genitore, questi diventa anche titolare del diritto al segreto professionale. Da altri è stato rilevato che assistito è il minore e che quindi il medico sia liberato dal vincolo del segreto professionale nei confronti del genitore (22). Tuttavia, è sostenibile anche che entrambi si affidano al medico per un consiglio e per una terapia. Comunque, tutte queste incertezze cadrebbero qualora la legge imponesse al medico di segnalare il caso anziché all'autorità giudiziaria a centri socio sanitari specializzati o a qualche settore appositamente strutturato dei servizi sociali territoriali (23).

2. Il ruolo del Tribunale ordinario e del Tribunale per i minorenni

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Quando la notizia del reato è giunta alla polizia giudiziaria o alla Procura, il pubblico ministero (per cui l'esercizio dell'azione penale è obbligatorio) inizia l'indagine preliminare, diretta ad accertare i presupposti di fatto richiesti per il concreto esercizio dell'azione. In questa prima fase può, a sua discrezione (poiché non ne ha l'obbligo), segnalare il caso al Tribunale per i Minorenni, che è però l'unico a poter disporre misure di protezione nei confronti del minore abusato.

Se il caso non viene archiviato, ed anzi le indagini preliminari evidenziano sufficienti elementi a carico dell'inquisito, allora viene promossa l'azione penale. Tuttavia, anche qualora questa sfoci in un'affermazione di responsabilità, la condanna diventa definitiva soltanto in seguito all'inutile decorso dei termini per impugnare (24).

Fino a quel momento, dunque, l'abusante può essere sottoposto a misure restrittive solo nel caso in cui sia ritenuto socialmente pericoloso o vi sia il pericolo di una sua fuga. In base a questi principi di garanzia processuale, l'imputato - in assenza di precise disposizioni del tribunale minorile - fino all'ultimo appello potrebbe restare libero e vivere a casa sua, insieme ai familiari, compreso il minore che ha rivelato l'abuso (25).

L'unica soluzione che contempera le esigenze di tutela della parte lesa, da un lato, e di accertamento della verità, dall'altro, è quella di svolgere un'indagine penale estremamente rigorosa e tempestiva, condotta attraverso un'approfondita escussione della parte lesa e una ricerca dei possibili riscontri obiettivi.

Infatti Piero Forno (26), Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Milano, evidenzia che:

Quando si interviene tempestivamente gli elementi possono essere raccolti con scrupolo e il "cerchio" si stringe intorno all'imputato: allora il processo penale, al di là della punizione del colpevole, ha degli strumenti di grande incisività sul piano dell'accertamento della verità.

Muoversi in questo modo nei processi penali relativi a fatti di natura incestuosa è indispensabile, perché caratteristica costante di questi reati è di presentare non indifferenti problemi di accertamento probatorio. Essi sono dovuti sia alla mancanza di testimoni oculari diversi dalla parte lesa, sia alla riluttanza del nucleo familiare a svelare ipropri "segreti", specie quando ciò comporta non solo gravi conseguenze sanzionatorie per taluno dei suoi componenti, ma soprattutto il disonore di avere al proprio interno situazioni di tal genere.

Poiché solo il Tribunale per i minorenni può assicurare l'immediata protezione del minore, sarebbe sempre opportuno fare una segnalazione anche al giudice minorile. Al contrario della magistratura ordinaria, infatti, quella minorile ha l'obbligo di segnalare i casi di abuso sia ai colleghi che operano in ambito penale, sia ai servizi sociali, e svolge un ruolo fondamentale per la tutela dei minori abusati e per l'aiuto della sua famiglia. Può infatti disporre provvedimenti che limitino, sospendano o facciano decadere la potestà dei genitori, può allontanare (anche solo temporaneamente) il minore dalla famiglia e collocarlo in comunità o in istituto e, qualora vi siano le condizioni, dichiararne l'adottabilità (27).

In particolare, la magistratura minorile ordina gli accertamenti giudiziari, sociali e psicologici necessari per riuscire a comprendere la situazione e per poter così formulare un programma d'interventi che abbia come scopo principale la tutela del minore, parallelamente e successivamente all'azione penale. Il Tribunale per i minorenni, dunque, incarica i servizi sociosanitari di due fondamentali attività: l'accertamento e la valutazione (28).

3. L'intervento terapeuticoMentre la magistratura ordinaria si occupa dell'accertamento dei fatti e della condanna o dell'assoluzione dell'imputato e il Tribunale per i minorenni garantisce la protezione del minore da ulteriori comportamenti di violenza, dall'altra parte i servizi cercano di fornire un sostegno

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terapeutico al minore abusato e, dove è possibile, svolgono attività per il recupero del rapporto tra la vittima e il genitore non abusante (29).

Quando è necessario intervenire in una difficile situazione familiare, occorre innanzitutto valutare se nei rapporti relazionali tra i membri della famiglia sono presenti sia fattori di rischio (che possono favorire la violenza), sia elementi protettivi (che, invece, tendono ad affievolire i primi) (30). Infatti:

se vi è prevalenza di fattori protettivi, la giusta strategia d'intervento è quella di fornire aiuto e sostegno al bambino e alla sua famiglia;

se vi è una compresenza di entrambi i fattori, deve essere protetto il minore e devono essere potenziate le risorse familiari, cercando di monitorare anche le relazioni tra i suoi componenti;

infine, se vi è assenza di fattori protettivi, è necessario fornire una forte protezione e tutela al minore, accompagnata da prescrizioni rivolte alla famiglia (31).

La protezione dei minori non si può limitare alla loro tutela penale, né alle misure per fronteggiare l'emergenza, ma deve abbracciare un intero processo d'intervento che abbia al centro l'interesse della vittima e come scopo la sua sana crescita psicofisica. Proteggere il minore, capire le cause familiari dello sviluppo dell'incesto e riparare, quando possibile, le relazioni tra la vittima e i suoi familiari, costituiscono i momenti cardine del processo d'intervento.

Soltanto partendo dalle esigenze operative di questi momenti si può realizzare una vera integrazione con gli interventi penali di repressione del reato; tale cooperazione tra gli operatori è l'unica che consente di sottrarsi alla falsa alternativa tra l'indifferenza e la passività di fronte all'abuso sessuale e all'incesto, da una parte, e la sua criminalizzazione senza prospettive per la vittima, dall'altra.

È in questa prospettiva che bisogna parlare di complesso meccanismo di intervento, dove i vari esperti possano interagire tra loro in modo costruttivo e positivo per il minore e la sua salute psicofisica (32).

4. Gli aspetti giuridici della testimonianza del minore sessualmente abusatoNel sistema processuale la testimonianza occupa un posto centrale e lo è ancor di più nei casi di un sospetto abuso sessuale poiché il minore, oltre che vittima, è spesso l'unico testimone oculare disponibile.

La testimonianza possiede una parte di verità oggettiva ed un'altra parte di costruzione soggettiva che va verificata di caso in caso, in relazione al tipo di persona che testimonia e al suo coinvolgimento (33). Per questo motivo ogni testimonianza deve essere letta in un quadro più ampio, come fonte per la ricostruzione storica dei fatti, ma non come elemento sul quale basare le indagini o l'esito del processo. Occorre cioè, attraverso verifiche incrociate, che la testimonianza possa essere confermata da altre risultanze o che sia essa a confermare altre prove e non costituire di per sé l'elemento fondante il giudizio.

La testimonianza del minore è un evento ancor più particolare e complesso, che induce a riflettere circa le determinanti che la influenzano.

Il primo e più significativo rapporto tra minore e struttura giudiziaria è quello dell'interrogatorio e dell'audizione del minore, in cui il bambino viene ascoltato in qualità di testimone in un procedimento penale e, nei casi in cui il giudice ritenga opportuno, in un procedimento civile o amministrativo (34).

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Le disposizioni giuridiche previste dal nostro paese, che regolano l'audizione del minore in ambito penale, sono rappresentate dalle norme del Codice di Procedura Penale. Con l'introduzione del Codice del 1988, il problema dell'audizione del minore è diventato ancora più significativo: infatti, rispetto al sistema precedente, l'adozione del modello accusatorio prevede la formazione della prova nella fase dibattimentale, cosicchè le indagini precedentemente esperite e le testimonianze ottenute dagli organi di polizia giudiziaria o dal pubblico ministero devono essere necessariamente riproposte nel corso del dibattimento (35). Infatti, quando in dibattimento, nel corso di un esame, un testimone rende dichiarazioni diverse da quelle rese in momenti precedenti, la parte che lo interroga può contestargli la difformità.

Questo sistema, se da un lato consente, in linea generale, una duplice verifica delle dichiarazioni testimoniali, dall'altro, nei processi in cui vittima sia un minore, comporta che quest'ultimo venga sottoposto a più esperienze traumatiche per diversi motivi, in quanto è chiamato ad esporre e a rivivere per più volte la propria dolorosa esperienza (36).

Proprio per evitare che le vittime di abuso sessuale depongano in dibattimento, può essere utilizzata la procedura dell'incidente probatorio (utilizzato, di regola, dal Tribunale penale di Roma).

L'incidente probatorio non può essere disposto d'ufficio, ma soltanto su richiesta al giudice per le indagini preliminari da parte del pubblico ministero o della persona sottoposta alle indagini (art. 392, comma 1-bis c.p.p.). In particolare, se è il pubblico ministero a chiedere l'incidente probatorio, la legge prevede che egli deve depositare i risultati delle indagini, mettendole a disposizione delle parti (discovery); così se è la difesa dell'indagato a farne richiesta, il pubblico ministero deve comunque depositare le disposizioni rese in precedenza da colui che sarà sentito nell'incidente probatorio (art. 398, comma 3 c.p.p.) (37).

In base all'art. 394 comma 1 c.p.p., anche la persona offesa può chiedere al pubblico ministero di promuovere un incidente probatorio. In questo caso, se il pubblico ministero non accoglie la richiesta, deve pronunciare decreto motivato e farlo notificare alla persona offesa.

Se, invece, il giudice accoglie la richiesta, stabilisce con ordinanza sia l'oggetto della prova sia le persone interessate all'assunzione di essa e fissa la data dell'udienza, facendo notificare - almeno due giorni prima - l'avviso del giorno, dell'ora e del luogo dell'udienza alla persona sottoposta alle indagini, alla persona offesa e ai difensori, oltrechè al pubblico ministero (38).

Occorre grande attenzione, nel corso dell'audizione protetta, nel fare al minore tutte le domande che possono essere utili alla magistratura, evitando di lasciare argomenti insoluti nella ricostruzione dei fatti. Infatti, la presenza di eventuali lacune accresce il rischio che la difesa dell'imputato chieda di risentire in aula la vittima (39).

In base alla legge 66/96 riguardante le norme contro la violenza sessuale, è stato ribadito che, durante le indagini preliminari e nel corso dell'udienza preliminare, il pubblico ministero e i difensori possono chiedere, con l'incidente probatorio, l'audizione del minore in forma protetta, e cioè il suo interrogatorio con l'adozione di tutte le cautele necessarie ad evitare che la vista dell'imputato possa turbare il minore (art. 398, comma 5-bis c.p.p.). In tal modo si è costruito un procedimento probatorio speciale in ragione dell'evidente peculiarità del testimone (40).

Nel corso dei lavori parlamentari del Senato (41), in prima lettura, della legge 66/96 era stato proposto di prevedere che all'assunzione della testimonianza di persona minore degli anni sedici, nell'incidente probatorio ai sensi dell'art. 392 comma 1-bis c.p.p., si procedesse sempre con l'assistenza di uno psicologo. Era stato messo in evidenza come il metodo d'esame proposto fosse già attuato con successo dai pool presenti a Milano e a Roma, in quanto il minore riusciva a rispondere alle domande senza avere la sensazione di un interrogatorio, bensì quella di una conversazione con una psicologa diventata "un'amica".

Questa proposta non è stata accolta e, dunque, l'esame testimoniale del minorenne si svolge, anche nella procedura incidentale in forma protetta, secondo i principi dell'art. 498 c.p.p. (42):

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1. l'esame testimoniale del minorenne è condotto dal Presidente del collegio giudicante su domande e contestazioni proposte dalle parti (comma 4);

2. durante l'esame il Presidente può avvalersi dell'ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile (comma 4);

3. il Presidente può decidere che sia l'esperto a condurre l'audizione del minore;4. nel caso di indagini che riguardino ipotesi di reato previste dagli articoli 600-bis, 600-

ter, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies c.p., il giudice, ove fra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minori di anni sedici, stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all'incidente probatorio, quando le esigenze del minore lo rendono necessario (comma 4-bis e art. 398 comma 5-bis c.p.p.) (43);

5. l'udienza può svolgersi anche in un luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice di strutture specializzate di assistenza (quali i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia e i servizi istituiti dagli enti locali) o, in mancanza, presso l'abitazione del minore stesso (comma 4-bis e art. 398 comma 5-bis c.p.p.).

L'art. 472 c.p.p. prevede, inoltre, che in tali dibattimenti si proceda sempre a porte chiuse quando la parte offesa è minorenne e stabilisce una regola relativa all'ammissibilità o meno di domande sulla vita privata o sulla sessualità della vittima del reato: tali domande non sono ammesse se non sono necessarie alla ricostruzione del fatto o alla verifica del thema probandum.

L'esigenza è quella di tutelare la riservatezza e la dignità della persona offesa, mirando ad evitare il riprodursi di una prassi giudiziaria in cui i processi relativi ad abusi sessuali si traducono in processi contro le vittime e non contro gli autori del reato. Tuttavia, è vero che tali domande andrebbero finalizzate alla ricostruzione del fatto e non a quella delle caratteristiche od abitudini sessuali; ma in molti casi la linea di confine è incerta, come nelle situazioni maturate nell'ambiente familiare oppure quando la vittima del reato è un adolescente (44).

Dunque, quando in un processo deve essere accolta la deposizione della parte lesa, la corte si trasferisce in un istituto psicologico attrezzato con un vetro a specchio unidirezionale: il bambino viene condotto in una stanza, in compagnia dello psicologo o di uno dei giudici che condurrà l'interrogatorio, mentre tutti gli altri componenti del collegio giudicante, insieme ai carabinieri all'imputato e agli avvocati, staranno in un'aula, al di là del vetro, non visti dal minore (45).

I due locali comunicano con un interfono che consente interventi "in tempo reale" a garanzia del pieno contraddittorio e dei diritti delle parti. In genere le parti concordano prima dell'audizione le domande, o meglio sarebbe gli argomenti, da sottoporre al minore. Al termine della prima parte dell'audizione viene effettuata una breve pausa nel corso della quale le parti sottopongono al giudice nuovi temi e quesiti (46).

Se è lo psicologo a condurre l'intervista, viene dotato, di solito, di un auricolare in modo da sentire le eventuali richieste del giudice e formulare così, immediatamente, le apposite domande al minore (47).

L'audizione, inoltre, viene videoregistrata in modo che possano essere valutati anche gli aspetti di comunicazione non verbale del minore (48).

5. La videoregistrazione nel processo penaleIl sistema di tipo accusatorio delineato dal nuovo codice di procedura penale prevede la formazione della prova in dibattimento, nel contraddittorio tra le parti, accogliendo i principi processuali dell'immediatezza e dell'oralità.

Tra le numerose innovazioni previste dalla nuova procedura, che a questi due principi si collegano direttamente, vi è stata quella della documentazione degli atti, la cosiddetta verbalizzazione (art. 134 c.p.p.). Ciò in quanto solo la concreta disponibilità di adeguati

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strumenti tecnici per la stesura dei verbali in tempo reale consente di realizzare di fatto il principio di oralità nel nuovo processo. La normativa, quindi, consente l'uso del verbale, della stenotipia, della registrazione audio e della videoregistrazione (solo se «assolutamente indispensabile»), ma stabilisce anche un preciso ordine di priorità.

Le consistenti difficoltà organizzative e operative che hanno accompagnato l'avvio del nuovo codice, hanno fatto passare in seconda piano il problema della verbalizzazione degli atti che ha continuato, nella maggioranza dei casi, ad essere compiuta nella forma riassuntiva (in quanto non erano presenti né professionalità tecniche esperte in stenotipia, né persone competenti in registrazioni fonografiche) (49). Il verbale in forma riassuntiva, inoltre, è ammesso soltanto nei casi tassativamente indicati nell'art. 140 c.p.p. È dunque il giudice ad avere ampia discrezionalità di scelta dello strumento con cui effettuare la verbalizzazione (50).

Nonostante il carattere orale ed immediato del nuovo rito, il legislatore ha concesso ancora la possibilità di redigere il verbale in forma riassuntiva relegando le registrazioni audio e video, ad un ruolo subordinato, rispettivamente come forme integrative e complementari o aggiuntive ed eccezionali. Infatti, secondo quanto disposto dall'art. 134 c.p.p., la riproduzione audiovisiva non è uno strumento di verbalizzazione, ma semplicemente un mezzo di riproduzione degli atti processuali (51).

Le ragioni (52) di tale scelta possono essere viste nell'ambigua definizione di verbalizzazione e nella cultura cartacea degli operatori della giustizia, che si basano su atti e documenti scritti.

Tuttavia, sia le ricerche condotte all'estero sin dagli anni Settanta sia gli esperimenti promossi dal Ministero di grazia e giustizia (in collaborazione con la Commissione di studio del Consiglio Nazionale delle Ricerche) per l'elaborazione di proposte operative nel settore delle tecnologie di supporto all'organizzazione giudiziaria dimostrano che la videoregistrazione rappresenta lo strumento tecnico che meglio di ogni altro riesce ad assolvere le funzioni di rappresentazione e rievocazione proprie dell'attività di documentazione.

Tale tecnica, infatti, garantisce in tempo reale la massima autenticità, fedeltà e completezza di riproduzione degli eventi che si verificano nel corso del procedimento (53). Essa, oltre ad eliminare ogni mediazione umana sulle affermazioni degli attori processuali, consente anche di documentare i comportamenti non verbali, spesso utilissimi per valutare - nel rispetto del principio del libero convincimento del giudice - l'attendibilità delle deposizioni.

Nonostante ciò, nessun intervento legislativo ha, fino ad oggi, modificato le norme del codice di procedura penale che disciplinano l'uso della videoregistrazione negli uffici giudiziari (54).

5.1 Le video-testimonianze dei minorenni

Le principali aree di utilizzo (55) in cui le tecnologie audiovisive hanno finora trovato applicazione negli uffici giudiziari sono:

a. i collegamenti fra la corte ed il luogo di detenzione;b. la verbalizzazione degli atti dibattimentali;c. le video-deposizioni;d. la videoconferenza;e. l'uso delle videocassette per formazione ed addestramento;f. le video-testimonianze di minori.

Le tecnologie video risultano particolarmente utili quando risulta necessario raccogliere una testimonianza di un minore di fronte ad una corte. Ciò può realizzarsi secondo due diverse modalità: il video può essere utilizzato durante il processo, permettendo al bambino di testimoniare attraverso un circuito televisivo interno, oppure può essere impiegato per registrare un'intervista con il bambino prima del processo stesso, da utilizzare come ausilio o sostituto della sua comparizione (56).

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Con la prima modalità si riesce ad ovviare alle difficoltà e alle paure del bambino di un confronto diretto con l'imputato, senza dimenticare l'importanza, per la qualità della testimonianza, di trovarsi in un ambiente più confortevole di un'aula di tribunale, in presenza di un sostegno psicologico per il minore (57). È infatti immaginabile come un minorenne possa rimanere traumatizzato dall'esperienza di una deposizione in un'aula dibattimentale, soprattutto quando sia stato oggetto di molestie sessuali oppure risultino come imputati i genitori. In questi casi, per garantire un sereno e regolare svolgimento dell'esame, il sistema più indicato è certamente quello di predisporre un collegamento audiovisivo a distanza che separi fisicamente il minore dall'aula in cui si celebra il dibattimento (58).

Considerando invece la seconda possibilità, il più grande vantaggio consiste nell'ottenere e conservare una deposizione senza sottostare ai tempi legali, spesso troppo lunghi. La registrazione, infatti, può recepire il primo resoconto del minore vittima di un abuso sessuale, in tutta la sua completezza, potendo auspicare così di non doverlo necessariamente ripetere (59).

Tali tipi di collegamenti sono attualmente utilizzati negli Stati Uniti, in Inghilterra, Galles, Scozia, Canada, Nuova Zelanda ed Australia (60). Gli Stati Uniti sono stati il primo paese a permettere l'uso di collegamenti a distanza già nel 1983.

In Inghilterra e Galles il collegamento a distanza (chiamato live television link) è stato introdotto nel 1988 con il Criminal Justice Act che ne prevedeva l'uso per i minori al di sotto dei 14 anni coinvolti in casi di molestie sessuali o soggetti ad atti di violenza. Nel 1991 vi è poi stato un allargamento dell'uso di questa tecnologia anche per i minori di 17 anni ma solo in caso di molestie sessuali. La proposta per l'uso del collegamento a distanza è promossa dal pubblico ministero, ma è il giudice a prendere la decisione finale. A seconda dei casi, è inoltre prevista la possibilità di attivare un collegamento:

a "due vie" (two way), cioè con le riprese video e audio sia dell'aula che del luogo in cui si trova il minore, ma con l'accorgimento che, dalla telecamera, non verrà mai inquadrato l'imputato;

oppure ad "una via" (one way) per il video ed a "due vie" per l'audio, cioè l'immagine e l'audio del minore saranno riprodotte in aula, mentre non verrà riprodotta l'immagine di ciò che sta accadendo in aula. In questo modo si cerca di fornire la massima tutela al minorenne, che sentirà solo l'audio proveniente dal dibattimento.

La polizia inglese ha anche la possibilità di raccogliere la deposizione del minore attraverso la videoregistrazione durante la fase investigativa, sottoporla al pubblico ministero e, quindi, presentarla in dibattimento, così come già accade per le testimonianze degli adulti (61).

5.2 L'utilizzo delle tecnologie audiovisive in Italia

In Italia, l'utilizzo delle tecnologie audiovisive si è sviluppato in tre aree:

a. la verbalizzazione audiovisiva degli atti compiuti dai pubblici ministeri nel corso delle indagini preliminari;

b. i collegamenti audiovisivi per l'esame dei testimoni a distanza;c. le videoverbalizzazioni dei dibattimenti penali;d. la verbalizzazione audiovisiva degli atti del pubblico ministro.

Una prima sperimentazione dell'uso della videoregistrazione nella fase delle indagini preliminari, e cioè come strumento di documentazione degli interrogatori svolti dal pubblico ministero, si è avuta presso la procura della Repubblica del tribunale di Firenze.

Negli uffici requirenti è certamente presente l'esigenza di disporre di un sistema di documentazione che permetta di registrare in modo completo ed affidabile gli interrogatori svolti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari.

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Oltre che per gli interrogatori, le riprese audiovisive possono risultare particolarmente utili in una serie di atti compiuti nel corso delle indagini che necessitano di essere documentati fedelmente; ad esempio nei sopralluoghi, dove le fotografie non possono certamente raggiungere la qualità fornita da una ripresa audiovisiva (62).

a. I collegamenti audiovisivi a distanza

Le tecnologie video sono state utilizzate recentemente per effettuare alcuni collegamenti a distanza fra l'aula del dibattimento e un luogo remoto in cui era presente il testimone ammesso a programmi o a misure di protezione. Il costante aumento delle richieste all'uso di collegamenti a distanza ha portato la Direzione generale degli affari civili ad emanare la circolare (63) n. 3/94 con la quale, a causa "dell'estrema onerosità", si segnala come al collegamento audiovisivo a distanza «debba farsi ricorso non già in maniera indiscriminata e generalizzata, bensì solo in quei casi in cui, per oggettive e circostanziate ragioni di sicurezza, sia da escludere la possibilità dell'escussione diretta dell'esaminando (non solo presso la sede giudiziaria territorialmente competente, ma anche presso sedi giudiziarie diverse)».

b.

La videoverbalizzazione dei dibattimenti penali

Il Ministero di Giustizia, nel 1991, ha avviato cinque esperimenti di videoregistrazione nelle aule di diversi uffici giudiziari: il Tribunale di Roma, la pretura di Udine, la Corte d'assise di Bologna, il Tribunale di Palermo e il Tribunale per i minorenni di Milano.

Gli impianti di videoregistrazione installati in queste sedi si compongono di sette telecamere fissate alle pareti, collegate ai microfoni e attivate dalla voce, due monitor (uno grande visibile ed uno piccolo sul banco del giudice), un computer con relativa stampante, cinque videoregistratori, di cui tre per registrare il verbale contemporaneamente su più videocassette (per il giudice, l'accusa e una copia di riserva), un quarto per riprodurre in aula documenti videoregistrati (ad esempio un verbale di un'udienza precedente, un nastro registrato in una banca al momento di una rapina, ecc.), mentre un quinto, con relativo monitor, è collocato nella camera di consiglio per consentire eventualmente ai giudici di rivedere parti del dibattimento che assumono particolare rilievo per la formazione della prova e quindi del giudizio (64).

Un computer gestisce il programma automatico ed una stampante produce un elenco dettagliato di tutti gli spostamenti della telecamera di ripresa, indicando anche l'ora ed i minuti.

Un tecnico delle ditte fornitrici controlla il funzionamento del sistema, prendendo nota degli eventuali problemi tecnici audio e video, e dell'efficacia delle riprese e, talvolta, può occuparsi anche di accendere e spegnere il sistema, inserire ed estrarre le videocassette, catalogarle, archiviarle e duplicarle per gli avvocati che lo richiedono (65).

Dal punto di vista tecnico tale sistema può apparire complesso ed il rischio è quello che venga rifiutato perché può essere percepito come uno strumento di non facile utilizzo da parte dei magistrati, dei segretari d'udienza o dal personale addetto. Ma i magistrati e gli avvocati che hanno usato per il proprio lavoro le videocassette, anche se solo in alcune occasioni, le hanno trovate molto utili per varie ragioni: la videoregistrazione consente di notare particolari sfuggiti, domande, atteggiamenti ed affermazioni trascurati durante le udienze; suggerisce nuove idee per comprendere il caso e sembra stimolare la creatività e l'intelligenza (66).

I vantaggi (67) della videoregistrazione degli incontri con il minore sono numerosi, poiché il materiale così ottenuto:

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o costituisce una documentazione obiettiva e permanente;o diminuisce il numero di intervistatori con cui il bambino deve interagire;o riduce il numero delle interviste, che possono essere stressanti e portare, per la

ripetitività delle domande, a dei cambiamenti nelle risposte fornite (per questo motivo, qualora non fosse possibile documentare in modo preciso tutte le interviste, è necessario farlo almeno con i primi incontri);

o può essere utilizzato dai clinici per analizzare le domande ed il modo in cui sono state poste, in modo da avere i parametri per considerare ogni risposta del minore e poter valutare l'eventuale influenza delle domande suggestive;

o consente di ottenere le informazioni sull'accaduto, finchè sono ancora vivide nella memoria del bambino, e di conservarle, potendo infatti essere utilizzate successivamente come alternativa alla testimonianza in Tribunale o al confronto diretto con l'accusato.

Indubbiamente nella difficoltà di accettazione di questa nuova tecnologia riveste un ruolo significativo la mancata modifica della normativa del nuovo codice di procedura penale sulla documentazione degli atti. In mancanza di una tale modifica, che consenta un utilizzo pieno (in via autonoma e al di fuori dei casi eccezionali) della videoregistrazione, nel corso di questi ultimi anni, l'impiego di queste nuove attrezzature è stato molto diversificato sul territorio nazionale: ci sono uffici giudiziari in cui la videoregistrazione non viene affatto utilizzata a fini di verbalizzazione degli atti processuali ed uffici in cui gli impianti vengono sottoutilizzati a causa delle attuali prescrizioni normative, nonostante l'impegno di alcuni magistrati per sfruttare appieno quelle potenzialità di completa documentazione degli atti processuali che, a differenza degli altri strumenti, la videoregistrazione possiede (68).

Parte della dottrina (69) ritiene, quindi, sempre più necessario un intervento legislativo che permetta ai magistrati - qualora intendano farne uso - di utilizzare legittimamente lo strumento della videoregistrazione anche al di fuori dei casi eccezionali, senza dover fare ricorso ad espedienti interpretativi.

Inoltre, dal punto di vista probatorio, risulta necessario che tutte le audizioni del minore, comprese quelle fatte dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero (e non solo quelle in sede dibattimentale o di incidente probatorio), vengano videoregistrate. Infatti solo attraverso tale tecnica è possibile avere una visione completa dell'interrogatorio svolto.

La videoregistrazione, almeno in sede dibattimentale, è stata adottata presso il Tribunale di Milano come prassi costante, anche per le deposizioni dei soggetti più rilevanti da un punto di vista probatorio (70).

6. La perizia sull'attendibilità del minore testimoneIn deroga a quanto stabilito nell'art. 220 c.p.p. che vieta la cosiddetta "perizia psicologica", è stato ampiamente accolto dalla giurisprudenza il principio del controllo peritale sull'attendibilità di un testimone, anche in assenza di condizioni patologiche psichiche. In particolare, il problema si presenta in tutta la sua complessità e delicatezza nei casi di minori sessualmente abusati.

L'art. 196 c.p.p. (capacità di testimoniare) stabilisce che, al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, il giudice può disporre gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge quando sia necessario verificare «l'idoneità fisica e mentale del testimone a rendere testimonianza».

Il legislatore tiene distinta la valutazione della capacità di testimoniare (art. 196 c.p.p.) dalla valutazione della credibilità del testimone (art. 236 c.p.p. comma 2) (71). Per quanto riguarda in particolare il minorenne, il legislatore ha previsto una procedura del tutto particolare (art. 498 c.p.p. comma 4).

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I problemi più difficili da affrontare sono due: quello dell'accertamento della verità processuale e quello della valutazione della credibilità clinica. Si tratta di due concetti che spesso vengono tra di loro confusi. Le difficoltà nascono proprio quando si deve accertare la verità in casi in cui i soli dati riguardanti il fatto derivano dalle dichiarazioni di minori, poco confortati da altre fonti di prova (ad esempio le dichiarazioni di terzi neutrali, i dati obiettivi, le ammissioni da parte dello stesso abusante) (72). In casi simili, dove vi è carenza o assenza di prove obiettive, vi è il rischio che il perito e/o il magistrato traducano la verità clinica in verità processuale e, sulla base dei dati offerti dalla clinica, costruiscano precise responsabilità penali (del tipo "se il minore è attendibile, significa che ha detto la verità") oppure possono cercare legittimazione tecnica ad una verità processuale indiziaria attraverso la formulazione di quesiti del tipo: «verifichi il consulente (o il perito) se il minore manifesta anomalie o disturbi della sfera della sessualità e dell'affettività che possono trovare origine o spiegazione nella presunta violenza». In questi casi una risposta positiva equivale a dire che il minore è stato violentato (73).

L'unico quesito proponibile dal magistrato al perito in maniera corretta è il seguente: «delinei il perito il tipo di rapporto che A.B. ha con la realtà e il suo grado di sviluppo intellettivo. Accerti se sono presenti disturbi della sfera cognitiva e/o affettiva che interferiscano con la percezione del reale o con la capacità di ricordarlo e riferirlo a terzi».

L'accertamento della verità processuale è dunque compito di esclusiva pertinenza del magistrato che, attraverso l'acquisizione delle prove (interrogatori, sopralluoghi, testimonianze, perizie, confessioni, ricostruzioni del fatto, ecc.), si prefigge lo scopo di ricostruire il fatto-reato con tutti i suoi momenti costitutivi e di attribuire le singole e specifiche responsabilità individuali.

La valutazione della credibilità clinica è il risultato di un'indagine psicologico-psichiatrica che il magistrato utilizza come strumento complementare per conoscere lo sviluppo intellettivo del minore (74).

L'idoneità a testimoniare da parte del minore non è legata all'età anagrafica: tale affermazione è confermata dalla normativa e dalle prassi conosciute anche a livello internazionale. La stessa Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo del 1989 ribadisce all'art. 12 «l'opportunità e il diritto del minore ad essere ascoltato in tutti i procedimenti penali e civili che lo vedono coinvolto», anche se la Convenzione allo stesso articolo afferma che però «alle opinioni del bambino debba essere dato il giusto peso in relazione all'età e maturità» (75).

La Corte di Cassazione (76) ha, infatti, precisato che «le testimonianze dei minori sono fonte legittima di prova: perciò l'affermazione di responsabilità dell'imputato può essere fondata anche sulle dichiarazioni dei minori, specie se queste siano avvalorate da circostanze tali da farle apparire meritevoli di fede».

Spetta infatti al giudice di merito, nell'esercizio del suo potere discrezionale, valutare la credibilità di deposizioni di testimoni minorenni. In particolare: «Spetta al giudice di merito l'opportuno discernimento tra ciò che è frutto di ricordi reali e ciò che è frutto di fantasia o semplicemente di ricordi confusi. Ma quando il giudice riesca a vagliare, con un congruo esame, la validità di tali testimonianze, spiegando le ragioni psicologiche ed obiettive per cui le ritiene in tutto o in parte attendibili, la sua decisione non merita censura in sede di legittimità» (77).

L'attendibilità implica la valutazione di due decisioni: quella funzionale, intendendo con questa il possesso da parte del minore delle principali competenze psichiche (quali le percezioni e la memoria), e quella motivazionale, volendo indicare la possibile presenza di elementi esterni che possano aver influenzato il resoconto dei fatti.

La minore età comporta la possibile confusione dei due livelli funzionale e motivazionale e, così, può risultare particolarmente utile per il magistrato l'ausilio di un esperto per la valutazione dell'attendibilità della testimonianza (78).

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Essere attendibile, dunque, significa che la persona interrogata può offrire una versione dei fatti obiettiva, concreta, precisa, realistica al punto che il magistrato può basarsi anche su questa coma fonte di prova. Ma occorre ricordare che attendibile non vuol dire veritiero, così come non attendibile non significa non veritiero.

Nel caso in cui la persona interrogata non sia attendibile, il magistrato dovrà prescindere dalle dichiarazioni del soggetto e pervenire al proprio convincimento attraverso accertamenti "esterni" al soggetto stesso, da cui trarre la certezza della veridicità dei fatti raccontati dalla persona non attendibile.

La verità che deve essere valutata non è né quella storica, né quella processuale, bensì quella clinica, cioè l'insieme di dati anamnestici, clinici, strumentali e di sussidio diagnostico necessari per rispondere ai quesiti posti dal magistrato (79). L'esperto, dunque, non potrà esprimersi sulla certezza degli eventi, ma dovrà fornire al magistrato gli elementi probatori raccolti.

7. Nodi problematici nel percorso giudiziarioIl percorso giudiziario interseca varie procedure poste a tutela del minore che hanno valenza educativa e terapeutica per lui. Questi "punti d'intersezione" presentano, anche nella realtà milanese, considerata da molti "un'isola felice", vari nodi problematici riguardanti:

1. la notizia di reato;2. le fasi successive alla prima rivelazione dell'evento;3. l'audizione del minore e gli accertamenti psicodiagnostici;4. l'allontanamento del minore;5. l'emissione di misure cautelari;6. la tutela del minore.

1) La notizia di reato deriva, generalmente, da operatori psico-socio-sanitari delle aziende private o del settore pubblico.

È necessario che, di fronte alla realtà di un possibile abuso sessuale o maltrattamento a danni di un minore, si proceda con una segnalazione immediata sia all'autorità giudiziaria minorile, sia a quella ordinaria (80). In passato a Milano, e ancora oggi in realtà diverse, avveniva un vaglio preventivo da parte del Tribunale per i minori, che comportava spesso una segnalazione tardiva. Ma è necessario capire che soprattutto riguardo a queste tematiche la tempestività è necessaria ed indispensabile: questo vuol dire che deve essere evitato qualunque tipo di ritardo nell'adempimento (81).

Occorre inoltre ricordare che il concetto "notizia di reato" è diverso sia da quello di certezza che il reato si sia effettivamente consumato, sia da quello di sospetto di reato: significa, infatti, notizia di un fatto che, se vero, integra la fattispecie di reato, ma di cui si saprà il reale svolgimento degli eventi soltanto alla fine del procedimento penale. Deve cioè sussistere almeno un indizio. Infatti la notizia di reato deve essere «connotata da concreti elementi di uno specifico reato» (82). Quindi, nella valutazione del racconto dei bambini, non si può pensare che le difficoltà espositive da essi incontrate facciano di per sé venir meno la possibilità che il fatto sia effettivamente accaduto.

La notizia di reato di un sospetto abuso sessuale si può basare, dunque, sul racconto del bambino di quanto è accaduto, testimonianza necessaria per poter accertare i fatti. Ma perchè il bambino riesca a raccontare è necessario che egli si senta protetto e soltanto in tale contesto forse potrà aprirsi. Per questo occorre che gli operatori abbiano una specifica competenza, in modo che possano evitare di convincersi di una tesi ancora prima di averla dimostrata.

Fare denuncia significa riferire ciò che si è visto o si è sentito: questo non implica assolutamente che sia vero ciò che viene denunciato, ma solo che, se lo fosse, sarebbe reato.

Chiunque faccia denuncia (83):

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non deve fare indagini: questo è il compito della polizia giudiziaria; non si deve preoccupare dell'accertamento del reato: a questo è preposta l'autorità

giudiziaria ordinaria; non sarà mai sottoposto a procedimento penale per calunnia, anche se

successivamente verrà dimostrato che il fatto non sussisteva, perché la calunnia è un reato ben preciso che prevede la consapevolezza dell'innocenza della persona accusata da parte del denunciante: è quindi necessario che venga meno la reticenza a rivolgersi alle autorità competenti per fare la denuncia. Questo atteggiamento è riscontrabile soprattutto da parte delle insegnanti, le quali, invece, proprio per la loro qualifica di incaricato di pubblico servizio, hanno l'obbligo di denuncia di fronte ad indizi di abuso sessuale o di maltrattamento.

Deve astenersi dal fare valutazioni riguardo al caso di cui è venuto a conoscenza, in quanto non deve andare oltre il contesto che è suo proprio: cioè quello di "testimone tecnico".

La legge 66/96 ha stabilito (all'art. 609-decies) l'obbligo di segnalazione, per rendere così effettiva l'esigenza di evitare un ritardo d'azione.

2) Nelle fasi successive alla prima rivelazione dell'evento si alternano diverse esigenze che necessitano un coordinamento:

quella dell'accertamento della verità; quella della tutela del minore; e quella dei diritti della difesa.

Bisogna ricordare che sono molti anche i casi di falsi abusi sessuali in danno di minori, soprattutto nelle vicende di separazioni coniugali dove, per vendetta o per interesse economico, vengono costruite complesse storie di violenze e maltrattamenti.

Quando viene fatta una denuncia di abuso sessuale, l'indagato subisce una sorta di "stigmatizzazione", che lo segnerà anche dopo un'eventuale assoluzione di non colpevolezza per non aver commesso il fatto. Basti pensare che, perfino all'interno dell'ambiente carcerario, i pedofili e gli abusanti sono considerati dagli altri detenuti "gli uomini della peggior specie" e, per questo, allontanati dal gruppo e lasciati a se stessi.

Tutto questo per ricordare che sono molte anche le persone che, di fronte ad una denuncia di questo tipo, non riescono a fronteggiare la situazione che si crea e arrivano al suicidio (84).

Riguardo alla tutela del minore, secondo Piero Forno (85), Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Milano:

L'aspetto più problematico riguarda l'allontanamento del minore dalla famiglia d'origine, quando l'abuso è intrafamiliare. La rivelazione, da parte del bambino, lo porta ad un'esposizione che spesso è peggiore alla precedente situazione di abuso, perché si crea anche il rischio di minacce e percosse da parte del presunto abusante per riuscire a portarlo alla ritrattazione, che spesso avviene.

È il Tribunale per i minori che può decidere per l'allontanamento, in base al presupposto di "situazione di grave pregiudizio". Qualora, però, ci siano situazioni d'urgenza, può essere disposto anche da autorità diverse, in base all'art. 403 c.c., attraverso organi deputati alla tutela dei minori (ad esempio da parte della polizia giudiziaria che opera in tal senso di fronte alla raccolta di elementi che definiscono la situazione di "immediato pericolo" per i minori).

La legge n. 154/2001, concernente le "misure contro la violenza nelle relazioni familiari", ha però introdotto un'ulteriore procedura di tutela del minore che subisce maltrattamenti e violenze in famiglia. Sia nell'ambito del procedimento per la decadenza dalla potestà genitoriale (art. 330 c.c.) - che ha come presupposto il fatto che il genitore violi o trascuri i propri doveri oppure abusi dei poteri inerenti la potestà - sia in mancanza di tali condizioni, il Tribunale per i minorenni può disporre l'allontanamento del genitore che maltratta o abusa del

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proprio figlio. Questo significa che l'abusante dovrà lasciare la casa familiare dove risiede il minore e non potrà accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede (che, se concessa, può prevedere modalità di visita).

Talvolta, accanto alla misura principale, possono essere comminate prescrizioni accessorie, come l'obbligo di non avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa (ad esempio il luogo dove si trova la scuola del bambino), a meno che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro, nel qual caso il giudice dispone le relative modalità o limitazioni. Tali provvedimenti di allontanamento sono adottati su ricorso dell'altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero (86).

Al di fuori dell'ipotesi di decadenza dalla potestà genitoriale può essere adito, nell'interesse del minore, anche il Tribunale ordinario, che può disporre l'allontanamento nei confronti di un altro componente del nucleo familiare (non necessariamente il genitore). In questo caso l'istanza può essere proposta personalmente dal minore, teoricamente anche senza l'ausilio della difesa tecnica. Inoltre, mancando un richiamo espresso all'art. 70 c.p.c., non sembra che il pubblico ministero debba intervenire in questo tipo di processo (87).

L'introduzione di questa procedura di tutela ha comportato una grande innovazione: permette al minore di non dover subire una seconda violenza, cioè quella di dover cambiare ambiente e abitudini, come una punizione, per qualcosa che, invece, non ha mai commesso. Purtroppo, però, non è sempre applicabile perché necessita di una componente indispensabile: il minore, accanto a sé, deve avere un "adulto protettivo" che abbia l'intenzione di aiutarlo a recuperare la serenità perduta. Nell'ipotesi contraria è più salutare che sia il minore ad essere allontanato da una famiglia per lui "distruttiva" (88).

3) Audizione del minore e accertamenti psicodiagnostici

L'audizione del minore deve essere fatta in sede penale, previo accordo con l'autorità minorile, al fine di coordinare l'esigenza della giustizia penale con quella del minore. Fare tutto questo non è facile.

Le varie difficoltà esistenti in questo ambito provocano una forte diffidenza nei confronti del processo penale in genere e contribuiscono a creare due postulati:

che un adulto, pur se sospettato di aver commesso il fatto, avrà sicuramente più possibilità di essere creduto, nella sua attività difensiva, rispetto al racconto accusatorio fatto da un bambino, poco capace di esprimersi e di ricordare;

che, al di là dell'esito, il processo si rivelerà una "catastrofe" per la vittima, danneggiandolo ulteriormente (89).

Da ciò emerge l'interrogativo se non sia possibile evitare il processo penale in tali situazioni e, dunque, se per un professionista che deve curare la vittima e quindi aiutarla nel difficilissimo processo di costruzione del proprio futuro, sia possibile occultare la verità all'interno del proprio studio senza rivelarla all'esterno, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Valvo (90) sostiene che la problematicità dell'audizione della vittima, nel processo penale a carico del presunto abusante, non deve far pensare all'eliminazione di tale procedura. L'audizione del minore, infatti, svolge sia la funzione di acquisizione della prova in sede di dibattimento, sia di riconoscimento, per la parte lesa, dei diritti violati.

Secondo Piero Forno (91), Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano:

L'audizione protetta può essere un momento fortemente liberatorio per il bambino, se quest'ultimo viene adeguatamente preparato ad affrontare l'evento.

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Esemplificative sono le parole di una bambina che ha vissuto tale esperienza e che così si esprime al riguardo: "Quando io parlavo con il Presidente sentivo come se tutto il peso del mio dolore si trasferiva sulle sue spalle ed io mi sentivo più leggera".

La piccola vittima, di solito, non è interessata alla quantità della condanna o del risarcimento del danno, ma chiede (92):

di essere tutelata (ad esempio i bambini piccoli chiedono spesso: "Ma ci sono anche i carabinieri che possono impedire a mio padre di avvicinarsi a me?");

di essere creduta; di svolgere l'audizione, che considera essere un processo riparatorio, che si

contrappone all'abuso (il quale invece è visto come un rito confusivo): è in questo senso che il procedimento penale ha funzione terapeutica.

Piero Forno (93) afferma che:

Prima di tutto la violenza sessuale compiuta su un minore è un abuso di posizione dominante, un abuso di potere. È possibile riuscire ad eliminarlo soltanto attraverso un potere più forte: il procedimento penale. Naturalmente questo è difficilmente gestibile, ma è ancora più pesante e gravoso lasciare un bambino in balìa del suo abusante per evitare il processo penale.

Tuttavia, nello svolgimento dell'audizione, dovranno essere rispettate tutte le cautele necessarie per realizzare una concreta tutela del minore.

L'accertamento psicodiagnostico, che avviene soltanto in sede minorile, ha la funzione di compiere un'osservazione dell'intera personalità del minore. Tutte le altre osservazioni e accertamenti fatti in sede penale vogliono soltanto accertare l'attendibilità del minore, cioè se ciò che egli dice è vero o falso.

Finora i protocolli d'intesa stilati stabiliscono che l'accertamento psicodiagnostico avvenga in sede minorile e che il giudice penale limiti gli accertamenti dell'attendibilità del minore. Infatti Luciana Singlitico (94), Sostituto Procuratore della Repubblica di Firenze, afferma che:

Anche a Firenze, di solito, le consulenze tecniche in sede penale vengono utilizzate in quei casi di abuso sessuale, in genere intrafamiliari, che presentano ancora degli aspetti poco chiari: cioè se nel racconto fatto dal minore ci sono ancora punti oscuri che devono essere chiariti per poter iniziare o proseguire il procedimento penale. Quindi, in questi casi, la consulenza tecnica assume la funzione di approfondimento del caso, necessario per poter decidere come agire successivamente.

In qualche caso, è stato sperimentato con successo che il consulente tecnico nominato dal giudice penale si sia coordinato con quello minorile: è stato così utilizzato un vetro-specchio nell'accertamento psicodiagnostico, al di là del quale vi era una stanza attigua a quella in cui avveniva il colloquio tra il bambino e il consulente tecnico minorile dove si trovavano il pubblico ministero e il consulente tecnico nominato dal giudice penale.

Secondo Piero Tony (95), Presidente del Tribunale per i minorenni di Firenze, l'attività psicodiagnostica non è però basata su elementi di forte certezza:

È necessario per un giudice valutare l'attendibilità del minore perché per iniziare e proseguire un procedimento penale sono necessari indizi concreti, che non si possono basare soltanto su un racconto, magari confuso, di un bambino. Tale racconto, però, viene valutato dagli operatori psico-sociali con test specifici che si basano su elementi che non hanno certezza: ad esempio, per quale motivo se un bambino disegna le Alpi Apuane vuol dire che è stato abusato?

Ma a queste critiche si contrappongono le parole di Piero Forno (96), che riconosce invece maggiore accuratezza all'attività psicodiagnostica:

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Il lavoro psicodiagnostico non si basa soltanto su un disegno o un test: è un'osservazione fatta sulle base di vari elementi (tanti test e accorgimenti) all'interno di un contesto particolare. Ad esempio anche il disegno non assume lo stesso significato di quello che viene svolto in classe, ma è un elemento più importante e specifico ed è contestualizzato nella situazione che sta vivendo il bambino: ad esso viene dato un compito preciso di rappresentazione ed il suo elaborato viene valutato alla luce di tutto l'ambiente circostante.

Lo psicologo, che ha svolto l'audizione protetta, prima di esprimersi sul disegno del bambino, deve compiere su di esso il cosiddetto "contraddittorio".

Innanzitutto deve verificare l'attendibilità delle fonti interpretative del disegno: dunque non si può fermare all'ipse dictit («Questo ragionamento lo ha fatto Freud e questo basta»), perché questo atteggiamento comporta genericità ed astrattezza d'interpretazione, che non possono essere accettate in queste attività (97). È importante, dunque, tener presenti i risultati della ricerca scientifica in materia di sessualità infantile, senza dare un significato particolare ad atteggiamenti che secondo le statistiche sono normali. Ad esempio, attribuire una connotazione di stranezza al fatto che all'asilo i bambini a volte si tolgono le mutande per guardarsi reciprocamente è una circostanze che si può anche accettare in una madre, ma non in psicologi esperti dello sviluppo dell'età evolutiva.

Inoltre, è necessario interpretare in maniera diversa il disegno che può sembrare espressione di un presunto abuso sessuale. Ad esempio, il disegno di una figura umana senza mani viene considerato da alcuni psicologi indice di abuso, perché sembra voglia indicare la volontà del bambino di privare tale figura (che è il suo abusante) della possibilità di avere contatti con lui. Ma in altri casi, invece, tali disegni sono stati fatti anche da bambini non abusati, che hanno spiegato la mancanza delle mani con motivazioni di vario genere (ad esempio: «Il signore aveva freddo e ha nascosto le mani»).

Esemplificativo è anche il confronto tra l'interpretazione che viene data da un centro specializzato ad alcuni disegni di una bambina di quattro anni, sospettata di essere abusata, e l'interpretazione diversa data, invece, dalla sua maestra, che era a conoscenza del contesto in cui la bambina aveva fatto il disegno (98) (vedi tabella).

Tipo di disegno Psicologa Insegnante d'asilo

Disegno di una fragola rossa

Indica una componente libidica.

Era stato assegnato ai bambini un tema guidato e a soggetto: il rosso era il colore che stavamo insegnando in quel momento.

Disegno di una bambina con le labbra rosse pronunciate

Tale particolare così accentuato colpisce per la qualità erotizzata, quasi sguaiata.

Eravamo noi maestre che volevamo venissero sottolineati certi particolari del corpo (in questo caso le labbra) e che fornivamo le matite (in questo caso di colore rosso).

Altra considerazione da fare nella valutazione del disegno è se quest'ultimo è davvero espressione genuina del bambino oppure se è stato indotto in lui dalla famiglia o dall'interrogatorio dello psicologo. E poi ci si deve chiedere: il bambino riferisce un elemento di sessualizzazione che ha vissuto in prima persona o ha soltanto assistito ad una scena non adatta alla sua età?

Non è facile poter comprendere tutto questo ma, per poter esprimere un'interpretazione del disegno il più possibile scevra da errori di valutazione, è necessario porsi tutti questi interrogativi (99).

Bisogna ricordare che un disegno, di per sé considerato, non potrà mai portare ad una diagnosi di abuso. Esso dovrà essere valutato insieme ad altre informazioni più solide, relative al caso, in modo da poter contribuire a chiarire quella specifica vicenda.

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Dopo la valutazione di tutti questi elementi, lo psicologo che ha svolto l'audizione protetta al minore esprime la sua interpretazione del disegno fatto dal bambino. Ma di opinione diversa può essere lo psicologo consulente di parte. Essi sono due professionisti i quali, in base alla loro esperienza clinica, esprimono una personale valutazione: dunque, sono due diverse ipotesi, entrambe rispettabili.

In teoria questo vuol dire che, in questo caso, il disegno non potrà servire come elemento per poter avvalorare né la tesi del presunto abuso né quella opposta, in quanto la sua valutazione è opinabile (100). Ma in pratica avviene che il perito che svolge l'audizione del minore, essendo stato nominato dal giudice, gode di maggiore credibilità rispetto al consulente di parte, il quale cercherà di interpretare il disegno in modo favorevole al suo assistito. È così dunque che il giudice sarà più favorevole all'accoglimento della valutazione fatta dal perito d'ufficio, a meno che il consulente di parte sia particolarmente qualificato in materia o sia stato molto più convincente nella sua tesi.

4) L'allontanamento del minore

Nella pratica legale, allorchè avviene un abuso sessuale intrafamiliare e non è facilmente percepibile il ruolo svolto dall'adulto non-abusante (cioè se è stato connivente oppure no), il minore-vittima del fatto viene allontanato dalla famiglia d'origine, su istanza del Tribunale per i minori (che ha il compito di proteggerlo).

Riguardo allo strumento dell'allontanamento del minore, in questo caso, ci sono due opposte tesi (101):

quella che lo considera necessario e il primo strumento per arrivare poi a cessare definitivamente il rapporto tra il bambino e il genitore presunto-abusante;

e quella che, al contrario, ritiene che si debba cercare in tutti i modi possibili di recuperare il rapporto.

Tra le due, c'è una tesi intermedia (102) che ritiene che la tutela del minore non consista soltanto nella cessazione dell'abuso, e quindi nella punizione dell'abusante, ma, in alcuni casi, si concretizzi anche nel recupero del rapporto con la persona che ha creato il problema: ma, se questo è possibile, va valutato alla luce di alcuni aspetti che cercano di definire la soluzione migliore per il minore. Essi sono:

l'età del bambino; il rapporto tra i genitori; il tipo di abuso subito dal minore; il contesto socio-familiare in cui esso vive; le risonanze emotive del fatto sulla vittima.

Sembra, poi, che il Tribunale per i minori ritenga che, di fronte a casi di abuso sessuale su un minore, creare per quest'ultimo lo stato di adottabilità sia "terapeutico", cosicchè egli possa essere rapidamente inserito in una nuova famiglia che possa dargli l'amore che non ha avuto. Secondo Piero Forno (103):

Il problema in questo caso è dato dal fatto che, se il bambino viene accolto da una nuova famiglia prima che il procedimento penale sia concluso, c'è il rischio che egli dimentichi o non voglia più parlare dell'accaduto: ciò creerebbe un grave ostacolo per il processo penale perché mancherebbe il racconto-testimonianza del minore.

Secondo Forno, infatti, l'audizione del minore - se condotta con le adeguate modalità - può essere di grande utilità per il minore.

Inoltre è stata riconosciuta la necessità di un intervento da parte di un soggetto esterno all'accaduto (il giudice), che abbia funzione di oggettivizzazione del fatto e di rottura dell'equilibrio patologico di una famiglia strutturata sul silenzio. Secondo questo orientamento

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(104), soltanto con l'avvio di un percorso giudiziario è possibile tutelare il minore da ulteriori abusi sessuali.

D'altra parte, però, c'è anche chi critica questo orientamento, affermando la necessità di istituire maggiori istanze garantistiche a favore del presunto abusante. Gulotta (105), infatti, sostiene che - nei casi di abuso sessuale intrafamiliare, poiché i processi che sorgono sono nella quasi totalità dei casi di carattere indiziario (in quanto si trovano raramente delle prove dirette dell'abuso) - sia più utile prospettare un aiuto terapeutico nei confronti del presunto abusante. Egli propone che venga promulgata una norma che consenta agli operatori dei servizi (che hanno accolto la notizia di reato) di presentare un programma di lavoro terapeutico con il gruppo familiare senza l'intervento del pubblico ministero. Il Tribunale per i minorenni vaglierà se il programma è adeguato e, alla fine di esso, se sono stati ottenuti dei risultati. Se la risposta è affermativa il caso sarà archiviato, altrimenti inizierà il procedimento penale.

Gulotta, con questa proposta, mira ad evitare che sia avviato un procedimento penale fondato esclusivamente sulle accuse costituite da elementi indiziari. Egli ricorda che sono numerosi i casi di soggetti condannati per abusi sessuali in danno di minori, poi riconosciuti non colpevoli. Il danno causato alla loro reputazione, alla loro persona e all'intera famiglia è, in quel caso, irreparabile.

Secondo l'autore bisogna cercare comunque di risolvere i conflitti e i problemi nella famiglia per far sì che essa possa continuare a rimanere unita.

Anche il Presidente di Telefono Azzurro, Ernesto Caffo (106), considera negativo l'intervento dell'autorità giudiziaria nei casi di incesto, cioè non utile per il minore che ha presumibilmente subito l'abuso. Egli ritiene che sia la sentenza di condanna dell'abusante, sia qualunque altro intervento dell'autorità giudiziaria abbiano come unico effetto lo smembramento del nucleo familiare, senza tenere conto dell'interesse del bambino e senza fornire alla sua famiglia d'origine il sostegno necessario per la risoluzione dei loro problemi. Il ragionamento di Caffo prevede che, dove si ritiene che esistano ancora delle persone "sane" in famiglia, si dovrebbe anteporre al controllo giudiziario una terapia d'intervento psicologico e sociale sul nucleo in crisi.

Ma su questo argomento non vi è un'opinione univoca, in quanto alcuni autori considerano più importanti i diritti del minore, mentre altri l'integrità familiare e il recupero del presunto abusante.

5) L'emissione di misure cautelari

Esse vengono emesse dall'autorità penale e spesso la loro emissione ha delle influenze anche in ambito minorile. È questo il motivo per cui è auspicabile che il Tribunale Ordinario avvisi il Tribunale per i minori, in modo da evitare situazioni contraddittorie, come quella in cui vengano concessi permessi di visita del bambino al presunto abusante quando nei confronti di quest'ultimo magari è stata emessa la custodia in carcere (107).

6) La tutela del minore

Nei casi di violenza intrafamiliaresi verifica spesso che l'attività di tutela del minore ad opera del Tribunale per i minorenni si pone, in concreto, come successiva alla conclusione del procedimento penale: è invece necessario che i due procedimenti, quello che ha la finalità dell'accertamento dei fatti e quello che tende alla protezione del minore, si svolgano contemporaneamente, ognuno perseguendo il proprio obiettivo ma cercando d'integrarsi (108).

Questo collegamento tra i servizi è previsto dall'art. 609-decies c.p., che prevede l'obbligo del procuratore della Repubblica di dare la notizia del fatto avvenuto al Tribunale per i minorenni. Nella disposizione, però, non ci sono indicazioni riguardo ad uno specifico comportamento che quest'ultimo dovrebbe porre in essere dopo aver ricevuto la comunicazione (salvo l'onere di attivare i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia ed i servizi istituiti dagli enti locali.).

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I provvedimenti (109) che il Tribunale per i minorenni può emettere in conseguenza della segnalazione del presunto abuso sono diversi a seconda che il fatto venga imputato al genitore o ad una persona diversa. Nel primo caso, nell'attesa del termine del procedimento penale, la comunicazione dovrà essere finalizzata all'adozione di provvedimenti che comportino vincoli all'esercizio della potestà genitoriale e che consentano l'allontanamento del minore o del presunto abusante dalla residenza familiare. All'esito del procedimento penale, in caso di colpevolezza del genitore abusante, verrà emesso il provvedimento che stabilisce la perdita della potestà sul figlio (art. 609-nonies, comma 1, n. 1 c.p.). Nel caso, invece, che l'imputato per il presunto abuso sessuale sia una persona diversa dal genitore, il minore potrà essere tutelato dalle condizioni di disagio in cui eventualmente può trovarsi a causa di un'anomala situazione familiare attraverso diversi provvedimenti che possono essere emessi dal Tribunale per i minorenni:

in presenza di una situazione di abbandono del minore, deve essere iniziata la procedura finalizzata alla dichiarazione di adottabilità e, comunque, alla predisposizione di provvedimenti temporanei ed urgenti nel suo interesse;

se la situazione evidenzia una condotta dei genitori pregiudizievole per il minore (indipendentemente che il presunto abuso sessuale sia accertato come realizzatosi oppure no), deve essere iniziata d'ufficio la procedura finalizzata alla dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale (art. 330 cc.);

per i casi meno gravi, a seconda delle circostanze, devono essere adottati i provvedimenti convenienti nell'interesse del minore.

Dunque, la tutela del minore viene realizzata attraverso i provvedimenti limitativi o ablativi della potestà genitoriale (art. 330 c.c.) e quelli di allontanamento dalla casa familiare (sia da parte del bambino, che del genitore abusante).

Per "potestà genitoriale" s'intende una serie di poteri e doveri posti dall'ordinamento giuridico congiuntamente e paritariamente in capo ai genitori nei confronti dei figli, per far sì che a quest'ultimi siano garantiti il mantenimento, l'educazione e l'istruzione, sempre nel rispetto assoluto delle attitudini e delle scelte individuali dei figli stessi (110).

I limiti ed i contenuti della potestà genitoriale hanno subìto, nel tempo, una continua evoluzione (111). Dallo ius vitae ac necis, fondato sulla concezione proprietaria della prole, si è andata affermando una nozione che riconosce i minori quali soggetti autonomi, capaci di autodeterminarsi, titolari di diritti fondamentali che lo Stato deve garantire. E in tal senso una forma di garanzia è data proprio dal controllo previsto dall'ordinamento sull'esercizio dell'attività genitoriale, attraverso l'intervento del giudice minorile.

L'articolo 330 c.c., che regola la "decadenza dalla potestà sui figli", stabilisce che: «Il giudice può pronunciare la decadenza dalla potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio». In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o del convivente che maltratta o abusa del minore.

Questo articolo contempla una forma d'intervento del Tribunale per i Minorenni nei casi in cui i genitori non esercitino i loro doveri nei confronti dei figli. I provvedimenti che il Tribunale può adottare non hanno natura sanzionatoria, potendo essere assunti anche quando la situazione di disagio per il minore non dipenda da un atteggiamento colpevole dei genitori; a tali provvedimenti va infatti riconosciuta una funzione essenzialmente preventiva. Essi mirano, quindi, non già a punire i genitori per gli inadempimenti commessi, né tanto meno a risarcire i figli per le conseguenze derivate dagli atti pregiudizievoli, bensì ad evitare che in futuro si ripetano altri atti dannosi del genere ovvero si protraggano ulteriormente le conseguenze di precedenti inadempimenti (112).

In tale prospettiva l'interesse rilevante è quello del minore: pertanto, non assumono un ruolo decisivo il dolo o la colpa del genitore, nè la sua reale incapacità a crescere adeguatamente i figli senza recare loro oggettivo pregiudizio. Gli inadempimenti dei genitori possono essere di vario tipo e assumere maggiore o minore gravità: tenuto conto della varietà delle fattispecie,

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diverse sono le misure che possono essere adottate nell'interesse del minore: dalla decadenza della potestà genitoriale (ex art. 330 c.c.), all'assunzione di provvedimenti atipici (ex art. 333 c.c.) ritenuti più opportuni secondo le circostanze.

La legge 18 marzo 2001 n. 149, benché volta principalmente a modificare la disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, ha introdotto anche alcune modifiche al testo dell'art. 330 c.c.: ha dato al giudice il potere di emettere un ordine di allontanamento del genitore violento dalla casa familiare. La ratio della modifica apportata dalla legge è quella di evitare la condizione di "peregrinazione" da parte del restante nucleo familiare, quando vi sia invece la possibilità, con il semplice allontanamento di colui che ha posto in essere i fatti pregiudizievoli, di mantenere unita la famiglia nel luogo dove essa ha i propri interessi e affetti.

Nell'art. 330 c.c. l'allontanamento del minore (ammissibile solo se ricorrano gravi motivi) si configura come un aspetto eventuale accessorio della misura principale della decadenza dalla potestà genitoriale. Tale misura potrà essere disposta, in concreto, quando entrambi i genitori siano dichiarati decaduti dalla potestà, ovvero quando la decadenza riguardi l'unico genitore esercente la potestà medesima e nel nucleo familiare non possa essere garantita la convivenza stabile con altri soggetti, comunque idonei a rivestire un ruolo significativo per il minore (ad esempio i nonni o altri parenti).

Tali provvedimenti ablativi della potestà genitoriale sono adottati dal giudice minorile con procedimento camerale, sommario ed attraverso un contraddittorio semplice; anche se reclamabili in appello, non sono ricorribili in Cassazione. Si tratta, dunque, di atti di volontaria giurisdizione, a carattere provvisorio, revocabili e modificabili in qualsiasi momento dallo stesso giudice che ha emesso il provvedimento (art. 742 c.p.c).

8. Il ruolo "dell'esperto" nelle audizioni protette di minori sessualmente abusatiIl minore che si trova coinvolto per la prima volta nell'apparato giudiziario come testimone prova una profonda ansia (perché è di fronte ad una situazione sconosciuta), molta paura e la sensazione di trovarsi in un meccanismo strano ed incomprensibile (113).

Questo disagio che la vittima avverte durante la prova testimoniale gli deriva non solo dalla difficoltà di riprendere contatto con un evento drammatico in un contesto estraneo, ma anche dal suo timore di poter alterare gli equilibri relazionali della propria famiglia e di perderne l'appoggio, specie se non si attiene a ciò che essa desidera che egli dichiari (114). I familiari potrebbero anche chiedere al bambino di modificare il racconto degli eventi di cui è stato testimone e vittima per attenuare le posizioni processuali dei presunti colpevoli, sia che si tratti di persone prossime alla famiglia, che di componenti di essa. Per quest'ultimo caso le implicazioni psicologiche dell'audizione del minore saranno maggiori; infatti la vittima è costretta ad affrontare emozioni e sentimenti complessi e a percepirsi come responsabile delle conseguenze che l'arresto e l'incarcerazione del familiare avranno per l'intero nucleo familiare, come ad esempio la perdita dell'unica fonte di reddito. Proprio in questo momento di grande instabilità emotiva del minore si inserisce l'attività del pubblico ministero con le relative indagini (115).

Tuttavia alcuni esperti affermano che i minori, se sostenuti e adeguatamente preparati, possono vivere tale esperienza ricavandone un senso di rassicurazione sulle capacità di protezione del sistema sociale - oltrechè una rinnovata fiducia negli adulti - e sentendosi rafforzati nel proprio sentimento di equità e giustizia (116). L'elemento centrale non è, dunque, il processo in sé, ma le condizioni in cui esso viene attuato. Valvo (117) ritiene, infatti, che l'ascolto della vittima potrebbe costituire una vera e propria occasione di "promozione psicologica" per il minore, se adeguatamente supportato, poiché il riordino dei fatti accaduti può aiutare a fare chiarezza sugli stessi e ad iniziare quel processo di ricostruzione della propria immagine.

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Comunque, per fronteggiare le difficoltà che incontrano i minori nel processo penale è necessario neutralizzare il rischio che la prova testimoniale risulti, oltrechè traumatica, anche insoddisfacente per gli esiti del processo e, perciò, occorre rendere più confortevole il contesto in cui avverrà l'esposizione della violenza subita (118).

È per questo motivo che nelle audizioni di minori sessualmente abusati la presenza dello psicologo dell'età evolutiva o dell'esperto in tali testimonianze è ormai considerato, nella maggior parte delle diverse realtà territoriali, un elemento indispensabile per il corretto svolgimento dell'audizione e per far sì che tale esperienza sia vissuta in modo non troppo traumatico per il bambino. Infatti le norme previste dal c.p.p. in relazione all'impiego di esperti di psicologia minorile, per quanto riguarda l'ascolto a carico del minore nelle procedure penali a carico degli abusanti, sta diventando una prassi consolidata negli uffici giudiziari italiani (119).

Il compito di chi collabora con la giustizia in veste di esperto non è quello di credere o non credere al bambino, ma di raccogliere elementi di giudizio su cui fondare le considerazioni che sottoporrà all'autorità competente. In paesi con più esperienza del nostro, dove la ricerca in tale ambito ha da tempo evidenziato i pericoli in cui si può incorrere in questa delicata materia, la scelta dell'esperto rappresenta un momento cruciale, perché una volta che il caso è stato in qualche modo "contaminato" da un approccio errato, ben poco può essere fatto per recuperare quello che si è perduto. (120) Chi sceglie l'esperto ha il dovere di sapere quali siano i requisiti di professionalità che quel dato accertamento richiede e deve scegliere, quindi, in modo ragionevole.

L'esperto prescelto, a sua volta, deve rispondere al giudice e alle parti del metodo che impiega e della sua affidabilità: deve dare conto del perché delle sue affermazioni e deve indicare le sue fonti di convincimento. Del resto questo è il solo modo che hanno coloro che non hanno partecipato alla sua attività di controllare, almeno indirettamente, la rispondenza tra il parere che viene espresso e i fatti su cui si fonda. Questa esigenza di controllo è resa ancor più necessaria dal fatto che il sapere, di cui è portatore l'esperto, non prevede strumenti che lo mettono in grado di dare risposte in termini di certezza (121). L'esperto, che opera correttamente, è consapevole di questa intrinseca limitazione e deve ricordarlo ai soggetti partecipanti al procedimento.

L'esperto, inoltre, sa (o dovrebbe sapere) che, per concorde ammissione della ricerca e della letteratura in ambito psicologico, molti sintomi comportamentali, che vengono solitamente attribuiti all'abuso sessuale, sono in effetti sintomi aspecifici, nel senso che possono essere causati da altri eventi stressanti nella vita del bambino, come ad esempio la dissoluzione del nucleo familiare per separazione dei genitori. In particolare è stato dimostrato che quasi tutti gli indicatori di abuso sessuale si possono riscontrare anche in bambini non abusati. Dunque, non esisterebbe nessun singolo sintomo o insieme di comportamenti capaci di discriminare, con ragionevole certezza, tra bambino abusato e non abusato (122).

Fino a pochi anni fa gli psicologi che svolgevano tali attività non avevano una competenza specifica e, così, non solo non riuscivano ad aiutare il bambino a testimoniare, ma addirittura ponevano domande suggestive o si dilungavano, nel colloquio, su argomenti non importanti per le indagini.

A causa anche delle reazioni dei magistrati, che preferivano così svolgere loro stessi le audizioni (senza magari conoscere però le "regole" che devono essere rispettate nei colloqui con i bambini), sono stati realizzati numerosi corsi di formazione per esperti in audizioni di questo tipo, rivolti soprattutto a psicologi dell'età evolutiva. Purtroppo, però, non sono state previste iniziative formative nei confronti di magistrati ed avvocati, i quali - salvo i casi di iniziative autodidattiche - nella quasi totalità dei casi interrogano i minori attingendo unicamente all'improvvisazione, al proprio buon senso, intelligenza, sensibilità e alla propria esperienza personale come genitori (123).

È così, dunque, che adesso la figura professionale dell'esperto in audizione protetta di minori sessualmente abusati è necessaria per condurre un buon interrogatorio. Il loro utilizzo nei tribunali, però, è a discrezione del magistrato, non esistendo ancora un albo apposito a cui fare

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riferimento per l'espletamento sia dell'attività di audizione, sia di consulenza in ambito processuale, né una norma di legge che impone la loro presenza. Così nello stesso tribunale ci sono magistrati che utilizzano l'esperto ed altri no (124).

