capitolo ix - elementi di strategia

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317 CAPITOLO IX ELEMENTI DI STRATEGIA OBIETTIVI Con questo capitolo si intende esaminare il soggetto impresa come attore di condotte economiche e competitive. Le strategie d’impresa costituiscono la piena estrinsecazione delle potenzialità aziendali e si configurano, nei confronti dei diversi interlocutori, interni ed esterni, talvolta come azioni tese a generare condotte, reazioni, prestazioni, talvolta come risposte alle azioni, alle condotte, in generale alle dinamiche di contesto. IX.1 I DIFFERENTI APPROCCI AL GOVERNO STRATEGICO DELLIMPRESA Nei capitoli precedenti di questo lavoro abbiamo trattato gli elementi operativi che permettono all’impresa di acquistare, produrre, collocare sul mercato i prodotti finiti. Abbiamo, in altre parole, descritto il funzionamento dell’impresa, con particolare attenzione alle singole funzioni aziendali. In questo paragrafo rivolgiamo l’attenzione al governo dell’impresa, inteso come il complesso di decisioni che l’alta direzione deve assumere per coordinare gli elementi operativi e raggiungere gli obiettivi stabiliti dal gruppo imprenditoriale. L’insieme delle scelte prese dall’alta direzione per raggiungere le finalità imprenditoriali appartiene alla strategia ed alla pianificazione strategica. Esse, infatti, sono l’espressione più elevata dell’attività di decisionale ed il tramite necessario al perseguimento degli scopi capaci di assicurare la sopravvivenza e possibilmente la crescita dell’impresa. Per alcuni la strategia si riduce ad “un sistema di obiettivi specifici capaci di aiutare le decisioni”, per altri è invece “una combinazione di fini da raggiungere e di mezzi che consentono di realizzare detti fini”, oppure “un processo organizzativo”, “un

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CAPITOLO IX

ELEMENTI DI STRATEGIA

OBIETTIVI Con questo capitolo si intende esaminare il soggetto impresa come

attore di condotte economiche e competitive. Le strategie d’impresa costituiscono la piena estrinsecazione delle potenzialità aziendali e si configurano, nei confronti dei diversi interlocutori, interni ed esterni, talvolta come azioni tese a generare condotte, reazioni, prestazioni, talvolta come risposte alle azioni, alle condotte, in generale alle dinamiche di contesto.

IX.1 – I DIFFERENTI APPROCCI AL GOVERNO STRATEGICO DELL ’ IMPRESA

Nei capitoli precedenti di questo lavoro abbiamo trattato gli

elementi operativi che permettono all’impresa di acquistare, produrre, collocare sul mercato i prodotti finiti. Abbiamo, in altre parole, descritto il funzionamento dell’impresa, con particolare attenzione alle singole funzioni aziendali. In questo paragrafo rivolgiamo l’attenzione al governo dell’impresa, inteso come il complesso di decisioni che l’alta direzione deve assumere per coordinare gli elementi operativi e raggiungere gli obiettivi stabiliti dal gruppo imprenditoriale.

L’insieme delle scelte prese dall’alta direzione per raggiungere le finalità imprenditoriali appartiene alla strategia ed alla pianificazione strategica. Esse, infatti, sono l’espressione più elevata dell’attività di decisionale ed il tramite necessario al perseguimento degli scopi capaci di assicurare la sopravvivenza e possibilmente la crescita dell’impresa.

Per alcuni la strategia si riduce ad “un sistema di obiettivi specifici capaci di aiutare le decisioni”, per altri è invece “una combinazione di fini da raggiungere e di mezzi che consentono di realizzare detti fini”, oppure “un processo organizzativo”, “un

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comportamento di lungo termine rivolto a perseguire gli obiettivi primari della gestione”, “una serie di regole decisionali che guidano il comportamento dell'organizzazione” (359). In altre parole essa è soprattutto “un percorso di problem solving in situazioni complesse” (360).

I moderni studiosi di strategia aziendale affermano che essa consiste in una “linea d’azione più o meno specificata, intesa a creare o rafforzare un vantaggio nella posizione competitiva rispetto ai concorrenti e, in generale, rispetto all’intero ambiente in cui opera l’impresa” (361).

Quanto espresso finora, relativamente al dibattito sui contenuti e i significati attribuibili al concetto di strategia può essere utilmente ricondotto a due diversi approcci o prospettive d’analisi fondamentali che hanno contraddistinto l’evoluzione del pensiero strategico:

− l’approccio razionalistico, risalente ai primi anni 70, al quale

si devono le origini del pensiero strategico, che pone l’accento sugli aspetti del contenuto, ossia sulla definizione, da parte dell’impresa, di obiettivi e attività che le consentano di essere in “sintonia” con le differenti condizioni ambientali;

− l’approccio organizzativo, che intende la strategia quale comportamento o processo continuo, focalizzato sugli aspetti dinamici di formazione della stessa, scaturenti dal rapporto fra l’Organo di Governo e la Struttura Operativa;

Il primo approccio citato, coincidente con la c.d. impostazione

tradizionale oggi fortemente criticata, è legato al ciclo di pianificazione strategica, programmazione e controllo. Caratteristica peculiare di tale visione riguarda la sequenzialità non solo logica ma anche temporale del ciclo in esame, contraddistinto da uno spiccato determinismo e formalizzazione. Tali peculiarità derivano dal contesto

(359) V. nell’ordine: G. VOLPATO, Concorrenza, impresa, strategie, Il Mulino, Bologna, 1986, pag.311; M. PORTER, Il vantaggio competitivo, Edizioni di Comunità, milano, 1987, pag.3; K.R. Andrews, The Concept of Corporate Stategy, Institute of Management Sciencies, Pittsburg, 1984, pag.24; S. SCIARELLI, Economia e gestione dell’impresa, Cedam, Padova, 1997, pag.259; H.I. ANSOFF, Organizzazione innovativa, Ipsoa, Milano, 1987, pag.47. (360) Cfr. B. DI BERNARDO, E. RULLANI , Il management e le macchine. Teoria evolutiva dell’impresa, Il Mulino, Bologna, 1990, pag.162. (361) Cfr. M. PORTER, Op. cit..

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economico-sociale nel quale è avvenuta la sua gemmazione, caratterizzato da una relativa stabilità ambientale, da mercati in crescita continua e ambiti di operatività definibili come complicati ma non ancora complessi. La pianificazione strategica può essere definita come il processo manageriale volto a sviluppare e mantenere una corrispondenza efficace fra obiettivi e risorse dell’organizzazione ed opportunità di mercato. Suo compito precipuo è di far sì che l’ambito dell’impresa sia costituito da un numero di aree d’affari profittevoli, sufficienti a garantire la sopravvivenza della stessa (362).

Il secondo approccio trattato, concentra la sua attenzione sulla dinamica strategica intesa quale risultante dall’unione di diversi momenti logici e non più temporalalmente consequenziali, sintetizzabili nell’ideazione della strategia, ossia la messa a fuoco dei percorsi evolutivi che si vorrebbero perseguire, la definizione, momento in cui le idee si trasformano in progetti, l’ azione, in cui i progetti trovano concretizzazione nell’ambito dei processi gestionali mediante l’attivazione delle relazioni fra le capacità di base disponibili nell’impresa, ed infine la sorveglianza, in cui l’Organo di Governo valuta gli obiettivi conseguiti o gli eventuali scostamenti dagli stessi, rimedita la visione di partenza, rimodella gli obiettivi individuati, modifica i percorsi evolutivi tracciati. In tale approccio, l’Organo di Governo assurge al ruolo fondamentale di guida ed indirizzo del sistema impresa, conducendolo attraverso la dinamica strategica e le conseguenti azioni di governance, operando sui vari livelli mediante lo stimolo delle interazioni fra sovrasitemi e subsistemi rilevanti.

