colpite anche le pensioni contributive: la vecchiaia...

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1 LA SVOLTA DEL TFR Scimia (Covip): triplicherà la platea della previdenza complementare ROMA «Con il dirottamento del Tfr verso i fondi pensione triplicherà da qui al 2010 la platea dei lavoratori iscritti a una qualche forma di previdenza complementare». Luigi Scimia, appena insediato alla presidenza della Covip, considera determinante la spinta della nuova riforma previdenziale per il decollo definitivo del "secondo pilastro". «Non è azzardato prevedere che nei prossimi cinque, sei anni i lavoratori con una seconda pensione passino dal 10 al 30% della popolazione attiva, anche perché - aggiunge Scimia - dopo gli anni bui delle Borse i rendimenti dei fondi hanno ripreso a salire». Per offrire maggiori garanzie ai lavoratori che opteranno a favore della previdenza integrativa Scimia propone tuttavia di inserire nel prossimo decreto attuativo della legge delega una clausola di garanzia: «Si può prevedere che venga garantito comunque un rendimento minimo del 2,5%, sopra il quale il lavoratore versa alla compagnia uno 0,65% a titolo di copertura del rischio». Con la riforma previdenziale novità per chi ha iniziato a lavorare dal ‘96 Colpite anche le pensioni contributive: la vecchiaia passerà da 57 a 65 anni Eliminata la flessibilità della legge Dini L’uscita a 60 anni resta possibile per le donne e per chi ha i 35 anni di contributi di PIERO CACCIARELLI ROMA - Anche i più convinti fautori della riforma previdenziale approvata dalla Camera non possono negare che per alcuni lavoratori le nuove norme equivalgano a una dolorosa mazzata. La delega targata Maroni si accanisce con particolare durezza (vedi servizio a destra, ndr. ) sui dipendenti che ora hanno 53 anni e sugli autonomi che ne hanno 54. Seguendo le vecchie regole, e potendo contare su un sufficiente monte- contributi, costoro erano sicuri di accedere al trattamento di anzianità dal gennaio 2008, a 57 o a 58 anni. Con le disposizioni appena varate, per un soffio si vedono bruscamente allontanare questo traguardo, che potranno varcare soltanto dopo un altro triennio di lavoro, una volta compiuti i 60 o i 61 anni di età. Ma c’è anche un’altra categoria di lavoratori che viene colpita pesantemente: si tratta di coloro che, rientrando nel sistema contributivo, speravano nel trattamento di vecchiaia flessibile, cioè di ottenere una pensione (sia pure di importo modesto) a 57 anni. Tale opportunità viene troncata dalla riforma con un colpo d’accetta. Dal 2008, oltre a quelli dell’anzianità, cambiano anche i requisiti della vecchiaia contributiva e viene mandato in cantina il regime delle uscite anticipate. Per avere la pensione sarà necessario avere maturato: 65 anni di età per gli uomini, 60 per le donne, e almeno un quinquennio di versamenti; oppure 40 anni di contributi a qualsiasi età; oppure 60 anni di età (61 gli autonomi) e 35 di versamenti. Il pensionamento di vecchiaia ”precoce” era stato introdotto dalla riforma Dini a parziale compensazione di un inasprimento normativo che ha colpito soprattutto le nuove leve degli occupati, con una notevole riduzione dei futuri assegni. Al posto del più favorevole sistema di calcolo retributivo, che aggancia i trattamenti previdenziali agli stipendi degli ultimi anni, per i neo-assunti dal 1° gennaio 1996, privi di versamenti sui periodi precedenti, è scattato il metodo di conteggio contributivo. La pensione si liquida esclusivamente sulla base dei contributi pagati e di un coefficiente di trasformazione crescente al crescere dell’età. In sostanza, ogni lavoratore incassa secondo il ”castelletto” accumulato, quasi come accade con un’assicurazione privata. La ”Dini” però consentiva di abbandonare il lavoro in una fascia di età compresa tra 57 e 65 anni, senza distinzione tra uomini e donne. Uniche condizioni: avere messo nel carniere almeno 5 anni di contributi effettivi e avere diritto a un assegno non inferiore a 1,2 volte l’entità di quello sociale, che per il 2004 ammonta a 5.600 euro l’anno (ma per i sessantacinquenni questo limite non vale). 11 PRIMO PIANO IL MESSAGGERO DOMENICA 1 AGOSTO 2004

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LA SVOLTA DEL TFR Scimia (Covip): triplicherà la platea della previdenza complementare ROMA «Con il dirottamento del Tfr verso i fondi pensione triplicherà da qui al 2010 la platea dei lavoratori iscritti a una qualche forma di previdenza complementare». Luigi Scimia, appena insediato alla presidenza della Covip, considera determinante la spinta della nuova riforma previdenziale per il decollo definitivo del "secondo pilastro". «Non è azzardato prevedere che nei prossimi cinque, sei anni i lavoratori con una seconda pensione passino dal 10 al 30% della popolazione attiva, anche perché - aggiunge Scimia - dopo gli anni bui delle Borse i rendimenti dei fondi hanno ripreso a salire».

Per offrire maggiori garanzie ai lavoratori che opteranno a favore della previdenza integrativa Scimia propone tuttavia di inserire nel prossimo decreto attuativo della legge delega una clausola di garanzia: «Si può prevedere che venga garantito comunque un rendimento minimo del 2,5%, sopra il quale il lavoratore versa alla compagnia uno 0,65% a titolo di copertura del rischio». Con la riforma previdenziale novità per chi ha iniziato a lavorare dal ‘96

Colpite anche le pensioni contributive: la vecchiaia passerà da 57 a 65 anni Eliminata la flessibilità della legge Dini L’uscita a 60 anni resta possibile per le donne e per chi ha i 35 anni di contributi

di PIERO CACCIARELLI ROMA - Anche i più convinti fautori della riforma previdenziale approvata dalla Camera non possono negare che per alcuni lavoratori le nuove norme equivalgano a una dolorosa mazzata. La delega targata Maroni si accanisce con particolare durezza (vedi servizio a destra, ndr. ) sui dipendenti che ora hanno 53 anni e sugli autonomi che ne hanno 54. Seguendo le vecchie regole, e potendo contare su un sufficiente monte-contributi, costoro erano sicuri di accedere al trattamento di anzianità dal gennaio 2008, a 57 o a 58 anni. Con le disposizioni appena varate, per un soffio si vedono bruscamente allontanare questo traguardo, che potranno varcare soltanto dopo un altro triennio di lavoro, una volta compiuti i 60 o i 61 anni di età.

Ma c’è anche un’altra categoria di lavoratori che viene colpita pesantemente: si tratta di coloro che, rientrando nel sistema contributivo, speravano nel trattamento di vecchiaia flessibile, cioè di ottenere una pensione (sia pure di importo modesto) a 57 anni.

Tale opportunità viene troncata dalla riforma con un colpo d’accetta. Dal 2008, oltre a quelli dell’anzianità, cambiano anche i requisiti della vecchiaia contributiva e viene mandato in cantina il regime delle uscite anticipate. Per avere la pensione sarà necessario avere maturato: 65 anni di età per gli uomini, 60 per le donne, e almeno un quinquennio di versamenti; oppure 40 anni di contributi a qualsiasi età; oppure 60 anni di età (61 gli autonomi) e 35 di versamenti.

Il pensionamento di vecchiaia ”precoce” era stato introdotto dalla riforma Dini a parziale compensazione di un inasprimento normativo che ha colpito soprattutto le nuove leve degli occupati, con una notevole riduzione dei futuri assegni. Al posto del più favorevole sistema di calcolo retributivo, che aggancia i trattamenti previdenziali agli stipendi degli ultimi anni, per i neo-assunti dal 1° gennaio 1996, privi di versamenti sui periodi precedenti, è scattato il metodo di conteggio contributivo.

La pensione si liquida esclusivamente sulla base dei contributi pagati e di un coefficiente di trasformazione crescente al crescere dell’età. In sostanza, ogni lavoratore incassa secondo il ”castelletto” accumulato, quasi come accade con un’assicurazione privata. La ”Dini” però consentiva di abbandonare il lavoro in una fascia di età compresa tra 57 e 65 anni, senza distinzione tra uomini e donne. Uniche condizioni: avere messo nel carniere almeno 5 anni di contributi effettivi e avere diritto a un assegno non inferiore a 1,2 volte l’entità di quello sociale, che per il 2004 ammonta a 5.600 euro l’anno (ma per i sessantacinquenni questo limite non vale).

11 PRIMO PIANO IL MESSAGGERO DOMENICA 1 AGOSTO 2004

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La delega Maroni, che mira a ritardare i pensionamenti, ha fatto piazza pulita della flessibilità, cosicché dal 2008 i 57 anni diventeranno un bel ricordo. La vecchiaia contributiva si potrà ottenere rispettando questi requisiti: 65 anni di età per gli uomini, 60 per le donne e 5 di contributi. In alternativa, 60 anni di età (61 gli autonomi) e 35 di versamenti, oppure 40 anni di contributi a qualsiasi età. Dal 2010 al 2013 il secondo ”canale” si alzerà a 61 anni di età (62 gli autonomi), per passare a 62 e 63 dal 2014. E’ ovvio che questo secondo ”canale” sarà percorso soltanto dagli uomini, poiché per le donne si mantiene l’età minima a 60 anni. Le nuove regole valgono pure per gli iscritti alla ”gestione separata”, coloro cioè che non rientrano in altre forme di previdenza obbligatoria. Dalla stretta, invece, vengono risparmiate le casse privatizzate, che tutelano i liberi professionisti. Qui sarà ancora possibile, in teoria, conservare il trattamento flessibile.

Se per i lavoratori più giovani, o per chi è entrato più tardi in un’attività regolarmente retribuita, si chiudono le scorciatoie, niente cambia per chi conserva il regime retributivo ”totale” (aveva almeno 18 anni di contributi a gennaio 1996) o il ”misto” retributivo- contributivo (nel ’96 già lavorava, ma da meno di 18 anni). Anche dopo il 2008, gli uomini andranno in pensione a 65 anni di età e le donne a 60, se avranno cumulato almeno un ventennio di contributi.

I REQUISITI PER LA VECCHIAIA CONTRIBUTIVA

REQUISITI INCENTIVI AL RITARDO REQUISITI INCENTIVI AL RITARDO

2004 2010-2013 ETA’ TRA 57 E 65 ANNI (1) E 5 ANNI DI CONTRIBUTI, OPPURE 40 ANNI DI CONTRIBUTI

COEFFICIENTE DI TRASFORMAZIONE DELLA PENSIONE (2)

65 ANNI DI ETA’ (60 PER LE DONNE) E 5 DI CONTRIBUTI, OPPURE 61 ANNI DI ETA’ (62 AUTONOMI) E 35 DI CONTRIBUTI, OPPURE 40 ANNI DI CONTRIBUTI A QUALSIASI ETA’

COME NEL 2008

2005-2007 DAL 2014 COME NEL 2004 COME NEL 2004

2008-2009 65 ANNI DI ETA’ (60 PER LE DONNE) E 5 DI CONTRIBUTI, OPPURE 60 ANNI DI ETA’ (61 AUTONOMI) E 35 DI CONTRIBUTI, OPPURE 40 ANNI DI CONTRIBUTI A QUALSIASI ETA’

SOLO LE DONNE POSSONO DIFFERIRE LA RICHIESTA DELLA PENSIONE DA 60 A 65 ANNI PER GUADAGNARE SUL COEFFICIENTE DI TRASFORMAZIONE (2)

65 ANNI DI ETA’ (60 PER LE DONNE) E 5 DI CONTRIBUTI, OPPURE 62 (3) ANNI DI ETA’ (63 AUTONOMI) E 35 DI CONTRIBUTI, OPPURE 40 ANNI DI CONTRIBUTI A PRESCINDERE ALL’ ETA’

COME NEL 2008

N.B.: Occorre anche il requisito della cessazione dell’attività lavorativa dipendente, anche all’estero. Valgono le stesse regole per lavoratori dipendenti e autonomi. (1) La pensione a meno di 65 anni deve essere di importo non inferiore all’assegno sociale maggiorato del 20%. (2) A 57 anni il coefficiente di trasformazione è al minimo (4,72%) e sale progressivamente fino al massimo (6,136%) a 65 anni. (3) Nel 2013 il Governo deciderà se differire l’ulteriore scalino

