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Geografie disuguali A cura di Monica De Filpo, Gino De Vecchis, Sandra Leonardi Due fenomeni come le disuguaglianze e le diversità, da sempre presenti nella storia dell’umanità, hanno raggiunto livelli deflagranti e conflittuali, sia all’in- terno dei singoli Stati sia su scala planetaria, legando il trauma economico e politico a quello culturale e sociale. Gli squilibri mondiali – anche in termini di accessibilità, disponibilità e sfruttamento delle risorse – si sono progressi- vamente approfonditi, traducendosi troppo spesso in emarginazione ed esclu- sione sociospaziale, con processi di deterioramento della qualità della vita. Conseguenza concreta delle gravi disuguaglianze è il fenomeno migratorio che, per intensità e complessità, ha raggiunto aspetti preoccupanti e di diffi- cile soluzione. Gli strumenti e i valori geografici, declinati in chiave interdi- sciplinare, consentono di contestualizzare meglio tale fenomeno, indirizzan- dolo sul versante di una consapevole inclusione. Questo volume trae origine dai contenuti del 59° Convegno nazionale dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia, svoltosi alla Sapienza Università di Roma (29 settembre-3 ottobre 2016). Monica De Filpo, borsista di Geografia (Sapienza Università di Roma), è com- ponente del Comitato di redazione della rivista “Semestrale di Studi e Ricerche di Geografia” e collabora con l’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia. Gino De Vecchis è ordinario alla Sapienza Università di Roma e Presidente dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia. Dirige le riviste “Journal of Research and Didactics in Geography” e il “Semestrale di Studi e Ricerche di Geografia”. Sandra Leonardi, assegnista di ricerca (Sapienza Università di Roma), è dot- tore di ricerca in Geografia storica. Si interessa in prevalenza di cartografia storica, geografia storica e geografia visuale. 9 ISBN 978-88-430-8908-6 788843 089086 22,00 De Filpo, De Vecchis, Leonardi Geografie disuguali Carocci editore Carocci editore collana “ambiente società territorio” In copertina: Listographicdesign. Grafico: Ivan Listo.

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Geogra�e disuguali

A cura diMonica De Filpo, Gino De Vecchis, Sandra Leonardi

Due fenomeni come le disuguaglianze e le diversità, da sempre presenti nella storia dell’umanità, hanno raggiunto livelli de�agranti e con�ittuali, sia all’in-terno dei singoli Stati sia su scala planetaria, legando il trauma economico e politico a quello culturale e sociale. Gli squilibri mondiali – anche in termini di accessibilità, disponibilità e sfruttamento delle risorse – si sono progressi-vamente approfonditi, traducendosi troppo spesso in emarginazione ed esclu-sione sociospaziale, con processi di deterioramento della qualità della vita. Conseguenza concreta delle gravi disuguaglianze è il fenomeno migratorio che, per intensità e complessità, ha raggiunto aspetti preoccupanti e di di�-cile soluzione. Gli strumenti e i valori geogra�ci, declinati in chiave interdi-sciplinare, consentono di contestualizzare meglio tale fenomeno, indirizzan-dolo sul versante di una consapevole inclusione.Questo volume trae origine dai contenuti del 59° Convegno nazionale dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geogra�a, svoltosi alla Sapienza Università di Roma (29 settembre-3 ottobre 2016).

Monica De Filpo, borsista di Geogra�a (Sapienza Università di Roma), è com-ponente del Comitato di redazione della rivista “Semestrale di Studi e Ricerche di Geogra�a” e collabora con l’Associazione Italiana Insegnanti di Geogra�a.

Gino De Vecchis è ordinario alla Sapienza Università di Roma e Presidente dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geogra�a. Dirige le riviste “Journal of Research and Didactics in Geography” e il “Semestrale di Studi e Ricerche di Geogra�a”.

Sandra Leonardi, assegnista di ricerca (Sapienza Università di Roma), è dot-tore di ricerca in Geogra�a storica. Si interessa in prevalenza di cartogra�a storica, geogra�a storica e geogra�a visuale.

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ISBN 978-88-430-8908-6

7 8 8 8 4 3 0 8 9 0 8 6 € 22,00

De Filpo, D

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Carocci editore

Carocci editore collana “ambiente società territorio”

In copertina: Listographicdesign. Gra�co: Ivan Listo.

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* Sebbene il capitolo sia il frutto di una riflessione comune degli autori, i pa-ragrafi 7.2 e 7.3 sono da attribuire a Sandra Leonardi, il paragrafo 7.1 a Riccardo Morri.