Il passaggio da un orientamento di tipo deterministico ad una visione strategica dell’impresa, rappresenta la risposta da parte delle aziende al manifestarsi di nuove ed inaspettate sfide provenienti dall’ambiente. Ciò è attribuibile al rallentamento della crescita economica, all’intensificarsi della competizione, all’estendersi dei processi di diversificazione nell’ambito delle imprese soprattutto di grandi dimensioni. Veniva avvertita sempre di più l’esigenza di un approccio sistemico alla definizione e realizzazione di scelte strategiche. L’attenzione delle imprese cominciava quindi a concentrarsi sull’analisi delle forze costituenti il mercato e delle cause ultime della redditività, nella ricerca di nuove modalità di creazione di un vantaggio competitivo all’interno dei singoli settori di attività. Ed è proprio in questo processo di graduale proiezione verso l’esterno che

(362) P. KOTLER, W.G. SCOTT, Marketing Management, Isedi, Torino, 1997, pag.50.

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possiamo individuare la caratteristica saliente del passaggio a un nuovo sistema di concepimento dei percorsi evolutivi d’impresa: la dinamica strategica.

IX.2 – LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA L’evoluzione della pianificazione strategica è avvenuta tra gli

anni ’50 e gli anni ’80 in contesti di relativa stabilità ambientale e in condizioni di crescita dei business costanti. In tale situazione, il naturale obiettivo delle imprese era rappresentato dallo sviluppo dimensionale, mentre le principali sfide del management attenevano alla capacità di pianificazione di detti sviluppi.

Nel corso degli anni il concetto di strategia è stato affrontato da diversi filoni di studio che hanno trattato il tema della formazione dei piani strategici secondo vari approcci di cui, di seguito, si riportano i principali (363).

1. Design School (Chandler 1962 e Andrews 1971): secondo quest’approccio il management, mediante l’adattamento fra i punti di forza e debolezza interni all’impresa con le minacce-opportunità esterne, individua in modo chiaro gli obiettivi strategici in un processo definito di pensiero cosciente.

2. Planning School (Ansoff 1965): la scuola della pianificazione si sviluppa parallelamente alla precedente, differenziandosi tuttavia da essa per l’aumento di formalizzazione del processo strategico. Infatti gli obiettivi individuati da management devono essere suscettibili di scomposizione in fasi distinte, supportati da tecniche manageriali per la definizione dei sotto-obiettivi e dalle allocazioni delle risorse. Si devono a quest’approccio lo sviluppo di strumenti quali i piani, i programmi operativi, i budget, nonchè le posizioni organizzative di staff addette alla formulazione delle strategie delle grandi imprese.

3. Positioning School (Porter 1980): questo filone di studi si inserisce nel solco dei lavori accademici di posizionamento strategico di quegli anni, attribuiti a studiosi quali Hatten e Schendel e ai contributi delle grandi società di consulenza quali la Boston Consulting Group. In tale concezione la strategia deriva dal posizionamento dell’impresa nel settore di propria operatività che

(363) M.PELLICANO, a cura di, Il governo strategico delle imprese, Giappicchelli, Torino, 2004, pag. 187 e segg.

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delinea, con le proprie caratteristiche, i comportamenti che l’impresa deve porre in essere.

4. Entrepreneurial School (Druker 1986): considerata una scuola marginale, ha inteso il processo di formazione delle strategie come scaturente dall’intuizione dei soggetti apparteneti al management, concentrandosi su vaghe definizioni di “visioni” strategiche o “prospettive” espresse spesso mediante metafore.

5. Cognitive School: approccio di natura accademica il cui scopo principale risiedeva nell’indagine della cognizione come processo di analisi delle informazioni e mappatura della conoscenza, finalizzata alla costruzione di strategie intese quali interpretazioni creative della realtà.

Gli studi sulla formazione delle strategie fromulate dalle varie

scuole anzidette hanno dato luogo ad una evoluzione negli approcci alla definizione della pianificazione strategica da parte delle imprese.

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FIGURA IX.1. Le quattro fasi di evoluzione dei sistemi di pianificazione strategica

FONTE: F.W. GLUCK, S.P. KAUFMAN , A.S. WALLECK, Strategic management for competitive advantage, in “Harvard Business Review”, luglio-agosto 1980, pagg.154-161.

In generale, indipendentemente dalla definizione selezionata o

dall’approccio adottato, nel pensiero strategico, si ritrovano in tutto o in parte i seguenti elementi componenti la strategia (364):

1. il soggetto decisionale della strategia, dal quale promanano le scelte strategiche, in quanto centro motore del sistema aziendale;

(364) Cfr. G. PANATI , G.M. GOLINELLI , Tecnica economica industriale e commerciale, La Nuova Italia Scientifca, Roma, 1991, pagg.790-791.

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2. una finalità del soggetto strategico, la quale diventa missione della strategia;

3. gli oggetti della strategia rappresentati dalle risorse, dai mezzi dell’impresa. Tali elementi del sistema strategico vengono spesso rappresentati con la cosiddetta “turbina strategica” così definita perché dà il senso della trasformazione di energia primaria (risorse) in energia utile (il conseguimento degli obiettivi) mediante effetti sinergici che si manifestano con la produzione di un valore complessivo superiore a quello della somma delle risorse impiegate; 4. un ambito di riferimento, cioè lo spazio-tempo nel quale si muovono soggetti strategici concorrenti e oggetti competitivi o missioni conflittuali. IX.2.1 – La pianificazione di base

Essa rappresenta il primo approccio alla scientificazione delle

decisioni utili a delineare la strategia dell’impresa. La logica alla base del processo di definizione attiene le quantificazione anticipata dei risultati, inseriti nello strumento contabile del budget annuale previsionale, dal quale, a conclusione dell’esercizio, vengono valutati gli eventuali scostamenti.

L’orizzonte temporale dell’analisi di breve periodo coincidente con l’esercizio contabile, qualifica questo tipo di pianificazione come prevalentemente reddituale piuttosto che finalizzata allo sviluppo della posizione competitiva dell’impresa. L’analisi dagli scostamenti rilevati in sede di consuntivo, sono utilmente interpretati dal management in guisa tale da rappresentare le basi del successivo budget previsionale annuale, spesso contraddistinto da una quantificazione, in termini di risultati operativi da raggiungere, di natura incrementale rispetto al precedente documento. IX.2.2 – La pianificazione sulla base delle previsioni

Contesto di sviluppo di questo tipo di pianificazione è un mercato

in cui gli operatori principali hanno raggiunto la grande dimensione, con una domanda in costante crescita, un contenuto livello di concorrenza internazionale e caratterizzato da un particolare dinamismo tecnologico. Per le imprese operanti in tali scenari, la

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finalità principale era rappresentata dalla scelta di investimenti in grado di garantire, nel medio-lungo periodo, l’adeguamento della propria capacità produttiva e finanziaria necessaria per stare al passo con l’evoluzione dei mercati.