I più penalizzati? Chi oggi ha 53-54 anni ROMA - I più danneggiati dalla riforma previdenziale saranno i lavoratori dipendenti e quelli autonomi che oggi hanno rispettivamente 53 e 54 anni. Nel 2008, l'anno dello spartiacque tra la legge Dini e l'entrata in vigore delle nuove norme, avrebbero potuto andare in pensione d'anzianità secondo le regole attuali, mentre saranno costretti a prolungare l'attività lavorativa. Il rischio per una generazione di lavoratori è di restare al lavoro quasi cinque anni in più dei loro colleghi più anziani. Le donne, anche dopo il 2008, potranno continuare ad andare in pensione d'anzianità a 57 anni con

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35 anni di contributi ma, in questo caso, il calcolo della loro pensione sarà fatto interamente con il metodo contributivo. Il risultato sarà un taglio in media del 20% del trattamento. Vediamo un paio di esempi: A- Lavoratore dipendente nato il 10 gennaio 1951 con 31 anni di contributi: Ha 53 anni di età e lavora continuativamente da quando ne aveva 23. Con le regole attuali avrebbe raggiunto i requisiti per la pensione (57 anni e 35 di contributi) il 10 gennaio 2008 e sarebbe uscito con la finestra del luglio 2008. A causa delle nuove regole dovrà aspettare il primo gennaio 2013 (a quasi 62 anni e quasi 40 di contributi) perchè nel 2011, quando avrà 60 anni, sarà scattata quota 61. Il 10 gennaio 2012 quando avrà 61 anni dovrà aspettare per uscire dal lavoro la finestra di gennaio dell'anno successivo. B- Lavoratore dipendente nato il 13 febbraio 1952 con 34 anni di contributi: Con le regole attuali, avendo nel 2008 solo 56 anni avrebbe comunque dovuto aspettare il 2009 per uscire (con la finestra di luglio). A questo punto dovrà aspettare il 2010 per avere i requisiti contributivi (40 anni) ma l'inizio del 2011 (a 59 anni) per uscire per la pensione di vecchiaia. STORIE DI IMMIGRATI A LIETO FINE Lasisi ottiene il permesso: grazie Italia Le prime parole da uomo libero del giovane sudanese sbarcato dalla Cap Anamur ROMA - Un'odissea in tre tappe (Africa, Mediterraneo e Italia) chiusa ieri mattina poco dopo mezzogiorno. Stretto in mano il permesso di soggiorno, Fatawu Lasisi, accompagnato dai legali che lo hanno assistito, è uscito dall'Ufficio immigrazione della questura di Roma. «Grazie Italia, sono felice di poter restare qui», le sue prime parole da uomo libero. Sorrideva, il giovane sudanese di 24 anni, e ne aveva tutti i motivi ripensando alla sorte dei suoi compagni di avventura che hanno tentato la fortuna insieme a lui su una carretta del mare per sfuggire «alla fame, alla miseria ed alle guerre». Solo uno, il nigeriano Benjamin, è riuscito ad ottenere il permesso di soggiorno per avere collaborato con le autorità italiane; tutti gli altri, in varie tappe, sono stati espulsi verso la Nigeria ed il Ghana. Il Viminale non ha infatti creduto alla versione fornita dagli africani, che si dichiaravano tutti profughi del Darfur, la regione sudanese martoriata da violenze. Per Lasisi è stato accidentato anche il suo soggiorno italiano. All'inizio è stato ospitato, insieme agli altri 36, nel Centro di permanenza temporanea di Agrigento. Dopo un giorno, sono stati tutti trasferiti nel Centro di accoglienza Pian del Lago di Caltanissetta. Poi Lasisi, con altri 13, è stato portato al Cpt di Ponte Galeria di Roma. Ma non è finita qui; imbarcato a Fiumicino sull'aereo diretto ad Accra (Ghana), il sudanese è stato fatto scendere, insieme ad altri 5 che si opponevano al viaggio forzato. I sei sono stati trasportati quindi a Malpensa e, mentre 5 sono alla fine partiti, Lasisi è stato trasferito nel Cpt milanese di via Corelli. Martedì scorso, ritorno a Roma, ancora al Cpt di Ponte Galeria. Ieri, l'ultimo atto: il tribunale di Roma ha accolto il ricorso degli avvocati Simona Sinopoli e Fabio Baglioni contro l'espulsione; immediata la diffida dei legali a rilasciare Lasisi, questa mattina la liberazione. «Sono felice di poter restare in Italia». I SINDACATI La Fiom: «Impianti e posti di lavoro a rischio» MILANO - La decisione dell'Aprilia di non chiudere la trattativa con la Ducati e di riaprire i negoziati con la Piaggio genera «grandissima preoccupazione» nella Fiom-Cgil. È quanto afferma il segretario nazionale Giorgio Cremaschi. «Le ragioni industriali e occupazionali rischiano di passare in assoluto secondo piano rispetto a logiche finanziarie e speculative», dice Cremaschi. «Piaggio e Aprilia - aggiunge - hanno il massimo di sovrapposizione delle produzioni e quindi c'è il rischio di operazioni che mettano in discussione stabilimenti e posti di lavoro». «Chiunque acquisti il gruppo Aprilia - conclude il sindacalista della Fiom - dovrà garantire la piena integrità degli stabilimenti Aprilia e Guzzi e non tagliare neanche un posto di lavoro, altrimenti sarà uno scontro frontale». Parificate a quelle private

A rischio tagli le pensioni dei dipendenti pubblici

14 CRONACHE ITALIANE IL MESSAGGERO DOMENICA 1 AGOSTO 2004

21 ECONOMIA IL MESSAGGERO DOMENICA 1 AGOSTO 2004

IL MESSAGGERO PRIMA PAGINA LUNEDÌ 2 AGOSTO 2004

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ROMA – La riforma previdenziale colpisce in particolare le pensioni dei dipendenti pubblici. L’applicazione della legge-delega approvata dal Parlamento può tradursi in una riduzione dell’assegno pensionistico soprattutto per i lavoratori della scuola e dei ministeri. Quelli della sanità e dei comuni, invece, potrebbero persino guadagnarci qualcosa. Pochi rischi per chi ha cominciato a lavorare negli anni 90: il taglio per loro era già arrivato con le precedenti riforme. Piovani a pag. 9

LA BASE DI CALCOLO DELLA PREVIDENZA

QUOTA A

Dipendenti

privati

Dipendenti

pubblici

Numero di anni lavorati fino Al 31-12-1992

QUOTA B

Retribuzione media degli ultimi 5 anni

Ultima

retribuzione

Numero di anni lavorati a partire

dal 1-1-1993

Retribuzione media degli

ultimi 10 anni

Retribuzione

media delle ultime 80 mensilità (circa 7 anni)

PER I LAVORATORI CHE AL 31-12-95 NON AVEVANO 18 ANNI DI CONTRIBUTI, IL TRATTAMENTO PENSIONISTICO È MISTO (PRO-RATA): CON IL METODO RETRIBUTIVO (QUELLO ILLUSTRATO QUI SOPRA) FINO AL ’95 E CON IL METODO CONTRIBUTIVO DAL ’96 IN POI

La legge delega approvata dal Parlamento prevede che tutti i sistemi previdenziali si uniformino a quello dei privati

Statali, la pensione sarà più leggera Per i dipendenti pubblici la riforma può tradursi in un taglio delle rendite Rischia soprattutto il personale di scuola e ministeri. Tutto da decidere ancora per quello di asl e comuni. Nessun pericolo per quello dell’Inps. An promette ai sindacati: vi consulteremo

di PIETRO PIOVANI ROMA – Era da sempre un pallino di Roberto Maroni. E infatti nella sua riforma previdenziale il ministro leghista ha fatto in modo che fosse inserita un’apposita norma: le pensioni dei dipendenti pubblici devono essere calcolate come quelle dei privati. Se il principio indicato dalla legge-delega sarà effettivamente applicato, si tradurrà probabilmente in un taglio secco delle future rendite pensionistiche per milioni di lavoratori pubblici. ■ I privilegi dei pubblici. Anche se molte differenze tra pubblici e privati sono state già cancellate, esiste ancora qualche difformità nelle regole di calcolo. La pensione di un privato si calcola partendo dalla media degli stipendi degli ultimi anni; quella di un pubblico invece si calcola in base all'ultimo stipendio o comunque su un numero ridotto di anni. Quindi i dipendenti pubblici godono oggi di una pensione un po’ più alta. Almeno sulla carta. ■ I privilegi dei privati. In realtà i vantaggi non si trovano tutti da una parte. Se gli statali sono favoriti dal ridotto numero di anni su cui si calcola la pensione, sono però penalizzati dall'entità dello stipendio su cui si fanno i conti. La pensione dei privati si calcola su tutto lo stipendio; quella dei pubblici solo sul “salario tabellare”, cioè quello base: le indennità di amministrazione e gli altri istituti del cosiddetto “salario accessorio” sono esclusi.

9 PRIMO PIANO IL MESSAGGERO LUNEDÌ 2 AGOSTO 2004

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■ La riforma. La riforma del governo Berlusconi consiste al momento in una legge-delega: il Parlamento ha approvato i principi generali, ora il governo dovrà attuarli con una serie di decreti attuativi da elaborare entro un anno. Che cosa scriverà il governo nei suoi decreti? Potrebbe semplicemente stabilire che il numero di anni su cui si calcola la pensione dei dipendenti pubblici deve essere uguale a quello dei privati. Se così fosse, la riforma comporterebbe una forte riduzione delle pensioni per quasi tutti i lavoratori pubblici. Se invece i decreti attuativi correggeranno anche l’altra disparità (la parte di stipendio su cui si calcola la pensione), il discorso cambierebbe: il personale della scuola e dei ministeri ci rimetterebbe un po’, ma quello degli enti locali e delle asl potrebbe persino guadagnarci. ■ Fondi pensione e liquidazione Ci sono anche altre disparità previdenziali che penalizzano i dipendenti pubblici. Non esistono ancora i fondi pensione (sta per partire quello della scuola). Gli accantonamenti per la liquidazione sono parzialmente (il 2,5%) a carico del lavoratore e non esiste la possibilità di ottenere l’anticipo della buonuscita per l'acquisto di una casa. Il governo vorrà intervenire anche su questi aspetti? «Eliminare sperequazioni», come recita la legge-delega, dovrebbe voler dire anche questo. Per i lavoratori pubblici allora la riforma sarebbe addirittura un buon affare. Semmai a preoccuparsi dovrebbe essere il governo, perché la spesa aumenterebbe anziché diminuire. In base a un altro articolo della riforma Maroni oltretutto il dipendente pubblico può scegliere di versare il tfr a un fondo pensione “aperto”, cioè privato. Per lo Stato sarebbe un grosso problema: non sarebbe più possibile limitarsi all’accantonamento virtuale, come si è fatto finora. ■ Chi è escluso dalla riforma. Qualunque sarà l’attuazione del governo, alcuni dipendenti pubblici non subiranno conseguenze dalla norma di Maroni. Per esempio il personale di Inps, Inail, parte di quello dell’Inpdap, che già hanno le stesse regole dei privati. In tutte le amministrazioni inoltre hanno poco da rimetterci i giovani assunti dopo il '96: a loro si applica il sistema contributivo, che funziona in tutt'altro modo ed è identico per tutti i lavoratori italiani. Verrebbero appena sfiorati anche gli assunti prima del '96 ma dopo il '78: sulla loro pensione il vecchio sistema retributivo incide solo in parte. ■ Governo e sindacati. Prima di scrivere i decreti attuativi, il governo dovrebbe aprire un negoziato con i sindacati. Così almeno An ha promesso a Cgil, Cisl e Uil. DAL DPEF ALLA FINANZIARIA

Vegas: per i superburocrati si spende troppo Allo studio un freno agli stipendi. Consulto Roma-Berlino sul Patto di stabilità

L’OBIETTIVO

Il deficit tendenziale per il 2005

è stimato al 4,4 per cento del Pil: il governo

vuole farlo scendere al 2,7

LA MANOVRA

Per aggiustare i conti del prossimo anno

servono 24 miliardi di € di cui 17 “strutturali”

e 7 di misure una tantum

ROMA – Senato e Camera stringono i tempi per l’approvazione delle risoluzioni parlamentari sul Dpef, ma come annunciato da Domenico Siniscalco il ministero dell’Economia sarà da oggi al lavoro per la messa a punto della Finanziaria. Com’è noto ci sono da trovare 24 miliardi, 17 ”strutturali” e 7 ricavati da misure una tantum. Un menu che alla fine, come ha più volte evidenziato lo stesso ministro, non potrà risultare indolore. Intanto però Siniscalco ha deciso una consultazione-lampo con il suo collega tedesco Eichel: volerà a Berlino domani per preparare la riunione Ecofin di settembre, dove si parlerà probabilmente del futuro del Patto di stabilità.