** Assegnista di ricerca alla Sapienza Università di Roma.*** Professore associato di Geografia storica alla Sapienza Università di Roma.

The right to the city is far more than the individual liberty to access urban resource: it is a right to change ourselves by changing the city.

Harvey (2008, p. 23)

Periferia, margine, frammento, interstizio, vuoto, mancanza… luogo dell’abbandono, dell’espulso, dell’inespresso, dell’incompiuto e del solo in parte realizzato e quindi anche del possibile, del progettabile, del futuribile e dello sperimentabile.

7.1 Introduzione

Dal 2016 al 2017, dalle “Geografie disuguali” del 59° Convegno na-zionale dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia (Roma, 29 settembre-3 ottobre 2016; De Filpo, 2016) al xxxii Congresso Geo-grafico Italiano “L’apporto della geografia tra rivoluzioni e riforme” (Roma, 7-10 giugno 2017), nella riflessione ed elaborazione di metodi e strumenti interni alla geografia, si impongono ancora l’attualità e l’urgenza di una nuova, diversa e aggiornata definizione di “urbano”, sulla quale ci si interroga proprio a partire dalla discontinuità che il fe-nomeno di diffusione urbana ha ingenerato non solo nella forma (mo-dello di) città, ma anche nelle possibilità di lettura, interpretazione e comprensione dello stesso (Maggioli, 2010).

Se al superamento della città consolidata e allo sfrangiarsi dei suoi confini, se alla contaminazione urbana della campagna e alla fram-

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Un puzzle composito di spazi marginali*

di Sandra Leonardi** e Riccardo Morri***

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mentazione degli spazi si può continuare a rispondere in termini fun-zionali, con una tensione centrifuga normalizzante, che consenta di ricondurre (in termini logici e di rappresentazione dei fenomeni) il caos a un tranquillizzante ordine cartesiano (causa-effetto) e geome-trico (dal centro verso la periferia), la prospettiva tende a ribaltarsi se si assume come soggetto il territorio, le istanze e i bisogni sociali (in)espressi delle articolate ed eterogenee comunità insediate, il tut-to inserito in un orizzonte di carattere progettuale e di intervento (onu, 2017).

Allora si deve ripartire, con un’impostazione transcalare, un ap-proccio multilivello e un metodo interdisciplinare, dalla conoscenza geografica della complessità dei luoghi, dalla irriducibilità dei proces-si di territorializzazione, dall’antinomia dicotomica, territorialmente declinata, della relazione potere-pubblico (Turco, 2013).

La crescita apparentemente sregolata di Roma, perché privata di un’istanza progettuale pubblica di valore sociale ma comunque coerente a un disegno di appropriazione degli spazi, la colonizza-zione per mezzo di avamposti di forma urbana (borghi e villaggi, città giardino, borgate, shopping mall… exclave eccentriche rispetto alla città consolidata ma funzionali all’espansione, per ricongiungi-mento e saldatura, della stessa) di una campagna disabitata e impro-duttiva ma a volte inaspettatamente (e fortunatamente) resiliente (Marta, Morri, 2015), rendono questa città un unicum, un labora-torio, a patto di rifuggire da velleitarie pulsioni universalistiche e assolutistiche di elaborazione di modelli generali o di definizioni ubiquitarie.

Ciò che si continua a sperimentare e a proporre è la necessità della conoscenza del mosaico territoriale che a grande scala la città contem-poranea presenta, da un lato ribadendo la centralità della conoscen-za per la conoscenza, dall’altro nella convinzione che tale conoscenza debba spingere alla produzione di policies e alla promozione di inter-venti che abbiano un orizzonte di area vasta, perché l’equilibrio sociale dei tanti mosaici che compongono il puzzle urbano non dipende tanto dalla giustapposizione di spazi dai confini coerenti (quindi fortemente regolati, strettamente classificati e drasticamente separati), ma piutto-sto da un’idea complessiva che punti a ridurre (e non compensare) le disuguaglianze, a tutelare e valorizzare le diversità, a riconoscere e di-fendere le specificità, ad assecondare le vocazioni, nella consapevolezza dell’impossibile superamento dell’osmosi che la lettura, l’analisi e la