Gli strumenti fino ad allora utilizzati, orientati su intervalli temporali brevi, non erano in grado di fornire dei suggerimenti circa le vie percorribili per raggiungere tali obiettivi. Si svilupparono, dunque, dei sistemi di pianificazione che fornivano alle imprese un supporto nelle scelte da intraprendere, aventi orizzonti temporali di più ampio respiro.

I sistemi di pianificazione strategica si fondavano sul calcolo preventivo delle variabili endogene ed esogene alla base delle dinamiche di sviluppo dei contesti. I fenomeni futuri erano previsti sulla base delle serie storiche, allo scopo di definire in via anticipata gli obiettivi da raggiungere e, di conseguenza, le azioni da porre in essere. Contestualmente alle pianificazioni delle azioni rilevanti da intraprendere, veniva individuato un fabbisogno finanziario necessario alla realizzazione delle azioni previste, la quantità di risorse da assegnare alle singole azioni e i risultati attesi da ciascuna di esse. Successivamente si operava la trasformazione della pianificazione in linee d’azione con i relativi obiettivi, si articolavano le linee d’azione per livello gerarchico al fine di comporre il c.d. piano, output dell’intero processo.

Il processo di verifica era attuato in due fasi: ex ante, attraverso l’analisi di fattibilità economico-finanziaria delle linee d’azione, delle risorse assegnate e degli obiettivi individuati ed ex post, mediante la verifica del grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati.

L’ambiente di riferimento descritto ad inizio paragrafo rendeva gli scenari futuri pressoché determinabili, garantendo alle previsioni effettuate un grado di sufficiente attendibilità anche nel medio-lungo periodo sebbene caratterizzate da un elevato grado di dettaglio. Le condizioni soprarichiamate spingevano le imprese verso la ricerca della massimizzazione dei livelli di economicità, perseguendo lo sfruttamento delle economie di scala e la standardizzazione di prodotto e di processo.

Per le ragioni suesposte, non a caso, risale a questo periodo la diffusione di alcuni strumenti utilizzati per supportare le scelte dei mercati nei quali operare e l’allocazione delle risorse, quali, fra tutte la più famosa, risulta essere la matrice BCG messa a punto dal Boston Consulting Group, definita anche matrice sviluppo/quota di mercato

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(figura X.9); La matrice BCG si costruisce in base a due criteri: il tasso di crescita del mercato di riferimento, che funge da indicatore di attrattività, e la quota di mercato relativa al concorrente più pericoloso, usata come indicatore della competitività dell’impresa. Suddividendo l’ordinata e l’ascissa in due aree, quella dei valori alti e quella dei valori bassi, si ottiene la configurazione presentata in figura.

La matrice si basa sul concetto di quota di mercato relativa che confronta la quota di mercato detenuta dall’impresa con quella del suo concorrente più pericoloso. FIGURA IX.2. La matrice BCG

FONTE: G. PANATI , G.M. GOLINELLI , Op. cit., p.829

La matrice sviluppo/quota di mercato è suddivisa in quattro

quadranti, ciascuno rappresentante un distinto tipo di attività. − Enigmi (question marks): sono attività dell’impresa collocate

in mercati ad alto tasso di espansione, ma con bassa quota di mercato. Molte attività nella fase iniziale della loro esistenza sono di questo tipo; si tratta di attività che presentano un elevato fabbisogno

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finanziario, in quanto l’impresa deve adeguare la propria capacità produttiva sia ai ritmi di sviluppo del mercato, sia all’obiettivo di incrementare la quota relativa dello stesso.

− Stelle (star): se un enigma ha successo allora questo viene definito “stella”. Ciò significa che l’impresa ha, nell’attività considerata, una posizione leader in un mercato caratterizzato da un elevato tasso di sviluppo. Al contrario di quanto si potrebbe credere, queste tendono ad assorbire liquidità, piuttosto che a generarne. Per esse, infatti, l’impresa deve utilizzare ingenti mezzi finanziari per far fronte allo sviluppo del mercato e per opporsi alle azioni della concorrenza.

− Mucche cassiere (cash cows): le attività per le quali l’impresa detiene una posizione leader in un mercato che si sviluppa a un tasso annuo inferiore al 10% sono definite mucche cassiere. Queste attività sono generatrici per l’impresa di apprezzabili volumi di liquidità. L’impresa non deve effettuare investimenti in quanto il tasso di sviluppo del mercato è modesto ed inoltre, essendo leader, gode di economie di scala e di più elevati margini di profitto. L’impresa utilizza la liquidità ottenuta da questo tipo di attività per far fronte al proprio fabbisogno e per sostenere le restanti attività, le cui esigenze di liquidità sono particolarmente elevate.

− Cani (dogs): si tratta di attività dell’impresa a bassa quota di mercato in contesti caratterizzati da un tasso di sviluppo contenuto. In genere attività di questo tipo generano profitti ridotti o perdite, anche se talvolta danno origine a una certa liquidità.

Una volta collocate le proprie attività nella matrice tasso di sviluppo/quota di mercato, l’impresa potrà determinare se il proprio portafoglio è valido o meno.

Secondo il metodo di analisi proposto, però, il successo di ciascuna attività dipende dal fatto che essa sia svolta in un mercato di cui si detiene un’alta quota ed in cui si prevede un alto tasso di sviluppo della domanda. Valutare la situazione e le prospettive di una attività solo sulla base di queste due variabili risulta inadeguato, perché la quota di mercato non esprime la posizione competitiva globale dell’attività e il tasso di sviluppo della domanda non è l’unico fattore ad esprimere l’attrattività globale di un mercato.

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IX.2.3 – La pianificazione rivolta all’esterno A seguito delle evoluzioni dell’ambiente esterno, il sistema della

pianificazione ha subito un mutamento consistente nel passaggio da un approccio orientato alla definizione delle strategie ad una metodologia avente ad oggetto l’analisi di variabili interne ed esterne all’impresa, finalizzato alla determinazione di un ventaglio di alternative strategiche da selezionare in funzione delle caratteristiche dell’impresa.

Viene abbandonata la visione prevalentemente finanziaria della pianificazione, per far spazio ai tentativi di comprensione delle variabili che incidono sui cambiamenti dell’ambiente, sulle esigenze dei consumatori, sui fattori determinanti le scelte d’acquisto.

L’approccio metodologico seguito concerne lo studio delle Minacce/Opportunità derivanti dall’ambiente, coniugato alla definizione dei punti di Forza/Debolezza dell’impresa. L’obiettivo del processo riguarda la possibilità di prevedere le evoluzioni ambientali per definire in modo coerente le azioni che l’impresa deve intraprendere per rafforzare le eventuali debolezze, per cogliere le opportunità che gli scenari futuri possono riservale, per sfuggire a probabili minacce.

Una minaccia ambientale può essere definita come “una sfida posta da una sfavorevole tendenza o sviluppo in atto nell’ambiente, tale da poter determinare, in assenza di una specifica azione di marketing, l’erosione della posizione dell’mpresa”. Ai dirigenti di marketing si dovrebbe chiedere di indicare, nei piani da essi predisposti, i pericoli che minacciano l’impresa. Questi pericoli vanno quindi classificati secondo la loro gravità e probabilità di manifestarsi (figura IX.3).