Intanto qualche indicazione sulla composizione della manovra è arrivata ieri dal sottosegretario Vegas. «Uno degli obiettivi - ha detto - è quello di riconsiderare la legislazione di spesa degli ultimi anni e di tener conto degli incrementi che si sono registrati negli ultimi 5 anni».

Dunque il governo cercherà di individuare quei settori che si sono mostrati più spendaccioni, con l’obiettivo «di introdurre i necessari correttivi per riportare la dinamica della spesa ad un andamento compatibile con gli obiettivi di finanza pubblica».. Il meccanismo di contenimento, però, «non avverrà in modo automatico, ma secondo una valutazione caso per caso che dovrà portare a un relativo definanziamento in sede di legge Finanziaria».

Giro di vite, quindi, su alcuni settori considerati nevralgici. A partire dalla Pubblica Amministrazione. In particolare per quanto riguarda la dirigenza pubblica che dovrà dire addio ai mega stipendi e in parte all’Aran, che vedrà ridimensionato il suo ruolo. «Malgrado siano stati fissati tetti, il numero dei dipendenti pubblici è aumentato - osserva Vegas - soprattutto il numero dei dirigenti contrattualizzati ed è aumentata anche la spesa pro capite». Occorre dunque, ad avviso di Vegas, «tornare ad una dinamica di spesa coerente con gli obiettivi del Governo».

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In pratica si tratta di dare «uno stop ai megastipendi per i dirigenti tornando, ad esempio ai contratti a tempo indeterminato con stipendi coerenti con il resto del pubblico impiego». Inoltre, si potrebbe pensare, suggerisce Vegas, «di togliere la parte giuridica dei contratti all’Aran per sottoporla alla competenza del Parlamento».

Nel mirino del governo anche le pensioni di invalidità e il settore sanitario. In particolare, per quanto riguarda le prime, osserva il sottosegretario all'Economia, «da quando le verifiche sono passate dalle commissioni mediche militari alle Asl la spesa si è impennata. O sono diventati tutti invalidi o il meccanismo non è in grado di reggere. Per questo - auspica il sottosegretario all’Economia - occorre tornare alle commissioni militari in modo da ripristinare un sistema più rigoroso per tutelare chi ne ha effettivamente diritto».

BESTSELLER IN FRANCIA

Buondì pigrizia, ovvero come imboscarsi al lavoro PARIGI - Il trucco è facile: l'importante è camminare piano piano, portando sempre tra le braccia voluminosi incartamenti. Così Corinne Maier, consulente economica part-time della compagnia elettrica francese Edf, in un libro destinato ad essere un ”must” dell'estate insegna i mille ed uno modi per imboscarsi sul posto di lavoro, senza incorrere in provvedimenti disciplinari. Una vera missione proclamata già nel titolo: ”Bonjour Paresse”, cioé ”Buongiorno pigrizia, l'arte e la necessità di fare il meno possibile sul posto di lavoro”.

In tono leggero e scanzonato, già evidente nel titolo che è la parodia del famosissimo romanzo di Françoise Sagan ”Buongiorno tristezza”, la Maier in effetti affronta un problema quanto mai caldo in questi mesi in Francia, dove il governo di Jean-Pierre Raffarin sta lanciando una dura offensiva alla conquista sindacale delle ”35 ore” che, secondo il premier conservatore, starebbe trasformando la Francia in un campo ricreativo.

Un dibattito che la Maier traspone su un piano più filosofico-esistenziale: il problema non è il monte ore che un lavoratore si trova ad affrontare, ma la completa «mancanza di senso» della maggior parte degli impieghi. «Alla gente non viene più permesso di sognare, queste grandi compagnie ci vogliono trasformare tutti in dei robot», spiega l'impiegata diventata scrittrice. L'unica risposta - conclude la Maier - è quindi una sorta di resistenza passiva, vale a dire fare il meno possibile senza darlo a vedere. «Evitate di andare in giro con un giornale, ma portate sempre dei fascicoli - raccomanda l'autrice del manuale - e se proprio dovete fare del lavoro, fatelo nel modo più lento possibile. Non create nessun pericoloso precedente, mostrando al vostro capo che siete veloci».

Tutte le voci che concorrono a determinare i diversi trattamenti di fine servizio nel pubblico impiego

Statali, tre formule per farsi liquidare Ente d’appartenenza e data d’assunzione mutano il volto della buonuscita: ecco come

di BRUNO BENELLI LA BUONUSCITA dei dipendenti pubblici non è uguale per tutti: a seconda dei casi si presenta con un nome (e un contenuto) diverso. Le sigle da decifrare sono tre: Ib (indennità di buonuscita), Ips (indennità premio di fine servizio) e Tfr (trattamento di fine servizio). Per decenni nel pubblico impiego sono state liquidate: l’ indennità di buonuscita per gli statali; l’ indennità premio di fine servizio per i dipendenti degli enti locali, del servizio sanitario nazionale e di altri enti iscritti all’ex gestione Inadel. Poi, con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 20 dicembre 1999, fu introdotto per i nuovi assunti il trattamento di fine rapporto (fino ad allora prerogativa esclusiva dei dipendenti del settore privato), collegato anche a forme di previdenza complementare. Attualmente, quindi, sono tre le formule di pagamento e di calcolo della buonuscita. Vediamole nel dettaglio. L’indennità di buonuscita spetta ai dipendenti statali e agli altri iscritti all’ex gestione Enpas, assunti con contratto a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000. La prestazione non deve essere richiesta: viene liquidata d’ufficio all’atto della quiescenza. Ne ha diritto chi: a) ha risolto per qualsiasi causa il rapporto di lavoro e quello previdenziale; b) ha almeno dodici mesi, anche non consecutivi, di iscrizione al fondo.

17 CRONACHE ITALIANE IL MESSAGGERO LUNEDÌ 2 AGOSTO 2004

21 PREVIDENZA & FISCO IL MESSAGGERO LUNEDÌ 2 AGOSTO 2004

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Per accantonare l’indennità, durante gli anni di lavoro dell’interessato il datore di lavoro versa all’Inpdap un contributo del 9,6%, di cui il 2,5% a carico del lavoratore. Per calcolare l’indennità, si prende un dodicesimo dell’80% dell’ultimo stipendio annuo più il 48% dell’indennità integrativa speciale e si moltiplica il tutto per gli anni utili di servizio. La frazione di anno superiore a sei mesi vale come anno intero, mentre quella inferiore non viene conteggiata. Entrano nel calcolo della buonuscita tutti i servizi già riscattati dall’interessato: corsi di laurea, borse di studio, abilitazioni ad albi professionali, servizio militare, ecc. In caso di decesso dell’iscritto, la buonuscita viene pagata, nell’ordine, al coniuge, ai figli, ai genitori, ai fratelli e alle sorelle a carico. Se esistono contemporaneamente coniuge e figli: a) se i figli sono minorenni, la buonuscita va tutta al coniuge; b) se i figli sono maggiorenni, il 60% della buonuscita va al coniuge, il 40% al figlio. Se i figli sono più d’uno, le percentuali si invertono. Il pagamento della buonuscita deve essere effettuato entro: 105 giorni in caso di quiescenza per limiti di età, per inabilità, per raggiunti limiti di servizio, per decesso; 285 giorni in caso di qu iescenza per dimissioni, destituzione dall’impiego e altre cause. Superati questi limiti, scattano in automatico gli interessi legali per il ritardo. Ultima notazione: non è consentito chiedere anticipi sulla prestazione, al contrario di quanto accade con il Tfr pagato ai dipendenti privati. L’indennità premio di fine servizio spetta ai dipendenti degli enti locali, del servizio sanitario nazionale e di altri enti iscritti all’ex gestione Inadel, che siano stati assunti con contratto a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000. Ne ha diritto chi: a) ha risolto per qualsiasi causa il rapporto di lavoro e quello previdenziale; b) ha almeno un anno di iscrizione all’Inpdap. L’indennità viene pagata dall’ente datore di lavoro e dal lavoratore nella misura complessiva del 6,1% della retribuzione, di cui il 2,5% a diretto carico dell’iscritto. L’indennità è pari ad un quindicesimo dell’80% dell’ultima retribuzione contributiva annua (compresa l’indennità integrativa speciale), per ogni anno di servizio maturato. Rientrano nel calcolo tutti i servizi svolti e per legge valutabili, compresi quelli riscattati (per un massimo di 14 anni): ad esempio, quelli non di ruolo, il servizio militare terminato prima del 30/1/1987, corsi di laurea, periodi di tirocinio, diplomi d’assistente sociale e tecnico fisioterapista, ecc. In caso di decesso dell’iscritto, l’indennità viene pagata a coniuge, figli, genitori, collaterali se a carico: una categoria esclude l’altra. Anche in questo caso la prestazione viene liquidata d’ufficio all’atto della quiescenza. I tempi di pagamento sono gli stessi indicati per la buonuscita. Il trattamento di fine rapporto spetta ai dipendenti pubblici assunti a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre 2000 e a quelli assunti con contratto a tempo determinato dopo il 30 maggio 2000. In ogni caso, i dipendenti assunti a tempo indeterminato prima del 31 dicembre 2000 possono optare per il Tfr al posto delle altre due indennità: in questo caso, però, devono contestualmente aderire ad un fondo di previdenza complementare. Ha diritto al Tfr chi: a) arriva alla risoluzione del rapporto di lavoro; b) ha un contratto di lavoro la cui durata sia di almeno 15 giorni nel mese. Il Tfr è costituito da accantonamenti annuali di quote della busta paga: per ogni anno di servizio si accantona una quota pari al 6,91% della retribuzione annua utile, e il contributo è totalmente a carico del datore di lavoro. L’accantonamento scatta per ogni anno di servizio o frazione d’anno: nel secondo caso, la quota è ridotta in proporzione (valgono come mesi interi le frazioni di mese pari o superiori a 15 giorni). Le quote accantonate (tranne quella maturata nell’anno), sono rivalutate al 31 dicembre di ogni anno applicando un tasso pari all’1,5% più i tre quarti (75%) dell’aumento annuo dell’indice dei prezzi al consumo rilevato dall’Istat. Fanno parte del calcolo del Tfr l'intero stipendio tabellare, l’indennità integrativa speciale, la retribuzione individuale d’anzianità e tutti gli altri emolumenti considerati utili ai fini del calcolo delle preesistenti indennità. In caso di morte del lavoratore il Tfr va pagato al coniuge, figli e parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo. La ripartizione della somma, se non c’è accordo tra le persone, va effettuata secondo il bisogno di ciascuno. Per il Tfr sono previsti anticipi dopo almeno otto anni di servizio, ma al momento la disciplina non è applicabile perché manca la contrattazione di comparto. Anche in questo caso, la prestazione non deve essere richiesta: viene liquidata d’ufficio entro gli stessi termini indicati per le altre due indennità. L’DENTIKIT INDENNITA’ DI BUONUSCITA Un dodicesimo dell’80% dell’ultima retribuzione annua, più il 48% dell’indennità integrativa speciale, moltiplicato per gli anni di servizio utili.

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Contributo : 9,6%, di cui il 2,5% a carico del lavoratore. INDENNITA’ PREMIO DI FINE SERVIZIO Un quindicesimo dell’80% dell’ultima retribuzione annua (compresa l’indennità integrativa speciale), moltiplicato per gli anni di servizio utili. Contributo : 6,1%, di cui il 2,5% a carico del lavoratore. TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO Somma degli accantonamenti annui, pari al 6,91% della retribuzione annua utile, rivalutata ogni anno con il tasso dell’1,5% più i tre quarti dell’indice Istat dei prezzi al consumo. Contributo : 6,91% totalmente a carico dell’ente.