La richiesta di collaborazione a tale figura professionale, inoltre, può avvenire con varie modalità: alcuni magistrati chiedono all'esperto di affiancarli nell'audizione, e questo vuol dire che lo psicologo ha soltanto la funzione di tranquillizzare il minore, in alcuni casi con lo sguardo o con poche parole di accoglienza, in altri casi anche con l'attività del gioco. In queste situazioni sia il giudice, sia lo psicologo si trovano nella stanza con il bambino e la buona riuscita dell'audizione dipenderà molto dalla capacità empatica del magistrato.

Altri magistrati, invece, chiedono all'esperto di svolgere lui stesso l'audizione: in questo caso, lo psicologo starà nella stanza apposita da solo con il minore e il giudice si troverà dietro lo specchio con le altre figure professionali presenti all'audizione (125). Anche questo diverso tipo di attività richiesta allo psicologo dipende dalla discrezionalità del magistrato.

Sarebbe sicuramente auspicabile una reale e positiva collaborazione tra lo psicologo e il magistrato: è dunque necessaria una maggiore regolamentazione del ruolo e delle funzioni delle diverse figure professionali (le cui attività abbiano come obiettivo principale la tutela del minore) e l'individuazione di modalità operative condivise che permettano una maggiore efficacia del lavoro di tutela minorile (126).

Un primo passo da compiere è sicuramente quello di definire un linguaggio unitario ed omogeneo tra magistrati e psicologi, e dunque una conoscenza reciproca di base dell'opposto campo di ricerca. Spesso, infatti, tali professionisti non collaborano tra di loro perché non riescono a comunicare. Saranno, dunque, necessarie attività formative mirate per riuscire così a favorire un accertamento dei fatti ed un intervento appropriato nei confronti del minore e per poter così evitare a quest'ultimo una duplicità di accertamenti dannosi e traumatici per il suo sviluppo (127).

Altro obiettivo dovrebbe essere quello di definire, a livello nazionale, norme a carattere deontologico che regolino l'attività dell'esperto in qualunque realtà territoriale operi. In Italia manca una regolamentazione specifica di tal genere: sono stati, infatti, elaborati soltanto dei criteri da parte di gruppi di esperti (come ad esempio la Carta di Noto) o da parte di associazioni, quali il Coordinamento nazionale dei Centri e dei Servizi di prevenzione e trattamento dell'abuso in danno di minori (come ad esempio la Dichiarazione di consenso), ma non sono stati sanciti dalla normativa ufficiale. Questo vuol dire che non vengono utilizzati, di regola, nei tribunali ma soltanto secondo la discrezionalità degli operatori (128).

La Carta di Noto (129) è un documento cheè statoelaborato da un gruppo interdisciplinare (composto da avvocati, magistrati, psicologi, psichiatri, criminologi e medici legali) riunitosi nel giugno del 1996 in Sicilia, a Noto, presso l'Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali (I.S.C.S.).

Tale Carta contiene tredici linee-guida da utilizzare per l'esame del minore, in modo che l'approccio iniziale all'indagine risulti il più possibile determinato dalla capacità e dall'esperienza dei singoli operatori, cosicchè possano essere ovviati gli errori diagnostici circa l'attendibilità della vittima. Tali principi, dunque, costituiscono una proposta operativa concreta rivolta, in primo luogo, a tutti gli operatori che dovranno occuparsi di abusi sessuali, in modo da consentire loro di dotarsi di un mirato metodo d'indagine (130).

Nel luglio 2002, nell'Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali di Noto vi è stato un incontro di esperti di audizione protetta di minori sessualmente abusati (organizzato dalla Dott.ssa Luisella De Cataldo Neuburger (131)) per l'aggiornamento del documento. Hanno partecipato all'iniziativa anche altre figure professionali come magistrati, avvocati, psichiatri, criminologi e responsabili dei servizi.

La nuova formulazione della Carta impone una maggiore precisione e adeguatezza, competenza e conoscenza in chi opera nell'ambito della perizia e della valutazione dell'abuso

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su un minore. Sarà dunque sempre più difficile per il clinico e l'esperto, che deve eseguire tali attività, non seguire tali metodologie e per i Tribunali nominare, come consulenti, quei professionisti che non si conformano ai modelli operativi enunciati nella Carta (132).

L'aspetto di maggior rilievo, raggiunto con questo aggiornamento, è sicuramente quello di aver fatto sì che tante diverse personalità della giustizia e della psicologia giuridica riconoscessero come validi determinati presupposti e metodologie. Questo fa sperare in un maggior utilizzo dei principi enunciati nella Carta nei casi di audizioni protette di minori sessualmente abusati.

La Dichiarazione di consenso in tema di abuso all'infanzia (133) è stata, invece, discussa ed approvata a Roma il 21 marzo 1998 dal Coordinamento nazionale dei Centri e dei Servizi di prevenzione.

Tale documento intende costituire un orientamento che indica le linee-guida comuni per gli interventi degli operatori psico-socio-sanitari in relazione ai casi di abuso sessuale sui minori. È stato infatti redatto, da specialisti della protezione e della cura del bambino, come punto di riferimento culturale e professionale specificamente rivolto a chi deve affrontare i casi di abuso sessuale ai danni di minori a livello clinico.

Riguardo a tali casi affronta i tre livelli della protezione, dell'accertamento e della cura: dunque non è diretto ad offrire degli strumenti per gli accertamenti giudiziari, ma contiene delle indicazioni per gli interventi nella fase sociale precedente o coeva al processo. Tuttavia, poiché la cura del minore danneggiato e la validazione di quanto accaduto sono sempre connessi con gli interventi giudiziari di tutela da parte del Tribunale per i minorenni e di accertamento del reato da parte del tribunale penale, è importante anche per i giudici, in quanto permette di fare degli incroci fra diverse competenze (134).

9. L'audizione protetta secondo l'opinione di psicologi e giuristiNel 2002 ho proposto un questionario riguardante l'audizione protetta ad un campione di 20 professionisti residenti in diverse parti d'Italia (di cui 10 psicologi, che sono chiamati regolarmente a dare il loro contributo nel settore giuridico e che hanno partecipato a varie audizioni protette, e 10 avvocati penalisti, che hanno avuto esperienze di difesa di minori sessualmente abusati). Lo scopo dell'intervista è stato quello di evidenziare, attraverso le loro opinioni, le varie concordanze e/o divergenze esistenti riguardo alle diverse impostazioni del lavoro prima e durante l'audizione del piccolo teste e riguardo alla sensibilità di fronte a questo problema.

Il fine di tale valutazione è stato quello di capire quali aspetti dovrebbero cambiare per operare in modo migliore contro tale problema. Sembrano essere dunque necessari: un tipo di attività sempre più coordinata tra le due categorie di operatori ed un approfondimento delle materie di competenza dell'altra categoria professionale (e quindi dell'aspetto giuridico per gli psicologi che lavorano in tale settore e, viceversa, di quello psicologico per i giuristi, in modo che sappiano confrontarsi con un minore senza traumatizzarlo). Tutto questo dovrebbe portare ad un avvicinamento tra le due categorie, pur facendo sì che ogni professionista rimanga l'esperto della sua area di competenza, arricchito però di queste ulteriori conoscenze utili per la sua professione.

Domande del questionario

Vengono riportate le domande del questionario e le risposte percentualmente più ricorrenti, divise per categorie professionali.

1) Uno psicologo può migliorare l'approccio al minore in un procedimento di abuso sessuale? Se sì, come?

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(Perché secondo l'art. 498, 4º comma cpp: "il presidente, durante l'esame del minore, può avvalersi dell'ausilio di un esperto in psicologia infantile).

Per la maggior parte degli psicologi: Sì perché:

Lo psicologo può essere un interprete fra bambino e giudice; Lo psicologo è visto come un esperto nel condurre un colloquio evitando traumi e

forzature; Lo psicologo può aiutare a creare l'atmosfera più adatta per il bambino, in modo che

possa sentirsi via via più libero e non pressato di fronte ad una richiesta.

Per la maggior parte dei giuristi: Sì perché:

Facilita la testimonianza del minore; Ha un migliore approccio al minore perché conosce meglio dei tecnici del diritto le

modalità di approccio al minore e soprattutto il modo per renderlo meno diffidente delle persone grandi.

Le risposte sembrano essere simili: emerge la capacità dello psicologo di creare un ambiente accogliente per facilitare la testimonianza del minore. Ma i giuristi non ritengono che gli psicologi possano avere una funzione d'interpretazione tra loro e il minore.

2) Chi denuncia maggiormente questi tipi di reati?

Per gli psicologi: madre, insegnanti e molti genitori che sono in fase di separazione per danneggiare l'altro coniuge.

Per i giuristi: familiari, insegnanti, le forze dell'ordine e genitori in fase di separazione.

Risulta, dunque, che le forze dell'ordine si rivolgano più ai giuristi che agli psicologi: sembra essere prioritaria la necessità di iniziare un procedimento penale e di tutela nei confronti del minore.

3) La testimonianza di un minore di cinque anni nell'audizione protetta deve essere di tipo logico-discorsivo oppure è sufficiente che sia esposta in forma simbolica-di osservazione?

Per gli psicologi: vi è la predominanza della seconda, cioè sia attraverso l'utilizzo di test, disegni, bambole anatomiche, sia osservando il comportamento del bambino in rapporto alle sue capacità evolutive e cognitive. Questo perché il bambino è molto piccolo.

Per i giuristi: Non è molto facile far parlare bambini piccoli, quindi è necessario utilizzare una serie di attività simboliche e di osservazione, poi interpretabili. Anche se non va dimenticato che l'audizione protetta è un'attività di tipo logico-descrittivo, cioè la testimonianza deve essere sui "fatti" ed i contributi di valore simbolico sono utilizzati, invece, nel contesto psicodiagnostico.

La differenza, che può apparire minima, tra le risposte date indica la diffidenza dei giuristi nei confronti delle interpretazioni derivanti dall'attività degli psicologi. Questo riporta ad una differenza di base che esiste tra le due discipline, quella giuridica che necessita di tali dati concreti e reali e quella psicologica che si basa, invece, su elementi meno tangibili.

4) Lo psicologo dovrebbe essere autorizzato o no a conoscere il minore PRIMA dell'audizione protetta? Pensa che questo possa viziare la testimonianza successiva?

Per gli psicologi: Sì.

Per i giuristi: No.

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Queste risposte sono opposte ed evidenziano una diversa funzione che le due categorie attribuiscono alla figura dello psicologo. Per quest'ultimo è necessario conoscere il minore prima dello svolgimento dell'audizione protetta perché, in questo modo, potrà riuscire più facilmente condurre l'intervista; per i giuristi, questo non dovrebbe avvenire perché l'incontro potrebbe creare, nella mente dello psicologo, delle ipotesi della vicenda che poi nell'interrogatorio cercherebbe di verificare, o comunque il minore potrebbe subire delle suggestioni anche involontarie.

10. Il problema del ricordo e le tecniche d'intervistaRiguardo alla testimonianza nei casi di presunto abuso sessuale occorre distinguere tra la testimonianza dell'eventuale vittima e le testimonianze esterne, cioè quelle di individui che hanno personalmente assistito all'intero episodio di abuso o a parte di esso. Queste ultime, se risultano chiare ed attendibili, portano all'incriminazione dell'accusato (135).

Purtroppo molto spesso, nei casi di minori sessualmente abusati, le testimonianze esterne non sono disponibili e, per la natura stessa di tali reati, i fatti accadono in privato, senza la presenza di testimoni esterni, cosicchè l'unico testimone del fatto è il bambino che ha presumibilmente subito l'abuso. Poiché non c'è prova obiettiva (136), si ragiona in modo indiziario: si considerano quelli che sono i cosiddetti indicatori probabili di un evento (l'abuso) come segni di esso, si valutano cioè i fattori che intervengono in un evento confrontandoli con gli altri eventi che conosciamo. Ragionare indiziariamente è difficile, perché i nostri processi di pensiero ci portano a confondere una correlazione, in genere temporale, tra due eventi con un nesso di causalità. Pertanto attribuiamo un effetto a quella condizione, che è presente quando l'effetto è presente ed assente quando l'effetto è assente. Tale principio di covariazione non è però un indicatore sufficiente per affermare l'esistenza di una relazione causale: se applicato indiscriminatamente porta ad un errore logico comune, il post hoc ergo propter hoc. Questa è la ragione per cui è necessario trovare un terzo elemento che colleghi l'evento alla presunta causa e che ne spieghi il nesso, e questo viene ricercato nella testimonianza del minore-vittima, la quale però potrà apportare elementi utili solo se svolta adeguatamente al caso e all'età del bambino (137).

Il problema dell'attendibilità della testimonianza infantile ha dato luogo a lunghi dibattiti che hanno portato alla formazione di due contrapposte scuole di pensiero: chi credeva che i bambini non erano in grado di fornire resoconti accurati di eventi (e si univano ad essi anche coloro che ritenevano che l'abuso infantile non poteva essere vero per una serie di ragioni, tra le quali quella per cui i genitori non possono fare cose simili ai figli) e chi invece sosteneva che il ricordo in bambini anche molto piccoli (4-5 anni) fosse sostanzialmente accurato (ai quali si univano coloro che credevano ad ogni racconto di abuso fatto da un minore, giustificandosi che i bambini mai inventerebbero episodi di tale tipo, ragione per cui se un bambino riporta un episodio di abuso deve trattarsi necessariamente di una situazione vera) (138).

Secondo la Dott.ssa Giuliana Mazzoni, professore associato di psicologia all'Università della Calabria ed esperta in ricerche sulla memoria umana, l'atteggiamento corretto è quello dello scettico, che non accoglie per principio l'una o l'altra posizione, ma che invece si pone in posizione di "ascolto neutrale" per cercare di capire che cosa sia accaduto nella realtà (139). Infatti in alcuni casi le denunce corrispondono a fatti realmente accaduti, in altri casi le denunce sono causate da motivi diversi e sono fittizie.

Nei reati di abuso sessuale sui minori, purtroppo, non esistono indicatori definitivi di avvenuto abuso; anche se oggi è forte la tendenza a presentare prontuari di sintomi che indicano l'avvenuto abuso, la ricerca su questo aspetto ha definitivamente dimostrato che ciò è scorretto.

Il problema, dunque, è quello di capire come poter valutare il racconto di un minore, nell'esame testimoniale, sull'abuso sessuale subito.

10.1 La relazione esistente tra memoria e testimonianza

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La memoria è spesso, nei casi giudiziari, l'unica fonte di informazione su quanto presumibilmente è accaduto. Purtroppo, nei casi di abusi sessuali sui minori, il bambino si trova quasi sempre nella duplice posizione di vittima e di unico testimone del fatto, e dunque sarà la sua memoria a dover fornire gli elementi necessari per arrivare all'accertamento della verità.

Perché un evento possa essere ricordato da un soggetto è necessario che egli l'abbia precedentemente acquisito (140).

La psicologia cognitiva studia i processi che guidano l'acquisizione della conoscenza da parte dei soggetti. Tali processi possono essere ricondotti ad un'attività di elaborazione (141) delle informazioni che si articola in tre fasi distinte:

a. l'acquisizione, durante la quale il soggetto percepisce le informazioni provenienti dall'esterno;

b. la ritenzione, durante la quale egli conserva in memoria le informazioni acquisite;c. il recupero, durante il quale egli ricorda l'informazione nel senso che la recupera dalla

memoria dove era conservata.

Durante queste attività il soggetto non si limita a registrare passivamente le informazioni che provengono dal mondo esterno, ma le elabora, con una serie di attività di riduzione, trasformazione ed integrazione che gli consentono di partecipare attivamente alla costruzione della propria conoscenza.

Nel suo complesso l'attività di elaborazione delle informazioni è resa possibile dalla presenza di tre elementi fondamentali (142):

a. la memoria (o registro sensoriale), dove gli stimoli fisici in arrivo dal mondo esterno vengono inizialmente tradotti in informazione nervosa sensoriale (visiva, uditiva, tattile), per poi essere confrontati con le esperienze precedenti e poter essere riconosciuti percettivamente;

b. la memoria a breve termine (MBT), che ci permette di ritenere alcune informazioni in modo fedele allo stimolo, ma solo per alcuni secondi (da un minimo di 3-4 secondi ad un massimo di 20): ciò avviene, ad esempio, quando ricordiamo un numero telefonico solo per il tempo necessario per comporlo;

c. la memoria a lungo termine (MLT), che è invece caratterizzata da un'estensione praticamente infinita e per questo detta anche memoria permanente: comporta un immagazzinamento di elementi più elaborato rispetto a quello della MBT e una considerazione dello stimolo nel suo insieme di qualità sensoriali e non.

Mentre i primi modelli della memoria erano considerati tre elementi in modo essenzialmente statico, come "magazzini" delle informazioni con capacità più o meno limitate, nei modelli successivi è prevalsa la tendenza a considerarli come corrispondenti a processi diversi di elaborazione delle informazioni (143).

Il funzionamento della memoria può essere immaginato secondo due diverse modalità: ritenendola come una sorta di fotografia o di filmato di quanto accaduto (e cioè il prodotto di un meccanismo di tipo riproduttivo) o come il prodotto di un meccanismo di tipo ricostruttivo (144).

Nel primo caso, quindi, la memoria di un evento sarebbe una rappresentazione (o riproduzione) accurata dell'evento. La conseguenza di ciò è che il recupero della memoria (cioè il ricordare) non sarebbe altro che un accesso diretto alla riproduzione (quasi fotografica) dell'evento conservato nella mente. Nel recuperare tale riproduzione dovremmo arrivare a disporre di una copia accurata di quanto è accaduto.

Oggi, invece, la maggior parte degli studiosi segue la seconda tesi. Con il termine "ricostruzione" si evidenzia il fatto che il processo di recupero non viene realizzato tramite il ripescaggio di un contenuto già pronto nella nostra mente, quanto piuttosto tramite la

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ricostruzione di un possibile evento a partire da tutta una serie di informazione e di dati che sono rappresentati in memoria e a cui abbiamo accesso.

Questi dati ed informazioni, tuttavia, non sono necessariamente ben collegati tra loro e non rappresentano la totalità dell'evento che deve essere ricordato. Si tratta di dati sparsi, che provengono da più fonti, e che possono appartenere a momenti diversi nel corso dell'esperienza dell'individuo (145). Nel ricostruire il ricordo vengono messi insieme tali dati e coordinati in una forma più o meno coerente, in modo da avere nell'insieme il ricordo di un evento. Il ricordo di un evento è quindi una (o forse la migliore) delle possibili ricostruzioni che il soggetto fa sulla base dei dati a sua disposizione.

Se il ricordo è una ricostruzione fatta sulla base dei dati a disposizione, una prima implicazione che ne deriva è che il ricordo non è mai la riproduzione fedele, completa e completamente accurata di un evento (146). E, anche nel caso di massima possibile accuratezza, non è mai la copia esatta dell'evento. Ciò va ricordato nel momento in cui si esamina un resoconto testimoniale, perché spesso accade di considerare tale resoconto come la descrizione esatta di quello che è accaduto, ma questo non corrisponde mai a verità.

Una seconda implicazione (147) è che nel fare uso delle informazioni disponibili, quando ricostruiamo un evento nella nostra memoria, possiamo anche usare informazioni molto recenti e che non appartengono all'evento originario. Dunque, le conoscenze più recenti possono influire e modificare la ricostruzione che facciamo di un episodio ai fini del ricordo.

Tutto ciò dimostra come il ricordare sia non solo il semplice "ripescaggio" dalla memoria di eventi rappresentati in essa, ma sia soprattutto il risultato di tutta una serie di processi di ragionamento e di decisione: il ricordo può quindi essere modificato dalla presenza di informazioni ricevute in tempi successivi (148).

Ogni individuo immette nella propria memoria ciò che è stato oggetto della sua attenzione. Molti studi hanno infatti dimostrato che ciò che non ricade sotto la nostra attenzione non viene elaborato, o viene elaborato solo in modo molto limitato, cosicchè non può venir rappresentato nella nostra memoria. Dunque, la focalizzazione dell'attenzione è un fattore che influisce sul contenuto e l'accuratezza del ricordo. Ma anche il grado di attenzione rivolto all'evento è una variabile importante per determinare che cosa viene codificato in memoria (149).

Di solito accade che una persona si trova ad essere testimone di un evento senza essere preparata ad osservare con attenzione i vari elementi della scena: in questi casi viene utilizzata una memoria cosiddetta di "tipo incidentale", che presuppone un livello di codifica abbastanza superficiale delle informazioni presenti nella scena. Ciò comporta che il ricordo sarà poi meno preciso di quanto accadrebbe se l'individuo mettesse in atto una codifica di tipo intenzionale, essendo cioè pronto ad assistere alla scena per cercare di elaborare al meglio i vari elementi dell'evento a cui assiste (150).

Inoltre, è stato dimostrato da tempo che la memoria umana è facilmente modificabile. I fattori che possono alterare la memoria intervengono non solo nella fase di acquisizione delle informazioni, ma anche nella fase di ritenzione delle informazioni stesse. In quest'ultimo caso si parla di "informazioni postevento". Esse possono essere di vario tipo: percezioni e giudizi di altre persone che erano presenti al momento del fatto, notizie che il soggetto può aver avuto da varie fonti in tempi successivi al fatto stesso oppure elementi che emergono dai primi colloqui con la polizia o gli avvocati (151).

10.2 Le fonti di errore nelle valutazioni di abuso sessuale sui minori

La valutazione di un sospetto abuso sessuale compiuto su un minore, e dunque la risposta istituzionale conseguente ad essa, è un'attività molto complessa (152) in quanto:

la difficoltà della diagnosi di un abuso sessuale non è solo di ordine psicologico ma anche processuale: infatti i processi che si sviluppano dalle denunce presentate all'autorità giudiziaria sono quasi sempre di tipo indiziario;

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l'esito delle investigazioni di questo tipo di accuse dipende dalla possibilità di ottenere informazioni attendibili dalla vittima;

i riscontri di natura fisica che potrebbero convalidare l'accusa sono infrequenti e, quando ci sono, confermano l'evento ma non il responsabile;

tipicamente, questi reati hanno in genere solo due testimoni: la vittima e il perpetratore; dal momento che il responsabile solitamente nega l'abuso, la conoscenza di ciò che è veramente accaduto dipende dalle informazioni che è possibile ottenere dalla vittima durante le interviste;

la competenza dell'esperto che raccoglie le prime informazioni dal bambino è un requisito indispensabile; infatti, il ricorso a procedure inadeguate nel corso delle interviste può portare sia ad un giudizio di falsità di accuse vere che di veridicità di accuse false.

L'importanza di ridurre i casi di falsi positivi e di falsi negativi ha stimolato gli studiosi ed i giuristi a predisporre strumenti d'intervista idonei (153). Purtroppo, però, l'unanimità di giudizio che riguarda le metodologie più opportune per l'esame del minore (peraltro non seguite in ogni realtà territoriale italiana) non è di per sé sufficiente a garantire un buon risultato, che dipende, in gran parte, dal livello di professionalità dell'intervistatore.

La mancanza di specifica preparazione nella tecnica dell'intervista del minore, infatti, provoca gravissimi errori a livello giudiziario che si materializzano non solo in un giudizio di veridicità di accuse false e di falsità di accuse vere, ma anche nell'assunzione di decisioni inappropriate da parte di assistenti sociali e di psicoterapeuti. In tutti questi casi, l'adeguatezza o meno delle decisioni è strettamente collegata all'accuratezza o meno delle informazioni ottenute nella fase dell'intervista del minore il quale, dal punto di vista testimoniale, è un soggetto "a rischio", per la sua immaturità psichica e per le specifiche carenze (anche cognitive) legate alla specificità della fase di sviluppo che attraversa, e per questo va intervistato in modo corretto (154).

Le fonti di errore più comuni nel lavoro degli specialisti sono di vario tipo.

Euristica della disponibilità

Gli specialisti possono sbagliare per deformazione professionale: quanto più si è specializzati su un determinato argomento, tanto più si tende a percepire gli eventi che lo riguardano in modo diverso dai non specializzati; non sempre però tale differenza è a favore della correttezza di analisi dell'evento stesso. Questo fenomeno consiste, dunque, nella tendenza della mente umana ad utilizzare le informazioni e le esperienze che sono più ricordate: vengono valutate le probabilità di un evento giudicando la facilità con cui ne vengono in mente esempi concreti (155).

Il significato dell'euristica consiste nel fatto che ciascuno di noi, in base alla propria cultura e condizione, percepisce ciò che è preparato a vedere: è una forma di percezione selettiva, che coinvolge ogni individuo e che, dunque, contamina anche le credenze degli psicologi in ambito professionale.

Tale meccanismo che ci porta ad interpretare i dati in funzione delle informazione che già possediamo è chiamato anche "codificazione dei dati viziata dalla teoria" (156): gli errori sono indotti dalle preconcezioni, consapevoli o inconsapevoli, che sono alla base dell'interpretazione degli eventi. Vengono così trascurati molti dati informativi, poiché le opinioni e le credenze precedenti selezionano la nuova informazione e l'accettano solo nella misura in cui si adegua ad esse. Questo accade con estrema facilità quando i dati sono un insieme ambiguo, che può essere legittimamente interpretato in diversi modi, come nel caso degli indizi di un abuso sessuale sospetto.

Confusione tra compito terapeutico e processuale

Lo psicologo è abituato a prendersi cura della salute del paziente, senza dover valutare la veridicità dei fatti da lui raccontati. Anzi, egli trasmette al paziente il messaggio di credere alle

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sue parole. Infatti sapere se gli eventi raccontati si sono realizzati veramente oppure no è indifferente ai fini della ricerca del benessere psicologico del paziente.

Diversa è la situazione nell'ambito della diagnosi fattuale necessaria ai giudici. In ambito processuale è infatti indispensabile trovare dei riscontri fattuali a quanto viene affermato. È dunque necessario che lo psicologo capisca che l'operazione diagnostica della perizia è utile al giudice per poter valutare il caso sulla base di elementi fattuali e ciò è diverso dall'attività terapeutica, che potrà svolgersi successivamente e che avrà come obiettivo il recupero del benessere psicologico del paziente (157).

Perseveranza nelle credenze e/o tendenza al verificazionismo

Anche gli specialisti incorrono nell'errore di non abbandonare facilmente la tesi che si sono costruiti intorno al caso, non considerando come importanti quei dati dell'esperienza con essa discordanti. Questo, naturalmente, può portare a false credenze e a cercare, ostinatamente, di dimostrare qualcosa che non esiste, con conseguenze dannose per lo stesso minore (158).

Sono, dunque, molti gli errori compiuti quando, partendo da un'ipotesi, anziché cercare di falsificarla, si tende a verificarla ("metodo verificazionista" (159)), cioè a cercare la prova che confermi l'ipotesi formulata: dai dati così cercati è ben difficile che emergano delle disconferme.

Sopravvalutazione del significato simbolico

Spesso gli specialisti tendono a dare un'interpretazione di tipo clinico alla realtà fenomenica, attraverso l'interpretazione simbolica di elementi reali. Così può accadere che si interpreti simbolicamente un fatto senza che vi siano elementi che giustifichino tale interpretazione e tutto ciò, in un contesto giudiziario, comporta conseguenze molto gravi. Dunque, come consiglia il Dott. Guglielmo Gulotta, avvocato di Milano, «prima di affermare che una cosa che il bambino esprime ne simboleggia un'altra, è necessario accertarsi se per caso quella cosa non stia semplicemente per la cosa stessa» (160).

Per poter diminuire la possibilità di incorrere in tali errori da parte degli specialisti, è necessario intervenire, da un lato, sulle modalità con cui si esaminano le persone coinvolte e con cui si utilizzano le informazioni così ottenute; dall'altro, sull'intera procedura giudiziaria con cui vengono trattate le denunce di abuso.

Per quanto riguarda i criteri con cui condurre interviste e colloqui, deve essere considerato come requisito essenziale di ogni valutazione l'obiettività (161). La principale necessità è quella di video o audioregistrare ogni intervista, in modo che la valutazione finale complessiva possa includere ogni tipo di esame precedentemente condotto con il bambino. Lo scopo della videoregistrazione è documentare minuziosamente il contesto, in cui le dichiarazioni vengono fatte, e le descrizioni in esso contenute.

In ogni investigazione su un abuso è, dunque, importante operare con obiettività, cioè il professionista deve cercare di condurre il colloquio e raccogliere i dati senza farsi influenzare da preconcetti personali. A questo scopo è opportuno che i comportamenti del bambino siano considerati alla luce di linee guida predeterminate (162). Esse fanno riferimento a:

1. standard empirici di normalità riguardanti i comportamenti di bambini simili per età, livello di sviluppo, sesso e gruppo culturale;

2. comportamento del bambino prima dell'incidente probatorio;3. spiegazioni alternative dei comportamenti osservati: prima di giungere ad una

conclusione devono essere esaminate tutte le spiegazioni alternative possibili.

Bisogna comunque ricordare che condurre un colloquio in modo impeccabile non garantisce, di per sé, di trarne informazioni attendibili (163).

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10.3 La memoria dei bambini

Oggi, sia in Italia che all'estero, i bambini possono essere sentiti come testimoni in un procedimento giudiziario, ma l'attendibilità del resoconto testimoniale del minore è stato per anni oggetto di lunghi dibattiti. Mentre in passato si tendeva a negare che un bambino inferiore ad una certa età (4/5 anni) fosse in grado di fornire testimonianze attendibili, oggi numerosi studiosi hanno rivelato che il ricordo - anche in bambini di quell'età - può essere accurato, anche se magari è molto breve (164).

Infatti i bambini anche molto piccoli (4 anni) possono arrivare ad avere un ricordo accurato come quello di un adulto attraverso la tecnica del ricordo libero, cioè quando il ricordo proviene dall'individuo senza domande specifiche da parte di un intervistatore, per cui quest'ultimo si limita a fare una domanda molto generica del tipo: «Che cosa ricordi della situazione?». Un resoconto, ottenuto attraverso questa tecnica, contiene tutto quello che un individuo riesce a recuperare dalla memoria senza aiuti esterni (165). Gli elementi così ricordati dal bambino sono di solito corretti, cioè sono elementi che erano effettivamente presenti nell'episodio originale. Purtroppo, però, il ricordo di un bambino molto piccolo è quasi sempre povero di dettagli e nettamente inferiore al ricordo dell'adulto, per cui egli ricorderà pochissimi elementi presenti nell'episodio.

I bambini hanno particolare difficoltà nel ricordare informazioni "periferiche" (166) rispetto all'evento, mentre ricordano meglio gli aspetti più salienti. Questo effetto sembra essere collegato all'importanza del coinvolgimento della persona nel ricordo, una variabile che nel minore sembra essere ancor più rilevante che per l'adulto. Per "aspetti salienti" bisogna intendere necessariamente quegli aspetti che sono, da un punto di vista logico, centrali rispetto alla situazione. L'effetto, infatti, dipende dal modo di inquadrare la situazione da parte del bambino e dai fattori che modulano la direzione della sua attenzione. Ciò che il bambino codifica dipende strettamente dalla direzione della sua attenzione al momento della codifica (cioè nel momento in cui si è realizzato l'evento) o da ciò che ha catturato la sua attenzione. Quindi centralità e salienza di un evento sono concetti che vanno valutati sul bambino e non sull'adulto: un bambino, di un episodio che ha vissuto, ricorderà gli elementi per lui più salienti (167).

Dall'attività di ricerca svolta su questa materia emerge che la memoria di un evento è migliore se quest'ultimo è vissuto in prima persona dal bambino, piuttosto che ascoltato come racconto, e che il ricordo è stranamente migliore se il bambino è attivamente coinvolto nell'episodio piuttosto che semplice spettatore esterno (168). Ci si aspetterebbe, invece, che un bambino che ha subito un evento drammatico fosse più fortemente coinvolto dal punto di vista personale e avesse, di conseguenza, scarsa capacità di organizzazione, rappresentazione e verbalizzazione di ciò che ha vissuto. I risultati opposti sono invece indicativi del fatto che il coinvolgimento personale determina nei bambini una prestazione di ricordo migliore: infatti ciò che viene ricordato meglio è ciò che era centrale per l'interesse del bambino (169).

I bambini dunque, quando forniscono il resoconto attraverso il racconto libero, non aggiungono elementi di fantasia o invenzioni, a meno che non considerino la situazione in cui viene loro richiesto il resoconto una situazione di gioco fantastico (170). Ma questo è vero solo nel caso in cui i bambini siano sottoposti a nuove interviste o colloqui sull'argomento in cui venga loro suggerita una nuova informazione. In questo caso il resoconto successivo dello stesso episodio risentirà del contenuto dei colloqui fatti e conterrà con molta probabilità le nuove informazioni ricevute nel corso di tali conversazioni successive. La ripetizione sarà quindi una versione corretta dei fatti solo se nell'intervallo di tempo non sono state fatte domande o non è stata fornita altra informazione con un contenuto suggestivo. Questo dimostra che l'aggiunta di informazioni rende difficile recuperare l'informazione originale o distinguere quest'ultima da un'informazione aggiunta (171).

Anche in un compito di riconoscimento la quantità di elementi che un bambino è in grado di riconoscere è inferiore rispetto a quelli che riconoscerebbe un adulto e lo stesso riconoscimento di volti è più problematico e meno accurato (172). Questa tecnica, comunque, sembra essere utilizzata con bambini piccoli che non riescono a fornire elementi utili per le

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indagini con il racconto libero, anche se bisogna ricordare che il problema del riconoscimento sta nell'elevato numero di falsi positivi riconosciuti: infatti i bambini tendono a "riconoscere" (cioè a dire «sì, l'ho visto») anche quando l'elemento o l'uomo non era stato presentato in precedenza. Dalle ricerche però emerge che l'accuratezza sembra aumentare se nel momento del recupero della memoria (cioè quando si chiede al bambino di riconoscere qualcosa) viene reinstaurato lo stesso contesto in cui si è svolto l'episodio iniziale: è questo, dunque, uno degli elementi che viene utilizzato nel corso delle interviste dei minori per ovviare al problema dei falsi riconoscimenti (173).

Bisogna inoltre tener presente che i bambini tendono a dire sì a molte domande poste in modo diretto. Un esempio di domanda diretta "pericolosa" è la seguente: «hai visto un uomo entrare nella stanza?». In questo caso un bambino, quasi sempre, risponde di sì (anche quando in realtà non ha visto nessun uomo entrare) solo perché la domanda è stata posta in modo da avere una risposta sì o no. Tale domanda andrebbe sempre evitata, perché non potremmo mai sapere se la risposta data dal bambino è dovuta alla tendenza spontanea a dire sì oppure è dovuta al fatto che effettivamente ha visto un uomo entrare nella stanza. La domanda può, invece, essere fatta se il bambino ha già precedentemente fornito in prima persona, nel racconto libero, i dati su cui la domanda si basa (ad esempio se nel resoconto libero ha parlato di aver visto un uomo) (174).

I bambini, infatti, hanno maggior tendenza, rispetto agli adulti, a ricordare l'informazione errata presentata successivamente dall'intervistatore, cioè sono maggiormente suggestionabili. Varie ricerche hanno dimostrato che essi, se avvicinati in modo suggestivo, possono facilmente cambiare la descrizione di quello che hanno visto o che è stato loro fatto. Questo avviene con grande facilità se i bambini sono piccoli, se sono interrogati a distanza di tempo dall'evento, se sono suggestionati da domande poste in modo scorretto o volutamente viziate o se chi pone le domande viene visto dal minore come una figura autorevole. (175)

Benchè sia vero che un adulto viene percepito come autorevole quanto più si pone distante dal bambino, anche un adulto che interagisce con il bambino tramite il gioco è pur sempre visto da lui come un adulto. Per questo motivo alcuni esperti di colloquio con bambini, che si sospetta siano stati oggetto di abuso, consigliano di comportarsi in modo "onesto" con il bambino, "da adulto a bambino" (176), dichiarando il motivo dell'incontro e semplicemente ponendo le domande in modo corretto, per non indurre risposte compiacenti da parte del bambino, o in modo da non suggerire informazioni aggiuntive probabilmente non vere. Occorre utilizzare in questi casi un linguaggio comprensibile per il minore, ma non occorre cercare di farsi passare per un non-adulto, anche perché in queste specifiche occasioni il minore sente il bisogno di avere vicino a sé non una persona con cui giocare, ma un adulto che, rispettandolo, lo faccia sentire protetto e sostenuto nell'angoscia che gli causa l'intervista.

È necessario inoltre ricordare che la percezione del tempo nel minore è molto diversa da quella dell'adulto: per un bambino una settimana o un mese possono essere uno spazio temporale molto lungo, molto più lungo che per l'adulto.

In un'intervista pubblicata su un quotidiano (177), il Procuratore di Firenze Luigi Vigna ha affermato: «Il materiale è delicato; se il primo contatto avviene in modo non adeguato si rischia la manipolazione delle prove. È come se durante il prelievo del sangue per eseguire il test del Dna, l'operatore starnutisse». È pertanto estremamente importante che chi conduce il colloquio abbia una formazione specifica sulle tecniche dell'intervista.

La suggestionabilità però non si limita all'aggiunta o alla modifica di uno o più elementi di una scena. Ci sono risultati che sono stati confermati più volte e che mostrano come sia addirittura possibile indurre i bambini a ricordare eventi che non sono mai accaduti (178).

Dunque il fattore "suggestione" figura al primo posto tra gli elementi che possono inquinare il risultato di un'intervista e, se colui che pone le domande al minore non è preparato a porle in modo corretto e non inducente, può suggerire, talvolta in modo insistente anche se involontario, informazioni che non sono vere, ma che rischiano di diventare tali col tempo nella memoria del bambino (179).

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Un'altra fonte di errore nelle valutazioni dei casi di abuso sessuale sui minori, che viene quasi sempre ignorata, è rappresentata dalle menzogne dei bambini.

Secondo una corrente di pensiero, ancora condivisa da molti, i bambini, quando riferiscono di abuso sessuali, non mentirebbero mai ed alcuni esperti interpretano ogni tentativo di ricercare e verificare la prova delle accuse come una dimostrazione di incredulità o di negazione del fenomeno. Si tratta di uno stereotipo pericolosamente diffuso e condiviso, nonostante le numerose ricerche che hanno dimostrato la preoccupante capacità del bambino di mentire anche su fatti di abuso sessuale (180).

Va innanzitutto chiarito il significato della parola "menzogna". Se utilizziamo questo termine come viene interpretato dagli adulti, la menzogna è una dichiarazione deliberatamente falsa intesa a trarre qualcuno in inganno: allora i bambini, in genere, non mentono. Ma i bambini possono raccontare cose che ritengono vere ma che sono il frutto di suggestioni, di manipolazioni, di fraintendimenti e possono insistere nel racconto solo per prolungare l'esperienza, per loro piacevole ed insolita, di una speciale attenzione da parte degli adulti nei loro confronti. Altre cause possono essere: il desiderio del bambino di uscire da una situazione familiare difficile; la suggestione esercitata da parte del genitore che è coinvolto in una causa di separazione e sfrutta l'accusa per ottenere l'affidamento del bambino; il desiderio di evitare una punizione, di sostenere un gioco, di vendicarsi di presunti torti subiti o di conquistare una libertà che gli viene negata (181). Questi e tanti altri fattori possono influenzare il racconto di un bambino e renderlo non veritiero, senza per questo che si possa dire che il bambino "mente".

Ci sono poi i casi sempre più frequenti in cui l'accusa di abuso sessuale nasce dalla precisa e premeditata pianificazione dell'inganno da parte del minore stesso che "costruisce" un racconto così attendibile e verosimile da ingannare persino gli esperti (182).

Per realizzare un'effettiva protezione del minore testimone e vittima di un presunto abuso sessuale è necessario evitare l'instaurarsi di un "clima di caccia alle streghe" (183), cioè il vedere un possibile abuso sessuale in qualunque situazione di contatto fisico o di disagio psicologico del minore. Tale atteggiamento è sbagliato e realmente pericoloso, non solo per gli adulti coinvolti, ma soprattutto per i bambini, che diventano le vere vittime di situazioni il cui intento iniziale era invece quello opposto di rendere loro protezione e giustizia. I bambini attraversano periodi di enorme disagio, disorientamento, stress, con conseguenze negative per il loro sviluppo. Vedendo possibile abuso sessuale in qualunque situazione non si aiutano o proteggono i bambini. Occorre, quindi, cautela nell'accettare qualunque indizio come vero, ed occorre grande cautela nell'intervenire, perché senza esserne pienamente consapevoli, si può contribuire alla creazione di un sistema che può avere effetti devastanti per il minore (184).

Oltre ad un invito alla cautela, è necessario anche un invito particolare alla professionalizzazione. Come infatti sostiene la Dott.ssa Giuseppina Mostardi (185), psicologa e consulente tecnico del Tribunale Civile di Roma:

Non ci si improvvisa intervistatori, specialmente quando si tratti di avere colloqui con bambini, e in particolare quando si sospetta che i bambini con cui si parla abbiano subito abuso sessuale. Bisogna essere preparati e avere piena padronanza di uno strumento che, nonostante l'apparente facilità, può creare gravi danni se utilizzato in modo non corretto.

10.4 La corretta modalità d'intervista

I bisogni di ogni bambino, di ogni colloquio e dell'intervistatore possono essere diversi da un'intervista ad un'altra. Non ci sono, dunque, semplici regole o prescrizioni determinate che possono essere adeguate per tutte le interviste: si potranno soltanto definire delle "linee-guida" appropriate per la maggior parte di esse.

Le interviste non dovrebbero essere condotte senza un'adeguata pianificazione, che dovrebbe tener conto di ogni informazione derivante dai colloqui tra centri ed istituzioni (ad esempio tra polizia o tribunale e servizi sociali), dalla considerazione dei bisogni del bambino, dell'età e del

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suo probabile sviluppo. Bisogna però ricordare che lo sviluppo di ogni bambino segue ritmi diversi e, così, l'età cronologica di un minore può essere solo l'indicazione molto approssimativa del suo livello di sviluppo. Perciò, prima di intervistare un minore come testimone, dovrebbero essere cercate quante più informazioni possibili relative al suo sviluppo linguistico, cognitivo e comunicativo e al suo grado si maturità sociale, fisica e sessuale (186). Se l'intervista è stata ben pianificata e ben condotta, ciò dovrebbe ridurre il bisogno di ripeterla.

Per i bambini molto piccoli e per quelli che hanno bisogni speciali è ancora più necessario predisporre un'adeguata programmazione in modo da avere incontri più brevi in un certo numero di giorni successivi. Può accadere infatti che essi non siano in grado di raccontare tutto quello che possono ricordare in una singola sessione d'intervista e che abbiano bisogno di più tempo (187).

Dalla ricerca sulla corretta metodologia dell'intervista al minore sono emerse varie considerazioni, utilizzate per l'elaborazione di alcune linee direttive affinchè il racconto ottenuto possa essere utilizzato nel contesto giudiziario. Nella pratica legale, infatti, le modalità con le quali il testimone viene sentito assumono grande importanza, sia nella fase delle indagini preliminari, sia in quelle successive. Fino ad oggi, però, i suggerimenti che la ricerca psicogiuridica è riuscita a far accettare dal sistema di giustizia sono relativamente modesti, forse perché gli scopi delle due scienze sono tanto diversi.

La modalità d'esame è determinante soprattutto quando il testimone è un minore. I bambini piccoli non hanno ancora appreso lo schema convenzionale che sta alla base della rievocazione di eventi passati e, quindi, il racconto che si ottiene dipende dalle domande con cui gli adulti guidano i loro ricordi (188).

In generale, ottenere da un bambino informazioni attendibili è molto difficile. Diventa difficilissimo quando i dati raccolti devono essere utilizzati nel contesto legale e giudiziario. Per ridurre al minimo le possibilità di errore, gli esperti raccomandano di adottare una procedura che consenta di minimizzare le possibilità di inquinamento e di accrescere quelle con un corretto ricordo.

La ricerca psicologica degli ultimi anni ha confermato che i bambini, anche molto piccoli, sono in genere capaci di offrire un resoconto utile degli eventi a condizione che vengano intervistati in modo appropriato (189).

Il problema è posto dal fatto che il bambino piccolo riferisce molto meno rispetto ad un adulto o ad un bambino più grande e, quindi, è necessario fargli domande e stimolare il suo ricordo. Ma occorre sapere come interrogarlo senza che le domande poste possano alterare il suo ricordo originale. Consapevoli di questa difficoltà ma anche della necessità di risolverla, la Home Office ha chiesto ad un gruppo di professionisti di elaborare un Memorandum of Good Practise, contenente le linee direttive da utilizzare affinchè il racconto di un minore, dal vivo o videoregistrato, possa essere utilizzato nel contesto giudiziario (190).

Questo importante documento, pubblicato nel 1992 e basato sul consenso degli esperti e sui dati della ricerca, dà indicazioni sulle modalità che devono essere seguite nell'intervistare un minore, sulla strutturazione dell'intervista, sulle condizioni necessarie perché un tribunale possa accettare l'ammissione di una videoregistrazione e sulle norme legali che devono essere rispettate affinchè possa valere come prova (191).

Bisogna ricordare che i bambini possono non rendersi conto del fatto che si trovano in una situazione in cui le regole usuali di conversazione con gli adulti non valgono o sono capovolte, cioè essi possono trovare difficoltà a credere di sapere qualcosa che l'adulto già non sa, e per questo essere disorientati nell'intervista.

Riguardo al modo di raccogliere le informazioni dal minore, questo documento raccomanda di seguire un preciso schema distinto in quattro fasi (192). Prima di tutto è necessario fare una pianificazione dell'intervista, in modo da fornire al bambino l'opportunità di descrivere cosa è

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successo con le sue parole, per poi procedere con domande generali e aperte fino ad arrivare a porre domande specifiche e chiuse.

La prima fase essenziale di un'intervista con un minore testimone è stabilire un adeguato rapporto tra il bambino e l'intervistatore. Il minore deve essere aiutato a sentirsi sicuro e rilassato.

La seconda fase consiste in una rievocazione libera da parte del bambino dei fatti e delle informazioni che è in grado di riferire, con le sue parole, in risposta a domande aperte e mai forzanti o suggestive. Dunque il ruolo dell'intervistatore è quello di facilitare la narrazione e non di guidarla.

Nella terza fase vengono proposte domande di approfondimento di quanto già narrato. Poiché i bambini, pur essendo in grado di dare resoconti attendibili, raramente riferiscono i dettagli e le informazioni che l'adulto o il bambino più grande sono in grado di dare, spesso occorre fare al minore delle domande, ma la loro forma deve sempre essere aperta e devono sempre essere formulate in modo da far capire che viene accettata l'eventualità di non riuscire a ricordare o di non sapere la risposta. Certe domande in cui si chiede il «perchè» possono essere interpretate dal bambino con un'attribuzione di colpa o di responsabilità e quindi vanno evitate. Allo stesso modo va evitato di ripetere una domanda subito dopo che il bambino ha dato una risposta: potrebbe essere interpretata come una critica alla risposta data e indurre, quindi, a dare una risposta diversa. La ricerca ha infatti dimostrato che, quando si ripete una domanda, il bambino tende a pensare di aver dato in precedenza una risposta sbagliata che va quindi corretta (193).

Inoltre gli adulti ritengono, sbagliando, che anche i bambini siano in grado di sapere quali siano le informazioni rilevanti. Questi, generalmente, non lo sanno ed è per questo che può essere necessario rivolgere domande specifiche, purchè non suggestive, per dare modo al bambino di riportare la sua attenzione sul punto focale della vicenda.

Vanno sempre evitate le domande a risposta chiusa (sì/no) perché, la ricerca ha dimostrato, specie con i bambini, che la tendenza sarà a rispondere sì o comunque a rispondere ciò che ritengono faccia più piacere all'intervistatore.

La quarta fase prevede la chiusura dell'intervista. L'intervistatore deve controllare con il bambino di aver capito bene le parti essenziali del racconto e deve evitare di utilizzare un linguaggio adulto al quale il bambino potrebbe aderire senza capire il significato delle parole (194).

Una procedura rappresentativa del metodo proposto dal Memorandum of Good Practise, che gli psicogiuristi considerano idonea a raggiungere buoni risultati e che è raccomandata e seguita dai maggiori esperti del settore (anche se purtroppo non ancora attuata in ogni realtà italiana), è la cosiddetta Step-Wise Interview o "Intervista Graduale", elaborata dal Prof. Yuille, un esperto canadese in testimonianza infantile, in collaborazione con psicologi, operatori sociali, polizia e pubblici ministeri.

Questa procedura combina la conoscenza più aggiornata in tema di psicologia evolutiva con le tecniche di memoria che possono aiutare il minore a ricordare e riferire gli eventi collegati ad un episodio di abuso sessuale (195). Il suo scopo è quello di:

1. ridurre al minimo le interviste;2. ridurre al minimo il trauma dell'investigazione per il bambino;3. massimizzare la quantità di corrette informazioni ottenibili dal bambino;4. minimizzare il rischio di contaminazione che l'intervista può avere sulla memoria che il

bambino ha dell'evento;5. garantire e poter dimostrare l'integrità e la correttezza del processo investigativo e

consentire un controllo di "qualità" della valutazione conclusiva.

L'intervista dovrebbe avere per protagonisti unicamente il bambino e l'intervistatore. Tuttavia ci sono situazioni in cui è necessaria o opportuna la presenza di altre figure, quali operatori

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sociali o funzionari di polizia. È assolutamente sconsigliata la presenza al colloquio di altri adulti coinvolti nella vicenda, come terapeuti o genitori, la cui presenza potrebbe compromettere l'integrità della procedura e rendere difficile al bambino l'elaborazione dei dettagli della vicenda. È inoltre da evitare qualsiasi iniziativa da parte dell'intervistatore di stabilire un contatto fisico con il minore, ad esempio prendendolo in braccio (196).

La Step-Wise Interview prevede nove fasi (197) che devono essere scrupolosamente attuate in successione:

1. Creare un buon rapporto con il bambino.2. Chiedere al bambino di raccontare uno o due eventi specifici della sua vita (ad es. una

festa di compleanno e un viaggio con i parenti).3. Accertarsi che il minore dica la verità, appurando, soprattutto se è piccolo, che conosca

il significato di "verità".4. Introdurre l'argomento di cui si vuole parlare.5. Fase della narrazione libera.6. Fase delle domande generali, che dovranno partire solo da informazioni

precedentemente fornite dal bambino).7. Fase delle domande specifiche (solo se necessarie), servono per chiarire ed

approfondire risposte precedenti.8. Aiuti per il colloquio (ad es. disegni o cartelloni riproducenti il corpo umano),

specialmente con i bambini piccoli.9. Conclusione del colloquio.

Le regole principali da seguire in questo tipo d'intervista sono dunque varie.

1) Per riuscire a costruire un adeguato rapporto con il minore, il compito dell'intervistatore è quello di costruire un'atmosfera che consenta al bambino di sentirsi il più possibile a suo agio. I modi per ottenere questo risultato variano a seconda dell'età, dell'ansia e delle necessità del bambino. Lo psicologo può esordire con lo strumento del gioco, soprattutto se il bambino è piccolo, mentre con un adolescente si può parlare ad esempio di interessi scolastici, di hobby, ecc. È da notare che nel Memorandum of Good Practise è consigliato di non utilizzare il gioco come strumento per raccogliere informazioni durante questa fase (198).

Un clima d'intesa con il bambino si può creare anche permettendogli di esplorare la stanza o di stare con un adulto di riferimento all'inizio dell'intervista, oppure di portare con sé un gioco o un oggetto particolarmente gradito.

Ovviamente il bambino non va né minacciato, né criticato (199). È necessario instaurare con lui un rapporto amichevole, in modo che possa percepire di essere trattato bene e che l'intervistatore ha fiducia in lui qualunque cosa dirà. Non è giusto mettersi "alla pari" dei bambini, perché questo potrebbe farli sentire soli, senza l'appoggio di qualcuno che possa proteggerli: è necessario che l'adulto si presenti come tale, con la disponibilità ad aiutarlo.

2) Chi conduce l'intervista deve poter sapere, fin dall'inizio, quante e quali informazioni ci si può aspettare da un dato bambino. Infatti, il bambino non è un'entità generica: ognuno è diverso dall'altro e occorre quindi misurare la sua specificità (200). Questa valutazione può essere fatta chiedendo al bambino, prima di procedere all'intervista vera e propria, di descrivere due eventi "neutrali" della sua vita (ad esempio una gita scolastica, la festa di compleanno) e/o di raccontare qualcosa di cui è interessato (ad esempio uno tra i suoi interessi).

Dal tipo e quantità del materiale che verrà prodotto, l'intervistatore si farà un'idea della capacità del bambino di ricordare e rievocare ed è su questa che misurerà i dati che otterrà con l'intervista vera e propria.

L'intervistatore in questo modo potrà decidere la durata più adatta dell'intervista ed il tipo di domande da porre al bambino. Il numero di parole per frase usate dal minore in questa fase del

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rapporto dovrebbe poi fornire indicazioni sulla durata delle domande che l'intervistatore potrà porre successivamente (201).

In questo modo, inoltre, l'intervistatore potrà capire qual è la conoscenza verbale e linguistica del bambino e la sua percezione rispetto allo spazio e al tempo (ad esempio è utile porre una domanda del tipo: «il tuo compleanno è stato prima o dopo Natale?»); è però necessario non crearsi, da questi racconti, dei preconcetti riguardanti il fatto su cui bisogna indagare (202).

3) Introdurre il tema della verità ed accordarsi con il bambino sulla necessità di dirla è un passaggio fondamentale, visto che i bambini piccoli trovano difficile discriminare tra realtà e fantasia. Questo tema viene presentato al bambino in modo generale, ad esempio con una domanda del tipo «sai cosa significa dire la verità?». Se il bambino non è in grado di dare una risposta, si possono usare domande più specifiche come «se dico che i miei capelli sono lisci, è una bugia o è la verità?».

Successivamente si possono rivolgere domande per capire se il bambino ha il senso del significato e delle conseguenze della menzogna. Tra intervistatore e bambino si stipula come un "patto" secondo il quale, nel corso dell'intervista, si parlerà soltanto di cose vere (203).

Lo scopo dell'intervistatore è quello di ottenere un massimo di informazioni senza fare ricorso a tecniche che inducono risposte non corrette. L'ottimizzazione del risultato dipende direttamente dal modo in cui verranno formulate le domande e dalla consapevolezza che i bambini, soprattutto se molto piccoli, ritengono di dover dare sempre una risposta, arrivando fino ad inventarla. Il problema non è semplice e può essere superato soltanto da professionisti altamente qualificati: si tratta, da un lato, di saper aiutare il bambino a ricordare un massimo di dettagli esatti e, dall'altro, di saper come evitare domande suggestive, forzanti o tali da influenzare il bambino e contaminare il suo ricordo degli eventi (204).

Infine, l'intervistatore deve avere un'approfondita conoscenza delle competenze mnestiche, linguistiche e cognitive che può avere un bambino di una data età per garantire una corrispondenza tra gli intenti di chi intervista e il modo in cui il bambino percepisce l'intervista (205).

4) A questo punto del colloquio occorre introdurre l'argomento sul quale interessa indagare, ma senza far sentire al bambino che ci sono delle aspettative non risolte. Bisogna riuscire a spiegare al minore in cosa consiste l'intervista e perché si vuole fare proprio a lui delle domande, senza con questo pregiudicare l'integrità della testimonianza. Se si riuscirà a fornire una spiegazione appropriata, lo si aiuterà a capire cosa aspettarsi dall'intervista e a dare una relazione degli eventi (206). Alcuni bambini possono supporre che, poiché vengono intervistati, devono aver fatto qualcosa di sbagliato. Altri possono anche sentirsi colpevoli per essere stati coinvolti in atti offensivi. Quindi, una grande attenzione deve essere posta quando si cerca di spiegare al minore la necessità di dire la verità.

Riuscire ad introdurre l'argomento in modo chiaro ma non traumatico, in modo tale da far capire al bambino l'importanza della sua testimonianza, non è facile e spesso accade che i bambini non vogliano parlare (207). L'altro problema per l'intervistatore è quello di dover fare molta attenzione a non fare domande suggestive, altrimenti le eventuali risposte ottenute dal bambino non sono utilizzabili. All'inizio dell'intervista vengono poste domande aperte per poi proseguire con domande più specifiche.

Le tecniche utilizzabili (208) per sollevare l'argomento della testimonianza potrebbero essere:

«Sai perché sei qui oggi?»

(se non c'è risposta)

«Se c'è qualcosa che ti preoccupa, è importante per me capirlo» / «Ti è accaduto qualcosa di cui vorresti parlarmi? »

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(se non c'è risposta)

«Ho saputo che hai raccontato qualcosa alla tua insegnante/amica/mamma la scorsa settimana. Vuoi raccontarmi di che cosa avete parlato?»

(se non c'è un racconto precedente)

«Ho sentito che qualcosa ti può aver turbato. Raccontami tutto quello che puoi riguardo a questo»

(se non c'è risposta)

«Come ti ho detto, il mio lavoro è di parlare con i bambini di cose che possono averli turbati. È molto importante che io capisca cosa ti può aver agitato. Raccontami per quale motivo tu credi che (il tutore) oggi ti abbia portato qui».

(se non c'è risposta)

«Ho sentito che qualcuno può aver fatto qualcosa che non era giusto fare. Raccontami tutto quello che sai a questo riguardo, tutto quello che ti ricordi».

In nessun caso l'intervistatore dovrà fare il nome della persona sospettata o suggerire cose accadute nel corso dell'eventuale abuso.

Se le domande generali non hanno portato alla luce il tema dell'abuso, può essere utile ricorrere al disegno (209). Si chiede al bambino di disegnare la figura di un uomo o di una donna, per poi passare ai dettagli di ogni parte del corpo. Per ognuna di esse, si chiede al minore di indicarne il nome e di descriverne la funzione. Quando si arriva alla descrizione dei genitali, l'intervistatore può chiedergli se ha mai visto quella parte del corpo di un'altra persona e/o se qualcuno ha visto o toccato quella sua parte.

Fra gli strumenti utilizzabili in questo tipo di interviste ci sono anche i cosiddetti "cartelloni del corpo anatomico", che possono servire per chiedere al bambino i nomi che utilizza per i vari organi del corpo umano e poter così conoscere il suo linguaggio. Ma parte degli esperti sono contrari al loro utilizzo perché considerano tale materiale troppo suggestivo (210).

È necessario che l'intervistatore comunichi al bambino in modo esplicito che:

lui non era presente quando il presunto evento ha avuto luogo e, quindi, fa affidamento sul racconto del bambino per conoscere i fatti;

se l'intervistatore fa una domanda che il bambino non capisce questo deve sentirsi libero di dirlo;

se l'intervistatore fa una domanda per la quale il bambino non conosce la risposta, è giusto che egli dica "non lo so" e non deve rispondere necessariamente qualcosa;

se l'intervistatore fraintende quello che il bambino ha detto o riassume quanto è stato detto in modo errato, il bambino deve dirlo e metterlo così in evidenza (211).

5) Una volta introdotto il tema dell'abuso, l'intervistatore deve incoraggiare il bambino a dare una narrazione libera dell'evento, cioè a raccontare i fatti con parole sue, descrivendo quanto successo dal principio e senza lasciar fuori nessun dettaglio. In questa fase, il ruolo dell'intervistatore è quello di agire da fattore facilitante e non interrogante, cioè deve agevolare il racconto del minore non interrompendolo, non correggendolo e non mettendo in dubbio quanto egli racconta (212). Anche la psicologa e psicopedagogista Beatrice Bessi, esperta in audizioni protette con minori sessualmente abusati e collaboratrice del Centro Artemisia di Firenze, conferma tutto questo:

Al bambino deve essere concesso di procedere a suo modo e secondo i suoi tempi, accettando pause, divagazioni ed elaborazioni anche di dettagli irrilevanti per le indagini. L'intervistatore,

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dunque, deve resistere alla tentazione di parlare appena il bambino sembra aver finito (va rispettata la regola del "tempo d'attesa") e deve riuscire a tollerare le pause (anche quelle prolungate), i silenzi e quelli che possono apparire i resoconti di informazioni irrilevanti resi dal bambino.

È necessario fare qualunque sforzo per ottenere dal bambino informazioni spontanee e non contaminate dall'intervista.

Il desiderio dell'intervistatore di dare una valutazione definitiva della situazione non deve manifestarsi con un approccio troppo impaziente: dovrebbe essere realizzato un "ascolto attivo", in cui l'intervistatore s'impegna a far sì che il bambino sappia che, ciò che quest'ultimo ha raccontato, è stato da lui sentito (ad esempio ripetendo le sue stesse parole) (213).

Se le accuse riguardano abusi ripetuti nel tempo, è bene chiedere prima una descrizione dello schema generale («mi puoi dire che cosa succedeva di solito?») per poi utilizzarlo per aiutare il bambino a ricordare meglio momenti specifici che, per qualche regione, si allontanano dallo schema generale.

Se sono stati descritti eventi multipli, può essere utile dare ad ognuno di essi "un'etichetta" («hai detto che è successo in cucina. Allora lo chiamiamo "il fatto della cucina"»). È importante che il bambino collabori alla scelta dell'etichetta perché in questo modo potrà meglio organizzare il suo ricordo e l'intervistatore sarà sicuro, nel corso del colloquio, di quale fatto si sta parlando (214).

6) Nel decidere se procedere o meno alla fase seguente dell'intervista devono essere prese in considerazione anche le esigenze del minore. Se quest'ultimo appare fortemente angosciato, l'intervistatore dovrebbe fare una valutazione se ciò dipende dal fatto che il bambino sta rievocando momenti dolorosi, o se dipende dall'intervistatore. Se la causa è la prima, è necessario capire se è bene approfondire in questo momento la questione oppure diminuire la tensione creatasi; se la causa sembra essere la seconda, portare aventi il colloquio è sicuramente inappropriato (215).

L'intervistatore, nel porre qualunque domanda, deve tener conto del grado di sviluppo del bambino, che dovrebbe aver già preso in esame durante la prima fase del colloquio.

Quando il minore ha terminato il resoconto libero (la durata può variare in funzione di un gran numero di fattori, inclusa la sua età) possono essere poste le domande. A seconda del modo in cui una domanda viene formulata si hanno risposte più o meno complete ed accurate. Per ottenere i migliori risultati da un'intervista è importante che vengano utilizzate le domande appropriate e che vengano evitati i tipi di domanda che danno luogo a risposte scorrette e incomplete, o addirittura modificate (216).

L'intervista, dunque, deve procedere con le domande aperte di carattere generale, che permettono di ottenere dal bambino approfondimenti di cose o eventi già da lui ricordati. Tali domande, infatti, devono servire soltanto per l'elaborazione di dettagli già descritti o introdotti dal minore nella fase iniziale di narrazione libera e devono essergli poste usando la sua stessa terminologia, evitando qualunque argomentazione suggestiva o forzante (217).

Nelle domande aperte si chiede al bambino di fornire maggiori informazioni, ma in un modo che non lo influenzi o gli metta pressione. Tutte le domande usate nell'intervista devono essere espresse in modo da implicare che l'incapacità di ricordare è accettabile. Infatti, durante questa fase, dovrebbe essere detto (o espresso in qualche modo) al minore che rispondere «non mi ricordo» o «non lo so» può essere appropriato e giusto se corrisponde alla sua reale non conoscenza, perché non deve ricordare per forza.

Al minore deve essere posta soltanto una domanda per volta. Il linguaggio utilizzato in ogni domanda deve essere appropriato al bambino che si sta intervistando. Di rado, o forse mai, potrebbe essere appropriato un linguaggio adulto: le proposizioni devono essere semplici e non ambigue, evitando le doppie negazioni o altre costruzioni confusionarie (218).

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Se il testimone diventa angosciato perfino quando vengono poste queste domande generiche, l'intervistatore dovrebbe prendere seriamente in considerazione la possibilità di allontanarsi per un momento da questo argomento e ritornare ad una fase precedente dell'intervista. Inoltre, potrebbe essere utile suggerire al bambino di utilizzare un particolare segnale (ad esempio alzare una mano) per indicare che sa la risposta alla domanda fatta dall'intervistatore, ma non è pronto o non vuole rispondere. Così l'esperto potrà capire se si tratta di un problema di memoria o di altro tipo di difficoltà (219). Il particolare lasciato in sospeso potrà essere riproposto in un momento successivo.

Alcune domande che utilizzano la parola «perchè» possono essere interpretate dai bambini come se ci fosse l'intenzione di attribuire loro colpa e responsabilità. Tali domande dovrebbero essere evitate.

Deve anche essere evitato il ripetere le domande subito dopo che un bambino ha risposto, dal momento che ciò può essere interpretato dai minori come una critica alle risposte già date. Il ripetere una domanda troppo presto può far sì che il bambino cambi la sua risposta in una che pensa sia quella che l'intervistatore vuole sentire e comunque, quando si vuole ripetere una domanda già fatta, è sicuramente meglio dire con chiarezza al bambino che è una ripetizione, così lui sarà più tranquillo nel rispondere (ad esempio dicendogli «scusa se ti rifaccio la domanda, ma non ricordo più la risposta») (220).

7) Idealmente, a questo punto dell'intervista, attraverso la narrazione libera e le domande aperte, si può supporre che l'intervista abbia raccolto tutto il materiale possibile. Tuttavia, in questa fase, il ricorso a domande specifiche può essere utile per ottenere chiarimenti e approfondimenti di quanto già narrato. Al bambino può essere chiesto di rievocare mentalmente il contesto di un dato evento (chiedendogli «ti ricordi che tempo faceva?» oppure «ti ricordi cosa stavi facendo prima?») e di esaminarlo da prospettive diverse («se qualcuno guardava dalla finestra che cosa avrebbe visto?») (221).

L'importante è che inizialmente tali domande non siano guidanti o inducenti, cioè la domanda non deve implicare o contenere la risposta (anche se in taluni casi può essere inevitabile che le domande facciano riferimento ai fatti ancora non certi).

Se nel resoconto dei bambini è stata menzionata una situazione di abuso ripetuta, ma i vari episodi non sono stati descritti con sufficienti dettagli, questo può essere il momento di provare ad esaminare questi aspetti.

I bambini piccoli trovano difficile ricordare eventi se nelle domande viene usato un linguaggio adatto ad un adulto. Per esempio, le date del calendario o dei giorni della settimana possono essere non appropriati per un bambino. Potrebbe essere meglio usare eventi di vita significativi per il minore, ad esempio, prima o dopo Natale, un compleanno o una vacanza, un giorno di scuola o un giorno senza scuola. Riguardo all'ora del giorno, è meglio menzionare gli orari del pasto, i programmi televisivi, l'ora dell'andare a letto (222).

Gli intervistatori, dunque, dovrebbero provare a stabilire quali "etichette verbali" il bambino utilizza per denominare i vari eventi e poi usarle nelle domande.

Le domande a scelta vincolata non sono raccomandabili, in quanto esse presentano al testimone poche alternative e lasciano supporre che la risposta sia necessariamente una di queste (ad esempio «ma eravate in camera da letto o in salotto?») (223).

Lo stesso vale per le domande a scelta multipla, cioè quelle che contengono molte domande insieme (ad esempio: «ricordi qualcos'altro? Tu stavi guardando la televisione o stavi giocando? E in quale stanza ti trovavi? E poi, la mamma dove era?»). È difficile memorizzare tutte le domande e nello stesso tempo crearsi le relative immagini mentali e, quindi, spesso qualche domanda viene dimenticata e tralasciata. In ogni caso, se si deve rivolgere una domanda di questo tipo occorre che le alternative siano di più di due («il tempo era nuvoloso, sereno o così così?») ed occorre comunque ripeterla successivamente, ponendo le alternative in ordine diverso per controllare se la prima risposta data dal bambino era in qualche modo indotta dalla

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forma della domanda. Un'opzione migliore è, comunque, quella di dividere le varie domande e di porle singolarmente, una alla volta, lasciando però al testimone il tempo di rispondere per ogni singolo quesito (224).

Inoltre, è in questa fase che l'intervistatore potrà affrontare in modo gentile e tranquillo, le eventuali contraddizioni nel racconto del minore («non ho capito bene una cosa che tu hai detto prima...»- e ripete le parole del bambino; «me la puoi spiegare meglio? ») (225).

8) Dopo la testimonianza verbale, può essere utile usare delle tecniche che possono massimizzare l'apporto d'informazioni fornite dal minore o che permettano ai bambini reticenti di parlare delle loro esperienze servendosi di uno stile d'intervista meno diretto. Tuttavia il loro impiego e il modo di interpretarne i risultati sono tuttora oggetto d'indagine e di disputa tra differenti autori.

Le tecniche "complementari" (226) sono:

Le bambole anatomiche

Negli ultimi anni la valutazione dei casi di sospetto abuso sessuale si è basata anche sull'uso - nel corso dell'audizione del minore - di bambole provviste di dettagli anatomici (anatomic dolls), utili per rendere meno traumatico il coinvolgimento del minore in ambito giudiziario. Questa tecnica, utilizzata soprattutto in America e in Inghilterra, consiste nel dare al bambino due bambolotti sessuati, maschio e femmina, chiedendogli di mostrare quello che è successo (227).

Gli elementi raccolti attraverso l'intervista del minore con l'impiego dello strumento della bambola sono utilizzati per prendere decisioni su ulteriori ricerche di valutazione, per concludere se c'è stato abuso sessuale oppure no, ed alcune volte vengono utilizzati come materiale probatorio in tribunale per processi in cui è coinvolta la famiglia (ad esempio anche nei casi di separazione tra coniugi) (228). Ma soprattutto il loro impiego è utile per facilitare la discussione e le spiegazioni da parte di quei bambini che trovano difficoltà ad esprimersi. Infatti, l'unica funzione non controversa di tali bambole è quella di utilizzarle come strumento per verificare la conoscenza del corpo umano in qualunque sua parte, delle relative funzioni e dei rispettivi nomi (229).

Possono essere identificate, dunque, sette funzioni (230) relativamente diverse delle bambole anatomiche nella valutazione dell'abuso sessuale:

1. elemento di conforto: le bambole possono aiutare a creare un'atmosfera più rilassata;2. rompighiaccio: come punto di partenza della conversazione sull'argomento della

sessualità, nel senso che le bambole possono aiutare il bambino a focalizzare l'attenzione su tale argomento;

3. modello anatomico: uno degli usi più comuni delle bambole è quello di modello anatomico per valutare i nomi che il bambino assegna alle varie parti del corpo;

4. aiuto dimostrativo: questa funzione è quella più largamente accettata e consiste nell'aiutare il minore a "mostrare" piuttosto che a "dire" ciò che è accaduto;

5. stimolo per la memoria/schermo diagnostico: la prima funzione indica che l'esposizione alle bambole può essere utile nel provocare nel bambino il richiamo di specifici eventi di natura sessuale, determinando in particolare rilevazioni spontanee. A questo proposito è emersa la critica secondo la quale l'esposizione ai genitali delle bambole potrebbe indurre il minore a fantasticare e quindi a modificare la realtà.La funzione di schermo diagnostico, invece, si basa sulla premessa che l'esposizione alle bambole, come supporto, possa fornire al bambino l'opportunità di rivelare spontaneamente la sua conoscenza o il suo interesse sessuale;

6. test diagnostico: l'uso delle bambole anatomiche come un test diagnostico si basa sull'ipotesi che i bambini sessualmente abusati interagiscono e giocano con le bambole in maniera significativamente diversa dai bambini non abusati.