Le minacce del quadrante superiore di sinistra sono particolarmente gravi poiché possono determinare danni di una certa entità e hanno notevole probabilità di manifestarsi. L’impresa deve predisporre un piano di emergenza per ciascuna di queste minacce, nel quale siano chiaramente indicate le azioni che essa deve svolgere prima o durante il manifestarsi di quanto ipotizzato. Le minacce considerate nel quadrante inferiore di destra sono di scarsa rilevanza e possono, quindi, essere ignorate. Le minacce dei due quadranti restanti non richiedono la predisposizione di piani d’emergenza, ma devono essere tenute costantemente sotto controllo in modo da accertare per tempo il loro eventuale sviluppo.

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FIGURA IX.3 – Matrice delle minacce

FONTE: KOTLER P., Marketing Management, Isedi, Torino, 1997. In modo analogo, i dirigenti di marketing dovrebbero procedere a identificare le opportunità determinate dall’evoluzione ambientale. Esse possono essere così definite posizione di vantaggio competitivo di cui gode l’impresa in uno specifico campo d’azione. Le opportunità dovrebbero essere classificate in relazione alla attrattività e probabilità di successo che l’impresa potrebbe avere nei confronti di ciascuna di esse (figura IX.4). La probabilità di successo di un’impresa nei confronti di una particolare opportunità dipende dal fatto che le sue risorse aziendali siano idonee o meno a soddisfare le condizioni di successo del settore. Esso si manifesta nella sua capacità di generare valore per i clienti.

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FIGURA IX.4. Matrice delle opportunità

FONTE: KOTLER P., Marketing Management, Isedi, Torino, 1997.

Al fine di poter effettivamente cogliere quelle che sono le

opportunità esplicitate dal mercato, occorre effettuare un’analisi periodica dei punti di forza e debolezza propri di ciascun business (cosiddetta analisi dell’ambiente interno, mentre quella basata sulla definizione delle minacce ed opportunità è definita analisi dell’ambiente esterno).

Mediante l’utilizzo di uno schema come quello rappresentato nella figura IX.4, è possibile attribuire una valutazione in termini di performance e di importanza ai singoli fattori relativi alle competenze di marketing, di produzione e di organizzazione, determinando così i punti di forza e debolezza del singolo business. L’analisi dei fattori interni (forze, debolezze) e dei fattori esterni (opportunità, minacce) sopra illustrata è denominata analisi SWOT (Strenghts, Weaknesses, Opportunities, Threats). Nella figura seguente (figura IX.5) viene presentato un elenco dei punti principali da considerare nell’analisi SWOT.

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FIGURA IX.5. Elenco dei punti da considerare nell’analisi SWOT.

FONTE: adattamento da A.A. THOMPSON, L.R. e A.J. STRICKLAND III, Strategic management, Irwin, Homewood, IL., 1990, pag. 91.

Un tipico esempio di strumento utilizzato a questi fini è rappresentato dalla matrice multifattoriale messa a punto dalla General Electric (figura IX.6).

In questa matrice ogni attività viene classificata in funzione di due variabili di sintesi: l'attrattività del mercato e la posizione competitiva (365).

(365) Definiscono l’attrattività del mercato: dimensione, sviluppo del mercato, prezzi, struttura dei concorrenti, redditività del settore, tecnologie, aspetti sociali, aspetti ambientali, aspetti legali, aspetti umani. Definiscono invece la posizione competitiva: dimensione, sviluppo, quota, posizione, redditività, margini, posizione tecnologica, forze/debolezze, immagine, inquinamento, risorse umane.

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FIGURA IX.6. La matrice attrattività-competitività

FONTE: adattamento da G. PANATI , G.M. GOLINELLI , Op. cit., p. 831 Si ottiene dunque un sistema di classificazione a due dimensioni

simile alla matrice BCG. E’ consuetudine suddividere ciascuna dimensione in tre livelli, il che conduce a definire nove casi, corrispondenti ognuno a una posizione strategica specifica.

Ciascuna zona corrisponde a un posizionamento specifico. I quattro posizionamenti più chiari sono quelli che si collocano ai quattro angoli della matrice di figura IX.6.

Nella zona in alto a destra, caratterizzata da attrattività del prodotto-mercato e capacità concorrenziale dell’impresa elevate, l’orientamento strategico da seguire è quello di una crescita aggressiva. Si ritrovano qui le caratteristiche delle “stelle” della matrice del Boston Consulting Group.

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Nella zona in basso a sinistra, attrattività e vantaggi bassi impongono un orientamento strategico improntato al mantenimento senza investimenti o al disinvestimento. Le caratteristiche sono le stesse dei “cani” di figura IX.2.

La zona in alto a sinistra si ha una situazione intermedia, che richiama quella tipica degli “enigmi” di figura IX.2: il vantaggio competitivo è basso, ma l’attrattività del mercato di riferimento è elevata. La strategia da seguire è quindi quella dello sviluppo selettivo.

Infine, nella zona in basso a destra si ha la situazione opposta: il vantaggio competitivo è elevato, ma l’attrattività del mercato è scarsa. La situazione è quella tipica delle “mucche cassiere” e una strategia di mantenimento consente di difendere la propria posizione senza effettuare spese elevate.

Le altre zone corrispondono a posizioni strategiche mal definite e spesso difficili da interpretare; la collocazione al centro può riflettere sia valutazioni molto elevate riguardo a certi criteri e molto basse rispetto ad altri, sia una valutazione media sull’insieme dei criteri.

Dopo aver adeguatamente valutato le varie attività in cui è impegnata, l’impresa può riscontrare un divario tra il volume delle vendite previsto e quello che il management assume come obiettivo da conseguire. Esistono tre modi per colmare tale divario, corrispondenti allo sfruttamento di tre diverse opportunità.

1. Sviluppo intensivo: Ansoff per l’individuazione delle opportunità di sviluppo intensivo ha sviluppato un utile schema noto come matrice prodotto/mercato (figura IX.7). In primis, l’impresa prende in esame la possibilità di allargare la propria quota di mercato con i prodotti attuali, nell’ambito dei mercati attuali (strategia di penetrazione del mercato); in un secondo momento, considera se è possibile sviluppare nuovi mercati per i prodotti esistenti (strategia di sviluppo di mercato); quindi valuta se è possibile sviluppare nuovi prodotti per i mercati nei quali già opera (strategia di sviluppo del prodotto); infine l’impresa può sviluppare nuovi prodotti per nuovi mercati (strategia di diversificazione).

Specifichiamo che non è corretto definire la diversificazione una strategia: essa può essere piuttosto definita come una politica, un percorso e uno strumento per la formulazione e la realizzazione di

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strategie: effetto di essa è la formazione di unità strategiche di affari in rami diversi di attività (366). FIGURA IX.7. Matrice prodotto/mercato

FONTE: H.I.ANSOFF, Strategia Aziendale, Etas Kompass, Milano, 1968.

Concetto base per la definizione del portafoglio strategico è

quello di portafoglio prodotti. Ogni azienda ha un portafoglio prodotti, caratterizzato normalmente da un prodotto leader, e si presenta allora come un portafoglio di binomi prodotto-mercato. La rappresentazione del portafoglio prodotti dell’impresa può risolversi in un mero elenco dei suoi prodotti opportunamente classificati per categoria.

2. Sviluppo integrativo: la strategia di integrazione consiste nell’acquisire uno o più fornitori (integrazione a monte); una o più imprese distributrici (integrazione a valle); una o più imprese concorrenti (integrazione orizzontale).