LA POSTA a cura di BRUNO BENELLI

Precoci, i vantaggi svaniranno

In servizio nella Polizia di Stato dal marzo 1978, ho ulteriori 5 anni figurativi e 11 mesi di ricongiunzione di precedenti servizi Inps nel periodo compreso tra i 14 e i 19 anni d’età. Posso essere riconosciuto lavoratore precoce? In relazione alle finestre d’uscita, potrei avere qualche beneficio concreto nell’essere considerato precoce?

Nicola Fiorita Rosarno (Rc) Innanzi tutto va chiarito che viene dichiarato precoce il lavoratore che entro il 19° anno d’età abbia almeno 52 contributi settimanali da effettivo lavoro. Se ho ben capito, lei ha solo 11 mesi e 9 giorni: in questo caso, anche se per soli 21 giorni in meno, non può essere considerato precoce. In ogni caso,niente male: anche se fosse stato dichiarato precoce, la sua situazione pensionistica non avrebbe ottenuto alcun miglioramento. Lei, infatti, è ancora troppo giovane per la pensione, e quindi dovrà attendere di compiere 57 anni d’età (se li compie entro il 2008, altrimenti subirà gli effetti della riforma): in ogni caso si tratta di un evento ancora lontano nel tempo, quando non esisteranno più i vantaggi concessi ai precoci, che svaniranno definitivamente entro un paio di anni. Lavorare fino a 70 anni

Verso contributi da aprile 1977. In precedenza ho lavorato all’estero senza contributi e fui assunto in qualità di profugo. Ad ottobre avrò 65 anni d’età e 27 di contributi. Posso chiedere alla mia azienda di lavorare fino a 70 anni, o almeno altri tre anni per arrivare a 30 anni di contributi? Posso versare contributi volontari? Se sì, quanto dovrei pagare, visto che il mio reddito annuo è di 34.719 euro?

Giulio Ariani Roma Non può vantare un diritto a restare al lavoro: può chiederlo all’azienda, che ha però tutti i diritti di licenziarla. Non può versare i contributi volontari: se così facesse, vorrebbe dire che, una volta licenziato, lei non chiederebbe la pensione per tre anni per aumentare la base di calcolo. Pensione delle casalinghe: i dubbi

Il suo giudizio sulla pensione delle casalinghe è negativo, poiché occorre pagare cifre elevate per avere una pensione decorosa. Vorrei porre all’attenzione dei lettori due ulteriori aspetti negativi del sistema creato dal decreto legislativo 565 del 1996. Le somme che si versano come contributi, che fine fanno in caso di premorienza? La pensione entra in conflitto con la pensione sociale, per cui si potrebbe perdere il diritto a questa seconda pensione? Su quest’ultimo punto si dovrà necessariamente individuare un sistema di armonizzazione tra le due confliggenti pensioni soprattutto quando l’importo quasi identico fra le due pone l’assicurato di fronte al dilemma: «Ma chi me lo fa fare di pagare i contributi se poi incasserò una pensione più o meno uguale a quella sociale che avrei ottenuto senza pagare nulla?». Questi due punti sono i veri talloni d’Achille del sistema. Qual è il suo parere?

Paolo Di Primio Roma Primo punto: non è prevista la pensione ai superstiti, per cui in caso di morte i contributi versati vanno in fumo. Secondo punto: è tutto vero ciò che dice, ma ha dimenticato un dettaglio assolutamente non secondario: l’assegno sociale viene dato solo a chi ha redditi personali e coniugali ai limiti della sopravvivenza. Quindi il suo discorso è valido solo per chi si trova nella condizione di poter avere diritto all’assegno sociale. Ma se si trova in questa condizione, le chiedo: come può pagare il contributo (pari alle vecchie 50 mila lire al mese) per ottenere la pensione delle casalinghe? Quindi, a mio parere, il dilemma non si pone. Il problema nasce solo per chi è in condizione di pagare il contributo, per piccolo che sia, e sa di non poter avere l’assegno sociale. In questo caso bisogna stare attenti a ciò che si fa e fare bene i conti prima di iscriversi al Fondo. Anche perché la conseguente pensione, che sarà chiesta a 65 anni, non è legata alle variazioni del costo della vita. E anche questo è un elemento determinante per prendere una ponderata decisione.

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I congedi per i figli disabili

Sono sposata, ho un figlio di due anni e mezzo con un handicap grave, rivedibile ad aprile 2006. Sono dipendente ospedaliera (Inpdap) e mio marito versa contributi Inps. Posso usufruire lo stesso dei due anni di congedo retribuiti? Ho due fratelli con handicap grave e i nostri genitori sono morti: per loro usufruisco di tre giorni di permesso al mese, insieme a quelli spettanti per mio figlio. Se prendo i due anni per mio figlio, quando rientrerò al lavoro potrò prendere altri due anni per i miei fratelli? Due anni per tutti e due o due anni per ogni fratello? Ultima domanda: prendendo i due anni retribuiti si perdono i permessi dei tre giorni per i miei fratelli?

Rosaria Zingaro Roma Andiamo con ordine. Lei può chiedere i due anni di congedo per curare suo figlio, anche perché di recente la Corte costituzionale ha tolto di mezzo la condizione secondo cui per poter avere questo beneficio era necessario che la disabilità fosse stata dichiarata da almeno cinque anni. Ovviamente il congedo può essere chiesto anche da suo marito, in via alternativa, nel limite massimo complessivo dei due anni per entrambi i coniugi. Risposte negative alle altre due domande: a) consumato il biennio riconosciuto dalla legge, non si possono più avere congedi; b) è del tutto evidente che durante il congedo si perda il diritto ai permessi mensili per i fratelli, dal momento che si è lasciato il posto di lavoro. Un angosciante problema

Mio nipote ha lavorato dal 1970 al 1984 nella distribuzione alimentare arrivando alla qualifica di dirigente d’azienda. Ci fu detto che poteva rientrare nei 15 anni per avere la pensione minima se l’Inps avesse consentito di riscattare otto settimane che risultavano scoperte. Siamo riusciti a pagare il periodo mancante e, sempre in base ai consigli Inpdai, nel 2000 abbiamo chiesto il trasferimento di tutti i contributi all’Inps. Dai conteggi Inpdai, però, è emerso che l’anzianità era di soli 14 anni e 9 mesi, che quindi il pagamento delle otto settimane era stato inutile e, soprattutto, che non era stato raggiunto il diritto alla pensione minima. Chi aveva fatto i primi calcoli non si era accorto della sovrapposizione di alcuni periodi pagati sia all’Inps che all’Inpdai. Nel frattempo mio nipote ha accettato delle collaborazioni coordinate e continuative versando i contributi Inps ala gestione separata. Ormai ha 60 anni e scarse possibilità di lavoro: vogliamo aiutarlo a pagare i cinque anni e tre mesi di volontaria che mancano per arrivare al minimo. La domanda è stata però respinta perché proprio il lavoro parasubordinato non glielo consente. Perché mai?

T. P. Roma Purtroppo è proprio così. Per versare i contributi volontari quale ex lavoratore dipendente deve essere completamente disoccupato e non avere collaborazioni. Mi sembra che l’unica possibilità sia quella di esprimere opzione di trasferimento dei contributi da lavoro dipendente nella gestione separata. In tal modo raggiungerebbe subito il diritto alla pensione contributiva (avendo superato i requisiti minimi di 5 anni di contributi e 57 d’età). Per ottenere tutto ciò, però, è necessario che i contributi messi insieme diano luogo ad una pensione non inferiore alla misura dell’assegno sociale maggiorata del 20%, vale a dire una pensione 2004 di almeno 441,56 euro al mese. Se non toccherà tale quota, suo nipote dovrà versare altri contributi da co.co.co (anche volontari, se smette di lavorare) per raggiunge la soglia della pensione minima, oppure attendere i 65 anni. I tetti per l’integrazione al minimo

Pensionato al minimo, 77 anni, ho una pensione dalla Svizzera di 750 euro, (tassata alla fonte con trattenuta del 5%) e la casa in cui vivo. Avrò sempre diritto all’integrazione al minimo che ricevo oggi?

Felice Albertini Pergola (Pesaro) Non credo proprio. Chi ha redditi personali superiori a 10.716,68 euro lordi annui perde l’integrazione al minimo. Lei ha, se ho ben capito, una rendita di almeno 9.750 euro che, presa al lordo (presumo infatti che lei abbia indicato la cifra netta), probabilmente supera quel tetto. Lei, quindi, o non ha diritto più ad alcuna integrazione, oppure ne ha diritto in misura molto ridotta. Il ricongiungimento automatico

Ho versato contributi come lavoratore autonomo dal 1992 al 2001, e da allora sono dipendente. Ho sentito parlare di ricongiungimento: di cosa si tratta?

Giuseppe Mastrocola Lanciano (Ch) In base ad una legge del 1990 i contributi da lavoro autonomo si legano in automatico (senza doverlo chiedere) con quelli da lavoro dipendente, per dar luogo ad una sola pensione. In generale è superconveniente. In alcuni casi può convenire chiedere la pensione, ad esempio, solo con i contributi da dipendente (sempreché si raggiunga il diritto solo con essi) e poi il supplemento per quelli da lavoro autonomo, tenendoli distinti. Ma quasi sempre va bene l’automatico ricongiungimento.

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Due figli valgono otto mesi

A marzo 2005 compirò 57 anni, e nel 1995 avevo meno di 18 anni di contributi: vorrei quindi optare per il sistema contributivo. Ho due figli e vorrei fruire della legge 335/95 per anticipare i tempi e andare subito in pensione (otto mesi per due figli) e aggiungere sia il riscatto figurativo del periodo di maternità obbligatorio, sia il riscatto a pagamento per l’assenza facoltativa, per un totale di 11 mesi (ho già presentato domanda all’Inps). E’ corretto il ragionamento? Supererò ad agosto 2004 il minimo pensionabile del 20% senza aspettare il 2008? Allego estratto conto.

Laura Manesco Roma

Risposta affermativa su tutto il fronte. DIPENDENTI PUBBLICI ■ I dati dall’analisi su 2,4 milioni di rendite previdenziali della Pa

Pensione sì, ma anticipata La metà «lascia» dopo 20-25 anni di lavoro Percentuali più basse tra gli statali (18%) mentre il top (74,4%) si registra tra i maestri ROMA ■ Seppure dal 2008, il sistema pensionistico cambierà faccia. Lo impone la riforma approvata mercoledì scorso, anche se una parte del nuovo assetto rimane ancora da scrivere attraverso i decreti attuativi. Le nuove regole dovranno incidere anche su settori in cui rimangono ampie aree di privilegi.

È il caso del pubblico impiego, dove quasi la metà dei pensionati ha lasciato il lavoro prima del previsto. Secondo le rilevazioni della Ragioneria generale dello Stato, relative al 2002, su 2,4 milioni di trattamenti erogati dall'Inpdap il 46% sono di anzianità, con una punta che, per gli insegnanti d'asilo e delle elementari, va oltre il 74 per cento.

La scuola mantiene il primato perché anche tra i docenti delle secondarie si registra un alto numero di pensionamenti anticipati, più del 58%, quanti negli enti locali. Le percentuali si abbassano nel comparto statale (ministeri, aziende autonome, militari e Università), dove le pensioni di anzianità sono il 18 per cento.

Situazione ribaltata completamente nel settore privato: gli assegni di anzianità pagati dall'Inps rappresentano il 21,8% del totale.

SERVIZI A PAG. 7

Riforma alla prova DI GIULIANO CAZZOLA

La delega in materia previdenziale è finalmente legge dello Stato. Ma i problemi non sono finiti. Occorre dare attuazione, attraverso i decreti legislativi, a un provvedimento articolato per l'ampiezza delle questioni affrontate e per la necessità di fornire soluzioni lineari e coerenti a problemi delicati e complessi.

Sempre che, ovviamente, in autunno non si riapra il tormentone delle pensioni, nell'ambito di una manovra di bilancio che sarà chiamata a reperire 24 miliardi, di cui 17 da interventi di carattere strutturale. Volendo, tuttavia, rimanere all'interno della delega (senza prefigurare prossime misure urgenti tagliaspesa), molti aspetti sono lontani dall'essere chiariti.