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Tra i vari problemi derivanti dall'utilizzo di tali bambole, i più gravi sono la mancanza di procedure d'intervista determinate e accolte dagli operatori per guidare l'interrogatorio del minore nel caso di utilizzo di tali strumenti (non essendo, infatti, state previste linee guida da seguire), e la mancanza, nella letteratura di psicologia, di un confronto tra risposte date da quei bambini vittime di un sospetto abuso sessuale con quelle di quei bambini per i quali tale sospetto non c'è stato. Senza tale confronto di dati è difficile poter interpretare con certezza le risposte dei minori testimoni di abusi sessuali (231).

La critica più forte all'utilizzo di tali strumenti consiste nella loro alta potenzialità suggestiva in grado di stimolare fantasie sessuali o di altro tipo (232), incoraggiando così il gioco sessualizzato anche nei bambini che non hanno subito un abuso sessuale (ad esempio il minore può essere stimolato a toccare gli organi genitali della bambola perché incuriosito da tali fattezze).

Tutto ciò porta, dunque, grandi differenze nell'uso delle bambole da parte degli esperti. In percentuale, coloro che sono addetti alla giustizia (assistenti del procuratore, polizia giudiziaria, avvocati delle vittime) sottovalutano la bambola, utilizzandola soltanto nel 62% dei casi, mentre i professionisti della salute mentale (psicologi, psichiatri, terapeuti ed operatori sociali) ne fanno un uso più frequente (80% in media) (233).

Ciò su cui la maggior parte degli autori è d'accordo è la necessità di non sollecitare il bambino a mettere in atto quello che gli è accaduto con la bambola, se prima non lo ha raccontato verbalmente.

Riguardo alla valutazione del comportamento infantile con le bambole anatomiche da parte dell'esperto, una ricerca (234) ha messo in evidenza come si possa desumere un avvenuto abuso sessuale tramite l'osservazione del bambino che interagisca con tale bambola (vedi tabella). Così i comportamenti del minore saranno considerati in termini di normalità (sintomo di non abuso) o di anormalità (sintomo di abuso).

COMPORTAMENTO DEL BAMBINODal punto di vista degli esperti che utilizzano le bambole anatomiche per la diagnosi degli abusi sessuali

NORMALESintomo di non abuso

ANORMALESintomo di abuso

Comportamenti sessualizzati meno espliciti % %Spogliare le bambole 97.4 0Guardare i genitali delle bambole 77.1 2.6Toccare i genitali delle bambole 77.6 0.5Toccare la zona anale delle bambole 60.4 7.8Toccare i seni delle bambole 75.5 3.1Evitare il contatto con la bambola o mostrarsi ansiosi 15.7 27.7Mettere le bambole sdraiate l'una sull'altra 6.8 38.5Mostrare le bambole che si baciano 64.6 5.2Comportamenti esplicitamente erotici % %Mostrare penetrazione vaginale 0.5 88.0Mostrare penetrazione anale 0 90.1Mostrare contatto oro-genitale 0 92.2Mostrare contatto tra i genitali 1.0 82.8Mostrare penetrazione digitale 3.6 79.7Tabella: Comportamento normale e anormale del minore nei confronti delle bambole anatomiche

A causa delle difficoltà oggettive riguardanti l'utilizzo delle bambole anatomiche, gli operatori, che devono compiere una valutazione su un minore sessualmente abusato, utilizzano anche altre tecniche alternative.

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Sceno-test

Questo metodo consiste nel far utilizzare al bambino un insieme di bambole raffiguranti una famiglia (bambino/a, mamma, papà, nonni, zii, animali, ecc.) ed una casa per bambolotti, in cui siano visibili le stanze e tutti gli accessori (la camera da letto, il bagno, la cucina). Il minore, giocando, deve inventare delle storie oppure deve rispondere ad eventuali domande dell'operatore, di solito postegli in modo impersonale (ad esempio «qual è la stanza che piace meno al bambino? Perché?») (235).

Il disegno

Esiste una forte tradizione di utilizzo clinico del disegno come test proiettivo o come supporto terapeutico. In esso il bambino trasferisce pensieri, sentimenti, comportamenti e relazioni interpersonali in immagini concrete. Nei casi di abuso, tuttavia, se da un lato esso consente di ottenere la produzione dei ricordi in maniera meno traumatica per il minore, dall'altro può portare chi lo interpreta a commettere gravi errori (236): è infatti raro che nel disegno appaia un simbolo grafico esplicito che possa rinviare direttamente all'esperienza di abuso.

In uno studio (237) sui disegni di bambini sessualmente abusati prima dei quattro anni, confrontati con quelli di bambini non abusati, è emerso però che le vittime di abuso:

evitano di disegnare gli aspetti traumatici di quanto hanno subito ma proiettano, nel disegno, numerosi indicatori d'ansia, presenza di conflitti familiari e concezioni di se stessi come "oggetti trasparenti";

rivelano una rappresentazione sessualizzata del proprio sé (attuale); assumono, nel disegno, espressioni di tristezza e disorganizzazione affettiva.

Questi aspetti sono soprattutto desumibili dalle spiegazioni che il bambino fa di quello che ha voluto disegnare.

Nonostante questi risultati, non si conosce ancora quale uso si possa fare del disegno come tecnica di supporto all'intervista, nel corso di un'audizione protetta, dal momento che sono ancora poche le ricerche che hanno cercato di valutare in modo sistematico l'utilità dell'uso di questa tecnica nei casi di esame di minori che si sospetta abbiano subito violenze sessuali (238).

Le favole della "Duss"

Le favole della "Duss" sono brevi storie, che vengono raccontate al bambino dall'operatore, sotto forma di gioco, e che lui deve completare. Gli esempi (239) sono vari:

"La mamma va a prendere il bambino a scuola perché gli deve dare una brutta notizia: quale?"

"I genitori fanno una festa per il loro anniversario di matrimonio ma il bambino è triste e solo in fondo al giardino: coma mai?"

Ogni storia è scritta per un momento particolare e dalla risposta data dal minore si cerca di comprendere i suoi stati d'animo e le sue paure. Anche le informazioni apportate da questo metodo, però, non possono costituire una prova risolutiva dell'avvenuto abuso sessuale.

9) L'ultima fase del colloquio è costituita dalla chiusura dell'intervista, momento essenziale per molte ragioni. In primo luogo, non è possibile terminare un'intervista lasciando il bambino in uno stato d'ansia, di tensione, d'agitazione e di disagio. Bisogna inoltre trasmettergli la sensazione che non ha "fallito" nel suo compito, anche se non ha ricordato molto.

In questa fase è opportuno inizialmente ripetere, utilizzando il linguaggio proprio del minore, i punti essenziali che sono emersi dall'intervista, per controllare che l'adulto abbia capito in modo corretto quello che egli intendeva comunicare. Successivamente è però importante

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cambiare argomento e riportare la conversazione su un piano emozionalmente "neutro" o piacevole, parlando di altri aspetti che riguardano la vita del bambino (240).

10.5 L'intervista cognitiva e la testimonianza infantile

L'intervista cognitiva (o IC) è una procedura sviluppatasi negli USA per aiutare ufficiali di polizia o altri professionisti ad ottenere resoconti più completi ed accurati da un testimone. Questa tecnica è basata su principi psicologici riguardanti il ricordo ed il recupero d'informazioni dalla memoria. È stata sviluppata dagli psicologi Ed Geiselman (University of California, Los Angeles) e Ron Fisher (Florida International University) nel 1984, in risposta alle numerose richieste ricevute da parte di ufficiali di polizia e professionisti legali, per ottenere un metodo che migliorasse l'interrogatorio del testimone (241).

Questo tipo di intervista si basa su due principi teorici:

1. che ci sono numerosi metodi per recuperare dalla memoria un evento, per cui informazioni non accessibili con una tecnica possono esserlo con un'altra;

2. che ci sono molteplici parti che compongono una traccia di memoria ed un suggerimento per il recupero è effettivo purchè ci sia una sovrapposizione tra esso e l'informazione codificata.

Le tecniche (242), che possono essere utilizzate, sono quattro:

1. ricostruire mentalmente il contesto fisico e personale esistito al momento del fatto per riuscire così ad aumentare l'accessibilità dell'informazione conservata in memoria.Sebbene questo non sia un compito facile, l'intervistatore può aiutare il testimone chiedendogli di recuperare un'immagine o un'impressione circa le caratteristiche ambientali della scena originale (per esempio la disposizione degli oggetti nella stanza), per poi commentare le reazioni emozionali e le sensazioni avute in quel momento (sorpresa, rabbia, ecc.) e descrivere qualsiasi suono, odore e condizioni fisiche (caldo, umido, fumo, ecc.) che fossero presenti nel contesto in cui si è svolto il fatto.

2. Chiedere al testimone di riportare tutto quello che ricorda, incluse le informazioni parziali; queste potranno essere utili per riuscire a collegare i vari dettagli dello stesso fatto forniti da altri testimoni o dallo stesso soggetto ma in momenti diversi.

3. Chiedere all'intervistato di ricordare partendo da punti di vista diversi. Con questa tecnica si cerca di incoraggiare il testimone a guardare il fatto come se fosse stato un altro soggetto: lo scopo è quello di aumentare la quantità di dettagli del racconto.

4. Dire al soggetto di ricordare partendo da diversi momenti nel tempo. I testimoni ritengono di dover cominciare dall'inizio ed è ciò che di solito viene loro chiesto. Invece l'intervista cognitiva permette un tentativo di recupero dell'episodio dalla memoria profondo e completo, incoraggiando i testimoni a ricordare il fatto in ordine diverso, iniziando ad esempio dalla fine, o dalla metà e dall'episodio più memorabile.

Se si considera il fatto che i risultati di molte interviste hanno indicato che l'intervista cognitiva dà risultati interessanti con adulti, si potrebbe pensare che debba essere utilizzata da tutti coloro che svolgono colloqui con testimoni. Tuttavia occorre tenere presente che esistono numerosi problemi (243) nell'impiego dell'intervista cognitiva con i bambini.

Sono stati identificati numerosi problemi nell'applicazione di tale intervista a bambini piccoli. In primo luogo, i bambini più piccoli (di sei-sette anni) hanno maggiore difficoltà a comprendere le tecniche di ricordo proposte dalla forma dell'intervista cognitiva, sviluppata per soggetti adulti. In secondo luogo, nei bambini l'impiego di tale tecnica può accrescere il numero di confabulazioni ed errori. In terzo luogo, tale procedura può anche determinare un aumento nelle caratteristiche delle richieste poste ai minori, per cui essi tendono ad aumentare le risposte date solo per far piacere all'intervistatore. Un quarto argomento è costituito dal fatto che il successo di questa tecnica dipende largamente dall'abilità dell'intervistatore nello spiegare in modo adeguato ai bambini intervistati le tecniche da usare. Infine, l'uso efficace di tale intervista dipende dalla capacità dell'intervistatore di costruire un rapporto con il bambino.

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Malgrado alcuni ricercatori ritengano che l'intervista cognitiva applicata ai minori-testimoni sia in grado di aumentare la completezza del loro racconto, sono ancora aperti alcuni importanti interrogativi. Primo fra tutti l'esatta individuazione dell'età del bambino cui sottoporre questa tecnica con successo. Ci sono studi, ad esempio, che indicano negli otto anni il limite inferiore sotto il quale l'intervista non darebbe risultati soddisfacenti.

Un'altra importante questione riguarda l'attribuzione d'efficacia di questa tecnica, cioè non è ancora chiaro se l'efficacia dell'intervista sia legata all'impiego delle mnemotecniche o piuttosto alle indicazioni offerte all'intervistatore capaci di impostare un'interazione positiva con il bambino (244).

La differenza tra l'intervista cognitiva e quella strutturata (o graduale) sta nel fatto che, in quest'ultima, vengono impiegate semplici tecniche in fasi distinte l'una dall'altra, partendo dalle notizie più generali fino a quelle più specifiche, utilizzando domande poco inducenti e cercando di intervenire il meno possibile; nell'intervista cognitiva, invece, vengono utilizzate speciali tecniche mnemoniche per ottenere un maggior numero d'informazioni (245). Attualmente, però, chi svolge colloqui o interviste con testimoni minori dovrebbe utilizzare l'intervista cognitiva solo quando abbia raggiunto un pieno livello di comprensione di questa procedura complessa: se non ha una tale familiarità con la tecnica è molto meglio seguire le fasi dell'intervista strutturata (246).

La ragione per cui si consiglia di attenersi strettamente allo schema dell'intervista strutturata è che solo questo modo di procedere consentirà non solo di raccogliere dati in modo corretto, ma anche di sottoporre, successivamente, il racconto del minore ad ulteriori strumenti di controllo di veridicità, come ad esempio il Content Criteria for Statement Analysis, elaborato appositamente dagli psicogiuristi tedeschi per analizzare i casi di sospetto abuso sessuale su minori.

11. Le tecniche di validazioneDi fronte alla testimonianza del minore vittima di abuso sessuale possono essere fatte due diverse valutazioni. Per differenziare l'analisi del contenuto della deposizione del testimone dal giudizio completo sulla credibilità di essa, sono stati introdotti i termini Criteria-Based Content Analysis (CBCA, cioè l'analisi del contenuto basata su determinati criteri) e Statement Validity Assessment (SVA, cioè l'esame della validità della deposizione). Il CBCA si riferisce all'analisi della deposizione del minore e utilizza una serie di criteri predefiniti. Il SVA si riferisce alla completa procedura diagnostica, che include anche i risultati del CBCA (247).

11.1 L'analisi della validità del contenuto della testimonianza (Criteria-Based Content Analysis)

Il CBCA è un'attenta analisi del contenuto della deposizione del testimone, applicata alla sua fedele trascrizione, volta a valutare la qualità di essa. È spesso utilizzata nei casi di resoconti di minori vittime di abuso sessuale. È necessario ricordare che questo ed altri metodi di controllo possono funzionare solo se quello che si è ottenuto dal minore è un racconto genuino, privo di contaminazioni causate da un'intervista condotta non correttamente (248).

L'ipotesi di fondo di questa analisi è che un racconto di un evento realmente vissuto sia qualitativamente differente da quello di un evento inventato o suggerito da altri (249). Infatti, se già fare un'affermazione veritiera è difficile, in realtà costruire una bugia (che contenga dettagli precisi) è ancora più complicato. Questo perché inventare qualcosa di falso richiede una quantità di energia cognitiva maggiore rispetto al riportare semplicemente qualcosa che è successo veramente. Da questa assunzione consegue che la qualità delle affermazioni vere è diversa dalla qualità di quelle false: essa è inferiore, perché una grande quantità di energia deve essere impiegata dal testimone nel cercare di controllare quello che viene detto. Questa teoria cognitiva della bugia è stata proposta dal prof. Undeutsch (chiamata poi da Steller "ipotesi di Undeutsch") (250).

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Il lavoro di Undeutsch sull'individuazione dei "criteri di realtà" è stato poi organizzato e sistemato da Steller e Koehnken (per definire così il compito che in Germania deve adempiere l'esperto in testimonianza) in modo da ottenere 19 criteri specifici, chiamati "criteri di contenuto" (raggruppati in 5 categorie), usati per valutare il contenuto della deposizione (tabella).

La presenza dei criteri indica la possibilità che l'evento riportato possa essere realmente accaduto; la loro assenza, invece, non indica necessariamente che la dichiarazione sia falsa (251). Non esiste un numero minimo di presenza dei criteri per poter valutare la validità della testimonianza: più sono i criteri soddisfatti (sia quantitativamente che qualitativamente), più aumenta la possibilità che l'evento riportato sia vero. Deve essere dunque compiuta una valutazione generale della testimonianza alla luce dei criteri soddisfatti.

Tabella: CBCA - Criteri di contenutoCARATTERISTICHE GENERALI

1. Struttura logica. La deposizione è coerente? Il contenuto è logico? I diversi segmenti si integrano in un tutto dotato di senso? (nota: dettagli particolari o complicazioni inaspettate non diminuiscono la struttura logica).

2. Produzione non strutturata. La deposizione in qualche modo è organizzata? Sono presenti digressioni o spontanei spostamenti di attenzione? Sono presenti elementi che compaiono lungo tutta la testimonianza, in assenza di un ordine di presentazione rigido? (nota: il criterio richiede che il racconto abbia consistenza logica).

3. Quantità di dettagli. Sono presenti elementi descrittivi relativi a tempi e luoghi? Persone, oggetti ed episodi sono descritti accuratamente?

CONTENUTI SPECIFICI

4. Inserimento in un contesto. Gli eventi sono inseriti in un contesto spazio-temporale? L'evento è connesso ad altre situazioni della routine quotidiana?

5. Descrizione di interazioni. Sono riportate azioni o reazioni o conversazioni composte da un minimo di tre elementi che coinvolgono l'accusato e il testimone?

6. Riproduzione di conversazioni. La conversazione è riportata nella sua forma originale? (nota: termini non familiari al linguaggio infantile e citazioni sono in particolare forti indicatori, anche quando attribuiti ad uno solo dei partecipanti).

7. Complicazioni inaspettate durante l'incidente probatorio. Viene riportata una difficoltà o una interruzione inaspettata che ha interferito con l'evento?

8. Dettagli insoliti. Sono presenti dettagli insoliti relativi a cose, persone o agli eventi significativi nel contesto della deposizione? (nota: i dettagli devono essere realistici)

9. Dettagli superflui. Sono riportati dettagli periferici relativi alla situazione, ma non all'evento centrale. (nota: se il passaggio soddisfa uno dei criteri specifici 4-18 probabilmente non è superfluo).

10. Dettagli fraintesi ma riportati correttamente. Il bambino descrive oggetti o eventi in modo corretto, alternandone il senso in modo coerente con il suo sviluppo cognitivo?

11. Associazioni esterne collegate. È presente il racconto di eventi o conversazioni di natura sessuale, legati all'abuso, ma verificatisi in una circostanza diversa?

12. Esperienza soggettiva. Il bambino descrive sentimenti, pensieri, emozioni esperiti durante l'evento? (nota: il criterio non è soddisfatto quando il testimone risponde ad una domanda diretta, a meno che la risposta non vada oltre quanto è stato chiesto).

13. Attribuzione di uno stato mentale dell'accusato. Sono riportati sentimenti e pensieri esperiti dall'accusato durante l'evento? (nota: non devono essere considerate descrizioni di comportamenti manifesti).

CONTENUTI RELATIVI ALLA MOTIVAZIONE

14. Correzioni o aggiunte spontanee. Sono fatte correzioni o aggiunte informazioni alle descrizioni precedentemente raccontate? (nota: non devono essere considerate risposte date a domande dirette).

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15. Ammissioni di mancanza di memoria o conoscenza. Il bambino ammette di non ricordare o di non conoscere alcuni aspetti dell'evento? (nota: la riposta a domanda diretta deve andare oltre a "non so" o "non ricordo").

16. Sollevare dubbi sulla propria testimonianza. Il bambino esprime la preoccupazione che la disposizione possa sembrare incredibile o irreale? (nota: affermazioni quali "sto dicendo la verità" non devono essere considerate).

17. Autodeprecazione. Il bambino descrive qualche aspetto del proprio comportamento durante l'evento come inadeguato o inappropriato?

18. Perdonare l'accusato. Il bambino tende a scusare l'imputato, a spiegarne o giustificarne il comportamento ad esempio minimizzando la gravità delle azioni?

ELEMENTI SPECIFICI DELL'OFFESA

19. Dettagli caratteristici dell'offesa. Esiste una descrizione specifica dell'atto criminale?

Solitamente la valutazione si compie su una scala a 3 punti assegnando il punteggio di 0 se il criterio è assente, 1 se è presente, 2 se è fortemente presente. Nonostante la semplicità di tale metodo di valutazione, la decisione sulla validità del contenuto della testimonianza è piuttosto complessa, poiché devono essere considerati sia elementi quantitativi che qualitativi: ci si deve domandare, infatti, quanto spesso e con quanta forza un certo tipo di contenuto appare in una deposizione. Attualmente non esistono regole formalizzate per combinare i diversi criteri e determinare i punteggi critici in grado di differenziare le dichiarazioni vere da quelle false. Non risulta, cioè, possibile dedurre la credibilità di una dichiarazione semplicemente sulla base del numero dei criteri soddisfatti, in quanto sembra evidente che i diversi criteri sono caratterizzati dalla medesima rilevanza (252).

I criteri per vedere se un bambino descrive le sensazioni, i pensieri, le emozioni che ha avuto durante l'episodio e se ricorda i contenuti dell'evento vengono considerati come potenziali indicatori di verità delle affermazioni che il testimone fa, perché si suppone che una persona che dice una bugia in realtà non fornisca questo tipo di dettagli, ma si focalizzi più a descrivere l'evento di per sé come è successo. Altri elementi come la produzione non strutturata (n. 2) è considerata indicatore di realtà e di verità dell'affermazione, perché di solito chi costruisce una bugia lo fa seguendo un ordine cronologico e quindi comincia a raccontare dall'inizio; mentre spesso succede che quando una persona racconta un episodio vero, racconta le cose più importanti, recenti e fa digressioni rispetto all'ordine cronologico. Anche elementi tipo "non ricordare" (n. 15) sono indicatori di verità, perché le persone che dicono una bugia di solito raccontano e non dicono «non ricordo» (253).

Quello che viene realizzato con questo metodo è di verificare la qualità del resoconto. C'è differenza tra il verificare tale qualità e poi dire se il racconto corrisponde alla realtà oppure no. Per colmare questa differenza è necessario confrontare il risultato dell'analisi di qualità con le generali capacità intellettive del minore, la sua età e le sue esperienze. Infatti, maggiore è l'età delle persone che fanno la testimonianza, maggiore è la loro competenza verbale: sarà, dunque, più difficile arrivare a dei risultati convincenti con il metodo di analisi del contenuto sulla verità/falsità delle affermazioni (254).

Bisogna inoltre ricordare (255) che:

1. semplici ripetizioni di uno stesso elemento in diverse fasi non aumentano la valutazione dell'eventuale presenza del criterio;

2. ogni frase della deposizione può soddisfare più di un criterio;3. devono essere analizzati solo i contenuti connessi al presunto crimine d'interesse per

l'indagine.

Tale analisi della validità del resoconto si attua mediante tre passaggi (256):

la lettura integrale;

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la valutazione globale della testimonianza: "caratteristiche generali" (criteri 1-3); la lettura puntuale della testimonianza: analisi "frase per frase" (criteri 4-18).

Essa comprende tre momenti: il primo è l'analisi della qualità, il secondo è l'analisi delle competenze di base del bambino (cognitive e verbali, psicologiche in generale), il terzo consiste nell'essere sicuri che quello che deriva dal bambino è una sua produzione spontanea (cioè bisogna accertarsi che non sia stato spinto a parlare da un genitore o da qualche adulto, che non sia stato istruito a dire certe cose piuttosto che altre, e che non gli siano state fatte domande inducenti in tempi precedenti). Quest'ultimo aspetto consiste, dunque, nel ricostruire l'origine del racconto.

Il fatto che manchino dei criteri di contenuto nella deposizione di un minore-testimone non significa che egli stia necessariamente mentendo: ciò può essere dovuto al fatto che manca ancora di capacità espressive adeguate, che è particolarmente timido, o che si sente inibito nella situazione e quindi dà dei resoconti poveri. Questo significa che ci troviamo in presenza di uno strumento che non è infallibile. Tuttavia i risultati sono talmente incoraggianti che il suo impiego sta diventando sempre più diffuso nei tribunali (257).

11.2 Il caso di Mirko

a) Informazione relativa al caso

Interrogatorio in audizione protetta di un bambino di dieci anni, Mirko, presunta vittima di abusi sessuali da parte del fratellastro, svolta nel Tribunale ordinario di Roma nel maggio del 2002 (258).

Il bambino è stato interrogato da una psichiatra, esperta in incidenti probatori di minori vittime di abusi sessuali, in un'apposita stanza dotata di specchio unidirezionale e di impianto videofonico per tali tipi di audizioni. La stanza era fornita di bambole, pupazzi, un tavolo con fogli e pennarelli colorati. Dietro lo specchio vi erano il giudice, il pubblico ministero e gli avvocati. La psichiatra, l'unica persona che poteva parlare direttamente con il minore, era collegata tramite un auricolare alla stanza dietro allo specchio in modo che il giudice (e le altre parti tramite esso) poteva così chiedere chiarimenti e precisazioni riguardo al racconto del bambino.

b) Parte dell'intervista investigativa

Esperto = Questo tuo fratello vive con te?

Mirko = Quando adesso?

E = Eh.

M.= No, viveva prima con me.

E = Chi viveva a casa, tu e...

M.= Aspetta...io, papà, mamma e il mio fratellastro...e mia sorella.

E = Ok.

M.= Io non voglio parlare. Voglio solo scrivere.

E = Va bene, scrivi ed io leggerò quello che scrivi. Ma qualcosa, se ti va, dilla anche a voce.

M. = Va bene.

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E = Sai quanti anni ha adesso il tuo fratellastro?

M.= Mi sa che ora ce n'ha venti. Ma non lo so di preciso.

E = Va bene, non importa se non lo sai di preciso. Comunque è più grande di te?

M.= Sì, è più grande...Già so cosa mi devi dire. Dimmi solo la prima frase.

E = Facevi dei giochi con il tuo fratellastro?

M.= Giochi? Ho capito cosa intendi dire.

E = Si?! E che giochi erano?

M.= Ma parli dei giochi veri o...?

E = Ma...che giochi facevate? O...non so...guardavate qualcosa insieme?

M.= Be'...sì. Io adesso...io non parlo più. Io scrivo e basta e leggi tu però.

E = Perché vuoi scrivere e non rispondi a voce come hai fatto fino ad ora?

M.= Perché mi vergogno.

E = E perché? Non c'è motivo per essere imbarazzati.

M.= Facevamo l'amore come le donne.

E = Bravo, benissimo. E vedevate delle cassette?

M.= Sì, ma è successo una volta sola. Io ho visto una scena...una scena.

E = Dove eravate, chi c'era, c'era qualcuno in casa?

M.= Non me lo ricordo, non me lo ricordo.

E = Ma...tu che sei così preciso, cerca di raccontare tutto quello che ti ricordi, così il giudice può capire meglio perché lui non sa niente ed ha bisogno di tutto quello che dici tu per poter decidere.

M.= E che cosa vuole fare?

E = La cosa migliore per te...Allora...tu hai visto una cassetta e te l'ha fatta vedere il tuo fratellastro.

M.= Sì.

E = E poi, ché è successo te lo ricordi?

M.= Mi ha toccato. Che... ha sentito il giudice?

E = Sì, sì certo che ha sentito. Giudice ha sentito, vero?

Giudice = Sì, sì.

E = E dove Mirko, dove ti ha toccato, te lo ricordi?

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M.= No non me lo ricordo.

E = Dai, Mirko, facciamo uno sforzino.

(Il bambino disegna un uomo ed indica con il pennarello le cosce.)

E = Ah, e come si chiama quella parte del corpo che mi stai indicando?

M.= Le cosce.

E = Sì, bravissimo. E chi c'era lì con voi?

M.= Nessuno.

E = E in che posto eravate?

M.= In camera sua.

E = Ti ha toccato solo sulle cosce?

(Il bambino fa no con la testa ed indica nel disegno le braccia.)

E = Ti ha toccato anche sulle braccia?

M.= Sì.

E = E voi eravate sempre da soli?

M.= Sì.

E = E poi succedeva qualcos'altro?

M.= Sì. Io volevo scappare.

E = E non ce la facevi a scappare? Perché volevi scappare?

M. = perché sì.

E = Ma perché cosa succedeva?

M.= Sì, io volevo scappare perché non voglio diventare "gay".

E = Un gay? Ma...tu lo sai che cosa vuol dire essere gay?

M.= Sì, vuol dire "frocio".

E = Dove l'hai imparato?...Sì è giusto quello che dici, ma...chi te l'ha insegnate queste cose, come fai a saperle?

M.= Non me lo ricordo...Le so da quando ero piccolo.

E = È da quando eri piccolo che lo sai. E chi ti diceva che eri "gay"?

M.= È che io sono andato a scuola e quando ero lì ho sentito "gay" e ho detto "Ma che vuol dire?" e i miei amici me lo hanno detto "Vuol dire frocio".

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E = Ah. E non è una buona cosa?

M.= No.

E = Ma tu mica sei "gay"?

M.= No.

E = E avevi paura di diventarci?

M.= Sì.

E = E come facevi a diventarci? Perché il tuo fratellastro ti toccava?

M.= Sì. Perché se un maschio tocca un altro maschio, vuol dire che è un frocio.

E = Allora tu sei un maschio?

M.= Sì.

E = E il tuo fratellastro è maschio?

M.= Sì.

E = Ma tu non toccavi il tuo fratellastro?

M.= No.

E = E allora...vuol dire che il tuo fratellastro toccava te?

M.= Eh, si.

E = Allora tu non sei "gay"?

M.= No, io non voglio essere.

E = E allora se tu non lo vuoi essere, non lo sei e non lo sarai mai, capito tesoro?

(Il bambino annuisce.)

(PM = Dott.ssa gli dica che se due uomini si toccano sulle braccia non sono "gay".)

E = Il giudice giustamente dice che se papà o il tuo fratellastro si toccano sulle braccia non per questo sono "gay".

M.= No. Io ho detto che volevo scappare. Lui mi ha detto "Vieni di sopra" ed io non volevo andare e gli ho detto "No". Ma lui è venuto e mi ha portato su in camera sua, capito?

E = Sì, sì tesoro.

M.= E poi, lui mi ha fatto vedere la cassetta ed io non volevo.

E = Ah, ho capito...Ma ritorniamo a questo discorso dl "toccare": un maschio che tocca un altro maschio, come ad esempio quando papà tocca te, e ti abbraccia...

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M.= No, abbraccia no. Abbraccia vuol dire felicità. Ma se mi tocca per forza, vuol dire che è un "gay".

E = Ma ti tocca dove?

M.= Qua, qua...(e indica alcune parti del corpo nel disegno).

E = Sulle cosce e sulle braccia?

M.= Sì, sì, sulle cosce e sulle braccia.

E = E basta?

M.= Basta.

E = Ma se uno, invece tocca...

M.= Una volta, quando mamma non c'era, lui mi ha dato un calcio e mi ha fatto male.

E = E perché ti ha tirato un calcio?

M.= Eh, mi ha tirato un calcio e mi ha fatto infinitamente male. Mi sono messo così le mie scarpe da calcio, gli ho dato un calcio e l'ho steso a terra.

E = Per terra?!

M.=Sì.

E = Ma quando?

M.= Sì, gli ho fatto male.

E = Sì, ma perché lui ti ha dato un calcio?

M.= Non me lo ricordo.

E = Vediamo di ricordarci qualcosa, va'...

M.= C'era pure mio padre.

E = ...Sì...c'era tuo padre quando gli hai dato il calcio?

M.= Sì.

E = Ah, ma cerchiamo di raccontare che cosa succedeva quando non c'erano né papà, né mamma.

(Il bambino s'incupisce.)

E = Che c'è Mirko, non vuoi dirle queste cose?

M.= No.

E = Allora, proviamo a fare un disegno, ok? Perché se il giudice poi non sa le cose...come fa? ...Ma perché non vuoi dire quello che è successo, non c'è mica da vergognarsi?

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M.= Sì, però io mi vergogno lo stesso.

E = Ma, no... non ti devi vergognare. Non le hai fatte tu quelle cose.

(Il bambino intento inizia a disegnare.)

E = Cos'è questo?

M.= Il divano.

E = Quindi non siamo nella stanza del tuo fratellastro?

M.= No. Ecco, ora questo è il mio fratellastro e questo sono io. Lui mi stava sopra ed io gli ho detto: "Vai, vai, vai vattene!" E lui ha detto: "Va be', va be', accendiamo la tv e se viene papà gli devi dire che stavamo a vedere la tv".

E = E invece non stavate a vedere la tv?

M.= No. Va be'... ora ci faccio "Jurassic Park", ora ci faccio la "pistola".

(L'agitazione del bambino intanto sta crescendo e l'esperto decide di allentare la tensione parlando in modo più ampio del contesto familiare.)

E = Ok, tu sei stato molto preciso. Adesso prova a dire al giudice con chi vivi in questo momento.

M. = Con mia zia, mia sorella, mia mamma e mio papà.

E = Quindi il tuo fratellastro non vive più con te?

M. = No.

E = Tu sei contento che non c'è più il tuo fratellastro?

M. = Sì sono contento perché, quando è arrivato lui ha rovinato tutto. Prima stavamo bene con mamma e papà, poi è arrivato quello ed ha rovinato tutto.

E = Sei stato molto bravo fino a adesso perché hai detto le cose precisamente e ricordati che non ti devi vergognare perché una persona deve vergognarsi se fa delle cose brutte o fa qualcosa di male...ma tu non hai fatto niente di male e questo lo sa anche il giudice.

...Tu prima stavi dicendo che tu ed il tuo fratellastro stavate sul divano e lui stava sopra di te. Ti ricordi come eravate vestiti.

M. = Sì, mezzo.

E = Mezzo, cioè?

M. = Cioè, lui aveva i pantaloni e la maglietta e io pure. Poi ma l'ha levata.

E = Ma ti ha levato anche i pantaloni?

M. = No, i pantaloni ce l'avevo... no, no... i pantaloni non ce l'avevo...c'avevo solo le mutande. E pure lui.

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E = Lui aveva le mutande e i pantaloni non ce l'aveva, va bene ho capito. Scusami ma tu come stavi messo? Eri seduto, sdraiato?

M. = Io stavo così (e il bambino fa nel disegno una figura sdraiata) e lui stava sopra di me (e lo disegna).

E = A casa chi c'era quando succedeva questo?

M. = Non c'era nessuno a casa.

E = Ah è vero me lo avevi già detto che a casa non c'era nessuno.

M. = Sennò come faceva lui, no?!

E = Eh, certo. Tu non volevi, ma lui era più grande di te e quindi anche più forte di te. Ma cosa ti diceva per portarti sul divano?

M. = Niente. Così... mi ha preso. Io stavo a vedere la tv e lui...poh...mi ho preso e non mi ha detto niente. Io stavo sul divano, così lui mi ha buttato giù ed io sono cascato e poi lui mi si è buttato sopra.

E = Tu ce l'avevi le mutande in quel momento?

M. = Sì.

E = E lui?

M. = Sì, sì.

E = E poi che cosa succedeva?

M. = Che lui si muoveva così... ora ti faccio vedere, perché è un po'... (e cerca di disegnarlo).

E = È un po' complicato?

M. = Sì.

E = Se ti va puoi farmelo vedere utilizzando i pupazzi. ...Guarda possiamo fare finta che uno di questi pupazzi è il tuo fratellastro e un altro sei tu e mi fai vedere qual era questo movimento.

M. = Sì, allora questo che è brutto è il mio fratellastro, anche se questo pupazzo è più bello di lui, e io sono questo.

E = Sì, va bene. E allora come era questo movimento?

M. = Io stavo sotto e lui stava sopra e si muoveva così. Ma il giudice vede?

E = Sì, sì stai tranquillo, il giudice vede tutto benissimo. ...Quindi diciamo si muoveva "avanti e indietro"?

M. = Sì.

E = E c'erano delle parti dei vostri corpi che si toccavano?

M. = Toccava tutto, tranne la testa.

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E = Quindi si toccavano le gambe, le braccia, ...e che altro?

M. = La pancia, le cosce, i piedi e poi... come si dice?

E = Come si dice?

M. = C.... Hai capito, hai capito che ho detto?

E = Chissà se il giudice avrà capito...? Non so se ha capito, perché non ha risposto.

(Giudice = Sì, sì ho capito perfettamente.)

E = Ha detto il giudice che ha capito perfettamente! ...Ma senti...il tuo fratellastro dove ti toccava, oltre che sulle braccia e sulle cosce?

M. = Sul ca... e anche sulla schiena, e pure dietro e davanti. Ha capito il giudice?

E = Sì, sì ha capito.

(Giudice = Le chieda anche se lo toccava solo con le meni o anche con qualcos'altro.)

E = Il giudice mi ha detto prima che tu sei stato davvero molto preciso e poi voleva chiederti se il tuo fratellastro, oltre che con le mani ti toccava con qualche altra cosa,

M. = No, solo con le mani.

E = Ma...senti... questo fatto è successo una volta sola o più volte?

M. = È successo due volte.

E = Ma senti... cerchiamo di dire una volta o più volte.

M. = Allora... più volte.

E = Ok.

M. = ... Sì più volte lui mi toccava, mi toccava qua, qua... ma non era solo toccare però...

(Giudice = Dott.ssa può chiedere al bambino se gli è mai successo che si è mai sentito bagnato con acqua?)

E = Senti, che tu ti ricordi, ti sei mai accorto che quando poi succedeva questo ti sei sentito come bagnato?

M. = Sì.

E = È quando succedeva questo che ti sentivi bagnato?

M. = Sì, quando stavamo sul divano.

E = Ah... E come era questa cosa che ti bagnava?

M.= Perché lui si girava certe volte, mi girava e mi bagnava.

E = Fammelo vedere qua, guarda...

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M.= Eh, ...avveniva così (e lo fa vedere con i pupazzi)

E = Eh... ma tu sei proprio preciso!

M. = Così io stavo qua, allora lui certe volte mi girava così e con il ca... e me lo metteva dentro il sedere e poi mi bagnava. E là mi accorgevo che ero bagnato.

E = Eh sì, e là ti accorgevi che eri bagnato. Ma era una cosa come l'acqua oppure era diversa?

M. = Eh sì, era come l'acqua ma un po' diversa.

(PM = Dott.ssa gli chieda se ha sentito dolore.)

E = Senti tesoro, ...ti ha fatto male?

M.= Sì un pochettino.

(PM = Gli può chiedere se lui in quel momento era completamente nudo?)

E = Senti... ma se succedeva questo, il fratellastro le mutande ce l'aveva o no?

M.= Sì, ce l'aveva.

E = Ma... tu che sei così preciso... come puoi spiegare che lui ti faceva tutte quelle cose che hai raccontato se aveva le mutande?

M.= Perché certe volte lui... perché lui se le levava e prima ce l'aveva.

E = Ah, ho capito.

(PM = Dott.ssa è necessario che lei chieda al bambino, con le parole più adatte che ritiene, se, in quei momenti, ha avvertito una durezza del membro.)

E = Senti, tesoro... tu fino ad ora sei stato molto preciso e hai spiegato tutto molto chiaramente anche con i disegni ed i pupazzi ed infatti il giudice ha capito che il tuo fratellastro ti faceva tutte queste cose. Tu hai detto che ti faceva male... Ma tu hai capito se c'era qualcosa che ti faceva male?

M. = Sì! C'era il suo pisello!

E = Ah! ...Ma questo suo pisello, quando succedevano queste cose, come era?

M.= Te lo disegno'

E = Eh, ...disegnamelo sì!

(Il bambino lo disegna)

M.= Hai visto?

E = Sì, sì... Ma come era questo pisello? Com'era?

M.= Duro?

E = Ecco, sì...oppure no?

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M.= Era un po' duro e un po' leggero... Certe volte leggero e certe volte duro.

E = Cambiava perciò?

M.= Sì.

E = Va bene. Sei stato davvero molto preciso a rispondere a tutte queste domande e adesso quindi abbiamo finito.

c) Applicazione del CBCA

Una volta che l'intervista è completata, la registrazione viene trascritta e ad essa viene applicato il CBCA. Occorre, dunque, valutare se i vari criteri sono presenti nella deposizione e, per far questo, utilizziamo una "griglia" apposita.

Griglia per l'applicazione del CBCA alla deposizione di MirkoCaratteristiche generali SI NO Note

1. Struttura logica X   La deposizione mostra un senso univoco: leggendola dall'inizio alla fine, è possibile riconoscervi notevole coerenza. Non sono presenti contraddizioni.Fortemente presente = 2

2. Produzione non strutturata

X   Il criterio è presente perché le informazioni scaturiscono durante tutta la deposizione, in assenza di un'esigenza da parte del testimone di presentarle in un ordine rigido e credibile. Il racconto di Mirko presenta qualche digressione, che si verifica ad esempio quando racconta della volta in cui ha ricevuto un calcio dal fratellastro.La testimonianza dell'evento si presenta distribuita in tutto il colloquio, in quanto il minore ritorna a parlare, a più riprese, dello stesso argomento, incoraggiato dalla psichiatra.Fortemente presente = 2

3. Quantità di dettagli X   Il criterio è presente in modo molto soddisfacente, poiché la deposizione contiene informazioni dettagliate per ciò che concerne lo spazio, il tempo, le persone coinvolte e soprattutto gli eventi accaduti.Fortemente presente = 2

Contenuti specifici SI NO Note

4. Inserimento in un contesto

X   L'atto di abuso sessuale non è avulso dal contesto e dalle abitudini quotidiane del testimone: Mirko indica il luogo dove questo avveniva (cioè nella camera da letto del fratellastro e sul divano), ricordando anche che cosa avevano fatto prima («mi ha fatto vedere la cassetta ed io non volevo»; «Io stavo a vedere la tv e lui... poh... mi ha preso e non mi ha detto niente»).Presente = 1

5. Descrizione di interazioni

X   Nella testimonianza sono presenti alcuni esempi di azioni e reazioni strettamente connesse, per cui viene superato il livello di un semplice racconto di una lista di eventi e viene, dunque, presentata una concatenazione di questi. Ad esempio: «Lui mi ha detto "Vieni di sopra" ed io non volevo andare e gli ho detto "No!". Ma lui è venuto e mi ha portato su in camera sua».

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Presente = 1.6. Riproduzione di conversazioni

X   Sono presenti vere e proprie riproduzioni di conversazioni tra Mirko e il suo fratellastro.Fortemente presente = 2

7. Complicazioni inaspettate durante l'interrogatorio

X   Mirko, inizialmente, trova difficoltà a parlare perché si vergogna e a volte dice: «Io non parlo più. Scrivo e basta».Presente = 1.

Particolarità di contenuto SI NO Note

8. Dettagli inconsueti X   Questo criterio è soddisfatto dalla descrizione di Mirko che cerca di spiegare che cosa egli intende per "gay": «Se tocca un altro maschio vuol dire che è frocio».Presente = 1

9. Dettagli superflui X   Questo criterio è presente in quanto Mirko, quando utilizza i pupazzi per descrivere i movimenti dell'abuso sessuale, dice di considerare quello più brutto come fosse la figura del fratellastro, aggiungendo: «...anche se questo pupazzo è più bello di lui».Presente = 1

10. Dettagli fraintesi ma riportati correttamente

X   Questo criterio è soddisfatto sia quando la psichiatra cerca di capire cosa significhi, per Mirko, essere "gay", sia quando viene chiesto al minore di specificare più dettagliatamente se lui e il fratellastro avevano le mutande oppure no durante l'atto sessuale.Fortemente presente = 2

11. Associazioni esterne collegate

X   Questo criterio non è stato soddisfatto.Assente = 0

12. Descrizione dello stato mentale soggettivo

X   Tale descrizione accompagna molte parti del racconto del minore. Infatti, sia quando racconta della visione della videocassetta, sia del momento dell'abuso sessuale, precisa sempre: «Ma io non volevo».Presente = 1

13. Attribuzione di uno stato mentale dell'accusato

  X Questo criterio non è stato soddisfatto.Assente = 0

Contenuti relativi alla motivazione SI NO Note

14. Correzioni o aggiunte spontanee

X   Il criterio è soddisfatto poiché spesso Mirko, raccontando, si ferma a riformulare ciò che ha appena affermato, nel tentativo di esprimersi meglio o di essere più preciso, e lo fa utilizzando le parole oppure tramite il disegno o i pupazzi.Fortemente presente = 2

15. Ammissione di mancanza di memoria o conoscenza

  X Il criterio non è stato soddisfatto perché il minore pare ricordare gli eventi in modo chiaro e preciso.Assente = 0

16. Sollevare dubbi sulla propria testimonianza

  X Il criterio non è presente, in quanto nella deposizione non viene analizzato il rapporto che egli aveva con i genitori e, dunque, non gli viene chiesto se ad essi aveva raccontato l'accaduto.Assente = 0

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17. Autodeprecazione   X Il criterio non è presente.Assente = 0

18. Perdonare l'accusato

  X Il criterio non è soddisfatto, anzi Mirko dice di essere contento che il fratellastro non viva più in casa sua.Assente = 0

Elementi specifici dell'offesa SI NO Note

19. Dettagli caratteristici dell'offesa

X   Il minore offre dettagliate descrizioni degli atti di abuso subiti che rendono evidente una sorta di evoluzione verso situazioni sempre più invadenti: dal "toccare" le braccia e le cosce alla penetrazione anale.Fortemente presente = 2

L'analisi della validità del contenuto della testimonianza di Mirko rivela una buona qualità ed ottiene un punteggio complessivo di 20, con la soddisfazione di 13 criteri su 19.

11.3 L'analisi della validità della deposizione (Statement Validity Analysis)

La Statement Validity Analysis è un metodo per strutturare la valutazione di un giudizio relativo ad accuse di abuso sessuale, metodo che utilizza la raccolta sistematica e l'esame delle informazioni provenienti dalle interviste dei minori e da altre fonti rilevanti riguardanti il caso. Essa ha avuto origine in Germania e in Svezia negli anni Settanta.

Nella sua forma attuale comprende (259):

a. un attento esame dell'informazione relativa al caso;b. l'intervista semistrutturata del minore;c. il CBCA dell'intervista trascritta;d. l'esame della validità di ulteriori informazioni sul caso;e. la sintesi sistematica.

a) Esaminare l'informazione relativa al caso

I fatti riguardanti il caso vengono ricavati da ogni possibile fonte d'informazione. Ciò include, ma senza limitarsi a queste fonti, l'informazione ricavata dai verbali di polizia, gli schedari dei servizi per la protezione all'infanzia, l'anamnesi psicosociale delle persone coinvolte, test diagnostici se disponibili, i documenti del tribunale e le informazioni della scuola. Varie fonti di dati permetteranno di delineare la storia delle accuse (260). I dati così ottenuti consentiranno all'esaminatore di formulare ipotesi alternative circa le presunte vicende processuali.

b) L'intervista semistrutturata

L'intervista è strutturata secondo i principi dello sviluppo cognitivo dei bambini. Il formato dell'intervista, perciò, è stato progettato per ottenere più informazioni possibili tramite la narrazione libera da parte del minore. Le domande si articolano da quelle generali fino a giungere, in base alle necessità, a quelle più specifiche.

Alla trascrizione dell'intervista, condotta in modo tale da ottenere una narrazione libera dei fatti, viene applicata l'analisi del contenuto della deposizione (CBCA), che deve terminare, per ogni criterio, con una valutazione : assente, presente o fortemente presente (261).

Dopo aver esaminato i criteri di contenuto prendendo in esame in che misura essi vengano soddisfatti in una data deposizione, occorre analizzarli attentamente per formulare una valutazione complessiva della qualità (non della credibilità) della deposizione. Quest'ultima,

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insieme ad altre informazioni sul caso, viene usata nella SVA per valutare la probabilità che il minore testimone abbia avuto realmente esperienza dell'evento che ha descritto (262).

d) L'esame della validità

La valutazione completa sulla credibilità in un caso specifico combina tutta una serie di informazioni che permettono di valutare la probabilità che il testimone faccia riferimento ad un evento reale: in aggiunta al giudizio relativo alla qualità del contenuto, gli esperti fanno uso di altre fonti d'informazione.

Per organizzare e standardizzare un esame di questo tipo tanto complesso è stata elaborata, per questa parte della procedura, una lista di elementi che indicano la validità della deposizione (Validity Checklist).

Tabella: Criteri per il controllo della validità della deposizione (Validity Cecklist)CARATTERISTICHE PSICOLOGICHE

1. Appropriatezza del linguaggio e della conoscenzaIl sospetto di un'influenza da parte di un adulto non può far dedurre che la denuncia sia falsa, ma deve portare a ponderare la possibile influenza da parte di terze persone.

2. Appropriatezza dell'affettoDeve essere osservata la performance del bambino anche se i segnali comportamentali non possono mai essere univocamente interpretati come segni di veridicità o falsità.

3. Suscettibilità alla suggestioneElevati gradi di suggestionabilità possono influenzare l'accuratezza della denuncia, o perfino indicare una mancanza di memoria episodica concreta dovuta al fatto che il racconto è stato fabbricato. La resistenza alla suggestione risulti essere, d'altra parte, degna di nota.

CARATTERISTICHE DELL'INTERVISTA

4. Utilizzo di domande suggestive, guidanti o coercitiviInterviste precedenti, condotte inadeguatamente, possono influenzare l'intervista, sebbene per questa sia stata utilizzata una tecnica adeguata.

5. Generale adeguatezza dell'intervistaDeve essere valutata separatamente anche la tecnica utilizzata nell'intervista sulla quale i criteri del CBCA sono applicati. Domande dirette formulate in modo prematuro, interruzioni eccessive o rinforzi sistematici possono, infatti, limitare il potere diagnostico dell'analisi del contenuto.

MOTIVAZIONE

6. Motivazione a deporreDevono essere considerate le relazioni tra il bambino e l'accusato, e le possibili conseguenze per tutte le persone coinvolte.

7. Contesto nel quale si è inserita la prima rivelazione o dichiarazioneLa "storia" e l'origine della denuncia devono essere analizzate.

8. Pressioni a dichiarare il falso

INTERROGATIVI INVESTIGATIVI

9. Coerenza con le leggi della naturaLa sua assenza implica forti dubbi sulla veridicità del racconto, pur in presenza di un'alta qualità di contenuto.

10. Coerenza con altre deposizioniTali deposizioni possono essere del bambino stesso o di altre persone.

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Per il confronto con altre dichiarazioni del bambino devono essere tenute presenti la sua capacità di ricordare eventi e possibili effetti suggestivi in precedenti interviste o in quella attuale.La contraddizione con dichiarazioni di altre persone, che non possono essere attribuite a errori o menzogne da parte dell'altro testimone, non sono necessariamente indicatori di falsità, ma vanno considerate all'interno dell'assessment generale di validità.

11. Coerenza con altre proveQuesto controllo è di natura criminologica più che psicologica, può concernere, infatti, aspetti medico-legali. Una contraddizione a questo livello solleva molti dubbi sulla veridicità della testimonianza nonostante un'elevata quantità di contenuti.

Oltre alla valutazione sulla qualità della deposizione (fatta con il CBCA) la validity checklist contiene informazioni che devono essere prese attentamente in considerazione. Infatti devono essere valutate alcune "caratteristiche psicologiche" (n. 1-3) (263):

1. lo stile del linguaggio e la conoscenza specifica che va al di là del livello di sviluppo o dell'età del testimone. Se sono presenti caratteristiche del linguaggio o descrizioni che indicano una possibile influenza di adulti nel preparare e organizzare la deposizione, non è possibile concludere in modo definitivo che la deposizione è falsa ma, naturalmente, ciò è importante per esaminare possibili influenze di terze persone.

2. Occorre considerare gli indicatori comportamentali di risposte emotive inappropriate durante l'intervista, l'assenza dell'emozione (che ci si aspetterebbe essere coerente con il contenuto del resoconto) ed un'emozione congruente con il contenuto di pensiero.

3. Se il testimone ha mostrato suscettibilità alle suggestioni durante l'intervista, ciò è un altro fattore psicologico importante da considerare.

Le "caratteristiche dell'intervista" (n. 4-5) sono ulteriori fonti per analizzare una deposizione ed occorre valutare sia quelle su cui si è basato il giudizio di credibilità, sia le tecniche usate nelle precedenti interviste.

Le "possibili motivazioni" (n. 6-8), che devono essere prese in esame e incorporate nella SVA, sono (264):

se il testimone ha ragioni discutibili per sporgere denuncia. Importanti fonti d'informazione sono costituite dalla relazione tra il testimone e l'accusato e dalle possibili conseguenze dell'accusa per gli individui coinvolti.

Un punto essenziale che deve essere considerato nell'analisi della motivazione è l'origine o la "storia" della deposizione. Il contesto nell'ambito del quale è avvenuto il primo racconto deve essere esaminato a fondo.

Deve essere svolta un'indagine circa l'eventualità che il testimone o altre persone siano stati spinti a dichiarare il falso.

Infine le "domande investigative" (n. 9-11) riguardano:

le descrizioni che sono contrarie alle leggi della natura; la coerenza con altre deposizioni fatte dallo stesso testimone oppure da altri, facendone

un confronto; la coerenza con altre prove fisiche o concrete.

e) La sintesi sistematica

Il processo dell'esaminatore di combinare tutte le informazioni è molto complesso in quanto ogni valutazione è interconnessa ed il loro esame non può essere fatto in modo indipendente. Standardizzare questa procedura aiuta ad organizzare i fatti e le interferenze e a dare il giusto peso ai vari dati.

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Capitolo IIIIl trattamento terapeutico del minore sessualmente abusato1. Il ruolo del clinicoIl clinico è una figura molto importante per le istituzioni giudiziarie, le quali si rivolgono ad esso, nei casi di sospetto abuso sessuale sui minori, per vari motivi:

1. per ottenere le segnalazioni che permettono di attivare il procedimento più adeguato di protezione del minore;

2. per lo svolgimento della fase della valutazione della situazione di presunta violenza.Quest'ultima può essere attuata secondo due modalità diverse: in alcuni casi l'accertamento giudiziario si serve di una valutazione clinica o di una consulenza tecnica sulla sfera cognitiva e comportamentale del minore, in altri il percorso consiste nello svolgimento di entrambe. In quest'ultimo caso al bambino verranno fatte le stesse domande e sarà costretto a ripercorrere il trauma subìto per due volte. Infatti, nella pratica, i due operatori che compiono queste valutazioni non si passano le informazioni raccolte e ciò porta ad una grande confusione sull'accaduto e ad una minore efficacia del procedimento: colui su cui grava tutto il sistema è sicuramente il minore, che risulterà sottoposto ad una nuovo trauma (1).Sarebbe, invece, una soluzione più adeguata per il minore quella di essere sottoposto soltanto ad una valutazione clinica, complessa e globale, che cerchi di capire se l'abuso si è verificato ed eventualmente quale tipo di conseguenze l'abuso ed il trauma hanno causato sulla sua personalità (2) (procedimento questo seguito nella realtà milanese). Bisogna ricordare che ogni caso è a sé e va valutato come tale: non ci sono "equazioni matematiche" che possono essere applicate ad ogni caso di abuso sessuale su un minore.

3. La figura del clinico può essere utilizzata dalle istituzioni giudiziarie anche per ottenere un aiuto specifico nello svolgimento dei percorsi giudiziari (è il caso dell'audizione protetta del minore);

4. e per far compiere il percorso terapeutico al bambino.Ad un minore, vittima di abuso sessuale, devono essere infatti garantite sia la "cura", sia la protezione (che richiede il suo ingresso nel procedimento penale). Questo vuol dire che i due ambiti diversi del clinico e del giudiziario devono cooperare per poter così compiere, sul bambino, l'attività clinica di aiuto e di rielaborazione del trauma (3).

Il clinico deve chiedere, in primo luogo, alle istituzioni giudiziarie di apportare un'adeguata tutela al minore: egli deve essere protetto dagli eventi traumatici che ha subìto e che potrebbe continuare a subire. Quindi, dopo la rivelazione degli eventi, la prima importante forma di intervento è quella che interrompere l'abuso, ponendo fine, spesso attraverso l'allontanamento fisico della vittima dall'abusante, alla situazione traumatica rivelata (4).

Il contesto di protezione può così essere considerato come un intervento preclinico (5) ed è un necessario ed ineludibile passo che permette di creare quelle condizioni per poter impostare correttamente la fase diagnostica, cioè la fase di valutazione e validazione delle rivelazioni della vittima, utili per predisporre successivamente un contesto di cura. Senza protezione, infatti, ogni lavoro clinico è precluso dal "blocco" che nasce nel minore, che sa di poter essere ancora avvicinato e minacciato da colui che ha perpetrato l'abuso e da coloro che con lui si schierano. La letteratura in ambito psicologico ed una consolidata prassi sostengono che solo in una situazione protetta è, quindi, possibile capire, valutare e poi curare il danno prodotto dalla situazione abusiva (6).

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Il mantenimento di una situazione protettiva permette quindi di effettuare una valutazione sulle conseguenze psicopatologiche dell'abuso e di mettere a fuoco sia gli esiti immediati dello stesso nella vittima (quali i preminenti sentimenti di disvalore, i sensi di vergogna e di colpa), sia di attivare poi un intervento curativo che mitighi il costituirsi nel bambino di difese psicologiche rigide ed invalidanti il suo futuro sviluppo personale.

Questo intervento di "riparazione" (7) deve essere iniziato il più presto possibile, ma prima è necessario compiere un'esperienza correttiva sulla visione che ha il minore del mondo che lo circonda: cioè è necessario fargli capire che ciò che ha vissuto come esperienza traumatica non coincide con le "normali" esperienze che un soggetto della sua età di solito vive. Questa fase è necessaria perché, se non viene prospettato come reale ed esistente quello che il terapeuta vuole far capire al bambino, la terapia successiva non produce alcun effetto positivo (8).

2. La terapia familiareAl termine della fase diagnostica di un caso di abuso sessuale si dovrebbe avere un'idea sufficientemente chiara della necessità del bambino abusato, della trattabilità della situazione familiare e di cosa è necessario predisporre a livello sociale per il proseguimento dell'intervento. È necessario che tutti i professionisti impegnati nel caso si confrontino sulle possibili soluzioni, accordandosi anche con gli organi giudiziari. A volte può essere necessario il coinvolgimento di colleghi di altri servizi del territorio per effettuare interventi sul contesto sociale e per eliminare alcuni fattori di rischio che possono essere stati concause della violenza stessa (ad esempio può essere necessario prendere contatto con i servizi sociali per ridurre l'emarginazione sociale, o per la terapia di disintossicazione di una patologia di loro competenza per i genitori tossicomani). La situazione, infatti, dovrebbe essere presa in carico da una equipe di terapeuti, che potrebbero confrontarsi sull'intervento, durante la sua progettazione ed il suo svolgimento, e condividerne la responsabilità (9).

Il trattamento dell'abuso all'infanzia si è modificato nel corso di questi ultimi anni. Ancora pochi anni fa era centrato o sulle vittime, con interventi di area sociale come l'allontanamento del minore, o sui colpevoli, con interventi di area giudiziaria. In ogni caso l'entità familiare risultava profondamente sconvolta e con la conseguenza di un grave danno per il bambino abusato. Col tempo le ricerche psicologiche hanno situato la violenza all'infanzia in un contesto allargato multiproblematico, dove si intrecciavano un complesso di relazioni psicologiche, sociali ed economiche: ciò ha focalizzato l'attenzione sull'intero gruppo familiare, nel tentativo di recuperare tutto il gruppo attraverso una trasformazione dei legami relazionali e comunicativi (10). Questa ideologia diversa, che privilegia il recupero e non la criminalizzazione, costituisce una sfida, rispetto alle inevitabili rotture provocate dall'abuso, nei confronti del solo intervento sociale o della sola attività giudiziaria che non portavano a nessuna trasformazione (11).

Sono stati predisposti diversi modelli di intervento terapeutico, tutti centrati sulla terapia familiare, a cui può essere data maggiore o minore importanza a seconda delle diverse situazioni.

Prima di poter predisporre un trattamento terapeutico è necessario fare una valutazione-terapia della situazione abusante. Principalmente dovrà essere considerata la riorganizzazione delle risorse familiari intorno alla rottura del segreto sull'abuso, che probabilmente farà emergere problemi pregressi di ogni singolo componente della famiglia, che verranno violentemente riattivati a contatto con una crisi tanto grave. È molto alto il grado di sofferenza connessa al raggiungimento di una nuova consapevolezza della situazione. È necessario del tempo perché questo stato d'angoscia sedimenti almeno al punto da diventare comunicabile ed elaborabile, tempo che andrà aspettato prima di giungere a conclusioni sulle risorse familiari (12).

Attraverso la fase di valutazione sarà anche necessario raggiungere, il più precocemente possibile, una previsione di quali siano gli individui su cui è realistico contare per assicurare protezione al minore, che deve trovare un ambito sufficientemente stabile ed affettivamente valido per continuare il proprio percorso evolutivo, in attesa che un successivo lavoro psicologico possa renderlo ancora più adeguato a tutte le sue necessità di riparazione (13).

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Gli adulti considerati "protettivi" dovrebbero avere due attitudini complementari:

la capacità di provvedere ad una tempestiva e duratura tutela del minore, assicurando così l'interruzione definitiva dell'esperienza traumatica (e ciò implica la loro consapevolezza che l'abuso si è realmente verificato);

e la capacità di confrontarsi con il trauma avvenuto e con le conseguenze ad ogni livello.

Purtroppo non sempre esiste questa ricchezza di risorse: anzi sono frequenti i casi in cui si verifica uno "scollamento" tra i due fattori, con la conseguenza di un trascinamento in direzione negativa anche di quella attitudine che l'adulto possiede e che inizialmente sembrava sufficientemente valida (14). Ne discende che predisporre un intervento valutativo di una conveniente durata potrà garantire informazioni utili anche sulle risorse effettive a disposizione della vittima, con la quale non è neppure pensabile un progetto di cura se non dopo aver attivato un assetto di vita contenitivo, stabile ed affettivo.

La proposta terapeutica viene fatta ai genitori in un incontro, durante il quale vengono comunicati loro gli elementi di sofferenza, sia del bambino che della famiglia, emersi negli accertamenti effettuati. È importante raccogliere le loro reazioni a questa comunicazione perché possono offrire indicazioni utili sulla prognosi dell'intervento stesso (15).

L'aspetto problematico fondamentale di una terapia familiare riguarda ciò che è avvenuto "prima" del comportamento disfunsionale: si ritiene, infatti, che nessuna ricostruzione efficace delle relazioni potrà aver luogo senza che siano messi a fuoco gli errori che hanno accompagnato il sorgere e il protrarsi delle situazione traumatica (16). Tale trattamento tenta di realizzare il recupero dell'intero gruppo familiare attraverso il cambiamento dei meccanismi comunicativi e dei giochi interattivi, evitando le rotture che si hanno necessariamente se si procede unicamente in modo punitivo (17).

Il trattamento accettato

Può accadere che nei genitori si evidenzi una preoccupazione reale per il benessere psicofisico del figlio (una preoccupazione che prescinde dal timore che il minore possa essere allontanato dalla famiglia) e che emergano angosce e problematiche che provocano una richiesta spontanea di aiuto. Sembrerebbe il caso ideale naturalmente, ma sorprendentemente sono proprio i casi di violenza intrafamiliare quelli in cui si verifica più spesso una risposta di questo tipo. Nei casi di violenza extrafamiliare c'è maggior tendenza a negare e rimuovere l'episodio di violenza e le sue conseguenze psichiche, tendendo a far prevalere una logica di vendetta giudiziaria, senza tener conto delle conseguenze che l'iter giudiziario provoca nel bambino vittima dell'abuso.

In questi casi ad esito favorevole è possibile, senza aspettare che sia il giudice a disporre la terapia dopo l'accertamento del caso, proporre direttamente una proposta terapeutica articolata, stabilendo un preciso contatto con la famiglia del minore (18).

Il trattamento non accettato

La proposta terapeutica può essere, però, anche rifiutata dalla famiglia. Questo è un evento frequente nelle violenze sessuali extrafamiliari, in cui i genitori, accecati dal loro bisogno di vendicarsi dell'abusante in sede giudiziaria, minimizzano o trascurano del tutto le esigenze di riparazione del danno psicologico che ha subito la vittima.

Purtroppo non esistono strumenti per far accettare un intervento in questi casi, ma è possibile pensare ad una forma di tutela da parte di una rete di servizi per accorgersi in tempo dei segni di un eventuale scompenso psichico del minore. La segnalazione di rischio ai servizi sociali e al servizio materno-infantile può contribuire ad attuare un'azione di prevenzione e controllo, ma le difficoltà che si incontrano nella collaborazione e nell'integrazione di un intervento di rete, rendono estremamente difficoltoso, attualmente, questo percorso (19).

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Quando il rifiuto della proposta terapeutica avviene nei casi di abuso intrafamiliare, se il rischio per la vittima di subìre altri episodi di abuso è troppo elevato o se le condizioni del contesto ambientale sono fortemente degradate, si deve ricorrere agli interventi sociali e a quelli giudiziari in un'ottica di controllo, ma non sempre di riparazione.

Gli interventi possibili possono essere vari: l'allontanamento dell'abusante dalla famiglia, l'allontanamento del minore abusato, l'affidamento intrafamiliare e l'affidamento preadottivo extrafamiliare. Tutti questi provvedimenti hanno ripercussioni drammatiche sul bambino che, oltre alla violenza sessuale, subisce una perdita affettiva.

3. La terapia dell'adulto protettivoParallelamente alle attività individuali con il minore vittima dell'abuso sessuale andrà avviato un programma teso a rinforzare la diade genitore protettivo-figlio. L'importanza di questa fase è tale da farla considerare come il "vero perno" intorno al quale ruota l'intervento terapeutico, soprattutto nel caso in cui l'abuso sia stato intrafamiliare.

Innanzitutto tale terapia potrebbe anche essere la sola possibilità residua di salvare i legami primari della vittima con la sua famiglia, qualora l'abusante non fosse disposto ad abbandonare i propri meccanismi di negazione. Ma anche se una ricostruzione fosse possibile con il genitore abusante, sarebbe imprudente esporre il minore ad un confronto diretto con esso prima di aver rinforzato la sua posizione all'interno del nucleo familiare, attraverso una ridefinizione ed un risanamento del suo rapporto con l'adulto protettivo (20).

Va inoltre ricordato che anche quest'ultimo è quasi sempre angosciato dai vissuti del tutto analoghi a quelli del figlio; tale genitore, infatti, si attribuisce in modo indifferenziato ogni responsabilità dell'abuso, sentendosi colpevole per non aver capito ai primi segnali e non aver sufficientemente protetto il figlio (21). È necessario che il terapeuta analizzi con l'adulto le precedenti strategie adottate per controllare la vita del minore, al fine di individuarne eventualmente di migliori sul piano educativo (22).

Talvolta la somma emotiva di questi sentimenti paralleli fa salire troppo il livello di angoscia, finendo per costituire un ostacolo al processo terapeutico. È quindi necessario impiegare molte energie per dare all'adulto protettivo la giusta percezione di responsabilità dell'abuso, in modo che sia tollerabile e suscettibile di evoluzione positiva. È infatti possibile sostituire alla percezione di colpa quella di vulnerabilità, a cui ha ceduto l'adulto protettivo di fronte all'imbroglio, posto dall'abusante come strategia per sostenere la relazione incestuosa (23).

Oltre ai sensi di colpa, il genitore non abusante prova di solito anche forte rabbia e risentimento verso il familiare abusatore; l'assenza di tali emozioni può essere considerata un segno negativo rispetto alla capacità di tale genitore di impegnarsi a proteggere il figlio o di empatizzare con lui. Ma il terapeuta deve impedire che tali sentimenti si trasformino in ira e desiderio di vendetta nei confronti dell'abusante, perché ciò potrebbe aumentare l'ansia del bambino (24). Infatti, il minore può provare affetti ambivalenti verso l'abusatore (soprattutto se è una figura genitoriale). Il genitore protettivo deve quindi imparare ad esprimere la propria rabbia soltanto in assenza del figlio ed inoltre va incoraggiato ad individuare nel proprio ambiente persone con cui poter parlare ed esprimere la propria ira, ad esempio collaborando alle investigazioni.

Una volta che l'espressione della rabbia è stata moderata, possono essere utili alcuni incontri col terapeuta insieme al figlio, il quale può così rendersi conto, senza esserne traumatizzato, che anche il genitore è arrabbiato col responsabile dell'abuso, in tal modo venendo confermato e validato nei suoi sentimenti e nelle sue emozioni (25).

Il genitore protettivo, specialmente nei casi di abuso sessuale extrafamiliare, dovrà essere preparato dal terapeuta su come parlare apertamente al figlio dell'abuso e della sessualità in generale: infatti, un comportamento di silenzio in merito all'evento potrebbe rinforzare nella

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mente del minore la partecipazione del genitore all'abuso, poichè si dimostrerebbe totalmente disattento a quanto a lui accaduto.

Inoltre, in caso di un atteggiamento di chiusura e di "vergogna familiare" per aver subìto un abuso sessuale extrafamiliare è necessario far comprendere ai genitori del minore-vittima quanto sia invece importante per il bambino l'apertura a ricevere il sostegno di parenti, amici ed insegnanti: infatti, se lo stigma viene vissuto anche dalla famiglia è più difficile che il figlio possa liberarsene (26).

Infine è possibile che il genitore non abusante provi rabbia verso il figlio, per diversi motivi (27):

perché non si è saputo difendere o non ha denunciato l'abuso prima. In questo caso è utile spiegare al genitore quali sono i forti motivi psicologici che impediscono ad una vittima di abuso intrafamiliare di denunciare il responsabile della violenza;

talvolta, più o meno consapevolmente, il genitore protettivo accusa il figlio di aver provocato con la denuncia il crollo dell'intera famiglia, ponendolo in una situazione particolarmente difficile, anche dal punto di vista finanziario. In questi casi, solo adeguati interventi attivati da una rete di sostegno, in cui vengano coinvolti anche i servizi sociali e sanitari, può agire in modo da sedare, almeno in parte, tali giustificate ansie, che a loro volta generano tale risentimento;

infine, il genitore non abusante può provare rabbia verso il figlio come conseguenza del fatto che la sua denuncia ha portato all'intrusione delle varie agenzie di protezione del minore (servizi sociali e tribunali) nella vita più intima della famiglia, sconvolgendone le regole e le sicurezze. Anche in tal caso, diviene fondamentale evidenziare il ruolo potenzialmente positivo di tali servizi, lasciando però, nel contempo, la possibilità di esprimere tali sentimenti rabbiosi, che vanno accolti in modo empatico.

