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Lo studio delle tecniche costruttive è scaturito dalle esplorazioni sistematiche nella zona del Vulture, soprattutto l’area che viene occu- pata dai castelli e dai casali abbandonati, nei quali affiorano diverse strutture: si pensi alla Valle di Vitalba. Fra le “invenzioni” medievali riscontrabili quindi in Basilicata è certamente il mulino ad acqua, già conosciuto in Illiria fin dal II secolo a.C. e in Asia Minore dal I a.C., esiste nella Basilicata romana come a Pietragalla con il suo castellum aquae, o i resti di un canale di acquedotto presso l’Abbazia di S. Pietro a Cellaria presso Calvello, che recuperava l’acqua dalle vicine sorgenti non perenni di Fonte Marinella. La mola a mano girata dagli schiavi o dagli animali dura nel tempo: nel IX secolo il mulino è già diffuso in Occidente, come anche l’aratro medievale deriva pressoché certamente dall’aratro a ruote descritto da Plinio il Vecchio, nel I secolo, che si diffonde e si perfeziona lentamente durante l’Alto Medioevo, anche se una certa diffusione è più documentata nei paesi slavi come la Moravia prima dell’invasione ungherese (all’inizio del X secolo), e anche nel com- plesso dei paesi slavi prima dell’invasione degli Avari del 568. Nel campo degli arnesi quotidiani, la pialla, per esempio, la cui invenzione si è spesso attribuita al Medioevo, era conosciuta fin dal I secolo: è probabile, quindi, che un buon numero di invenzioni medievali non sono altro che un’eredità greco-romana trasmessa dall’Oriente. Senza essere dimostrato, il fatto è verosimile per il mulino a vento, conosciuto in Cina, poi in Persia, nel VII secolo, segna lato in Spagna nel X, e apparso nella Cristianità solo alla fine del XII. 113 Capitolo sesto L'ARTE DI COSTRUIRE

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Page 1: Capitolo sesto L'ARTE DI COSTRUIRE. 6.pdf · del mulino con tanto di ruote, canale, mole e acquedotto posto in contrada Sciaurapresso Moliterno. La presenza dei mulini fece in modo

Lo studio delle tecniche costruttive è scaturito dalle esplorazionisistematiche nella zona del Vulture, soprattutto l’area che viene occu-pata dai castelli e dai casali abbandonati, nei quali affiorano diversestrutture: si pensi alla Valle di Vitalba.

Fra le “invenzioni” medievali riscontrabili quindi in Basilicata ècertamente il mulino ad acqua, già conosciuto in Illiria fin dal IIsecolo a.C. e in Asia Minore dal I a.C., esiste nella Basilicata romanacome a Pietragalla con il suo castellum aquae, o i resti di un canale diacquedotto presso l’Abbazia di S. Pietro a Cellaria presso Calvello,che recuperava l’acqua dalle vicine sorgenti non perenni di FonteMarinella.

La mola a mano girata dagli schiavi o dagli animali dura neltempo: nel IX secolo il mulino è già diffuso in Occidente, comeanche l’aratro medievale deriva pressoché certamente dall’aratro aruote descritto da Plinio il Vecchio, nel I secolo, che si diffonde e siperfeziona lentamente durante l’Alto Medioevo, anche se una certadiffusione è più documentata nei paesi slavi come la Moravia primadell’invasione ungherese (all’inizio del X secolo), e anche nel com-plesso dei paesi slavi prima dell’invasione degli Avari del 568.

Nel campo degli arnesi quotidiani, la pialla, per esempio, la cuiinvenzione si è spesso attribuita al Medioevo, era conosciuta fin dal Isecolo: è probabile, quindi, che un buon numero di invenzionimedievali non sono altro che un’eredità greco-romana trasmessadall’Oriente.

Senza essere dimostrato, il fatto è verosimile per il mulino avento, conosciuto in Cina, poi in Persia, nel VII secolo, segna latoin Spagna nel X, e apparso nella Cristianità solo alla fine del XII.

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Tuttavia, la localizzazione dei primi mulini a vento, rinvenuti fino-ra in una zona limitata intorno alla Manica (Normandia,Ponthieu, Inghilterra) e la differenza tipologica fra il mulino orien-tale, munito di alte feritoie che concentrano l’azione dei venti sugrandi ruote verticali, e il mulino occidentale con quattro grandilunghe ali, e il mulino mediterraneo con numerose tele triangolaritese da un insieme di cordami, è davvero minima per gli usi dellaBasilicata.