CONTINUA A PAG. 7

Chi si è “ritirato” Le pensioni erogate nel pubblico impiego e la differenziazione dei comparti

Rendite Pensionati

Ivs* Anzianità Uomini 1.034.479 499.620

Donne 1.390.197 602.483

Totale 2.394.676 1.102.103

IL SOLE – 24 ORE PRIMA PAGINA Lunedì 2 Agosto 2004

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I COMPARTI

Enti locali 905.136 528.196

Maestri d’asilo ed elementari 12.406 9.226

Sanità 46.773 16.217

Scuola 712.400 416.342

Stato 715.645 131.427

Ufficiali giudiziari 2.322 695

*Invalidità, vecchiaia, superstiti Fonte: Ragioneria generale dello Stato (dati 2002)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE ■ Su quasi 2,4 milioni di trattamenti Inpdap nel 2002 il 46% è di anzianità – Nell’Inps sono il 21,8%

Un esercito di giovani pensionati La percentuale più elevata nella scuola: hanno lasciato il lavoro prima il 74,4% dei maestri e il 58,4% dei docenti delle secondarie Le ultime modifiche hanno in parte riallineato il quadro Uno dei meriti generalmente riconosciuti alla legislazione del decennio Novanta in materia di pensioni (normativa che ha avuto al centro la riforma Dini del 1995 ora – per l'esattezza domenica prossima, 8 agosto – al suo nono compleanno) è quello di aver impostato una sostanziale armonizzazione delle regole laddove esistevano vistose e radicate differenze, soprattutto tra il settore privato e quello delle pubbliche amministrazioni.

I privilegi della pubblica amministrazione. Certo, i dipendenti pubblici non erano i soli a godere di condizioni di miglior favore, ma, in conseguenza del loro numero, i diversi trattamenti – spesso a parità di condizioni – erano divenuti un motivo di malcontento all'interno del mondo del lavoro.

Balzava immediatamente in evidenza (il tema è caldo anche adesso) la questione dell'età pensionabile. A parte la vergogna delle baby pensioni (che, in alcuni casi, permettevano alle lavoratrici pubbliche uscite molto anticipate) era consentito, in generale, percepire il trattamento di anzianità dopo venti anni di servizio, se statali, oppure, se impiegati negli enti locali o nelle Usl, dopo 25 anni.

La riforma Prodi del 1997 ha riallineato, sia pure gradualmente, la normativa dei dipendenti pubblici con quella dei privati, anche per quanto riguarda il pensionamento di anzianità. Tale indirizzo è confermato dalla delega assegnata al Governo Berlusconi, la quale inasprisce i requisiti a decorrere dall'inizio del 2008.

Le positive correzioni degli ultimi anni non sono, però, state in grado di modificare la composizione dello stock, dove il numero dei trattamenti anticipati rimane ancora la causa assolutamente prevalente di quiescenza. Ne dà conto una pubblicazione della Ragioneria dello Stato, assai recente anche se i dati risalgono al 2002 (il ritardo non è, però, tale da pregiudicare la validità delle linee di tendenza; si vedano le tabelle).

Le pensioni di anzianità. Tra i pensionati pubblici (in totale quasi 2,4 milioni) il 46% (1,1 milioni) lo sono a titolo di anzianità. I, lavoratori maschi sono poco meno di 500mila, mentre le lavoratrici sono ben 602mila. In pratica, su 57 milioni di italiani, 4,2 cittadini sono pensionati, già dipendenti della pubblica amministrazione: di questi, quasi 2 hanno potuto avvalersi del ritiro anticipato.

Gli assegni erogati dall'Inpdap riconducibili a tale tipologia di pensione (calcolati sul numero complessivo delle prestazioni lvs) sono in maggioranza, quanto meno relativa, in tutte le aree geografiche del Paese: il 51 5% al Nord (il 52,3% dei maschi e il 50 9% delle femmine); il 43 5% al Centro (il 45,3% dei maschi e il 41,9% delle femmine); il 40,9% al Sud e nelle Isole (il 46,1 % dei maschi e il 36,4% delle femmine).

Considerando i diversi comparti, le percentuali più basse si trovano tra i pensionati statali (ex dipendenti dei ministeri, delle aziende autonome, militari, universitari: sono il 18,4%) e tra i sanitari-medici (34,7%); quelle più elevate nella scuola (74,4% tra i maestri d'asilo e delle elementari). Ci sono poi i docenti delle secondarie: il 58,4% ha lasciato il lavoro in anticipo, tanti quanti i dipendenti degli enti locali.

IL SOLE-24 ORE DEL LUNEDÌ ITALIA - POLITICA Lunedì 2 Agosto 2004 - N. 212 – PAGINA 7

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Il settore privato. Per avere un raffronto col mondo privato, che pure non scherza, si tenga conto che, nel complesso delle gestioni Inps, le pensioni di anzianità sono il 21,8% del totale. Un'altra fondamentale differenza con i regimi privati sta nell'ammontare della prestazione. Nell'Inps, in generale, il trattamento medio di anzianità è più elevato di quello di vecchiaia, perché il secondo, di solito, può contare su peggiori storie contributive. In pratica, il dipendente privato, quasi sempre, va in pensione di vecchiaia solo perché non può fare altrimenti e non è in grado di far valere i requisiti per l’anzianità.

Nel pubblico impiego succede il contrario: le pensioni di vecchiaia (e anche quelle conseguenti a una condizione di inabilità e cosiddette privilegiate poiché si avvalgono di un conteggio favorevole) sono generalmente più elevate, perché sostenute da carriere lavorative più lunghe.

In ogni caso – come si evince dalle tabelle – gli importi medi annui dei trattamenti riservati ai pubblici dipendenti sono abbastanza dignitosi, soprattutto se si pensa che sono riferiti allo stock delle pensioni vigenti.

ARTEMIO RUGGERI

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Ventimila insegnanti a riposo già a 50 anni È la scuola il comparto del pubblico impiego che vanta il primato delle pensioni di anzianità. Gli insegnanti d'asilo e delle elementari che hanno lasciato il lavoro in anticipo sono il 74,4 per cento. Ci sono, poi, i professori delle secondarie: in 416.342, il 58,4% del totale delle prestazioni Ivs, percepiscono una rendita di anzianità.

Restringendo l'analisi al comparto scuola più rilevante (quello delle secondarie) si rileva che l'importo medio annuo delle pensioni Ivs (17.766 euro) è sostanzialmente allineato con quello dell'intero stock riguardante tutte le tipologie (17.501). Sono state soprattutto le donne a essersi avvalse del pensionamento anticipato: 293.050 contro 123.292 uomini. L'importo medio annuo delle prime è superiore a quello dei maschi di circa 600 euro.

La geografia. È il Nord ad avere il maggior numero di trattamenti di anzianità: ben 132.600 donne (delle quali 43.191 in Lombardia) e 43.324 uomini. Nelle regioni del Centro vi sono rispettivamente 25.722 pensionati maschi e 62.276 femmine; nel Sud e nelle Isole si trovano in quiescenza anticipata 55.146 uomini e quasi 98mila donne. L'importo medio annuo erogato al Nord agli ex insegnanti di ambedue i sessi è inferiore a quello delle altre due aree.

L'età. Quasi 110mila pensionati dello stock hanno tuttora meno di 59 anni (oltre 74mila sono compresi nella fascia tra 55 e 59 anni); più di 293mila si sono avvalsi di un'anzianità contributiva compresa tra 20 e 39 anni. Tra le donne in pensione di anzianità solo 77.500 (su 293mila) hanno versato contributi per un periodo compreso tra 35 e 39 anni; le rimanenti hanno usufruito di una minore anzianità di servizio.

I circa 20mila ex dipendenti della Pubblica istruzione che sono andati in pensione con un'età inferiore a 50 anni, percepiscono un assegno medio annuo di 7.100 euro. Invece, la prestazione più elevata (in media pari a 19.133 euro) è percepita dai pensionati – di entrambi i sessi – di età compresa tra 75 e 79 anni, che hanno beneficiato delle regole più generose vigenti prima delle riforme pensionistiche.

Maggioranza femminile. Gli effetti della presenza nella scuola di una predominante componente femminile si riscontrano anche nella discreta consistenza delle pensioni ai superstiti (in tutto 104mila), una prestazione che di solito è percepita dalle donne, più longeve dei colleghi maschi.

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È, infine, bene ricordare che nel nostro Paese ci sono 1,25 insegnati in pensione su 100 italiani. Un altro dato che salta agli occhi riguarda il limitato numero di pensioni privilegiate (in sostanza, l'inabilità): nel comparto scuola sono in tutto 838, contro le quasi 100mila dello Stato.

I trattamenti di vecchiaia (190.885) sono meno della metà di quelli di anzianità. Anche in questo caso le donne surclassano (128.238) gli uomini (62.647). L'importo medio annuo di questa tipologia è di 21.400 euro per gli uomini e di 20.900 per le donne.

AR.RU. DALLA PRIMA Riforma alla prova

A parte il fatto che, strada facendo, il disegno di legge si è caricato di un rosario di norme particolari, la difficoltà non investe tanto le nuove regole attinenti alla previdenza obbligatoria, a proposito delle quali i criteri della delega sono abbastanza precisi e comprensibili. C'è forse l'esigenza di meglio definire aspetti come la cosiddetta certificazione dei diritti – la comunicazione con la quale gli enti previdenziali dovrebbero garantire che i lavoratori manterranno, pure in futuro, la possibilità di andare in pensione secondo le regole vigenti al momento dell'acquisizione del diritto anche se non se ne se ne sono avvalsi subito – o come la totalizzazione dei periodi contributivi, che si intende favorire ed estendere.

La parte della delega più oscura è, invece, quella riguardante la previdenza complementare. Sono previste norme che hanno un contenuto meramente programmatico e la cui attuazione è sottoposta al vincolo della disponibilità di risorse. La riforma prevede, infatti, una ridefinizione completa della disciplina fiscale della previdenza privata a capitalizzazione, con l'obiettivo di ampliare, a favore dei lavoratori dipendenti e dei titolari di piccole e medie imprese, la deducibilità della contribuzione alle forme pensionistiche complementari, siano esse collettive o individuali.

Inoltre, vanno meglio definite, a favore delle imprese (visto che il conferimento delle liquidazioni deve avvenire in assenza di oneri) le misure di compensazione in termini di facilità di accesso al credito e di equivalente riduzione del costo del lavoro: norme queste che comporteranno inevitabilmente una perdita di gettito.

Ma la trama più complicata da dipanare riguarda il rapporto tra i lavoratori e le forme di previdenza complementare. I criteri della delega sono attraversati da una folata di dirigismo. Si prevede, ad esempio, che «i fondi pensione possono dotarsi di linee di investimento tali da garantire rendimenti comparabili al tasso di rivalutazione del trattamento di fine rapporto»: il che apre la strada a tentazioni perniciose di rendimenti garantiti difficilmente conciliabili con la natura stessa della previdenza a capitalizzazione.

Merita poi una specifica attenzione la questione dello smobilizzo del Tfr (ora non più obbligatorio) dopo l'introduzione del principio del silenzio-assenso. Il lavoratore interessato potrà decidere di tenere per sé la liquidazione maturanda oppure scegliere la forma pensionistica privata a cui devolvere la propria quota. Se non esercita alcuna opzione, il decreto delegato dovrà definire le «modalità tacite di conferimento» del Tfr «ai fondi istituiti o promossi dalle regioni tramite loro strutture pubbliche o a partecipazione pubblica all'uopo istituite» oppure ai fondi su base contrattuale o di altro tipo. Come si farà a dare un indirizzo definito a una "non scelta" dell'interessato resta un mistero da scoprire.

Infine, nella delega è presente una norma di ardua interpretazione. Delle due l'una, infatti. O vi è il proposito del Governo di ricondurre verso l'Inps e gli altri Enti quote crescenti di Tfr oppure si tratta di una norma "di chiusura" – coerente nel precedente contesto, quando la dismissione del Tfr era un fatto obbligatorio – ma non più giustificata ora in un regime di libera scelta. Poiché il legislatore non commette errori, la prima interpretazione pare più realistica. Il punto 7 della lettera g) dell'articolo 1 prevede infatti «la costituzione, presso enti di previdenza obbligatoria, di forme pensionistiche alle quali destinare in via residuale le quote di Tfr non altrimenti devolute».