Dunque il terapeuta dovrà aiutare i genitori particolarmente in difficoltà ad imparare a rapportarsi col figlio, in modo da riuscire a comunicargli fiducia, accettazione ed impegno a proteggerlo. È necessario che il terapeuta si ponga come "mediatore" nel rapporto tra l'adulto protettivo e la piccola vittima: può così essere utile anche studiare una serie di artifici (ad esempio scrivere lettere, tenere diari) che possano costituire piccoli passi di avvicinamento ad un confronto che, se troppo precocemente diretto, può indurre timore. Tutto questo deve servire per costruire una nuova e più profonda solidarietà tra l'adulto e il bambino (28).

4. L'intervento sui fratelli del minore sessualmente abusatoNella consulenza alla famiglia spesso si trascurano i fratelli e le sorelle della vittima. Essi possono soffrire del cosiddetto "senso di colpa del sopravvissuto" (29) (chiedendosi "Perché non è capitato a me?" oppure "Quando potrà capitare a me?"). Così il terapeuta deve preparare i genitori a dare una spiegazione dell'evento agli altri figli, adeguata alla loro età.

È inoltre necessario considerare che i fratelli, al pari della vittima, dovranno ristabilire delle condizioni di fiducia all'interno della famiglia ma, nel contempo, saranno anche costretti a comprendere perché il familiare responsabile dell'abuso potrebbe non costituire più una parte importante nella loro esistenza. Non va trascurato, infatti, che anche questi minori possono avere interrogativi da porre a proposito dell'abuso sessuale, cui bisogna rispondere: d'altra parte, la natura traumatica degli eventi legati ad un abuso sessuale intrafamiliare può avere indotto, anche in loro, sintomi post-traumatici, che vanno trattati.

Infine, è possibile che altri fratelli siano stati vittime di abuso sessuale, per cui può essere indicata in casi simili una validation estesa a tutto il gruppo dei bambini della famiglia in terapia, se non altro per evidenziare se l'impatto dell'abuso del fratello o della sorella abbia prodotto su di loro effetti disturbanti. In tale caso, anch'essi potranno essere sottoposti ad un intervento terapeutico (30).

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5. La terapia dell'abusanteNei confronti dell'abusante a danno di minori l'intervento punitivo sembra essere quello più utilizzato. Ma si è diffusa una teoria che ritiene che, per poter aiutare le famiglie incestuose, è necessario un intervento terapeutico anche nei confronti dell'abusante. Sembra, infatti, che per tutelare l'infanzia dalla reiterazione del crimine non basti utilizzare la pena detentiva come deterrente, ma sia necessario trovare il modo per far riemergere ed elaborare, negli autori della violenza, i traumi infantili subìti (visto che la maggior parte degli abusanti sembra essere stato vittima nell'infanzia di violenze sessuali) o comunque per far recuperare loro una correttezza di comportamento (31).

L'obiezione maggiore a questa proposta è stata quella che non si può "curare" chi si rifiuta di collaborare. Alcune esperienze di psicoterapie di abusanti non volontarie hanno però dimostrato che è possibile ottenere dei risultati anche senza un'iniziale piena motivazione del paziente. Infatti la coazione può svolgere una funzione insostituibile nell'avviamento della terapia; lo sviluppo di quest'ultima, invece, è affidato alla capacità e alla possibilità dei terapeuti di stimolare, nei soggetti coinvolti, una motivazione autonoma al cambiamento, affrontando e superando le relative resistenze.

Anche in Italia dagli anni Novanta si è cominciato ad operare in questa direzione presso il Centro del bambino maltrattato di Milano, dove sono stati ottenuti ottimi risultati anche attraverso l'accettazione di un esplicito collegamento fra contesto giudiziario e terapeutico (32). Secondo questa corrente di pensiero, se venisse privilegiata, nei confronti degli abusanti, la strada della terapia piuttosto che quella della repressione i costi economici sarebbero certamente molto elevati, essendo necessari terapeuti altamente specializzati, ma sarebbero sempre inferiori ai costi che la società deve pagare per le spese detentive di questi soggetti ed inoltre sarebbero inferiori le loro probabili recidive (33).

Non tutti però sono convinti che sia possibile recuperare i legami familiari tra il minore e l'abusante quando l'abuso sessuale si è verificato, perché in questi casi il rapporto tra i due soggetti è stato completamente compromesso. Ad esempio l'Associazione Artemisia di Firenze, per scelta, ha deciso di non occuparsi dell'intervento terapeutico degli abusanti e svolge terapie di minori sessualmente abusati non finalizzate al recupero di tale rapporto familiare (34).

Fondamentale è la capacità dell'abusante di assumersi la responsabilità di quanto accaduto. Ma l'ammissione dei fatti non basta. Infatti non sono affatto infrequenti situazioni in cui, magari parzialmente e con una certa minimizzazione, si arriva a questo risultato. Tuttavia esso non è sufficiente per dare una decisiva svolta alle distorsioni da cui è stata segnata la relazione con la vittima e il complesso dei rapporti familiari.

In fasi successive dovranno essere affrontate, oltre alla negazione dei fatti (35):

la negazione di colpevolezza: cioè l'essere stati animati da precise scelte strategiche nel preparare e compiere l'abuso, ben sapendo che proprio di questo si trattava;

la negazione di responsabilità: cioè di intenzionalità libera per quanto possibile da condizionamenti esterni, ai quali non può essere attribuita che un'importanza marginale rispetto all'assunzione del comportamento abusante;

la negazione dell'impatto: cioè del fatto che quanto avvenuto ha comportato conseguenze altamente traumatiche per il minore che vi è stato coinvolto.

Dunque, non devono più rimanere all'abusante "scappatoie" come l'attribuzione di pensieri incestuosi all'alcool, o alle più varie cause di infelicità e rabbia, o alle presunte inadempienze della consorte; né deve continuare l'illusione che il figlio, essendo piccolo, non abbia capito il significato di quegli "speciali giochi" e che quindi possa facilmente dimenticarli senza conseguenze. Egli deve prendere coscienza che i danni inflitti al minore sono attribuibili soltanto ai propri tratti patologici che invece, spesso, tende a considerare intrinseci al modo di essere della vittima in quanto conseguenza dei comportamenti di questa: in tal modo cerca di trovare un'attenuante al proprio comportamento (36).

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Dopo un'approfondita elaborazione di questi temi, nel caso di abuso intrafamilaire, si potranno valutare - ed eventualmente rinforzare - le possibilità residue del genitore di riassumere il suo ruolo affettivo. Per raggiungere questo risultato conteranno non soltanto le buone intenzioni, ma anche le prove date nel passato rispetto a tali funzioni: infatti, soggetti che avevano espresso in precedenza anche buone attitudini di accudimento e di reale vicinanza affettiva con al vittima e gli altri figli potrebbero riprendere un ruolo parentale significativo.

Riguardo all'intervento terapeutico dell'abusante è importante il parere espresso da un endocrinologo, il professore Aldo Isidori (37), direttore della cattedra di andrologia all'Università "La Sapienza" di Roma, sulle terapie ormonali (in realtà "anti-ormonali" come egli afferma) e sui loro margini di applicazione in caso di comportamenti sessuali violenti sui minori:

Il problema della pedofilia è innanzi tutto più un problema di natura psicologico-sociale che strettamente medico. Basti pensare che nell'antichità i rapporti tra adulti e minori erano ammessi, codificati all'interno di una cornice culturale definita, sicuramente differente rispetto a quella attuale.

È in quest'ambito che sorge la definizione di "pedofilia": deviazione rispetto all'istinto sessuale riproduttivo su cui si innesta poi la sessualità adulta nelle sue componenti psicologiche, simboliche e culturali. Il professore Isidori afferma:

È questo il motivo per cui l'unica forma di terapia in senso strettamente medico (ossia di ripristino di condizioni di salute "normale", in questo caso la corretta esplicazione dell'istintualità sessuale) è quella psicologica. Le cosiddette "terapie ormonali", o meglio anti-ormoni in quanto inibiscono ormoni specifici, non sono in tal senso terapie ma soltanto rimedi temporanei e reversibili: una volta tolta la copertura farmacologica il problema si ripresenta praticamente inalterato, poiché si agisce a livello sintomatologico e non sulle cause. Comunque, la possibilità di ricorrere alla terapia chimica (o per meglio dire al trattamento farmacologico) può risultare utile, sempreché sia associata ad una terapia psicologica, nei casi di comportamento violento lesivo della dignità psichica e fisica del bambino.

Bisogna ricordare che, riguardo alla possibilità di utilizzare il trattamento farmacologico nei confronti degli abusatori, si pone un problema etico: la dichiarazione di Helsinki del 1964 afferma chiaramente che non si può somministrare niente a nessuna persona se non si ha il suo consenso. La Convenzione di Oviedo (nelle Asturie) del 1997, inoltre, sostiene che è necessario il consenso informato da parte dei soggetti coinvolti in interventi medici, che possono ritirarlo in qualsiasi momento. L'art. 5, infatti, vincola qualsiasi intervento ad una preliminare libera dichiarazione di consenso da parte delle persone coinvolte, le quali devono essere informate sullo scopo, la natura, le conseguenze ed i rischi dell'intervento stesso.

Se in altri paesi (come ad esempio Germania e Stati Uniti) è prevista per legge la possibilità della castrazione chimica (38) - o comunque della somministrazione di una terapia in modo coercitivo - nei confronti dei criminali sessuali (come gli stupratori abituali) a prescindere dal loro consenso, in Italia tale tipo di castrazione è incostituzionale: l'art. 27 della Costituzione italiana, infatti, affermando al terzo comma che le « pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità», vieta qualunque trattamento che violi l'integrità fisica (inclusi perciò trattamenti cruenti, come la lobotomia e la sterilizzazione, e non cruenti, come l'uso di psicofarmaci e l'ipnotismo) (39), in quanto considerati inammissibili perché ledono la dignità umana e non tendono, invece, come dovrebbe essere allo scopo rieducativo della pena (40).

Il modello coercitivo, nell'ordinamento italiano, non è di per sé previsto se non in specifiche ipotesi tipiche:

quando il soggetto ha crisi acute della patologia di cui è affetto ed è provata la sua incapacità di intendere e di volere (anche parziale) può essere sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio: ma questa non pare essere un'ipotesi concreta in cui si può trovare un abusante (41);

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al fine di individuare, con le forme della perizia, patologie sessualmente trasmissibili (ad esempio l'HIV) l'abusante è sottoposto ad accertamenti coattivi, qualora le modalità del fatto commesso possano prospettare un rischio di trasmissione di tali patologie nei confronti del minore vittima dell'abuso sessuale (art. 16 L. 66/1996);

il giudice può condizionare l'emanazione della sospensione condizionale della pena alla partecipazione, da parte dell'abusante, a trattamenti psicoterapeutici, ai quali però egli dovrà comunque partecipare volontariamente: dunque, se vuole ottenere la sospensione condizionale dovrà accettare il trattamento (42).

6. La terapia individuale della vittima di abuso sessualeIn un modello integrato, accanto alla terapia familiare, comune con altri modelli di intervento, sono state inserite proposte terapeutiche che riguardano direttamente le vittime dell'abuso, proposte in un certo senso privilegiate rispetto alla terapia relazionale del gruppo familiare. Ci sono due ordini di fattori che hanno sollecitato questa scelta: l'alta incidenza di psicopatologia grave nei bambini abusati e la valutazione retrospettiva, evidenziata ormai da molte ricerche, di adulti affetti da patologia psichiatrica che hanno rivelato esperienze infantili di violenza sessuale (43).

Nel lavoro clinico uno stimolo ulteriore a percorrere una strada diversa è stato dato dall'osservazione costante che i bambini abusati non vogliono parlare della loro esperienza. I tentativi volti a far descrivere il loro vissuto si infrangono quasi sempre contro un silenzio ostile.

Alla base di questo comportamento non c'è solo la vergogna, la diffidenza verso un estraneo e la paura di vendette familiari, ma qualcosa di più profondo e radicale. Sembra, infatti, che i minori vittime di violenza sessuale tentino disperatamente di rimuovere ciò che hanno vissuto e le angosce connesse, in modo tanto più rigido quanto più grave è stato il trauma negli affetti. Mettono in azione, cioè, dei meccanismi di difesa contro l'angoscia del ricordare che sono, per la loro rigidità, responsabili della strutturazione patologica tardiva della loro personalità. Non è in realtà l'episodio di violenza subita in se stesso che provoca direttamente danni allo sviluppo psichico, ma l'attivazione di questi meccanismi di difesa e la necessità di mantenerli costantemente efficienti. La negazione, la rimozione, l'identificazione con l'aggressore e la scissione della componente affettiva non devono permettere il riaffiorare di un segreto angoscioso.

I bambini hanno bisogno dell'immagine interna di un genitore sufficientemente "buono". La componente violenta e abusante del genitore viene negata, i sentimenti di rabbia per il tradimento subìto vengono repressi e rivolti verso se stessi o spostati su altre persone. Dunque, nella loro mente preferiscono convincersi che ciò che è accaduto loro è giusto e, senza alcun dubbio, è accaduto per colpa loro. Questa colpa primaria devastante comporta nei loro ragionamenti un'equazione semplice e lineare che si può ridurre a: "i bambini buoni vengono amati; io non sono stato amato, io non sono buono" (44).

Attraverso questi meccanismi il bambino temporaneamente ottiene una serie di vantaggi secondari:

controlla l'angoscia vissuta nell'esperienza traumatica; controlla il senso di colpa primario; evita la depressione derivante dalla perdita di amore.

Ma questo pensiero, che può arrivare a far dubitare il bambino del diritto di esistere, si autonomizza dal resto della personalità e, in mancanza di un intervento, lo espone ad una progressiva sensazione di vulnerabiltà, a fallimenti scolastici prima e professionali poi, a gesti autolesivi inconsapevoli e anche consapevoli che possono arrivare al suicidio. Come forme reattive al grave vissuto depressivo, quando prevale il meccanismo di identificazione con l'aggressore, nel minore possono emergere comportamenti maniacali sempre più aggressivi,

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atti compulsivi di criminalità minorile ed infine, da adulti, essi tenderanno a ripetere il modello violento subìto da bambini, diventando genitori abusanti (45).

La terapia familiare si occupa solo marginalmente del mondo interno del minore sessualmente abusato, lasciando del tutto inalterato un complesso di sentimenti che hanno un alto potenziale patogeno. Il miglioramento della comunicazione nell'ambiente abusante e del suo sistema di relazioni non sono sufficienti per capovolgere le dinamiche di progressivo danneggiamento della personalità interna della vittima, perché non potrà mai manifestare i suoi sentimenti repressi. Uno degli scopi principali di una terapia di un minore sessualmente abusato è quello di sviluppare in quest'ultimo la consapevolezza di essere vittima e non invece responsabile dell'accaduto. La confusione di ruolo che si produce fra l'adulto e il bambino in questi casi è così grande da creare nel minore una grossa difficoltà a superare il senso di colpa che lo lega al sospetto di essere stato egli stesso, con il proprio comportamento, a provocare o a non rifiutare il rapporto sessuale (46).

È necessario, quindi, prendersi cura di questo grave disagio e cercare di aiutare il minore a ricostruire il suo mondo interno, attraverso l'esperienza di relazione con un adulto che può accogliere, contenere, comprendere la sua sofferenza e che permetta l'espressione della rabbia e della disperazione. È necessario favorire "movimenti di lutto" rispetto a ciò che è perduto per sempre (la propria infanzia, la possibilità di poggiare fiduciosamente su una concezione ottimistica del mondo e della vita), anche se il minore troverà la forza d'animo per andare avanti. Ovviamente tale compito sarà particolarmente doloroso quando il bambino dovrà rassegnarsi ad ammettere che tutte le persone di primaria importanza affettiva per lui, da cui per definizione di ruolo si aspettava cura e protezione, l'hanno abbandonato. D'altro canto questa completa presa di coscienza è l'unica premessa che rende possibile il radicamento in altri tessuti familiari, quando per il minore abusato rimane soltanto la via dell'adozione (47).

Il bambino deve imparare, aiutato dal terapeuta, a sviluppare la capacità di non cedere alla lusinga di concepire false idealizzazioni nei confronti di alcuno, sia che faccia parte del suo passato che del suo presente o futuro. Spesso, infatti, i minori vittime di tali situazioni cercano di compensare il loro sentimento di svuotamento personale, causato dal riconoscimento del fallimento relazionale, idealizzando tutti i soggetti con cui hanno successivi rapporti. In questo modo si espongono a successive delusioni, che vanno assolutamente evitate in quanto rischiano di far franare definitivamente un terreno emotivo già molto compromesso. Occorrerà invece aiutare il minore a rendersi conto, in modo realistico, delle risorse accessibili e fruibili, imparando ad apprezzarle e valorizzarle anche se non rispondono all'immagine che essi hanno del rapporto di cura, interiorizzata durante le fasi più primitive del processo di attaccamento alle figure parentali (48).

Le psicoterapie che utilizzano tecniche di gioco sono più adatte di quelle che utilizzano tecniche verbali, perché l'ostilità e la diffidenza iniziali possono rendere impraticabile lo scambio verbale (49). Attraverso il gioco, invece, il bambino non racconta, ma rappresenta la sua angoscia e, aiutato emotivamente dal terapeuta, impara ad accettarla, a confrontarsi ed a gestirla. Man mano che si rafforza l'alleanza terapeutica, il minore recupera lentamente il suo mondo emotivo, la fiducia nell'altro, la possibilità di abbandonare i rigidi meccanismi di difesa, facendo emergere i suoi sentimenti più profondi. Solo in questo momento, dopo molti mesi o a volte anni di terapia, accetterà di parlare di ciò che è accaduto.

È importante evidenziare la necessità che il terapeuta del bambino sia diverso dal quello familiare per mantenere uno spazio protetto del quale il minore ha estremamente bisogno per potersi fidare ed in cui possa esporre le sue problematiche psichiche senza rischi di mantenimento del segreto (50).

Una tipologia ben precisa di intervento riparativo nei confronti del minore sessualmente abusato non può essere ipotizzata a priori, dato il carattere estremamente vario delle motivazioni e degli effetti del comportamento violento: ogni situazione, dunque, va vista nella sua concretezza. Tutto ciò è però possibile soltanto con la predisposizione di una collaborazione multidisciplinare effettiva tra tutti gli operatori sociali, con un concreto potenziamento delle strutture esistenti (per esempio i consultori familiari) e con la costituzione di centri e di equipe specializzate in grado di fornire, fin dal primo momento, una risposta

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adeguata ai problemi e ai bisogni del bambino (51). Il trattamento terapeutico del minore sessualmente abusato è, infatti, un itinerario complesso che pone anche seri problemi di continuità della terapia che non sempre è garantita dai genitori. In queste situazioni possono essere importanti il sostegno del Tribunale per i minorenni e la funzione di sorveglianza dei servizi sociali affinchè il trattamento venga continuato per tutto il tempo necessario (52).

7. Principi generali sulla relazione terapeutica col minore vittima di abuso sessualeIl terapeuta come "base sicura"

È necessario che il terapeuta si mostri al minore affidabile, disponibile e capace di comprenderlo, in modo da accrescere così la fiducia che la vittima ha posto su di lui: deve diventare la sua "base sicura" (53), dalla quale possa iniziare ad affrontare i problemi legati all'abuso subìto.

Il processo di costruzione di tale legame è lento e graduale e prosegue per tutta la durata della terapia; va perseguito come scopo principale nelle fasi iniziali di essa e non esiste una singola o specifica tecnica per ottenere tale risultato, che dipende invece da tutto il complesso delle azioni terapeutiche condotte nel tempo.

Il terapeuta deve essere prevedibile, costante ed affidabile in tutto ciò che fa e che dice; deve anche astenersi dal concedere privilegi speciali, regali o favori ai minori in terapia, perché spesso gli autori della violenza sessuale hanno agito inizialmente proprio attraverso tali tecniche indirette (54).

È fondamentale, inoltre, che il terapeuta non si identifichi troppo con la vittima, perché ciò potrebbe portarlo ad evitare eccessivamente l'argomento dell'abuso o ad attribuire alla vittima sentimenti ed emozioni che non sono sue.

L'inizio della terapia

Il primo passo del processo terapeutico consiste nel chiarire gli scopi dell'intervento stesso, per stabilire e definire le aspettative reciproche, in modo anche da correggere eventuali fantasie inadeguate da parte del minore in proposito.

Il terapeuta deve, dunque, affermare chiaramente di essere al corrente del fatto che il bambino è stato abusato e che proprio questo evento traumatico costituisce la ragione principale della sua partecipazione alla terapia. In tal modo, oltre a definire il rapporto, è possibile cominciare a desensibilizzare il minore circa il tema dell'abuso, comunicandogli nel contempo la fiducia nel fatto che egli gradualmente diventerà capace di gestire adeguatamente l'argomento (55).

La spiegazione degli scopi dell'intervento può essere introdotta con una frase (56) del tipo: "Io aiuto i bambini a capire quello che provano e pensano quando sono stati trattati come ha fatto con te il papà (o qualunque altra persona a seconda del caso). I bambini in questi casi possono essere davvero sconvolti o confusi per quanto è accaduto; così io cerco di aiutarli a trovare un modo per diventare più tranquilli e stare meglio".

È importante chiarire al minore che parlare di questi argomenti non è facile per nessuno, neppure per gli adulti; conseguentemente, il terapeuta cercherà di procedere gradualmente e di lasciare al bambino il controllo circa cosa e quando condividere col terapeuta, per cui gli argomenti più "dolorosi" saranno affrontati soltanto quando egli sarà pronto.

Infine il terapeuta deve spiegare al minore che egli può usare le parole che preferisce per riferirsi all'abuso ed inoltre gli dà la possibilità di dire in ogni momento che non se la sente di parlare di un dato argomento: il bambino avrà a disposizione tutto il tempo di cui ha bisogno per riuscire ad affrontare il problema.

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Conduzione della seduta e gestione dei comportamenti problematici

Per poter affrontare la tematica dell'abuso sessuale con il minore il terapeuta deve creare un'atmosfera di sicurezza e prevedibilità. Questo obiettivo può essere perseguito in vari modi (57), che possono essere tutti compresenti: le sedute dovrebbero avvenire allo stesso giorno e alla stessa ora della settimana, sempre nello stesso locale, in presenza dei medesimi giochi; le produzioni (grafiche o altro) del bambino dovrebbero essere poste tutte in una cartellina contrassegnata col suo nome alla fine della seduta (ciò può essere fatto dal minore stesso) e riposta in un luogo ben preciso, dove potrà ritrovarla alla seduta successiva; l'inizio e la fine di ogni incontro potranno essere costituiti da rituali precisi e ripetuti (ad esempio fare un disegno sia all'inizio che alla fine di ogni seduta); gli appuntamenti delle sedute dovranno essere rispettati il più possibile; nel caso di eventuali spostamenti della data dell'incontro, questi dovranno essere spiegati chiaramente al minore, esponendone le ragioni (eventualmente dandogli un oggetto da conservare per ricordo durante il periodo, che verrà poi riconsegnato al terapeuta nella seduta successiva).

Un altro aspetto a cui il terapeuta deve prestare particolare attenzione è il contatto fisico con i minori abusati, in quanto ogni gesto di maggiore vicinanza fisica può essere da loro interpretato come una proposta sessuale o comunque come un atto troppo invasivo. Talvolta anche una semplice carezza può essere fraintesa. Occorre, quindi, soprattutto nelle fasi iniziali della terapia, evitare contatti fisici, che non siano quelli socialmente condivisi ed "ufficiali", come una stretta di mano, lasciando gradualmente al minore l'iniziativa di iniziare avvicinamenti fisici maggiori. Per quanto riguarda la porta chiusa dello studio, se tale cosa disturba fortemente il minore, la si può lasciare socchiusa, cercando però di far capire al bambino che si chiude la porta per motivi (come il non esser disturbati o rispettare le esigenze di riservatezza) che sono tutti in suo favore e non per altri scopi nascosti o negativi (58).

Infine, è importante che il terapeuta si dimostri sempre empatico rispetto alle emozioni che il minore può via via provare: quando quest'ultimo esprime chiaramente la sua ansia e rabbia, il terapeuta deve essere pronto a contenere questi suoi sentimenti e a rassicurarlo, affermando che in circostanze del genere tutto ciò è normale.

Strategie terapeutiche rivolte ai minori con attaccamento insicuro

Gran parte dei minori abusati, in particolare quelli con vittimizzazione intrafamiliare, esprimono dei comportamenti di "attaccamento insicuro" (59), i cui tipi più frequenti sono: quello ansioso-evitante e quello ansioso-resistente.

I bambini con attaccamento ansioso-evitante temono soprattutto il rifiuto delle figure parentali che in precedenza si sono dimostrate distaccate e scostanti nei loro confronti; quindi, bloccano ogni propria emozione a scopo protettivo e manifestano comportamenti diffidenti ed evitanti anche nei confronti del terapeuta, in quanto si aspettano che anche quest'ultimo, al pari degli altri adulti per loro significativi, si comporterà con loro in modo rifiutante o addirittura abusivo. Per questo motivo si mantengono lontani dal terapeuta durante gli incontri, sia psicologicamente che fisicamente, giocando da soli e cercando di non avere un ruolo attivo nelle sedute ma di attento osservatore.

Inizialmente la tendenza all'evitamento va rispettata: il tentare troppo precocemente di superarlo potrebbe generare nel bambino emozioni sopraffacenti. Per cui, negli incontri iniziali, il terapeuta potrà lasciare ampio controllo al minore nello scegliere i materiali, i giochi e le attività. Inoltre è fondamentale che ogni promessa fatta dal terapeuta venga mantenuta; solo in tal modo il bambino potrà iniziare ad avere fiducia in lui. Non bisogna, però, permettere che questo ruolo assunto dal minore continui troppo a lungo: a poco a poco deve essere il terapeuta ad assumere il controllo della situazione, proponendosi prima come aiutante del minore ed interveniente nel gioco, poi come agente di protezione e di cura (60).

L'attaccamento ansioso resistente, invece, è caratterizzato dal fatto che la scarsa disponibilità genitoriale induce il minore ad incrementare la propria attivazione emozionale per attrarre

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l'attenzione altrui, oppure egli diviene estremamente dipendente per ottenere una risposta materna.

In ambito terapeutico il bambino diviene inizialmente molto dipendente dal terapeuta, chiedendo di tornare subito per un'altra seduta, volendo il suo indirizzo e numero telefonico, e in ogni caso, avendo grandi difficoltà a staccarsi da lui. Può anche assumere comportamenti altamente regressivi, come chiedere al terapeuta di essere alimentato col biberon. Ad un certo punto, però, il minore si rende conto che le sue esigenze di dipendenza non possono essere soddisfatte del tutto dal terapeuta e, quindi, gli rivolge la stessa rabbia e il medesimo risentimento che aveva riversato in precedenza alla figura parentale non adeguatamente disponibile: gli altri diventano nuovamente non affidabili ed il minore appare a se stesso non amabile e privo di valore (61).

Per affrontare questa situazione il terapeuta può ricorrere ad alcune strategie. Ad esempio fra un incontro e l'altro può dare al bambino un "pegno" o "ricordino" da portare a casa, in modo da avere sempre dinanzi a sé la prova che il terapeuta si ricordi di lui; inoltre può dimostrare la sua attenzione al bambino non spostando né rimandando gli appuntamenti e attenendosi alle scadenze prefissate.

Il terapeuta, inoltre, non deve impedire che il bambino faccia giochi regressivi rispetto alla sua età, al fine di permettergli almeno una compensazione simbolica alle privazioni affettive subìte. Un eccesso di regressione, però, è negativo; occorre, dunque, che prima della fine della seduta, il minore ritorni al livello di capacità adeguato alla sua età, al fine di poter rientrare nella vita normale con modalità comportamentali diverse da quelle che sono permesse solo in ambito terapeutico. Così negli ultimi dieci minuti della seduta è bene impegnare il bambino in conversazioni o in attività adeguate alla sua età cronologica, come per esempio rimettere in ordine tutti i materiali di gioco o parlare delle sue attività scolastiche o sportive (62).

Strategie terapeutiche rivolte a facilitare l'espressione di emozioni e pensieri del minore in terapia

Il minore che ha subìto una abuso sessuale intrafamiliare tende, di solito, a ristrutturare cognitivamente la situazione in modo che il genitore venga salvato e considerato "buono", attribuendo magari la cattiveria a se stesso. Analogamente, il terapeuta appare agli occhi del minore prima "buono" e la vittima tende a compiacerlo, poi, quando comincia a non essere più totalmente disponibile, diviene "cattivo" e quindi oggetto di aggressione.

Questo comportamento del minore deve essere capito e giustificato dal terapeuta, il quale deve cercare di incoraggiare il bambino a far emergere ed esprimere le emozioni di rabbia e risentimento (63). Quest'ultimo può essere terrorizzato per il fatto che prova tali sentimenti negativi verso il responsabile dell'abuso e verso il genitore non abusante. Il terapeuta deve essere capace di etichettare tali sentimenti di rabbia che prova il minore e deve cercare di indirizzarli verso il responsabile dell'abuso, evitando così che il minore arrivi ad autocolpevolizzarsi. Ciò, infatti, può comportare il rischio di depressione e/o suicidio.

L'importanza di dare espressione ai sentimenti, soprattutto a quelli di risentimento della vittima, non deve far dimenticare però che la rabbia può essere usata dal minore come protezione contro altre emozioni che lo fanno soffrire: la tristezza ed il lutto per la perdita di un'immagine idealizzata di madre o di padre, ed il senso di colpa per essere stato la causa di tale perdita.

Dunque, la consulenza psicoterapeutica (64) al minore vittima dell'abuso, dovrebbe tendere nella fase iniziale ad incoraggiarlo a parlare:

del proprio senso di colpa e di vergogna; dei sentimenti negativi e positivi che prova nei confronti sia dell'autore dell'abuso, sia

del genitore protettivo; dei propri sentimenti riguardo alle reazioni dei fratelli o sorelle, degli altri familiari e dei

conoscenti di fronte alla sua rivelazione.

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Il fatto di imparare a conoscere le proprie emozioni e a dare loro un'etichetta adeguata costituisce un altro aspetto importante dell'intervento: infatti, i bambini al di sotto degli otto anni possiedono un numero molto limitato di espressioni per descrivere le emozioni che provano e, comunque, anche quelli un po' più grandi non conoscono un vocabolario emozionale paragonabile a quello degli adulti.

È inoltre fondamentale che il minore trovi qualcuno che creda nella sua storia e ne evidenzi continuamente la sua totale innocenza rispetto ad essa, comunque possano essere state le circostanze. È infatti necessario che la vittima prenda coscienza della realtà di essere stata vittimizzata e sfruttata, affrontando col tempo difficili argomenti quali:

l'affermazione dell'abusante che gli atti sessuali compiuti sarebbero normali ed "innocenti";

il fatto che il genitore non abusante non creda al minore; i tentativi di negare o razionalizzare il fatto commesso da parte dell'abusante; il fatto che la realtà dell'abuso venga ulteriormente minata dall'insistenza sul

"mantenimento del segreto".

Come affrontare le tematiche dell'abuso

Prima di avvicinarsi all'argomento centrale del fatto commesso, è utile che il terapeuta esponga chiaramente quali sono i benefici che il minore può trarre dal parlare dell'abuso. Scopo della terapia, infatti, non è dimenticare il trauma, ma imparare a dominare i sentimenti associati ad esso e pensare in modo diverso a quanto è accaduto. Sebbene ciò, all'inizio, sia difficile e provochi emozioni dolorose, queste col tempo di solito si attenuano. In ogni caso, il terapeuta deve assicurare al minore di essere consapevole delle emozioni negative che lui potrà provare, per cui procederà in modo da non sottoporlo a stimolazioni non sopportabili, fornendogli così la possibilità di controllare il ritmo con cui saranno affrontati gli argomenti più penosi.

Malgrado tutte le precauzioni e strategie possibili, è però sempre possibile che il minore divenga riluttante a partecipare alle sedute terapeutiche, affermando che gli incontri sono noiosi o rifiutando di prendervi parte, o anche dichiarando che tutte le difficoltà che provava precedentemente sono scomparse e che tutto va bene (65).

Per prevenire tali esiti, è utile strutturare le sedute terapeutiche fin dall'inizio in un modo accettabile e sopportabile per il bambino. Il terapeuta può, quindi, accordarsi con lui nel dedicare in ogni seduta inizialmente al massimo 10-15 minuti per affrontare le tematiche relative all'abuso, lasciando il resto del tempo al gioco. Tale ampio periodo ludico può, così, aiutare il minore ad alleviare l'ansia e nel contempo è in grado talora di offrire spunti utili circa i pensieri e le emozioni collegati alla vittimizzazione sessuale. Poi, gradualmente, i periodi di gioco possono essere ridotti, lasciando più spazio alla discussione sull'abuso.

Mentre il minore riferisce le sue esperienze, il terapeuta dovrebbe stare tranquillamente ad ascoltare, senza intervenire, almeno all'inizio, ma semplicemente incoraggiando il bambino a proseguire.

In un secondo momento, il terapeuta può aiutarlo a ricordare maggiori particolari attraverso domande più specifiche e chiuse, riguardanti i luoghi, il momento della giornata, il comportamento preciso dell'abusante, le sue sensazioni corporee ed emozionali (66). Riguardo a queste ultime il terapeuta deve ricordare di affermare che la maggior parte dei bambini abusati prova contenuti emotivi analoghi al minore in terapia, in modo tale da tranquillizzarlo.

Tra le varie strategie utili per facilitare l'emersione delle sensazioni che prova il minore, tre sembrano essere le più vantaggiose (67):

1. la tecnica "Indovina ciò di cui si preoccupano gli altri bambini sessualmente abusati" consiste nel far ascoltare al minore un piccolo intervento educativo, in cui il terapeuta espone le preoccupazioni più consuete manifestate dai bambini abusati;

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2. la procedura detta del "Sacco della spazzatura" consiste nello spiegare, inizialmente, al minore che il mantenere segreti i pensieri e le emozioni relative all'abuso sessuale è come portarsi dietro un sacco della spazzatura: il bambino deve invece liberarsi di ogni pezzo di "spazzatura" piano piano. Per riuscire a fare questo gli viene chiesto di identificare ogni episodio o aspetto per lui doloroso relativo all'abuso, definendolo con poche parole al terapeuta, che lo scriverà su un pezzo di carta. In questa fase al bambino non viene richiesto di elaborare tali materiali, ma solo di individuarli. Così tutti gli episodi dell'abuso (o comunque i momenti più traumatici) potranno essere suddivisi nelle sue parti costituenti e ciascuno di essi, scritto in un foglietto, verrà messo insieme agli altri in un sacco di carta (che costituisce l'equivalente simbolico di tutti i ricordi associati alla vittimizzazione sessuale).Ad ogni seduta settimanale al bambino verrà chiesto di pescare a caso dal sacchetto un foglietto e di discutere poi col terapeuta su quanto vi è scritto. Se il biglietto contiene qualcosa che, in quel momento, è troppo doloroso per il minore, egli potrà prenderne un altro, rimettendo il primo nel sacchetto. La discussione circa l'aspetto scritto sul foglio può iniziare anche tramite un semplice disegno.Tale tecnica costituisce una forma, sebbene mascherata, di esposizione graduata, in quanto il minore affronta in modo progressivo aspetti limitati dell'abuso, estinguendo a poco a poco le reazioni d'ansia ad essi connesse. Inoltre, permette di facilitare l'approccio ai temi più difficili da trattare e riesce a tradurre aspetti psicologici astratti, come le emozioni, in una forma più concreta e comprensibile per il bambino.

3. La tecnica definita "Sentimenti: dentro e fuori" consiste nel fatto che il terapeuta consegna al minore un foglio di carta piegato in due, come una specie di biglietto di auguri, chiedendogli di disegnare sulla parte esterna del foglio un proprio ritratto, ritraendosi come gli altri lo vedono, e nella parte interna di raffigurarsi come egli si sente realmente "dentro di sè". Anche tale metodo è utile per identificare affetti e contenuti interni al minore.

Tutte e tre queste procedure sono utilizzabili, però, con minori di età non troppo infantile, che abbiano la capacità di articolare le loro sensazioni ed il disagio che provano nel racconto. Con i bambini più piccoli è possibile procedere mostrando disegni di visi che contengano i tratti caratteristici delle emozioni di base (allegria, paura, tristezza, rabbia), per poi passare a fotografie ritagliate da riviste illustrate e a sensazioni più complesse ed articolate. Una volta che il minore si sente a suo agio con tale procedura, è possibile passare a chiedergli quali situazioni provochino in lui tali sentimenti, in modo da poter così avvicinarsi maggiormente ai suoi stati interni connessi all'abuso (68).

La gestione dell'ansia in seduta terapeutica

Il terapeuta dovrebbe sempre monitorare attentamente i segnali verbali del minore a proposito di quanto sta accadendo durante la seduta. Se è evidente che questi, anche se non lo dice apertamente, si trova in difficoltà, deve essere il terapeuta a rendere verbalmente esplicita questa sensazione, chiedendogli se vuole fare un'interruzione. Egli deve rassicurare il minore, dicendogli che comprende quanto sta provando e che non c'è alcuna ragione per cui debba temere il suo giudizio negativo per questo.

Una tecnica che può essere utile in questa situazione sembra essere quella del cosiddetto "Muro delle preoccupazioni" (69), che consiste nel chiedere al bambino di identificare la cosa che lo preoccupa di più (la sua "massima preoccupazione") riguardante il fatto di parlare del proprio abuso; tale preoccupazione verrà scritta su un cartoncino che il minore dovrà attaccare al muro, in alto se la cosa lo preoccupa molto, più in basso se l'ansia è minore. Ad ogni seduta sarà così possibile valutare il livello della preoccupazione del minore, guardando lo spostamento del cartoncino, ed in tal modo il minore sarà in grado di monitorare i progressi terapeutici.

Infine, alcuni bambini possono considerare le intense emozioni che provano parlando del proprio abuso come una nuova vittimizzazione vera e propria. In questi casi il terapeuta deve aiutare il bambino a considerare le differenze fra le due situazioni: in terapia l'abusante non è presente, nessuno sta toccando il minore o sta abusando di lui, ed egli sta reagendo alle sue emozioni e non a dei fatti veri e propri; inoltre, nella maggior parte dei casi, quando il bambino

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è in terapia è passato del tempo da quando fu commesso il fatto e quindi egli è ormai cresciuto rispetto all'epoca dell'abuso: sarà così maggiormente in grado di richiedere e ricevere aiuto e protezione. Con questi chiarimenti si facilita nel minore il passaggio dal considerarsi solamente una vittima impotente al vedersi più capace di controllo e di autogestione (70).

Strategie terapeutiche rivolte alla riparazione di specifici elementi cognitivi

Al termine del percorso terapeutico, il minore vittima di abuso sessuale intrafamiliare deve riconoscere ed esprimere i suoi sentimenti di perdita, giungendo quindi ad elaborarne il "lutto". Questo deve servire per la ricostruzione di un suo mondo interiore che gli permetta di vivere. Ciò che deve essere compreso dal minore è che niente della sua situazione futura sarà più come prima e questo (71), se anche potrà sembrare paradossale, non è un aspetto così semplice per lui da accettare: sia il genitore che ha abusato di lui, sia quello che non lo ha protetto - nonostante i fatti commessi - rimangono pur sempre i suoi genitori.

Il minore sessualmente abusato in famiglia subisce numerose perdite: quella di un'immagine positiva di un genitore (o di entrambi), quella della persona fisica di uno o entrambi i genitori nel caso di un allontanamento, quella della propria precedente immagine di sé e quella, infine, di un mondo che non è stato ciò che sperava. Riuscire per lui ad elaborare tutto questo non è facile.

Una tecnica utile in questa fase può essere quella della "Linea del tempo e delle perdite" (72), che consiste nel fatto che il minore su di una freccia del tempo (una linea graduata che rappresenta graficamente il trascorrere degli anni della sua esistenza) situa i vari episodi di perdita (di vario tipo) che ha patito nella sua esistenza, precisando per ognuno l'età in cui ciò si è verificato. Egli, attraverso tale procedura, viene gradualmente portato ad esaminare i propri sentimenti di perdita e a riconoscere l'ambivalenza verso le figure genitoriali. Il terapeuta, nello stesso tempo, potrà però anche mettere in evidenza talune caratteristiche positive dei genitori, soprattutto nel caso in cui il minore possa continuare ad avere contatti, o addirittura a vivere, con almeno uno di loro.

L'elaborazione del lutto sarà avvenuta quando il minore avrà accettato la compresenza nei genitori di elementi positivi e negativi e avrà deciso di contare soprattutto sui primi per eventualmente reimpostare un rapporto nuovo con quel genitore che si dimostra disponibile a farlo. Il compito della terapia, dunque, diventa quello di costruire quello "spazio psicologico" attraverso il quale il minore, di fronte al crollo di tutto il suo passato, conservi comunque il desiderio di un futuro sostitutivo (73).

Un altro aspetto piuttosto frequente nei minori abusati è la tendenza a ritenere che l'abuso sia qualcosa di inevitabile e pervasivo, in quanto non ci si può fidare di nessuno. Tale convinzione va contrastata, cercando di attrarre l'attenzione del minore su tutte le persone con le quali, in passato e nel presente, ha instaurato rapporti amichevoli e dalle quali ha ricevuto prove di affetto e di interesse positivo. Un elenco di dimostrazioni d'affetto ed amicizia può essere messo per iscritto e continuamente aggiornato ad ogni seduta, via via che succedono nella vita del minore nuovi episodi positivi. Si tratta, comunque, di un lento processo di "sconferma" di vecchi schemi cognitivi interpersonali e di sostituzione con altri, più adeguati e meno rigidi (74).

8. Il trattamento terapeutico dei casi a rischioI casi non di abuso conclamato ma di rischio di abuso non sono solo difficilmente individuabili, ma costituiscono soprattutto un problema giuridico e terapeutico, poiché è difficile proporre un aiuto psicologico là dove non c'è una domanda né una problematica evidente. L'unica modalità che è stata trovata è quella della proposta di controlli medici e psicologici presso l'ospedale e di una segnalazione ai servizi di zona perché seguano socialmente e a scuola i bambini per verificare se i genitori sono già conosciuti. Ma, nella realtà dei fatti, raramente questa segnalazione ha avuto effetto, perché i servizi territoriali non hanno tempo e personale disponibile, o perché alcuni colleghi si pongono il problema di non poter intervenire su un caso di rischio che non è ancora un abuso conclamato (75). Tutto ciò dimostra come sia difficile fare

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prevenzione su questo problema, perché a volte una semplice posizione di osservazione e di maggior attenzione viene immediatamente percepita dagli operatori come un intervento di intrusione.

I casi sui quali, invece, è stato possibile compiere questo controllo hanno dimostrato come le famiglie osservate hanno ottenuto un aiuto e si sono sentite accolte e supportate dalla struttura sanitaria e psicologica a cui si sono potute rivolgere per problemi medici e psicologici dei propri membri. La sensazione di accoglimento fa sì che l'impulso distruttivo o autodistruttivo possa essere controllato, evitando non solo alla famiglia ma a tutto il suo nucleo l'esperienza devastante della violenza, che danneggia non solo il minore ma anche l'adulto abusante.

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Capitolo IVL'abuso sessuale in Italia: Milano, Firenze e Potenza, tre realtà a confronto1. Milano: una realtà italiana significativaÈ dagli anni novanta che a Milano si parla di processi penali riguardanti abusi sessuali su minori ed è per questo motivo che per molti aspetti la realtà milanese è vista come la più avanzata nella riflessione e nell'azione per la soluzione del problema: è per questo che è stata definita "un'isola felice" (1) rispetto alle altre realtà territoriali. Purtroppo, però, ci sono ancora molti "nodi problematici" che connotano l'esperienza milanese, soprattutto se considerata sotto l'aspetto della realizzazione, della tutela degli interessi dei minori e del loro coordinamento con quelli degli imputati.

Gli aspetti positivi che caratterizzano la realtà milanese - e che dovrebbero essere presi da esempio dal resto d'Italia - sono:

1. il coordinamento delle attività tra le varie professionalità: giudici, polizia, medici, assistenti sociali;

2. la rete di prima accoglienza;3. un pool di magistrati competenti in materia;4. una sezione specializzata della polizia giudiziaria;5. la multidisciplinarietà;6. la presenza di una figura unica di protettore del bambino;7. l'esistenza di un centro specializzato in materia: il Centro del Bambino Maltrattato

(CBM).

1) Le esperienze di processi riguardanti maltrattamenti ed abusi sessuali a danno di minori hanno portato ad organizzare il lavoro e le attività tra organizzazioni giudiziarie diverse, che quasi sempre devono occuparsi degli stessi soggetti e degli stessi argomenti. Nell'aprile del 2001, infatti, è stata varata una Circolare Ministeriale avente la finalità di creare protocolli d'intesa tra tali uffici nella realtà milanese. Questi tipi di protocolli sono già presenti a Torino (dal 1996), a Roma, a Napoli e a Potenza (il più innovativo) (2).

Secondo Piero Forno (3), Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Milano:

I punti d'intesa di un accordo devono partire da un principio base che è quello della "pari dignità" di tutti i soggetti che si occupano della parte lesa. Ogni operatore invece si considera detentore assoluto della vittima, escludendo così la competenza degli altri.

Per "pari dignità" egli intende che ogni giudice deve essere indipendente nella valutazione e nella finalità della sua attività, ma anche che ogni operatore, in una realtà così complessa come quella dell'abuso sessuale sui minori, deve essere consapevole del fatto che le varie funzioni che svolge, nell'ambito della sua procedura, avranno conseguenze anche nelle procedure altrui. Quindi questo implica che le attività compiute dal Tribunale per i minori e dal Tribunale Ordinario devono essere coordinate, poichè vi deve essere il contemperamento delle rispettive esigenze avendo come punto di riferimento, da un lato, il rispetto della legge e delle procedure e, dall'altro, la protezione del minore.

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Ad esempio può essere citato il caso in cui il Tribunale per i minori, a seguito di una notizia di abuso sessuale, decida per l'allontanamento del bambino dalla famiglia e per il suo affidamento a carico dei servizi sociali; se tutta questa attività non viene coordinata con il Tribunale Ordinario, può capitare che il presunto abusatore sappia dell'esistenza di un procedimento penale nei suoi confronti ancora prima che esso abbia inizio e questo provocherà naturalmente l'impossibilità di accertare la realtà dei fatti perché l'imputato avrebbe tutto il tempo necessario per occultare qualunque tipo di indizio relativo al caso (4).

Contro queste affermazioni può essere obiettato che all'imputato deve essere garantito il suo legittimo diritto alla difesa, che non può essere sacrificato per nessun motivo (l'art. 24, comma 2, della Costituzione italiana infatti afferma che è inviolabile), e dunque, anche durante l'attività di indagine, devono essere rispettate le regole e le garanzie poste dalla legge a suo favore, anche se ciò sembra comportare, da un punto di vista pratico, una maggiore difficoltà di valutazione dei fatti e conseguentemente di protezione del minore. Il principio del giusto processo (art. 111, comma 3, della Costituzione) infatti impone che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata degli elementi a suo carico e che essa disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa. Emerge, dunque, un complesso problema di contemperamento tra le esigenze di tutela del minore da una parte e dell'imputato dall'altra.

2) La rete di prima accoglienza (5), che precede l'instaurarsi del procedimento penale, nella realtà milanese funziona piuttosto bene.

Sono infatti molti gli ospedali in cui è operativo un servizio medico di primo soccorso contro la violenza sessuale, dove con alta competenza vengono visitati bambini e donne che vi si rechino spontaneamente, o accompagnati dalle forze dell'ordine che intervengono subito dopo le aggressioni, o su ordine della Procura della Repubblica. I medici sono specializzati in materia, sanno accogliere in modo adeguato ai loro bisogni bambini e donne e forniscono loro anche sostegno psicologico.

L'apporto di questo servizio è fondamentale nella cura delle vittime e nell'eventuale raccolta delle prove.

3) Con l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale nel 1989 è stata avviata, presso la Procura della Repubblica di Milano (6), l'attività di un pool che in teoria si occupa dei cosiddetti "soggetti deboli", ma in pratica esclusivamente dei minori vittime di abuso sia dentro che fuori la famiglia.

L'idea di creare un pool che si occupa di minori abusati è partita da Forno (7), che afferma:

Io ho iniziato un tipo di esperienza che mi ha posto in contatto con fenomeni delittuosi particolari, in quanto mi sono occupato di processi per circonvenzione d'incapace, estorsione a base psichica di soggetti incapaci, ecc., dunque non tanto di reati sessuali ma di reati caratterizzati da una certa tipologia di vittima che si presentava con particolari connotazioni di fragilità e di soggezione nei confronti del suo aguzzino.

Il passaggio dalle esperienze precedenti all'interesse attuale non ha che rappresentato l'apertura di un nuovo capitolo su una delle tante situazioni di assoggettamento. Questa analisi ha così dato luogo alla formazione di un pool denominato "pool soggetti deboli" con riferimento non tanto alla natura sessuale del reato ma al tipo di vittima.

Dunque, l'interesse è scaturito non da una propensione particolare per i reati sessuali, ma per le connotazioni vittimologiche di queste problematiche; ma la realtà dimostra che oggetto di tutela del pool sono soltanto i minori sessualmente abusati e non anche altri "soggetti deboli" bisognosi di protezione.

Il nuovo codice ha portato ad una revisione dei ruoli specialmente all'interno della magistratura inquirente con approfondimenti di tematiche relative alla metodologia d'indagine. L'introduzione del codice ha coinciso con la nascita dei cosiddettipool che hanno rappresentato

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un importante innovazione nell'organizzazione del lavoro, in quanto hanno consentito la specializzazione di gruppi di magistrati su singole problematiche. Per la prima volta, rompendo con la tradizione che voleva la specializzazione del pubblico ministero nelle classiche materie (terrorismo, reati tributari, reati contro la pubblica amministrazione), si è arrivati alla specializzazione in una materia di estrema delicatezza che ha sempre creato enormi disagi ai magistrati chiamati ad occuparsene (8).

L'esperienza milanese ha in effetti dimostrato che con un approccio specialistico si è passati da poche segnalazioni di abuso all'anno (dato conforme alla media nazionale) ad oltre un centinaio. Il conseguimento di questi risultati è possibile perché i casi sono affidati ad un gruppo di magistrati. Questo accorgimento non risponde soltanto ad esigenze di praticità, ma soprattutto alla possibilità di creare dei referenti fissi e costanti nei confronti di una serie di operatori che, in questa materia, non sono solo quelli tradizionali della polizia giudiziaria, ma anche la vasta categoria dei professionisti psico-sociosanitari, che rappresentano indubbiamente un settore tipico della materia e la fonte principale delle segnalazioni (9).

L'approccio è stato naturalmente graduale ed ha incontrato, nella fase iniziale, una serie di resistenze molto forti da parte dei servizi sociali, i quali avevano timore che tale specializzazione della magistratura comportasse un contatto "quasi necessario" del minore con l'autorità giudiziaria ordinaria ogni qual volta emergesse una situazione di disagio minorile da valutare. Oltre ad un'azione di rassicurazione, è stato necessario impostare l'attività di indagine in modo tale da rispondere alle richieste che provenivano dal mondo dei servizi sociali, cioè da coloro che avevano il contatto diretto con il minore. È nata così la necessità di un'azione interdisciplinare che tenesse conto del fatto fondamentale che il processo penale, quando ha come parti lese dei minori e soprattutto quando si tratta di fatti avvenuti nell'ambito familiare, deve in qualche modo coesistere con altri tipi di procedure: prima fra tutte quella di natura civilistica presso il Tribunale per i minorenni, completamente diversa dal processo penale, e che a sua volta recepisce vari interventi che provengono dagli operatori psico-sociosanitari.

In questa materia non esiste alcuna normativa che regoli i rapporti tra i vari operatori se non le norme generali delle singole procedure che consentono l'acquisizione degli atti di procedimenti diversi. È stato perciò necessario creare, sulla base dell'esperienza di trattamento di casi simili, una sorta di gentleman agreement con gli operatori sociali e quelli del Tribunale per i minorenni, per tentare di mantenere un livello di coerenza generale. Ciò ha permesso di evitare che servizi ed istituzioni agiscano in modo eccessivamente indipendente e sconnesso tra loro (10). L'incoerenza degli interventi, infatti, può invalidare tutto il lavoro svolto e provocare la squalifica reciproca degli interventi, rendendo così sempre più difficoltosa e lontana la possibilità di riparare il trauma dell'abuso.

A Milano è stato possibile arrivare a questa specializzazione per un incrociarsi di aspetti favorevoli: ci sono figure professionali che da tempo operano nell'ambito dei reati in danno di minori e che si sono formate all'estero; esistono i centri più avanzati nella terapia dell'abuso, conosciuti a livello internazionale; inoltre i servizi sociali sono ben radicati sul territorio ed hanno creato una buona rete con le istituzioni giudiziarie. Il merito del pool è stato quello di aggregare intorno ad un unico ufficio, che ha la possibilità di operare concretamente, tutti questi fattori (11).

Riguardo alla presenza di un pool di magistrati preparati, sensibili di fronte a questi problemi e disponibili ad attivarsi immediatamente a favore delle vittime, parla l'avvocato Laura De Rui (12), la quale riferisce della sua esperienza pluriennale nell'area milanese:

Dal confronto della mia esperienza con quella di colleghe che lavorano nello stesso ambito, ma in luoghi diversi nel paese, ho potuto constatare che il modo di lavorare dei pubblici ministeri milanesi contribuisce ampiamente a rendere Milano "quell'isola felice" di cui molti parlano. Nel nostro paese, ad esempio, il tempo medio d'attesa per l'esecuzione di un processo per maltrattamenti è di due o tre anni, mentre a Milano è di circa un anno e, in casi molto gravi, è accaduto che venisse compiuto a distanza di sei mesi.

I pubblici ministeri, poi, sono affiancati da nuclei di forze dell'ordine specializzati in materia.

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La specializzazione degli operatori che devono affrontare queste tematiche è dunque un aspetto necessario e di grande importanza, che dovrebbe essere presente in ogni parte del paese. È indispensabile, infatti, che essi abbiano la capacità di lettura e di ascolto dei "segnali", di solito mascherati, che i bambini inviano a coloro che li circondano e soprattutto la capacità di trovare riscontri oggettivi a questi segnali per rendere così l'accusa fondata.

Secondo Forno (13) pensare che il processo penale si risolva in una pura contrapposizione del racconto del minore contro la verità dell'imputato è espressione di un'errata impostazione. Egli ritiene che spesso le indagini, soprattutto nelle realtà territoriali diverse dall'area milanese, vengono condotte male, in modo superficiale e non appropriato, e che se ci fosse una maggiore preparazione degli operatori i racconti del bambino sarebbero suscettibili di numerosi riscontri obiettivi.

Forno ritiene, inoltre, che anche il giudice penale deve essere specificamente preparato a gestire casi di sospetti abusi sessuali su minori: sostiene, infatti, che il giudice penale non può accogliere o rigettare un racconto infantile acriticamente, ma deve fare una minuziosa valutazione di tutto ciò che è verificabile nel caso. Il pool di Milano, infatti, dà grande rilevanza alle testimonianze dirette ma, essendo spesso mancanti e soprattutto non costituendo da sole elementi di prova decisivi, ritiene che un'accusa possa fondarsi, oltre che sul racconto abbastanza dettagliato del minore, sui riscontri di carattere ginecologico e psicologico (questi ultimi ottenuti attraverso la psicodiagnosi) del bambino, i quali non sempre nelle altre realtà italiane vengono considerate con cura (14). Tale impostazione viene criticata da chi sostiene che già l'esperienza stessa dimostra come quei riscontri (ad esempio i sintomi di disturbi del sonno, isolamento, attacchi pseudoepilettici, ecc.) solo raramente, nei casi più eclatanti, permettono una oggettivizzazione netta dell'abuso; ciò non deve far venir meno il dovere di segnalazione ed intervento, in quanto quei sintomi sono comunque espressione di un disagio che il minore sta vivendo. Se poi tale situazione è determinata da un abuso sessuale si potrà capire solo attraverso una valutazione complessiva del racconto del minore, della sua personalità, dell'anamnesi medica e familiare: ma non si può pensare così semplicisticamente che maggior attenzione ai riscontri medici e psicologici del minore possa portare con tanta certezza alla scoperta di abusi sessuali.

4) Col tempo il sensibile aumento delle segnalazioni di fatti penalmente rilevanti ha reso necessaria, nel 1991, la costituzione, presso la Questura di Milano, di una sezione specializzata della polizia giudiziaria in reati in danno di minori, che in pratica però si occupa soltanto di violenze ed abusi sessuali contro di loro (15).

La polizia giudiziaria, che svolge normalmente le indagini per tali fatti, deve avere un alto grado di specializzazione (comprensiva di nozioni di psicologia, diritto minorile, ecc.) e, quando possibile, deve comprendere al suo interno persone di sesso femminile, che sono più idonee ad affrontare, con l'opportuna delicatezza, l'audizione di minori in tenera età, specie se di sesso femminile. Forno auspica che in ogni questura venga istituito per legge un analogo servizio (16).

5) La multidisciplinarietà comporta la rinuncia da parte di ogni operatore, di qualunque settore, a considerarsi l'unico capace a risolvere il caso: ciò implica necessariamente sia un'autolimitazione della propria attività nella valutazione dei fatti e del racconto del minore, in modo che nessuno possa travalicare le proprie competenze, sia una doverosa collaborazione tra i vari specialisti per ottenere una conoscenza del problema più completa. Queste azioni porteranno alla circolarità di informazioni, che sarà necessaria per rispondere all'abuso sessuale o al maltrattamento nel modo più adeguato possibile (17).

Il sistema non è formato da tanti "circuiti con anelli interrotti" (18), ma da un unico circuito a cui appartengono le forze dell'ordine, i tribunali e i servizi clinici, in modo da creare un'informazione capillare. Nella realtà milanese, dunque, non è presente il cosiddetto "scollamento" (19) tra l'operatore che fa la segnalazione e colui che decide: cioè ogni professionista coinvolto non crede che il suo compito sia soltanto quello di dover svolgere la propria funzione, ma sa che ogni fase del procedimento è collegata alla precedente e alla successiva in modo inevitabile. Quindi la prima segnalazione è una fase importante, anche se colui che l'ha fatta non riuscirà a seguire direttamente il conseguente procedimento.

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6) Un aspetto particolare dell'area giudiziaria milanese è la presenza di una figura unica di protettore del minore.

Nel nostro ordinamento ci sono una serie di regole che tutelano il bambino di fronte a situazioni di abuso sessuale; purtroppo, però, queste norme non sempre vengono applicate accuratamente (20). Ad esempio l'art. 609-decies c.p. non viene applicato nello stesso modo ed integralmente in tutti i luoghi. Una delle motivazioni della sua non applicazione è data dal fatto che non consegue ad essa una sanzione.

Questo articolo stabilisce che deve essere fatta la comunicazione di un certo tipo di reati da parte del procuratore della Repubblica al Tribunale per i minorenni. Il testo letteralmente dice al comma 1 «ne dà notizia»: che vuol dire notizia? La legge non lo specifica, così si pensa che essa debba essere qualcosa di più di una semplice informazione, in modo da essere funzionale a quello che segue nel procedimento.

Il comma 2 sostiene che «l'assistenza affettiva e psicologica della persona offesa minorenne è assicurata, in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne e ammesse dall'autorità giudiziaria che procede». Il problema è che nella realtà mai, o quasi mai, è chiesto al minore prima dell'audizione protetta da chi vuol farsi accompagnare: egli viene affiancato da un neuropsichiatra infantile o da uno psicologo, ma non è il bambino ad esprimere la sua volontà al riguardo. E poi bisognerebbe definire in modo univoco, nelle varie parti d'Italia, in cosa consista effettivamente il sostegno psicologico da dare al minore.

Il comma 3 poi afferma che «in ogni caso al minorenne è assicurata l'assistenza dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia e dei servizi istituiti dagli enti locali»: questo significa assistenza medica, legale e psicologica espletata dai servizi territoriali. La difficoltà che si pone in questo caso consiste nel fatto che questi operatori, in generale, non hanno assolutamente una competenza adeguata a questo tipo di problemi (21).

Infine nel comma 4 sta scritto: «Dei servizi indicati nel terzo comma si avvale altresì l'autorità giudiziaria in ogni stato e grado del procedimento». Quindi se il magistrato, come afferma questo comma, ha la facoltà di nominare consulenti tecnici in ogni stato e grado del procedimento, ciò dovrebbe indurlo alla massima valorizzazione dei servizi locali soprattutto tramite un più forte ed intenso collegamento con essi. Ma questo, nella realtà, non avviene come regola.

Poiché, quindi, questa norma non viene regolarmente applicata nei casi concreti, è necessario agire sul consenso e sulla sensibilizzazione generale (22), e cioè:

bisogna che gli enti locali siano ben consapevoli delle loro potenzialità e dei loro diritti e che sappiano esperire le competenze necessarie al caso da esaminare: i servizi locali devono farsi, dunque, un "esame di coscienza";

bisogna che l'autorità giudiziaria si faccia carico delle sue mancanze ed agisca modificando le sue modalità d'azione.

A Milano, invece, gli operatori affermano di dare applicazione effettiva a questo articolo. Infatti, fino a quando è possibile, si cerca di incaricare dell'approfondimento psicoterapeutico colui che si è occupato della fase diagnostica, per far sì che diagnosi e cura siano un processo continuo anche nella realtà dei fatti. Non ci sono in realtà motivi che portano ad escludere che colui che si occupa della fase diagnostica non possa poi anche curare il paziente (23).

Gli specialisti milanesi ritengono che nel momento in cui, nelle altre realtà territoriali italiane, i magistrati minorili dispongono una prima indagine finalizzata alla diagnosi e alla prognosi della situazione, affidando l'incarico non al personale delle istituzioni sanitarie locali, come avviene a Milano, ma a periti o consulenti tecnici, pongono delle barriere tra diagnosi e cura: in tali realtà si hanno due diversi operatori, il perito o consulente tecnico che fa la diagnosi e il clinico che si occupa della successiva cura del minore. A Milano questo non avviene in quanto sia per la diagnosi che per la cura psicologica del minore vengono attivati gli enti locali sanitari, i quali si

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sono specializzati in servizi e sotto-servizi: la cosiddetta unità tutela minori (24), che riunisce assistenti sociali e psicologi che si occupano di minori in qualunque situazione di disagio. In tale realtà non è possibile trovare un consulente tecnico più competente di essi.

Inoltre, nella rete dei servizi sociosanitari del territorio milanese emerge il Centro del bambino maltrattato, servizio comunale preposto specificamente al problema del maltrattamento e violenza sui minori, che si è posto sia come punto di riferimento rispetto ai servizi di base (dai quali riceve le segnalazioni delle situazioni più complesse da valutare e risolvere), sia come centro di ricerca delle tecniche più appropriate d'intervento su tali casi. Il Centro, avvalendosi di un'equipe psicosociale, svolge una duplice funzione: sia la diagnosi della situazione emergente e la prognosi sulla recuperabilità dei rapporti tra il minore e la famiglia, sia la conseguente terapia di recupero, se possibile (25).

In tale realtà territoriale si ha, dunque, una figura vera e propria di protettore del minore: cioè una "figura unica di protettore" (26), che si occupa sia della diagnosi sia della terapia. Ma come dice la Dott.ssa Mariella Primiceri (27), commissario responsabile dell'ufficio minori della Questura di Firenze:

Questa è una situazione esistente solo a Milano, che vive un'esperienza molto più avanzata rispetto alle altre città d'Italia, compresa Firenze, data anche dalla presenza e dall'attività pluriennale del Centro del Bambino Maltrattato. Nelle altre realtà territoriali non si hanno situazioni in cui facilmente possa nascere una libera scelta tra la figura unica o duplice (perito o consulente tecnico e clinico) di protettore del minore, poiché essa dipende soprattutto dal collegamento che dovrebbe esserci, per scegliere la prima soluzione, tra le attività dei servizi locali sanitari ed il Tribunale per i minorenni. E questo collegamento nelle altre città diverse da Milano è assente o molto scarso.

Secondo la Dott.ssa Marinella Malacrea (28), neuropsichiatra infantile e terapeuta del Centro del Bambino Maltrattato di Milano, la scelta fatta a Milano in favore di una figura unica di protettore è basata su un'importante considerazione:

È impossibile conoscere qualcosa senza entrare nel campo di osservazione di quell'oggetto o persona. Nei casi di abuso sessuale su minori, quindi, è necessario saper interagire con il bambino per poter riuscire a modificare la sua visione del mondo. È impossibile che questo riesca a farlo un giurista (che ha l'obiettivo di osservare le cose nel modo più neutrale possibile, senza entrare "in simbiosi" con la parte), perché deve riuscire a formulare delle ipotesi, senza dimostrare tesi già proposte; lo può fare, invece, lo psicologo, che non deve essere neutrale ma deve mettersi in relazione con il paziente.

Contro queste considerazioni può essere obiettato che a Milano lo psicologo che fa la diagnosi della situazione può essere interrogato come consulente tecnico nel processo penale: con questo meccanismo contrasta quindi l'attività stessa dello psicologo, che non è neutrale ma ha l'obiettivo di modificare la visione e la reazione del minore agli stimoli esterni.

A Milano è stato stipulato un protocollo d'intesa tra il Tribunale Ordinario e quello minorile con la finalità di un tempestivo ed utile scambio di informazioni tra le due autorità qualora la vittima del reato sia un minorenne. Se ciò si verifica, si può evitare una duplicità di accertamenti lesivi per lo sviluppo del minore già gravemente compromesso. Per realizzare questa finalità è stato predisposto che i risultati ottenuti dall'esperto-perito nel procedimento penale possano essere utilizzati anche dal Tribunale dei minorenni e viceversa (29).

Poiché il giudice non può compiere da solo valutazioni che comportano conoscenze tecniche o scientifiche, come nei casi di abusi sessuali sui minori, egli è costretto a scegliere di utilizzare le valutazioni operate da un consulente tecnico di parte o di disporre una perizia. Quest'ultima, essendo considerata un mezzo di prova particolarmente garantito (30), è utilizzata di regola nella valutazione di situazioni di minori sessualmente abusati. A Milano, inoltre, tale esperto - che si occupa di svolgere una psicodiagnosi del minore - è incaricato anche dell'approfondimento psicoterapeutico.

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Come espressione del metodo orale, assunto quale mezzo privilegiato di elaborazione della prova nel nostro procedimento penale, è stata accolta la regola secondo la quale il parere peritale deve essere esposto in forma orale, anche quando si procede all'assunzione della perizia nell'incidente probatorio. In determinati casi, però, la natura delle attività demandate all'esperto e la specificità delle competenze richieste comportano la necessità di una relazione scritta.

Quest'ultima, anche se ampia, ha una funzione meramente accessoria e sussidiaria, non potendo essa sostituirsi all'esposizione del parere in forma orale, di cui costituisce piuttosto un corredo tecnico, un supporto supplementare che consente di valutare più compiutamente la metodologia e l'iter logico-tecnico seguiti dall'esperto (31). Tantochè c'è chi (32) osserva come nei casi di perizie che affrontano temi tecnici complessi, sarà lo scritto che conterrà in gran parte l'esplicazione dell'accertamento effettuato, mentre il responso orale, proprio per il marcato tecnicismo, si potrà limitare, al più, alle sole conclusioni raggiunte e alle risposte che darà il perito, esaminato dalla difesa.

Gli operatori del Centro del bambino maltrattato che svolgono le valutazioni dei minori abusati devono quindi redigere, al termine della loro analisi, una "relazione diagnostica e di recuperabilità" alla quale attingerà anche il magistrato del Tribunale per i minorenni. Tale relazione redatta dall'esperto (operatore del Centro) può diventare prova o previo interrogatorio incrociato di quest'ultimo (in base all'art. 511 comma 3 c.p.p.) o, nel caso in cui le parti non l'abbiano richiesto, dopo la lettura di quanto da lui scritto (33). Prima di diventare prova essa è utilizzabile dalle parti, unitamente al parere raccolto nel verbale, per formulare domande e muovere contestazioni.

Questa procedura comporta che se ci dovesse essere qualcosa di non chiaro in tale relazione, l'operatore sanitario potrà essere interrogato nel procedimento penale come consulentetecnico e, proprio per la sua qualifica, potrà esprimere, non solo ciò che ha riferito il minore, ma anche le impressioni che ha avuto in relazione all'esame psicodiagnostico del testimone, impressioni basate sulle sue competenze tecniche. Gli esiti delle operazioni tecniche, da lui svolte, sono destinati a confluire direttamente nel fascicolo per il dibattimento e sono utilizzabili nella decisione finale.

Questa procedura, però, mal si concilia con il contenuto dell'art. 230 c.p.p., che prevede, nell'ipotesi in cui sia stata disposta una perizia, la possibilità per le parti di nominare, in un qualsiasi momento, propri consulenti tecnici. Ciò pone le parti stesse in condizione di un immediato dialogo col perito e dimostra che nelle attività peritali deve essere rispettato il contraddittorio (34). Procedura che, invece, non sembra essere rispettata nella realtà milanese.

La valenza partecipativa dei consulenti tecnici di parte, nel caso in cui sia stata disposta una perizia, si incentra sul profilo del dialogo diretto tra gli stessi ed il perito: in tal caso il consulente si pone come "strumento di difesa tecnica" ulteriore rispetto al difensore. È stata così data alla parte, attraverso la nomina del consulente tecnico, la possibilità di intervenire sulle indagini svolte dal perito, non essendo stata riprodotta nel nuovo codice la norma di cui all'art. 324 c.p.p. del 1930, che attribuiva al giudice un ruolo di "filtro" rispetto a istanze, osservazioni e riserve nei confronti della valutazione peritale.

Il consulente tecnico di parte può esercitare sia un'attività deduttiva, proponendo proprie valutazioni tecniche che si traducono in un parere, sia un'attività propulsiva, che si estrinseca nella proposizione al perito di specifiche indagini. Infatti non è raro che nel corso dell'attività peritale sorga l'opportunità o la necessità di compiere indagini originariamente non previste: potrebbero essere indagini funzionali ai quesiti fissati all'atto del conferimento dell'incarico oppure implicanti l'introduzione di quesiti nuovi idonei ad allargare l'ambito della ricerca peritale (35).