Non abbiamo alcun esempio di mulini antichissimi e soprattuttoa vento, ma abbiamo quelli ad acqua, come quelli quattrocenteschidi San Cataldo di Avigliano e quelli sei-settecenteschi di Atella. Inuna mappa del 1827 relativa al Comune di Lagonegro (Archivio diStato di Potenza, Intendenza di Basilicata, b. 622, f. 548) è visibileun complesso di strutture riferibili ad un mulino.

Vi sono però notizie antiche, come quella relativa al 1004, quan-do il sacerdote Savino, insieme a sua madre Gemma del castello diMontemilone donano un mulino con un orto nella contrada defugardi a Giovanni, abate del Monastero di Morbano. Nel 1053 saràaddirittura Unfredo, comes et dux Apulie et Calabrie, ad offrire allaTrinità di Venosa il mulino di Radicisio.

Che quest’ultimo luogo sia stato importante dal punto di vistaeconomico si nota da un altro documento del 25 agosto del 1059,quando Il pontefice Niccolò II, dopo aver consacrato il 17 agostodello stesso anno l’abate Ingilberto a guida della Trinità, conferma il

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Atella. Resti di unmulino quattrocente-sco a Santa Maria diVitalba. Mentre ilmulino a vento dipen-deva dalle forze eoli-che, a volte assenti, ilmulino ad acqua fusempre maggiormen-te preferito nelMedioevo

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possesso di Santa Maria juxsta civitatem nominatam Monspilosus(Irsina), la cella di San Pietro in castro Senensi (Senise), di altre zonefuori regione e di due molendina super fluvium Deolivente, unumvocatur De radicisi alterum Condeacupito.

Nel gennaio del 1146 Manfredi, signore di Forenza, dona unmulino posto presso il fiume Signone, nelle terre un tempo apparte-nute a Leone Gualardo.

Altre notizie più tarde ne attestano la continuità d’uso dei mulini:quella relativa al 6 dicembre 1546 rammenta Donna Altabella Petittidi Saponara che vende a Giovanni Parisano di Moliterno una partedel mulino con tanto di ruote, canale, mole e acquedotto posto incontrada Sciaura presso Moliterno.

La presenza dei mulini fece in modo che si sviluppasse, certamen-te, una categoria di costruttori-restauratori di cui rimane memoria.Nel 1281, periodo in cui un certo Leone Strigaticio appalta aBoemondo di San Fele alcune riparazioni ai mulini di Vitalba.

Abbiamo però qualcosa che ci riconduce all’architettura in gene-re, quella delle chiese e dei castelli.

Di esempi ve ne sono tantissimi, ma pochi sono stati veramentestudiati: per quanto riguarda notizie concrete, si rammentano quellerelative al castello di Lagopesole, che la critica delle origini ha ritenutopossibile trattarsi di una costruzione unitaria di Federico II, ma con-siderando la struttura nel suo complesso, compreso il “battifredo” o“battifolle”, sembrerebbe un intervento tardo dello stesso imperato-

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Ripacandida. Chiesadi San Donato

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Ripacandida. Chiesa di San Donato. Impalcati e sollevamenti

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re. Considerato come domus nel 1242, la fortezza doveva essere invia di ristrutturazione, poiché nel 1269 furono richiesti dall’impera-tore Carlo I dei manovali; lo stesso, nel 1270,ordina al Giustiziere e all’Erario di Basilicata dipagare a richiesta del Giudice De Grisa diMelfi le spese per i restauri dei tetti, secondola stima degli architetti. Così avvieneanche negli anni 1271, 1275 e 1277.Con quest’ultima data coincide unacerta vitalità del castello che è spes-

so abitato dall’impera-tore, che utilizzò conla sua corte vasellamefine da mensa ritrova-ta nel cortile minore.L’imperatore sog-giornò spesso anche aMelfi, dove non si saquasi nulla delcastello in età sveva.Solo dal 1269 for-tezza fu restauratain parte ad opera del carpentiere Jean de Toul. Ma si

vede che i denari non bastarono, così Carlo I nomina, nel 1271,quei luoghi tenuti alla sua manutenzione: le località designatefurono Melfi, Monticchio, S. Andrea e Venosa. I1 4 agosto 1277 la