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1. Dietro il ricorso a una formulazione tanto acquisita quanto scontata come quella di Comune di Roma c’è la scelta geografica di rimanere ancorati ai dati di realtà e, al tempo stesso, di sottolineare la vacua schizofrenia politica nel fare i conti con la realtà stessa. Il 7 marzo del 2013, infatti, «l’Assemblea Capitolina ha approva-to lo Statuto di Roma Capitale, il nuovo ente a ordinamento speciale subentrato al Comune di Roma» (www.comune.roma.it). Un ente, quindi, altro dal Comune di Roma, il cui ordinamento è disciplinato dallo Stato italiano (legge 5 maggio 2009, n. 42), sebbene di questa alterità non compaia traccia nel “rinnovato” Titolo v del-la Costituzione italiana, dal momento che questo ente territoriale non compare tra quelli in cui si articola e organizza l’amministrazione del territorio italiano: «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dal-le Regioni e dallo Stato» (art. 114). Roma Capitale è quindi un Comune a Statuto speciale. Nel suddetto Statuto compare poi un generico richiamo a Roma (la “città”, il Comune, l’ente subentrato e/o la Città metropolitana?) proprio nel momento in

rappresentazione della città contemporanea producono tra sineddo-che e metonimia.

L’ampio territorio di Roma è un complesso caleidoscopio di molti luoghi diversi; un contesto di sprawl urbano dove le funzioni rurali, industriali e di servizio sono contigue e possono sovrapporsi in uno dei tanti possibili ritagli territoriali (Leonardi, 2013; Leonardi, Maggioli, 2015). Come mostrano gli studi già esistenti, diverse sono le variabili che devono essere considerate solo per distinguere e riconoscere i ter-ritori (Morelli, Sonnino, Travaglini, 2002), le città (Sanfilippo, 1993; Comune di Roma, 2008), i sistemi economici (Caroli, Prezioso, 2016) e i paesaggi (Blasi, Copiz, Zavattero, 2008; Provincia di Roma, 2010), che convivono nel cosmo di Roma, e poter quindi raccontare, capi-re e/o gestire questa complessità (Piccioni, 1993; 2012; Portelli et al., 2007). Le letture sinottiche proposte sono state spesso concepite attra-verso un approccio sistemico, ma principalmente a partire da un punto di vista disciplinare specifico (Seronde Babonaux, 1983; Sobrero, 1992; Vidotto, 2001; Insolera, 2011). Durante gli anni Novanta del secolo scorso (dopo l’approvazione della legge 8 giugno 1990, n. 142), diversi studi geografici si sono concentrati sulle aree metropolitane in genera-le (Bartaletti, 2009) e quella di Roma in particolare (Cristaldi, 1994; Paratore et al., 1995; Paratore, Cristaldi, 2000), ma riguardavano prin-cipalmente l’individuazione dei confini e la definizione dei parametri “metropolitani”, tesi, secondo un approccio qualitativo ma comunque di natura gerarchica, sia all’inclusione/esclusione sia all’aggregazione/disaggregazione di Comuni limitrofi al Comune di Roma1.

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cui si deve fare riferimento a ciò che autenticamente legittima il potere e l’esistenza stessa di un’istituzione pubblica, in questo caso (il Comune di) Roma Capitale, vale a dire la partecipazione popolare. L’art. 6 (Titolari dei diritti di partecipazione) utilizza infatti come elemento di discrimine l’essere residenti (o non) a Roma: la questione toponomastica può forse apparire esiziale, ma se l’ente subentrato ha assunto la de-nominazione di Roma Capitale, sostituendosi al Comune di Roma, la città come si chiama ora e quale rapporto c’è tra l’entità geografica Roma e l’ente che oltre ad amministrarlo è chiamato a “rappresentarlo”?

2. Alla luce anche della “sfida” che oggi rappresenta la legge 7 aprile 2014, n. 56, Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni.

Appare in realtà necessario muovere da un approccio e un meto-do interdisciplinari per indagare ed elaborare un modello di sviluppo che, partendo dalla sottolineatura a grande scala delle specificità terri-toriali (Morri et al., 2013; Elisei, D’Orazio, Prezioso, 2014), consenta di elaborare uno scenario polisemico a livello di città-territorio, dove è necessario tornare a immaginare e proporre soluzioni, ad esempio, per la riduzione della frammentazione ecologica e/o per l’accoglienza e la convivenza di una pluralità di residenti stranieri, permanenti e tempo-ranei, che hanno bisogno sia di vivere sia di conoscere la città, con l’o-biettivo più generale di creare una connessione alla maglia sempre più “sfilacciata” di ambienti e di territori interstiziali (Cellamare, 2016).