3. Sviluppo diversificativo: in particolare possiamo distinguere: − diversificazione concentrica: quando l’impresa ricerca nuovi

prodotti che presentano sinergie tecnico-produttive e/o di marketing rispetto ai prodotti esistenti, anche se i nuovi prodotti si rivolgono a nuovi segmenti;

(366) Cfr. G. PANATI , G. M. GOLINELLI , Op. cit., pag.822.

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− diversificazione orizzontale: consiste nella ricerca di prodotti da offrire alla clientela tradizionale, sebbene privi di collegamenti con i prodotti attuali;

− diversificazione conglomerativa: l’impresa ricerca nuove attività che non hanno alcun rapporto con le tecnologie, i prodotti o i mercati abituali. IX.2.4 – La gestione strategica

Questo approccio suddivide idealmente il processo strategico in

due sotto processi, la formulazione della strategia, contraddistinta dal rigore analitico degli approcci precedenti, e l’implementazione, svincolata dalle rigidità di individuazione degli attori del processo e della definizione della sequenza logico-temporale di attuazione. Tali cambiamenti rispondono ad un esigenza di flessibilità derivante dalla convinzione che l’implementazione è contraddistinta da un elevato grado di operatività non rigidamente prevedibile, ma necessita di un continuo adattamento alle diverse condizioni di contesto che si verificano, giungendo ad un procedimento di implementazione per approssimazioni successive.

Il governo strategico dell’impresa, operato mediante tale approccio richiede lo sviluppo di un sistema di valori diffuso e condiviso, di competenze gestionali, di comunicazione ed organizzative integrate; infatti, se così non fosse, l’innovazione principale di tale modus operandi, consistente nell’affiancamento alla prospettiva razionale/analitica della prospettiva intuitivo/sintetica sarebbe “soffocata” dai meccanicismi degli approcci precedenti.

Le principali cause del rilevato mutamento, sono prima di tutto di natura esogena:

− crescente diversità interna ed esterna all’impresa che si traduce in una continua tendenza verso la diversificazione di prodotti, mercati, tecnologie;

− crescente “globalizzazione” dei mercati e della competizione in quasi tutti i settori industriali.

Esse in primo luogo mettono in crisi le tradizionali soluzioni a livello di struttura organizzativa e di sistemi/processi di gestione con cui le imprese gestivano le diversità, e poi evidenziano come fattore di successo, in risposta alla crescente competitività che la

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globalizzazione genera, la gestione “day to day” del posizionamento strategico, con esigenze anticipatorie ed esplorative dei mutamenti.

Le implicazioni che ne derivano sono della massima importanza. Da un punto di vista organizzativo si viene ad esplicitare una struttura strategica distinta dalla struttura operativa formale. La struttura strategica riflette il modello organizzativo attuato per la presa e la gestione delle decisioni di tipo strategico, mentre la struttura operativa esplicita il decentramento delle decisioni di tipo operativo, con una gerarchia definita di responsabilità e autorità.

Un primo ordine di problemi riguarda la separazione di contenuto o area di competenza delle decisioni/attività dell’una e dell’altra struttura.

Diversi sono gli approcci che a proposito potremmo proporre, ma quello che meglio evidenzia le differenze di contenuto tra struttura strategica ed operativa è probabilmente quello di Ansoff che sottolinea la differenza sul piano della reattività dell’impresa (367).

Egli definisce strategiche le attività/decisioni volte a sviluppare la capacità di risposta dell’impresa sotto il profilo dell’innovazione. Sarebbe dunque la struttura strategica, variamente combinandosi con quella operativa, ad apportare reattività strategica all’impresa.

Le gestioni strategica ed operativa non possono, però, essere considerate tra loro indipendenti: infatti, un valido svolgimento della gestione operativa necessita di un alto grado di consapevolezza strategica. Si evidenzia, quindi, un’accentuazione operativa della strategia, laddove la gestione strategica è sia gestione del vantaggio competitivo che presidio dell’operatività corrente. IX.2.4.1 – Significato e ruolo della struttura strategica

Riguardo al significato e ruolo della struttura strategica nel contesto della globale attività di direzione di un'organizzazione imprenditoriale, possono essere individuati nella teoria due filoni di pensiero.

1. Un primo filone – riconducibile ai contributi di Hofer, Schendel e Lorange – identifica l’architettura strategica con l’articolazione in livelli del processo formale di formulazione della

(367) H.I. ANSOFF, Organizzazione innovativa, Ipsoa, Milano, 1987.

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CAPITOLO IX 336

strategia, dandone una interpretazione in termini di dimensione analitica di scomposizione del business (368).

L’articolazione avviene su più livelli che corrispondono alla scomposizione in sub-problemi del problema strategico complessivo:

− il livello “ corporate”, che si pone al vertice dell’impresa, dove la responsabilità strategica consiste nell'analisi/composizione del portafoglio delle attività che meglio consenta il raggiungimento degli obiettivi aziendali e nell’acquisizione/allocazione selettiva delle risorse nei diversi settori di attività;

− il livello “ business”, cioè di SBA, in cui viene formulata la strategia relativa.

Hofer e Schendel propongono, per l’individuazione delle SBA, i

criteri di omogeneità e indipendenza (369). I due criteri sono però difficilmente armonizzabili tra loro: tanto maggiore è l’omogeneità interna tanto più probabile è che sia ristretto l’ambito del business delle singole SBA e, quindi, più probabile l’esistenza di sue interdipendenze con altri business. L’utilizzo del criterio di omogeneità comporta poi un eccessivo decentramento e, quindi, perdita di sinergie e di vantaggi competitivi che potrebbero scaturire dalle interdipendenze.

Nell’ambito delle SBA può essere individuato un ulteriore livello di pianificazione strategica: il livello funzionale. Ogni funzione ha il compito di formulare una strategia, che però deve risultare compatibile, pur essendo autonoma, con quella delle altre funzioni raggruppate sotto lo stesso business. A questo livello si pianifica strategicamente al fine della massimizzazione della produttività delle risorse e l'attività di pianificazione è principalmente focalizzata sullo sviluppo e sfruttamento delle sinergie.

Lorange, nella definizione dell’architettura strategica, parte dal livello più basso dove individua i business elements, unità elementari di pianificazione, cioè il livello minimo al quale ha senso formulare obiettivi e strategie di adattamento all’ambiente (370).

Un business element è individuato in termini di specificità strategica con un determinato grado di attrattività di business e forza competitiva relativa; può, quindi, coincidere con il singolo rapporto (368) Cfr. G.M. GOLINELLI , Op. cit., pag.134 e segg. (369) Cfr. C.W. HOFER, D. SCHENDEL, Op. cit. (370) Cfr. P. LORANGE, “Organizational Structure and Management Process”, in Economia aziendale, n.2, 1987, pag.229 e segg.

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ELEMENTI DI STRATEGIA 337

prodotto/mercato, ma anche rappresentare una combinazione di rapporti prodotto/mercato omogenei tra loro, appunto, in termini strategici (figura IX.8). Il raggruppamento di più business elements, correlati fra loro in termini di mercato o condivisione di risorse o integrati verticalmente, dà luogo alla business family che viene a coincidere con l’unità operativa della struttura organizzativa formale. FIGURA IX.8 – Individuazione dei business elements

FONTE: P. LORANGE, “Organizational Structure and Management Process”, in Economia Aziendale, n. 2, 1987, p. 226.