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Il campanile dellaCattedrale di Melfi,

esempio dellapresenza normanna

in Basilicata

Satrianum.Torrione normanno

Ricostruzione di una tipica “motta”, simile aquella presente a Gaudiano di Lavello

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Curia Regia, ritenendo che dovessero essere completate la stalla, latorre e i muri, nomina Riccardo da Foggia con l’incarico di magi-ster affinché provveda di procurare manovali (manipuli) ed asini(somerii) per il trasporto del materiale necessario. Oltre alle notesuccessive che riguardano la richiesta di altri cavatori, sterratori(scappatores lapidum) e muratori (magistros muratores) nonché, travidi legno richieste dal magister carpenterius Giovanni de Tullo, emodalità di costruzione dei muri altrimenti essi risulterebbero nonfortes et boni. Pierre de Angicourt, cui sono affidati i lavori, è vio-lento e autoritario e Carlo I gli chiede di non molestare gli operai.Egli inoltre modifica l’intero progetto costruendo le torri pentago-nali (duplices) che non furono richieste dall’Imperatore ma provo-carono le proteste del costruttore Franciscus de Melfia. Tra il 1277 eil 1280 una massa imponente di forze e lavori sono concentrati aLucera e a Melfi: nel 1288 sono qui presenti ventiquattro maestrifabbricatori, centoventi manovali, sedici scalpellini, dodici tagliato-

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Grottole.Torre normanno-sveva

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ri più i conduttori di animali e restauratori degli attrezzi: tuttivenivano pagati per quindici grani al giorno (fabbricatori, scalpelli-ni e tagliatori), mentre sette grani solo per i manovali, quindici edundici grani a seconda che i conduttori di animali ne portasserodue od uno a testa.

Per il nostro castello i lavori compresero la realizzazione delprofondo fossato, che servì anche da cava di estrazione; costruzionedi tutta l’ala nord est con la cinta e tre cortili (della Cisterna, delMortorio e degli Armigeri) e della sala dell’Imperatore, e fu concessoche il materiale ligneo, soprattutto castagni non fruttiferi, provenissedai territori di Melfi e Rapolla.

Questi pochissimi dati sulle tecniche costruttive inducono adipotizzare, insieme ad altri monumenti, che sul finire dell’XI sec.erano già di uso corrente il martello a penna, la martellina a doppiapunta e la gradina. La martellina a doppia punta si trova documen-tata nelle abitazioni della fine dell’XI sec. rinvenute nel castello di

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Lagopesole.Bifora del Castello.

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Ricostruzione di unimpalcato dipendentead un afila di mon-tanti.(disegno arch. LiaGaetani).

Ricostruzione di unimpalcato ottenutocon fori per travicellipassanti.(disegno arch. LiaGaetani).

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Monticchio, in numerosi monumenti di età romanica ed in alcunestrutture della Valle di Vitalba. Per quanto riguarda le cave, sembrainteressante far notare che sia in Puglia che in Basilicata, sino a tuttoil XIV sec., non furono mai scavati banchi rocciosi ipogei, bensì sub-divo, sfruttando nella maggior parte dei casi fronti di attacco a variealtezze. Tale situazione sembra molto diversa da quella rintracciata,per esempio, in Normandia, dove nello stesso periodo troviamoanche cave ipogee. Con lo studio combinato e sistematico delle tec-niche costruttive delle strutture fortificate non potevano mancare

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Valle di Vitalba

Le mura angioine delcastello di Uggiano

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quei dati ai quali si può pervenire con l’analisi degli elevati. Un con-tributo in questo senso, fornito ha spinto la ricerca proprio sullestrutture pertinenti i secoli XI-XIII, spingendosi spesso anche oltrequesta cronologia.

Lungo i muri furono a volte lasciati dei fori che riconducono allarealizzazione di impalcati. Tre sono le tipologie-tipo classificabili:impalcato dipendente ad una fila di montanti o pertiche; impalcatoindipendente a due file di montanti; impalcato dipendente a sbalzo.