Si considera particolarmente importante poter produrre una rap-presentazione significativa della complessità territoriale di Roma che risulti utile all’elaborazione di politiche pubbliche a scala metropolita-na2. La gestione di tale complessità è infatti generalmente concentrata su singoli ambiti e ha prodotto interventi settoriali, con una mancan-za quasi completa, e colpevole, negli ultimi anni di progetti comuni e condivisi. La crisi economica è stata la ragione accettabile (l’alibi) per spiegare e giustificare una vera difficoltà a capire Roma e immaginare diverse soluzioni alle tante problematiche della città (Erbani, 2013; De Lucia, Erbani, 2016).

La conoscenza geografica non mediata dei luoghi è assunta quindi come la base per poter rappresentare la più volte richiamata complessi-tà come un mosaico sinottico di peculiari contesti territoriali (Pasqui-nelli D’Allegra, 2006; 2015).

In quest’ottica e da questa convinzione è maturata, nell’ambito del 59° Convegno nazionale dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geo-grafia (aiig), la proposta, da parte degli autori del presente contributo,

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3. La chiesa è anche chiamata Dives in Misericordia, in riferimento a quanto ri-portato nella lettera di san Paolo agli Efesini (2, 4): «Dio che è ricco in misericor-dia», tema principale del Giubileo 2000.

dell’escursione di una giornata all’interno del quadrante sud-est della periferia di Roma, con visita al tempio buddhista cinese-italiano Hua Yi Si (il più grande d’Europa, inaugurato nel 2013), alla chiesa Dio Padre Misericordioso3 a Tor Tre Teste (edificata su progetto dell’archi-tetto Richard Meier per il Giubileo del 2000) e del Museo dell’altro e dell’altrove di Metropoliz Città meticcia (maam), spazio autogestito nell’ex salumificio Fiorucci (De Filpo, 2017).

In linea con quelli che saranno poi i principi fissati nella New Urban Agenda (onu, 2017) approvata dalla United Nations Conference on Housing and Sustainable Urban Development – Habitat iii (Quito, 17-20 ottobre 2016), ci si è quindi concentrati su un’area dal chiaro valore paradigmatico, per quanto concerne i forti contrasti in termini di uso del suolo, di appropriazione privatistica e “sociale”, di insediamenti in-formali e di autopromozione, cui necessariamente fin dalla fase di analisi e di lettura del territorio occorre porsi in una prospettiva di «interlinked principles […] to working towards an urban paradigm» (ivi, pp. 14-5).

7.2 Inquadramento dell’area e caratteri del territorio

L’area oggetto dell’escursione si è andata caratterizzando nel corso del xx secolo per la convivenza di una contrastante diversità di usi e una progressiva frammentazione dal punto di vista insediativo e sociale (Morri, 2004). Alternando il paesaggio agrario a quello industriale e re-sidenziale, il tessuto rururbano attuale è il risultato di un intreccio fatto di casali, tenute, campi coltivati intervallati da impianti industriali, case sparse, estese superfici commerciali e condomini ad alta densità abita-tiva, che rendono la periferia di Roma Capitale una tipicità esemplare.

Il quadrante est di Roma compreso tra le consolari via Prenestina e via Casilina e dal Grande Raccordo Anulare (gra) presenta elementi geo grafici naturali (ridotta pendenza e buona presenza di idrografia su-perficiale) che hanno dapprima favorito l’insediamento e la permanenza di aziende agricole e, successivamente, l’infrastrutturazione del territo-

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4. Carta tematica con i perimetri delle tenute e dei territori comunali limitrofi alla scala di 1:75.000 delineata sulle carte dell’Istituto Geografico Militare dal cav. agr. Pompeo Spinetti, ispettore del ministero dell’Agricoltura, Industria e Commer-cio, nel 1913. Le tenute sono numerate in ordine alfabetico.

rio e la localizzazione di fabbriche e attività di vario tipo (manifatturie-ro, commercio all’ingrosso e al dettaglio), in un discontinuo susseguirsi temporale. Alla fine degli anni Ottanta vi risultavano localizzate 160 in-dustrie (Doti, 2000) che si sono estese in modo tentacolare, seguendo la linea delle complanari e innestandosi nell’Agro romano.