Collocabile in questo filone è la posizione di Omahe, il quale definisce l’unità di pianificazione strategica (SPU), cioè il livello elementare al quale è conveniente formulare una strategia, in termini di omogeneità e indipendenza rispetto alle dimensioni del “triangolo strategico”: cliente, concorrenza, impresa (371). Essendo un’impresa diversificata composta da più business rivolti a segmenti diversi di clienti, esistono più triangoli strategici sulla base dei quali è necessario formulare le strategie. Molto importante è la individuazione del livello organizzativo in cui collocare la SPU.

I livelli in cui Omahe articola il processo di pianificazione sono: − corporate, con il ruolo di stabilire gli obiettivi globali,

promuovere lo sfruttamento di sinergie, ripartire le risorse strategiche tra i diversi business;

(371) K. OMAHE, The Mind of Strategist, McGraw-Hill, 1982 (trad. it., Strategie creative, Ipsoa, Milano, 1985), pag.81 e segg.

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CAPITOLO IX 338

− settore strategico, che raggruppa SBU omogenee. Esso pianifica nel lungo termine (5-10 anni);

− SPU, che comprende rapporti di prodotto-mercato correlati, che si qualificano come unità significativamente differenziate in termini competitivi, con valore strategico critico;

− SBU, che generalmente ha, infine, il compito di realizzare la strategia di breve-medio termine e di sfruttare le sinergie funzionali; essa può risultare dalla dall’aggregazione di più SPU che presentano comunanza di aspetti funzionali. Dunque, la SBU è fondamentalmente un’unità esecutiva e le sue competenze di pianificazione riguardano la realizzazione di strategie funzionali al fine di massimizzare lo sfruttamento comune delle risorse.

2. Un secondo filone, di cui fanno parte Abell, Ansoff e

Faccipieri, assegna all’architettura strategica un significato di vera e propria struttura, con compiti e responsabilità non solo di pianificazione, ma anche di attuazione e controllo della strategia (372).

Abell individua la SBU come un centro di profitto strategico con le seguenti caratteristiche: autonomia, proprie risorse funzionali, propri obiettivi di mercato, gruppo ben definito di clienti, propria strategia, responsabilità finanziaria di profitto (373).

Esiste una corrispondenza biunivoca tra SBU e SBA e quindi l’articolazione organizzativa segue il criterio della specificità strategica.

Questo criterio, nel modello di Abell, si basa sul trinomio cliente, funzione, tecnologia dove:

− i clienti sono classificabili in base alla loro diversa omogeneità potenziale di comportamento e omogeneità di bisogni;

− le funzioni rappresentano i bisogni o gli attributi dei bisogni da soddisfare;

− le tecnologie identificano le modalità con cui i prodotti/servizi svolgono le funzioni.

In base a ciò il prodotto può essere definito come la manifestazione fisica dell’applicazione di una data tecnologia allo svolgimento di una data funzione per un particolare gruppo di clienti; di conseguenza, in caso di variazione di questi tre parametri, occorrerà

(372) Cfr. G.M. GOLINELLI , Op. cit., pag.138 e segg. (373) Cfr. D.F. ABELL, Defining the Business: the Starting Point of Strategic Planning, Prentice Hall, 1980 (trad. it., Business e scelte aziendali, Ipsoa, Milano, 1986).

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ELEMENTI DI STRATEGIA 339

ridefinire i business dal punto di vista strategico, e riprogettare la struttura organizzativa.

Ad un livello inferiore a quello di business, Abell individua l’unità di programma che rappresenta l’unità elementare della struttura strategica, responsabile della formulazione del piano strategico e del budget annuale. Anche a questo livello le unità organizzative sono definite in base al trinomio clienti-funzioni-tecnologie, ma ad un livello inferiore; infatti, si fa riferimento a sotto segmenti (invece che a gruppi) di clientela, a esigenze verso le caratteristiche di prodotto (invece che a funzioni) e a leve del marketing mix (invece che a tecnologie).

Faccipieri attribuisce rilevanza alle CSE (componenti strategiche elementari), che rappresentano un livello intermedio tra quello di business e quello di segmento prodotto mercato: sono date da insiemi di segmenti prodotto-mercato tra loro correlati (374).

La SBU, definita da Faccipieri in base al trinomio tecnologia/prodotto/mercato, è costituita da più CSE che si dividono le risorse funzionali della SBU.

I managers responsabili di CSE non hanno compiti operativi, ma di direzione strategica; ad essi è inoltre riconosciuto un margine di discrezionalità nel controllo dei costi, ricavi, investimenti ed analisi del posizionamento competitivo.

Il ruolo della SBU è, dunque, anche di determinazione e negoziazione, con il responsabile di ciascuna combinazione, dell’obiettivo strategico nonché di distribuzione delle risorse strategiche tra le stesse.

Per Ansoff l’architettura strategica si sviluppa su due livelli: corporate e SBA/SBU (375).

Le SBA sono unità di base per l’analisi dell'ambiente dell’impresa in base alle diverse aree di tendenze, minacce ed opportunità; la loro definizione è il primo passo dell’analisi strategica, autonoma rispetto alla struttura organizzativa dell’impresa e ai suoi prodotti attuali.

La SBU, invece, può anche non essere presente nell’ambito della struttura organizzativa e quando c’è viene definita come unità dell’azienda responsabile dello sviluppo strategico dell’impresa stessa in una o più SBA.

(374) S. FACCIPIERI, Op. cit., pag.872 e segg. (375) H.I. ANSOFF, Organizzazione innovativa, Ipsoa, Milano, 1987, pag.57 e segg.

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I due filoni presentati generano implicazioni diverse in tema di rapporto della struttura strategica con la struttura organizzativa formale.

Nella teoria di Lorange il duplice concetto di unità strategica di business (business element e business family) consente l’integrazione tra le due strutture: esiste una unica struttura organizzativa formale basata sulla coincidenza divisione/business family. Le due dimensioni della struttura permangono:

− distinte, in quanto l’articolazione in business element è mutevole nel tempo perché si adatta all’ambiente esterno, mentre la struttura organizzativa formale è per definizione stabile perché tesa a realizzare specializzazione ed efficienza nell’utilizzo delle risorse;

− integrate, dato che i managers operativi assumono anche ruoli di pianificatori strategici, sia al livello elementare di pianificazione che al livello più aggregato.

La posizione di Omahe sembrerebbe assimilabile alla precedente, poiché egli pone l’accento sul ruolo di “pianificazione” dell’architettura strategica. La corrispondenza dei livelli di pianificazione con la struttura organizzativo-operativa avviene a livello di SBU, mentre è solo eventuale a livello di SPU e settore.

Un secondo approccio riconosce un ruolo di struttura organizzativa formale all’architettura strategica. In tale ambito le soluzioni proposte sono state molteplici. Abell, per esempio, è un esponente della teoria dell’adeguamento della struttura organizzativa a quella strategica (376).

Altri approcci evidenziano gradi e modalità diverse di integrazione tra le due strutture, in dipendenza del verso e grado di prevalenza tra criterio strategico di definizione del business e articolazione della struttura organizzativa esistente (377).

L’approccio, comunque, più completo al problema del legame tra struttura operativa ed architettura strategica, è quello proposto da Ansoff (378).