Raramente, sulle fortezze sveve, si trova l’impalcato dipendente aduna fila di montanti, ma è possibile rintracciarlo dai fori per travicellidel castello di Monticchio, nella torre medievale di Craco. A propositodei fori lungo i muri, essi sono classificabili in quadrangolari e rettan-golari e verticali. Diversi per tipologia, invece, sono i fori per travicelli

del castello di Laurenzana, da attri-buire, a quanto sembra, ad inter-venti in opere murarie ascrivibilialla metà del XVI secolo, quando lafortezza diventa palazzo. Mentrequi i fori sono per lo più quadran-golari, nelle mura di Rapolla si con-servano rettangolari-verticali e siavvicinano, tipologicamente, adalcuni monumenti romanici qualila Basilica di S. Nicola e la Catte-drale di Bari.Le mura di Rapolla porterebberoad un’altra interessante considera-zione. La presenza dei fori rettan-golari consente l’inserimento diuna trave di legno più piccola diun palo intero proveniente da untronco d’albero. Al di là della con-siderazione ingegneristica, sappia-mo che questa ultima scelta di unprodotto più elaborato potrebbeessere la conseguenza che verso lafine del XIII sec. le risorse foresta-li rischiavano di essere sempreminori rispetto ai periodi prece-denti, cioè il manto boschivo

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Elementi architettonici di ascendenzacistercense nel castello di Uggiano

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Uggiano.Iscrizione di Masseriagià Lisanti provenien-

te dal castello

Uggiano.Muro d'ambito

restaurato più voltedurante le evoluzioni

della frana del XIV-XV sec.

La collina diMonteserico

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veniva via via scomparendo. Ora, non sappiamo se questa ipotesi èvalida, ma è certo che in alcune strutture murarie la presenza deifori per travicelli rettangolari sono il prodotto di una “scelta”costruttiva non dovuta al caso, ma per un’esigenza a noi ancorasconosciuta.

La tipologia del castello di Laurenzana ripropone la problematicaconcernente i castelli e la loro costruzione nel corso dei secoli. Torricilindriche furono costruite a Rapolla, Brienza, S. Mauro Forte eTricarico.

Una ulteriore pista per ricercare la storia e l’archeologia costrutti-va è certamente la documentazione iconografica. L’importante affre-sco della Chiesa di S. Donato di Ripacandida riporta anche alla chiesarupestre di S. Lucia presso Melfi i cui temi, più antichi di quelli diRipacandida, riproducono i motivi più colti delle chiese rupestri diMatera del XIII e XIV sec.

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Monteserico.Il castello, precedutoda un fossato, si rag-giungeva solo dopoaver attraversatoparte dell'abitato

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Il ciclo, che raffigura alcune scene di vita della Santa, riporta lapresenza di una fortificazione merlata, probabilmente le mura di unacittà molto simile ai resti, forse unici nell’interezza di tipo documen-tario del castello di Uggiano. Anche la Cattedrale di Anglona, con i

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Castello diMonteserico. Interno

Castello diMonteserico.

Scala a chiocciola dietà sveva

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Castello diMonteserico.Superfetazioni delXVI sec.

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suoi celebri affreschi, che documenta la scena della costruzione dellaTorre di Babele.

Con i Normanni l’evoluzione delle armi e dell’arte militare,essenziali per un’aristocrazia di guerrieri, porta con sé progressi dellametallurgia e della balistica.

La Chiesa fa progredire la misura del tempo, e la costruzionedelle chiese, i primi grandi edifici del Medioevo, dà un grosso stimo-lo al progresso tecnico, non solo alle tecniche di costruzione, maall’attrezzatura, ai trasporti, alle arti minori, come la fabbricazione divetrate.

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Castelmezzano.Ingresso del castello

Pietrapertosa.Durante la costruzio-

ne del castello, i bloc-chi vennero accurata-

mente disposti “ascarpa”

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Nessuna meraviglia dunque che il ferro, come si è visto, sia ogget-to di attenzioni che. Niente di strano se il fabbro è fin dal Medioevoun personaggio straordinario, paragonabile allo stregone.Indubbiamente egli deve questa aureola soprattutto alla sua attivitàdi forgiatore di armi, di fabbricante di spade, e a una tradizione chene fa, insieme con l’orefice, un essere sacro trasmesso dalla tradizionebarbarica e scandinava e germanica all’Occidente medievale.

Mentre, però, di queste fortificazioni lignee non rimane alcunatraccia (basti pensare che in alcune torri duecentesche anche le tra-vature dei solai sono state sostituite da volte in muratura).