GIULIANO CAZZOLA

Le massime Pubblici ufficiali Quando scatta il reato di abuso d’ufficio Costituisce reato di abuso d'ufficio (articolo 323 del Codice penale) la condotta di chi esercita i poteri attribuitigli per scopi personali, privatizzando in tal modo la funzione che gli è stata affidata. Sulla base di queste considerazioni, la Corte ha ritenuto dovesse essere ravvisato il reato di abuso d'ufficio nella condotta di un appartenente alla Polizia di Stato, il quale, al solo fine di reagire a quella che aveva percepito come un'offesa nei confronti del fratello (gli era stato impedito l'accesso in una discoteca), aveva

IL SOLE-24 ORE DEL LUNEDÌ DIRITTO & SENTENZE Lunedì 2 Agosto 2004 - N. 212 – PAGINA 20

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abusivamente richiesto l'intervento di una "volante" al fine di procedere ad un controllo amministrativo nel locale.

Sezione VI, 23 giugno 2004, n. 28389

ENTI LOCALI & Pa PAGELLE ■ La Corte dei conti dà il voto ai ministeri e «rimanda» Istruzione, Interno e Welfare perché mancano gli obiettivi

Promossa la presidenza del Consiglio Buoni i risultati di Economia, Comunicazione e Infrastrutture, nota di merito alla Difesa Scuole con troppi precari Immigrati: gestione in tilt Promossi ma con riserva. Volendo riassumere, è questo il giudizio sui ministeri italiani che emerge dalla relazione della Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato per il 2003. Il rapporto sulla gestione finanziaria e sull'attività corrente dei diversi dicasteri mostra una realtà in evoluzione, con ampi settori dell'amministrazione statale che stanno recuperando il terreno perduto. Con tre eccezioni: Istruzione, Interno e Welfare, che faticano più degli altri a raggiungere gli obiettivi prefissati. Le differenze tuttavia non mancano.

Promossi. Innanzitutto la presidenza del Consiglio, che ha beneficiato dello snellimento («riconduzione all'essenziale», dice la Corte) operato dal segretario generale Catricalà. Grazie alla cessione di una serie di uffici o direzioni a beneficio degli altri ministeri, la presidenza è stata riorganizzata attorno al suo core business: supporto e coordinamento del premier nell'attività di governo. A detta della Corte dei conti, tuttavia, il processo non può ancora dirsi concluso, perché restano alcune competenze da smaltire.

Soddisfacenti sono anche i risultati di Economia e Comunicazioni. A via XX Settembre i miglioramenti interessano sia l'area Economia, con una nota di merito per la capacità di programmazione, lo stato dei controlli interni e la prosecuzione delle privatizzazioni, sia quella Finanze, in cui «va rimarcata – si legge – l'accelerazione del processo di aziendalizzazione». Per quanto riguarda il dicastero guidato da Maurizio Gasparri, la relazione si sofferma sugli adempimenti legati alla diffusione del "digitale terrestre" e riporta le attività messe in cantiere dal ministero per lo sviluppo di questa nuova tecnologia: contributi, agevolazioni, rilascio di abilitazioni.

La Corte dei conti riconosce anche i buoni risultati raggiunti dal ministero delle Infrastrutture. Un giudizio che si basa su due elementi: sono finalmente partite le procedure relative al programma di "grandi opere" varato dall'Esecutivo; il varo della cosiddetta patente a punti ha comportato una «diminuzione degli incidenti stradali e delle conseguenze alle persone».

Nota di merito, infine, anche per la Difesa, impegnata in importanti interventi di peacekeeping nonostante disponga di risorse finanziarie inferiori a quelle degli altri Paesi Nato, Beni culturali, che ha semplificato l'apparato burocratico e Salute, che ha rivisitato la struttura contabile.

Rimandati. Accomunati dalla Corte dei conti in quanto a ritardi, Interno, Istruzione e Lavoro nel 2003 hanno dovuto fronteggiare problematiche differenti. Nel caso del Viminale i maggiori ostacoli riguardano la trasformazione delle Prefetture (vedi altro articolo in questa pagina), gli adempimenti legati all'entrata in vigore della legge Bossi-Fini sull'immigrazione e l'emanazione del "regolamento d'asilo" per l'accoglienza dei clandestini.

Il ministero di Letizia Moratti sconta invece il mancato adeguamento del modello organizzativo alle competenze in materia di istruzione e di formazione professionali, che la riforma del titolo V attribuisce a Regioni, Province e Comuni, e il perdurare di una situazione di precariato diffuso tra gli insegnanti. La Corte rileva inoltre «ricorrenti fenomeni di eccedenze di pagamento» rispetto ai capitoli di spesa e il fatto di non aver ridotto il personale in organico.

Al Welfare viene rimproverato il ritardo nell'attività di monitoraggio degli interventi finanziari effettuati dal Fondo nazionale per le politiche sociali e nella fissazione del relativo regime sanzionatorio e la «stasi nello smaltimento dei residui del fondo per l'occupazione».

La Corte sollecita il ministero a una «celere emanazione» del nuovo regolamento di organizzazione. Stazionari. Un sostanziale equilibrio fra critiche ed elogi è la situazione che accomuna dicasteri

altrimenti diversi per struttura, compiti e dimensioni: Affari esteri, Ambiente, Attività produttive, Giustizia e Politiche agricole. I rilievi sono i più disparati. Si va dal lieve progresso della Giustizia nello smaltimento dei carichi di lavoro allo strano accentramento tra funzioni di indirizzo politico e compiti amministrativi realizzato dal ministero dell'Ambiente nella gestione dei fondi per la difesa del suolo e la tutela ambientale.

EUGENIO BRUNO

IL SOLE-24 ORE DEL LUNEDÌ Lunedì 2 Agosto 2004 - N. 212 – PAGINA 21

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Ministero Giudizio

Presidenza del Consiglio + Economia e Finanze - area Economia + - area Finanze + Attività produttive = Lavoro e politiche sociali - Giustizia = Affari esteri = Istruzione, università e ricerca - Interno - Ambiente e tutela del territorio = Infrastrutture e trasporti + Comunicazioni + Difesa + Politiche agricole e forestali = Beni e attività culturali + Salute +

FRANCHINO GLOSSARIO PRESIDENZA DEL CONSIGLIO. Tra i soggetti promossi per l'attività svolta nel 2003 c'è anche la presidenza del Consiglio che supporta il premier nell'attività di coordinamento amministrativo e legislativo e accorpa tutti i ministeri senza portafoglio: Rapporti con il Parlamento, Attuazione del programma di governo, Affari regionali, Politiche comunitarie, Innovazione, Funzione pubblica, Italiani nel mondo, Pari opportunità CORTE DEI CONTI. Istituita nel 1862, la Corte vigila sulle amministrazioni dello Stato, così da prevenire e impedire sperperi e cattive gestioni. In questa funzIone, ha assunto la veste di una magistratura, e risulta indipendente da Governo e Parlamento. La Corte è composta da magistrati e da personale amministrativo e svolge funzioni di controllo, giurisdizionali, amministrative e consultive. LE AGENZIE. II ministero di Via XX Settembre è suddiviso in area Economia e area Finanze. All'interno di quest'ultima sono comprese le quattro agenzie: Demanio, Dogane, Entrate e Territorio. Dall'economia dipendono anche i Monopoli di stato I PUNTI CRITICI Privatizzazioni «assenti» e troppi ritardi Delle 11 Agenzie previste ne esistono solo sei mentre gli UtG non sono ancora operativi Molte occasioni perse nel processo di riordino dell'amministrazione statale. Secondo l'ultima relazione della Corte dei conti sull'assetto organizzativo della Pa, nel 2003 sono state molte le scadenze non rispettate, altrettanti gli appuntamenti mancati. Come quello con le privatizzazioni.

Nonostante l'impegno profuso nelle tre ultime finanziarie e nonostante la necessità di ridurre la spesa pubblica, secondo la Corte non si sono realizzate privatizzazioni di enti e organismi pubblici. A parte il semplice riassetto di enti già trasformati in fondazioni. Le Finanziarie, dal 2002 al 2004, hanno insistito sulla

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riduzione degli enti pubblici, mediante fusioni, trasformazioni e privatizzazioni. I criteri per individuare gli organismi da trasformare o da sopprimere erano la riduzione della spesa di funzionamento delle amministrazioni, l'incremento della loro efficienza, il miglioramento del servizio pubblico. Sono stati emanati decreti legislativi che hanno variamente riordinato enti e istituzioni, ma di privatizzazioni vere e proprie neanche l'ombra.

Le Agenzie. Anche in questo caso, la Corte individua una situazione di stasi nel processo di riordino. Le Agenzie sono strutture tecnico-operative dei ministeri, deputate allo svolgimento di attività specialistiche. Nonostante il Dlgs del 1999 e la proroga dell'autorizzazione al Governo a trasformare o sopprimere enti, non sono ancora tutte operative. Delle 11 Agenzie previste, ne risultano oggi in attività soltanto sei (Agenzia industrie difesa, Agenzia per la protezione dell'ambiente e quattro Agenzie fiscali). Sono state invece soppresse l'Agenzia delle comunicazioni e quella della protezione civile. Da questa situazione deriva la persistente attribuzione dei compiti tecnici a uffici ministeriali. E non sembrano risolte neanche le incertezze nella ripartizione delle competenze regionali in alcuni dei settori nei quali svolgerebbero la loro attività le Agenzie.

Fermi gli UtG. Gli Uffici territoriali del Governo, invece, non hanno mai raggiunto la soglia dell'operatività. Nelle intenzioni del Governo, dovevano essere decisivi nel processo di ridimensionamento e semplificazione organizzativa dell'amministrazione statale in ambito territoriale. In essi avrebbero dovuto confluire le preesistenti articolazione periferiche dei ministeri. Nella realtà, gli Uffici non sono mai diventati operativi a causa delle resistenze opposte dalle amministrazioni centrali, contro l'assorbimento di una quota di uffici statali. Prendendo atto della mancata realizzazione degli UtG, sono state riportate al Prefetto le funzioni nei confronti degli uffici statali periferici. In quest'attività, il prefetto è coadiuvato da una conferenza provinciale permanente composta dai responsabili di tutte le strutture amministrative periferiche dello Stato che svolgono la loro attività nella Provincia e dai rappresentanti degli enti locali. II prefetto del capoluogo di Regione è coadiuvato anche dalla conferenza permanente dei rappresentanti delle strutture periferiche dello Stato, alla quale possono essere invitati i rappresentanti della Regione.

LU.B. Comitato di controllo / Il Presidente Zampini La ricetta per l’efficienza «Circondarsi di dirigenti esperti e competenti, organizzare un buon controllo interno, curare la fase iniziale della programmazione». Mauro Zampini, presidente del Comitato tecnico scientifico per il coordinamento in materia di valutazione e controllo strategico nelle amministrazioni locali presso la Presidenza del consiglio, non ha dubbi: per rendere efficienti i propri dicasteri, «i ministri devono assumersi la responsabilità della fase iniziale della programmazione. II loro è un ruolo simile a quello che un amministratore delegato ha all'interno di un'azienda».

Un ruolo che gli attuali ministri riescono ad assumere? Chi più, chi meno. Sicuramente c'è un progresso in corso. Proviamo a fare dei nomi? Non è mio compito fare pagelle. Sicuramente, però, i ministeri della Giustizia, dell'Interno e della

Difesa hanno buoni livelli di programmazione. Ma oltre a programmare quale dovrebbe essere il ruolo di un ministro alla ricerca

dell'efficienza? Quello di fissare gli obiettivi, di costruire un efficiente sistema di controllo interno messo in mano a

esperti e quello di nominare i massimi dirigenti, non con arbitrio ma tenendo conto delle loro competenze. Il tutto tenendo fuori la politica dalla gestione amministrativa.

Cosa realizzabile in Italia? La tradizione culturale italiana vuole che spesso i ministri delighino funzioni di loro competenza e

assumino la gestione di momenti che esulano dal loro compito. Qualcosa sta cambiando rispetto alla Prima Repubblica ma la spinta propulsiva degli anni '90 sta scemando.

Cosa è cambiato? In quegli anni al centro c'era la riforma della pubblica amministrazione. Leggi sono state anche fatte.

Ma questo non basta: bisogna passare dalla fase legislativa all'amministrazione reale spesso impermeabile ai cambiamenti. Ho auspicato che l'efficienza fosse al centro di una riunione del Consiglio dei Ministri. Questo non è mai avvenuto, l'efficienza è uscita dall'agenda politica.