La legge 6 febbraio 1941, n. 346, Norme per la creazione e per l’eser-cizio della nuova zona industriale di Roma, creò ufficialmente e teori-camente un piccolo asse industriale attrezzato in un’area compresa da Tor Sapienza, la Mistica e Tor Tre Teste, che, all’alba del Novecento insieme con i terreni dalla via Tiburtina fino a Grotte Celoni, era sud-divisa in circa 40 tenute secondo quanto riportato nella Nuova carta dell’Agro Romano4 di Spinetti (fig. 7.1), ove si possono vedere le singo-le proprietà, quasi tutte appartenenti alla vecchia aristocrazia latifon-dista (Pietrangeli, 2014).

La realizzazione di un sistema industriale nell’Agro entrò in forte contrasto con la retorica del regime secondo la quale «Roma ha biso-gno di essere circondata da un territorio di altissima produttività agra-ria che la svincoli dalle importazioni lontane e quindi costosissime. Il livello di costo della vita di Roma potrà solo così tendere ad un ribas-so» (Borghese, 1941, p. 134). E fu così che, in questa zona, il monopo-lio fondiario e gli interessi «arcaici» della rendita (Cederna, 2006, p. xxv) non consentirono di avviare con facilità le pratiche di espro-prio per l’attuazione della legge del 1941, a cui si aggiunsero provvedi-menti successivi all’approvazione del Piano regolatore, che prevedeva un importante sviluppo industriale anche in questo quadrante.

Segni e simboli delle antiche tenute, degli elementi materiali (casali, canali, colture) e quelli immateriali (toponomastica, confini) (D’Ago-stino, Leonardi, 2000) fanno riecheggiare la vocazione agraria sulla quale si è sovrapposta la fervida attività di speculazione immobiliare con il conseguente fallimento della “città quaternaria”, secondo quan-to postulato da Marcel Roncayolo, che pure introdusse un modello di organizzazione dello spazio urbano intorno a rinnovate forme della valorizzazione capitalista (Pietrangeli, 2014).

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In origine il paesaggio non era così frammentato e disomogeneo come appare oggi. Il primo elemento di disturbo dell’armonia della campa-gna è dettato dalla nascita delle prime borgate rurali e dalle leggi sulla bonifica dell’Agro, poiché per mezzo delle concessioni ai privati per la lottizzazione dei propri terreni, esse daranno inizio al processo di seg-mentazione della proprietà fondiaria, promuovendo la nascita di nuovi

figura 7.1 Area di interesse tratta dalla Nuova carta dell’Agro Romano di Pompeo Spinetti

Fonte: Spinetti (1914).

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insediamenti nella Campagna romana. Siamo di fronte all’attuazione dei principi del postfordismo che a Roma in generale e in questo parti-colare contesto «ha favorito l’intreccio tra antichi interessi di rendita e innovativi progetti di programmazione urbanistica, determinando cri-si industriali dai costi sociali assai elevati e l’affermarsi di nuovi settori produttivi legati al terziario e alla logistica» (ivi, p. 248).

Proprio nella ricerca di una definizione identitaria del territorio si propone la costituzione delle nuove centralità urbane (Comune di Roma, 2008) in periferia, connotate da autosufficienza rispetto alle dotazioni amministrative in fatto di servizi (biblioteche, parchi, centri sportivi, luoghi di aggregazione strutturati). Ed è alla carenza logistica e sociale (infra)strutturale che sovente rispondono iniziative di auto-governo/autopromozione di varia matrice e con differenti, e a volte multiple, finalità, andando a proiettare sul territorio bisogni e aspetta-tive capaci di fissare e ridefinire i caratteri dello stesso. Iniziative che si affiancano ai centri religiosi (vecchi e nuovi) sorti nelle aree periferiche con simili funzioni, oltre a quelle “canoniche” di culto.

Tutto questo è rintracciabile nel tessuto urbano dell’area oggetto del presente testo e in quelli che sono stati gli elementi cardine dell’escursio-ne. Tutti luoghi ed elementi che nel tempo hanno modificato la loro de-stinazione d’uso in ragione delle mutate funzioni espresse dal territorio e richieste dai loro frequentatori, che in alcuni casi sono residenti, in altri city users o i viaggiatori in transito (fedeli e migranti); alcuni spaesati alla ricerca di spazi identitari, altri consapevoli di trovarsi a vivere su quella labile linea di confine tra città e campagna. Elementi architettonici che non sempre sono in armonia con quanto li circonda, ma che svolgono pienamente la funzione di luoghi di incontro e aggregazione, spazi con-divisi, le cui comunità non hanno sempre consapevolezza le une delle altre. Camminando in questo Municipio, ci si rende conto della discon-tinuità da cui è caratterizzato: la Tenuta della Mistica evoca con il suo toponimo la presenza di un passato rurale; il maam nell’ex salumificio Fiorucci riporta alla mente il passato industriale; la chiesa del Millennio evoca la contemporaneità e il postmodernismo; infine, il tempio cinese offre la dimensione di una realtà migratoria quasi nascosta a sé stessa e al resto del territorio tra i capannoni dei grossisti cinesi di via dell’Omo. Quattro luoghi molto diversi, non connessi tra loro nemmeno da una rete stradale o da un percorso urbano; quattro isole in cui primeggia la spontaneità delle azioni locali e individuali, che sono sicuramente aspetti positivi della realtà contingente e della partecipazione, sia per gli effetti