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Pietrapertosa.Castello. Tracce dipalizzata in legno

Tricarico.Ingresso al centrostorico

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Probabilmente quando i Normanni giunsero in Basilicata trova-rono un territorio ricco di banchi calcarei, come del resto possiamoconstatare ancora oggi, particolarmente adatto alla costruzione delleproprie opere di difesa e soprattutto in una regione dove già si cono-scevano consolidate tecniche costruttive.

Sappiamo che, per comodità, le cave venivano aperte molto spes-so vicino ai futuri castelli e, comunque, nei pressi o all’interno deicentri abitati; talvolta, queste diventavano i piani interrati e i profon-di fossati, assicurando efficaci rampari alle fortezze stesse; nell’area diMatera, per esempio, le antiche cave di pietra vennero utilizzate suc-

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Il castello diLaurenzana

Brienza. Castello eborgo medioevale

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cessivamente come abitazioni rupestri prendendo il nome di vicinan-ze (si veda anche Massafra).

Prendendo in considerazione i castelli di Lagopesole, Melfi oLaurenzana, il materiale utilizzato per costruire le torri e la cortinamuraria è lo stesso della roccia calcarea sul quale poggiano le suefondazioni. Il fossato, quindi, è stato scavato nella roccia, fornendosia la materia prima della costruzione stessa, sia l’inerte presentenell’abbondante malta utilizzata. Si può, inoltre, aggiungere comein questo fossato Probabilmente, gli antichi costruttori dei castellisi accorsero dell’evidenza geologica, ossia della differente consisten-za granulometrica del banco roccioso ed utilizzarono il materialepiù compatto soprattutto nelle torri, dove si presenta perfettamen-te squadrato, a differenza delle cortine.

Questa precisazione va fatta per dimostrare il perché non sia statonecessario scavare delle gallerie sotterranee per cercare materiale duroe compatto, dal momento che questo, in alcuni casi, si trovava addi-rittura in superficie, ribaltando la tipologia più frequente secondo laquale i banchi più teneri dovevano situarsi negli strati più esterni emeno profondi.

Riguardo ai criteri di realizzazione, sappiamo che i costruttoridell’XI-XIII sec., ripetendo tecniche usate dai Romani, si potevanoavvalere, per ogni tipo di muratura (“a sacco” od anche perfettamen-te squadrata od isodoma), anche di materiale di spoglio o di scarsaconsistenza (schegge, pietre non squadrate, ecc.), mentre per lemurature esterne di rivestimento si adoperava un’accortezza maggio-re sia nella scelta del tipo di calcare, sia nella squadratura o nel tratta-mento superficiale dei conci.

In questo senso si spiega la tipologia costruttiva di molti edifici efortezze, dove si può notare come i conci disposti sulla parte superio-re della cortina muraria siano di colore e composizione diversi essen-do stati estratti da strati meno compatti rispetto a quelli utilizzatinella parte inferiore, che, costruita per prima, doveva essere più adat-ta alla difesa e quindi più tenace. Potrebbe trattarsi di un accorgi-mento puntualmente pianificato o di banchi diversi di una medesi-ma cava.

Anche nel caso di Melfi, come dimostra la roccia affiorante in piùpunti sotto la cortina, la cava dovette essere lo stesso fossato, scavatointorno al futuro castello ed in tempi moderni colmato da terra.

Un’attenta osservazione dei materiali adoperati per le cortinemurarie e le cave sfruttate a cielo aperto (ossia gli stessi fossati) è

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stata possibile una indagine più puntuale, ma dove, invece, l’ediliziaha preso il sopravvento (interessando maggiormente i centri storici),i castelli sono divenuti dimore baronali (anche se molti lo erano giàin origine), subendo nel corso dei secoli trasformazioni tali da nonconsentire, nella gran parte dei casi, di leggere la struttura ed i nucleioriginari.

In conclusione, è possibile ipotizzare una sequenza di lavoridurante i quali le maestranze utilizzarono certamente la cava delfossato, consentendo di ottenere, a seconda degli “spessori”disponibili durante l’estrazione, conci compatti e squadrati osubarrotondati ed angolari. Nel primo caso i conci vennero uti-lizzati per i cantonali e per i lati a vista delle torri, nel secondo

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Venosa. Castello.Strutture tardoromane

ed altomedievalidemolite nella fortezza

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caso i blocchi non squadrati vennero utilizzati per le cortine diraccordo, secondo una sequenza piuttosto complessa: su letti diposa perfettamente orizzontali venivano posti almeno quattrocorsi di pietra su abbondante malta; si formava così un muro ascarpa di raccordo alle torri, che solo in un momento successivovenivano completate.