D.CIO. Il sindacato / Foccillo, segretario confederale Uil Valorizzare il personale «L'efficienza dei ministeri non può prescindere dalla valorizzazione del personale e da una politica che investa in maniera mirata sulle risorse umane e sulla capacità organizzativa». Punti deboli di una struttura «dalle grandi potenzialità», secondo Antonio Fuccillo, segretario confederale della Uil, sui quali «il sindacato

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era riuscito, nel '97, a portare dalla sua il Governo Prodi e in particolare l'allora ministro alla Funzione pubblica Franco Bassanini».

E ora qual è la situazione? È in atto un'inversione di tendenza dove la politica si riappropria del controllo della dirigenza senza

valutare nel merito l'operato dei singoli. Dunque la politica come freno all'efficienza? Bisogna distinguere tra gestione e indirizzo. Quest'ultimo deve rimanere di competenza della politica

per non tradire la volontà degli elettori. Ma la responsabilità gestionale deve far capo alla dirigenza che deve essere valutata in base al suo operato. È necessario responsabilizzare la macchina burocratica valorizzandola se lavora bene, penalizzandola in caso di disfunzioni.

Anche economicamente? Certo, perchè non legare il 40% dello stipendio al risultato del lavoro e alla sua efficienza?

L'investimento sulle risorse umane e sulla capacità organizzativa è fondamentale. E invece? Invece assistiamo a una fase di destrutturazione dove a ogni Finanziaria si tagliano i fondi e dove si

fa sempre più ricorso all'esternalizzazione dei servizi a scapito delle fasce più deboli. Il tutto per ridurre i costi senza guardare all'incoerenza del sistema.

Quale incoerenza? Il frequente ricorso a costose consulenze esterne, invece che puntare sull'organico interno che

anche nei ministeri soffre la precarietà. Come sindacato abbiamo accettatto forme d'inserimento flessibile come il telelavoro, ma è necessario trovare anche strumenti di accesso al tempo indeterminato oggi ottenibile solo attraverso concorso. Non c'è efficienza in un lavoratore senza dignità.

D.CIO. PROMO PA ■ Il Ddl per il 2005 mira a snellire i tempi ma non elimina la causa delle lungaggini

Semplificare? Taglio alle pratiche inutili «Sono tanti 18 mesi per i decreti attuativi» Non si può che essere d'accordo con i commenti critici al disegno di legge delega di semplificazione amministrativa 2005. Viene giustamente rilevata la lunghezza del termine (18 mesi) per l'emanazione dei decreti legislativi di attuazione, che appare quasi provocatorio di fronte alle sollecitazioni che vengono dal mondo delle imprese, specie piccole e una mistificazione dello stesso concetto di semplificazione, dimostrata dal fatto che gli ultimi due governi – con un'unica logica bipartisan – sembrano aver emanato più norme di "complicazione" di quante ne siano state abolite.

Quest'ultima considerazione merita di essere approfondita perché evidenzia una visione della semplificazione, concepita principalmente come necessità di rendere meno farraginose le procedure quando il vero obiettivo è quello di eliminarne – ove possibile – la causa.

Quando qualche anno fa, durante un convegno, un relatore illustrò con soddisfazione la riduzione delle procedure per il rinnovo della patente un collega straniero ironicamente fece notare che il problema nel suo Paese non esisteva perchè le patenti una volta rilasciate non andavano rinnovate.

Eliminare, anziché solamente semplificare, autorizzazioni concessioni e permessi inutili significa anche porre le condizioni per ridurre gli apparati pubblici e per evitare che un certo tipo di semplificazione, basata solo sugli aggiustamenti procedurali si riduca a un turnover normativo, che inevitabilmente continuerà a produrre più norme di quante non riesca a eliminarne. Eliminare quanto possibile e semplificare il resto è sicuramente una delle condizioni perché il sistema pubblico non sia di ostacolo allo sviluppo.

L'interlocutore di queste giuste aspirazioni è senz'altro lo stato centrale ma non basta perché le riforme prodotte dal centro hanno i difetti di essere calate dall'alto, non incidono sull'atteggiamento culturale e sui conseguenti comportamenti degli addetti ai lavori, anche perché raramente sono frutto di una sperimentazione dal vivo: si pensi al tema dello sportello unico a oggi ancora sconosciuto in troppe realtà locali, nonostante gli ingenti investimenti pubblici per farlo decollare. Per non parlare dei tempi troppo lunghi, come dimostrato dal citato disegno di legge.

Per questi motivi è forse illusorio pensare che la riforma della pubblica amministrazione, che è stata recentemente e autorevolmente riproposta come priorità, possa essere affidata sul versante della semplificazione solo a una task force ministeriale, che dovrebbe avere l'autorevolezza, la determinazione e gli strumenti per incidere sui comportamenti dei soggetti istituzionali e degli operatori.

Bisogna ormai fare i conti con un decentramento avviato e con un processo di federalismo, che nelle varie accezioni che vengono proposte (da quello più radicale a quello "ragionevole "a quello "solidale") ha comunque raggiunto un punto di non ritorno.

Se così è le Regioni sono interlocutori necessari e indispensabili per promuovere una diversa cultura amministrativa sul proprio territorio, orientata a costruire sistemi pubblici locali più attenti alle esigenze di imprese e cittadini. Esse hanno per la molte materie competenze legislative che possono esercitarsi in concreti atti di deregulation e semplificazione e una maggiore oggettiva possibilità di verificare l'esito di processi di semplificazione in tavoli di confronto con le categorie. Inoltre in un contesto socio economico omogeneo è più facilmente realizzabile un'azione mirata a incidere positivamente sui comportamenti dei

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funzionari pubblici, sviluppando: un processo di coesione amministrativa, intesa come capacità di raccordarsi fra soggetti di amministrazioni diverse, ma consapevoli di appartenere a un sistema pubblico, la cui unitarietà è data dall'appartenere o comunque dal risiedere nella stessa Regione; una condivisione culturale su principi di buona amministrazione, basati su una nuova etica delle responsabilità, da cui non può prescindere un sistema pubblico efficiente; una valorizzazione delle "buone pratiche", validate dalle categorie piuttosto che dichiarate in modo autoreferenziale.

Su questi temi PromoPa ha attivato una riflessione con le Regioni più sensibili all'innovazione e intenzionate a assumersi la responsabilità di attivare, nei confronti di tutti i funzionari pubblici che risiedono sui propri territori, un processo di rifondazione di una "corporate culture" comune, anche per fronteggiare quell'eccesso di localismo – ma anche e forse soprattutto di particolarismo, derivante dall'iperfrazionamento delle competenze – recentemente autorevolmente denunciato.

GAETANO SCOGNAMIGLIO [email protected] Undici Garanti a difesa del cittadino Dal Fisco alla Privacy, di cosa si occupano le Authority

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Vigila sui comportamenti che impediscono la libera concorrenza e sulla correttezza dei messaggi pubblicitari. www.agcm.it

Autorità per la Vigilanza sui lavori pubblici. Attraverso decisioni e pareri vigila sulla qualità delle opere e dei lavori pubblici. www.autoritalavoripubblici.it

Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Ha funzioni di vigilanza, controllo e regolamentazione nei settori dell'editoria, radiotelevisivo e delle telecomunicazioni. www.agcom.it

Autorità per l'Energia elettrica e il gas. Controlla le modalità di accesso ai servizi e si occupa di determinare e aggiornare le tariffe. www.autorita.energia.it

Centro nazionale per l'Informatica nella pubblica amministrazione. Pianificazione, progettazione, realizzazione e gestione di sistemi informativi negli uffici pubblici. www.aipa.it

Commissione vigilanza fondi pensione. Autorizza l'attivazione dei fondi pensione. www.covip.it Consob. la Commissione nazionale per le società e la Borsa è l'autorità di controllo dei mercati valutari

italiano. www.consob.it Garante per la protezione dei dati personali. Si occupa della tutela della privacy dei cittadini.

www.garanteprivacy.it Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e d'interesse collettivo. Ha funzioni di controllo

nel settore delle assicurazioni. www.isvap.it Autorità garanti del contribuente per il fisco e la burocrazia. In ogni Regione d'Italia esiste un

Garante del contribuente, che si occupa delle segnalazioni dei cittadini su disfunzioni e irregolarità del Fisco. www.finanze.it

Agenzia per le organizzazioni senza scopo di lucro di utilità sociale. Vigila sull'applicazione delle norme fiscali da parte delle Onlus e sull'attività di raccolta fondi e finanziamenti. www.agenziaperleonlus.it

INTERVENTO ■ Perché in Italia le società di lavoro temporaneo non riescono a generare ricchezza

Risorse umane, non conta solo il prezzo Il mercato è cresciuto ma i profitti rimangono esigui Ora la legge Biagi offre opportunità di sviluppo

DI GABRIELE PILLITTERI* Con l'introduzione nel 1997 della legge che regola l'utilizzo del lavoro temporaneo, si è formato anche in Italia il nuovo mercato della risorsa umana. Proprio come un biscotto o un detersivo, si tratta di un prodotto che dovrebbe essere analizzato, studiato e, quando è possibile, migliorato dalle società di lavoro temporaneo per poterlo offrire alle imprese clienti con un prezzo remunerativo.

A distanza di sei anni, il valore del mercato ha raggiunto e superato la cifra di tre miliardi di euro; la previsione per il prossimo triennio è di una crescita più contenuta, ma sempre nell'ordine dell'otto-dieci per cento medio annuo in più. Il valore del mercato – di fatto il fatturato delle società – si ottiene moltiplicando il prezzo orario della risorsa per il numero delle ore lavorate. Di conseguenza, il ricavo lordo delle società di lavoro temporaneo si ottiene sottraendo dal fatturato il costo della risorsa umana.

Naturalmente i costi non finiscono qui. Al costo del lavoro bisogna aggiungere anche il costo della gestione amministrativa, i costi di vendita e di marketing, i costi generali. Nondimeno, l'attività nasconde un

IL SOLE-24 ORE DEL LUNEDÌ AFFARI PRIVATI Lunedì 2 Agosto 2004 - N. 212 – PAGINA 25

IL SOLE-24 ORE DEL LUNEDÌ LAVORO & CARRIERE Lunedì 2 Agosto 2004 - N. 212 – PAGINA 28

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rischio-prodotto che si rivela al termine della missione del lavoratore; poiché l'impresa paga solo le ore lavorate, i giorni di malattia sono a carico della società di lavoro temporaneo che ha assunto il lavoratore.

Alla crescita del mercato hanno concorso due fattori: la vivacità della domanda delle imprese e la disponibilità del prodotto risorsa umana. Una felice combinazione che avrebbe dovuto favorire la realizzazione di buoni margini di guadagno. Invece gran parte delle 70 società autorizzate dal ministero del Lavoro presentano bilanci in rosso, mentre quelle in attivo (poche in verità) hanno profitti esigui, insufficienti per remunerare gli investimenti ed il cash necessario per fare da banca ai clienti che pagano il fornitore a 60, 90, 120 giorni e in taluni casi a «babbo morto». Le società di lavoro temporaneo, invece, devono pagare i lavoratori assunti puntualmente una o due volte al mese.

Perdere soldi in un mercato che è cresciuto con i ritmi vertiginosi dei mercati tecnologici è un fenomeno solo italiano. Negli anni 70 agli albori del mercato in Francia, Inghilterra, Olanda, è stato proprio nella fase di partenza che le società hanno fatto buoni profitti. Hanno quindi potuto alzare il livello qualitativo del servizio, quotarsi in Borsa e, con i nuovi capitali, espandere il business in settori di media ed alta specializzazione. Niente di tutto ciò è avvenuto in Italia.

Il fatto è che il nostro è un paese estremamente resistente al cambiamento, non solo nella politica e nella società, ma anche nel mondo del lavoro. Sindacati e imprese si muovono due passi avanti e uno indietro, astutamente e con circospezione alla ricerca di settori protetti. Il caso del lavoro temporaneo è emblematico. Le società hanno creduto che il fattore di successo fosse dovuto alla limitazione della competizione implicitamente garantita dalle condizioni per il rilascio dell'autorizzazione dal ministero del Lavoro. Solo che l'autorizzazione contemplava un unico ed esclusivo oggetto sociale: la fornitura di lavoro temporaneo.