Sono individuati tre modelli alternativi di interazione tra le due strutture.

(376) D.F. ABELL, Op. cit., pag.305 e segg. (377) C. BOSCHETTI, “Larchitettura strategica e la gestione delle interrelazioni”, Atti del seminario su La valutazione delle strategie aziendali: criteri, metodi, esperienze, Bressanone, 11-12 settembre 1989. (378) H.I. ANSOFF, Organizzazione innovativa, Ipsoa, Milano, 1987, pag.395 e segg.

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ELEMENTI DI STRATEGIA 341

La prima ipotesi considera l’articolazione in SBA solo ai fini del processo di pianificazione strategica. Cioè il manager di SBA ha un ruolo di pianificatore strategico della SBA, ma sono le unità operative che realizzano e sono responsabili dell'attuazione della strategia.

La seconda soluzione proposta da Ansoff riguarda la duplice struttura in senso proprio: esiste una corrispondenza diretta SBA-SBU e l’unità organizzativa è responsabile sia della formulazione sia dell’attuazione della strategia.

La terza ipotesi è quella di una perfetta corrispondenza SBA-SBU-unità operativa. La SBU si configura come un centro di profitto strategico, responsabile, oltreché della formulazione/attuazione della strategia, anche della conseguente produzione di profitto.

Viene così a cadere la duplice struttura, attuandosi una riorganizzazione per SBA, cioè l’efficacia dello sviluppo strategico diviene il criterio dominante di definizione e articolazione della struttura organizzativa. IX.3 – LA DINAMICA STRATEGICA

Le modificazioni dell’ambiente hanno determinato, sia sotto il

profilo della riflessione teorica che di tensione in contesti aziendali reali, un ripensamento nella definizione ed attuazione dei processi di pianificazione strategica. Le condizioni di contesto in cui le imprese si trovano oggi ad operare sono definibili come ambienti complessi379 di potenzialità relazionali (380).

L’utilizzazione dei meccanismi di feedback, utili ad analizzare gli scostamenti dagli obiettivi definiti in sede di pianificazione, hanno evidenziato sempre più l’incidenza di fatti occasionali o condizioni ambientali temporanee che obbligano il management ad effettuare scelte fra alternative ab origine non previste né prevedibili, tuttavia in grado di inficiare il buon esito nonché il proseguimento delle linee d’azione così come pianificate. I nuovi approcci allo studio delle

(379) G.M. GOLINELLI , L’Approccio Sistemico al governo delle imprese vol. II, Cedam, Padova, 2008, pag. 61 e segg. (380) Sulla scorta del più volte citato Approccio Sistemico, l’ambiente è un insieme di soggetti, oggetti e condizioni con i quali l’impresa può interconnettersi. L’insieme delle componenti esistenti con le quali l’impresa ritiene di relazionarsi nell’immediato più l’insieme delle compenenti con cui potrà decidere di relazionarsi in futuro definisce il campo delle potenzialità d’azione dell’impresa.

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CAPITOLO IX 342

imprese esprimono la necessità di considerare in via prioritaria la soddisfazione delle aspettative e delle pressioni dei soggetti che, a vari gradi, sono coinvolti nel procedimento di creazione del valore.

Il mercato si presenta privo di ogni stabilità, contraddistinto dall’ipercompetizione, che impone ai soggetti che vi operano una tensione al cambiamento continuo. L’impresa, dal canto suo, deve stare al passo con detti cambiamenti attuando dei processi volti ad armonizzarsi con l’ambiente ed orientati al conseguimento della legittimazione sociale.

Infatti, come afferma il Golinelli, la base di legittimità dell’impresa ha subito uno slittamento “…dai livelli di produttività e redditività raggiunti dall’impresa, al consenso della comunità…”.

Una precisazione appare obbligatoria. Come afferma lo stesso Autore, quanto espresso non vuole sostenere l’arretramento dei concetti di redditività e profitto, fondamentali per la sopravvivenza dell’impresa, in favore del perseguimento del principio di legittimazione; ci si limita a evidenziare l’emersione di giudizi in ordine al come l’impresa persegue il fine della sopravvivenza e in che modo le azioni che pone in essere si riflettono sull’ambiente esterno.

Quanto espresso può essere utilmente sintetizzato, ai fini della comprensione dell’evoluzione dal concetto di pianificazione verso il concetto di dinamica strategica, nei seguenti driver del cambiamento:

1. dalla crescita costante al cambiamento continuo; 2. dalla intenzionalità alla occasionalità decisionale; 3. dall’accentramento alla diffusione delle capacità di

regolazione; 4. dall’ attenzione sugli obiettivi all’attenzione sui processi (381).

IX.3.1 – Il ruolo dell’Organo di Governo

Il protagonista della dinamica strategica è l’Organo di Governo, inteso quale soggetto delegato all’assunzione delle più rilevanti e complesse decisioni che “…indirizzano la gestione aziendale, la animano e danno ad essa gli essenziali contenuti…” (382).

(381) M. PELLICANO, a cura di, La gestione strategica al governo dell’impresa, Giappicchelli, Torino, 2004, pag. 195 e segg. (382) G.M. GOLINELLI , Op. cit., pagg. 6 e segg.

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ELEMENTI DI STRATEGIA 343

L’opera dell’Odg si concreta in quelle azioni che rendono possibile il perseguimento delle finalità ultime dell’impresa. Le scelte assunte dal top management vengono realizzate dagli uomini, nei vari ruoli, appartenenti alla struttura organizzativa predisposta.

Il fine dell’individuazione dei percorsi strategici, obbliga l’Odg ad un’attività preventiva di ascolto del contesto operativo. L’Odg, dunque, include in sede di definizione delle strategie i soggetti coinvolti nei processi di creazione del valore, o per meglio dire coopera con essi alla definizione delle stesse.

Con riferimento all’Approccio Sistemico, tali soggetti vengono denominati sovrasistemi, ossia le entità rilevanti in grado di influenzare con le proprie azioni il sistema impresa. Da essi l’Odg coglie indicazioni e suggerimenti utili a delineare idee e progetti orientati allo sviluppo.

L’altro interlocutore principale dell’Odg è la struttura operativa, rappresentata dai subsistemi che compongono l’impresa. Il ruolo dell’Odg verso l’interno è volto allo stimolo, al coinvolgimento verso una partecipazione attiva della struttura aziendale nella realizzazione delle iniziative progettuali definite.

Quanto detto, in particolare il posizionamento dell’Organo di Governo rispetto i suoi principali interlocutori, può essere rappresentato schematicamente come in figura IX.9.

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CAPITOLO IX 344

FIGURA IX.9. Il ruolo dell’Organo di Governo

FONTE: nostra elaborazione.

L’attività dell’ Odg, dunque, si concreta da un lato in un “ascolto” e cogenerazione dei percorsi evolutivi con i propri sovrasistemi, utile per interpretare le tendenze ambientali, dall’altro persegue il trasferimento, la definizione, la realizzazione, l’aggiustamento incessante dei progetti mediante la cooperazione con la struttura operativa.

Ai fini didattici può essere utile un’ elencazione delle principali differenze (383) fra la dinamica strategica e la pianificazione.