In epoca federiciana, poi, sussiste un altro problema interpretati-vo, poiché Federico II si interessò, ovviamente, dei centri strategica-mente rilevanti ed appartenenti al Demanio imperiale. Ne consegueche i molti centri salentini non citati nello Statutum de reparationecastrorum -che ovviamente sopravvissero- forse realizzarono delle for-tificazioni al di là dei “canoni” federiciani, senza contare la probabiledistruzione di alcune fortezze costruite prima delle CostituzioniMelfitane, quando Federico II pose gli edifici fortificati a guardiadelle città e a difesa dei luoghi di importanza strategica nel Regno.

Le fortezze, governate dal castellano e presidiate dai servienti,diventavano di esclusivo dominio del sovrano, per cui quelli costruitidopo la morte di re Guglielmo dovevano essere abbattuti; infattil’art. 191, del Libro III, al titolo XXXIII, così recita: «I castelli, lefortificazioni e le torri costruite dopo la morte della divina memoriadi Re Guglielmo, Nostro Cugino, a proposito dei quali la nostralicenza di abbattimento non fu rispettata come è stato stabilito da

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Guardia Perticara.Torrione angioinoinglobato in unpalazzo

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Noi nella Curia di Capua, ora, con rinnovata costituzione ordiniamodi nuovo che debbano essere demoliti, gravando sui trasgressori dellaNostra costituzione la pena della confisca dello stesso castello o dellanuova costruzione, se non avranno abbattuto gli edifici entro laprossima Natività del Signore. Al presente articolo aggiungiamo cheanche se a nessuno sia consentito di ricostruire fortificazioni distrut-te senza ordine della Nostra Altezza»; e l’art. 192: «Vietiamo chenelle terre del Nostro demanio siano costruiti d’ora in poi edifici

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Monticchio.Arco acuto del XIII

sec. nel castello

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attraverso i quali possano essere impedite la difesa o la fortificazionedei luoghi o il libero transito. Proibiamo più espressamente che d’orainnanzi siano erette torri dai privati in quei luoghi. Infatti crediamoche per la tutela di tutti i sudditi del Nostro Regno siano pienamen-te sufficienti le Nostre fortezze e, ciò che è più sicuro, il baluardodella Nostra protezione». Dopo la morte di Guglielmo, quindi, ilsovrano non vuole che esistano nel Regno fortificazioni e castelli aldi fuori del suo dominio, il che indicava come prassi la costruzionedi castelli comitali.

Ammettendo che il momento di passaggio dalla dinastia nor-manna a quella sveva non sia stato “traumatico”, ma piuttosto di unagraduale sovrapposizione si può supporre un momento “normanno-svevo”. È in questa “continuità” insediativa e costruttiva che bisognarintracciarne l’impronta, là dove si è conservata inalterata dall’uomoe dal tempo.

Questo tipo di considerazioni non ha la pretesa di dare certezzein merito alla data in cui tali castelli o nuclei originari furono realiz-zati, ma solo di sfatare valutazioni troppo frettolose, e spesso prive difondamenti storici dettati dalla fantasia di alcuni autori locali, cheper anni hanno continuato a definire “normanna” o “sveva” un’operasenza neanche azzardare un solo confronto diretto con una strutturasicuramente databile al XII e XIII sec.; in questo modo la poca onulla conoscenza riguardo all’architettura militare realizzata daiNormanni e dagli Svevi, per cui si spera che i monumenti possanoessere oggetto di un’accurata lettura stratigrafica e di un attentorestauro.

In riferimento alle tecniche costruttive dei castelli, neanche ilprincipio ispiratore degli scavi archeologici trova fondamento. Ciòsignifica che non è ancora possibile uno studio sistematico delle tec-niche costruttive combinate con fossili-guida come ceramiche emonete.