Il senso della partecipazione del consulente tecnico di parte alle operazioni peritali non va inteso necessariamente in una logica collaborativa, cioè non esprime l'esigenza di ottenere una cooperazione del consulente tecnico con il perito in vista del raggiungimento di un comune accertamento della verità, poiché il primo svolge funzioni di tutela delle posizioni soggettive

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della parte che lo ha nominato. E ciò è dimostrato anche dal fatto che il consulente tecnico ha anche la funzione di contraddire le attività e i risultati d'indagine peritale, formulando osservazioni e riserve (delle quali deve darsi atto nella relazione). Questo è lo scopo che dovrebbe essere raggiunto di regola, in quanto stimola il confronto in sede di formazione della prova e valutazione dei risultati (36). Ovviamente la richiesta del consulente tecnico di esaminare le conclusioni del perito non ha ragion d'essere quando il consulente abbia affiancato il perito sin dall'inizio delle attività svolte, potendo con lui interloquire in ogni momento (37).

D'altro canto va ricordato che il consulente tecnico, per influire sull'andamento e sulle conclusioni delle operazioni peritali, in tal modo esercitando il diritto alla prova sancito dall'art. 190 c.p.p., può predisporre una propria relazione scritta (legislativamente prevista dall'entrata in vigore della novella in materia di indagini difensive, Legge 7 dicembre 2000 n. 397), che verrà valutata dal giudice, il quale ha il compito di riconoscere, o non, a tale attività valore probatorio ai fini della decisione (38).

Essenziale ad una partecipazione effettiva dei consulenti tecnici alle operazioni peritali è la possibilità data ai primi di conoscere tutto ciò che conosce il perito. Infatti, non essendo stati riprodotti nel nuovo c.p.p. i divieti di ostensibilità degli atti istruttori conoscibili dal perito nei confronti dei consulenti, la dottrina non dubita che oggi non esistano aree di conoscenza accessibili al perito e precluse al consulente tecnico (39). Dunque, nel caso di perizia disposta nel corso delle indagini preliminari con le forme dell'incidente probatorio, atti, documenti e cose in possesso della parte che intenda sottoporli all'esame del perito, quando non sono ancora noti alle altre parti, diventano ostensibili a queste ultime tramite il consulente tecnico, che diventa uno strumento di parziale discovery. In tal modo viene così garantito il contraddittorio tra le parti.

Infine, nell'ipotesi residuale in cui il consulente tecnico di parte sia nominato "dopo l'esaurimento delle operazioni peritali", il legislatore, al fine di garantire pienamente anche in questo caso il contraddittorio, ha disposto all'art. 230 comma 3 c.p.p. che il consulente tecnico possa conoscere i risultati della perizia e abbia l'accesso al materiale periziato: egli non solo potrà esaminare le relazioni, ma anche richiedere al giudice di essere autorizzato ad esaminare la persona, la cosa e il luogo oggetto di perizia. Il suo compito si limiterà, dunque, al compiere operazioni e ad esprimere argomentazioni critiche.

Sebbene il codice non preveda un deposito formale della relazione peritale, la dottrina ritiene che - per ovviare alla compressione del contraddittorio tecnico che si determinerebbe qualora ai consulenti fosse sottratta la conoscenza dell'elaborato scritto del perito prima dell'udienza in cui quest'ultimo è chiamato ad esporre oralmente il suo parere ed, eventualmente, a sottoporsi ad esame, potendo continuamente richiamarsi a tale elaborato - si dovrebbe addivenire ad un'interpretazione integrativa della disciplina codicistica, nel senso di configurare a carico del giudice, che autorizza il perito a presentare relazione scritta (in base all'art. 227 comma 5), l'obbligo di disporre il deposito della relazione stessa, per l'esame, e le eventuali copie nella propria cancelleria: deposito da effettuarsi entro un congruo termine anteriore alla data fissata per l'udienza in cui verrà data la risposta ai quesiti. Regola ancor più utile nel caso in cui l'elaborato scritto del perito riportasse calcoli, descrizioni e raffigurazioni di complessa lettura e interpretazione: sarebbe concretamente impossibile per i consulenti tecnici svolgere un contraddittorio effettivo in udienza in merito ad un testo di cui solo in quel momento prendono visione (40).

A Milano tutta questa procedura non è rispettata e la collaborazione tra istituzioni giudiziarie e sociali ha portato alla creazione di un'unica figura di clinico esperto che interviene nel procedimento penale per svolgere la fase diagnostica, al quale verrà poi affidata - se necessaria - anche l'attività di psicoterapia sul minore. Ciò implica l'esistenza di un primo importante aspetto non soddisfacente della realtà milanese: l'esistenza di un unico soggetto che si occupa delle fasi di diagnosi e di cura del minore, senza che nella prassi venga nominato anche un consulente di parte, dimostra come vi sia una scarsa garanzia della tutela dei diritti dell'accusato.

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6) Il Centro del Bambino Maltrattato è una cooperativa di solidarietà sociale senza fini di lucro, che è stata fondata a Milano nel 1984 e che ha come scopo la prevenzione e la cura dell'abuso all'infanzia in famiglia. È stato, infatti, definito un "laboratorio permanente" di riflessione intorno ai nodi principali dell'intervento sulle situazioni di abuso, in particolare, intrafamiliare (41).

Già nel 1987 in un convegno dal titolo "L'intervento nei casi d'incesto", realizzato con il settore dei servizi sociali del comune di Milano, il CBM tentava di porre le basi per avviare una prima riflessione generale, invitando a parteciparvi operatori sociosanitari, esponenti della magistratura minorile ed ordinaria e criminologi. Da allora l'approfondimento del problema è proseguito nel corso del confronto quotidiano con gli operatori dei servizi territoriali e con la magistratura, e nell'ambito di importanti occasioni anche internazionali. Il lavoro del centro si colloca, infatti, all'interno del movimento internazionale per la protezione dell'infanzia, che ha la sua più elevata espressione nella International Society for Prevention of Child Abuse and Neglet International Journal (42).

Nel centro opera una èquipe con esperienza pluriennale nella presa in carico e nella cura dei bambini vittime di violenze ed abusi e delle loro famiglie, composta da psicoterapeuti familiari, psicologi clinici, neuropsichiatri infantili, pediatri, assistenti sociali, pedagogisti ed educatori.

Il centro, istituito dal comune di Milano, svolge l'attività in stretto contatto con le istituzioni, i servizi territoriali ed il tribunale, nell'obiettivo di attuare strategie d'intervento capaci di coniugare la tutela del minore con il trattamento psicologico della famiglia, integrando le esigenze giuridiche con quelle socio-assistenziali, per superare la pericolosa alternativa tra la semplice criminalizzazione del genitore e l'indifferenza verso le vittime di abuso (43).

Il principale sostenitore del CBM è il comune di Milano, che annualmente si convenziona con la cooperativa per una serie di servizi pubblici e gratuiti. I servizi (44) offerti dal centro sono vari: un'attività di pronto intervento per l'accoglimento di dieci minori di età compresa tra zero e dodici anni, un servizio per la diagnosi e la cura dei minori e delle famiglie inviate dal Tribunale per i minorenni, una linea telefonica (attiva 24 ore su 24 tutti i giorni dell'anno) alla quale possono rivolgersi operatori e privati cittadini, un servizio di consulenza e di formazione per operatori ed un centro di documentazione e ricerca.

Al CBM si rivolge, inoltre, il pool soggetti deboli della Procura della Repubblica di Milano per svolgere le audizioni protette di minorenni che hanno subìto abusi sessuali. La struttura, infatti, è dotata di una saletta attrezzata, dotata di un impianto di videoregistrazione e di uno specchio trasparente unidirezionale, che consente ai magistrati, difensori, imputati e genitori di poter assistere, non visti, all'audizione da un altro locale (45). Quest'ultima viene svolta da uno psicologo o da un neuropsichiatra infantile esperto in tali tipi di interrogatori.

A Milano e in altre poche sedi giudiziarie, l'audizione protetta è stata adottata a partire dal 1993, quindi prima dell'entrata in vigore della legge sulla violenza sessuale del 1996, sulla base del combinato disposto degli artt. 498 e 502 c.p.p., che prevedono l'ipotesi in cui il teste si trovi nell'impossibilità assoluta a comparire al dibattimento per legittimo impedimento (46). L'applicazione estensiva della norma consiste nel fatto che si è ritenuto di far rientrare nell'accezione di "legittimo impedimento" anche il nocumento che, in base alla valutazione di un esperto, potrebbe derivare al minore all'esito di un'audizione resa secondo i criteri ordinari e ciò in virtù del diritto alla salute, costituzionalmente garantito dall'art. 32 (47).

1.1 Un progetto non ancora compiuto

La realtà di Milano evidenzia l'esistenza di vari elementi positivi, ma - secondo Forno - anche di molti aspetti problematici da dover risolvere:

1. la presenza di un atteggiamento di rifiuto e disinteresse;2. la non specializzazione e preparazione degli operatori di giustizia che non appartengano

al "pool dei soggetti deboli";3. una struttura del processo penale incompatibile con la tutela dei minori;

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4. ed altri aspetti a questi trasversali.

1) L'abuso sessuale sui minori spaventa e l'orrore e l'ansia che crescono di fronte a questi casi vengono sostituite dall'indifferenza. Inoltre, i reati che riguardano le donne ed i bambini, la violenza e i maltrattamenti - soprattutto se compiuti nell'ambito familiare - sono ancora considerati, nonostante la loro alta frequenza e gravità, "reati bagatellari" di seconda categoria e, di conseguenza, trattati in modo superficiale (48).

2) La fase successiva alle indagini in cui viene svolto il processo penale, non è caratterizzata dalla specializzazione e preparazione dei suoi operatori (49).

I giudici del Tribunale penale che gestiscono il processo dovrebbero conoscere perfettamente l'abuso sessuale sui minori, quali riscontri probatori cercare e come interpretare gli elementi raccolti.

L'avvocato De Rui (50), infatti, afferma:

Ho visto alcuni giudici diffidenti di fronte alla testimonianza dei bambini a causa della frammentarietà, della scarsa precisione, della apparente contraddittorietà delle affermazioni, con l'effetto di considerarla poi inattendibile perché non corrispondente ai criteri di attendibilità usati per gli adulti. Come è possibile giudicare la deposizione di un bambino senza conoscere i criteri elaborati per la credibilità di fronte ad una loro deposizione?

In molte sentenze del passato, ed anche in molte recenti, si afferma che un racconto reso da un minore presunta vittima di abuso sessuale, anche se costante nel tempo, coerente e privo di contraddizioni, non è di per sé sufficiente per fondare una sentenza di condanna. Al contrario, in sentenze più recenti pronunciate dal Tribunale di Milano, fortemente innovative, è stato affermato esattamente il contrario. Secondo Malacrea si è dunque conclusa un'epoca di "pre-giudizi", intesi nel senso di "giudizi fatti prima", e la conseguenza di ciò è che la responsabilità di verificare l'attendibilità del minore spetta al giudice penale (51). Questo è uno dei problemi maggiori che il giudice deve affrontare nei casi di sospetto abuso sessuale sui minori, problema che a Milano è stato risolto in modo diverso rispetto alle altre realtà territoriali. Nella maggior parte delle sedi giudiziarie, ancora oggi, tale difficoltà è risolta con l'affidamento, da parte del giudice penale ad uno psichiatra o psicologo, di una perizia.

Secondo Forno (52) questa impostazione è giuridicamente scorretta ed estremamente penalizzante per il minore perché rappresenta una delega in bianco ad un soggetto diverso dal giudice, cioè il perito, per stabilire l'innocenza o la responsabilità dell'imputato. Anche se i quesiti che di solito vengono formulati sono in qualche modo generici, il quesito reale è: «dica il perito se l'imputato è colpevole o innocente», e ciò contrasta con il principio generale del diritto processuale che affida al solo giudice tale decisione sulla base del riscontro del racconto del minore alla luce del quadro probatorio ottenuto.

Il pool milanese ha ritenuto che il minore che viene sottoposto a tal genere di perizia rischia di subire un trauma, in quanto il comportamento dello specialista non gli appare diverso da quello di tutte le persone che hanno ricevuto in precedenza la sua rivelazione. Così il metodo (53) che è stato adottato a Milano è quello di non effettuare mai, salvo casi eccezionali, perizie sul minore, ma di coordinare l'attività del giudice minorile con quella del giudice penale.

Il magistrato minorile dispone, quindi, una psicodiagnosi volta non ad accertare l'attendibilità del minore, ma in funzione di individuare eventuali indicatori di abuso e di prevedere un progetto educativo e terapeutico che ha come destinatario il minore e la sua famiglia. Tale procedura non ha, secondo gli operatori milanesi, un carattere traumatizzante per il minore, ma al contrario è diretta ad incentivare interventi mirati al recupero della situazione esistente, e soprattutto i suoi risultati vengono riversati anche nel processo penale e approfonditi attraverso l'audizione, in sede dibattimentale, dello psicologo e psicoterapeuta (54).

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A Milano sembrano esserci, dunque, alcuni giudici preparati ad affrontare una materia tanto complessa, ma sono ancora molti i casi, anche in quella considerata "l'isola felice", in cui l'atteggiamento degli operatori di giustizia è di pregiudiziale diffidenza (55).

Dall'altra parte, però, bisogna ricordare che la frammentarietà della deposizione è l'aspetto su cui fa maggiore leva la difesa dell'imputato, che spesso si trova ad essere accusato di abuso sessuale sulla sola base del racconto del minore. La garanzia del diritto di difesa, dunque, impone di rigettare l'accusa fino a quando non sarà dimostrata con fondate motivazioni.

3) Il processo penale, così come è strutturato e gestito attualmente, risulta ontologicamente incompatibile con la tutela psicofisica ed il benessere dei bambini (56).

La prima incompatibilità si manifesta nell'analisi dei tempi di durata, poiché quelli del procedimento penale sono scanditi da ritmi inconciliabili con le esigenze di cura e di tutela dei minori, tanto che diventa necessaria una loro difesa non solo "nel" ma anche "dal" processo penale (57). Molti sono i casi di bambini che, a causa dei lunghi tempi processuali, vengono "inchiodati all'abuso" (58), rivelandosi così il processo penale tutt'altro che una risorsa per uscire dalla tragedia da cui sono stati colpiti.

La metodologia d'intervento degli operatori del pool milanese (59), infatti, si basa sul concetto secondo il quale il processo penale, se ben fatto, potrebbe anche essere utile al minore, ma per colpa di chi lo gestisce non aiuta il bambino a superare il trauma. Il problema è quello dei ritardi della giustizia penale in Italia, la cui drammaticità è ancor più evidente quando ad essere coinvolti sono i minori. Tutto ciò potrebbe essere evitato - secondo alcuni operatori milanesi -stabilendo, ad esempio, per i processi penali di questo tipo una corsia preferenziale e sezioni specializzate: in questi casi, il tempo gioca un ruolo fondamentale ed andare in giudizio anche dopo un anno può essere dannoso o comunque inutile (60). Nel caso in cui il processo penale venga fissato a molta distanza di tempo dalle rivelazioni del minore si pone anche il problema riguardante il tipo di attività che lo psicologo deve compiere con il bambino durante il periodo d'attesa: la vittima deve essere aiutata ad elaborare e dunque a rimuovere il trauma, con la conseguenza che certamente al processo penale non racconterà niente di utile per i giudici, oppure deve essere "tenuta ferma nella sua disperazione" per far sì che non scordi tutti i particolari? (61)

Ciò che è necessario fare per migliorare la situazione è realizzare le condizioni per far sì che siano i tempi dei bambini a scandire e determinare quelli dei processi, e non il contrario (62). Fortunatamente è utilizzato, sempre più spesso durante le indagini preliminari, lo strumento dell'incidente probatorio, che cerca di accogliere queste esigenze del minore.

Secondo Forno ci sono, inoltre, altri aspetti insoddisfacenti (63) riguardanti il procedimento penale:

l'uso dell'incidente probatorio come "scorciatoia", senza considerare se il bambino è, oppure o no, pronto ad affrontarlo;

la testimonianza del minore è svolta senza considerare i tempi e le forme di procedura più adatte alla sua età;

vengono assegnati incarichi di consulenza senza il rispetto di alcuna regola: vige la "legge del caso", dove i consulenti non vengono scelti in base alla loro competenza clinica;

vi è un discrezionale utilizzo dei clinici; la tutela legale del minore è fortemente disattesa; le attività svolte per il "recupero" dell'abusante sono carenti.

Secondo gli operatori milanesi ciò che emerge come problema di base è, dunque, la totale aleatorietà delle regole. Essi ritengono, però, che ci sia una possibilità di creare un sistema migliore, o meglio di "riscoprire quello esistente e di applicarlo correttamente" (64).

4) Esistono poi anche altri aspetti problematici trasversali a quelli già esposti:

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sembra che più regole portino ad una maggiore complicazione (65). Questo non vuol dire che dove non ci sono regole si opera in modo migliore, però sembra che i percorsi diventino più complicati quando vigono regole: ad esempio il segreto istruttorio deve garantire che il procedimento si svolga in modo corretto, invece spesso si trasforma in una barriera per poter agire o prendere l'iniziativa.Dobbiamo ricordare che in molti casi quelle regole che ostacolano la tutela del minore sono poste a garanzia dell'imputato, perché sono espressione del suo legittimo diritto alla difesa (previsto dagli artt. 24.3 e 111.3 della Costituzione italiana).

È necessaria una specializzazione comune (66) tra i vari operatori affinchè essi possano interloquire gli uni con gli altri in modo più proficuo, cioè una conoscenza condivisa dell'oggetto di cui si devono occupare. Quindi va compiuta:

o un'informazione maggiore, che va fatta a vari livelli (cioè deve essere capillare) e gestita da enti territoriali;

o ed una formazione specialistica, per avere così le adeguate conoscenze necessarie per poter riconoscere i casi di abuso.

Necessità di comunicare e di avere dei referenti (67). C'è infatti un grande bisogno di comunicazione, necessità che porta a valorizzare la conoscenza personale e a creare dei referenti. Attualmente, invece, vi è un forte isolamento tra i vari professionisti.

Ciò che risulta da questa situazione - secondo Forno - è quindi che, di fronte all'attuale comunicazione, il problema è più di contenuti che di forme: bisogna fare attenzione a non creare "forme vuote di sostanza" (68). Le leggi e le norme esistono, ma i loro contenuti devono essere garantiti e resi efficaci al momento giusto.

1.2 Milano: "isola felice"?

La procedura perseguita a Milano, consistente nel denunciare il caso emerso ed iniziare il percorso giudiziario, è fortemente criticata dagli operatori di Telefono Azzurro, i quali ritengono che in molti casi di abuso o violenza sessuale intrafamiliare su un minore sia molto più utile attivare una strategia d'intervento che abbia come scopo la ricostruzione dell'armonia familiare attraverso figure specializzate e competenti, piuttosto che iniziare un processo penale. Essi, dunque, propongono una diversa metodologia operativa contro le situazioni di minori sessualmente abusati.

Il processo penale infatti, secondo loro, non consente di recuperare il rapporto tra l'abusante, il minore e il genitore non protettivo; gli operatori di Telefono Azzurro sostengono che sia più utile non iniziare il procedimento penale, ma attivarsi come "agenti di cambiamento" nei confronti della relazione interna esistente tra i membri del nucleo familiare per consentire ad essi di impostare un nuovo rapporto che sia positivo. Solo nei casi estremi di abuso, valutati di volta in volta, si dovrebbe ricorrere alle strutture del controllo sociale e giudiziario (69), in quanto la prospettiva punitiva e repressiva contro gli abusi all'infanzia, utilizzata per anni come unica strategia d'intervento, ha dimostrato come molto spesso la punizione risultasse inutile ed in ogni caso inadeguata. Presumere che all'origine del comportamento violento ci sia un adulto "cattivo" da punire con la carcerazione per riuscire così a tutelare il minore-vittima vuol dire semplificare la complessità della problematica e delle sue diverse variabili. È per questo che il Telefono Azzurro ha deciso di impostare la propria strategia d'intervento sull'attivazione delle potenzialità positive del contesto familiare, piuttosto che sulla denuncia e la mera sanzione.

La presa in carico da parte degli operatori di Telefono Azzurro (70) non consiste nel trattamento dell'adulto abusante e/o del minore abusato, ma nell'attivazione di una serie di risorse interne alla famiglia in difficoltà o in cui avviene l'abuso ed esterne ad essa (servizi sociali e sanitari di base, servizi specialisti, strutture educative, gruppi di volontariato): dunque consiste nel porre in essere strategie d'intervento volte a produrre un miglioramento della situazione del minore attraverso il lavoro di consulenza psicologica, sia attraverso il contatto con i servizi.

Con il termine "attivazione" si intende un accurato lavoro di valutazione della situazione che può costituire un primo screening utilissimo sia all'utente che all'operatore del servizio che prenderà in carico il caso sino alla sua dimissione. Attivare le risorse interne alla famiglia

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significa - secondo gli operatori di Telefono Azzurro - impostare il colloquio già in sede di segnalazione in modo mirato, attraverso una serie di domande che consentano all'operatore telefonico (che è il primo soggetto al quale viene riferito il caso) di formulare una prima ipotesi della relazione in atto nel sistema familiare ed al segnalante di rileggere in un'ottica diversa il problema segnalato.

La strategia operativa contro l'abuso all'infanzia, sviluppatasi all'interno di Telefono Azzurro, prevede infatti un'articolazione degli interventi che coinvolgono tutte le professionalità operanti con i minori ai diversi livelli. Rilievo centrale e primario è dato alla consulenza telefonica, che permette di rilevare le segnalazioni e di stabilire un rapporto di fiducia con l'utente (minore o adulto), in virtù del quale l'operatore può proporre modalità diverse d'intervento per affrontare il caso presentato (71). Ma per riuscire a realizzare una risposta di aiuto concreta al minore in difficoltà bisogna ricordare che la telefonata deve rappresentare soltanto un momento di chiarificazione o di segnalazione di un problema e non può certo surrogare un processo operativo di ascolto, di sostegno e di cura ben più consistente e prolungato rispetto ad una telefonata (72).

Gli operatori di Telefono Azzurro, però, forniscono durante la telefonata una consulenza psicopedagogica (73) all'utente, che consiste:

1. nell'accoglienza, per mezzo della quale viene contenuto lo stato emotivo di chi telefona e viene comunicata una disponibilità incondizionata ad ascoltare;

2. nell'analisi del problema, finalizzata soprattutto ad individuare gli elementi più rischiosi, a decidere se e quanto la situazione richieda interventi urgenti e a ricostruire la mappa dei rapporti che intercorrono tra i componenti della famiglia;

3. nell'analisi della domanda, in modo che l'intervento contempli un'adeguata comprensione della richiesta di aiuto per prospettare, ove possibile, nuove descrizioni e definizioni del problema e della stessa richiesta di aiuto.

Le telefonate ricevute da Telefono Azzurro possono essere suddivise in due categorie: quelle che denotano vere e proprie richieste di aiuto, che diventano così oggetto di una "presa in carico" da parte del centro, e quelle che denotano i "primi approcci" del minore con il telefono come mezzo per instaurare una relazione che magari successivamente potrà tradursi in una effettiva richiesta di intervento: queste ultime consistono in "contatti silenziosi da parte del minore" e in "consulenze brevi".

Riguardo alla prima categoria di telefonate, la richiesta di aiuto da parte del bambino rende indispensabile l'attivazione di tutte quelle procedure dirette ad evitare al minore il cronicizzarsi delle situazioni di abuso o di maltrattamento, impedendo il verificarsi di ulteriori episodi di violenza e di grave trascuratezza: a tal fine Telefono Azzurro cerca di disporre servizi di aiuto e di accoglienza per tutti i casi "esplosi" (74).

All'interno della consulenza telefonica e nell'ambito delle problematiche sociali affrontate, si sviluppano delle possibilità di intervento: ulteriori contatti telefonici, invio della persona che chiama ai servizi territoriali pubblici e privati o attivazione di questi da parte degli stessi operatori telefonici, possibilità (in alcuni casi) di contatto diretto degli esperti di Telefono Azzurro con l'utenza all'interno del centro (75). Gli operatori telefonici sono, infatti, affiancati da numerosi esperti nelle diverse tematiche relative alla prevenzione dell'abuso all'infanzia: essi sono neuropsichiatri infantili, pediatri, avvocati, magistrati, pedagogisti, sociologi che svolgono attività di supervisione, oltre che di consulenza, per le situazioni più complesse anche nei casi di emergenza.

Quando l'operatore telefonico trasmette il caso, già discusso, ai servizi chiede loro di occuparsi della "presa in carico" della situazione, fornendo sempre però la propria consulenza e valutando insieme il programma da farsi. Poiché molte realtà locali non sono adeguatamente fornite di personale, gli operatori di Telefono Azzurro si sono dotati di una banca dati nazionale ove ognuno di essi possa attingere il nominativo ed il recapito del referente (assistente sociale, psicologo, psichiatra, ecc.) a cui deve rivolgersi di volta in volta sia per suggerimenti, consigli, confronti nelle situazioni più difficili, sia per la presa in carico diretta delle situazioni (76). Tali

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strutture, composte da equipe multidisciplinari altamente qualificate, cercano di prendersi carico sia del bambino abusato o gravemente trascurato, sia degli altri membri della famiglia per ristrutturare in modo positivo, ove possibile, le relazioni familiari. Ciò viene realizzato attraverso un rapporto diretto che il centro e le strutture socio-sanitarie locali (sollecitate dal primo) instaurano con tali soggetti (77).

Telefono Azzurro ha deciso di privilegiare, come metodo di intervento di applicazione generale nel trattamento della violenza, il mantenimento del minore nel proprio contesto d'origine, ma se sono rilevabili condizioni che facciano prevedere ulteriori gravi difficoltà per il processo di crescita fisica e mentale del bambino sarà necessario prevedere soluzioni alternative. In tali casi potrebbero essere prese in considerazione le ipotesi dell'affidamento etero-familiare temporaneo o dell'adozione; in ogni caso è importante poter decidere in tempi brevi e seguire la soluzione scelta con tutti gli strumenti tecnici disponibili (78).

Telefono Azzurro, infatti, pone come principi ispiratori della sua attività di intervento, i contenuti della Legge n. 184/83, riguardante la "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori", e ritiene tali principi garanzie indispensabili per una giusta e piena attuazione del diritto del minore alla famiglia (79). Ritiene (80), dunque, che:

occorre fornire al minore e ai suoi genitori d'origine tutto l'aiuto ed il sostegno necessario per far sì che il bambino possa continuare a rimanere all'interno della sua famiglia, cercando di ristrutturarne i rapporti interni, piuttosto che rivolgersi al processo penale;

vada privilegiato l'affidamento a famiglie per quei minori i cui nuclei familiari (cosiddetti "a rischio" perché l'abuso all'infanzia diventa più possibile) non siano in grado, per un periodo più o meno lungo, di provvedere alla loro educazione ed istruzione; tale affidamento, però, va affiancato ad un trattamento terapeutico rivolto sia al minore, sia ai suoi genitori: l'obiettivo è infatti quello di far ritornare, al momento in cui questo sarà possibile, il minore nella sua famiglia d'origine;

vada accolta la possibilità dell'adozione a favore di quei minori che, dopo gli accertamenti e le procedure dell'autorità giudiziaria minorile, risultano, a vario titolo, privi dell'assistenza morale e materiale da parte dei genitori e dei parenti, la quale risulta non potenziabile neanche con il trattamento terapeutico.

L'intervento finalizzato all'affidamento e quello finalizzato all'adozione richiedono al Telefono Azzurro attività sostanzialmente diverse: nel primo caso è necessaria un'attività prognostica e diagnostica rispetto alla recuperabilità delle risorse affettive ed educative della famiglia d'origine, nel secondo caso un'attività progettuale di percorsi d'intervento diretti a rompere definitivamente i legami familiari originari in funzione del preminente interesse del minore (81).

Per realizzare un affidamento familiare - di solito preferito se risultano esserci delle condizioni tali da far presumere possibile il ritorno futuro del minore in famiglia - la procedura seguita da Telefono Azzurro consiste nel mantenere costante la relazione tra i tre poli interessati: la famiglia d'origine, il bambino e la famiglia affidataria, per riuscire a recuperare gradualmente i rapporti con i genitori biologici e nello stesso tempo tutelare l'integrità psico-fisica del minore senza interrompere rigidamente il loro contatto (82).

Varie critiche (83) sono state sollevate contro questo tipo di intervento: in particolare è stato obiettato che il Telefono Azzurro non ha mai gestito l'intero processo di intervento di tutela del minore abusato. La sua azione, dunque, può collocarsi soltanto nelle fasi della rilevazione e della segnalazione, per di più gestibili attraverso delle telefonate. Esso asserisce di prendere in carico i casi, ma sarebbe più corretto dire che affida ad altri la presa in carico. Inoltre è stato fortemente criticato l'atteggiamento di Telefono Azzurro di non denunciare i casi rilevati alla magistratura: in sostanza, con il suo metodo operativo, invece di far conoscere ai cittadini i servizi e le istituzioni perché vi accedano e di sollecitare processi di attivazione e di cambiamento di questi servizi (spesso carenti) si sostituisce ad essi, ponendosi come "mediatore" tra la situazione di violenza e i servizi territoriali.

Contro ciò gli operatori di Telefono Azzurro rispondono (84) che:

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Lavorare per un canale di comunicazione extraistituzionale a disposizione dei cittadini non significa colludere con le carenze istituzionali e con le forze che mirano a nasconderle e a perpetuarle, né creare un doppione rispetto ai servizi socio-sanitari (magari con l'effetto di distogliere l'attenzione dalle inadempienze e dalle insufficienze che spesso caratterizzano la loro organizzazione e il loro funzionamento). Si tratta, invece, di creare un osservatorio sul fenomeno sommerso dell'abuso all'infanzia, uno strumento che possa riflettersi positivamente sui processi di trasformazione delle strutture e delle istituzioni pubbliche in termini di canalizzazioni verso quest'ultime di nuove domande, di sollecitazione dei servizi e di denuncia della consistenza del fenomeno.

2. Gli abusi sessuali sui minori nella realtà fiorentina2.1 L'Ufficio minori di Firenze

L'incremento statistico delle fenomenologie criminose a danno dei minori degli ultimi anni ha reso necessaria una risposta selettiva e determinata nell'azione di polizia: da questa esigenza è nato il "Progetto Arcobaleno" che, destinato all'intero territorio nazionale, mira a risolvere il problema anche sotto il profilo generale della sicurezza pubblica.

Nel maggio 1996, su direttiva del Capo di Polizia, sono stati istituiti gli Uffici minori (85) presso ogni Questura italiana, individuando quindi, a livello provinciale, un polo permanente di riferimento per una coordinata mobilitazione di tutte le risorse di carattere informativo ed operativo. Le strutture sono state predisposte per accogliere i minori vittime di reati e in esse opera personale specializzato, che utilizza tecniche specifiche per affrontare tali problematiche.

Gli interventi di tali strutture hanno consentito il rafforzamento dell'azione posta in essere dalle Questure, sia sul piano della prevenzione e soccorso pubblico, che nell'attività repressiva di contrasto. Tali uffici hanno rappresentato un perfezionamento di tutti quegli interventi che già precedentemente attuavano le Questure d'Italia e, per una parte delle loro competenze, richiamano quanto disposto dalla legge 20/02/1958 n. 75, la cosiddetta "legge Merlin", che all'articolo 12 sanciva la costituzione di un Corpo Speciale di Polizia Femminile con funzioni riservate ai servizi di buon costume, di prevenzione della delinquenza minorile e della prostituzione e di trattazione delle problematiche minorili in genere.

A Firenze la specializzazione (86) degli operatori di tali uffici è stata considerata come uno dei punti più qualificanti del progetto, vista la delicatezza dei compiti loro attribuiti; la preparazione è stata curata da cultori della materia noti per la loro professionalità nel settore.

È stata inoltre predisposta all'interno dell'Ufficio una squadra specializzata in abusi e maltrattamenti familiari (87), che ha il compito di svolgere due tipi di attività:

quella di monitoraggio e di contatto con l'ambiente (ad esempio con la scuola, gli operatori socio-sanitari, ecc.);

e quella d'indagine di fronte ai casi di violenze sui minori.

La responsabile di tale settore è il commissario della Questura di Firenze Mariella Primiceri, figura fortemente attiva nella realtà cittadina, che ha permesso che l'Ufficio minori diventasse un importante "filtro" di interventi spettanti ad istituzioni diverse e che ha promosso - insieme all'attività dell'Istituto degli Innocenti e del Centro Artemisia di Firenze - uno scambio di informazioni e competenze tra i professionisti che operano con i minori.

La direttiva del 1996, istitutiva degli uffici minori, ha anche incaricato queste nuove strutture di raccordarsi con tutti gli altri enti del settore minorile (pubblici e privati), che operano nella medesima area territoriale, poiché questo coordinamento è necessario per realizzare un'azione di tutela dell'infanzia più efficace. A Firenze, però, questa collaborazione tra i servizi non è così tanto attiva da riuscire a creare "un'attività di rete" nella lotta contro le fenomenologie criminose coinvolgenti i minori: le azioni svolte dal Tribunale per i minorenni, dalla Procura del Tribunale ordinario e dai servizi del territorio continuano ad essere poste ancora in modo

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separato le une dalle altre (88). Questo è l'aspetto che deve essere superato nella realtà fiorentina per riuscire a raggiungere quella capacità di gestione di tali situazioni che esiste a Milano.

L'attività investigativa è svolta attraverso un approccio interdisciplinare al problema della verbalizzazione dei minori, cioè si è dovuta realizzare una stretta collaborazione fra l'operatore di polizia e la figura professionale dello psicologo per riuscire a procedere con un contatto non "intrusivo e poliziesco". Il compito è quello di creare un'integrazione tra operatori con diversa formazione e quella di imparare a cogliere tutti gli aspetti di un ascolto protetto. È stato così insegnato a tali operatori ad ascoltare i bambini, a volte per intere giornate, scegliendo, a seconda dell'età, i luoghi più idonei (l'abitazione, l'asilo o la scuola, la ludoteca, ecc.). Tale attività si svolge, di solito, per mezzo di incontri programmati, attraverso i quali vengono gradualmente superati tutti quei meccanismi di negazione che inevitabilmente emergono quando occorre comunicare contenuti così traumatici (89).

Gli atteggiamenti fra poliziotti e psicologi sono difficilmente conciliabili. I primi devono raccogliere velocemente dichiarazioni significative e, dunque, cercano di ottenere una confessione su cosa è successo; gli psicologi, invece, preferiscono aspettare ed approfondire l'accaduto in un secondo momento. Inoltre hanno spesso timore di denunciare il caso all'autorità competente perché ritengono che il meccanismo innescato non tenga conto dei bisogni del minore, non rispettando i tempi di cui egli ha necessità per elaborare l'evento.

Derivano rischi da entrambi questi due atteggiamenti. La fretta della polizia si può tradurre in una scarsa attenzione alle parole "del" e "sul" minore (90); inoltre si possono vedere situazioni di abuso anche dove questo non c'è stato, cosicchè il minore subisce la violenza di un apparato inquisitorio che potrà soltanto danneggiarlo ulteriormente. Il rischio, invece, dell'atteggiamento più cauto dello psicologo è quello di non mettere subito fine ad una violenza. La valutazione giuridica del fatto deve essere fatta dalla magistratura, la quale dunque va avvisata (91). Inoltre, quando un minore trova il coraggio di parlare della violenza subita, è necessario che da quel momento in poi si senta tutelato e protetto. Tantopiù che oggi è possibile l'allontanamento non solo del minore, ma anche quello del genitore violento dalla residenza familiare (novità quest'ultima introdotta dalla L. n. 154/2001) anche se non si è concretizzata una vera e propria violenza sul minore (basta anche la trascuratezza da parte del genitore o il maltrattamento psicologico).

La collaborazione fra psicologi e polizia dovrebbe apportare, dunque, vantaggi nella loro reciproche attività.

Se a Firenze l'operatore di polizia ha imparato ad agire in parte come uno psicologo, a Bari è stata realizzata una collaborazione tra poliziotti e psicologi ancor più forte, sulla base di un protocollo d'intesa sancito tra il centro antiviolenza "Albachiara" e gli operatori di polizia dell'Ufficio minori della Questura (92). In tale esperienza, il poliziotto e lo psicologo agiscono insieme nell'ascolto del minore vittima di violenza sessuale. Gli operatori di polizia si sono resi conto che il primo ascolto del minore, fatto alla presenza dello psicologo, può essere più efficace e può portare a raccogliere informazioni più pertinenti su quanto è accaduto, in particolare per quanto riguarda gli abusi intrafamiliari. Lo psicologo, invece, ha capito che quell'ascolto deve avere inevitabilmente una connotazione giudiziaria e non è soltanto la raccolta di un vissuto traumatico.

La collaborazione tra questi operatori può essere utile proprio per far sì che ognuno di essi possa partecipare all'attività di protezione del minore con la propria professionalità: l'operatore di polizia, dunque, dovrebbe occuparsi di redigere un verbale il più possibile fedele alle dichiarazioni rese, mentre lo psicologo dovrebbe porre attenzione al contesto in cui quell'ascolto è avvenuto, al tono della voce del minore (in relazione alle domande poste), all'espressione del volto, al modo in cui ha cercato, oppure no, la presenza di chi lo ha accompagnato.

Dunque, mentre, l'operatore di polizia deve occuparsi del "verbale", imparando a cogliere l'importanza dell'extraverbale, lo psicologo deve fare il contrario, preoccupandosi di porre le

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domande giuste, in modo che dalle risposte si possa risalire ai fatti. Il materiale ottenuto sarà poi fornito al magistrato che lo valuterà (93). Sarebbe però importante che il minore venisse interrogato anche da uno psicologo nominato dalla difesa in modo che gli elementi che il magistrato utilizzerà siano raccolti in contraddittorio fra le parti. Ma questa procedura non viene seguita quasi mai.

Sulla base di questi primi elementi il magistrato può disporre la valutazione diagnostica della situazione, affidando l'incarico ad un consulente tecnico (consulente d'ufficio). Tale valutazione consiste generalmente nell'audizione del minore diretta dal consulente d'ufficio, svolta alla presenza del giudice e del PM. Potranno successivamente anche essere fissati degli incontri con la famiglia e le persone più vicine al minore.

Per garantire l'effettiva realizzazione del principio della formazione delle prove in contraddittorio, la difesa ha la facoltà di nominare un consulente tecnico (consulente di parte), il quale può partecipare alle operazioni peritali svolte nell'audizione, ma le sue attività sono condizionate dall'avvallo del giudice: infatti, se vuole porre domande ulteriori al minore od opporsi a certe sue affermazioni, deve ottenere l'assenso dal giudice e concordare l'intervento con il consulente d'ufficio (94).

2.2 Il Centro nazionale di documentazione ed analisi per l'infanzia e l'adolescenza

Il Centro nazionale di documentazione ed analisi per l'infanzia e l'adolescenza, istituito nel 1997 rappresenta uno strumento del Parlamento, del Governo, dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia, delle Regioni e degli enti locali per promuovere l'informazione, la conoscenza e l'innovazione degli interventi di tutela dei minori. Per lo svolgimento delle sue funzioni il Dipartimento delle politiche sociali e previdenziali del Ministero del welfare può stipulare convenzioni, anche di durata pluriennale, con enti di ricerca pubblici o privatiche abbiano particolare qualificazione in questo settore. Nel 1998 lo svolgimento delle funzioni del Centro è stato affidato all'Istituto degli Innocenti di Firenze, situato in piazza SS. Annunziata (95).

Le attività (96) svolte dal Centro si articolano in diverse aree di lavoro:

1. approfondimento ed analisi;2. ricerche e sistemi informativi;3. documentazione;4. formazione e promozione.

1) Il compito operativo del Centro è quello di predisporre la bozza della relazione al Parlamento sullo stato di attuazione delle principali leggi in materia d'infanzia. Inoltre sono compiuti studi ed approfondimenti, che vengono diffusi attraverso pubblicazioni periodiche, su temi rilevanti sulla tutela e promozione dei diritti dei minori e degli adolescenti. Finora sono stati condotti studi su argomenti quali: sostegno alla genitorialità, la condizione dell'adolescenza e le nuove forme di interventi educativi, gli indicatori statistici nazionali ed europei sull'infanzia e l'adolescenza, il lavoro di strada e minorile in Italia, i figli nelle famiglie che si separano.

2) Le ricerche condotte dal Centro hanno lo scopo di indagare problematiche soggette all'azione delle politiche sociali, non adeguatamente conosciute sull'intero territorio nazionale, e vengono pubblicate nella collana "Questioni e documenti". Ad oggi sono state realizzate indagini, a carattere prevalentemente censuario, su i seguenti temi: le strutture residenziali educativo-assistenziali, i minori non imputabili, gli asili nidi ed i servizi educativi per bambini di 0-3 anni integrativi ad esso, i minori in affidamento familiare, i servizi pubblici per adolescenti.

Il patrimonio conoscitivo sulla tutela dei minori, ottenuto con l'attività d'indagine, ha contribuito significativamente a porre le basi per la progettazione del sistema informativo (97) sulle politiche di welfare per l'infanzia. Questo proposito si è sviluppato nel 2002 attraverso l'elaborazione di uno studio di fattibilità per la costruzione di un prototipo di sistema informativo che, al momento, rende disponibili i dati delle ricerche effettuate dal Centro.

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3) L'individuazione, la raccolta, la catalogazione e l'organizzazione in banche dati (quali quella bibliografica, normativa, statistica, filmografica) della documentazione riguardante i diversi aspetti della condizione dei bambini e dei ragazzi in Italia rappresenta una delle attività più originali e consistenti del Centro.

Nel luglio 2001 è stata inaugurata la Biblioteca Innocenti Library, che ha consentito l'unificazione delle raccolte documentarie dei due enti. Allo sviluppo della raccolta collabora anche la regione Toscana. Tale patrimonio documentario si compone di tredicimila volumi ed è una delle poche biblioteche dedicata esclusivamente all'infanzia e all'adolescenza (98).

Inoltre dal Centro viene prodotta la rivista trimestrale "Rassegna bibliografica: infanzia e adolescenza", contenente segnalazioni bibliografiche commentate delle principali pubblicazioni italiane.

4) Il Centro realizza, in collaborazione con le regioni e l'Istituto degli Innocenti, corsi di formazione per gli operatori coinvolti nell'attuazione delle principali leggi di settore. Promuove, inoltre, momenti seminariali di studio "a partecipazione ristretta", con l'obiettivo di focalizzare gli aspetti problematici della tutela dei minori e di proporre ipotesi di superamento delle difficoltà e delle diverse linee interpretative, mettendo a confronto tra loro i vari soggetti coinvolti nei processi di attuazione delle politiche. Fino ad oggi sono stati organizzati seminari sul tema della prevenzione del disagio nell'infanzia e nell'adolescenza, sulle politiche e i servizi di promozione e tutela, sull'ascolto del minore e il lavoro di rete (99).

2.3 Il Tavolo permanente contro gli abusi a danno dei minori

Il Comune e la Provincia di Firenze hanno istituito nel 1998 il cosiddetto Tavolo permanente contro gli abusi a danno dei minori (100). Ad esso hanno aderito varie istituzioni del territorio fiorentino, quali la Prefettura, la Questura, il Tribunale per i minorenni, l'Istituto degli Innocenti, l'Associazione Artemisia, le Aziende Ospedaliere di Careggi e Meyer, ecc. Lo scopo è stato non solo quello di dar vita ad un confronto periodico e permanente sulle attività intraprese e da intraprendere da ciascuna istituzione o da più enti insieme, ma anche quello di sviluppare la conoscenza e di realizzare politiche d'intervento coordinato nell'ambito della violenza all'infanzia.

Nel corso degli anni i rappresentanti del Tavolo permanente hanno elaborato varie proposte di intervento per la prevenzione ed il contrasto di tale fenomeno. Sono stati organizzati, infatti, numerosi incontri di formazione diretti a coloro che hanno contatti con i minori per riuscire a diffondere una conoscenza più ampia e specifica del fenomeno, per sviluppare una "cultura dei diritti dei bambini e delle bambine" e per responsabilizzare la collettività al rispetto di quei diritti. Questi corsi di formazione devono essere però intensificati ed allargati ad un numero sempre crescente di professionisti, in modo che la partecipazione ad essi sia da considerare come obbligatoria e non facoltativa.

Nel novembre del 2000, inoltre, è stato pubblicato un opuscolo a fumetti (101) - distribuito nelle scuole materne, elementari e medie fiorentine - il quale, utilizzato come strumento didattico-educativo da parte delle insegnanti e delle famiglie, doveva essere utile non solo per portare alla luce eventuali situazioni di disagio di minori a rischio, ma anche nell'attività di prevenzione.

2.4 L'audizione protetta a Firenze

Quando il giudice dispone l'incidente probatorio, di regola, anche a Firenze si procede con l'audizione protetta. A differenza che nell'esperienza milanese, però, l'esigenza di seguire tale procedura si è avvertita solo dopo l'entrata in vigore della legge sulla violenza sessuale. Da allora le audizioni si svolgono, di solito, presso una stanza attrezzata nell'Istituto di terapia familiare (102), situato in Via Masaccio. La prima audizione protetta è stata fatta il primo ottobre del 1996. Quando il giudice per le indagini preliminari ritiene utile applicare l'art. 392 c.p.p. per interrogare il minore, contatta l'istituto per chiedere la disponibilità della stanza e nel giorno indicato nessun estraneo deve essere presente in tale luogo.

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Dal settembre 2001, però, tali audizioni si svolgono anche presso il centro gestito dall'Associazione Artemisia in Via del Mezzetta, dotato di una stanza con specchio unidirezionale (103).

L'interrogatorio del minore viene svolto dal giudice, aiutato dallo psicologo, i quali si trovano nella stanza con il bambino. Le domande da porre sono decise precedentemente tra il giudice, il pubblico ministero e l'avvocato della difesa e valutate anche dallo psicologo che consiglia i tempi e le metodologie da utilizzare. Viene dunque applicata correttamente la regola secondo la quale l'esperto ha la funzione solo di "assistente" del giudice per fornire sostegno psicologico al minore e non è lui a porre le domande. In questo modo sembrano essere maggiormente rispettati i principi legali che stanno alla base di una testimonianza resa in un processo penale.

Nella stanza dove si trova il minore c'è un telefono che consente, a coloro che si trovano al di là dello specchio, di comunicare con il giudice per chiedere chiarimenti e precisazioni riguardo all'audizione in modo da consentire interventi "in tempo reale" a garanzia del pieno contraddittorio e dei diritti delle parti. Tutto ciò porterà a risultati tanto più utili per l'attività giudiziaria di valutazione del caso, quanto più sarà possibile realizzare questa integrazione tra professionisti diversi (104).

L'audizione viene videoregistrata in modo che possano essere colti anche gli aspetti di comunicazione non verbale del minore.

Il ricorso all'audizione protetta in sede di incidente probatorio è opportuna in tutti quei casi in cui è prevedibile che il dibattimento si possa celebrare a distanza di molto tempo e quindi che ciò possa recare grave danno ai percorsi educativi e terapeutici del minore. Quando, invece, è prevedibile che il dibattimento si possa celebrare in tempi rapidi può esser preferibile che l'audizione avvenga in tale fase, in modo da dare l'opportunità al collegio di vedere direttamente il minore e di sottoporlo a tutte le domande la cui necessità potrà scaturire dall'esperimento dell'istruttoria dibattimentale (105).

Nella prassi del Tribunale di Firenze, le audizioni in incidente probatorio risultano essere più frequenti di quelle dibattimentali (al contrario di come, invece, si riscontra nella realtà milanese), poiché i tempi d'attesa per l'instaurazione del giudizio penale e poi per l'audizione di tutti i testimoni comprometterebbero la deposizione del minore ed il suo percorso terapeutico (106).

La prassi, utilizzata a Firenze, di svolgere l'audizione di un minore in un luogo diverso dal Tribunale è un aspetto considerato, dagli operatori giudiziari e sociali, vantaggioso al fine di ottenere un racconto più dettagliato dal bambino, poiché in questo modo è creata un'atmosfera maggiormente favorevole alla sua tranquillità psichica. Certo dovrà essere fatta molta attenzione ad evitare che, prima o dopo tale audizione, il minore incontri il presunto abusante senza essere stato prima avvertito in modo adeguato. Non tutti gli operatori fiorentini, però, ritengono che comunicare al bambino che dall'altra parte dello specchio si trova il suo presunto abusante possa essere vantaggioso per l'audizione da svolgere e per il minore stesso (107).

Infine, durante l'udienza dibattimentale, verrà scritto a verbale di acquisire la testimonianza del minore, assunta con incidente probatorio. Ciò permette al bambino di non assistere in aula ad alcuna fase del giudizio penale e di poter cominciare, intanto, un percorso terapeutico di sostegno nei confronti del percorso giudiziario iniziato (108).

2.5 L'Associazione Artemisia ed il coordinamento tra i servizi

I centri specialistici sono il frutto, spesso efficiente e positivo, di una collaborazione e compartecipazione a diverso livello tra organismi pubblici e strutture private. Garantiscono di solito una buona formazione del personale ed una specifica competenza sul tema approfondito. In una realtà cittadina, magari non molto ampia, tali centri sono luoghi riconoscibili, capaci di promuovere un'informazione ed una cultura specifica attraverso diverse attività di formazione e sensibilizzazione. Un'attività importante e significativa di questi centri è, infatti, quella di

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proporsi come luoghi di studio e di ricerca nel campo specifico. Inoltre, avere una localizzazione fisica definita facilita la risoluzione di uno dei problemi centrali che si incontrano nell'abuso: la diversa competenza, le discrezionalità e l'influenza dei servizi interessati, elementi che conducono spesso ad un'inutile e dannosa iterazione di indagini, accertamenti, colloqui, ecc.

Avere un unico centro di riconosciuta professionalità fa sì che esso possa diventare un referente cittadino, un luogo di consultazione a livello provinciale e regionale, un'entità immediatamente riconoscibile dai diversi operatori e dai tribunali implicati nei casi di abuso. Inoltre alcuni centri esistenti in Italia (ad esempio, a Firenze, l'Associazione Artemisia) associano la loro attività di consultazione e di diagnosi con la possibilità di accogliere per un certo periodo bambini, e a volte anche madri, fortemente in difficoltà, permettendo in tal modo di unificare i diversi processi di diagnosi ed accertamenti giudiziali con l'effettiva tutela fisica del minore (109).

L'Associazione Artemisia ha iniziato ad occuparsi, in modo specifico, di violenza sessuale subita dai minori dal 1989 ed in essa vi sono figure professionali altamente specializzate sulla diagnosi ed il recupero della violenza all'infanzia. Essa, inoltre, ha contatti anche con il Centro del Bambino Maltrattato per realizzare uno scambio di informazioni e di metodologie operative. Va inoltre ricordato che entrambi i centri, insieme ad altre istituzioni (quali l'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e l'Associazione Numero Blu di Cagliari) aderiscono al Coordinamento Nazionale dei Centri e dei Servizi di prevenzione e trattamento dell'abuso in danno dei minori (che ha sede a Milano presso il CBM), il cui scopo è quello di promuovere lo scambio tra i centri per quello che riguarda le modalità d'intervento, l'attivazione delle risorse e la ricerca scientifica (110). Sarebbe però auspicabile che un'Associazione come quella di Artemisia si confrontasse, riguardo alla sua attività di trattamento dei casi di abuso sessuale su minori, con un centro che agisce con modalità operative diverse dalle sue, come il Telefono Azzurro. Questo porterebbe ad un confronto utile per arrivare a gestire nel modo più adeguato ogni caso di violenza rilevato. Infatti gli operatori di Telefono Azzurro (111) sostengono - come abbiamo visto - che non è sempre vantaggiosa la denuncia in quanto ci sono dei casi - soprattutto quelli di sospetto abuso sessuale - in cui l'attivazione di un competente operatore potrebbe portare al recupero dei legami familiari, se non addirittura alla costituzione di un rapporto migliore, risultato non raggiungibile con il percorso giudiziario.

L'esigenza di una "diffusione territoriale dell'assistenza" è particolarmente forte in tema di abuso, in quanto permette di formare gli operatori su una problematica specifica, usufruendo di consulenze e supervisioni ma senza divenire totalmente dipendenti da un unico e specifico tema.

Le diverse istituzioni coinvolte nell'abuso (la famiglia, la scuola, i servizi materno-infantili, le forze dell'ordine e la magistratura) rendono spesso estremamente doloroso lo stesso intervento di tutela del minore, reiterando accertamenti, visite e colloqui. Sembra, dunque, importante progettare un modello operativo che miri ad unificare il lavoro tra gli operatori al fine di evitare inutili sovrapposizioni ma, soprattutto, per prevenire vere e proprie disarticolazioni dell'intero processo d'intervento. Quello che invece avviene oggi, nella maggior parte delle situazioni, è che ogni operatore valuta da solo il caso in esame: il pediatra che visita il bambino, la maestra che osserva e ascolta la classe, l'assistente sociale che svolge una visita domiciliare, il neuropsichiatra infantile e/o lo psicologo che è testimone della patologia.

Il collegamento fra i diversi servizi sembra, quindi, essere l'unica possibilità per intervenire efficacemente in casi di questo tipo. Il confronto e lo scambio di idee sulla violenza ha come scopo principale quello di aprire uno spazio di riflessione e di elaborazione, che è il primo momento per potersi occupare di casi del genere. La competenza, infatti, si acquisisce proporzionalmente alla capacità di parlare della violenza e di pensare ad essa.

Un ulteriore vantaggio di questa procedura è che la "territorialità" implica una presenza vicina agli utenti, cosicchè per svolgere una valutazione diagnostica potrebbe non essere necessario rivolgersi ad un centro, magari distante, ma tutto potrebbe svolgersi nel quartiere o nella scuola stessa ad opera di personale specifico, collegato con le varie istituzioni (112).

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Operativamente, l'integrazione delle attività sul minore permette il raggiungimento di una diagnosi delle relazioni familiari utile per poter realizzare un'eventuale e futura "riunificazione del nucleo della famiglia", non più centrato sulla distorsione relazionale che ha portato o non evitato l'abuso. Quello che invece oggi spesso accade - anche nell'attività operativa dell'Associazione Artemisia di Firenze - è la limitazione dell'intervento all'allontanamento della vittima traumatizzata (e a volte - ma non sempre - dei suoi fratelli), senza considerare i legami irrisolti che continuano a vincolarlo alla propria famiglia e che mantengono tutto il loro potere patogeno. Invece, così come è necessario proteggere il minore dalla violenza che subisce, così è importante - laddove è possibile - avviare una chiarificazione ed un recupero della vittima con lo scopo di ristrutturare la sua famiglia in modo positivo, obiettivo che spesso richiede di non dar inizio all'azione penale ma di recuperare i rapporti intrafamiliari con il minore. È questa una forte critica avanzata all'Associazione Artemisia dagli operatori di Telefono Azzurro (113). Tutto questo lavoro si dovrebbe svolgere sulla base di un delicato equilibrio tra interventi psicologici ed assistenziali, che rappresentano lo specifico setting per affrontare l'abuso in modo integrato.

Sembra, quindi, che la carenza maggiore, nell'affrontare la difficile problematica della violenza sull'infanzia sia quella di non saper pensare ad un intervento unico-unificato intorno ad un minore. E questo limite appare essere fortemente presente nella realtà fiorentina.

I problemi inerenti a tale forma di assistenza sono però numerosi. In primo luogo, si presenta un compito complesso di formazione degli operatori, nel tentativo di renderli almeno consapevoli delle caratteristiche dell'abuso. È quindi necessario rendere competenti le figure professionali che operano nei servizi nel settore della salute infantile (che spaziano in molteplici ambiti che vanno dalla salute mentale, all'handicap, alla scuola), portandoli così ad in diverso livello di specializzazione. La creazione di servizi specifici assume, così, anche un valore di prevenzione della salute psichica e del benessere dei minori.

Bisognerebbe, dunque, organizzare i vari professionisti coinvolgendoli in gruppi multiprofessionali, in cui siano rappresentati - oltre ai medici ed agli assistenti sociali - anche la magistratura, gli insegnanti e le forze dell'ordine. I compiti di coordinamento e gli sforzi per trovare un linguaggio comune sono, perciò, significativi e questo dovrebbe essere uno degli obiettivi primari da raggiungere per fornire una "reale tutela all'infanzia" (114).

3. L'abuso sessuale a danno dei minori nella regione BasilicataSe la situazione milanese è considerata da molti operatori come "l'isola felice" in cui vi è la risposta più adeguata a questo tipo di problemi (e per questo motivo presa dagli altri centri d'Italia a modello), la regione Basilicata è stata considerata, fino a pochi anni fa, "quell'isola felice" in cui violenze di questo tipo non erano registrate. La motivazione di ciò non era dovuta, purtroppo, all'assenza del fenomeno ma ad una situazione socio-ambientale fatta di silenzi ed omissioni.

In questi ultimi anni (dal 1997-1998) il fenomeno dell'abuso sessuale sembra assumere, anche in questa regione, una dimensione inquietante. Il numero dei casi conosciuti, se rapportato alla popolazione residente nel territorio (ab. 650.000 circa), evidenzia l'esistenza di una situazione sociale di violenze, grave anche a livello quantitativo, che non può assolutamente essere sottovalutata. Infatti l'assistente sociale di un comune del Lagonegrese (Viggianello), Benedetto Olivo (115), descrive questo cambiamento valutandone anche gli aspetti positivi:

In passato questi tipi di situazioni restavano nel segreto delle famiglie e denunce non ve ne erano; adesso, invece, quel "fenomeno sommerso" ha cominciato ad emergere. Il cambiamento ha interessato anche gli operatori, molto più disponibili ad ascoltare, ed anche i ragazzi e i bambini, che hanno molta più voglia di parlare e confrontarsi con gli altri rispetto alle generazioni di minori di alcuni anni fa.

3.1 La situazione del fenomeno nella regione

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Un recente saggio (116) in materia è quello della Dott.ssa Assunta Basentini, psicologa presso il Tribunale per i Minorenni di Potenza, che da anni si occupa del fenomeno degli abusi sessuali sui minori e che è ormai diventata una delle poche figure professionali nella zona specializzata sull'argomento. Da tale ricerca risulta essere presente nella regione Basilicata, suddivisa nelle due province di Potenza e Matera, una diversità in termini statistici dell'esistenza di tale fenomeno, il quale sembra così dividere in due parti la realtà sociale e culturale della regione: alla provincia di Potenza appartengono il 91,6% di abusi e a quella di Matera soltanto l'8,33% (tab.1).

PROVINCIA DI POTENZA

PROVINCIA DI MATERA TOTALE

44 (91,6%) 4 (8,33%) 48 (100%)

Tab. 1: Provincia di appartenenza dei minori abusati.

La bassa percentuale di segnalazioni e denunce nella provincia di Matera non deve far pensare ad una scarsa ed insignificante incidenza del fenomeno in tale luogo, ma ad una diversa realtà istituzionale e sociale, rispetto alla quale il fenomeno rimane sommerso e negato. In tale realtà, fino a pochi anni fa, si trovava anche la provincia di Potenza, ma sembra che qualcosa adesso stia cambiando. Presumibilmente, nella provincia di Matera, il contesto istituzionale (che comprende la famiglia, la scuola, i servizi sociali e l'autorità giudiziaria), che dovrebbe operare in questi casi con un meccanismo di segnalazione in tempi brevi ed una corretta presa in carico, non funziona molto bene.

È sicuro comunque che anche in provincia di Potenza i minori abusati sono sicuramente di più di quelli risultanti dalle denunce e che il dato registrato sia solo "la punta dell'iceberg" (117).

In queste zone, nei confronti dell'abuso sessuale sui minori, vi è sicuramente:

l'assenza di un raccordo tra figure istituzionali; una mancanza di attenzione al problema e di comunicazione con i giovani da parte delle

figure di riferimento familiari e scolastiche, che dovrebbero avere una funzione educativa e protettiva: le responsabilità primarie sono, infatti, della famiglia e della scuola ed esse rinviano poi ad un livello superiore di responsabilità, cioè manca nel sociale un'adeguata azione di sostegno nei confronti di genitori ed insegnanti.

una rimozione culturale e sociale dell'abuso sessuale (118): questo fenomeno sociale, di cui fino a qualche tempo fa poco si parlava, è oggi diventato un argomento molto discusso soprattutto dai mezzi di comunicazione di massa. Ma la reazione della società a tutto questo è stata quella della "rimozione" del problema (119).

In Basilicata ciò è stato ancor più forte: è presente una società che oscilla tra la sottovalutazione del fenomeno e l'attenzione agli aspetti più sensazionali e gravi del problema. La popolazione del luogo riconosce l'esistenza di tali situazioni e condanna il comportamento di abuso all'infanzia, ma lo relega in una "zona buia" dove si trovano bruti e maniaci: purtroppo invece tale fenomeno è presente nelle "persone normali" e può coinvolgere tutte le fasce sociali. L'atteggiamento da parte degli adulti nei confronti dei bambini, che comunicano o raccontano maltrattamenti o abusi, è di perplessità e di dubbio di fronte all'accaduto e parte dal presupposto che il minore può dire bugie e la sua testimonianza può essere dunque non attendibile. Tutto ciò è confermato anche dalla psicologa di un comune del Lagonegrese (Castelluccio Superiore), Caterina Cerbino (120):

Nei paesi come il nostro, che sono piccoli centri urbani, queste situazioni vengono viste dagli abitanti in modo scandalizzante, tanto che la drammaticità dei casi porta loro a non credere a ciò che viene denunciato: così è il bambino a diventare il colpevole.

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Sempre dai dati raccolti dalla Dott.ssa Basentini (121), psicologa presso il Tribunale dei Minorenni di Potenza, risulta che statisticamente, nella Regione Basilicata, sono più frequenti le molestie degli abusi e prevalgono le molestie extrafamiliari su quelle intrafamiliari (tab.2). Secondo la Dott.ssa (122):

Questo dato può essere casuale, ma può anche essere letto come una difficoltà, negata e sommersa, a far emergere l'abuso come evento intrafamiliare. Per il bambino abusato in famiglia, infatti, è oggettivamente difficile trovare il coraggio e la forza di denunciare, soprattutto poi se le figure parentali non abusanti assumono un comportamento connivente.

È dunque possibile che il dato numerico dell'abuso intrafamiliare sia condizionato, per difetto, da un forte atteggiamento omertoso e di negazione dell'ambiente familiare.

Molestie intra-familiari

Molestie extra-familiari

Abusi intra-familiari

Abusi extra-familiari

Totale

Minori molestati

Minori abusati

10 pari al 20,83%

16 pari al 33,33% 9 pari al 18,75% 13 pari al

27,08%26 pari al 54,16%

22 pari al 45,83%

Totale campione: 48 minoriTab.2: Gli abusi sessuali nella popolazione minorile della Regione Basilicata, 1998-2000

Altri dati, risultanti dalla ricerca (123) svolta dalla psicologa Basentini, sono quelli indicanti:

una netta prevalenza di minori abusati di sesso femminile (70,8%) rispetto a quelli di sesso maschile (29,16%);

ed una percentuale più alta di minori abusati nella fascia d'età 7-10 anni (56,25%).

Quest'ultimo dato dimostra:

che l'adulto abusante orienta i suoi interessi sessuali perversi prevalentemente verso il bambino in età prepuberale;

e che il bambino abusato di età inferiore ai sette anni ha meno possibilità di far emergere le sue esperienze di abuso, perché più fragile, meno maturo e quindi più condizionabile nel comportamento e nel mantenimento del segreto.

Purtroppo, dunque, la regione Basilicata soffre ancora di un notevole grado d'inadeguatezza in ordine all'apprezzamento e al trattamento del fenomeno, sia a livello sociale che istituzionale. Basti pensare che nella regione non sono ancora presenti associazioni che si occupino in modo specifico di queste problematiche, ma vi sono soltanto centri (ad esempio a Potenza vi è l'Associazione "Stella del mattino") che svolgono attività di assistenza ai minori, includendo tutti gli aspetti di bisogno che un bambino può avere: viene quindi apportata una risposta generica e non specializzata al problema e questo dimostra che non vi è un team di figure professionali competenti in materia. Un avvocato di un comune del Lagonegrese (Viggianello), Enzo Bonafine (124), sostiene che:

Il problema è dato dal fatto che, non verificandosi comunque un numero assoluto alto di casi di questi tipo, non è possibile neanche avere professionisti specializzati in materia. Probabilmente la situazione cambierà con il tempo, quando anche i servizi sociali ed istituzionali del luogo potranno aver registrato un numero maggiore di interventi a sostegno di casi di questo tipo, in modo da poter ottenere maggior esperienza al riguardo.

3.2 Una realtà diversa da quella milanese

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Le "grandi differenze" esistenti in questa realtà territoriale rispetto all'esperienza milanese, riguardo agli abusi sessuali a danno di minori, sono fondamentalmente in tre ambiti (125):

1. nello svolgimento dell'audizione del minore nel procedimento penale;2. nel colloquio che il minore ha con lo psicologo;3. e nell'origine di tale fenomeno

1) Nei Tribunali dei Circondariati di Provincia (come ad esempio nel Tribunale di Lagonegro, in provincia di Potenza) vengono svolte le fasi del procedimento penale precedenti e successive a quella in cui si ha l'interrogatorio del minore per mezzo dell'audizione protetta: quest'ultima viene svolta nel Tribunale per i Minorenni del capoluogo di regione (Potenza), in quanto esso è fornito di attrezzature adatte per tale audizione (anche se non è presente lo specchio unidirezionale ma soltanto un impianto di audio-videocamera). Le difficoltà che ne derivano vengono indicate dall'avvocato Amelia Gentile (126):

Questo comporta, naturalmente, un notevole aumento di tempi prima che il processo sia concluso ed anche un problema in più per il minore, il quale va adeguatamente informato per il cambiamento di città in cui si svolgerà il suo "colloquio" con il giudice.

Nelle altre fasi del procedimento, che si svolgono nei Tribunale del circondariato di provincia, è garantito comunque:

che il procedimento sia svolto a porte chiuse; ed il fatto che il minore non veda il suo presunto abusatore durante il procedimento

(escluso che per il primo processo di abuso sessuale ai danni di una minore, svoltosi nel 1997 nel Tribunale di Lagonegro, in cui non fu rispettata questa misura di tutela) (127).

Nella stanza delle udienze nel Tribunale per i Minorenni di Potenza si trovano: i giudici, il presunto abusatore e i due difensori (di difesa dell'imputato e del minore).

Il minore, affiancato da uno psicologo (o da un assistente sociale), che è fornito di cuffia-audio collegata con la stanza delle udienze, si trova in una diversa stanza in cui è predisposto un impianto di video-camera ed uno di registrazione. La videocamera trasmette le immagini nella stanza delle udienze e la cassetta della registrazione-audio (con la sbobinatura) verrà consegnata al Presidente del Tribunale che svolge la funzione di "filtro". In certe occasioni, se esso lo ritiene necessario, tale funzione è svolta da uno psicologo infantile. In tutti gli altri casi lo psicologo svolge quasi esclusivamente un'attività che consiste nel tranquillizzare il minore, ma le domande vengono poste a quest'ultimo dal giudice (128).

Il fatto che la funzione di porre le domande dei legali al minore sia svolta solo occasionalmente da una figura professionalmente più adeguata del giudice nel rivolgersi ai bambini (procedura normalmente adottata nei processi milanesi) denota come nella regione Basilicata vi sia maggiore difficoltà e minor competenza nello svolgimento di procedimenti penali per abuso sessuale a danno di minori. L'avvicinarsi o meno alla realtà milanese, infatti, dipende molto dalla sensibilità ed esperienza a questo tipo di procedimenti penali da parte del giudice che presiede il processo (129).

Inoltre, alcuni operatori legali di questo territorio non giudicano neanche positivamente la procedura adottata nei procedimenti milanesi e ne criticano il suo valore positivo; questo è ad esempio il giudizio espresso da un avvocato di un comune del Lagonegrese (Viggianello), Enzo Bonafine (130), che sostiene:

Questo metodo è, secondo me, proceduralmente illegittimo in quanto il giudice deve rinunciare ad avere un contatto diretto con il minore e deve affidarne la gestione allo psicologo. Ma l'esperienza di alcuni casi ha dimostrato come sia facilissimo per quest'ultimo convincersi fin dall'inizio, anche in buona fede, di una certa tesi (presa come presupposto) e portarla avanti, attraverso l'interrogatorio del minore, filtrando le domande secondo il proprio punto di vista e rinunciando così, anche involontariamente, a cercare la verità. C'è quindi il rischio di suggestione del bambino da parte di questa figura professionale.

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C'è però chi (131) ritiene che, anche se questo è sicuramente un rischio esistente, un interrogatorio svolto su bambini molto piccoli da un giudice, che non ha una competenza adeguata, ha un alta probabilità di causare danni nella loro sfera psicologica ed emotiva (132). E questo deve essere evitato assolutamente. Ma va ricordato che l'altro rischio gravissimo è quello che la valutazione da parte di uno psicologo, non abituato a svolgere processi penali, possa portare alla condanna di una persona innocente sulla base dell'interpretazione delle parole e dei silenzi di un bambino.

La possibilità che lo psicologo possa farsi coinvolgere emotivamente dalle parole di un minore può comunque, secondo alcuni (133), essere diminuita con una maggiore competenza ed esperienza in queste problematiche da parte di tale figura professionale (che purtroppo, però, in questa regione è carente) ed anche con il suo collegamento, come figura di riferimento, con tutti gli altri operatori che intervengono nel caso (134). È necessario, infatti, che si realizzi un "lavoro di gruppo" (135), dove vi sia collaborazione fra tutte le varie professionalità, che comporti una necessaria complementarità di ruoli, cosicché la figura dello psicologo non abbia in sé tutta la responsabilità del caso. Ed inoltre va ricordato che all'audizione del minore può partecipare anche il consulente di parte, che è nominato dalla difesa in funzione dell'effettiva realizzazione del principio della formazione delle prove in contraddittorio, il quale, anche se limitato nelle sue attività operative, può essere "espressione dell'altro punto di vista" della situazione e, quindi, risultare un utile elemento che aiuta lo psicologo che svolge l'audizione a non farsi coinvolgere troppo dai racconti del minore (136).

Ma nella pratica, in Basilicata, tutto questo non è presente (salvo la partecipazione all'audizione del consulente di parte nelle situazioni più complesse) e, probabilmente, le varie figure istituzionali non sono ancora pronte a svolgere un intervento "di squadra".

2) L'ascolto del minore da parte dello psicologo infantile consiste (137):

nel farsi carico e nel condividere la sua sofferenza in un clima emotivo intenso; e nell'individuare il linguaggio "privilegiato" dal minore per riuscire a porsi sul suo livello

e potergli così garantire una forte "vicinanza emotiva".