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5. Per walkscape si intende il girovagare come espressione artistica, strumento estetico di conoscenza dello spazio e primo atto nella trasformazione urbana, volta a esplorare gli spazi della città contemporanea. Percorrendo il territorio si ha la possi-bilità di comprendere la sua identità e di conoscerne i complessi processi di stratifica-zione che l’hanno determinato (Careri, 2006).

benefici sulle comunità locali sia per il recupero di spazi e il loro mante-nimento attraverso le varie attività organizzate, ma al contempo sono un chiaro simbolo relativo alla mancanza di una governance che mostri la sua vicinanza/presenza ai residenti. Non può essere altrimenti per le stesse caratteristiche che il concetto di città contemporanea ha assunto, dive-nendo un luogo dell’eterogeneità scaturita dai modi diversi di viverla, percepirla, attraversarla, osservarla (Schmidt di Friedberg, 2014, p. 53). Proprio camminando, seguendo alcuni dei principi del walk scape5, pren-diamo coscienza di noi stessi e del paesaggio che incontriamo e grazie a questa semplice azione mettiamo in campo uno strumento di conoscen-za e di attribuzione di senso al paesaggio contemporaneo e alla trasfor-mazione dello spazio. E,

come ricordano i semiologi però, deve esserci un soggetto perché ci sia paesaggio: a differenza del territorio, il paesaggio ha valenza di esistere soltanto nella perce-zione del singolo individuo e nella relativa elaborazione culturale espressa dalla collettività. La Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 2000) fornisce una definizione univoca e condivisa di paesaggio che, tirando le fila di serie innume-revoli di interpretazioni, rivoluziona il concetto stesso di paesaggio, avvalorando-ne essenzialmente la sua natura antropica: l’azione umana è assunta infatti come riferimento culturale, ambientale, sociale e storico. A partire da questo nuovo in-quadramento tematico può cominciare una nuova lettura del paesaggio urbano contemporaneo, che mette al centro la percezione e la forma urbana per capire le relazioni interconnesse tra paesaggio e uomo (Burgassi, 2015).

7.3 Le tessere del puzzle

In questa porzione del v Municipio di Roma, tra la via Prenestina, la Prenestina Bis e il gra si trovano il Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz in via Prenestina, La Tenuta della Mistica, il tempio buddhista Hua Yi Si in via dell’Omo e la chiesa del Millennio – Dio Padre Misericordioso in piazza Largo Terzo Millennio.

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6. Malala Yousafzai, giovane studentessa pakistana vincitrice del premio Nobel per la pace (2014).

Sulla via Prenestina al civico 913, un’enorme Malala6 osserva silenziosa chi passa con a lato la scritta Peace, realizzata con icone di culture e religioni diverse. È la facciata esterna del maam di Metropoliz dipinta da Borondo e Kobra (fig. 7.2). La storia del maam inizia nel 2009 con l’occupazione dei locali dell’ex salumificio Fiorucci, ormai dismesso da ventiquattro anni. Il complesso è di proprietà dei costruttori Salini e viene occupato con il primario obiettivo di dare accoglienza a chi non ha un’abitazione. Il nome Metropoliz, adattamento evocativo della pellicola Metropolis del regista Fritz Lang, gli è stato dato dai Bloc-chi precari metropolitani promotori del riutilizzo dell’ex stabilimento. Qui, nello Space Metropoliz, si vive nel pieno rispetto dell’altro pur non conoscendolo. Non si teme la diversità, forse grazie alla condivi-sione dei problemi comuni che rendono uguali anche i più disuguali.

figura 7.2 Esterno del maam, street art a opera di Borondo e Kobra

Fonte: foto di Riccardo Morri.