Il risultato ottenuto è stato quello di guardare il fenomenocostruttivo nel suo complesso: la Basilicata, frontiera della Puglia,quest’ultima protesa come un molo verso l’Oriente e ambita per lasua posizione geografica, è stata un territorio deputato all’incontro eallo scontro delle più diversificate culture ed etnie, che ne hanno ine-vitabilmente mutato di volta in volta la propria fisionomia. Le variedominazioni hanno caratterizzato l’assetto territoriale, sovrapponen-do spesso la propria impronta a quella preesistente o talvolta scon-volgendola.

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L’arte di costruire

L’imponente castellodi Brindisi di

Montagna

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Soprattutto nelle fortificazioni, la struttura, il più delle volte, èstata oggetto di rifacimenti soprattutto ad opera degli Angioini, iquali, con prevalenti localizzazioni lungo le coste e con opere esegui-te direttamente dalla Corona o autonomamente dai singoli proprie-tari, ne hanno compromesso inevitabilmente l’aspetto originario.Anche gli interventi aragonesi non sono stati meno influenti, con laconseguenza che molti dei nuclei attribuibili al XII o XIII sec. risul-tano inglobati attualmente in strutture del tutto estranee all’impian-to antico. Né sono passate inosservate le dominazioni successive, checon restauri o rifacimenti hanno contribuito a snaturare interi com-plessi.

Ora il rischio a cui vanno incontro questi siti è che lo stato diabbandono in cui versano o, al contrario, il continuo riuso, legato inmolti casi ad esigenze abitative, facciano perdere del tutto le uniche epreziosissime tracce di quel “momento” che, all’inizio della nostraricerca, abbiamo definito “normanno-svevo”.

Pochi periodi e aree culturali nell’ambito della storia dell’arma-mento medievale sono documentati da una così ampia gamma ditestimonianze iconografiche come nel caso dell’età dell’espansionenormanna in Europa ed in Italia meridionale. Nell’arazzo di Bayeux,ma anche numerose illustrazioni di manoscritti di area anglofrance-se, soprattutto della seconda metà del XII secolo così come purequalche pittura murale e qualche scultura in pietra o legno, fornisco-no interessanti indicazioni sulle fogge e tipologie del corredo militaredei guerrieri normanni.

Ben settantanove dei duecentouno uomini in arme raffiguratinell’Arazzo di Bayeux indossano una protezione in metallo del capo,del tronco e delle gambe: si tratta, del cosiddetto usbergo, realizzatocon anelli di ferro intrecciato. È da notare che sia i guerrieri norman-ni sia quelli sassoni indossano un tipo di usbergo praticamente iden-tico. La maglia di ferro, che in origine era costituita da brattee osquame in ferro o acciaio cucite su una veste in pelle o tessuto pesan-te, fu in uso nell’Europa settentrionale almeno sin dal III secoloa.C., come testimoniano alcuni ritrovamenti in Danimarca. Inseguito in tutto il continente si diffuse la struttura di anelli in ferro oacciaio cuciti sulla veste o intrecciati a formare un vero e proprio tes-suto metallico. L’arazzo di Bayeux sembra mostrare diversi tipi dimaglia: ad anelli, a brattee e a losanghe.

Anche la tipologia stessa degli usberghi, quale appare nel ricamo,presenta diversi aspetti di controversa interpretazione; in particolare

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La vita quotidiana in Basilicata nel Medioevo

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L’arte di costruire

Ripacandida. Chiesadi San Donato.La costruzione

dell'Arca di Noé, conla rappresentazione

del saltus.Gli operai al centrousano l'ascia piana,

la sega e l'accetta

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alcuni guerrieri normanni indossano protezioni che nella parte infe-riore sembrerebbero essere sagomate come veri e propri calzoni rico-perti dagli anelli di ferro; ma è evidente che una foggia di questotipo avrebbe reso particolarmente scomodo il cavalcare.

Il cranio del combattente era protetto da un caratteristico casco(si preferisce usare questo termine a quello di elmetto).

Elemento caratteristico e fondamentale della combinazionedifensiva del guerriero normanno è il famoso scudo di forma allun-gata, detto appunto alla normanna, con il margine superiore arro-tondato e in basso terminante a punta. Esso proteggeva il corpo delguerriero, soprattutto dei cavalieri, dalla spalla fin sotto il ginocchioed era, come la maggior parte degli scudi medievali, formato da,materiali deperibili come cuoio e legno.

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La vita quotidiana in Basilicata nel Medioevo

Ricostruzione delcastello diPietrapertosa