La psicologa Assunta Basentini (138) descrive tale attività come un'operazione piuttosto complessa:

Essa consiste nel ritrovare un po' la memoria dell'infanzia e della sofferenza vissuta dal minore abusato. È un'operazione di "cuore e di mente", che mette in gioco emozioni, sentimenti e strategie di comunicazione. Lo spazio d'ascolto del bambino può essere paragonato ad una scacchiera, i cui riquadri attendono di essere "occupati" con la parola, ma anche con il silenzio.

La Dott.ssa Basentini sostiene l'importanza del racconto spontaneo da parte del minore sull'accaduto, sulla sua infanzia, sui legami extra ed intrafamiliari; ma ritiene che importanti siano anche l'utilizzazione di linguaggi e supporti alternativi, quali il disegno, il mimo, le storie e l'uso di bambole anatomiche (139). Il problema è che, se nel capoluogo di regione (Potenza) queste attrezzature sono presenti, e quindi utilizzate, i centri urbani minori della provincia ne sono invece sprovvisti e, quindi, gli unici elementi a loro disposizione sono i test proiettivi e il dialogo (140). Questo preclude la possibilità sia di instaurare un "legame più forte ed amichevole" con il minore, sia di poter ottenere un numero maggiore di elementi di valutazione della sua testimonianza (141).

Di solito, di fronte alla segnalazione di un caso di abuso sessuale su un minore, la prima audizione del bambino avviene da parte dello psicologo del suo territorio di appartenenza. È così che, se questo è uno dei centri urbani della provincia, la raccolta della prima testimonianza del minore (che è una delle fasi più importanti dell'intervento) avviene con l'utilizzo soltanto di alcuni dei supporti utili per ottenere un adeguato numero di elementi su cui poter fare la valutazione del caso. E ciò può così portare ad un errore di valutazione a danno o del minore o del presunto abusante (142).

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3) A differenza della realtà settentrionale, dove i casi di violenza e abuso sessuale sono per la maggior parte legati alla perversione, al vizio o alla malattia mentale, nella regione Basilicata essi derivano sempre da una situazione di bisogno morale e materiale, in cui molte famiglie si trovano a vivere.

Tale situazione di difficoltà economica e degrado ambientale potrebbe (e dovrebbe) essere sostenuta dai servizi sociali, tanto da poter riuscire talvolta a prevenire anche molti di questi casi di violenza, che sono spesso la conseguenza a cui porta la realtà sociale in cui si trovano molti abitanti.

Quindi il caso oggettivo del reato compiuto è lo stesso in entrambe queste realtà, ma l'origine di esso è diversa (143).

3.3 Quale prevenzione?

Di fronte alla situazione che si presenta in Basilicata, in ambito di violenza e abuso sessuale a danno di minori, risulta essere necessario ed urgente definire strategie terapeutiche adeguate ed un sistema di difese sociali, entrambe inesistenti nel territorio, che sviluppino la prevenzione dell'abuso. Quest'ultima dovrebbe operare in vari ambiti:

1. realizzare un'educazione sessuale corretta e responsabile;2. definire programmi di politiche sociali;3. creare un contesto di "rete" di figure professionali;4. e sviluppare le capacità di ascolto e di dialogo con i minori.

1) Gli ambienti privilegiati per poter realizzare una giusta informazione sessuale nelle fasce della popolazione infantile e giovanile a rischio di disagio sono, sicuramente, la famiglia e la scuola (144). La realtà del territorio dimostra, però, come nessuna di esse adempia a questo compito in modo soddisfacente.

La ricerca (145) che ho svolto nella provincia di Potenza ha dimostrato, infatti, che è solo da questi ultimi anni che viene realizzata una campagna informativa sull'educazione sessuale in alcune scuole, in cui vi è la richiesta da parte del Capo d'Istituto, ma solo in alcune classi di esse, prese come campione (ciò, di solito, avviene solo dove vi è la presenza di ragazzi con situazioni disagiate dal punto di vista economico o sociale).

Questo tipo di iniziativa ha come unico obiettivo quello di far conoscere ai ragazzi (delle scuole superiori) l'esistenza di un punto di riferimento a cui rivolgersi in presenza di qualche problema: il consultorio familiare per giovani fino a 20 anni, presente nei centri urbani di modeste dimensioni della provincia di Potenza (146).

Ma tutto ciò non basta: l'educazione sessuale nella scuola deve essere in grado, attraverso gli esperti del settore, di fornire non solo un'adeguata conoscenza scientifica, ma anche una presa di coscienza morale ed emotiva della sessualità in genere, che deve essere sempre rispettosa dell'altro (147).

2) Un altro aspetto da realizzare dovrebbe essere quello di definire programmi di politiche sociali o piani regionali socio assistenziali per sostenere società più povere di altre, come questa.

Interessante è stata l'iniziativa del Presidente del Tribunale di Lagonegro (in provincia di Potenza), che ha definito nell'anno 2000, un protocollo direttivo (148) in base al quale gli assistenti sociali e i capi d'istituto delle scuole del territorio di sua competenza sono sollecitati a svolgere un'attività di controllo e d'ispezione sulle situazioni familiari dei propri concittadini e a segnalare eventuali situazioni di bisogno morale e materiale. Ma in esecuzione di tale direttiva, finora, è stata soltanto inviata a tutti i comuni del Lagonegrese una richiesta di segnalazione di eventuali situazioni di abuso sessuale nel proprio territorio. Infatti il giudice tutelare del Tribunale di Lagonegro, Antonio Di Sabato (149) afferma:

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Ancora non è stato registrato un alto numero di segnalazioni ma, avendo comunque definito una direttiva su tutto il territorio, speriamo che l'esecuzione prossima di essa, possa comportare col tempo un'attenzione da parte degli operatori sempre maggiore, cosicché si possa riuscire ad intervenire prima che certi fatti, drammatici come questi, possano accadere.

3) È necessario, inoltre, fornire il territorio della Regione di figure professionali, competenti in materia e volenterose di porsi di fronte ad un fenomeno così drammatico e complesso, che agiscano in un contesto di "rete" (150).

Bisognerebbe, infatti, riuscire ad istituire una rete di vigilanza della realtà territoriale attraverso gli operatori del settore, in modo da poter conoscere le problematiche sociali ed ambientali su cui dover intervenire prontamente. Devono essere coordinati ed ottimizzati i servizi e gli operatori presenti nella regione, in quanto in molte realtà locali non esistono o sono carenti dal punto di vista della quantità del personale e della professionalità. Gli operatori sociali devono trascorrere soltanto una minima parte del loro tempo lavorativo a determinare progetti con contenuti teorici: essi devono conoscere le carenze ed assenze dell'ambiente in cui operano, partendo dall'osservazione della vita di quartiere, perché dove non c'è conoscenza non c'è possibilità di intervento (151).

È inoltre necessario avere la consapevolezza che, di fronte ad un fenomeno come l'abuso sessuale a danno di minori, vi è l'esigenza di una risposta collettiva (152) da parte delle varie figure istituzionali che intervengono, essendo inutile (se non addirittura dannoso per il minore) qualunque isolato tentativo di attività personalistica.

Questo non implica, però, il fatto che deve comunque rimanere il rispetto di professionalità e competenze altrui. Tale aspetto è peraltro quello che deve essere "perfezionato" anche in quella realtà che viene presa da esempio riguardo a questa problematica: Milano (153).

4) Aiutare i genitori e gli educatori a sviluppare le capacità di ascolto e di dialogo con i minori e di condivisione dei loro problemi, cercando di essere vicini alle loro difficoltà (154), è "l'aspetto-base" di tutti questi propositi.

Bisogna far capire "ai grandi" che per aiutare i figli è necessario, talvolta, abbandonare i propri schemi mentali e l'autorità tipica di "genitori" per poter così ricordare le emozioni e le paure già provate da giovani e poter così capire le loro difficoltà. Essere attenti alla crescita di un figlio vuol dire, non solo fornirgli il necessario per vivere, ma anche accorgersi dei suoi cambiamenti o turbamenti, fornirgli una corretta educazione morale e culturale su tutti gli argomenti (non devono esistere questioni "di cui non si può parlare") e soprattutto è necessario che il genitore diventi per il figlio un punto di riferimento, a cui esso possa rivolgersi con fiducia (155).

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Capitolo VUna storia vera1. La storia di SaraNel 2000-2001 ho avuto la possibilità di seguire in prima persona la storia di una minore di 16 anni, Sara (chiamata in questo ambito con tale nome per poter così proteggere la sua identità) - che aveva denunciato il padre per abusi sessuali - e la vicenda giudiziaria conseguente (1).

Il fatto è emerso in conseguenza al fatto che il padre della minore il 14/10/1999 ha tentato di togliersi la vita, ingerendo della creolina, e per questo è stato ricoverato all'ospedale. I carabinieri del paese (della Basilicata) in cui vive Sara, informati dell'accaduto, hanno effettuato tutte le verifiche del caso ed hanno sentito, nell'immediatezza dei fatti, i familiari dell'uomo al fine di accertare le motivazioni di tale gesto.

È in quel momento che una delle figlie dell'imputato, Sara, in caserma, alla presenza del fratello Pietro, confida al maresciallo dei carabinieri la terribile verità che si nasconde dietro quel tentato suicidio: da anni il padre abusa sessualmente di lei.

Tutto è cominciato circa cinque anni prima (era il 1994), quando l'uomo, solo in campagna con la figlia Sara, ha avuto un rapporto sessuale con lei. Dopo questo episodio, molti altri se ne sono verificati con una cadenza quasi periodica, fino all'ultimo, avvenuto solo alcuni giorni prima, nella notte tra il cinque ed il sei di quel mese (ottobre), all'esito del quale la ragazza, esasperata, si è confidata con il fratello maggiore, Pietro, che in quei giorni era ritornato a casa dal luogo ove abitualmente dimora per ragioni di lavoro nel Nord Italia. È proprio costui che in quella circostanza riferisce al maresciallo di aver affrontato il padre, al quale aveva rinfacciato quanto appreso dalla sorella; l'uomo piangendo aveva implorato allora perdono minacciando, in mancanza, di suicidarsi.

Tali fatti sono riferiti dai due giovani senza difficoltà e ritrosie al maresciallo che cerca di superare l'imbarazzo e la reticenza di tutti i familiari, i quali tra "sguardi bassi" e "mezze parole" si sono nascosti dietro problemi quali il numero non indifferente dei figli o una malattia della pelle da cui l'imputato è affetto al fine di fornire una spiegazione dell'accaduto.

Nel corso dell'udienza ex art. 392 c.p.p. la minore ha rievocato gli abusi di cui è stata vittima, fornendo una ricostruzione dei fatti in contestazione lineare e priva di contraddizioni. L'imputato - in base a come lo ricorda Sara - era il padre-padrone, arbitro assoluto della vita della figlia, che doveva essere sempre lì pronta ad esaudire i suoi desideri e a prestargli assistenza continua, sulla quale l'uomo sfogava i propri istinti sessuali, non senza cercare nella ragazza una risposta alle sue insicurezze sul piano affettivo.

Sara ha ricordato che il padre aveva avuto con lei il primo rapporto sessuale nell'estate del 1994, quando i due erano soli in campagna. Fin dall'età di sei anni, infatti, era solita aiutare il padre nel pascolare e nel mungere gli animali. In quell'occasione suo padre, approfittando del fatto che la figlia dormiva in un letto accanto al suo, si introdusse di notte nel letto della minore e, dopo averle sfilato il pigiama e le mutandine, compì l'atto sessuale. Sara ha ricordato la sensazione di dolore fisico, il suo smarrimento, la sua iniziale incapacità di percepire con immediatezza il significato dell'accaduto (facilmente comprensibile in ragione della sua tenera età - all'epoca aveva soltanto undici anni) e il suo sconvolgimento che le impedì di alzarsi dal letto la mattina successiva. La sua ritrosia e l'imbarazzo nel rievocare certi particolari sono stati considerati dal collegio giudicante indici rivelatori della genuinità della sua deposizione.

La minore ha aggiunto che gli abusi, una volta ritornati in paese, si ripeterono in media circa due volte al mese, spesso nei momenti in cui la ragazza accudiva il padre che soffriva di asma.

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Ha inoltre rievocato il legame morboso con il genitore, il quale la chiamava in continuazione anche durane la notte per ricevere da lei assistenza, salvo poi approfittare della situazione mentre la moglie ed il fratellino più piccolo (che all'epoca aveva quattro anni) dormivano nel letto matrimoniale. Sara, in quelle occasioni, si tratteneva a dormire nel letto con i genitori ed il fratellino: durante la notte il padre abusava di lei sessualmente.

La madre, portatrice di handicap ed invalida al 75%, era una figura assente nella vita della minore e neppure comprendeva quanto accadeva intorno a lei. Era facile allora per il marito eseguire meccanicamente quegli atti frettolosi in modo che la donna non si accorgesse di nulla, approfittando del suo sonno e delle sue precarie condizioni mentali.

Sara, se all'inizio di tutta la vicenda era incapace di comprendere del tutto il significato di quanto accadeva, ha acquisito col tempo la consapevolezza della gravità dei comportamenti del padre ed ha cominciato a provare un naturale sentimento di ribellione e di protesta che è sfociato, in mancanza di una soluzione al suo dramma, in un comportamento autodistruttivo.

Gli abusi sessuali sono comunque continuati fino ad arrivare all'ultimo episodio di violenza verificatosi nella notte tra il 5 ed il 6 ottobre 1999, quando l'uomo è entrato nella stanza dove dormiva la figlia, si è infilato nel suo letto, l'ha immobilizzata, le ha messo la mano sulla bocca per impedirle di gridare ed ha abusato sessualmente di lei usando la forza. È probabilmente in questo momento che in Sara è nata la determinazione di confidare il proprio dramma ad una persona fidata quale il fratello Pietro.

Infine il 9 ottobre il padre, dopo averla seguita per strada, ha aspettato che la ragazza rientrasse nell'abitazione per malmenarla accusandola, accecato da una folle gelosia, di andare in giro alla ricerca di altri uomini. Probabilmente anche questo episodio ha dato a Sara la forza di parlare: essa, esasperata, si è difesa minacciando il padre di raccontare tutto al fratello maggiore ed allora inutili sono state le parole dell'uomo che ha cercato di farla desistere da quel proposito. La ragazza era determinata, il padre lo ha compreso e per questo si è allontanato per due giorni da casa.

Sara finalmente si è confidata con Pietro, anche se all'inizio è prevalso in lei il pudore e la vergogna, che le hanno impedito di dire subito tutto al fratello ritornato a casa: si è limitata dunque ad accennare all'ultimo episodio di violenza cui è stata vittima. Egli ha avuto una reazione immediata e ha affrontato il padre da solo, mentre la ragazza si trovava al di là della porta e sentiva ogni parola: gli ha rinfacciato di aver abusato di una bambina, ha chiesto (forse più a se stesso) come ciò sia stato possibile ed è rimasto sconvolto alle parole dell'uomo, il quale dinanzi al figlio maggiore, deluso ed incredulo, non ha fatto altro che dire: "Mi dispiace".

La ricostruzione dell'episodio resa dalla minore trova riscontro nelle dichiarazioni del fratello (sentito all'udienza del 23/05/2001). Quest'ultimo però, se nell'immediatezza dei fatti, ha ricordato che il padre chiedeva perdono di fronte alle accuse mossegli dalla figlia, in dibattimento ha negato questo particolare, affermando che l'uomo, di fronte a tali accuse, aveva taciuto ed era andato via. Tale comportamento è stato considerato dal collegio giudicante come un «maldestro tentativo di difendere il padre, cercando di screditare la veridicità delle affermazioni della sorella, colpevole, secondo lui, di aver avuto rapporti sessuali con un ragazzo a lui inviso perché albanese, e per ciò solo non meritevole di fiducia e di considerazione, allorquando riferisce degli abusi subiti dal padre».

Sara è stata accusata anche dalla sorella Ilaria (sentita all'udienza del 23/05/2001) di quanto stava accadendo, perché essa riteneva che gli effetti negativi della vicenda si sarebbero riverberati sui fratelli piccoli, che ora invece dovevano essere accuditi. Ilaria ha così proposto di risolvere il problema facendo risultare che Sara si era inventata tutto e che la stessa aveva avuto in effetti rapporti sessuali solo con il proprio ragazzo. Ma questo è stato un atteggiamento secondario, in quanto nell'imminenza dei fatti anche lei (come il fratello Pietro) ha sostenuto Sara, anche se dopo ha negato il tutto.

Questo è stato anche l'atteggiamento dei suoi familiari, i quali durante le indagini preliminari hanno cercato di convincere la ragazza dell'opportunità di ritrattare le accuse ed in

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dibattimento hanno cercato di fornire l'immagine di una famiglia serena colpita, purtroppo, dalla "sciagura di una figlia impazzita".

Tra i vari motivi che stanno alla base di tale comportamento ci sono sicuramente lo sconvolgimento che le rivelazioni di Sara hanno determinato all'interno del suo nucleo familiare, la vergogna, la paura, lo scandalo e l'emarginazione che sicuramente avranno assalito i suoi familiari. La volontà di salvare l'onore della propria famiglia si è dunque tradotta inevitabilmente nel rifiuto di sostenere Sara in questo momento per lei difficile e nell'abbandonarla sola nella sua disperazione. È stata così proposta una figura della ragazza come una "fredda calcolatrice" che, pur di soddisfare il proprio egoistico desiderio di stare con il proprio ragazzo, si è vendicata del padre rivolgendogli accuse infamanti. Una forte difesa in questo senso dell'imputato è emersa anche dalle parole della figlia Ilaria che dichiara di non aver creduto alle parole della sorella Sara con l'unica giustificazione che il padre non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Il collegio giudicante ha però notato la sua sofferenza nel ricordare certi fatti, la sua volontà di cancellare certi ricordi, di autoconvincersi che quella realtà, così atroce ed inaccettabile, non poteva essere vera.

Va notato come di fronte alle dichiarazioni tra loro contrastanti dei familiari dell'imputato, vi sono quelle specifiche, dettagliate e coerenti della persona offesa, più volte ribadite nel corso dell'incidente probatorio. Il racconto di Sara non è apparso al collegio giudicante «l'ordito di una trama freddamente calunniosa, ma è tratteggiato da sofferenza per lei e per i suoi familiari; inoltre non è dato cogliere in esse alcuna espressione di rancore, di odio nei confronti del genitore». Tali parole hanno anche ottenuto riscontri sia dalle ulteriori risultanze probatorie, sia dalle perizie mediche e psicologiche svolte sulla minore.

In base alle consultazioni che ho svolto riguardo a questa vicenda, ho riportato cronologicamente gli atti relativi ad essa più significativi per poter comprendere il caso, e dunque:

la perizia medico-ginecologica del 28/10/1999; le osservazioni sulle condizioni psicologiche della minore del 6/12/1999; l'interrogatorio dell'imputato (padre di Sara) del 7/12/1999; l'incidente probatorio della minore del 7/02/2000, che ho commentato; l'interrogatorio della sorella di Sara, Ilaria, del 23/05/2001; l'interrogatorio della psicologa della minore del 23/05/2001; l'interrogatorio della zia di Sara dell'11/07/2001; e la sentenza del procedimento penale del 14/11/2001.

2. La perizia medico-ginecologica28/10/1999 ore 10.00 - Chiaromonte (Potenza)

Dott. Michele Strippoli - Primario dell'U.O. di Ostetricia e Ginecologia all'A.S.L. nº3 del Lagonegrese

Il CTU ha dovuto effettuare una visita ginecologica sulla minore (accompagnata dalla sorella) allo scopo di:

verificare eventuali segni di deflorazione e se la stessa è usa al coito; verificare la presenza di violenze psico-fisiche subite; procedere ad eventuali altri accertamenti diagnostici necessari.

Obiettivi specifici della perizia

Accertare un'eventuale deflorazione dell'imene e possibilmente datare l'attività sessuale;

identificare lesioni che possono essere trattate e curate; raccogliere campioni orali e vaginali, che possono avere rilevanza legale;

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compiere uno screening riguardo a malattie sessualmente trasmesse e ad una eventuale gravidanza;

rassicurare la vittima rispetto al suo stato di salute e spiegarle che non è stata lesa fisicamente in modo grave;

valutare lo stato mentale ed emotivo della vittima.

Nell'esecuzione degli accertamenti clinici e strumentali atti a valutare i quesiti posti, è stata tenuta in conto la storia della vittima e sono stati seguiti i suggerimenti tratti dalle "Linee guida del Committe on child Abuse and Neglect" del 1991. Tale Committe delinea il grado di certezza dell'abuso sessuale dei minori attraverso una prova conclusiva di abuso sessuale (presenza di sperma) ed una prova suggestiva di abuso sessuale (abrasioni e contusioni dell'interno delle cosce, dei genitali, cicatrici, lacerazioni o rottura dell'imene, cicatrici o lacerazioni delle piccole labbra, ecc.).

Nel visitare la paziente saranno ricercati gli indicatori di abuso sessuale secondo gli indicatori di tali linee guida.

Sono indicatori non specifici di abuso sessuale quelle condizioni, spesso rilevate minori, che non indicano abuso sessuale ma che possono essere suggestive di abuso se confermate da altri fattori. Ad esempio: la presenza di condilomi, edema dell'imene, infiammazione della vagina (specie se il quadro è accompagnato da dolorabilità), adesione delle grandi labbra, restringimento dell'imene.

Sono invece indicatori specifici di abuso sessuale quelle condizioni che permettono di avere certezza di abuso sessuale. Ad esempio: lacerazione dell'imene della vagina, attenuazione dell'imene, restringimento o appiattimento, grave arrotondamento del margine dell'imene, vascolarizzazione.

Infine sono indicatori conclusivi di abuso sessuale quelle condizioni che indicano che l'abuso sessuale è avvenuto con certezza nei minori al di sotto dei dodici anni, in quanto in soggetti più grandi di età potrebbero essere condizioni che indicano un'attività sessuale. Ad esempio: neisseria ghonorrea, gravidanza, presenza di sperma, HIV.

La visita della minore

Nella fase preliminare il ginecologo ha parlato con la minore dapprima di argomenti neutri e per lei comunque interessanti: la scuola, lo sport, i suoi hobbies. Creatosi un rapporto di fiducia, Sara ha cominciato a raccontare gli aspetti più confidenziali, in particolare ha parlato dell'amore che prova per un suo coetaneo: bello, sportivo, tenero e gentile. "Al suo lui vuole un gran bene" e ha detto che non lo lascerà nonostante le minacce del padre che le proibisce di vederlo. Ha parlato di suo padre come se fosse un "padrone". A questo padre però vuole bene, nonostante spesso si ubriaca e maltratta tutti. Comanda soltanto lui e sia lei che le sorelle devono ubbidire. La madre è come se non esistesse: non è capace di fare molto, è distaccata dai figli e ubbidisce religiosamente al marito. Sara deve sostituirla in tutto e di questo ruolo appare alquanto contenta. Alla domanda "Sai cos'è un rapporto sessuale?" ha risposto senza esitazione "Sì". Alla domanda più specifica "In cosa consiste?" ha risposto con rossore e alzando le spalle dicendo: "Fare l'amore".

Dopo aver accertato che tra la minore e il ginecologo si era instaurato un clima di fiducia, è stato illustrato a Sara tutto l'iter diagnostico, spiegando l'uso di determinati strumenti (come lo speculum, l'ecografe), rassicurandola che durante la visita non avrebbe mai avvertito alcun dolore. Ottenuto il consenso a poterla sottoporre ad accertamenti diagnostici, si è passati alla fase esecutiva.

Fase esecutiva

Anamnesi familiare:

padre vivente di buona apparente salute, beve spesso e molto; madre affetta da esaurimento nervoso ("Prende molte medicine per il nervoso di cui

soffre");

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anamnesi personale remota: non ricorda di aver avuto i comuni esantemi dell'infanzia, fatta eccezione per alcuni episodi influenzali, afferma di essere stata sempre bene; normale l'iter scolastico, non beve e fuma qualche sigaretta di tanto in tanto.

Anamnesi personale prossima: dichiara di avvertire spesso dei dolori al basso ventre, specialmente durante i rapporti sessuali, ("Qualche volta un senso di bruciore giù"); mentre racconta sulle modalità dei rapporti sessuali, si ha la sensazione che essi siano vissuti dalla minore come degli atti dovuti, dovendo sostituire la madre.

Terminata la raccolta anamnestica, si è proceduto all'esame obiettivo generale e successivamente a quello ginecologico.

Esame ginecologico

Nell'ispezione clinica di tale zona non sono stati osservati elementi patologici. La ricerca di eventi sessualmente trasmessi ha dato esito negativo. L'ecografia fatta ha escluso una gravidanza in atto ed ha confermato la presenza di una neoformazione cistica di cm 6x6.

Terminata la visita, alla minore è stato consigliato di contattare un ginecologo di fiducia per le cure del caso.

Considerazioni

Dall'anamnesi comportamentale della minore il ginecologo ha potuto trarre le seguenti conclusioni. Il contesto familiare in cui è nata e cresciuta e quello tipico della famiglia monogenitoriale:

il padre è il "patriarca egocentrico", fa uso eccessivo di alcol, è insicuro ed insensibile al rifiuto della figlia al quale reagisce con un comportamento rabbioso e dominante, considera il coniuge e i figli come oggetti di sua proprietà, usa la violenza e l'intimidazione per gratificare le proprie esigenze emotive e si rivolge verso la figlia ed abusa mediante atti impulsivi e per intimidazione.

La madre, assente e distaccata, appare impotente e dipendente; è a conoscenza dei fatti, ma non riesce a proteggere la figlia, anzi sembra che spinga i figli ad essere sottomessi al padre-patriarca per evitare guai e per ottenerne il silenzio.

La vittima è cresciuta in un ambiente in cui non vi è stata comunicazione affettiva e ciò l'ha portata ad una carente regolazione del proprio livello di attrazione emozionale, al negativismo, all'incoerenza, all'imprevedibilità, all'impudenza e, in particolare, mostra elevati livelli di affetti negativi e scarse emozioni positive.

Quando parla del proprio genitore prima lo disprezza, poi lo esalta, quasi lo difende e considera la cosa quasi normale: si ha l'impressione che l'abusatore incestuoso abbia tentato di convincere la vittima che è lei a "gradire" il rapporto, spingendola a negare il proprio imbarazzo e il forte disagio nei confronti di quanto accade. I suoi sentimenti più profondi sono stati negati e reinterpretati in funzione dei bisogni del suo abusatore, ma si risvegliano quando parla del suo nuovo amore: un suo quasi coetaneo che ha incontrato andando a scuola. Stimolando questo suo fisiologico sentimento giovanile, compare un'emozione positiva.

Descrive il padre che, per puro egoismo, proibisce questa relazione, come un uomo piuttosto inefficiente, aggressivo, soggetto a bere molto, lavorare raramente e ad essere ossessionato dal sesso.

Racconta, anche se con velato imbarazzo, della relazione con il padre e in che modo il papà la toccava, ed alla domanda "Ti rendevi conto che faceva cose che non doveva fare?" risponde "Sì" ma con un atteggiamento dubbioso.

Conclusioni

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Dall'analisi e dall'esame obiettivo dei genitali, il ginecologo Strippoli ha dedotto che la minore ha avuto rapporti sessuali sicuramente vaginali e con molte probabilità anche anali.

L'inizio di tale attività, che è stata sicuramente frequente per le caratteristiche dell'imene e della zona anale e perianale, è stata da lui datata con un buon margine di approssimazione a circa tre anni prima del momento dell'accertamento.

La perizia medico-ginecologica inoltre conclude che lo sviluppo psichico della giovane corrisponde all'età evolutiva dei 15 anni, essendo ella dotata di un grado di intelligenza che, se anche soffocato dalle condizioni ambientali e socio-culturali in cui cresce, è da considerare nella norma. La sua psiche ha indubbiamente subìto un trauma, che l'ha condannata a fare i conti in futuro con la propria memoria (dal momento che quest'ultima sarà la mediatrice principale degli effetti della vicenda sulla sua vita personale e sui successivi eventuali esiti).

3. Osservazioni sulle condizioni psicologiche della minore06/12/1999 - Psicologa Assunta Basentini del Tribunale per i Minorenni di Potenza

La psicologa, su richiesta dell'autorità giudiziaria, ha fatto un'osservazione relativa alla condizione psichica della minore.

Il 12/11/1999, presso gli uffici della Procura di Lagonegro (PZ), è stata fatta un'audizione in cui Sara è stata invitata a confermare le proprie dichiarazioni fatte il 15/10/1999 (quando denunciò il padre per gli abusi sessuali subìti). Tale fase è risultata particolarmente complessa per le condizioni psicologiche della ragazza, che è apparsa agitata, confusa e spaventata. Par alcune ore la minore ha assunto un comportamento verbale ambiguo, affermando di aver dichiarato il falso rispetto agli abusi, per vendicarsi del padre geloso e possessivo. Nel corso dell'audizione ha poi manifestato una notevole sofferenza, con un tono dell'umore instabile e tendenzialmente depresso, associato a sentimenti di paura a rilevanza clinica. Ha così raccontato di aver paura della sorella Ilaria e del fratello Pietro, dai quali sarebbe stata ricattata e costretta a ritrattare quanto denunciato, per consentire al padre di rientrare in famiglia, evitando lo scandalo nel paese. Sara sarebbe stata addirittura redarguita dalla sorella Ilaria, che le avrebbe attribuito un comportamento consapevole e consenziente nei fatti denunciati.

La ragazza, in uno stato di evidente prostrazione, ha chiesto di essere allontanata dalle figure parentali, dalle quali si è sentita rifiutata e colpevolizzata di aver rovinato l'equilibrio del nucleo famigliare. La dinamica relazionale dell'intera famiglia ha confermato la struttura paradossale della stessa, caratterizzata da messaggi e comportamenti omissivi ed omertosi, tendenti a negare la realtà per salvaguardare l'immagine di normalità.

Secondo la psicologa Basentini la permanenza in famiglia della minore dopo l'arresto del padre ha determinato, nella sua struttura già fragile e compromessa per le violenze subìte, una rischiosa condizione emotiva, che potrebbe avere gravi ripercussioni sull'equilibrio affettivo e sull'identità della stessa.

La Dottoressa ha affermato che lo stato psicologico di Sara, che ha poi confermato la violenza del padre, è caratterizzato dalla presenza di elementi nevrotici di origine traumatica con nuclei di ansia ed angoscia generalizzati, che sfociano in persistenti disturbi del sonno (insonnia iniziale e tardiva) con frequenti incubi notturni. La minore, collocata provvisoriamente presso un istituto di Potenza (...), ha dunque bisogno di uno specifico trattamento terapeutico e di un contesto relazionale rassicurante e protettivo.

4. Interrogatorio del padre di Sara7/12/1999 - Procura della Repubblica di Lagonegro (PZ)

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PM = Lei sa che è qui in qualità di imputato perché le viene contestato di avere abusato sessualmente di sua figlia Sara per un periodo che è durato più o meno 5 anni?

Imputato = Ma questo non è vero niente.

PM = Un attimo: adesso io le dico le cose e poi ne parliamo. Nell'invito che le è stato recapitato sono anche state indicate le fonti di prova a suo carico, cioè le dichiarazioni accusatorie che sono state rese da sua figlia Sara in data 14/10/1999 davanti ai Carabinieri ed anche le dichiarazioni che sono state rese dal fratello Pietro (anch'esso suo figlio). Inoltre le nuove dichiarazioni che sono state rese da Sara davanti all'autorità giudiziaria, cioè al pubblico ministero nella mia persona, in due occasioni: il 21/10 e il 21/11. Poi c'è stata una relazione medico-ginecologica del 29/10/1999 che a livello fisico ha riscontrato nella persona di sua figlia l'abitudine alla consumazione di atti sessuali con penetrazione. Adesso lei è qui presente per rendere interrogatorio. Ha facoltà di non rispondere alle domande che io le farò: vuole avvalersi di questa facoltà o intende rispondere?

Difesa = Tu dici le cose come stanno, poi...

I = Io intendo rispondere.

PM = Intende rispondere, va bene. Mi racconti, allora, i fatti come stanno.

Difesa = Quello che hai detto. Ripeti le stesse cose.

I = Il fatto è che io non ho commesso niente, questo è. Io non ho commesso niente. Io sto in galera e non so niente.

PM = Ma...mi scusi...come è nata questa storia? Lei ha tentato di suicidarsi?

I = Sì.

PM = Bevendosi la creolina, è vero?

I = Sì.

PM = Sono venuti i Carabinieri a chiedere perché lei aveva tentato di suicidarsi; hanno fatto delle indagini e da esse è emerso che lei abusava sessualmente di sua figlia Sara. Sua figlia ha poi dichiarato.

I = Lei può dichiarare tutto, però la cosa non è vera.

PM = Lei si è inventata tutta questa storia, dunque?

I = Si è inventata perché io...stava con un albanese ed io con questo qua non volevo per nessun motivo.

PM = Ho capito. E voi perché avete cercato di suicidarvi bevendo la creolina?

I = Che lei mi disse "Tu ti puoi anche ammazzare, tu puoi fare quello che vuoi tu a me!", che mettiamo che stava insieme con questo.

PM = Cioè...voi avete bevuto la creolina perché...non ho capito.

I = Per suicidarmi, per non sentirla e non vederla più davanti.

PM = Vostra figlia?

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I = E certo, dice una cosa del genere!

Difesa = Lui parla in dialetto. Voleva dire che quando lui ha ostacolato questo fidanzamento, questa tresca...in sostanza la figlia ha detto: "Tu ti puoi anche suicidare, ma io non lascio quell'albanese". È vero? (Si rivolge verso il suo assistito).

I = Sì.

PM = Allora...qui è però necessario capirci perché vede...vostra figlia dice una cosa e voi ne dite un'altra. Vostra figlia ha reso di fronte a me delle dichiarazioni molto precise e puntuali. E prima ancora è stata anche sentita dai Carabinieri che hanno fatto l'informativa a me. Inoltre ho sentito nuovamente vostra figlia in presenza di una psicologa e di un altro pubblico ministero e la ragazza ha confermato le sue dichiarazioni e quanto detto, cioè ha confermato di aver subito degli abusi sessuali da parte vostra già dall'età di 10 anni, per cui io vi invito, se volete che la vostra posizione sia chiara, a dire la verità perché facendo così non mi state aiutando.

I = Io sto dicendo la verità.

PM = E qual è questa verità, fatemela capire.

I = È questa.

PM = E qual è? Ditela.

I = Che non è successo niente. Io non ci avevo a mia moglie, non ci avevo mica la figlia. La figlia l'avevo fatta mettiamo...che la dovevo violentare?!

PM = Ma l'ha detto vostra figlia tutto questo, non l'ho detto io.

I = Sono quattro femmine, non una.

Difesa = Lui vuol dire che ha sei figli, quattro femmine e due maschi.

PM = Allora spiegatemi tutto. Voglio sapere in maniera precisa: perché avete cercato di suicidarvi; quando avete appreso dell'esistenza di questo fidanzamento tra vostra figlia e il ragazzo albanese; e perché vi opponevate a questo fidanzamento.

I = Perché ce ne sono tanti italiani, si deve prendere uno così che non sa da dove viene e che razza viene, ce ne è tanta gente italiana e per uno del genere si è subito legata, uno di 11/12 anni...che l'andava aspettando?

PM = Va bene, ...voi eravate contrario al fidanzamento?

I = L'andava aspettando in tutti i posti.

PM = E quando avete appreso che vostra figlia era fidanzata con questo ragazzo, quando l'avete saputo?

I = Tra il 1994 e il 1995. Lei dice che sono due o tre anni che è fidanzata, ma poi quando si è scoperto era il 1995. Ha conosciuto questo con un borsellino che era cascato in terra.

PM = Allora, cerchiamo di andare avanti. E voi che avete fatto?

I = Poi ho fatto che...mio figlio non c'era, era sopra che lavorava al Nord e allora io una sera dovevo andare da mia sorella che abitava in campagna e lei dice "Papà, vengo pure io!" ed io"Che devi venire a fare...chissà quanto mi trattengo", "No - dice - vengo pure io". Per la

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strada mi dice che mi deve raccontare un fatto. Forse non avevamo camminato neanche 500 metri ed eravamo alla fine del paese; era la fine di novembre del 1995. Allora insisto la prima volta, insisto la seconda volta e quella però non me lo voleva più dire. Siamo arrivati da mia sorella, forse sono 3 Km o 3 km e mezzo, e non me l'ha detto e al ritorno le ho detto: "Adesso me lo devi dire questo fatto". "No, adesso mi sfugge" ha detto lei. Quando appena abbiamo passato l'istituto agrario vediamo una moto dietro.

PM = ...Sì va be'...ma lei vi ha detto che era fidanzata con questo ragazzo?

I = ...Allora vediamo una moto dietro e lei dice: "Papà, ti fai raggiungere dalla moto dietro. Vedila che moto!" faceva lei...e allora dico: "Io mica devo fare la corsa, che devo fare la corsa con la moto?! Se vuole passare, passa". E continuava a dire che mi doveva dire, mi doveva dire. Allora io non l'ho visto questo in faccia chi era, che non lo conoscevo neanche. Dal ritorno da mia sorella lei ha cominciato a dirmi questo fatto e me l'ha detto...ma me l'ha detto che la cosa che doveva vedere il fratello sennò io non lo scoprivo, perché la mattina mi alzavo presto e la sera tornavo tardi, mica potevo andare a vedere lei dove andava e dove non andava.

PM = Sì, ho capito. Allora nel 1995 avete saputo che vostra figlia frequentava questo Ruly ma voi non potevate controllarla perché andavate in campagna. Ma io so che in campagna - in base a quanto dice vostra figlia - vi accompagnava a volte anche lei, quando voi andavate a guardare gli animali.

I = ...E che doveva venire a fare! Io "stavo a padrone"!

PM = Sì, ma vostra figlia vi ha accompagnato in campagna a guardare gli animali? Ma prima...prima...voglio dire intorno al 1994-1995 vi accompagnava? Perché lei ha riferito che è capitato qualche volta quando aveva 10 anni: è così?

I = Sì.

PM = Allora voglio sapere una cosa: vostra figlia...voi dite che nel 1995 si è fidanzata con Ruly, cioè ha cominciato a frequentare questo ragazzo?

I = Nel 1995 io l'ho saputo.

PM = Ok nel 1995 voi l'avete saputo. Che cosa è accaduto dopo?

I = È avvenuto che il fratello le diede due schiaffi.

PM = ...Sì ma voi perché avete tentato di suicidarvi? Vi siete bevuto la creolina, che è veleno, perché?

I = E...perché...lei ha detto "Tu ti puoi uccidere, ...ti puoi...perché la felicità...".

PM = Eh be' ...vostra figlia dice "Tu ti puoi anche uccidere, tanto io non lo lascerò mai Ruly": ho capito bene?

I = Sì.

PM = E voi veramente vi siete bevuto la creolina?

I = E a questo punto...tu fai una figlia grande e poi in casa sparla, sparlava...capito?!

Difesa = Di' quando l'hai trovata sul fatto e quando non li hai trovati sia all'istituto agrario, che dietro le case rosse, ...così come hai detto l'altra volta. Di' la verità perché questa mattina sono decisive le tue parole.

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I = Mica solo io li ho visti! Li ha visti anche la zia, ...mica solo io! Io quando li ho visti, lui aveva la cerniera aperta ed era così come siete...

PM = Sì ma quando è successo che avete visto vostra figlia insieme con questo ragazzo?

I = Un paio di mesi fa li ho visti sotto una scala.

PM = E dopo che li avete visti avete cercato di suicidarvi?

I = Eh sì.

PM = Quindi sarà successo verso luglio-agosto.

I = Sì.

PM = Ma la cosa da capire è questa: voi non volevate che vostra figlia frequentasse Ruly perché era albanese, era disoccupato e per una serie di altri motivi - e questo si è capito - e quindi vi siete opposto a questo fianzamento. Voi però dopo avete tentato di suicidarvi e poi, nell'imminenza dell'accaduto, vostro figlio Pietro ha riferito ai Carabinieri che la sorella Sara gli aveva raccontato di aver subìto abusi sessuali da parte vostra, di cui uno una settimana prima rispetto a quando cercaste di suicidarvi. Lui ha raccontato di essere venuto da voi, prima del tentato suicidio, e di avervi rimproverato; ha detto poi che voi siete scoppiato in lacrime e che gli avete confessato tutto, dicendo che era vero e chiedendogli perdono. È vero tutto questo?

I = No che non è vero! Lo dice solo lui e la sorella!

PM = E perché i vostri figli dovevano dire delle sciocchezze?

I = Io non lo so perché l'ha inventate lei.

PM = Sì, allora voglio farle sapere con chiarezza che Sara ha raccontato che il primo abuso sessuale voi l'avete compiuto su di lei quando aveva 10 anni ed è successo in campagna, quando eravate solo voi e lei. Poi dopo che gli altri rapporti...

I = Ma quella...ci stava sempre mio figlio e c'era sempre mia moglie in campagna...come potevo abusare?

PM = Ma sia suo figlio, che un'altra delle sue figlie femmine hanno riferito di questi abusi. E Pietro ha riferito ai Carabinieri che voi quella sera vi siete messo a piangere e avete confessato, che avete chiesto perdono più volte e che lui non vi ha parlato per diversi giorni. Questo è tutto inventato?

I = Sì.

PM = Allora vuole dirmi lei le cose come stanno?

I = Io non ho commesso niente, signor giudice!

PM = Va be'...allora perché vostra figlia si è inventata tutte queste cose?

I = Se le è inventate per stare con quello! ...Non solo con quello, c'è pure altra gente, io lo so questo... Signor giudice, io non...

PM = Volete sentire che cosa ha detto vostra figlia?

I = Sì: ...ma, signor giudice, lei mi vuole vedere in galera per la gioia di quello, lo volete capire o no? Io apposta mi volevo uccidere per non sentire proprio questo dispiacere qua! ...Dovevo

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andare a finire in galera! Se adesso sto in galera, mi deve finire di uccidere!! Una figlia che ti fa in questo modo... Soffro già di malattia, soffro fisicamente di asma, psoriasi, bronchite, polmonite, crisi depressive.

PM = Vostra figlia ha raccontato che nell'agosto del 1994 voi due eravate da soli in campagna.

I = E...Pietro non c'era?!

PM = L'ha detto lei che il fratello Pietro non c'era.

I = Ma come...non c'era Pietro?!

PM = Io le sto dicendo quello che ha riferito Sara. Voi poi eventualmente date la vostra versione dei fatti. Lei ha raccontato che in quell'occasione, una notte, voi vi siete introdotto nel suo letto e avete abusato di lei, levandole il pigiama; lei era piccola (aveva 10-11 anni) e dice di non essersi neanche resa conto di quello che era successo. Poi ha detto che successivamente l'avete fatto sistematicamente, almeno due volte al mese a casa.

I = ...Ma se una figlia ti dice "Ti puoi uccidere o ti faccio uccidere", che ti aspetti più? Io perciò devo capire...perché o mi uccidevo io o mi faceva uccidere.

PM = Ma voi non dovete né uccidervi, né dovete uccidere. Dovete stare tranquillo e dire la verità dei fatti. ...Voi dormite con vostra moglie?

I = Sì certo, sempre. E con chi devo dormire?!

Difesa = Nei nostri paesi, di solito, marito e moglie e i maschi dormono in una stanza, mentre le femmine in un'altra, se non ci sono le camere da letto per tutti.

PM = Va be' ...quindi i vostri figli maschi e femmine dove dormono?

I = In due diverse camere da letto.

PM = E Sara con chi dorme?

I = Nella camera con le sue sorelle.

PM = Vostra figlia ha raccontato che almeno due volte al mese, dopo l'episodio avvenuto in campagna, voi abusavate di lei a casa. Ha detto che lei vi portava l'acqua a letto e che si addormentava vicino a voi. Ha inoltre riferito che è avvenuto un altro rapporto sessuale completo nella camera da letto dove dormiva Sara con le sue sorelle: lei ha detto che voi vi siete infilato nel suo letto, le avete levato il pigiama e avete avuto con lei un rapporto sessuale con la forza.

I = Non è possibile!!! Ci stavano pure gli altri e c'era anche mia madre che aspettava il nipote che doveva salutare.

PM = Ma perché sua figlia si dovrebbe essere inventata tutto questo?

I = Per questo: ...per quello!

PM = Cioè...per continuare a vedere Ruly?

I = Sì, certo.

Difesa = Sì ...ma tu devi dire la verità! Racconta di quando li hai trovati e dove.

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I = Dalle sorelle sentivo di questo albanese ma credetti perché Sara aveva giurato di fronte a me, a mia moglie e alle sorelle che non l'avrebbe più rivisto. Per questo io stavo tranquillo. Poi mi diceva che si era fidanzata con un altro. Senonchè erano tutte bugie, frequentava sempre quello e diceva che non c'era qua. Poi il giorno 14 luglio, quando morì il mio patrigno, così all'improvviso, Ruly, il ragazzo, è venuto.

PM = Sì...abbiamo capito che vostra figlia è innamorata di questo ragazzo.

I = Ma che se ne deve fare...che se ne deve fare!

PM = Ma...questo non è un giudizio che possiamo discutere qui. Il punto è che tra i due ragazzi c'è una relazione e si vogliono bene. Sara dice così. Ruly è stato sentito davanti al Tribunale per i minori ed ha dichiarato di essere innamorato di vostra figlia e di aver consumato con lei anche dei rapporti sessuali. Ha detto che la prima volta è successo nel giugno del 1999 e che prima non era mai successo. Quindi se questa versione fosse vera, sareste stato voi il primo ad avere rapporti sessuali con Sara.

I = Signor giudice...se ha avuto abusi sessuali l'ha avuti con quello! E questo io non lo sapevo, lo sento adesso da voi. ...Mia figlia non mi vuole bene perché mi fa stare dentro il carcere. Questa è la sua soddisfazione, che mi fa stare in carcere per avere rapporti con quello! E mia figlia forse a 10 anni già l'ha fatto la prima volta: l'ha fatto con gli altri! Signor giudice, queste sono tutte bugie, perché io qua mi hanno...

PM = Ascoltatemi: tutto questo non l'ha detto soltanto vostra figlia Sara, ma anche vostro figlio Pietro e l'altra vostra figlia Ilaria. È vero che adesso sia Ilaria che Pietro stanno prendendo le vostre difese, ma hanno raccontato che Sara ha riferito loro di aver subito abusi sessuali da parte vostra. Sara ha detto poi che Pietro è venuto da voi e vi ha detto: "Papà, ma che fate? Abusate di Sara?". Voi confermate questa circostanza?

I = Sì, lui me l'ha detto ed io gli ho risposto: "Ma tu sei pazzo, io con tua sorella?! Ma lo vuoi capire che quella mette la colpa a me per andarsene con quello!"

PM = Mi racconti meglio questo episodio. Quando suo figlio vi ha parlato?

I = Pietro mi ha detto che io avevo abusato di Sara, così...come state dicendo. Allora io con la rabbia me ne sono andato in campagna.

PM = Con Pietro non avete parlato prima?

I = No perché, la sera che lui è arrivato, io non c'ero perché ero andato in campagna. La sera dopo mi ha raccontato questo fatto qua. Io ero fuori e quando sono arrivato a casa lui mi dice "Così...e così mi ha detto Sara" . Ed io gli ho detto: "Ma sei pazzo te e Sara a dire questa cosa!".

PM = Nel verbale invece suo figlio ha detto che voi vi siete messo a piangere.

I = No, ma no...non è vero!

PM = Ma vostro figlio ha detto così. Ma scusi ma come è possibile che tutti nella vostra famiglia stiano inventando? Inventa Sara, inventa Pietro, inventa Ilaria? ...Scusate!

I = No...non è vero. Quelli l'hanno inventato. Che mettiamo che uno dice che quello è andato a rubare, loro dicono "Sì è andato a rubare". E invece dove è?

PM = Cioè voi a vostro figlio, quando vi ha parlato, non avete detto niente?

I = No. Ho detto soltanto che sia lui che lei erano pazzi.

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PM = Va bene... Con Ruly avete mai parlato?

I = No mai.

PM = Non gli avete mai fatto niente, pur sapendo che vostra figlia Sara lo vedeva, ...cioè non l'avete mai affrontato?

I = Signor giudice, ma io quante volte l'ho vista, quante volta l'ho vista?

PM = Voglio dire invece di suicidarvi potevate affrontarlo e dirgli "Lasciate stare mia figlia!", perché...

I = Che dovevo fare, che dovevo affrontare...ve l'ho detto lei mi ha detto "Se tocchi quello, ti uccido o ti faccio uccidere!".

PM = Ma non dico che dovevate minacciarlo, ma magari parlargli.

I = Questo non l'ha detto signor giudice, non ve l'ha detto?

PM = No. Lei ha detto che voi vi opponevate in maniera ferma a questo fidanzamento.

I = E c'è la lettera qua...la lettera è chiara, è qua, qua...

PM = Devo dirvi una cosa importante però: vostra figlia non pensava mai che voi poteste essere arrestato in conseguenza delle sue dichiarazioni.

I = Ah sì, non pensava mai...

PM = No, davvero. Inizialmente lei ha dichiarato queste cose, però quando poi ha capito...

I = Io ve lo dico adesso signor giudice, questa mia figlia non esiste più davanti a me!

PM = No non dovete dire così.

I = No, fare una cosa del genere! Io non la voglio più vedere!! O si vuole sposare, o se ne vuole andare con quello, o se ne vuole andare con quell'altro, a me non mi interessa più, non me ne interessa più, non la voglio più vedere, né sentire! E glielo potete anche dire. Quando è successo, mettiamo che stava per questo, è andata dal dottore, in un paese vicino, perché diceva che le faceva male la pancia, invece quella è andata ad abortire.

PM = È andata ad abortire? Ma di chi sta parlando?

I = Di mia figlia Sara.

PM = E come fate voi a sapere questo?

I = Eh...lo so per sentito dire.

PM = Ma come per sentito dire? Chi gliel'ha detto?

I = Eh...è stata una settimana all'ospedale e a me però non lo ha mai confermato.

PM = E quando è successo?

I = Non ricordo.

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PM = Ma era inverno o estate?

I = Non ricordo...sennò direi una bugia. Probabilmente era intorno al 1997/1998.

PM = Ma mi scusi...ma chi gliel'ha detto?

I = È stato un mio pensamento, ...un mio pensiero... Si è saputo, comunque, che è andata ad abortire.

PM = ...Ma allora...voi avete detto che avete sentito dire che vostra figlia è andata ad abortire, in quanto lei (a quanto volete sostenere voi) consumava rapporti sessuali con questo Ruly da diverso tempo. Sostenete che Sara è andata all'ospedale di un paese vicino al vostro per abortire (e che lei diceva che aveva il mal di pancia) ma non vi ricordate quando con esattezza.

I = Sì esatto. Io con una delle altre mie figlie, Ilaria o Rossella non ricordo, siamo andati a trovarla una volta durante quella settimana.

PM = Allora una delle due potrebbe confermare questa circostanza.

I = Sì.

PM = E in che reparto era?

I = Non ricordo...

PM = E i dottori che cosa vi hanno detto?

I = Eh...ma quando siamo andati era l'orario delle visite e non c'erano dottori.

PM = ...Ora con tutti questi "Non ricordo". ...Noi abbiamo bisogno di fatti certi.

Difesa = ...Comunque il suo medico dice che il mio assistito soffre di problemi di amnesia...forse è uno di questi.

I = Anche al dottore Sara diceva che le faceva male la pancia.

Difesa = Poi Sara si è operata: prima ha subito un intervento di appendicite e poi anche un altro per una cisti ovarica o uterina.

PM = ...Ma sentite ora...appendicite o cisti ovarica è una cosa, aborto è un'altra. Cerchiamo di dire cose credibili e dimostrabili in qualche modo e non derivanti da pensamenti. ...Mi può chiarire, per favore, come mai voi, in base a delle lamentele di vostra figlia (che all'epoca aveva 12/13 anni) per un mal di pancia, avete pensato che era stata ricoverata per abortire, quando vi erano tante e varie ipotesi?

I = Perché lei non mi ha spiegato niente.

PM = Voi avete detto che prima non sapevate che tipo di rapporti vostra figlia aveva con Ruly, sapevate solo che lo frequentava, e avete scoperto solo di recente che aveva con lui anche rapporti sessuali. E allora perché all'epoca, nel 1997/1998, avete subito pensato ad un aborto?

I = Perché aveva rapporti con quello.

PM = Sì ma voi lo avete saputo soltanto successivamente che li aveva.

I = Sì l'ho saputo dopo, ma lei non ha spiegato il motivo per cui era andata all'ospedale. Io non ho saputo niente, solo che le faceva male la pancia.

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PM = Va bene andiamo avanti. Adesso vorrei sapere perché voi vi opponevate in maniera così tanto determinata a questo Ruly, cioè questo ragazzo, a parte il fatto che già ci ha detto ...che era albanese, ...che cosa vi ha fatto? Quali erano gli aspetti...

I = ...'sta razza d'uomo, ma che ne fai, signor giudice! Ma non ho capito...che ci sono tanti morti di fame in Italia, che si deve prendere un morto di fame peggio di me!

PM = Sì, ...ma perché vi opponevate in questo modo visto che vostra figlia comunque gli voleva bene e lo ha frequentato dal 1995 per diversi anni?

I = Sì ma io non lo sapevo che lo frequentava perché, dal 1995 che l'ho scoperta, ha detto che non lo vedeva più, invece era bugiarda! La vedevano gli altri. ...E poi una figlia minorenne che se ne usciva con quello, signor giudice, questo è giusto? E mi ha fatto questo bel piatto a me!

PM = Inoltre vostra figlia Sara ha dichiarato che voi spesso avete tentato di suicidarvi proprio per i sensi di colpa che provavate nei suoi confronti.

I = Di colpa? Di colpa?

PM = Cioè voi vi sentivate in colpa di consumare questi atti sessuali con vostra figlia e quindi per diverse volte avete cercato di suicidarvi. È così?

I = Per quel fatto di mia figlia?! ...Era colpa mia mettiamo se io, sempre soldi, soldi, soldi...non ci potevo arrivare...

PM = Sì...ma perché avete tentato di suicidarvi?

I = Eh, ve l'ho detto...perché io non volevo per nessun motivo che stesse con quel ragazzo.

PM = Avvocato, se voi volete fare qualche domanda prego.

Difesa = Per quanto riguarda la domanda precedente volevo precisare meglio quanto ha cercato di dire il mio assistito: lui sostiene di aver tentato il suicidio perché, essendosi opposto a questa relazione che la figlia Sara aveva con questo ragazzo albanese, la figlia le ha risposto "Tu ti puoi anche suicidare o ti faccio uccidere, ma io questo ragazzo non lo lascio".

PM = Allora nel momento in cui vostra figlia ha detto queste parole, voi vi siete suicidato. Ma scusi che senso aveva il vostro gesto, ...sarebbe rimasto inutile?

I = Signor giudice, io ho fatto tanti sacrifici per fare grandi i miei figli, poi si deve prendere...uno che chissà è peggio di me, ma prenditi uno meglio! Perché ti devi infelicitare tutta la vita tua? Mettiamo che lui è dedito anche all'alcol e beve...

PM = Voi dunque volete dire che vostra figlia si è inventata tutto questo perché voleva essere libera di vedere il suo ragazzo. È così?

I = Sì, libera che deve fare quello che gli piace a lei.

PM = Ma mi scusi i rapporti con vostra figlia Sara come sono stati fino ad ora? Perché lei ha sempre detto di essere molto legata a voi, e che fin da piccola è sempre stata quella più vicina a voi, che vi ha sempre assistito quando avevate gli attacchi d'asma la sera, è vero tutto questo?

I = Lo dice adesso, lo dice adesso che sono chiuso.

PM = Ma è vera questa cosa?

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I = Lo dice adesso che sono chiuso. Veniva con una scusa di soldi, quando doveva telefonare a quello che era sempre senza soldi e allora veniva.

PM = Cerchi di dirmi come erano i vostri rapporti con Sara prima che lei parlasse di tutto questo: vostra figlia vi voleva bene come padre e voi le volevate bene come figlia?

I = È figlia come lo sono le altre.

PM = Sì. Ed è vero che vi assisteva quando la sera avevate gli attacchi d'asma?

I = Qualche volta, qualche volta. Ma dal momento in cui ha messo in scena questo ragazzo, il padre non esisteva più, come fosse morto.

PM = Quindi l'unico motivo di attrito è nato da quando c'è stato questo ragazzo?

I = Sì, lei veniva solamente quando voleva soldi.

PM = Ma perché secondo voi anche i vostri figli, oltre a Sara, confermano quello che lei ha detto? Infatti l'unica che dovrebbe avercela con voi per eventuali attriti dovrebbe essere soltanto Sara.

I = Eh, ...non lo so... Ma è stata lei, lei a convincerli.

Difesa = Signor giudice il mio assistito vuol così dire che questa vuol essere una congiura in famiglia, oltretutto questo ha aggravato anche i suoi problemi psichici. La figlia è una psicolabile.

PM = Ma questa congiura della famiglia non è molto chiara e ovvia. Inoltre anche riguardo alla sua opposizione al fidanzamento tra Sara e Ruly non è poi così chiaro in che modo questo possa aver creato tanti problemi tra voi e vostra figlia, in quanto voi a casa non stavate molto ma trascorrevate molto più tempo in campagna, quindi non potrà essere stata un'opposizione troppo forte a questo fidanzamento.

I = Eh sì.

PM = Perché ad un certo punto vostra figlia dovrebbe aver inventato tutto questo quando con Ruly usciva ugualmente e lo frequentava comunque, in quanto voi non vi siete opposto al fidanzamento se non a parole e con qualche litigio. Non capisco...quale poteva essere lo scopo di tutta questa invenzione? Ma perché vostra figlia dovrebbe provare per voi un odio così forte da compiere questo gesto?

I = ...Ma...

PM = Anzi, vi posso dire che vostra figlia, nonostante quello che ha raccontato, vi vuole molto bene e mi ha chiesto personalmente se voi potevate tornare a casa.

I = Signor giudice, se mi voleva a casa non mi doveva fare quello che mi ha fatto. Perchè quella voleva la sua soddisfazione! E questa mi vuole bene?!

PM = ...Va be'...abbiamo finito.

5. Commento all'incidente probatorio di Sara7/02/2000 - Tribunale di Lagonegro (PZ)

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Questo è stato uno dei primi incidenti probatori di un minore per presunti abusi sessuali svolti in tale Tribunale. Non è stata dunque fatta l'audizione protetta (vista anche l'età non infantile della ragazza), ma è stato comunque rispettato il principio che prevede il sostegno psicologico al minore durante l'interrogatorio (art. 498 comma 4 c.p.p.).

Sara ha così risposto in aula alle domande postegli dal giudice, dal pubblico ministero e dagli avvocati della difesa (non filtrate così dallo psicologo).

L'indagato è stato fatto accomodare nella Camera del Consiglio: non è stato quindi presente nella stessa aula per evitare che la sua presenza potesse turbare la minore, avendo essa già manifestato comprensibile ansia ed angoscia riguardo all'incidente probatorio che doveva essere eseguito. Nella Camera del Consiglio è stato collocato un altoparlante cosicché l'indagato è stato in grado di sentire quanto è stato detto nel corso dell'udienza.

Solo l'età della ragazza (17 anni) al momento dell'incidente probatorio può eventualmente giustificare una tale procedura, in quanto di fronte a situazioni così difficili da gestire già da parte di coloro che sono esperti di tali problematiche non si può pensare di svolgere un interrogatorio con le comuni regole usate per gli adulti-testimoni.

Il sostegno psicologico offerto a Sara si è inoltre ridotto soltanto alla preparazione della minore al colloquio e all'intervento della psicologa al termine dell'interrogatorio, entrambe le fasi svolte fuori dall'aula giudiziaria.

Sulla base delle tecniche di intervista utilizzate durante l'interrogatorio dei minori ho commentato le procedure applicate a questo caso, evidenziando anche il corretto comportamento che avrebbe dovuto essere posto in essere dagli operatori nelle varie fasi del colloquio.

La prima domanda posta a Sara è estranea alla vicenda e questa tecnica serve per creare una certa atmosfera più rilassante e familiare per la minore.

(...)

GIP = Ma che cos'è quella fotografia che hai in mano?

S = Mia sorella e mio fratello.

GIP = Sono i tuoi fratellini?

S = Sì.

Il GIP pone l'interrogatorio che verrà eseguito come una scelta di Sara che ha deciso di rispondere alle domande. Con questo le ha fatto capire di essere libera di parlare e che nessuno la costringe.

GIP = Senti...allora vuoi rispondere alle domande del collega PM? Devo dire pubblico ministero (PM) e usare questa frase formale.

S = Sì.

PM = Sara, il 14 ottobre del 1999, dell'anno scorso, ci fu una circostanza spiacevole in cui tuo padre ha cercato di suicidarsi: ricordi questa circostanza?

S = Sì.

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PM = Tu sei stata sentita dai Carabinieri del tuo paese (...) ed hai riferito determinate circostanze che secondo te giustificavano il gesto di tuo padre: vuoi riferire al giudice che cosa hai riferito in quell'occasione ai Carabinieri?

Subito Sara evidenzia il contrasto che c'è tra se e le sue sorelle, per poter così cercare di descrivere la situazione di solitudine ed omertà che è stata costretta ad affrontare.

S = Ho riferito che per tutti mio padre aveva tentato il suicidio perché io stavo con un albanese, mentre io sapevo che non era quello il motivo, cioè lo sapevano anche le mie sorelle, però loro negavano. Lui mi aveva chiesto perdono qualche giorno prima e mi aveva detto: "Se tu mi vuoi bene devi lasciare stare l'albanese".

La chiarezza, la precisione e la lentezza del racconto sono caratteristiche che vanno sempre ricordate ai minori, i quali hanno un metodo d'esposizione dei fatti diverso rispetto a quello degli adulti. E spesso chiedere ad un minore di essere più preciso nel raccontare il modo in cui ha subìto un abuso sessuale o la sensazione che ha provato non è facile, ma va fatto ugualmente utilizzando le parole giuste.

GIP = Sara racconta piano, altrimenti non riusciamo a seguirti.

S = Mi aveva chiesto perdono per quello che mi aveva fatto e mi disse: "Io non mi sono reso conto se tu te ne eri accorta prima di quello che ti stavo facendo; perché non me lo hai detto prima!"; allora io ho detto: "Io ho sempre cercato di farti capire che stavo male". Infatti lui mi vedeva sempre che piangevo quasi ogni sera.

PM = Sara cerca di essere un pochino più chiara: tuo padre si opponeva a questo fidanzamento?

S = Sì era geloso.

PM = E perché era geloso?

Il pubblico ministero in questo momento sta ponendo domande corrette che permettono alla minore di dare risposte autentiche e genuine, senza suggestione.

S = Perché io credo che aveva paura che non stavo più con lui; infatti nell'ultimo periodo io avevo capito quello che stava succedendo e quindi mi allontanavo sempre di più.

PM = E che cosa stava succedendo?

S = Che lui abusava sempre di più di me, si impossessava sempre di più senza farmi capire quello che succedeva.

Sara, fin dall'inizio dell'interrogatorio, riesce a trasmettere le sue sensazioni più profonde, utilizzando parole come "abuso sessuale" senza vergogna o ritrosia.

PM = E vuoi riferire in che modo tuo padre si impossessava di te?

S = Abusando sessualmente.

PM = Sara, purtroppo tu lo sai benissimo che devi essere un pochino più specifica.

GIP = Quando è iniziato?

S = Nel 1994 stavamo in campagna: in agosto è successo.

PM = In campagna dove? Dove avete una casetta?

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Sembra quasi che per allentare la tensione e l'ansia, che stavano aumentando, il GIP faccia domande che hanno un'attinenza lontana con il fatto, cioè delle divagazioni.

S = D'estate stavamo da una parte e l'inverno da un'altra.

GIP = Per cui avevate due campagne, in due posti diversi?

S = Sì ma non erano nostre, erano in affitto.

GIP = Ci avevate gli animali lì?

S = Sì, gli animali: avevamo circa duecento animali.

Sara sembra avere quasi la necessità di raccontare tutto il più velocemente possibile, forse per concludere così una situazione (l'interrogatorio) che le crea ansia.

GIP = Tu hai detto nel 1994: in che periodo era, estate?

S = Sì, estate, quando lui una notte si avvicinò a me...

GIP = Aspetta: perché tu ti trovavi con lui in campagna?

S = Eravamo solo noi: io già da piccola avevo iniziato ad andare in campagna, dall'età di sei anni, ...ed aiutavo mio padre la domenica a pascolare gli animali e poi quando doveva mungere (ad esempio la sera), e la mattina io ero costretta ad alzarmi. La mamma, talvolta, veniva la domenica.

GIP = Quindi stavate in campagna d'estate?

Sara descrive con molti particolari l'atteggiamento del padre: l'uomo le parla e cerca di convincerla che tutto era normale.

È importante notare il contrasto esistente tra questo concetto di normalità (che si ripresenterà anche in seguito) e le sensazioni che Sara prova.

S = Sì. Nel 1994, in agosto, la notte lui si introdusse nel letto ed oltretutto mi disse cose spiacevoli che io non ho mai detto nemmeno a nessuno. Lui prima si avvicinò e mi spiegò che era tutto normale, che dovevo fare undici anni: avevo dieci anni e mezzo.

GIP = Quindi voi eravate andati a letto?

S = Sì.

GIP = Stavate dormendo?

S = Io stavo dormendo.

Spesso Sara evidenzia il fatto il fatto che mai lei avrebbe potuto pensare che suo padre potesse arrivare a compiere un gesto del genere.

GIP = Nella stessa stanza avevate due letti?

S = Sì, i letti erano più o meno attaccati quindi era facile avvicinarsi a me, ma io non pensavo mai una cosa simile e così la notte me lo sentii vicino e mi disse cose...

GIP = Quindi tu stavi già dormendo e ad un certo punto ti senti tuo padre vicino?

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S = Sì.

GIP = Ma entrò nel letto e che disse?

S = Mi aveva spiegato certe cose riguardo al sesso, queste cose qua, come si faceva; mi disse che lui quando aveva avuto il rapporto con la moglie il letto era pieno di sangue, tutte queste cose qua, che schifo, io non capivo niente, ero una bambina che non capivo quello che lui mi diceva, e poi mi riaddormentai perché comunque ero stanca, lavoravo...

Inoltre ripete che, a causa della sua tenera età, non capiva che cosa il padre le diceva e soprattutto quello che lui faceva. Sembra quasi voglia scusare se stessa per non essere riuscita a capire e a fermarlo in tempo. L'unica cosa che pone in risalto è la sensazione di schifezza che lei prova.

GIP = E lui ti stava sempre attaccato?

Il GIP, che chiede a Sara di descrivere l'abuso sessuale, sembra sentire lui stesso la tensione della situazione.

La risposta della ragazza è tanto precisa quanto "controllata": sembra quasi che Sara stia raccontando quello che è successo ad un'altra persona e non a lei.

S = Sì, e poi quella notte lui ha abusato di me, cioè io non mi rendevo conto di quello che succedeva.

GIP = E che cosa ha fatto, te lo ricordi? Purtroppo devi descriverlo Sara, dai: tu eri con il pigiama?

S = Mi abbassò il pigiama e le mutandine e penetrò con il suo pene nella mia vagina.

GIP = Penetrò completamente?

S = Sì.

GIP = Ti fece male?

S = Sì. Io poi vidi delle macchie e dissi a mio padre che cosa era e lui mi disse che era l'inizio del ciclo.

GIP = Le macchie le vedesti subito dopo che ti aveva penetrato?

S = Le vidi la mattina.

Dopo quella notte Sara aveva capito che cosa il padre le aveva fatto.

Nel racconto è ben indicato, dalla minore, il momento di passaggio da quando non capiva a quando ha capito.

GIP = La mattina sul letto?

S = Sì, mi dissi "ma che cos'è?", io mi sono spaventata perché comunque avevo capito quello che era successo la notte e quindi poi lui mi disse che era il ciclo, ma non era il ciclo perché il ciclo mi è venuto un paio di anni dopo.

GIP = Ma ti ha fatto molto male quando ti ha penetrato?

S = Sì, ma io non capivo.

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GIP = Ed è rimasto per molto tempo penetrato dentro di te?

S = Non mi ricordo.

GIP = E ti ricordi se poi c'è stata l'eiaculazione, cioè se è uscito lo sperma anche?

S = Sì.

È corretto l'atteggiamento del GIP che cerca, ogni tanto, di incoraggiare Sara a raccontare fatti tanto terribili.

GIP = Sara non devi avere ritrosia di raccontare questi fatti perché sono fatti normali, come quando uno subisce una violenza o un pugno in faccia e racconta che gli è uscito il sangue, così, se tu avevi subito un fatto diverso, dovevi raccontare quello che era il fatto diverso, non c'è niente di strano. Quindi raggiunse...?

S = (Fa cenno di sì con la testa).

È difficile porre domande così specifiche ma purtroppo sono necessarie per rendere più comprensibili fatti in cui, nella maggior parte dei casi, gli unici testimoni sono il minore-vittima ed il suo abusante. In questi casi così è importante ascoltare come il bambino racconta il fatto e quali emozioni suscita tale rievocazione. Sara, ad esempio, descrive la sensazione di schifezza che ha provato e l'indifferenza del padre, che finge che tutto sia normale.

GIP = In quella circostanza quindi ci fu una penetrazione completa, ma hai visto tuo padre raggiungere l'orgasmo, provare il coito, il piacere, oppure...? Purtroppo sono domande che ti devo fare Sara, lo sai.

S = Sì, perché comunque poi mi sono sentita tutto il liquido addosso, una cosa schifosa.

GIP = Quindi hai visto anche produrre liquido spermatico da parte di tuo padre?

S = (Fa cenno di sì con la testa) ...Ma io non capivo che cosa era, se avessi capito allora...

GIP = E la mattina dopo non disse niente?

S = Niente, era come se non fosse successo niente, io rimasi la mattina a letto tutta sconvolta.

GIP = Ma non uscisti nel campo?

S = No, quella mattina mi rinchiusi in casa; quando lui tornò era proprio indifferente, non lo so come se fosse normale e così è andato avanti fino...

GIP = Quando successe la seconda volta, te lo ricordi a distanza di quanto tempo?

S = Capitava comunque circa due volte al mese; può darsi pure che capitava in una settimana tutti i giorni, poi da quando siamo andati in paese lì...

GIP = Ma in campagna è più ricapitato?

S = No, in campagna no.

GIP = E in paese come avvenivano queste..., tuo padre che cosa faceva in sostanza?