− la pianificazione è riferibile al rapporto impresa-ambiente, mentre la dinamica riguarda l’impresa e il contesto relazionale di riferimento;

− la pianificazione deriva da informazioni oggettivamente misurabili, la dinamica si alimenta di relazioni intersistemiche;

− la pianificazione è volta a facilitare l’assunzione di decisioni da parte dell’Odg, la dinamica è tesa alla cogenerazione di idee e visioni da tradurre in progetti;

(383) M. PELLICANO, Op. cit., pagg. 197 e segg.

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ELEMENTI DI STRATEGIA 345

− La pianificazione segue un approccio top down, dal generale allo specifico. Infatti, il piano generale d’impresa preparato dall’Organo di Governo, viene declinato in vari piani specifici che giungono alle funzioni, divisioni, unità di business, etc. La dinamica è viceversa bottom-up, in quanto i progetti specifici vengono implementati e ricomposti in un quadro d’insieme, valutandone la fattibilità e compatibilità con le altre attività svolte. Per cui si può affermare che va dal particolare al generale.

In sintesi, la dinamica strategica è intesa come modus operandi, proveniente dall’interpretazione e creazione della dinamica ambientale effettuata dall’Odg e dalla traduzione di tale dinamica in azioni. Il fine di questo approccio risiede nella ricerca con il proprio contesto di riferimento della consonanza, ossia “…l’aspirazione ad un rapporto armonico con i sub e sovrasistemi rilevanti, assimilabile alla compatibilità…” (384).

Per utilizzare una definizione di un noto autore, “…l’azione di governo si muove fra la pratica del reale e la ricerca del possibile volta a delineare nuove prospettive ed inedite condizioni, nel rispetto di un delicato equilibrio fra il buon senso, teso a raccogliere risultati concretamente raggioungibili e l’aspirazione ad ampliare l’orizzonte del possibile…”. IX.3.2 – Il processo di definizione delle strategie

Per quanto riguarda la definizione delle strategie si assiste ad uno scostamento dalle rigidità tipiche di un processo razionale, assimilibalile ad una sequenza input-output, per far spazio ad una visione contraddistinta dall’individuazione di momenti logici circolari e fra loro interconnessi.

Essi sono: 1. L’ideazione: l’Odg assume informazioni dai propri sovra

sistemi col fine di individuare le azioni da intraprendere. In questa fase il grado di apertura dell’Odg verso l’esterno è massimo. Esso coglie dai sovrasistemi e parallelamente stimola gli stessi per estrapolare degli input informativi utili alla definizione delle idee e dei progetti.

(384) G.M GOLINELLI , Op. cit., pagg. 35 e segg.

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CAPITOLO IX 346

2. definizione: può essere considerata come la scientificazione delle idee e dei progetti cogenerati precedentemente. In questa fase l’Odg verifica la fattibilità economico-finanziaria del progetto, selezionando fra le “vie” individuate quelle valutate come percorribili.

3. azione o attuazione: si configura come una quotidiana attività di problem solving, è il cardine della dinamica stregica in quanto “…muovendosi nel solco della visione continuamente mette in discussione e rimodella la stessa…” (385).

La fase dell’azione è caratterizzata da vari aspetti che le appartengono e che sono funzionali alla realizzazione dei progetti:

− l’approccio per processi, corrispondente alla suddivisione in singole attività primarie e secondarie di tutte la attività d’impresa; ogni sottoprocesso coinvolto nella realizzazione del progetto lavorerà per un proprio cliente “interno” (il processo successivo). I singoli processi sono accomunati dalle stesse finalità, ossia la soddisfazione ultima del cliente esterno. L’importazione nel sistema impresa del concetto di soddisfazione del proprio “cliente”, sebbene interno, favorisce lo scambio di informazioni e gli aggiustamenti complementari dei singoli processi, nonché, mediante l’analisi dei c.d. “tempi di attraversamento” della catena, è possibile sorvegliare la “fluidità” del sistema nel suo complesso;

− l’apprendimento organizzativo, cioè quel fenomeno attraverso cui le conoscenze rilevanti vengono codificate in azioni individuali e poi organizzate. Gli studiosi che si occupano di tale argomento, affermano il legame indissolubile fra strategia e apprendimento organizzativo. Essi teorizzano il concetto che pone alla base delle decisioni il processo cognitivo, ossia la percezione, distinzione, valutazione e conoscenza dei fenomeni. Infatti, se così non fosse le decisioni non avrebbero delle basi su cui poggiare;

− Il coinvolgimento ed il commitment. Corrisponde all’impegno durevole della struttura operativa nel perseguire le finalità prefissate e di persistere lungo il percorso strategico.

4. La sorveglianza: per controllo, generalmente, si intende l’attività che concerne il riscontro fra obiettivi e risultati in guisa tale da giudicare periodicamente la convenienza delle alternative prescelte ed in corso di attuazione. E’ usuale suddividere il controllo in due diverse attività di differente significato. La prima riguarda l’osservanza delle procedure ed è assimilabile al concetto di ispezione,

(385) M. PELLICANO, Op.cit., pagg 209 e segg.

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ELEMENTI DI STRATEGIA 347

la seconda include quelle attività di misurazione e valutazione che concorrono ad individuare gli aggiustamenti da apportare alla strategia o agli obiettivi, che modificano il comportamento generale dell’impresa e che contestualmente presidiano il raggiungimento delle finalità ultime dell’impresa. Ai nostri fini è sufficiente esprimere le dimensioni su cui la sorveglianza deve porre la propria attenzione, ossia la verifica dei margini economici conseguiti e dall’altro lato la diffusione di un adeguato consenso sociale.

Il valore che l’impresa deve creare mediante l’interpretazione della dinamica strategica è composto da due dimensioni, l’una economica, l’altra relazionale. Solo attraverso tale approccio bi-dimensionale teso al raggiungimento di più obiettivi contemporaneamente le imprese possono aspirare alla sopravvivenza in contesti complessi come quelli attuali.

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CAPITOLO IX 348

GLOSSARIO 1. STRATEGIA : linea d’azione più o meno specificata, intesa a creare

o rafforzare un vantaggio nella posizione competitiva rispetto ai concorrenti e, in generale, rispetto all’intero ambiente in cui opera l’impresa.

2. APPROCCIO RAZIONALISTICO : pone l’accento sulla definizione delle strategie idonee a crera una sintonia con le condizioni di mercato.

3. APPROCCIO ORGANIZZATIVO : intende la strategia come un comportamento o un processo continuo, focalizzato sulla formazione della stessa come scaturente dai ropporti dell’OdG con il contesto e la Struttura Operativa.

4. PIANIFICAZIONE STRATEGICA : processo manageriale finalizzato al mantenimento della corrispondenza fra obiettivi, risorse e opprotunità di mercato.

5. GESTIONE STRATEGICA : visione del processo strategico come composto da due sottoprocessi. La formulazione delle strategie e l’implementazione delle stesse. Rappresenta il passaggio da un approccio meccanicistico/razionale ad un approccio maggiormente dinamico/intuitivo.

6. DINAMICA STRATEGICA : è assimilabile ad un modus operandi, riguardante da un lato l’interpretazione e la cogenerazione dei progetti da parte dell’OdG con i propri sovrasistemi e, dall’altro, la traduzione e gli aggiustamenti di tali progetti in azioni effettuati dall’OdG n collaborazione con la Struttura Operativa.

7. ORGANO DI GOVERNO : è il soggetto delegato all’assunzione delle più rilevanti e complesse decisioni che indirizzano la gestione, la animano e danno ad essa gli essenziali contenuti.