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«L’occupazione abusiva viene interpretata come una presa in custodia di un pezzo di città abbandonato a se stesso, come esempio di una so-cietà diversa» (Pullara, 2012).

Dopo i senza casa, sono arrivati gli artisti e, in nome dell’arte, è nato uno spirito di collaborazione che aleggia negli ambienti un tempo destinati alla lavorazione della carne del maiale (fig. 7.3). Gli artisti si susseguono, i loro segni arricchiscono lo spazio mentre la vita, sem-pre un po’ meno precaria, va avanti. «Dallo Space Metropoliz nasce il maam, il Museo dell’Altro e dell’Altrove, dove per “Altro” si intende la “città meticcia”, come la definiscono gli stessi abitanti, in continua evo-luzione, e per “Altrove” tutta l’intenzione di “continuare a mantenere le diversità perché sono un valore”, precisa l’ora direttore artistico di questa enorme “cattedrale d’arte laica” Giorgio De Finis» (Rinaldi, Santoro, 2015). Qui, nella periferia est di Roma Capitale, tutto parla di inclusio-ne e si percepisce la presa di coscienza dei problemi sociali di una città che sembra aver perso il controllo rispetto a chi vive ai margini e di cui non riesce a farsi carico.

figura 7.3 La Cappella porcina, opera di Pablo Mesa Capella, all’interno del maam

Fonte: foto di Monica De Filpo.

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7. La Tenuta è suddivisa tra i volontari di Capitano Ultimo e la Fattoria sociale Tenuta della Mistica che, sui terreni pubblici assegnati da Roma Capitale, ha messo in atto un esempio di collaborazione e sinergia tra enti locali e terzo settore e impre-se sociali. La Fattoria coltiva 30 ettari di terreno a produzione biologica, con punto vendita diretto e un giardino aperto alla città, con orti didattici per le scuole. Già da oltre due anni, i terreni della Mistica gestiti dalla Cooperativa sociale Agricoltura Capodarco ospitano un laboratorio sociale per persone con disagio mentale, inseren-dole nel lavoro agricolo, sperimentando sul campo l’efficacia terapeutica del rapporto con la natura.

8. Per ricordare la generosità dei principali donatori esteri, su alcune pareti del tempio sono conservate statuette del Buddha recanti targhette con i nomi dei finan-ziatori.

Altra realtà simile per vocazione è quella dell’Associazione volon-tari Capitano Ultimo onlus che gestiscono un’area verde a ridosso del gra: la Tenuta della Mistica (33 ettari fra Tor Sapienza, Tor Tre Teste e Torre Maura)7, dove, all’interno della casa famiglia, si accolgono i viandanti, i poveri, i bisognosi di beni materiali e spirituali. Gli stessi volontari dichiarano di aver dato vita a una piccola microeconomia di sopravvivenza, a cui contribuiscono anche le famiglie che, soprattutto nel fine settimana, frequentano l’area.

Non lontano dalla tenuta, ancora più prossima al gra, tra i capan-noni presenti nell’area, si erge la grande pagoda buddhista del tempio Hua Yi Si (lett. Hua = Cina, Yi = Italia, Si = tempio), la più gran-de d’Europa inaugurata a marzo del 2013 (fig. 7.4). Oltrepassata la soglia, sembra di essere lontano dal rumore dei furgoni che vengono a rifornirsi di merci di ogni tipo in questo piccolo distretto dell’in-grosso cinese. Il tempio sembra decontestualizzato rispetto al paesag-gio circostante, eppure non è un caso che sia stato edificato in questa zona urbanistica (07H), in quanto la popolazione di origine cinese è maggiormente insediata proprio nel v Municipio. In quest’area sono stati trasferiti gli elementi vitali dell’economia cinese e con essa anche i segni tangibili della cultura e dei culti del Paese. L’architettura nel suo complesso è ispirata a quella del monastero di Chung Tai, il luogo culto per la scuola buddhista taiwanese. Costruito con i finanziamenti delle comunità cinesi e taiwanesi8, il tempio ha subìto diverse battute di arresto durante la sua realizzazione. Il Comune di Roma ha bloccato i lavori per diverso tempo allo scopo di effettuare i controlli necessari previsti dalla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12, Per il governo del territorio, che vincola la costruzione dei nuovi luoghi di culto a de-

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terminati criteri urbanistici. Il progetto del tempio è risultato infine attuabile poiché la zona in cui sorge è un’area commerciale periferica della città, costruita prevalentemente con capannoni industriali e con pochi residenti, sebbene in crescita (Leonardi, 2013); l’edificio non ha quindi suscitato lamentele né proteste per la sua “discontinuità” con il paesaggio urbano circostante (Centro Astalli). Dunque, data la sua collocazione su una via non residenziale, ma in una zona a totale carat-tere commerciale, accertato il basso impatto paesaggistico, i lavori sono stati ultimati.