S = Lui essendo malato, soffre di asma e psoriasi, voleva molto le mie attenzioni, poiché era abituato che da quando sono nata stavo sempre con lui, cioè da quando siamo arrivati in paese io gli stavo sempre dietro perché comunque... Le mie sorelle sapevano pure loro che io ero

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legata a lui, è come se mi avesse cresciuto mio padre e non mia madre, in realtà è così. E quindi quando mio padre soffriva di asma loro mi dicevano "No, vacci tu, vacci tu, vagli a dare l'acqua tu" e loro facevano quello che volevano, cioè io guardavo lui come se fossi la moglie, cioè io non mi rendevo conto, a volte pensavo "ma se sono sua figlia, credo che è normale che io mi devo preoccupare per mio padre, se sta male vado dal dottore": e spesso capitava che io passavo le nottate in piedi a guardare lui che si addormentava, mentre le mie sorelle dormivano.

Da queste parole di Sara si capisce come essa avesse assunto, in famiglia o comunque nel rapporto con il padre, il ruolo di sua madre, sostituendosi ad essa sia nell'assistenza all'uomo, sia poi nei rapporti sessuali. Gli altri membri della famiglia sembravano sapere tutto questo e favorire che ciò avvenisse.

Da parte sua Sara non incolpa la madre, che riconosce essere malata, e talvolta neanche il padre, al quale dice di essere molto legata.

GIP = Quante sorelle hai?

S = Tre sorelle (di 10, 19 e 21 anni) e due fratelli (il maggiore è a lavorare al Nord).

GIP = E tutte e quattro dormivate nella stessa stanza?

Questa è una domanda suggestiva, visto che la minore non ha ancora parlato dei problemi della madre.

S = Sì da un paio di anni. Ma quando io mi dovevo occupare di mio padre dovevo dormire nella stanza di mia madre, così mio padre si addormentava vicino a me e le mie sorelle dicevano "Tu lo sai che papà è attaccato a te, quindi tu l'hai abituato che sei stata lì in campagna e tu ci stai".

GIP = Ma tua madre non poteva accudire tuo padre o aveva dei problemi lei?

S = È malata al 75%.

GIP = È invalida?

S = Sì con la testa: quando sono nata era già così. Ho sempre pensato, però, che la colpa non era sua ma che era di mio padre perché lei mi diceva sempre che mio padre, pure quando si sono sposati, all'inizio la faceva spaventare e tentava il suicidio; questa cose qua anche a casa le faceva: si metteva la cintura dei pantaloni alla gola per attirare la mia attenzione.

GIP = Ritorniamo al fatto che le tue sorelle volevano che accudissi tuo padre.

S = Sì, era proprio lui a volte che mi chiamava; quando vedeva che non ci andavo, prendeva le scarpe e le buttava alla porta per attirare l'attenzione, cioè si imbestialiva. Così le mie sorelle mi aggredivano e mi dicevano: "Adesso vai, è inutile che stai qui". Io con loro ci stavo poco perché dovevo stare sempre con mio padre; e quindi la notte poi io, stando in piedi, mi sedevo sul letto e poi mi ritrovavo nel letto con lui, mia madre e il mio fratellino, che stava nel letto matrimoniale perché aveva paura di dormire da solo. Io dormivo ai piedi del letto, ma poi mi ritrovavo su. Stavamo: mio padre, io, mio fratello e mia madre. Io dormo lì praticamente da quando sono nata: sono stata sempre abituata così. E così mio fratello.

GIP = E quando tu ti mettevi nel letto, cioè quando andavi lì e portavi l'acqua a tuo padre e lo accudivi, poi ti addormentavi sul letto e lui ha abusato di te anche in quelle occasioni?

Le parole che Sara dice al padre indicano un tentativo di reazione a tali abusi.

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S = La notte aspettava che mi addormentavo io e tutte e tre le mie sorelle e mi svegliavo che lui stava già penetrando dentro di me, allora quando io mi accorgevo che lui stava per arrivare all'orgasmo scappavo e mi andavo a lavare nel bagno; è successo così fino a questa estate quando è venuto nella mia stanza quando le mie sorelle più grandi non c'erano. È venuto ed ha bagnato il letto ed io, poi, per paura che mi avrebbero picchiato, che avrebbero capito quello che succedeva, ho cambiato le lenzuola e mi sono tenuta io il lenzuolo bagnato di tutta quella schifezza e loro non si sono accorte di niente. Io gli dicevo: "Vattene, vattene".

Sara descrive il padre come un padrone al quale doveva obbedire e che doveva curare.

Una tipica paura dei minori nelle situazioni di abuso intrafamiliare è che gli altri membri della famiglia possano scoprire i fatti. Anche in questo caso, infatti, Sara cambia le lenzuola del letto per non far scoprire niente alle sorelle.

PM = Sara devi andare un po' più piano ed essere più precisa: non abbiamo fretta. Voglio capire bene come si verificavano questi abusi di tuo padre, devi essere un po' più precisa. Tu hai detto che facevi assistenza a tuo padre perché soffriva di asma: cosa facevi la sera, cosa accadeva?

Sara giustifica il fatto che il padre chiedeva sempre di lei per le cure di cui aveva bisogno in base al legame più forte d'affetto che li univa. Di questo - seppur può apparire paradossale - sembra quasi essere contenta perché privilegiata rispetto alle sorelle. Bisogna infatti ricordare che, nelle situazioni di abuso intrafamiliare, anche se il padre è stato un violento abusante, per la/il figlia/o rimarrà, comunque, suo padre e un sentimento di "quasi-affetto" nei suoi confronti lo proverà sempre.

S = Io ero solita preparargli anche la scodella per andare al lavoro. Quando poi la sera tornava preferiva trovarmi a casa, ci dovevo essere e basta; poi la sera gli venivano sempre gli attacchi di asma e diceva: "Sarina, Sarina, vieni qua". Lui mi chiamava Sarina, non Sara.

PM = E non poteva chiamare pure le altre: perché chiamava sempre te?

S = Perché comunque alle altre mie sorelle non era legato: loro non l'hanno mai potuto vedere. Anche con una di loro ci aveva provato, ma non c'era riuscito (me lo ha detto lei) e lei glielo rinfacciava parecchie volte. E quando vedeva che mio padre mi dava attenzione lei diceva: "Lasciala stare Sara, gli stai sempre attaccato, sembrate due fidanzatini": cioè quindi loro avevano capito.

GIP = Che cosa accadeva allora quando tuo padre la sera poi ti chiamava?

Il padre le chiedeva sicurezza sul piano affettivo.

Intanto lei, che ormai era cosciente dei fatti ma non riusciva a cambiare la situazione, si dirigeva verso l'autodistruzione.

S = Io andavo lì e gli dicevo "Che c'è?" e lui si faceva vedere che aveva l'asma, faceva quei sospiri, ed io dicevo "Ma che cosa devo fare?", cioè se la faceva venire talmente tanto l'asma che mi faceva preoccupare. Allora io gli portavo l'acqua e stavo lì; mentre stava male mi chiedeva "Ma tu mi vuoi bene, ma tu vuoi che devo morire?" ed io dicevo "Ma sì, ma che c'entra... adesso devi morire, ma che ti succede?" e lui mi rispondeva "No, ma tu mi vuoi bene? Sei sicura?" ed io gli dicevo "Ma tu non mi devi fare queste domande perché è normale che una figlia voglia bene al padre, ma ti rendi conto che tu invece non mi vuoi bene come un padre, tu ti stai impossessando di me", cioè io comunque cercavo di farglielo capire in un modo o in un altro, e poi lui mi vedeva piangere e alla fine avevo pure iniziato a bere la birra.

GIP = Tu hai iniziato a bere?

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S = Sì, da un bel po' perché lui sapeva che ormai avevo capito che era molto male quello che mi faceva, che non era un gioco e quindi io mi andavo a comprare la birra, bevevo davanti a lui, a mia madre e tutti mi dicevano che non dovevo bere, però sapevano il motivo. E quando ero sola con mio padre e mia madre era in cucina, gli dicevo "È tutta colpa tua se io bevo, non ti rendi conto!"; ma io bevevo perché volevo essere totalmente ubriaca che dovevo dire tutto a mia mamma e invece poi lui mi portava nella mia stanza.

Sara dice che le mancava la forza di raccontare tutto in famiglia e per questo sperava che l'alcool la potesse aiutare a superare questo timore.

PM = Ritorniamo, allora, a quando tu portavi l'acqua a tuo padre: che cosa accadeva?

Qui la sensazione di paura viene dichiarata apertamente ma la risposta che ottiene è un totale disinteresse e un abbandono da parte delle persone a lei più vicine.

S = Nella stanza da letto eravamo soli io e lui; io avevo paura e così chiamavo pure mia mamma, però lei diceva che a lui non importava di lei: "Vuole te, Sara, che devo fare io se quello vuole te, mica devo stare qui anch'io!" - diceva.

PM = E poi che cosa succedeva?

Sara cerca di reagire ma, trovandosi sola, non ci riesce. Inoltre le sorelle la incitano ad andare dal padre, quando la chiama, facendola anche sentire in colpa se si rifiuta: cercano di convincerla che se lui la cerca sempre è che le vuole molto bene, forse di più rispetto agli altri figli, come fosse un privilegio.

S = Mia mamma se ne andava e rimanevo sola io nella stanza. Poi lui mi faceva sedere vicino al letto, aspettavo che gli passasse l'asma, ma niente; come si accorgeva che io me ne andavo, lui si svegliava e si faceva venire l'asma, ed io me ne stavo lì a guardarlo; poi, se capitava che gli passava ed io me ne andavo a dormire nel mio letto, per tutta la notte mia mamma o mio padre mi chiamavano. Spesso mia mamma mi diceva: "Sara, ti vuole tuo padre, alzati!" oppure veniva a chiamarmi proprio nel letto. Poi ultimamente mi rifiutavo di fare questa cosa, cioè che lui insisteva che gli dovevo stare per forza vicino, e quindi ero arrivata al punto che mi mettevo i tappi nelle orecchie per non sentire. Ma poi ero costretta ad andare, anche perché le mie sorelle mi dicevano. "Tu ci devi andare per forza perché lui ti vuole bene, è così attaccato a te!".

PM = E quindi tutta la notte alla fine restavi vicino a tuo padre?

S = Quando mi accorgevo che lui stava per arrivare, che lui penetrava dentro di me, che stava arrivando all'orgasmo, io mi chiudevo nel bagno e stavo un po' lì. Capitava pure che mia madre a volte si svegliava e mi diceva "Sara ma che cosa fai nel bagno?" ed io, tutta sconvolta, me ne andavo nel mio letto nella mattinata, perché erano quasi sempre verso le quattro.

La minore descrive i momenti in cui avviene l'abuso sempre in modo molto dettagliato: non solo parla di cosa faceva il padre, ma anche dei pochi momenti di interessamento della madre nei suoi confronti e dei suoi tentativi di reazione.

Spesso riporta intere frasi che lei o qualche altro membro della famiglia ha pronunciato e questo fa apparire la sua testimonianza ancora più credibile.

PM = E cosa accadeva, invece, quando dormivi lì nel suo letto?

S = La notte lui mi abbassava le mutandine e il pigiama e penetrava dentro di me, a volte mi tirava proprio su, dalla parte di sopra, e capitava che mia mamma si svegliava e così lui diceva "Dove sono i piedi di Sara?"; ed io poi sentivo dolore ogni volta che penetrava dentro di me.

PM = E tu che facevi in quelle circostanze?

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S = Io con le mani lo spingevo perché non volevo che doveva penetrare dentro di me.

PM = E poi?

S = E poi quando mi accorgevo che lui mi teneva forte le gambe, cioè io mi accorgevo che arrivava all'orgasmo, mi alzavo con la forza e me andavo.

GIP = Scusa, ma non facevate movimento e rumore? Tua madre non si è mai svegliata?

S = Mia madre si svegliava quando sentiva movimenti e parecchie volte lui diceva: "Ma dove sono le gambe di Sara?". Lui come vedeva che mia mamma si svegliava, subito si toglieva: è stato furbo.

Nuovamente Sara evidenzia il fatto che fra lei e la madre non esisteva alcun tipo di rapporto e di dialogo.

PM = Ma tua madre è incapace di intendere e di volere, nonostante l'invalidità del 75%?

S = Non lo so, lei a me non ha mai chiesto se stava succedendo qualcosa, se ha capito quello che è successo.

PM = E tuo fratello non ha mai visto niente?S = No, ma lui aveva solo quattro anni.

PM = Ma durante questi rapporti ti sei mai trovata bagnata dal liquido spermatico?

S = Sì, sempre bagnata.

PM = Ma io per bagnata intendo con dello sperma dentro la vagina?

S = Sì, perciò io mi andavo a lavare, perché avevo tutto quel liquido addosso a me, vicino alle gambe e andavo a lavarmi.

PM = Quindi hai trovato anche dello sperma vicino alle gambe, è così?

S = Sì.

PM = Con che periodicità accadevano questi rapporti?

S = Circa due volte al mese; poi se lui stava male io andavo tutte le sere ma, se lui una sera era soddisfatto, mi lasciava stare per qualche giorno anche se io andavo da lui ad accudirlo.

Questa domanda era già stata fatta in precedenza, ma anche se doveva servire per dare maggiore conferma alle parole dette dalla minore non doveva essere posta in modo così suggestivo.

La modalità corretta sarebbe stata: "Ma durante questi rapporti ti sei mai trovata bagnata?". E se la risposta era "Sì", la domanda successiva doveva essere: "Ed hai capito come hai fatto a trovarti bagnata?".

Certo l'età non infantile di Sara può eventualmente giustificare la domanda posta in questo modo.

PM = Senti ma l'orgasmo, voglio chiarirti questo; c'è una differenza tra coito ed orgasmo: il coito è il piacere, cioè tu vedevi tuo padre ansimare, avere piacere oppure tu lo vedevi proprio raggiungere, diciamo come risultato finale, produrre il liquido spermatico, per cui raggiungeva il piacere massimo?

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S = Raggiungeva il piacere massimo e nello stesso tempo... cioè quando lui se ne usciva il liquido mi rimaneva a me sulle gambe.

PM = Quindi diciamo raggiungeva l'orgasmo non dentro di te ma fuori?

S = Sì, non dentro di me.

PM = Senti, andiamo all'ultimo episodio, quello che poi, diciamo, avrebbe indotto tuo padre a tentare il suicidio.

Sembra quasi che Sara aspetti l'aiuto della madre per porre fine a questi abusi, o comunque speri in un suo intervento.

Ogni volta che Sara fa il racconto libero delle vicende che le sono chieste è molto precisa nei particolari e descrive sia i movimenti che le parole di ogni componente della famiglia.

S = La notte tra il 5 e il 6 ottobre 1999 eravamo sole nella stanza io e la mia sorella più piccola. Ma lui era già venuto anche la notte prima, ma riuscii a buttarlo giù dal letto e gridai talmente forte che mia mamma si è alzata e l'ha visto in piedi nella mia stanza che mi fissava, ed era solo con le mutande lui; poi lui ritornò nella sua camera e non so che cosa ha detto a mia mamma, ...se le disse forse che mi aveva sentito parlare da sola. La sera successiva (notte tra il 5 e il 6), mentre dormivo (era sul tardi), mi trovai mio padre a fianco e quando ho iniziato a gridare (ho detto soltanto "Ma'") lui mi ha messo la mano sulla bocca e poi si è messo su di me e ha...

PM = Quindi tu hai gridato quando tuo padre stava vicino al letto (ancora non su di te)?

S = Lui era a fianco a me ed io gli ho detto "Vattene!": però lui non ha voluto sentire e me lo sono trovato nel letto.

PM = Lui era nudo o vestito?

S = Lui era solo con le mutande ed io con il pigiama. Io poi mi sono trovata già con le mutandine e il pigiama su di me, mi ha messo la mano sulla bocca, perché io avevo gridato "Ma'", però mia madre non mi ha sentito e così lui ha continuato.

GIP = E tu non hai cercato di reagire, di muoverti, di allontanarti?

S = Sì io ho cercato di reagire, però era talmente pesante su di me che non sono riuscita a liberarmi.

GIP = Quindi ti ha allargato le gambe, cioè ti ha costretta a fare questo atto oppure tu sei stata consenziente?

S = No, mi ha costretto.

GIP = In che modo?

S = Perché mi teneva lì con la forza: io ho cercato di reagire ma lui era pesante su di me che non potevo. Lui mi diceva. "Zitta, zitta!".

Questa domanda o considerazione non sembra assolutamente adeguata al tipo di incidente probatorio che si sta svolgendo (c'è una minore che ha presumibilmente subìto un abuso sessuale). Sembra quasi che Sara deve convincere gli organi giudiziari di quello che le è successo.

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GIP = Ma perché non hai chiuso le gambe? Cioè voglio dire: se una donna non vuole avere un rapporto, chiude le gambe, le stringe: lui che ha fatto te le ha allargate con la forza oppure le ha allargate poi dopo?

S = Me le ha allargate lui con la forza e si è messo su di me e quindi io dovevo stare per forza con le gambe aperte. Lui mi tirava e mi diceva che dovevo rimanere lì.

GIP = E che ha fatto?

S = Ha penetrato con il suo pene nella vagina e ha raggiunto l'orgasmo dentro di me.

GIP = Dentro di te?

Spesso Sara parla di come si sente: una persona sporca, "schifosa" appunto.

S = E poi un po' me lo sono trovato pure sulla pancia e talmente della schifezza quella notte è stata l'unica notte che non mi sono andata a lavare, mi sono soltanto spogliata perché mi facevo schifo, cioè era così schifosa quella cosa che...

Emerge il contrasto tra la figura del padre che si comporta come se niente sia successo e Sara che si sente come un "animale".

GIP = E dopo che ha raggiunto l'orgasmo tuo padre è andato nella sua stanza?

S = Se ne è andato normale e mi ha lasciato lì come se io fossi un cane.

GIP = E tu che cosa hai fatto?

S = Io, sentendomi tutta questa cosa addosso, mi sono spogliata e ho buttato tutto in terra e sono rimasta nel letto a pensare a quello che era successo.

GIP = E tua sorella, che era nella vostra stanzetta, non si è accorta di niente?

S = Non lo so, credo di no.

Sara crede (o spera) che il padre abbia capito tutto il male che le ha fatto e che era lo "sbaglio" più grande.

GIP = E allora, senti, questo tentato suicidio di tuo padre (del 14 ottobre) tu come lo spieghi? Cioè come l'hai giustificato dentro di te? Perché tuo padre poi all'improvviso cerca di suicidarsi bevendo la creolina?

S = Perché si sentiva in colpa, perché lui l'aveva capito che mi aveva fatto la notte tra il 5 e il 6, che era la cosa più sbagliata che poteva fare.

GIP = Scusa, Sara, forse ad un certo punto tu hai riferito di tutti questi episodi a qualcuno?

S = Sì a mio fratello Pietro - che lavora al Nord - il giorno 9: prima di allora non ne avevo mai parlato con nessuno.

GIP = E perché hai sentito allora l'esigenza di parlarne con tuo fratello?

Nonostante la necessità che ha Sara di reagire a queste violenze, la paura di parlare la assale. In questa situazione è proprio la paura e la vergogna che riescono a far sì che i bambini abusati mantengano il segreto per anni, fino a quando sono totalmente annientati.

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S = Perché stavo veramente male e perché mi ero resa conto che quello che stava succedendo era sbagliato e che in un modo o in un altro dovevo reagire. E quando lui è sceso giù gliel'ho detto. Avevo deciso di dirglielo appena arrivato, poi non lo so ho avuto paura di dirglielo perché non mi sembrava giusto, era appena arrivato, ed allora ho pensato "rimando". Poi è successo che mio padre ha capito che io l'avrei detto a mio fratello e così mi ha detto "Non dire niente perché sennò sai che succede!", ma poi ha capito che io avrei comunque parlato e così se ne è andato per due giorni in campagna.

GIP = A tuo fratello hai raccontato tutti questi episodi che hai detto a noi?

S = No, solo quello della notte tra il 5 e il 6 perché io stavo male e non avevo nemmeno la forza di...

GIP = E tuo fratello che ha detto?

S = Mi ha detto che se avesse avuto mio padre in quel momento lo avrebbe ammazzato. Poi quando mio padre è tornato dalla campagna mi ha detto mio fratello che l'ha affrontato. A me ha detto "Tu vai nella tua stanza", ma io ho sentito da dietro la porta che lui diceva a mio padre: "Ma come hai potuto fare una cosa del genere, è una bambina!". E lui ha risposto "No, ma quella era lei che lo voleva!", così quando ha detto così sono uscita fuori e ho detto: "Ah! Ero io che venivo da te? Ma sai che ti sbagli proprio!". E mio fratello ha detto: "Ma se pure era così, tu dovevi capire perché tu hai 50 anni e lei 16, e lei ne aveva 11 e tu 46! Non pensavo di avere anche un padre malato, oltre ad una mamma!". Poi mio padre si è messo a piangere e a dire a me: "Mi dispiace, mi dispiace!".

PM = Quindi questo tentato suicidio di tuo padre è ricollegabile al fatto che tuo fratello aveva scoperto...?

S = Sì.

Emerge ancora, con chiarezza, l'inesistenza di un rapporto tra Sara e la madre.

PM = Ma dopo che tuo fratello ha saputo, tu hai reso noto il fatto anche a tua madre e alle tue sorelle?

Da questa "difesa" del padre di delinea la sua figura d'uomo. È tipico l'atteggiamento di cercare di incolpare anche la minore.

S = No a mia madre no. Io guardavo mio padre con odio e lui me dispiaciuto; le mie sorelle dicevano guardandoci: "Ci fate schifo, schifo tutti e due, non vi vergognate, noi ammazzeremmo non solo lui ma anche te che potevi parlare pure prima!". Ed io stavo lì zitta e lui non si sentiva più accettato in casa e così quella sera ha tentato il suicidio. Mi ha detto: "Perdonami, io non mi rendevo conto se tu avevi capito prima il male che ti facevo, me lo dovevi dire, ma tu lo devi riconoscere, è pure colpa tua!"....Mesi prima del primo episodio mio padre spesso mi diceva "Ti è cresciuto il seno, fammi vedere, fatti toccare" e cercava di toccarmi; ma io mi opponevo e gli dicevo "Ma chi sei tu per farmi questo, ma ti rendi conto di quello che stai facendo?". Ma lui lo vedeva come un fatto normale, come se un padre può fare questo su di una figlia. Io poi gli dissi: "Preferisco farlo mille volte di più con il mio ragazzo che con te!". E lui mi ha risposto: "Ah, preferisci fare l'amore con il tuo ragazzo e non con tuo padre?".

PM = E tuo padre non si è mai interessato del tuo ciclo mestruale, non ti ha mai chiesto se ti erano venute o meno le mestruazioni a fine mese?

Sara sembra quasi aver paura che gli altri membri della famiglia scoprano i fatti.

S = Sì. Un mese, poi, non mi arrivarono ed io mi preoccupai molto e dissi a mio padre la sera, quando non c'era nessuno in casa, "Guarda che io vado dal dottore"; ma lui mi disse "No, tu

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non ci devi andare!" ed io poi non ci andai e dissi "Vabbè, aspetto, se proprio vuoi che non ci devo andare". E poi mi domandava "Ma ti è arrivato?". Io stavo sempre con l'ansia che non mi arrivavano, ogni volta che lui abusava di me avevo sempre quella paura.

PM = Ma che tu sappia queste cose che tuo padre faceva con te, le faceva solo con te o anche con le tue sorelle?

La domanda è corretta perché favorisce il racconto libero della minore, che è da preferire in quanto più genuino.

S = Mia sorella Ilaria mi ha detto che con lei ci ha provato.

PM = E ci ha provato come?

S = Mi ha detto che ci ha provato in campagna con lei ma...non lo so, e poi domandammo a casa, a tavola, a mio padre "Perché hai fatto una cosa del genere? L'hai fatto pure a lei?". A lui sembrava tutto normale. Cioè quando noi gli abbiamo chiesto, ...io gli ho detto "Tu non l'hai fatto solo con me, l'hai fatto pure con Ilaria", lui ha detto "No, tua sorella è stata più seria di te: quando io c'ho provato con lei, lei mi ha dimostrato che è una ragazza seria". Allora io gli ho detto "Ma come, ci provi con le tue figlie per vedere se le tue figlie sono serie o no?! Ma che te ne importa a te! Ma dove si vede la serietà che tu dimostri ai tuoi figli?" .

PM = Senti...con te ha provato qualche altro membro della famiglia ad avere rapporti sessuali?

S = Sì, il patrigno di mio padre che veniva spesso a casa nostra.

PM = Che cosa faceva questo patrigno, che ha fatto? Cioè come hai fatto a capire che ci aveva provato con te?

S = Ci voleva provare, ...cioè mi diceva di toccarlo o di abbassarmi i pantaloni. Le mie sorelle mi avevano detto che anche con loro usava questa tattica. Infatti dicevano sempre alla più piccola che quando c'era il nonno non doveva mai rimanere con lui da sola. Glielo dicevano sempre. Mio padre una volta lo cacciò mio nonno, ma lì per lì io non sapevo che mio padre sapeva quello che mi voleva fare.

PM = Senti...tu sei fidanzata adesso? Attualmente hai un amichetto, un ragazzo con cui ti frequenti?

Il pubblico ministero cerca di capire quali tipi di rapporti vi erano tra Sara ed il ragazzo albanese, per poter trovare conferme o no della relazione ginecologica. Queste domande, anche se riguardano la vita sessuale della minore, sono ammesse in quanto sono necessarie alla verifica del thema probandum.

S = Ruly, lo conosco da più di due anni.

PM = E con Ruly hai mai consumato rapporti sessuali?

S = Sì, nel giugno del 1999.

PM = Cioè con Ruly solo una volta nel giugno del 1999 o ci sono stati altri episodi precedenti?

S = No. Solo a giugno.

PM = E prima di Ruly hai avuti altri ragazzi?

S = No.

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PM = Hai fatto l'amore con altri ragazzi?

S = No.

PM = E Ruly era a conoscenza degli abusi che tuo padre consumava su di te?

S = No, anzi...quando ci siamo messi insieme, i primi giorni, io era molto fredda e lui mi chiese: "Ma ti è successo qualcosa che sei così?". Ed io dissi: "No, non non ti preoccupare".

PM = E lui non si è accorto...voglio dire...che in precedenza tu avevi avuto esperienze sessuali con altre persone?

S = No, non si è accorto. Anche perché lui lì per lì mi ha chiesto perché non avevo avuto perdite di sangue ed io cercai in un modo o nell'altro...gli dissi "No è normale, non ti devi preoccupare". Anche perché io già sapevo in quel periodo, quando avevo avuto il primo rapporto con Ruly, che mio padre non mi aveva proprio toccato e quindi pensavo - come diceva mio padre - che si richiudeva e quindi ho detto questo.

GIP = Si richiudeva l'organo genitale?

Il GIP ripete una domanda già fatta per vedere se Sara risponde nello stesso modo o se ha qualche ripensamento.

S = Sì.

GIP = Senti... con Ruly sei sicura di aver avuto rapporti sessuali una sola volta o ce ne sono stati altri?

S = No solo a giugno è capitato un paio di volte.

GIP = Un paio di volte? Quindi non una volta soltanto?

S = Sì.

GIP = E ti ricordi dove è successo? Dove vi siete incontrati?

Il GIP giustifica a Sara la domanda che le ha fatto. È giusto dar conto al minore esaminato in audizione protetta di ciò che le viene chiesto: è un atteggiamento di chiarezza nei suoi confronti.

S = Eravamo vicino a casa mia, in una casa in costruzione, abbandonata.

GIP = In una casa in costruzione. Questa domanda te l'ho fatta per capire la tua sincerità: anche Ruly ha detto questo esattamente.

S = Sì. È successo in questa casa in costruzione, lì, ma poiché io avevo sempre paura di mio padre perché ero costretta a nascondermi, perché lui mi seguiva quelle poche volte che uscivo.

PM = Senti...tuo padre ha mai saputo di questo tuo fidanzamento con Ruly?

S = Gliel'ho detto io dopo nemmeno venti giorni, nel 1997. Appena lui l'ha saputo, sia lui che mio fratello mi hanno ridotta in un modo...

PM = E perché ti hanno picchiata?

GIP = Quindi tuo fratello Pietro ti ha picchiata?

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S = Sì.

GIP = Pietro e tuo padre?

S = No, in questi mesi no; mi ha picchiata successivamente quando mio padre mi ha detto a me...e allora io gli dissi: "Papà guarda che io sto con un ragazzo albanese ed io gli voglio bene e lui mi vuole bene". E lui mi ha detto: "Va bene". Quella sera sembrava tutto tranquillo perché lui pensava che io lo lasciavo. Invece io non lo lasciai. Lui è ritornato a casa e come è entrato, davanti alla porta, mi ha tirato uno schiaffo e poi lui si è messo alla ricerca di sapere chi era.

GIP = Chiedeva informazioni?

S = Sì, se ne è uscito. E poi alla fine io l'ho lasciato lui dopo due mesi.

GIP = E perché?

S = Perché mio padre mi ha detto che lo dovevo lasciare, altrimenti lo picchiava. Adesso, ultimamente, diceva pure che si voleva comprare una pistola.

PM = Tuo padre sostiene che lui ha cercato di suicidarsi perché era rammaricato, dispiaciuto per questo tuo fidanzamento con Ruly. È vera questa circostanza, secondo te?

S = Cioè che lui...

PM = Tuo padre dice "Io ho cercato di suicidarmi perché non volevo che mia figlia frequentasse Ruly".

S = Sì credo che era pure quello il motivo, ma perché scopo suo.

GIP = Ti ha mai detto "Guarda che se continui a stare con Ruly io mi suicido?".

S = Sì me l'ha detto, pure dopo che è stato in ospedale. Ha chiamato mio fratello in ospedale due giorni dopo e gli ho detto "Pensavo che rispondesse mio fratello al telefono. Mi passi Pietro?". E quello: "No sono papà; parla con me". Ed io ho risposto: "No non voglio parlare con te, voglio parlare con Pietro". E quello mi ha detto: "Ma dimmi una cosa, ancora stai con l'albanese?". Poi è arrivato mio fratello e gli ha detto: "Ma ancora non l'hai capito che la devi lasciar perdere?".

GIP = Ma Pietro non sapeva niente di tutto quello che era successo tra te e tuo padre, degli abusi?

S = Lo sapeva già questo: è successo dopo il fatto della chiamata in ospedale, dopo il tentato suicidio.

Sara risponde alle domande in modo molto esauriente, senza che il PM o il GIP debbano chiedere molti chiarimenti riguardo a quanto lei racconta. Infatti raramente ha risposto soltanto sì o no. Probabilmente questo è dovuto alla sua età quasi adolescenziale: non è una bambina piccola che non riesce ad esprimere facilmente quello che pensa.

GIP = Ma Pietro ti ha picchiato per la storia con l'albanese?

S = Sì mi ha picchiato il 13 aprile, che era Pasquetta. Lui e mio padre, perché io gli volevo bene a Ruly e non volevo lasciarlo e continuavamo a sentirci e vederci e lui mi ha detto: "Non hai capito che lo devi lasciar stare? Papà ha detto così e così deve essere. Quando hai diciotto anni fai quello che vuoi". Allora quando ha scoperto che io ci stavo ancora - perché mio fratello non sopporta le bugie - mi hanno picchiato lui e mio padre, che c'era pure mia nonna quel giorno a casa.

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PM = Senti...ma non c'è stato nessuno della famiglia che si è accorto di questo tuo rapporto particolare con tuo padre, di questo legame un po' particolare che legava te a tuo padre e tuo padre a te?

S = Mia zia Lucia. Da molto tempo se ne era resa conto. Infatti dopo il funerale di mio nonno, poiché Ruly aveva aiutato a portare la bara, mio padre mi aveva aggredito dicendo che ero stata io a portarlo e tutte questa storie qua. Allora quando mio padre se ne andò dentro, mia zia mi disse: "Io non credo che sia quello il motivo. Ma perché tuo padre è così attaccato a te? Cosa è successo?". Ed io le ho detto: "Se tu sei una zia devi capire che cosa è successo". Infatti poi non ne abbiamo più parlato. Però poi quando lui ha tentato il suicidio io ho detto a mia zia: "Che se ancora non hai capito...questo e questo è successo".

PM = Ah, le hai parlato?

S = Sì quando mio padre era in ospedale perché lei è venuta a casa e voleva sapere le sue condizioni; allora gli ho detto: "Questo e questo è successo". E lei si è messa a piangere.

PM = Quindi hai raccontato a tua zia tutti gli abusi che tuo padre ha fatto su di te?

S = Sì. Lei si è messa a piangere perché comunque mi credeva e poi quando mio hanno chiamato a fare la visita dal ginecologo io ho chiamato pure lei perché mia sorella prima ha detto di sì, che veniva, e poi si è rifiutata e non è venuta. Poi ho chiamato mio fratello e lui mi disse: "No, tu ci devi andare dal dottore perché se hai qualche malattia o qualche cosa lo devi sapere ora...perché tu sai che papà è malato o che se ti mischia qualche cosa è meglio che lo sai". E poi mi disse ancora: "Ma dillo a mamma se viene". Io ho parlato con mia mamma, ma lei mi ha detto "No, no io non ci vengo", perché lei è scossa dai Carabinieri perché anche lei ha fatto una causa qui in tribunale.

PM = Una cosa voglio capire: tua zia aveva compreso quello che faceva tuo padre o tu gliel'hai detto specificamente?

S = La sera dopo il funerale lei aveva capito qualcosa.

GIP = Il pubblico ministero vuole sapere quando tu hai riferito di questi episodi a tua zia?

S = Dopo il tentato suicidio di mio padre.

GIP = Quindi le hai detto chiaramente quello che era successo.

S = Sì e lei l'ha riferito a mia nonna.

GIP = Però lei aveva intuito qualcosa il giorno del funerale? Tu hai detto questo?

È giusto, durante l'audizione protetta, fare ogni tanto un riassunto di quanto detto dal minore. Ciò permette sia di verificare se quanto appreso è quello che il testimone voleva esprimere, sia di far capire al bambino che l'interlocutore lo sta ascoltando.

S = Sì.

GIP = Adesso...per riassumere brevemente: quando tu sei stata in campagna da sola con tuo padre è iniziato il primo abuso nell'agosto del 1994: tu così hai detto...poi lui ci ha riprovato altre volte, cioè lui ha approfittato di te altre volte mentre stavate in campagna?

S = Tentava ma non c'è riuscito.

GIP = Poi dopo, tutte le altre volte si sono verificate a casa?

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S = Sì.

GIP = A casa quando lui ti chiamava ed era a letto con tua madre e il tuo fratellino, là gli portavi l'acqua e lui approfittava di te?

Il GIP continua a chiedere conferme di quanto ha capito. È giusto ripetere per evitare di arrivare alla fine dell'interrogatorio ed avere idee confuse su quanto raccontato dal minore.

S = Sì.

GIP = Mi hai detto poi in un passaggio che tua madre qualche volta sentiva qualche rumore e si svegliava e così tuo padre si toglieva da sopra. È così, ho capito bene?

S = Sì. Si svegliava di più quando andavo in bagno.

GIP = Cioè alla fine insomma?

Il GIP cerca di capire in modo preciso l'atteggiamento della madre.

S = Sì.

GIP = Cioè quando tuo padre ti stava sopra e ti penetrava, lei non si è mai svegliata o si è girata?

S = Lei sentiva rumori e chiedeva i piedi miei dove erano e li metteva vicino a quelli di mio fratello.

GIP = Quando tua madre si svegliava e chiedeva qualche cosa, tuo padre si fermava?

S = Sì.

PM = Ricordiamo, comunque, che parliamo di una donna che ha il 75% d'invalidità.

Difesa = Sì ma che c'entra, c'è comunque una presenza.

PM = Quindi voi eravate abituati a dormire in quattro in un letto in sostanza?

S = Sì.

PM = Questo letto matrimoniale quanto è grande?

S = Come un letto matrimoniale.

PM = Gli abusi che tuo padre ti faceva avvenivano di solito a notte inoltrata o nelle prime ore?

S = La notte tardi, mentre gli altri dormivano.

I vari studi di psicologia svolti sulle audizioni dei minori hanno evidenziato che l'aggiunta di particolari nel racconto, anche se insignificanti per la verifica della commissione del fatto, sono indice di un racconto veritiero.

PM = Ma nella camera da letto è successo una volta soltanto o è successo altre volte?

S = Una volta soltanto. E poi quest'estate, a luglio-agosto, è venuto una sera tardi perché io piangevo (e non mi ricordo perché piangevo).

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PM = E chi stava a dormire con te quella sera?

Sara, forse per vergogna, non ripete di nuovo in modo specifico che cosa le faceva il padre.

S = Ero sola e le mie sorelle sarebbero rientrate più tardi perché era estate. Lui si avvicinò al mio letto ed io l'ho respinto. Lui se ne è andato perché poi mia mamma si è svegliata. Poi quando ha visto che mi sono addormentata è ritornato e poi ho visto che faceva di nuovo la solita cosa.

PM = Cioè è tornato ed ha abusato di te?

Questa affermazione della minore che dice di aver cambiato il letto sarà contrastata dalle parole della sorella Ilaria che sostiene, invece, che Sara non sa farlo e che dunque questo avvenimento è impossibile.

S = Sì e quella volta ha lasciato tutte le lenzuola bagnate ed io le ho cambiate: io mi sono presa per me le lenzuola bagnate ed ho messo alle mie sorelle quelle pulite.

PM = Cioè tu sei rimasta nel letto che aveva le lenzuola bagnate?

S = No io ho cambiato letto perché ero in quello di mia sorella ed ho messo nel mio le lenzuola bagnate.

PM = Ed infine si è verificato quell'episodio tra il 5 ed il 6 ottobre?

S = Sì.

PM = Queste ultime due volte sono successe nella camera da letto tua e delle tue sorelle?

S = Sì.

PM = Senti...tu hai detto che sei stata fidanzata con Ruly per due anni circa. Ma quando uscivi con lui tornavi a casa tardi oppure avevi un orario?

S = No, cercavo sempre di tornare a casa prima che mio padre veniva sennò lui sarebbe venuto a cercarmi e mi avrebbe picchiato. Comunque circa verso le sei ero a casa e uscivo verso le quattro e mezzo, le cinque.

Sara evidenzia la differenza che c'è tra se e le sorelle nell'ambito della famiglia. Come afferma anche dopo, il padre voleva che ci fosse lei in casa.

PM = Ma è mai successo che una sera era tardi e non eri ancora tornata a casa e tuo padre ti è venuto a cercare per tutto il paese? Cioè è mai successo che sei tornata verso le nove, le dieci?

S = No mai. Dove era questa cosa per me. Io dovevo stare lì a guardare lui e le mie sorelle se ne potevano andare girando.

PM = Quindi tu e Ruly vi incontravate dalle quattro alle sei di pomeriggio?

S = Sì.

PM = E così dalle sei in poi tu stavi a casa e non uscivi più?

S = Sì. Poteva talvolta capitare che lui tardava e così anch'io tornavo un po' dopo. Ed altre volte capitava che tornavo e lo trovavo che era già tornato ed era in giro per il paese ad ispezionare. Poi oltretutto mi aveva messo le spie perché spesso incontravo mio cugino che mi

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diceva: "Tu quello lo devi lasciare stare. Tuo padre mi ha detto che ti devo sorvegliare". Tutti le stesse cose mi dicevano.

PM = Ma le tue sorelle tornavano più tardi di te la sera a casa?

S = Sì. Loro facevano quello che volevano perché tanto c'ero io a casa. Perché se io non ero a casa mio padre andava a giro per il paese a cercarci, mentre se io ero a casa era tranquillo e non andava e così pure loro erano tranquille.

PM = Tu mi hai già riferito nel mio ufficio queste cose che hai raccontato oggi, ti ricordi?

S = Sì.

PM = Ma quella volta non hai riferito la circostanza che quando si verificavano questi abusi di notte nel letto c'era anche il tuo fratellino. Perché non me lo hai detto allora?

S = Perché non mi sembrava importante.

PM = Quindi oggi confermi che ogni volta che si verificavano questi abusi c'era sempre il tuo fratellino?

S = Sì.

PM = E lui dormiva in quei momenti e quindi non si accorgeva di niente oppure si accorgeva pure lui di qualche cosa?

S = Credo di no. Lui ha un sonno pesante.

Da questo momento inizia un forte contrasto tra Sara e l'avvocato del padre. Anche per evitare simili situazioni è sempre necessario eseguire l'audizione protetta in modo che solo lo psicologo ed eventualmente il giudice stiano insieme al minore. Il pubblico ministero e soprattutto l'avvocato difensore devono stare in un'altra stanza (anche se con la prima collegata per realizzare la garanzia del contraddittorio).

PM = Prima di venire qui a raccontarci tutto quello che hai detto, hai subito delle pressioni da chicchessia per non rivelare tutto questo, cioè da parte dei tuoi familiari o di altre persone?

S = Sì erano tutti d'accordo che io dovevo ritrattare, anche l'avvocato qui presente. Cioè si era deciso che io dovevo cercare di far capire al giudice che ero nel dubbio, che io ero "caduta" con più uomini. E dovevo usare questo termine per far capire che ero di poco valore.

GIP = Queste cose sono successe dopo l'arresto di tuo padre?

S = Sì.

GIP = E chi è che ti ha detto che dovevi cercare di confondere la situazione?

S = L'avvocato di mio padre, mio fratello Pietro e mia sorella Ilaria.

GIP = I tuoi parenti, tuo fratello e tua sorella cosa ti dicevano?

S = Dicevano che dovevo ritrattare perché sennò mio padre rimaneva in galera. Dicevano che non dovevano far capire le cose reali e dire che ero stata con più ragazzi, usando il termine "caduta" in modo da giustificare la visita ginecologica. Tutto questo era stato pensato dall'avvocato di mio padre perché, essendo il suo avvocato, doveva farlo uscire. Mio fratello ha cercato di farmi venire i sensi di colpa, dicendomi che papà ha la psoriasi e che stava male. E

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poi mi ha detto: "Ti ricordi cosa devi fare quando ci sarà l'incidente probatorio?". Ed io gli ho detto: "Io dirò la verità, perché la verità è la migliore cosa".

È corretto l'avvertimento del GIP all'avvocato. Infatti è già stata conclusa la fase della narrazione libera e quella delle domande specifiche da parte dell'accusa. Adesso l'avvocato potrà chiedere dei chiarimenti su cose già dette attraverso domande chiare e precise.

GIP = Avvocato dell'imputato può fare le domande con l'avvertimento che devono essere domande chiare e precise.

Difesa = È vero che nell'agosto del 1994, quando si è verificato presumibilmente il primo episodio di abuso, era con voi anche suo fratello Pietro?

S = No non c'era mio fratello.

Difesa = E nella notte tra il 5 ed il 6 ottobre del 1999, quando sempre presumibilmente si è verificato un altro episodio, è vero che nell'appartamento vi erano anche la sorella paterna e la nonna?

Già dalle prime domande che l'avvocato pone a Sara emerge il suo non credere ai fatti raccontati dalla minore. Essendo difensore dell'imputato, il suo compito è quello di screditare la credibilità della vittima. Per questo le sue domande dovevano essere poste a Sara da un soggetto terzo (psicologo o GIP).

S = No, mia sorella era nel paese dove lavora e mia nonna non c'era.

Difesa = Non è vero signor giudice: in quell'appartamento, in quel momento, vi erano cinque...sei...sette persone.

GIP = Sara chi c'era in casa quella sera?

S = Eravamo io, mai madre, il mio fratellino, mia sorellina e mio padre.

Difesa = E dove era l'altra tua sorella Ilaria?

S = Nel paese dove lavora, ...e voi lo sapete meglio di me.

L'avvocato pone le domande alla minore utilizzando spesso termini che denotano un certo distacco che lei percepisce (ad esempio spesso le si rivolge dandole del "lei" e non del tu).

Difesa = Ho un'altra domanda signor giudice: i rapporti che la signorina ha intrattenuto con questo giovane albanese sono circostanziati a due rapporti o a più rapporti?

S = Ho già detto che è già successo più di una volta.

Difesa = Più di una volta?

S = Sì.

PM = Quando si è verificato il primo episodio?

S = A giugno del 1999.

Difesa = Voglio precisare che c'è una non-verità che la signorina vi ha riferito in una delle sue deposizioni...

GIP = Cosa sta leggendo adesso avvocato?

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Difesa = Sto leggendo quello che ha detto la signorina nella deposizione del 12/11/1999.

PM = Vuole fare una contestazione?

Difesa = Voglio precisare, cambiando la domanda che io stesso avevo formulato. La signorina, il giorno 29/09/1999, signor giudice, scrive una lettera a Ruly, questo giovane suo fidanzato, che già è stata allegata agli atti.

(L'originale della lettera viene fatta vedere a Sara).

GIP = È tua la calligrafia Sara? L'hai scritta tu?

S = Sì, l'ho scritta io.

Difesa = Riconoscete per vostra questa lettera signorina?

S = Sì.

Difesa = Ad un certo punto di quella lettera voi scrivete al vostro fidanzato che «a vostro padre gliel'avreste fatta pagare cara e così a vostro fratello Pietro per far capire loro qual era il vostro intendimento». Così infatti è scritto: «Ho iniziato a comportarmi così per fargliela pagare a mio padre e a mio fratello. Sono certa che se lui non mi dicesse di poter stare con te, io non penserei a nessuno».

PM = Perché l'hai scritte queste cose? Quali erano le ragioni per cui tu ce l'avevi con tuo padre?

Difesa = In che modo avrebbe fatto pagare..., qual era l'intenzione, il programma di questo pagamento che esigeva dal padre e dal fratello?

GIP = Sara devi raccontare perché hai scritto quella lettera.

Sara reagisce energicamente alle parole - che lei percepisce "accusatorie" - dell'avvocato.

S = Io ho capito quello che voi volete dire, dicendo che io ho accusato mio padre dicendo queste cose per fargliela pagare. Sì voi dite così per far sembrare me pazza e che io ho inventato tutto perché non potevo stare con Ruly, è logico! Io invece ho scritto queste cose perché mio padre e mio fratello non mi facevano vivere una vita normale: mio fratello che dava ragione a mio padre e mio padre che abusava di me di notte e di giorno e non mi faceva uscire. Che cosa dovevo fare io? Che dovevo scrivere? Che sono contenta che mio padre abusa di me di notte e di giorno e che non mi fa nemmeno uscire e che mio fratello è pure contento?

GIP = Tu questa lettera l'hai scritta come fosse un tuo diario personale?

Sara spesso insiste sul fatto che la sua vita non era normale e cerca di far capire tutto questo con l'esempio di una mancanza per lei importante: la "libertà di uscire normalmente".

S = Sì, io non gliel'ho date. Queste lettere le scrivevo e le conservavo nel mio comodino. Io non vivevo una vita normale e mi sentivo e mi sento ancora diversa dalle altre ragazze, perché le altre potevano uscire normalmente e...sono sicura che se io fossi uscita normalmente magari non sarebbe nemmeno successo che con Ruly avrei avuto rapporti perché comunque potevo stare alla luce e non nascondermi nelle case in costruzione.

Difesa = C'è un altro passaggio sempre in quella lettera, signor giudice, dove la signorina parla di un certo Salvatore, quindi di un altro giovane. Chi è questo Salvatore? Che rapporti ha avuto con questo Salvatore e ha consumato rapporti sessuali con lui?

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S = Con questo ragazzo non ho mai avuto rapporti! È Salvatore, un ragazzo del mio paese che mi piaceva prima di mettermi con Ruly ma non più di tanto. Non vuol dire che solo perché ho scritto il nome di un ragazzo io stia con tutti.

Difesa = È vero che - riferito a quanto ha detto il padre nell'interrogatorio - lei è stata sorpresa con Ruly in atteggiamenti inequivocabili, in diverse occasioni, da vostro padre?

S = No io non l'ho mai visto. Mio padre mi diceva che c'era gente che mi controllava, che tutto quello che facevo lui lo sapeva. Ma non mi ha mai detto cosa io facevo. Mi chiamava sì puttana e tutte queste cose qua, però...

Un contrasto così forte non è utile neanche all'interrogatorio stesso. È necessariamente da evitare che il difensore del presunto abusante rivolga personalmente le domande al minore sottoposto all'interrogatorio nell'audizione protetta.

Difesa = È vero che il 5 e il 6 ottobre del 1999 vostro padre vi ha sorpresi sotto una scala, vicino casa, dietro le case rosse?

S = No, non è vero. Questa è stata una cosa detta da voi, avvocato, e da mia sorella perché era il programma che si era deciso nel vostro studio per andare...

Difesa = E perché vostro padre si opponeva così categoricamente a questo rapporto con l'albanese?

S = Perché non sopportava che io ero fidanzata. Quando io gli dicevo "No ma tu non è che ti opponi solo perché Ruly è albanese, ti opporresti anche se fosse un altro ragazzo qualunque, tu sei geloso e basta!", lui mi seguiva e dopo che l'ha detto a mio fratello succedeva che mentre io andavo a prendere il pane, mio padre seguiva me e mio fratello, era tutto un giro.

GIP = Ma a proposito di questo...senti tuo padre ti diceva "Io non voglio che tu stai con Ruly perché è senza lavoro, è disoccupato, che avvenire ti farai con lui", oppure aveva...

S = Diceva che potevo avere di meglio ma che ancora non era il momento, che quando sarei diventata grande...

Domanda posta in modo suggestivo. Sarebbe stato corretto chiedere alla minore: "E perché, secondo te, ti diceva queste cose?". Lei avrebbe dovuto rispondere spontaneamente che il padre si sentiva abbandonato.

GIP = Ma in realtà lui era geloso di questa tua relazione?

S = Sì perché quando vedeva che io non gli stavo vicino mi diceva "Tu chissà a chi pensi e fai così!".

GIP = Perché si sentiva abbandonato?

S = Sì, come se volesse dire "Tu hai qualcun'altro, te la passi con qualcun altro!". Infatti quando io ero preoccupata o non mi veniva il ciclo diceva "Tu chissà quante ne combini e con quante persone stai!".

Difesa = Come mai, signorina, scusate, pur avendo consumato con la frequenza e la cadenza che voi dite i presunti rapporti con vostro padre non vi siete mai ribellata e non avete mai proferito parola con gli altri familiari, vi siete tenuta tutto dentro per anni e poi in concomitanza con il fidanzamento con questo Ruly ecco che da voi è venuto fuori questo fatto qua?

S = Mi sono dimenticata la domanda.

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GIP = L'avvocato vuole sapere perché tu hai subìto questi abusi per tutti questi anni e ti sei determinata a riferire tutto a tuo fratello solo l'anno scorso?

S = Se io non ho parlato...

In questo momento Sara esplicita tutti i suoi sentimenti: il senso di colpa per i fatti accaduti, la paura di distruggere la sua famiglia e la vergogna a raccontare l'hanno portata a tacere per anni. Queste sono le sensazioni tipiche che emergono dalle varie storie di minori sessualmente abusati.

GIP = Ecco, perché non hai parlato prima vuole sapere l'avvocato in sostanza!

S = Perché non volevo che si distruggesse una famiglia. Perché mi sentivo in colpa. Io avrei potuto parlare ma non volevo che si arrivasse a questo punto, come adesso...mi sembra strano di essere davanti alla legge: queste cose io le vedevo solo in televisione. Cioè non ci credevo io. Per mio padre era un gioco e lo era anche per me finchè ero piccola ma poi arrivata ad un certo punto, c'era o non c'era Ruly, tutto questo si doveva sapere. Ma non per stare con Ruly io allontano mio padre, no...non è vero. Cioè io non l'ho detto anche per vergogna mia, ...cioè io comunque sono una ragazza e mi vergogno...già a dire di fronte a tutta la gente che un padre abusa di te e che ti vede nuda e che ti vuole toccare il seno è una vergogna!

GIP = E che cosa è stato che ti ha poi determinato a parlare? Perché hai detto tutto quella sera a tuo fratello?

S = Perché lui mi aveva picchiato e poi perché l'ultima volta dell'abuso io stavo proprio male: ho cominciato a vomitare e a scuola stavo male e i professori se ne accorgevano e mi chiedevano perché stavo così.

GIP = E tu non hai mai parlato con i tuoi professori?

S = La mia professoressa d'italiano è venuta a casa e mi ha detto "Sara ti devo parlare". Io allora sono scesa nella sua macchina (perché a casa c'erano anche mia mamma e mia nonna) e lei mi ha detto: "Io ho sentito una cosa in televisione e l'ho anche letta sul giornale ed ho capito subito che riguardava te, anche perché non venivi più a scuola. ...E poi c'era questo legame con tuo padre. Io so che è vero".

GIP = Ha detto "Io so che è vero"?

Sara spesso ripete il fatto che la sua professoressa l'ha creduta. Nella sua situazione questo le ha dato coraggio.

S = Sì ha detto "Io ti credo, io so che è vero perché a scuola tu non venivi più, quindi un motivo ci doveva essere. Tu non è che ti nascondevi così, io ti conosco bene e non dicevi le cose così senza un significato, mentendo". E poi mi ha detto "Mi raccomando tu, qualunque cosa succeda vai sempre avanti e dì sempre la verità!". Mi ha dato molto coraggio.

Difesa = Ma...senti perché la sera prima che lei raccontasse tutto a suo fratello Pietro - cioè la sera del 9 ottobre - suo padre l'ha picchiata?

S = Quella sera io ero andata al bar a telefonare ed ho avuto un giramento di testa, così mi sono seduta. Quando sono tornata c'era tanta gente nel corso ed ho visto, tornando, mio padre che era venuto a spiarmi. Quando è arrivato a casa mi ha detto "Tu te ne vai passeggiando con i ragazzi!", perché lui era convinto di avermi vista camminare con un ragazzo. Così io gli ho detto: "Tu sai benissimo che lì c'era tanta gente, se tu hai pure potuto vedere tutte quelle persone e che io ho potuto dire ciao a qualcuno, e che c'è di male?".

GIP = Quindi lui voleva non soltanto che tu non stessi con Ruly ma anche che tu non ti incontrassi con altri ragazzi?

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Sara sembra quasi chiedere delle conferme riguardo all'anormalità del comportamento di suo padre.

S = Lui non voleva nemmeno che io dicessi ciao a quelli del portone. Passava un ragazzo davanti al mio portone e lui mi diceva: "Tu saluti tutti quanti! Ma non hai capito che quando stai con me non devi dire ciao a nessuno e non devi parlare con nessuno!". Andava in macchina e mi guardava dallo specchietto di dietro. Non credo che sia normale questo.

GIP = Quindi ti ha picchiata perché temeva che...

S = Perché lui era convinto che io, invece di andare a telefonare, ero andata a passeggiare. Quindi per lui io avevo detto una bugia e lui voleva, invece, che io stavo a casa.

Molte volte, nell'interrogatorio, Sara ha evidenziato come, essendo ormai cresciuta, lei capiva quello che il padre le faceva e ciò le faceva "schifo".

GIP = Dunque i fatti che ti hanno determinata a raccontare tutto, Sara, sarebbero due. Dimmi se ho capito bene: la violenza subita la notte tra il 5 e il 6 ottobre e poi l'episodio delle percosse subite?

S = Sì è così. Era normale...ormai ero diventata grande e capivo il senso di schifezza. Poi facendolo con il tuo ragazzo e con tuo padre sono due cose diverse. Poi vedevo mio padre malato tutto addosso a me...pensa se mi viene la psoriasi, la colpa è sua! Mettiamo che io mi ammalavo di qualsiasi cosa, lui era il responsabile!

Difesa = Signorina, scusate, la notte tra il 5 e il 6 ottobre, quando si è consumato presumibilmente questo rapporto, quante persone eravate in casa?

S = In casa o nella stanza?

Difesa = In tutte e due.

S = Nella stanza eravamo in due, io e la mia sorellina, nella casa c'erano anche mia madre, il mio fratellino e mio padre: eravamo cinque persone.

Difesa = Ma quando si consumavano questi presunti rapporti vostro padre usava delle precauzioni?

GIP = Cioè se usava profilattici, preservativi?

Difesa = Sì perché mi sorge un dubbio... Data la cadenza e la continuità dei rapporti e dato che il rapporto avveniva completo in sede, non si è mai verificato un episodio gravidico? Cioè di aborto? Eppure il padre ha sei figli.

S = No, non ha mai usato cose del genere, non se ne preoccupava proprio...anzi...

Difesa = La signorina sa che cosa sono i profilattici?

S = Sì li ho visti in farmacia.

Difesa = E quando invece avete consumato i due rapporti completi con il vostro fidanzato avete usato precauzioni?

S = No perché io mi sono rifiutata.

Seppur in modo abbastanza veloce, è stato corretto che il GIP abbia terminato l'intervista con la minore ringraziandola, concludendo così il suo stato d'ansia e di disagio, ma soprattutto

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trasmettendole di non aver "fallito" nel suo comportamento, essendo stata essa molto precisa nel racconto.

Difesa = Non ha avuto altri rapporti sessuali con altri ragazzi?

S = No.

Difesa = Ha avuto altri fidanzati?

S = No.

Difesa = Non ho altre domande.

GIP = Grazie Sara, sei stata molto precisa nel tuo racconto. Adesso abbiamo finito.

6. Interrogatorio della sorella di Sara: Ilaria (23 anni)Udienza del 23/05/2001 - Tribunale di Lagonegro (PZ)

Presidente = Lei è figlia dell'imputato?

Ilaria = Sì.

Presidente = Studia o lavora?

I = Lavoro: faccio la parrucchiera.

PM = Lei ricorda l'episodio del tentato suicidio da parte di suo padre?

I = Sì. Ero a casa di una ragazza del mio paese appunto a fare una piega, stavo lavorando; mi chiamò Sara e mi disse "Vieni a casa. Non ti preoccupare, non è successo niente". Arrivo a casa e vedo mio padre disteso sul pavimento. L'ambulanza,...eccetera. Ricordo solo questo e basta.

PM = Ha avuto modo di parlare con Sara e con suo fratello Pietro sui motivi di quel gesto? Avete cercato di trovare dei motivi, una spiegazione a quel gesto?

I = No.

PM = Ha avuto occasione di parlare con Sara e Pietro di quello che era successo?

I = Sara mi disse che dovevo prepararmi al peggio e basta, le chiesi spiegazioni e lei mi disse solo quello.

PM = E Pietro cosa le disse?

I = Non ricordo, ho un vuoto.

Presidente = Lei all'epoca del tentato suicidio da parte di suo padre, viveva a casa dei suoi genitori?

I = Sì, ma ogni tanto rimanevo a dormire in un paese vicino perché studiavo là.

PM = Ci dica quello che lei ricorda.

I = Da dove parto...ricordo tante cose.

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PM = Parta dall'inizio.

I = Mi faccia lei le domande perché non so da dove iniziare.

PM = Lei ha ricevuto confidenze da parte di sua sorella?

I = Confidenze in che senso?

PM = Di rapporti o di attenzioni morbose da parte di qualche familiare.

I = Questo la sera del tentato suicidio di mio padre, subito dopo.

PM = In quale modo, ... cioè dove eravate? Le confidenze sono state sollecitate da qualcuno o sono state spontanee?

I = Sì...lei prima mi disse che aveva avuto rapporti ... che aveva avuto questi abusi.

PM = Questi abusi da parte di chi?

I = Di mio padre. Ma poi lei mi disse che non era vero, che si era inventata tutto per difendere il suo ragazzo albanese.

PM = Un attimo...questo gliel'ha confermato Sara. Ma dove vi trovavate quando le ha fatto tali confidenze?

I = A casa. Mio padre già aveva tentato il suicidio ed era all'ospedale, così in casa c'eravamo io, Sara, mia madre, mio fratello Pietro e le mie sorelle.

PM = Come le parla Sara riguardo alle attenzioni? Cioè cosa le ha detto sua sorella?

I = Gliel'ho detto... eravamo a casa e, dopo che Sara mi ha detto "Devi prepararti al peggio", ...(silenzio)

PM = Sì, ma che termini ha usato sua sorella?

I = ...Non ricordo, ho un vuoto.

PM = Lei prima ha parlato di "abusi sessuali", lo ha detto lei: quindi in cosa sono consistiti questi abusi?

I = Mi ha detto solo che ...niente, praticamente lo aveva denunciato per quello... per quello che ho detto prima, basta... non riesco a ripeterlo.

Presidente = La sua reazione qual è stata?

I = Non ci ho creduto fin dall'inizio perché so che mio padre non farebbe mai una cosa del genere. Mio padre! No, no...non ci ho mai creduto e mai ci crederò!!! ...Questo e poco ma sicuro!

PM = Ma dopo aver appreso questa circostanza, ha avuto modo di parlare con suo fratello Pietro oppure con suo padre?

I = No, io non ci ho mai creduto, fin dall'inizio. Subito dopo io non parlavo neanche più a Sara. Io ero andata nella camera da letto dei miei genitori per chiamarla perchè dovevamo cenare (eravamo io, Pietro e mia mamma) e lei era distesa sul letto e fissava le pareti; lei mi prese il braccio e mentre fissava la parete mi disse: "Io lo so che non è stato papà, ma devo dire che è stato lui" ..., cioè se una sorella ti viene a dire una cosa del genere come fai a credere?

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PM = Che cosa le disse Sara?

I = "So che non è stato papà ma devo dire che è stato lui".

PM = E lei non chiese il motivo?

I = No, io andai subito da mio fratello Pietro a chiamarlo, ma lui disse "No, basta, basta, non voglio più sentire nulla di questa situazione"... Ma non ci crede neanche lei, come facciamo a crederci noi dove non c'è nessuna prova. Io non ho nessuna prova che ha fatto una cosa del genere! Anzi di padri così ce ne sono pochi.

PM = Lei ha avuto modo di parlare con suo fratello Pietro di questi abusi sessuali?

I = Sì ...cioè lui all'inizio, prima di trovare la lettera, era dalla parte di Sara, le credeva. Infatti litigavamo sempre perché io non ci ho mai creduto fin dall'inizio e glielo dicevo "Guarda che non è vero perché ...chi meglio di noi se ne doveva accorgere?"

Presidente = Quindi lei ne ha parlato con suo fratello?

I = Si, cioè ne abbiamo parlato. Lui diceva "Come avete fatto a non accorgervi?". Ed io dicevo "Impossibile, perchè se avveniva una cosa del genere noi dovevamo accorgercene".

La difesa

Avv 1 = Senta i suoi rapporti con sua sorella Sara sono sempre stati buoni?

I = Sì era quella con la quale andavo più d'accordo tra tutte le sorelle.

Avv 1 = Cioè Sara si confidava con lei?

I = Sì infatti si confidava! ...E se era successa davvero una cosa del genere...non mi viene a dire niente?! No!!

Avv 1 = Quindi, poiché Sara era solita confidarsi con lei riguardo alle cose che avvenivano nella sua famiglia, se fosse successo un fatto del genere, di violenze sessuali subìte ad opera del padre, lei ritiene che si sarebbe confidata con lei?

I = Sì certo!

Avv 1 = Senta...ha avuto mai modo di accorgersi di particolari attenzioni che suo padre aveva nei confronti di Sara?

I = Non ho capito la domanda.

Avv 1 = Cioè...suo padre chiamava spesso Sara, si faceva accudire solo da lei?

I = No, mio padre si comportava in modo uguale con tutti.

Avv 1 = Lei ha mai visto piangere Sara in casa?

I = Sì ma sempre riguardo al suo ragazzo. Tutte le volte che piangeva le chiedevo cosa aveva e lei mi rispondeva che era sempre per lui.

Avv 1 = Dunque lei era al corrente di questi rapporti tra sua sorella e il suo ragazzo albanese?

I = Sì.

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Avv 1 = E mi sa dire da quanto tempo si frequentavano?

I = ...Io non avevo compiuto neanche 18 anni perché ricordo che mi serviva la carta d'identità e non ce l'avevo quel giorno: infatti l'abbiamo conosciuto insieme... Quindi saranno 5 anni.

Avv 1 = Adesso devo farle una domanda che è una conseguenza a ciò che è risultato dall'incidente probatorio: suo padre ha mai tentato di usare violenza con lei, di molestarla?

I = Mio padre... no!!

Presidente = Perché sua sorella Sara, nel corso dell'incidente probatorio, ha detto che lei le confidò che suo padre ci aveva provato anche con lei in campagna, ma non ci riuscì.

I = No, no...non è mai successo! È successo con qualcuno ma non è mio padre. ...No!

Presidente = Se è successo con qualcun'altro ovviamente in questo procedimento non ci interessa. Dunque lei non ha mai riferito cose del genere a sua sorella?

I = Ho riferito cose del genere a mia sorella ma non riguardo a mio padre: non era lui quello di cui parlavo.

Avv 1 = Con chi dormiva sua sorella Sara?

I = Nella stanza con noi ragazze.

Avv 1 = È mai capitato che di notte suo padre è entrato nella stanza?

I = No, non è mai entrato mio padre nella nostra stanza, tranne quando eravamo ammalate: ad esempio se avevo la febbre, veniva lì a controllare come stavo... però in altri casi no...di trovarcelo di notte in camera mai.

Avv 1 = Si è mai accorta se sua sorella Sara di notte si alzava per andare non so...

I = No, no.

Avv 1 = In relazione all'episodio del 4/08/1994, il primo che riferisce sua sorella Sara, lei si ricorda che cosa successe?

I = Sì, famosa data...perché in quel giorno morì il cugino di mio padre: morì bruciato. A Sara è rimasta impressa quella data; infatti ci fece anche un tema. Io ho trovato quel tema svolto da lei e lì c'è scritto che lei non perdona mio padre per la morte di questo ragazzo.

Avv 1 = Quando suo padre si spostava per le transumanze, si spostava da una parte all'altra in relazione alle stagioni invernali o estive, ...poi andava solo o in compagnia di Sara o c'era qualche altro figlio o la famiglia che lo accompagnava?

I = Ma dipende. La maggior parte delle volte c'era mio fratello Pietro. Lui era sempre presente, poi comunque facevamo i turni. Quindi c'era sempre qualcuno.

Avv 1 = Senta...la vostra nonna paterna, dopo la morte del marito (che, se non sbaglio era il patrigno di vostro padre), è venuta a stare un po' di tempo a casa vostra?

I = Sì: ha abitato con noi dalla morte del nonno fino al 2 novembre.

Avv 1= E si trovava lì il 5 e il 6 ottobre del 1999?

I = Sì.

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Avv 1 = Si ricorda bene?

I = Sì perché trascorse tutti questi mesi da noi.

Avv 1 = Con chi dormiva?

I = In quel periodo la nonna dormiva nella nostra stanza e la mia sorellina più piccola, poiché aveva 9 anni, dormiva nel letto con me.

Avv 1 = Dunque vostra nonna dormiva nella stessa stanza di Sara?

I = Sì.

Avv 1 = Lei ha mai trovato le lenzuola del letto dove dormiva Sara sporche del liquido seminale...di sperma?

I = No!

Avv 1 = Si è mai accorta, non so...di mattina presto che Sara toglieva le lenzuola dal proprio letto?

I = No, non l'ha mai fatto questo!

Avv 1 = Sicura?

I = Sì.

Avv 2 = Vostro padre, signorina, ha sempre lavorato?

I = Sì.

Avv 2 = Ha mai ecceduto nell'uso di bevande alcoliche o meno?

I = No, no!

Avv 2 = Ha mai picchiato o maltrattato qualcuno della vostra famiglia? In particolare voi e le vostre sorelle?

I = No, eravamo tutti uguali per lui. Non ha mai toccato nessuno.

Avv 2 = Da quanto tempo a voi risulta che c'era questo contrasto tra vostro padre e vostra sorella Sara per il fatto del ragazzo albanese?

I = Praticamente...all'inizio papà quando seppe che Sara stava insieme ad un ragazzo non era contrario perché lei aveva detto che era italiano... allora mio padre...cioè poi non sapeva... Poi subito dopo ha saputo che questo ragazzo non solo era un albanese, e...va be' comunque era una persona normale, poi ha saputo che beveva, cioè faceva uso di alcool, e rubava macchine e così da allora naturalmente è stato contrario al fidanzamento...perché per la figlia... Niente...così da allora sono iniziati questi litigi qua.

Avv 2 = Nel rapporto familiare papà era uguale con tutti voi o nei confronti di qualcuno di voi dimostrava particolari attenzioni?

I = No! L'unico con Pietro perché era il figlio maschio e il più grande...ma con gli altri no ... non c'era alcuna differenza!

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Avv 2 = E come si è venuto a creare questo rapporto contrastante tra suo padre e sua sorella Sara riguardo al suo fidanzato? Cioè i rapporti come si sono stabiliti tra papà e Sara e tra papà e la famiglia? Cioè nel contesto familiare questo contrasto che peso aveva?

I = Nessun peso perché comunque Sara nascondeva che stava con questo ragazzo. E l'unica che lo sapeva ero io, e papà non aveva neanche modo di lamentarsi perché non sapeva niente di questo ragazzo qui.

Avv 2 = Vi siete mai accorta di rientri insoliti di vostra sorella Sara?

I = ...Nell'ultimo periodo sì...cioè mia sorella era normale fino al periodo di giugno-luglio, ma dopo la morte del nonno è cambiata: faceva cose assurde, ...assurde...non sembrava neanche più lei! Abbracciava il letto e diceva che così si sentiva più vicino il nonno; mi raccontava che non voleva stare con il suo ragazzo, altrimenti tradiva il nonno...cioè cose assurde. Dopo la morte del nonno, mia sorella è diventata strana, troppo strana e non la riconoscevo più.

Avv 2 = E dopo la morte del nonno, in casa quanti eravate normalmente la sera e la notte?

I = ...Dopo la morte del nonno in casa c'eravamo io (anche se talvolta ero fuori per lavoro e viaggiavo), la nonna, mia madre, le mie sorelle e mio padre.

Avv 2 = E quanto è grande la vostra casa? ...Cioè, secondo voi, dunque potevano verificarsi eventuali episodi di cui si è parlato prima di notte in casa vostra? Cioè la casa come è ubicata, come è fatta?

I = I metri non glieli so dire!

Presidente = Di quanti ambienti, stanze è formata? Di quanti piani?

I = ...Al primo piano ci sono tre stanze da letto: la stanza dei miei genitori, quella dei fratelli e quella delle sorelle. Poi ci sono i due servizi, la cucina, il salone e i balconi.

Presidente = È su un unico piano?

I = Sì.

Avv 2 = Durante queste transumanze di papà, quando si spostava nella campagna, è potuto capitare che magari papà rimanesse solo con Sara o normalmente c'era qualcuno di voi o qualcun altro?

I = Di solito le transumanze capitavano d'estate e d'estate noi eravamo quasi sempre in campagna. Cioè Pietro era sempre presente perché ogni estate c'era sempre con papà, però anche noi, la famiglia, dato che non andavamo a scuola ed eravamo sempre lì, sempre con papà ad aiutarlo.

Avv 2 = E quando eravate in questa casa di campagna dove dormivate? Tutti insieme o c'erano camere separate?

I = No, c'erano delle camere separate! C'erano delle camere separate!

Avv 2 = E nelle camere separate come dormivate? Come eravate disposti?

I = Capitava che il papà, la mamma e il mio fratellino dormivano in una stanza e noi altri in un'altra.

Avv 2 = Quindi erano due stanze massimo?

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I = Sì.

Avv 2 = Lei, di solito, ha un sonno pesante o no?

I = No, ho il sonno leggerissimo.

Avv 2 = Durante le notte ha mai sentito rumori o suoni particolari che hanno potuto destare la sua attenzione?

I = No. Sempre tutto tranquillo, non ho mai sentito niente di particolare.

Avv 2 = Ora...nell'incidente probatorio sua sorella Sara disse che le lenzuola, bagnate di liquido seminale in seguito ad un eventuale rapporto sessuale con il padre, erano anche macchiate di sangue o altro... Lei, nel cambio, nel lavaggio o nella sostituzione delle lenzuola, non ha mai notato macchie scure o altro tipo di macchie sulle lenzuola?

I = No, mai.

Avv 2 = E ditemi una cosa... È mai possibile o si è potuto verificare - o si sarebbe potuto verificare - che, dopo magari aver consumato questi presunti rapporti con suo padre, sua sorella poteva - o avrebbe potuto - cambiare le lenzuola?

I = No perché Sara non sapeva usare ancora la lavatrice. Di solito la usavamo io, le mie sorelle più grandi e mia mamma. Ancora non gliel'avevamo insegnata perché era nuova.

Avv 2 = ...Signor Presidente, vorrei far notare che nell'incidente probatorio la minore disse che parte di questi presunti rapporti si consumarono addirittura nel letto matrimoniale, alla presenza della madre e del fratellino. Ora se è vero che tutto questo si è o si sia verificato, nel momento in cui dovevano essere cambiate le lenzuola queste dovevano essere sfilate da sotto i dormienti?

Presidente = La domanda qual è avvocato?

Avv 2 = No...era una mia considerazione. Durante i pasti a tavola, si sono mai verificati contrasti o discussioni, con specifici riferimenti, riguardo a questi rapporti intercorrenti tra papà e Sara? Cioè ci sono mai state scenate, discussioni o accenni a punzecchiature in riferimento a questo fatto qua?

I = No, mai.

Avv 2 = Un'ultima domanda: in sostanza voi potete dire di non aver mai notato particolari attenzioni di papà nei confronti di vostra sorella Sara?

I = No, non ho mai notato niente di strano.

Avv 2 = Non vi siete mai accorta di manovre, movimenti...queste cose qua?

I = No, era tutto normale, a casa era tutto normale: noi eravamo una famiglia normale e non mi spiego tutto ciò, cioè non mi spiego neanche perché.

Presidente = Quali sono i suoi sentimenti nei confronti di sua sorella?

I = Di Sara? Le voglio bene, anche se non riesco a capire questa cosa qua: so soltanto che se l'ha fatto è perché non sta bene. Perché noi di prove della colpevolezza di mio padre non ne abbiamo di sicuro! Se fosse stato vero ce ne saremmo accorti, ...eravamo tanti in casa e qualcuno se ne doveva accorgere.

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Presidente = Ha dei rimproveri da fare a sua sorella?

I = ...Non so... Se l'ha fatto perché non sta bene, no!

Presidente = Lei non gliel'ha chiesto perché l'ha fatto?

I = Lei mi ha detto che l'ha fatto per l'albanese; cioè io ho trovato delle lettere in cui diceva che per lui avrebbe fatto di tutto, anche a costo di distruggere la sua stessa vita. Io non riesco a darmi una spiegazione...cioè una ragazza di 15 anni che scrive quelle cose lì.

Presidente = L'ha mai contestato questo fatto a sua sorella?

I = Sì, ma dopo quello che ha detto a casa litigavamo tutti i giorni perché io non ci credevo.

Presidente = ...Lei ha detto che ha ricevuto queste confidenze di sua sorella la sera del tentato suicidio di suo padre?

I = Sì.

Presidente = Quando eravate a casa e sua sorella le ha detto queste cose, lei non ha chiesto quando questi avvenimenti si erano verificati, come, dove...non ha chiesto?

I = Sì, ...ho chiesto mentre ne parlava, ...cioè diceva che si erano verificati...ma non mi ricordo... Mi ha detto che in campagna era successo solo una volta, appunto quella volta...solo quella data mi ha dato e basta.

Presidente = Quella del 4 agosto del 1994?

I = Sì io mi ricordo solo questo. Altre cose non riesco a ricordarmele e non riesco a concepire queste cose, non ci credo ormai!

Presidente = Lei ha creduto a sua sorella quando le ha riferito questo fatto?

I = No, io fin dall'inizio! Cioè non posso credere ad una cosa del genere, cioè non ho le prove! Come faccio ad accusare mio padre?!

Presidente = Non le è venuto il dubbio che potesse riferire la verità sua sorella?

I = No.

Presidente = Era certa che dicesse bugie?

I = Sì, fin dall'inizio.

PM = Senta, lei ha avuto occasione di parlare con suo padre dopo il tentato suicidio?

I = Sì, in ospedale.

PM = Ha chiesto a suo padre cosa era successo? Se era vero quello che era successo?

I = No, perché non ci credevo.

PM = Quindi con suo padre non ha parlato della vicenda.

I = Di questa cosa mai.

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PM = E con suo fratello Pietro?

I = ...L'unica cosa all'inizio, cioè la sera del tentato suicidio di mio padre, mi disse "Sara ha detto questo e questo: devi prepararti al peggio". ...Queste cose qua. Però io non c'ho mai creduto, cioè gliel'ho detto subito, fin dall'inizio, che non poteva essere vero perché mio padre una cosa del genere non l'avrebbe mai fatta.

PM = E in relazione al tentato suicidio che spiegazione si è data? Perché, secondo lei, suo padre avrebbe tentato il suicidio?

I = Mio padre...diciamo che l'idea del suicidio l'ha sempre avuta.

PM = Perché l'aveva già tentato altre volte?

I = Cioè...non è che l'ha tentato, ma fin da giovane, fin dai primi tempi che era sposato con mia mamma, diceva che questa cosa qui...ma scherzando lo faceva. Ma in questi ultimi tempi stava male: la sua malattia era peggiorata tantissimo e poi il fatto che ha scoperto mia sorella Sara che stava in intimità con questo ragazzo...alla fine non ne ha potuto più.

PM = Questa spiegazione lei si è data del tentato suicidio di suo padre?

I = Sì. Ma per me...mio padre l'ho visto molte volte quando stava male. L'ho visto in fin di vita per la malattia,...cioè so cosa significa: io al suo posto avrei fatto la stessa cosa.

PM = Che tipo di malattia ha?

I = Psoriasi, psoriasi diffusa. Ma non solo, ha anche l'asma. Il tutto l'ha portato in delle condizioni...sembrava bruciato, non poteva neanche muoversi. Anch'io, nelle sue condizioni, avrei fatto la stessa cosa.

PM = Quindi lei ha dato come spiegazione di tutto questo la malattia?

I = Cioè tante cose: la malattia sua, la malattia di mia mamma, ...cioè c'era una situazione ...cioè lui non sapeva di chi occuparsi: i figli che se ne andavano da una parte, chi non tornava a cena, poi trovava mia sorella Sara in quelle condizioni...una ragazza di 15 anni in intimità con un ragazzo...che fa quelle cose! Poi il tutto ti porta...lui era solo, mia mamma malata, i figli per conto proprio...alla fine...

Presidente = In che circostanza sua sorella avrebbe detto a lei che si era risolta ad accusare vostro padre solo perché lui non vedeva bene la sua relazione con l'albanese?

I = Ma...tante volte... Il giorno prima del suo interrogatorio qui in Tribunale, mi disse che mio padre l'aveva scoperta con questo ragazzo dietro le case rosse. Ma...non disse altro. Io con mia sorella non ho mai parlato di queste accuse che aveva fatto a mio padre ... noi discutevamo sempre perché, dopo aver saputo quello che aveva detto a mio padre, io sapevo che non era la verità e così, quando parlavamo, discutevamo sempre.

Presidente = Come faceva a sapere che non era la verità ?I = Io non ho prove per niente che mio padre è colpevole!!! Cioè...come faccio...

Presidente = Cioè...il dubbio, il sospetto non l'ha avuto?

I = Cioè ho cercato di trovare, di capire se era vero, se non era vero.

Presidente = E come ha fatto?

I = Cercando di vedere nelle lettere, perché lei scriveva sempre.

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Presidente = Ne ha mai parlato con sua sorella?

I = Sì, io glielo dicevo, glielo dicevo "Guarda che io non ci crederò mai".

Presidente = E lei che le diceva?

I = Niente. Lei era strana.

Presidente = Sua sorella le ha riferito particolari, tempi, luoghi, circostanze specifiche in cui questi avvenimenti si sarebbero verificati? Le ha detto se era capitato una sola volta o più volte? Cosa le ha detto sua sorella?

I = No, a me ha detto che era successo solo una volta. Cioè...io delle altre volte non sapevo...ho appreso quando sono venuta qui.

Presidente = La sera del tentato suicidio di suo padre è venuta a conoscenza di un fatto sconvolgente: l'ha sconvolta quella notizia che le ha dato sua sorella? Sì o no?

I = Sì, ho cercato di capirla, di capire se era vero o non era vero.

Presidente = E coma ha fatto?

I = Guardando appunto nei suoi diari.

Presidente = Quindi c'era un rapporto confidenziale tra lei e sua sorella?

I = Sì, ma in quel momento il rapporto si compromise perché io non ci credevo, non credevo e allora...

Presidente = Ma prima che lei verificasse se era la verità o meno?

I = No durante questa cosa qui, perché io ho cercato di capirla e di capire, ma lei era strana. Io non riuscivo neanche a parlarci, perché ogni volta che ci provavo lei si arrabbiava: non si poteva parlare con lei, perché si alterava sempre,...era una cosa assurda.

Presidente = Suo padre era contento di questa relazione tra sua sorella e il ragazzo albanese?

I = No!

Presidente = E suo fratello Pietro?

I = Mio fratello all'inizio sì. Poi, quando ha saputo che questo ragazzo beveva, rubava...naturalmente no, era contrario anche lui.

Presidente = E lei sapeva di questa relazione di sua sorella?

I = Sì, fin dall'inizio perché l'abbiamo conosciuto insieme questo ragazzo ed io sapevo tutto.

Presidente = Sara dormiva nella stessa sua camera da letto?

I = Sì, accanto al mio letto.

Presidente = Chi provvedeva a rifare il letto di Sara?

I = Facevamo i turni tra me e l'altra mia sorella: siamo le più grandi.

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Presidente = Non si faceva il letto da sola?

I = No, era sempre così: ci dividevamo sempre tutto in casa.

Presidente = Sua sorella Sara le ha parlato mai di un certo Salvatore?

I = Sì.

Presidente = Lei lo conosce?

I = Sì.

Presidente = Che rapporti aveva sua sorella con questo Salvatore? Con lui aveva una relazione sentimentale?

I = No, a lui interessava lei, ma a lei interessava solo come amico o niente. Lei, comunque, mentre sentiva questo Salvatore, si frequentava già con l'altro ragazzo, lo faceva più per ripicca.

Avv 2 = Il 5-6 ottobre precedente al tentato suicidio di suo padre pare, come dall'incarto processuale, che si sia verificato un episodio che non voglio precisare perché vorrei sentirlo dire dalla signorina, se ne è al corrente. Naturalmente se quella sera e notte era nell'abitazione della famiglia.

I = ... Sì, quel giorno e notte io ero a casa e lo so con sicurezza perché Sara ha detto che in quella notte ha avuto rapporti con mio padre ma è impossibile perché io ero lì. Mi ricordo questa data perché ero con lei quando l'ha dichiarato al pubblico ministero e lei disse che quella notte era quella tra il 5 e il 6 ottobre e che io non c'ero in casa, ma è impossibile perché ho guardato il giorno, insieme al procuratore, ed abbiamo visto che era mercoledì ed era impossibile che io non ero a casa perché proprio il mercoledì tornavo dalla mia famiglia, dal paese vicino in cui abito per studiare, perché ho sempre l'appuntamento dal dentista e non potevo mancare. Ed infatti, se ben ricordo, Sara ha detto, dopo che abbiamo visto che era mercoledì, ..."Va be' allora...": cioè lei prima disse che era il 5 sera e poi cambiò versione dicendo "...Ah, forse era tra il 6 e il 7". Ma è impossibile perché io quella sera ero in casa.

Avv 1 = Chi le ha riferito che sua sorella e il ragazzo avevano avuto rapporti sessuali?

I = ...Non lo so...l'ho saputo quando mio fratello Pietro ha trovato la lettera, prima non sapevo niente. Sapevo solo che si frequentavano. Quindi l'ho appreso da mio fratello.

Avv 1 = Lei vedeva spesso piangere sua sorella Sara in casa?

I = No, quando la vedevo piangere mi diceva che era per il suo ragazzo...o perché l'aveva scoperto che beveva, o perché l'aveva scoperto con altre ragazze...e tutte queste storie qui.

Avv 1 = Le ho fatto questa domanda perché sua sorella Sara, durante l'incidente probatorio, ha riferito "Quasi ogni sera piangevo", cioè quasi tutte le sere.

I = No non è vero, era sempre euforica e rideva.

Avv 1 = E poi ha detto "Mio padre mi vedeva sempre piangere": è vera questa circostanza?

I = No, io non l'ho mai vista piangere, o meglio, quando lo faceva, si confidava con me e mi diceva che era per quel ragazzo.

Avv 1 = Non ho altre domande.

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7. Interrogatorio della psicologa Assunta BasentiniUdienza del 23/05/2001 - Tribunale di Lagonegro (PZ)

PM = Dottoressa lei ha ricevuto da me l'incarico di assistere dal punto di vista psicologico la minore e di redigere una relazione in ordine alle condizioni psicofisiche della stessa. Vuole riferire quali sono stati gli esiti della sua relazione e quali poi sono state le sue conclusioni?

Psicologa = Sì, io ho assistito all'audizione della minore la prima volta...mi pare nel novembre del 1999. È stata fatta un'audizione congiunta, c'erano anche il pubblico ministero ed il giudice per il Tribunale per i minori. Ricordo sia il contenuto delle dichiarazioni della minore, sia la sua sofferenza, perché in quella situazione Sara era già stata sentita in precedenza. Invece nell'audizione del novembre del 1999 era in una situazione psicologica di grande disagio per il fatto che alcune figure parentali l'avevano condizionata e quindi lei aveva detto che tutte le dichiarazioni fatte precedentemente non corrispondevano al vero. Aveva detto che aveva mentito prima: quindi era stata un'audizione particolarmente angosciosa per la ragazza perché è stato necessario darle tutto il tempo per calmarsi, riflettere e poi raccontare quello che in realtà aveva già raccontato con altri elementi, con altri dettagli.

PM = Ha spiegato lei oppure l'ha spiegato la ragazza stessa questo suo iniziale atteggiamento?

P = Sara l'ha spiegato semplicemente con...ma purtroppo questa è una situazione che si verifica molto spesso: una situazione di violenza intrafamiliare. Sostanzialmente lei nelle sue dichiarazioni iniziali, che se ricordo bene ha fatto anche alla presenza di alcuni fratelli o del fratello o di una delle sorelle - non ricordo - aveva raccontato di aver subito questi gravi fatti di violenza da parte del padre da quando aveva 10/11 anni. Successivamente, proprio al livello di dinamica familiare, si era creata una situazione particolare, per cui sembrava che le dichiarazioni di Sara dovessero poi sconvolgere completamente l'equilibrio di questa famiglia, cioè la "normalità" di questa famiglia. E questo ha determinato dei messaggi paradossali nei confronti della ragazza, che si è trovata a vivere una situazione di responsabilità e di colpa, nonostante fosse lei la vittima. Cioè io ricordo proprio le parole di Sara: "Io mi sento in colpa perché mi hanno detto che così io rovino la mia famiglia". Questo era, un po' in sintesi, il suo vissuto. Inoltre Sara viveva con sofferenza e con un senso di responsabilità eccessivo per la sua età tutta la sua situazione familiare, ma soprattutto si preoccupava e, a tutt'oggi purtroppo è ancora così, anche di quella che era poi la realtà dei fratellini più piccoli, quindi avvertiva proprio su di sé questo peso, cioè nella sua percezione così confusa e di grande sofferenza lei diceva "Forse questo mio dire le cose può creare problemi ai miei fratellini", anche perché era questo il messaggio che lei aveva ricevuto dalle figure familiari e parentali.

PM = In particolare ha riferito anche di pressioni da parte di fratelli o di sorelle?

P = Sì. Anche per quanto riguarda quell'audizione del novembre del 1999 Sara fu accompagnata dai fratelli, ...non ricordo se da tutti e tre, ...mi sembra da una sorella e dal fratello Pietro. Naturalmente era stata da loro invitata - non voglio dire minacciata o ricattata - ma sollecitata a ritrattare le dichiarazioni fatte. Per cui quando poi, nel corso dell'audizione, è riuscita a fermarsi dal punto di vista proprio del racconto ed ha fatto capire che non riusciva a mentire, non riusciva a portare avanti questa tesi che si era inventata tutto per fare un dispetto al padre per la relazione che aveva iniziato con questo giovane albanese, quando poi è scoppiata dal punto di vista emotivo, la prima cosa che io ricordo di aver sentito è che la ragazza ha detto "Adesso ho paura dei miei fratelli". Tant'è che in quello stesso giorno Sara è stata allontanata dai fratelli, che non poteva o doveva vedere o sentire in quella situazione psicologica. Infatti la ragazza avvertiva che contro di lei si era stabilita una dinamica familiare perversa, perché non aveva rispettato gli accordi o i messaggi che loro le avevano dato. Un'altra cosa che ha riferito Sara e che ha colpito la mia sensibilità è stata una frase che lei ha detto a proposito delle sorelle (forse Ilaria): nel momento in cui Sara chiedeva conforto e sostegno per questa esperienza tragica, la sorella le disse: "In fondo se questa cosa è durata tanto tempo probabilmente faceva piacere anche a te!". E quindi si può dire che il "dopo" è stata un'ulteriore situazione di sofferenza e violenza psicologica per questa ragazza, che tuttora presenta una serie di disturbi di tipo nevrotico, del sonno (ancora ha degli

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incubi)...derivanti anche dal fatto che vive una situazione di caos proprio dal punto di vista affettivo ed emotivo, anche se insomma sta molto meglio rispetto a prima.

PM = Quindi...diciamo...che la situazione psicologica della minore, per quello che lei ha avuto modo di verificare, è compatibile con il racconto della minore stessa, cioè quello di una ragazza abusata per anni, fin dalla sua più tenera età?

P = Ritengo di sì, proprio perché il quadro di personalità che presenta Sara coincide con quelli che sono i presupposti teorici di una struttura di personalità segnata da esperienze sessuali precoci e di tipo incestuoso, cioè lei presenta i tratti tipici della ragazza sessuale abusata a livello intrafamiliare, che è la violenza più terribile e più devastante dal punto di vista della personalità. Infatti, anche quando la ragazza ha riferito i vari episodi, li ha raccontati nella sua percezione di figlia ed ha continuato a dire (e sembra paradossale per chi ascolta ma è comprensibile dal suo punto di vista): "Io mi fidavo di mio padre, io non capivo inizialmente che cosa mi stava succedendo" e poi comunque c'era un atteggiamento, anche se ambiguo, di venerazione verso questo padre alla cui figlia sembrava garantire poi, anche se solo sotto l'aspetto dell'immagine, una normalità familiare che in realtà non esisteva.

PM = Io non ho altre domande Presidente, chiedo solo l'acquisizione della relazione.

La difesa

Avv 1 = Senta Dottoressa...nei lunghi colloqui che ha avuto con Sara, la ragazza le ha mai riferito del rapporto che aveva con Ruly, il suo fidanzato?

P = Sì, ci sono stati anche dei colloqui tra il giudice minorile e questo giovane. Io quindi l'ho anche conosciuto in Tribunale questo ragazzo. La relazione di Sara con Ruly era in questa cornice così complessa, dal punto di vista proprio delle relazioni, che essa era un "pezzetto di normalità" della sua adolescenza. Sara ha raccontato con molti particolari le relazioni del genitore nei confronti di questo giovane e dal suo racconto si capiva che quanto più prendeva consistenza questa relazione di tipo affettivo, tanto più aumentavano le reazioni di aggressività e di violenza da parte del padre. Gli stessi fratellini più piccoli di Sara hanno riferito al giudice minorile e a me...

Avv 1 = Dottoressa lei deve rispondere alla mia domanda, non tergiversi.

P = Sì, rispetto alla relazione che Sara aveva con Ruly...se lei mi dice che cosa vuol sapere...

Avv 1 = Le riferiva quali rapporti avevano i due ragazzi?

P = I rapporti che ci sono normalmente tra un ragazzo e una ragazza.

Avv 1 = Sessuali?

P = Sì, Sara mi ha detto di aver avuto dei rapporti sessuali con questo ragazzo.

Avv 1 = Gliel'ha mai descritti? Ha avuto un rapporto, due, tre, quanti?

P = O uno o due, non di più.

Avv 1 = Completi?

P = Non credo di poter rispondere a questa domanda perché la ragazza non ha fornito elementi specifici su questo punto, né le sono stati chiesti.

Avv 1 = Sara le ha mai riferito di rapporti con un certo Salvatore?

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P = No, in questo momento non ricordo. Cioè mi ha raccontato di aver conosciuto altri ragazzi, ma non mi risulta.

Avv 1 = Le ha riferito di aver ceduto ad un certo Salvatore?

Presidente = La ragazza ha mai parlato di un certo Salvatore con lei?

P = Ho un ricordo piuttosto vago rispetto a questa cosa. Probabilmente lei ha raccontato di aver conosciuto altri ragazzi, però ricordo questa cosa in modo molto sfumato: non sono in grado di dirle se c'era qualcuno che si chiamava Salvatore e se c'era un'amicizia particolare.

Avv 1 = Quindi le ha parlato solamente dei rapporti con Ruly?

P = Sì.

Avv 1 = Di questi rapporti sessuali?

P = Sì.

Avv 2 = Dottoressa io so che voi professionalmente siete una delle più preparate in materia di psicologia; quindi voi non avete mai pensato, sempre basandovi sulla vostra esperienza professionale e tecnica, che questa giovane abbia voluto traslare la figura del fidanzato con quella del padre e viceversa, o per nascondere l'uno o per nascondere l'altro, una trasposizione di immagini e dunque un mutamento di versioni dovuto ad un fatto introspettivo e retrospettivo di ciò che è stato un rapporto sessuale o più rapporti avuti con altri, magari dietro la figura paterna?

P = No avvocato, io personalmente non ho mai avuto dubbi per una serie di motivi. Innanzitutto perché, nella mia esperienza professionale, ho ascoltato moltissimi bambini e ragazzi abusati, e poi perché anche dal punto di vista teorico e dal punto di vista di quelli che sono gli studi di psicologia o di psicopatologia dell'età evolutiva ci sono degli indicatori che tolgono la maggior parte dei dubbi, per quanto riguarda questi fenomeni, che sono più di tipo surreale (come quelli che descrive Sara). In quanto non è pensabile, non è possibile che un bambino, un ragazzo o una ragazza arrivi a fare queste trasposizioni, a meno che non ci sia nella personalità di questa giovane persona un problema di sdoppiamento della personalità. Questo può avvenire anche in un ragazzo che ha disturbi di tipo psicotico, cioè schizofrenico, schizoparanoico, ed è possibile avere dei riscontri di sdoppiamento della personalità. Ma Sara presenta, dal punto di vista della personalità, semplicemente un quadro clinico che è di tipo nevrotico, e non psicotico, ed è scaturito dalla situazione familiare incestuosa che la ragazza ha vissuto. Se i rapporti sessuali li avesse avuti soltanto con Ruly, lei mi deve spiegare avvocato come mai questa ragazza, a distanza di due anni, ha incubi notturni, soffre di disturbi del sonno e racconta ancora delle cose relative agli abusi sessuali subiti da parte del padre.

Avv 2 = Qual è il limite tra stato psicotico e stato paranoico?

P = I disturbi nevrotici e psicotici presentano una differenza, seppur sottile, che può essere comunque marcata dal punto di vista dei sintomi. I sintomi nevrotici sono quasi sempre presenti nella persona minore o adulta che subisce violenze o abusi fisici o psicologici e si tratta sostanzialmente di reazioni fobiche, reazioni d'ansia e vissuti depressivi che possono essere transitori o comunque di rilevanza clinica ma reversibili. Invece la persona, sempre minore o adulto, che soffre di disturbi psicotici presenta un quadro clinico che è irreversibile e che può essere soltanto contenuto da un punto di vista terapeutico o farmacologico, ma sostanzialmente rimane invariato nel tempo, mentre il quadro nevrotico può essere remissibile dal punto di vista dei sintomi, perché con una psicoterapia, con un intervento specifico di tipo psicologico ci può essere una remissione del sintomo.

Avv 2 = È possibile che la ragazza abbia voluto o potuto reagire al divieto dei genitori o del padre di poter uscire con il ragazzo albanese?

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P = Allora questo può succedere quando ci sono effetti provocati, cioè reazioni particolari dovute all'assunzione di sostanze in genere. Nel caso della ragazza di cui stiamo parlando questo problema credo che non esista, in quanto non mi risulta che Sara abbia mai assunto sostanze psicotrope o droghe leggere o altro.

Avv 2 = Quindi voi pensate che la minore sia linearmente sana e non abbia potuto creare un fatto del genere?

P = Avvocato questi fatti non si creano, si vivono. Ci può essere un comportamento di tipo fantastico e così confabulatorio da parte di una persona, quasi mai di un bambino, situazione mentale di grave disfunsione, di gravi deficit sia dal punto di vista psicologico sia cognitivo. Ma questa non è la situazione di Sara.

Avv 2 = E come livello di deficit o come livello intellettivo da 1 a 10, lei che livello assegnerebbe a Sara?

P = Nessun punto. Le posso soltanto dire che Sara non presenta deficit di tipo cognitivo. Presenta una personalità segnata e "ferita" esclusivamente dalla situazione familiare che ha vissuto.

Avv 2 = Io non sono convinto. Non ho altre domande.

Presidente = Senta...lei è riuscita a comprendere e a farsi un'idea, dagli incontri che ha avuto con la minore, che cosa l'ha spinta a svelare gli abusi che aveva subito a distanza di anni? Cioè questi abusi, che aveva subito a distanza di anni, ...che cos'è che l'ha spinta a rivelare tutto ciò?

P = Credo...mi rifaccio anche alle parole riferite dalla stessa ragazza...lei ha detto "Io pensavo di non raccontare mai perché ritenevo giusto non parlare per non compromettere l'equilibrio della mia famiglia; poi invece mi sono resa conto che stavo scoppiando per tutta una serie di circostanze". Probabilmente un evento (questa è una mia interpretazione personale), un evento che ha in qualche modo scatenato questa forza e questo coraggio della ragazza nel dichiarare quanto aveva subìto. Deve essere stato il tentato suicidio del padre - non so...è stato clinicamente definito questo l'evento - ed esso ha scatenato in lei probabilmente delle reazioni particolari. Sara aveva anche detto, prima e dopo il racconto della sua esperienza, che comunque negli ultimi tempi c'era una situazione di grande attrito e gelosia dal punto di vista del comportamento del padre nei suoi confronti per il fatto che lei chiedeva forse di uscire con il ragazzo. L'altro aspetto che aveva assunto evidentemente un significato inquietante proprio nella vita di Sara è che lei ha raccontato che aveva iniziato così di tanto in tanto a bere in modo esagerato: e questo era un altro aspetto che sicuramente le rendeva la vita ancora più complessa e più difficile. Anche questo è un sintomo, un segno di nevrosi e di reazione, una risposta nevrotica ad una situazione di sofferenza, di disagio. Comunque l'alcol poi provoca un ottundimento, un offuscamento delle capacità mentali. Quindi c'erano queste cose che, probabilmente, tutte insieme hanno determinato il suo racconto.

Presidente = Va bene, grazie, abbiamo finito.

8. Interrogatorio della zia di SaraUdienza dell'11/07/2001 - Tribunale di Lagonegro (PZ)

Avv 1 = Sua nipote Sara le ha mai confidato di violenze subite ad opera del padre, cioè di suo fratello?

Zia = No, mai. L'ho saputo dopo l'arresto del padre o me l'ha detto lei.

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Avv 1 = Le ho fatto questa domanda perché Sara, nell'incidente probatorio, ha riferito che le avrebbe confidato di abusi sessuali ad opera del padre e che lei si era messa a piangere dopo aver saputo questa notizia.

Zia = No, l'ho fatto dopo aver saputo dell'arresto del padre. Prima non sapevo niente, ero all'oscuro di tutto.

Avv 1 = Sara ha riferito che tutto ciò gliel'avrebbe detto in occasione del funerale di suo padre (cioè il nonno di Sara).

Zia = No, non è vero.

Avv 1 = ...E che in quell'occasione lei, a sua volta, avrebbe riferito degli abusi sessuali alla madre di Sara. È vera questa circostanza?

Zia = No non è vero, lo giuro.

Avv 1 = Quindi in effetti di questi abusi quando ne è venuta a conoscenza?

Zia = Dopo l'arresto del padre. Io mi sono recata a casa dopo che il fatto era successo, e lei mi ha riferito tutte queste cose.

Avv 1 = Senta...lei mi ha detto che è solita - non sempre, ma diciamo spesso - frequentare la casa di suo fratello.

Zia = Sì.

Avv 1 = E in quella casa che atmosfera c'era?

Zia = Buona.

Avv 1 = C'erano dei rapporti normali o erano tesi, cioè c'erano degli alterchi in famiglia?

Zia = Io quello che ho visto era una situazione invidiosa. Buoni. Non c'era niente per accorgersi di quella cosa perché era tutto a posto.

Avv 1 = Lei è al corrente che sua nipote Sara si era fidanzata con un certo ragazzo albanese?

Zia = Sì.

Avv 1 = Ed era d'accordo suo fratello, il padre di Sara?

Zia = No, ma lui non è che era contrario a questo fidanzamento, ...solo per il fatto che è un ragazzo straniero diceva solo "Ma perché proprio quel ragazzo che è straniero", ma non è che si opponeva in modo possessivo...no.

Avv 2 = Signora, vi risulta che vostro fratello beveva?

Zia = No mai! Non l'ho mai visto ubriaco, mai l'ho visto bere.

Avv 2 = Può dirci chi c'era al funerale di vostro padre?

Zia = Tutte le ragazze, i figli, mio fratello e la moglie.

Avv 2 = E c'era anche il ragazzo albanese?

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Zia = Sì.

Avv 2 = Grazie. Ho finito.

9. Sentenza del 14/11/2001Al padre di Sara viene contestato di aver, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, compiuto atti sessuali e di essersi congiunto carnalmente con la figlia, con l'aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici.

L'accusa afferma la penale responsabilità dell'imputato e chiede la condanna alla pena di anni otto di reclusione.

La difesa chiede l'assoluzione dell'uomo con formula piena o in via subordinata ai sensi dell'art. 530 comma 2 c.p.p.

Il collegio giudicante considera il racconto di Sara come veritiero e ritiene che «siffatto giudizio non può certo essere minato da osservazioni concernenti particolari di scarsa rilevanza, su cui la difesa ha inteso insistere (del tipo: come poteva Sara sfilare le lenzuola dal suo letto se altre persone in casa provvedevano a questo incombente e lei neppure sapeva usare la lavatrice?). Trattasi di fatti che nella vita quotidiana non sono certo oggetto di costante osservazione.

Privo di qualsivoglia riscontro è anche l'assunto della difesa secondo cui la persona offesa avrebbe dichiarato il falso ripetutamente, costruendo il suo "impianto accusatorio" nei confronti del padre, mossa da sentimenti di vendetta nei confronti dell'uomo, ritenuto colpevole di aver ostacolato il rapporto esistente tra lei ed il ragazzo albanese, cui la stessa era legata. Determinante ad avviso della difesa sarebbe la lettera indirizzata dalla minore a Ruly, che dimostrerebbe senza dubbio alcuno il rancore di Sara nei confronti del padre e la cosciente volontà di vendetta che piano piano andava facendosi strada in lei. Un passo in particolare sembra confermare tutto ciò: "Tutto ciò che volevo eri tu, ma non mi hanno permesso di vivere in pace con te ed io ho cominciato a comportarmi così per fargliela pagare a mio padre e a mio fratello".

Ebbene, ferma restando la necessità di leggere il predetto passo nel contesto della lettera tutta in cui lo stesso è inserito, non può condividersi la tesi difensiva (avendo questa estrapolato le specifiche parole dal contesto in cui esse erano inserite), in quanto si ritiene che con tali parole la minore intendeva piuttosto esprimere il proprio disagio esistenziale, il proprio stato di confusione, il suo senso di smarrimento di fronte a certe istintive emozioni ritenute confliggenti con quel sincero sentimento d'amore che provava nei confronti di Ruly. (...)

Inoltre gli esiti della consulenza ginecologica non smentiscono il quadro accusatorio. Il consulente ha confermato quanto dedotto nella relazione, dichiarando che la minore era adusa al coito e che l'inizio della sua attività sessuale, al momento della visita, risaliva almeno a tre anni prima. Significativo è questo particolare se si pensa che i rapporti sessuali con il ragazzo albanese risalgono solo ad un anno prima della visita ginecologica e che Ruly è l'unico uomo, oltre al padre, con cui Sara si è unita sessualmente.

In considerazione di quanto detto, deve affermarsi la penale responsabilità dell'imputato in ordine ai reati in contestazione.

In considerazione della sua incensuratezza possono essergli concesse le circostanze attenuanti generiche, da ritenersi equivalenti alla contestata aggravante.

Ed invero, la particolare gravità del fatto, contrario alle regole fondamentali della morale e l'assenza nell'imputato di qualsivoglia forma di pentimento non consentono di assegnare al dato formale dell'incensuratezza un peso prevalente rispetto all'aggravante contestata. Deve comunque riconoscersi l'unicità del disegno criminoso, in considerazione dell'omogeneità delle

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violazioni, dell'identità della persona offesa e dell'immediata continuità temporale in cui gli eventi si sono succeduti.

Tanto premesso, valutati gli indici di cui all'art. 133 c.p., stimasi congrua la pena di anni otto e mesi sei si reclusione. (...)

Si applicano all'imputato le pene accessorie ex art. 609-nonies c.p., nonché si dichiara l'interdizione legale del medesimo ex art. 32 comma 3 c.p. per la durata della pena inflitta.»

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ConclusioniA conclusione del mio studio sull'accertamento e l'intervento delle istituzioni italiane di fronte ai casi di minori presunte vittime di abusi sessuali emerge chiaramente come, nonostante vi sia stata una maggiore attenzione al "problema sommerso" dei maltrattamenti, delle violenze e negligenze nei confronti dell'infanzia, ancora vi siano varie problematiche da risolvere.

Il documento Proposte di intervento per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del maltrattamento, elaborato nel 1998 dalla Commissione nazionale per il coordinamento degli interventi in materia di maltrattamenti, abusi e sfruttamento sessuale di minori, segnala in particolare alcuni problemi che anch'io ho riscontrato, attraverso la mia ricerca, nella realtà italiana.

1) Manca, nelle varie realtà territoriali italiane, un coordinamento tra i vari professionisti che operano di fronte ad un caso emerso, al fine di evitare inutili sovrapposizioni di attività e per prevenire disarticolazioni dell'intero processo d'intervento: è importante, dunque, progettare un modello operativo comune, su base nazionale (oggi presente solo in alcune realtà territoriali come protocollo regionale), che unifichi il lavoro degli operatori e far sì che tale progetto venga poi utilizzato effettivamente nella prassi; è necessario anche favorire una specializzazione comune tra i vari operatori affinchè essi possano avere una conoscenza condivisa dell'oggetto di cui si devono occupare. Devono essere inoltre realizzati "canali di comunicazione" che facilitino la segnalazione dei casi di sospettata violenza su un minore e, nello stesso tempo, la richiesta di aiuto non solo da parte della vittima ma anche delle persone a lui vicine. Dobbiamo prendere atto, infatti, che ci sono molte remore a rivolgersi ai servizi pubblici ed i motivi sono molteplici: perché il servizio non è facilmente individuabile; perché il servizio pubblico, una volta contattato, è obbligato a fare rapporto all'autorità giudiziaria e si ritiene dai più che un intervento penale non sia sempre vantaggioso per il minore; perché si teme una burocratizzazione dell'intervento; perché i servizi pubblici sono ritenuti più strumenti di controllo che di aiuto.

Tutto questo deve portarci a concludere che sono necessarie strutture specializzate, ben collocate sul territorio, che sappiano fornire l'aiuto adeguato al caso proposto e che riescano a collegarsi con gli altri operatori in modo da formare una vera "integrazione tra servizi".

2) Manca, inoltre, una procedura univoca per raccogliere e valutare la testimonianza del minore presunta vittima di abuso: non soltanto la figura dello psicologo non è stata ancora accolta in tutte le realtà territoriali come soggetto che pone le domande al minore nell'interrogatorio, essendovi un dibattito (come ad esempio vi è a Potenza) sulla legittimità di tale procedura che pone tale operatore come "filtro" rispetto alla valutazione del giudice, ma non sono utilizzati ovunque neanche i criteri per valutare la veridicità del resoconto testimoniale del minore (CBCA e SVA). Questo però comporta che un fatto simile è valutato diversamente a seconda del luogo in cui vengono compiuti l'accertamento e l'intervento conseguente.

È auspicabile, dunque, la predisposizione di protocolli d'intervento per la raccolta e la valutazione della testimonianza del minore, su base nazionale e specifici per i vari settori, che siano validati dalle ricerche e dal lavoro dei vari esperti sul campo e che riescano a tutelare gli interessi del minore coordinandoli con quelli dell'imputato. Oggi infatti esistono in Italia solo linee-guida generali sull'argomento, come quelle elaborate in Gran Bretagna, che nella prassi vengono seguite in varie realtà territoriali ma non perché ciò sia imposto da una regola di procedura a base nazionale.

È necessario superare l'emotività.

Oggigiorno la collettività sta prendendo coscienza dei molti abusi fisici e psicologici che vengono compiuti a danno dell'infanzia, ma tutto ciò, insieme anche all'attività di stampa e

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televisione, crea un "clima emotivo" che rischia di rendere del tutto sterile questa presa di coscienza del problema. Vi è il forte rischio che l'emozione e l'indignazione restino "epidermiche" se si fermano ad osservare il fenomeno dal punto di vista esteriore. Questo potrebbe portare, alla fine, a considerare la violenza sui minori come una delle tante notizie che appaiono sui nostri giornali e, quando anche la nostra indignazione morale sarà satura, allora nessuno più si scandalizzerà di sentire che un minore è stato abusato da un genitore.

È dunque necessario un'approfondimento culturale ed un impegno di indagine riguardo a tale problema: dovrebbero essere attivati, nelle varie parti d'Italia, degli osservatori sull'infanzia in collegamento tra loro, i quali dovrebbero cercare di realizzare un'attività di prevenzione (soprattutto nei confronti dei bambini a rischio), creando anche adeguate strutture territoriali che si occupino del problema dal punto di vista pratico.

4) Bisogna riuscire ad abbattere la "cortina del silenzio" che ancora esiste sui casi di abuso sessuale ai minori, facendo emergere dal sommerso i tanti casi di abuso non denunciati esplicitamente. Questo significa innanzitutto mostrare una sensibilità più profonda nei confronti di questo problema. È infatti facile esprimere indignazione di fronte ad un episodio eclatante di violenza presentato dai mezzi di comunicazione, ma poi quando il fenomeno si presenta in forme più nascoste oppure quando è proprio vicino alle nostre case allora il cosiddetto "rispetto della privacy" si traduce in sostanziale omertà.

Far crescere la sensibilità delle persone su questi problemi - perché siano più capaci di rendersi conto delle violenze di cui sono vittime molti minori - significa, in primo luogo, diffondere una corretta informazione sui temi della identificazione e della prevenzione delle violenze all'infanzia. Tale informazione deve essere rivolta, da una parte, a tutti (e perciò i mezzi di comunicazione sono chiamati a svolgere un ruolo educativo essenziale, abbandonando sensazionalismi controproducenti) ma, dall'altra, specificamente a coloro che hanno quotidiani contatti con i bambini (pediatri, insegnanti, operatori sociali) e che possono accorgersi per primi di un loro cambiamento d'umore o di segni fisici sospetti.

Far crescere la sensibilità implica anche un'adeguata diffusione della conoscenza reale del bambino e dei suoi bisogni e questo dovrebbe essere l'obiettivo dell'attività svolta dai media, dalla scuola e dalle varie strutture di assistenza sociale (in particolare dei consultori familiari).

Non va enfatizzato l'intervento penale.

Di fronte alle ricorrenti notizie di violenza all'infanzia l'immediata conseguenza è la richiesta, da parte dell'opinione pubblica, di un inasprimento della sanzione penale, ritenuta la più idonea a contrastare tale fenomeno.

La previsione di una sanzione penale per certi comportamenti evidenzia - da una parte - come, per la collettività, alcuni beni della vita abbiano una tale rilevanza da esigere una pesante sanzione come quella connessa alla responsabilità penale e - dall'altra - pone dei precisi limiti, che devono ritenersi invalicabili alla libertà dell'individuo. Si realizza così una rilevante funzione pedagogica nei confronti del costume collettivo.

Ma non possiamo per questo enfatizzare ed incrementare l'intervento penale. In primo luogo perché, nella società attuale, si riconosce sempre più che il diritto non ha, come si riteneva in passato, soltanto la funzione di proteggere gli atti leciti tramite la repressione degli atti illeciti, ma tende sempre più a stimolare ed incentivare l'esercizio degli atti conformi, cioè di quegli atti che possono dare risposte appaganti ai problemi della persona.

In secondo luogo perché, in un ambito così complesso e delicato come quello dello sviluppo delle persone e della funzione educativa, sanzionare un comportamento illecito non significa affatto che il comportamento auspicato sia realizzato. E questo sia perché ci sono dei comportamenti illeciti che non possono rientrare in specifiche norme incriminatrici (ad esempio molte attività educative di genitori, caratterizzate da forti condizionamenti e deprivazioni del minore), sia perché la mera possibilità di una sanzione penale non scoraggia la commissione di reati posti in essere nei confronti di persone che non sono in grado di esprimere

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adeguatamente la propria sofferenza. Questi comportamenti, inoltre, vengono compiuti in un ambiente come quello familiare che resta impermeabile al controllo sociale e quindi alla possibilità di portare alla luce l'illecito.

Infine perché l'irrogazione di una pena non solo non ripara l'ordine violato, ma è a sua volta motivo di drammatiche conseguenze proprio per la vittima del reato.

Con tutto ciò non si vuole però bandire ogni intervento penale a tutela del minore: si vuole invece incentivare una tutela del minore "reale e costruttiva" da parte dell'ordinamento, principalmente attraverso interventi di sostegno, recupero e prevenzione.

Bisogna uscire da un'ottica puramente assistenziale.

La violenza all'infanzia non è un problema autonomo rispetto a quello più generale della violenza presente nella nostra società. Dunque, per poter combattere il primo fenomeno non si può prescindere dall'individuazione delle cause sociali, psicologiche e culturali dalle quali deriva l'aggressività umana.

La violenza sui minori costituisce, sicuramente, il segnale di una profonda alterazione della normale dinamica della vita familiare e sociale. È necessario, quindi, realizzare una ristrutturazione delle relazioni che la famiglia di oggi possiede e realizza nel suo ambiente. Questo implica un intervento coordinato tra momento politico e momento assistenziale, ma anche un coinvolgimento in questa azione comune di tutti i servizi di socializzazione e di sostegno del minore e della sua famiglia e di tutte le risorse comunitarie che spontaneamente operano sul territorio. Non dobbiamo infatti pensare che la violenza all'infanzia possa essere contrastata solo operando una migliore distribuzione dei servizi o una loro maggiore specializzazione e privatizzazione. Questo perché un'eccessiva specializzazione dei servizi nei confronti dei bambini maltrattati se da un lato forma operatori con un'adeguata competenza, dall'altro rischia di frammentare l'unitarietà di un intervento complesso che deve, invece, prendersi in carico tutti i problemi connessi alla vita di relazione del nucleo familiare in cui il minore vive.

Dunque, se si vuole prevenire la violenza all'infanzia è indispensabile uscire da "un'ottica meramente assistenzialistica" che rischia di esaurirsi in un intervento sulle situazioni patologiche individuate, senza risolvere veramente i problemi. Non è perciò sufficiente moltiplicare i servizi, istituzioni educative e risorse comunitarie: certo è auspicabile una migliore organizzazione dei servizi esistenti, ma nessuna "ingegneria sociale" potrà da sola realizzare risposte veramente esaustive.

Quello che dovrebbe essere fatto consiste nella creazione di una significativa "rete di solidarietà" tra i membri della comunità, che potrà fornire al minore tutto ciò di cui ha bisogno: dunque, deve essere predisposto un "progetto" sostenuto e condiviso da tutta la comunità.

È necessario costruire e diffondere una "nuova cultura dell'infanzia", in cui il bambino venga considerato come "valore" da proteggere. Nella società di oggi, infatti, vi sono numerose sub-culture riduttive della sua personalità e delle sue esigenze: ad esempio è ancora forte la sub-cultura "della Grande madre", in cui il bambino è simbolo di massima espressività femminile e per questo ad essa ricollegabile, oppure anche quella di tipo patriarcale-autoritario, la quale impone rilevanti limitazioni alle possibilità di espressione del bambino. È dunque necessario il superamento di tutte le varie sub-culture esistenti nella nostra società in quanto sono radicate su aspetti limitati della realtà globale del bambino; dovremmo riscoprire, invece, i bisogni della sua personalità nel suo complesso e quindi non solo riconoscere le sue reali esigenze, ma anche riconoscerlo come protagonista della sua esistenza.

Costruire una simile nuova cultura dell'infanzia non può, però, essere un compito esclusivo degli specialisti delle varie discipline che si occupano del minore e delle sue esigenze; è necessaria anche la partecipazione della collettività nel suo complesso. E questo non solo per rompere quella progressiva deresponsabilizzazione che impedisce agli "adulti senza qualità e senza ruolo" di sentire come proprio il problema; ma principalmente per essere aiutati a

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scoprire la realtà del bambino da chi, vivendo quotidianamente il suo normale percorso di crescita, può più facilmente intuirne le esigenze e valorizzarne le potenzialità.

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Appendice

Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989 (1)ART. 12

1. Gli Stati Parti alla presente Convenzione devono assicurare al bambino/a, capace di formarsi una propria opinione, il diritto di esprimerla liberamente e in qualsiasi materia, dovendosi dare alle opinioni del bambino/a il giusto peso relativamente alla sua età e maturità.

2. A tale scopo, in tutti i procedimenti giuridici o amministrativi che coinvolgono un bambino/a, deve essere offerta l'occasione affinchè il/la bambino/a venga udito o direttamente o indirettamente per mezzo di un rappresentante o di un'apposita istituzione, in accordo con le procedure della legislazione nazionale.

ART. 19

1. Gli Stati Parti alla presente Convenzione prenderanno ogni appropriata misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per proteggere i bambini da qualsiasi forma di violenza, danno o abuso fisico o mentale, trascuratezza o trattamento negligente, maltrattamento o sfruttamento incluso l'abuso sessuale, mentre sono sotto la tutela dei genitori, del tutore legale o di chiunque altro si prenda cura del bambino/a.

2. Tali misure protettive per essere appropriate devono comprendere procedure efficaci per l'allestimento di programmi sociali che forniscano il sostegno necessario al bambino/a e a coloro che hanno la responsabilità, così come per altre forme di prevenzione, identificazione, rapporti, ricorsi, investigazioni, cure, esami, a seguito di istanze per maltrattamenti al bambino/a e, se il caso, per implicazioni di carattere giudiziario.

ART. 39

Gli Stati Parti alla presente Convenzione adotteranno ogni appropriata misura al fine di assicurare il recupero fisico e psicologico e il reinserimento sociale di un bambino/a vittima di qualsiasi forma di negligenza, sfruttamento o abuso, tortura o qualsiasi altra forma di trattamento o punizione crudele, inumana o degradante, o conflitti armati. Tale recupero e reinserimento avrà luogo in un ambiente che favorisca la salute, il rispetto di sé e la dignità del bambino/a.

Dichiarazione di Consenso in tema di abuso all'infanzia (2) del 1998(a cura del Coordinamento nazionale dei Centri e dei Servizi di prevenzione e trattamento dell'abuso in danno di minori)

Nella riunione che si è svolta a Roma il 21 marzo 1998 il Coordinamento nazionale dei Centri e dei Servizi di prevenzione e trattamento dell'abuso in danno di minori ha discusso e approvato la Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all'infanzia, che intende costituire il documento di orientamento che indica le linee-guida comuni per gli interventi degli operatori psico-socio-sanitari in relazione ai casi incontrati di abuso sessuale ai minori.

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Tale documento è stato redatto da specialisti della protezione e della cura del bambino come punto di riferimento culturale e professionale specificamente rivolto a chi deve affrontare i casi di abuso sessuale ai danni di minori a livello clinico.

Riguardo a tali casi affronta i tre livelli della protezione, dell'accertamento e della cura: dunque non è diretto ad offrire degli strumenti per gli accertamenti giudiziari, ma contiene delle indicazioni per gli interventi nella fase sociale precedente o coeva al processo. Tuttavia, poiché la cura del bambino danneggiato e la validazione di quanto accaduto sono sempre connessi con gli interventi giudiziari di tutela da parte del tribunale per i minorenni e di accertamento del reato da parte del tribunale penale, è interessante e importante anche per i giudici, in quanto permette di fare degli incroci fra diverse competenze.

Premessa

Gli enunciati di questa Dichiarazione di consenso costituiscono linee-guida per gli operatori dei professionisti psico-socio-sanitari in tema di abuso sessuale all'infanzia.

1. Definizione

1.1. Che cos'è l'abuso sessuale?

a. È il coinvolgimento di un minore, da parte di un partner preminente in attività sessuali anche non caratterizzate da violenza esplicita;

b. è un fenomeno diffuso;c. esso si configura sempre e comunque come un attacco confusivo e destabilizzante alla

personalità del minore e al suo percorso evolutivo;d. l'intensità e la qualità degli esiti dannosi derivano dal bilancio tra le caratteristiche

dell'evento (precocità, frequenza, durata, gravità degli atti sessuali) e gli interventi protettivi e riparativi esterni, che si attivano in relazione all'abuso.

1.2. Il danno è tanto maggiore quanto più:

a. il fenomeno resta nascosto o non viene riconosciuto;b. non viene attivata protezione nel contesto primario e nel contesto sociale;c. l'esperienza resta non verbalizzata e non elaborata;d. è forte il legame di dipendenza fisica ed affettiva della vittima dell'abusante .

2. Validazione

2.1 È necessario sviluppare sistemi validi ed affidabili per far emergere il fenomeno. Infatti:

a. il perpetratore quasi sempre nega;b. spesso mancano evidenze fisiche e testimonianze esterne;c. spesso il bambino rappresenta l'unica fonte validabile.

2.2 In ogni caso la validazione va portata avanti analizzando almeno tre aree:

a. indicatori e segni sul piano fisico;b. indicatori e segni sul piano psicologico;c. racconti e affermazioni della presunta vittima.

2.3.1 Per quanto riguarda gli indicatori e i segni fisici:

a. l'ipotesi di abuso sessuale va sempre presa in esame in presenza di lesioni, pur di carattere aspecifico, dell'area ano-genitale, e di altri segni rilevabili con esame obiettivo compatibili con l'ipotesi di abuso;

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b. i segni specifici (gravidanza, presenza di spermatozoi, malattie sessualmente trasmesse) sono rarissimi;

c. l'assenza di lesioni non può mai portare il medico ad escludere l'ipotesi di abuso, in quanto numerosi atti di abuso non lasciano segni fisici.

2.3.2 Conseguentemente:

la visita medica va effettuata esclusivamente da medici specificamente competenti, in grado di valutare correttamente e completamente le lesioni e di evitare la ripetizione delle indagini.

2.4.1 Per quanto riguarda gli indicatori e i segni psicologici dell'abuso:

a. l'ipotesi di abuso sessuale va tenuta presente di fronte a una vasta gamma di sintomi cognitivi, emotivi e comportamentali anche se aspecifici e anche in assenza di rivelazioni;

b. le conoscenze sessuali improprie e i comportamenti sessualizzati sono riconosciuti come indicatori con maggior grado di specificità ed esigono approfondimento.

2.4.2 Conseguentemente è opportuno:

a. approfondire la conoscenza del mondo interno del bambino per dare significato alle espressioni sintomatiche;

b. approfondire la conoscenza del contesto relazionale, per completare la comprensione del quadro individuale situandolo sia rispetto alla storia familiare del minore sia rispetto ai più ampi parametri di riferimento socio-culturali in cui il minore è inserito;

c. adottare la procedura di ampliare il più possibile le raccolta anamnestica sul piano individuale e relazionale, anche ricorrendo alle informazioni pregresse e alla rete dei servizi;

d. che durante il percorso valutativo sia in ogni momento salvaguardata la protezione fisica e psicologica del minore garantendo, se necessario, percorsi paralleli di intervento per lui e per i suoi familiari.

3. Testimonianza del minore

3.1 Per quanto riguarda l'eventuale testimonianza del minore durante l'iter giudiziario è utile considerare che:

a. il minore somma interiormente tutte le occasioni in cui ha effettuato delle dichiarazioni circa l'esperienza traumatica, ravvisando nelle richieste di ripetizione di esse un basso indice di credito ottenuto;

b. la sua capacità di rendere testimonianza dipende dal grado di elaborazione del trauma.

3.2 Conseguentemente:

a. è opportuno non moltiplicare tali occasioni;b. è imprescindibile garantire al minore effettive condizioni di protezione nel momento in

cui viene richiesto di rendere dichiarazioni circa l'abuso;c. è auspicabile che tale richiesta venga subordinata, nella scelta delle dichiarazioni, della

loro contestualizzazione (tempi, modi, luoghi, interlocutori, aspetti emotivi).

4. False denunce

4.1 Non si conosce l'incidenza reale di false denunce. È utile considerare che:

a. le difficoltà validative in campo clinico e giudiziario e l'esistenza frequente di ritrattazioni si sommano e ampliano probabilmente l'area delle denunce non comprovabili;

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b. ritenere autentica una denuncia non vera espone il bambino, i suoi familiari e chi è falsamente accusato a gravi conseguenze altrettanto dannose;

c. è stato individuato un numero limitato di dinamiche personali e relazionali che possono dare origine ad una falsa denuncia;

d. le separazioni coniugali altamente conflittuali sono indicate come una condizione di particolare rischio per le false denunce, ma possono essere anche occasioni che favoriscono rivelazioni autentiche.

4.2 Conseguentemente:

a. i professionisti dovranno incrementare le competenze diagnostiche, per evitare che i bambini vadano incontro ad un'esperienza doppiamente traumatica (essere abusati e non trovare protezione) oppure a strumentalizzazione fortemente pregiudizievole;

b. il rischio di trovarsi di fronte ad una falsa denuncia deve essere sempre preso in considerazione da chi si occupa di questa materia;

c. di fronte al rischio di falsa denuncia sarà necessario evitare un generico atteggiamento di dubbio, ma vagliare precise alternative diagnostiche;

d. è auspicabile un confronto puntuale e permanente tra esperti circa le eventualità più frequenti di falsa denuncia.

5. Orientamenti del professionista

5.1 Quanto ai criteri di acquisizione e di esercizio delle competenze professionali di chi opera nell'area dell'abuso sessuale di minori, è utile considerare che:

a. è auspicabile che tutti i professionisti di area medica o psicosociale, che operano o nel campo della tutela del minore o come consulenti giudiziari, abbiano acquisito competenze culturali e tecniche specifiche nel campo dell'età evolutiva, delle dinamiche individuali e familiari e delle peculiarità dell'abuso sessuale;

b. per tutte le professioni sanitarie o equiparate, l'obiettivo della protezione e della cura del minore, o comunque della salvaguardia delle esigenze cliniche dello stesso, è prioritario rispetto a qualsiasi altro obiettivo richiesto dalle circostanze, in accordo con le norme deontologiche;

c. va tuttavia tenuto conto del frequente incrocio tra esigenze cliniche ed esigenze giudiziarie.

5.2 Conseguentemente:

a. anche se l'intervento sul minore nasce in un quadro giudiziario, esso dovrà rispettare i criteri comunemente riconosciuti in ambito clinico;

b. in particolare, poiché la cura è il naturale sbocco della diagnosi, non può esistere controindicazione intrinseca a che lo stesso professionista svolga ambedue gli interventi, in qualsiasi quadro istituzionale siano stati richiesti;

c. è altresì necessario che il professionista, oltre ad osservare con rigorosa consapevolezza le disposizioni giuridiche e deontologiche, si renda disponibile a portare il proprio contributo in ambito giudiziario, così come è opportuno apprendere regole e linguaggio di tale ambito;

d. il professionista che opera con obiettivi clinici sceglierà responsabilmente gli strumenti e la documentazione del proprio operato che ritiene più opportuni, dando ovviamente conto dei criteri che utilizza a tal fine;

e. quando l'obiettivo è di natura giudiziaria, strumenti e documentazione verranno concordati con l'autorità competente, purchè non in contrasto con le esigenze cliniche del minore;

f. va presa in considerazione l'eventualità che, in casi particolarmente complessi sul piano delle prova giudiziaria, sia opportuno ricorrere ad una pluralità di professionisti che si dividano gli interventi di tipo probatorio e di tipo clinico; è in ogni caso necessario che l'integrazione tra i professionisti renda minimo il disagio che tale organizzazione degli interventi può arrecare al minore.

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La Carta di Noto del 1996 (3)Tale documento è stato elaborato da un gruppo interdisciplinare (composto da avvocati, magistrati, psicologi, psichiatri, criminologi e medici legali) riunitosi nel giugno del 1996 in Sicilia, a Noto, presso l'I.S.C.S. (Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali).

Tale Carta contiene tredici linee-guida da utilizzare per l'esame del minore, in modo che l'approccio iniziale all'indagine risulti il più possibile determinato dalla capacità ed esperienza dei singoli operatori, cosicchè possano essere ovviati gli errori diagnostici circa l'attendibilità della vittima.

Tali principi, dunque, costituiscono una proposta operativa concreta rivolta, in primo luogo, a tutti gli operatori che dovranno occuparsi di abusi sessuali, in modo da consentire loro di dotarsi di un mirato metodo d'indagine.

I principi elaborati a Noto sono:

1. Nell'espletamento delle sue funzioni l'esperto deve utilizzare metodologie scientificamente affidabili e rendere espliciti i modelli teorici di riferimento utilizzati.

2. All'esperto non deve essere sottoposto un quesito volto all'accertamento della verità sotto il profilo giudiziario.

3. In caso di abuso sessuale intrafamiliare gli accertamenti dell'esperto devono essere estesi a tutti i membri del contesto familiare (compreso il presunto abusante) e, ove possibile, anche al contesto sociale del minore. Ove l'indagine non potesse essere espletata con l'ampiezza sopra indicata, l'esperto deve dare atto dei motivi di tale incompletezza. È deontologicamente scorretto esprimere un parere senza aver esaminato il minore.

4. L'esperto deve in ogni caso ricorrere alla videoregistrazione o, quanto meno, all'audioregistrazione delle attività svolte, consistenti nell'acquisizione delle dichiarazioni o delle manifestazioni di comportamenti. Tale materiale deve essere posto a disposizione delle parti e del magistrato.

5. Al fine di garantire nel modo migliore l'obiettività dell'indagine, l'esperto avrà cura di individuare ed esplicitare le varie alternative ipotesi prospettabili in base all'esame del caso.

6. Nella comunicazione con il minore l'esperto deve: a. garantire che l'incontro avvenga in tempi, modi e luoghi tali da assicurare la

serenità del minore e la spontaneità della comunicazione;b. evitare, in particolare il ricorso a domande suggestive o implicative che diano

per scontata la sussistenza del fatto che è oggetto dell'indagine.7. Nel caso di pluralità di esperti, è opportuno favorire la concentrazione dei colloqui con il

minore in modo da minimizzare lo stress che la ripetizione dei colloqui può causare al bambino.

8. L'esperto deve rendere espliciti al minore gli scopi del colloquio, tenuto conto della sua età e della capacità di comprensione, evitando, in quanto possibile, di caricarlo di responsabilità per quello che riguarda gli eventuali sviluppi del procedimento.

9. Deve tenersi conto che la sintomatologia da stress riscontrabile in bambini abusati è in genere rivelata da indicatori psico-comportamentali aspecifici, che, in quanto tali, possono rappresentare risposte a stress diversi dall'abuso quali, ad esempio, quelli dovuti a conflitti o disagi intrafamiliari.

10. Nel procedimento penale i ruoli dell'esperto, dello psicoterapeuta o psico-riabilitatore sono incompatibili.

11. L'assistenza psicologica in giudizio al minore sarà affidata ad operatore specializzato e si svolgerà in tutte le fasi e presso tutte le sedi giudiziarie in cui il caso di abuso è trattato.

12. L'assistenza psicologica prevista dall'articolo 609 decies c.p. deve essere svolta da persona diversa dal consulente e non deve interferire in alcun modo con l'attività

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dell'esperto. L'assistente psicologico non potrà esprimere valutazioni sull'attendibilità del minore assistito.

13. Gli esperti consigliano vivamente che, ove possibile, le dichiarazioni del minore vengano, fin dal primo momento, raccolte e opportunamente documentate (mediante fono videoregistrazione) dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero, con l'ausilio di esperti e comunque tenendo presenti i principi contenuti in questa carta. Auspicano inoltre che, in analogia con quanto avviene per i componenti delle sezioni di Polizia Giudiziaria presso le Procure della Repubblica per i Minorenni, vengano istituiti, dalle Forze di Polizia, organismi in aggiornamento professionale permanente per l'intervento nei casi di abuso sessuale sui minori

Aggiornamento della Carta di Noto del 2002 (4)A conclusione di un incontro di esperti tenuto dall'I.S.I.S.C. a Noto nel luglio 2002 (ed organizzato dall'avvocato e psicologa Luisella de Cataldo Neuburger) è stata aggiornata la "Carta di Noto" con l'apporto interdisciplinare di magistrati, avvocati, psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, criminologi e responsabili dei servizi.

Tale aggiornamento è stato reso necessario dalle innovazioni legislative intervenute nel tempo e dall'evoluzione della ricerca scientifica in materia. Le linee guida elaborate devono essere considerate quali suggerimenti diretti a garantire l'attendibilità dei risultati degli accertamenti tecnici e la genuinità delle dichiarazioni, assicurando nel contempo al minore la protezione psicologica, nel rispetto dei principi costituzionali del giusto processo e degli strumenti del diritto internazionale. Quando non fanno riferimento a specifiche figure professionali tali principi valgono per qualunque soggetto che nell'ambito del procedimento instauri un rapporto con il minore.

I principi elaborati a Noto sono:

1. La consulenza tecnica e la perizia in materia di abuso sessuale devono essere affidate a professionisti specificamente formati, tanto se scelti in ambito pubblico quanto se scelti in ambito privato. Essi sono tenuti a garantire il loro costante aggiornamento professionale. Nel raccogliere e valutare le informazioni del minore gli esperti devono:

a. utilizzare metodologie e criteri conosciuti come affidabili dalla comunità scientifica di riferimento;

b. esplicitare i modelli teorici utilizzati, così da permettere la valutazione critica dei risultati.

2. La valutazione psicologica non può avere ad oggetto l'accertamento dei fatti per cui si procede che spetta esclusivamente all'Autorità giudiziaria. L'esperto deve esprimere giudizi di natura psicologica avuto anche riguardo alla peculiarità della fase evolutiva del minore.

3. In caso di abuso sessuale intrafamiliare gli accertamenti dell'esperto devono essere estesi a tutti i membri della famiglia, compresa la persona cui è attribuito il fatto, e ove necessario, al contesto sociale del minore. È metodologicamente scorretto esprimere un parere senza aver esaminato il minore e gli adulti cui si fa riferimento, sempre che se ne sia avuta la rituale e materiale possibilità. Qualora l'indagine non possa essere svolta con tale ampiezza, va dato conto delle ragioni dell'incompletezza.

4. Si deve ricorrere in ogni caso possibile alla videoregistrazione o, quanto meno, all'audioregistrazione delle attività di acquisizione delle dichiarazioni e dei comportamenti del minore. Tale materiale, per essere utilizzato ai fini del giudizio, va messo a disposizione delle parti e del magistrato. Qualora il minore sia stato sottoposto a test psicologici, i protocolli e gli esiti della somministrazione devono essere prodotti integralmente ed in originale.

5. Al fine di garantire nel modo migliore l'obiettività dell'indagine, l'esperto avrà cura di individuare, esplicitare e valutare le varie ipotesi alternative, siano esse emerse o meno nel corso dei colloqui.

6. Nel colloqui con il minore occorre:

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a. garantire che l'incontro avvenga in orari, tempi, modi e luoghi tali da assicurare, per quanto possibile, la serenità del minore;

b. informarlo dei suoi diritti e del suo ruolo in relazione alla procedura in corso;c. consentirgli di esprimere opinioni, esigenze e preoccupazioni;d. evitare domande e comportamenti che possano compromettere la spontaneità,

la sincerità e la genuinità delle risposte, senza impegnare il minore in responsabilità per ogni eventuale sviluppo procedimentale.

7. L'incidete probatorio è la sede privilegiata di acquisizione delle dichiarazioni del minore nel corso del procedimento.

8. I sintomi di disagio che il minore manifesta non possono essere considerati di per sé indicatori specifici di abuso sessuale potendo derivare da conflittualità familiare o da altre cause, mentre la loro assenza non esclude di per sé l'abuso.

9. Quando sia formulato un quesito o prospettata una questione relativa alla compatibilità tra quadro psicologico del minore e ipotesi di reato di violenza sessuale è necessario che l'esperto rappresenti, a chi gli conferisca l'incarico, che le attuali conoscenze in materia non consentono di individuare dei nessi di compatibilità od incompatibilità tra sintomi di disagio e supposti eventi traumatici. L'esperto, anche se non richiesto, non deve esprimere sul punto della compatibilità né pareri, né formulare alcuna conclusione.

10. La funzione dell'esperto incaricato di effettuare una valutazione sul minore a fini giudiziari deve restare distinta da quella finalizzata al sostegno e trattamento e va pertanto affidata a soggetti diversi.La distinzione dei ruoli e dei soggetti deve essere rispettata anche nel caso in cui tali compiti siano attribuiti ai servizi socio-sanitari pubblici. In ogni caso i dati ottenuti nel corso delle attività di sostegno e di terapia del minore non sono influenti, per loro natura, ai fini dell'accertamento dei fatti che è riservato esclusivamente all'Autorità giudiziaria.

11. L'assistenza psicologica al minore va affidata ad un operatore specializzato che manterrà l'incarico in ogni stato e grado di procedimento penale. Tale persona dovrà essere diversa dall'esperto e non potrà comunque interferire nelle attività d'indagine e di formazione della prova.

12. Alla luce dei principi espressi da questa Carta si segnala l'urgenza che le istituzioni competenti diano concreta attuazione alle seguenti prescrizioni contenute nell'articolo 8 del Protocollo alla Convenzione dei Diritti del Fanciullo sulla vendita di bambini, la prostituzione di bambini e la pornografia rappresentante bambini (stipulato il 06/09/2000 a New York, ratificato con legge dello stato 11/03/2002 n. 46) con le quali:

1. gli Stati Parte adottano ad ogni stadio della procedura penale le misure necessarie per proteggere i diritti e gli interessi dei bambini che sono vittime delle pratiche prescritte dal presente Protocollo, in particolare:

a. riconoscendo la vulnerabilità delle vittime ed adottando le procedure in modo da tenere debitamente conto dei loro particolari bisogni, in particolare in quanto testimoni;

b. informando le vittime riguardo ai loro diritti, al loro ruolo ed alla portata della procedura, nonché alla programmazione e allo svolgimento della stessa, e circa la decisione pronunciata per il loro caso;

c. permettendo che, quando gli interessi personali delle vittime sono stati coinvolti, le loro opinioni, i loro bisogni o le loro preoccupazioni siano presentate ed esaminate durante la procedura in modo conforme alle regole di procedura del diritto interno;

d. fornendo alle vittime servizi di assistenza appropriati, ad ogni stadio della procedura giudiziaria;

e. proteggendo, se del caso, la vita privata e l'identità delle vittime ed adottando misure conformi al diritto interno per prevenire la divulgazione di qualsiasi informazione atta ad identificarlo.

2. Gli Stati Parte si accertano che nel modo di trattare le vittime dei reati descritti nel presente Protocollo da parte dell'ordinamento giudiziario penale, l'interesse superiore del bambino sia sempre il criterio fondamentale.

3. Gli Stati Parte adottano misure per impartire una formazione appropriata, in particolare in ambito giuridico e psicologico, alle persone che si occupano delle vittime dei reati di cui al presente Protocollo.

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4. Se del caso, gli Stati Parte si adopereranno come necessario per garantire la sicurezza e l'integrità delle persone e/o degli organismi di prevenzione e/o di tutela e riabilitazione delle vittime di tali reati.

Nessuna disposizione del presente articolo pregiudica il diritto dell'accusato ad un processo equo o imparziale o è incompatibile con tale diritto.

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Note all'appendice

(1) La Convenzione sui diritti del fanciullo, in M. Cesa-Bianchi, E. Scabini, La violenza sui bambini, Angeli F., Milano, 1991, pp. 377-391.

(2) Coordinamento nazionale dei centri e dei servizi di prevenzione e trattamento dell'abuso in danno dei minori, Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all'infanzia, in Minori Giustizia, 4, 1998, pp. 154-158.

(3) F. Sportelli, La Carta di Noto (9 giugno 1996). Linee-guida per l'esame del minore da parte degli esperti, in Rivista di psicologia giuridica, 1, 1997, pp. 33-38.

(4) Aggiornamento svoltosi nel corso di un incontro di esperti organizzato dall'I.S.I.S.C. (Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali), tenuto a Noto dal 4 al 7 luglio 2002.

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