Elemento di spicco nella periferia est di Roma Capitale è la chiesa Dio Padre Misericordioso a Tor Tre Teste (zona urbanistica 07E; fig. 7.5). La vicenda legata all’edificazione della chiesa del Millennio ha ini-zio negli anni Novanta con il progetto “50 chiese per Roma 2000”, su iniziativa dell’allora pontefice Giovanni Paolo ii, da realizzare nelle aree delle nuove centralità urbane.

figura 7.4 Portale di ingresso al tempio Hua Yi Si

Fonte: foto di Sandra Leonardi.

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La preoccupazione della Diocesi di Roma e del Vicariato, dunque, non era tanto di varare una qualche iniziativa in vista del Giubileo imminente, quan-to piuttosto di dare una risposta concreta proprio ai bisogni e alle speranze di cinquanta comunità parrocchiali, già esistenti, con un parroco e con atti-vità avviate, che si trovavano soffocate perché prive di un luogo funzionale e dignitoso dove incontrarsi. Queste comunità sono distribuite lungo tutto il perimetro del Grande Raccordo Anulare (Amicarelli, 1997, p. 7).

Il cardinale Camillo Ruini annunciò l’intenzione di indire un concor-so europeo per la progettazione di due centri parrocchiali nell’estrema periferia di Roma, a Dragoncello e a Tor Tre Teste.

figura 7.5 Chiesa di Dio Padre Misericordioso a Tor Tre Teste

Fonte: foto di Monica De Filpo.

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La scelta dell’area di Tor Tre Teste quale territorio esemplificativo del-la terra di confine tra città e campagna, tra noto e ignoto, tra periferia progettata e periferia spontanea e per tali motivi come area idonea per una chiesa che in occasione del Giubileo del 2000 doveva rappresentare il nuovo millennio, agì da volano per la qualificazione attraverso il com-plesso parrocchiale griffato della nuova identità rappresentativa di Tor Tre Teste (Bonaccorso, 2014, p. 426).

Nel 1993 venne bandito il concorso per la realizzazione della chiesa. Nonostante l’elevato numero di progetti (593 proposte), la com-missione non scelse un vincitore e andò consolidandosi l’idea di dover far realizzare la nuova chiesa da un architetto di fama inter-nazionale. Furono così invitati a partecipare Tadao Ando, Günther Behnisch, Santiago Calatrava, Peter Eisenman, Frank O. Gehry e Richard Meier. Il concorso fu a eliminazione e risultò vincitore il progetto dell’architetto Meier. Dopo anni di incontri, studi e anali-si, il 1° marzo del 1998 venne posata la prima pietra di un complesso costituito da due corpi e realizzato in calcestruzzo. Il primo, cioè la chiesa a navata unica, è composto da tre conchiglie, che in corso d’opera diverranno delle vele, intervallate da ampie vetrate. Il se-condo, meno caratterizzato, ospita gli alloggi e gli uffici del clero che là vi opera.

Assimilabile a una nave che naviga verso il fulcro della cristiani-tà (la basilica di San Pietro), riecheggia per assonanza il verso dan-tesco «nave sanza nocchiere in gran tempesta» a cui la diocesi di Roma ha teso una mano affinché riemergesse e tornasse a navigare in acque tranquille; i significati ufficiali attribuiti alle vele preve-dono due versioni: «l’immagine paleocristiana della comunità dei credenti che come una nave punta verso il faro di Cristo, ultima meta del viaggio terreno dell’uomo, e il significato storico del pon-tificato di Giovanni Paolo ii, rappresentato dalla Chiesa che tra-ghetta il fedele verso il terzo millennio», ivi, p. 430).

Le tappe descritte sono in definitiva luoghi diversi per temati-che, cultura, tradizione, ma simili per posizione geografica e con-testo. Spazi dissimili, ma uguali, con un obiettivo che li accomuna: creare vere comunità sebbene eterogenee e composite. Sono, però, realtà slegate tra loro, che ancora non consentono di far combaciare i pezzi del puzzle di questa area a margine di una città.

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