Venendo a mancare la possibilità di modificare il mix dell'offerta, le imprese hanno utilizzato il prezzo come leva competitiva; la via più facile ma anche la via della commodity e della banalizzazione. Peter Drucker ci ricorda che quando la competizione avviene col prezzo e non col servizio l'organizzazione tende ad assomigliare ad un organismo biologico il cui fine è la sopravvivenza. Invece le organizzazioni sono mezzi che hanno l'obiettivo di massimizzare le capacità dell'impresa nella creazione di ricchezza.

Che le società di lavoro temporaneo non siano in grado, salvo rarissime eccezioni, di generare ricchezza determina inevitabilmente l'allontanamento dal settore delle persone più qualificate e ricche di talento; conseguentemente viene a mancare anche la capacità di valorizzare il prodotto risorsa umana. Per questo, anche l'impresa che fa del prezzo il motivo centrale per l’impiego temporaneo della risorsa umana, dimostra poca lungimiranza; dimentica che in futuro avrà sempre più bisogno di personale qualificato e flessibile. È come la massaia svogliata che al supermercato compra le offerte speciali ma non controlla gli ingredienti e il rapporto peso-qualità-prezzo. Entrambi perdono di vista l'unica cosa che realmente conti nella formazione del prezzo: il rendimento del prodotto.

Le criticità che rendono anemico il mercato potrebbero in gran parte venir rimosse dalla nuova legge che regola il mercato del lavoro, nota come Legge Biagi. Essa elimina l'handicap dell'esclusività dell'oggetto sociale e permette alle società di lavoro temporaneo, che assumono ora la nuova denominazione agenzia per il lavoro (salvo quelle che non dispongono delle risorse finanziarie necessarie per richiedere la nuova autorizzazione), di offrire all'impresa non solo la flessibilità del lavoro temporaneo, non solo la flessibilità organizzata per i processi di lavoro (staff leasing e appalto di servizi) ma il più articolato e completo ventaglio di servizi e specializzazioni per l'ottimizzazione e la valorizzazione delle risorse.

Le agenzie per il lavoro hanno l'opportunità di offrire lo strumento di flessibilità coerente con la missione delle imprese e le risorse umane a un prezzo "variabile" in funzione della qualità e del rendimento. Una legge questa che vale per tutti.

* Progetto Lavoro

PUBBLICO IMPIEGO QUALI VANTAGGI DERIVANO DAGLI ANNI NELL’ESERCITO 3380 Sono dipendente dell'amministrazione provinciale con qualifica di istruttore contabile – C2. Ho prestato servizio militare di leva per 10 mesi; per 14 mesi servizio militare come ufficiale di prima nomina e per altri 24 mesi per ferma breve volontaria. Ai sensi dell'articolo 20 della legge 958 del 24 dicembre 1986, questo servizio è valido, così come recita la legge: «...a tutti gli effetti per l'inquadramento economico...». In materia, ho trovato numerose sentenze che confermerebbero il dettato di legge ma, nella mia amministrazione si sostiene che io posso riscattare tutto il periodo del servizio militare soltanto ai fini pensionistici.

Nel periodo relativo al servizio militare prestato, essendo stato impiegato in missioni all'estero per conto dell'Onu, mi sono stati riconosciuti con decreto del ministero della Difesa i cosiddetti «benefici combattentistici» che, ai sensi della legge 24 maggio 1970, n. 336, e della legge 1746/62, opererebbero in favore dei dipendenti civili degli enti pubblici ex combattenti. L'area risorse umane del mio ente asserisce che: «i benefici sono attribuiti alla cessazione del servizio per qualsiasi causa». In altre parole dovrei licenziarmi o andare in pensione.

IL SOLE-24 ORE DEL LUNEDÌ L’esperto risponde 1436 e 1437 - Numero cinquantotto - 2 agosto 2004

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Lettera firmata – CASAGIOVE Con l'articolo 20 della legge 958/86 (che ha previsto la validità del servizio militare a tutti gli effetti per l'inquadramento economico e per la determinazione dell'anzianità lavorativa ai fini del trattamento previdenziale) il legislatore ha inteso attribuire un particolare beneficio ai dipendenti dello Stato e di altri enti pubblici non economici, in connessione con la natura pubblica del rapporto di lavoro dagli stessi instaurato.

L'utilità di questo servizio ai fini dell'inquadramento economico del pubblico dipendente è stata dalla giurisprudenza più recente fatta dipendere in concreto dalla struttura della retribuzione come determinata dalle norme proprie di ciascun ordinamento particolare, in modo che, facendo il vigente ordinamento giuridico – economico dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni esclusivo riferimento a una struttura retributiva basata non sulla progressione economica correlata all'anzianità di servizio, ma sul diverso principio in virtù del quale lo stipendio va determinato tenendo conto dell'ammontare annuo lordo contrattualmente determinato per ciascuna qualifica funzionale, cui si somma l'importo del salario di anzianità (che, bloccato alla data del 31 dicembre 1986, rappresenta una voce specifica di incremento retributivo, che resta in godimento del singolo), «l'attuazione concreta del principio contenuto nell'articolo 20 della legge 24 dicembre 1986, n. 958, necessita di un ulteriore intervento normativo» (Consiglio di Stato, sezione V, 9 dicembre 2002, n. 6709 ).

Quanto alla legge 336/70, le relative previsioni attengono alla possibilità, per tutto il personale ex combattente e assimilato, di ottenere il computo delle campagne di guerra o di altro diverso periodo di servizio militare, ai fini del conseguimento di aumenti stipendiali o pensionistici, o di altre agevolazioni riguardanti il collocamento a riposo.

Quanto, in particolare, al diritto ad aumenti stipendiali (articolo 1 della legge 336/70), lo stesso, a seguito della cosiddetta privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, sopravvive soltanto nella misura in cui una esplicita conferma del beneficio sia rinvenibile nelle disposizioni recate dalla contrattazione collettiva intervenuta dal 1995 in avanti.

IL TFR E L'ASPETTATIVA PER CARICHE PUBBLICHE 3381 Vorrei sapere se il rimborso da parte dell'amministrazione locale della quota annuale di Tfr maturata da dipendenti privati in aspettativa per cariche pubbliche, contemplato dall'articolo 86, comma 3 del Testo unico delle leggi sugli ordinamenti degli enti locali è previsto soltanto per i dipendenti che ricoprono le cariche di cui al comma 1 del medesimo articolo; se l'amministrazione locale debba riconoscere al datore di lavoro anche l'eventuale residuo a carico dell'amministratore (differenza tra quota annua Tfr e quota a carico dell'ente pari a 1/12 dell'indennità di carica annua), rivalendosi su quest'ultimo, o se il predetto residuo debba essere richiesto dal datore di lavoro e, infine, se debba essere comunque accantonato dal datore di lavoro il Tfr maturato nel periodo di aspettativa per quei dipendenti che ricoprono cariche eventualmente escluse dal rimboso in questione e per gli eletti nel Parlamento nazionale e nei Consigli regionali.

Piero Pistolesi - ROMA Si risponde nell'ordine: • gli oneri posti a carico delle amministrazioni locali dalle disposizioni di cui ai primi tre commi

dell'articolo 86 citato nel quesito concernono esclusivamente gli amministratori, che rivestano le cariche, di cui al comma 1 dello stesso articolo; • il comma 3, nel prevedere che «l'amministrazione locale provvede, altresì, a rimborsare al datore di

lavoro la quota annuale di accantonamento per l'indennità di fine rapporto entro i limiti di un dodicesimo dell'indennità di carica annua da parte dell'ente e per l'eventuale residuo da parte dell'amministratore», sembra disegnare un sistema in cui ciascuno dei soggetti obbligati (amministrazione e amministratore) provvede al diretto versamento al datore di lavoro della quota di rispettiva competenza; • l'accantonamento delle quote per indennità di fine rapporto sembra spettare, per il periodo trascorso

in aspettativa non retribuita, al dipendente privato chiamato a ricoprire una delle cariche elettive di cui all'articolo 77, comma 2, del Dlgs 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali – si veda il relativo articolo 81, che al secondo periodo prevede che «il periodo di aspettativa è considerato come servizio effettivamente prestato ...»), in modo che si rende in questo caso applicabile per analogia la disposizione del comma 3 dell'articolo 2120 del Codice civile, con oneri a carico del lavoratore; • per quanto riguarda i lavoratori privati eletti membri del Parlamento nazionale o di assemblee

regionali, si applica l'articolo 31 dello Statuto dei lavoratori, che prevede che i lavoratori eletti membri del Parlamento nazionale o di assemblee regionali ovvero che siano chiamati ad altre funzioni pubbliche elettive o a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali hanno diritto di essere collocati in aspettativa non retribuita per tutta la durata del loro mandato.

IL SOLE-24 ORE DEL LUNEDÌ L’esperto risponde 1437 e 1438 - Numero cinquantotto - 2 agosto 2004

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L'articolo 31 ha espressamente e tassativamente indicato a quali fini sono considerati utili i periodi di aspettativa sindacale, limitando la propria previsione alla pensione e agli istituti previdenziali e mostrando così di voler escludere altri effetti a carico del datore di lavoro, quali quelli connessi all'istituto del trattamento di fine rapporto (in senso difforme, con riferimento al diritto all'indennità di anzianità ex articolo 2120, vecchio testo, del Codice civile, si veda Tribunale Milano, 19 dicembre 1990). I TEMPI PER LA DOMANDA DELL'INDENNITÀ INTEGRATIVA 3382 Vedova dal 1987 di un dipendente statale posto in quiescienza nel 1978, vorrei sapere se posso beneficiare degli effetti della sentenza della Corte costituzionale 243/93 e vedermi liquidata l'indennità integrativa speciale non computata a suo tempo, nel calcolo della buonuscita del coniuge deceduto.

Preciso di averla richiesta con lettera raccomandata indirizzata all'Inpdap l'anno scorso. Vorrei sapere se la richiesta è stata corretta e non sia incorsa alcuna prescrizione.

Giuseppe Montone - SPEZZZANO ALB. La legge 87/94, emanata in attuazione dei principi enunciati dalla Corte costituzionale (243 del 1993), ha disposto che l'ulteriore quota dell'indennità di buonuscita, derivante dal computo dell'indennità integrativa speciale, fosse erogata anche ai dipendenti pubblici che erano stati collocati a riposo entro un arco temporale corrente dal 1° dicembre 1984 alla data della sua entrata in vigore, nonché a coloro per i quali, collocati a riposo entro il 30 novembre 1984, non fossero giuridicamente esauriti i rapporti attinenti alla liquidazione dell'indennità di buonuscita, intendendosi per tali quelli per i quali fosse comunque pendente un giudizio, oppure quelli, rispetto ai quali risultasse interrotta la prescrizione (si veda Consiglio di Stato, sezione VI, 3 settembre 2003, n. 4886 e Tar Abruzzo, L'Aquila, 16 giugno 2003, n. 390). Tuttavia, la norma prevede espressamente che i dipendenti cessati dal servizio alla data di entrata in vigore della legge proponessero una domanda entro il termine di decadenza del 30 settembre 1994, sì che l'intempestiva presentazione della domanda comporta la perdita del relativo diritto, essendosi il rapporto previdenziale prescritto. A cura di Salvatore Cacace Dure critiche dai sindacati alla politica economica. Musi (Uil): l’autunno sarà caldo

Pezzotta: il governo cambi linea Più possibilista la Confindustria: ok al metodo, ora l’esecutivo sia incisivo nei fatti ROMA – Per il progetto economico del governo niente rinvio a settembre, ma bocciatura totale. Il ”no” dei sindacati, chiaro e tondo, viene pronunciato davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato. «La poesia - dice quasi scherzando il leader Cisl, Pezzotta - è sempre la stessa: questo Dpef non ci piace». I motivi di dissenso su una manovra più pesante di quella del ’92, e che non può avere il paracadute della svalutazione monetaria, si chiamano fisco, investimenti, occupazione e inflazione programmata, fissata al tasso «irrealistico» dell’1,6%. «Siamo disponibili - avverte Pezzotta - ad avviare i confronti chiesti dal governo, se però la controparte si mette nella condizione di poter cambiare idea. Altrimenti, non serve a nulla». La stroncatura arriva anche dal numero due Uil, Musi, che parla di «documento che contiene solo tanto rigore e zero programmazione, che non fa niente per favorire le politiche sociali e destinare risorse a chi ne ha più bisogno». Quanto a Siniscalco, «come una rondine non fa primavera, anche un buon ministro, intellettualmente onesto, non può fare un autunno sereno». Anzi, con simili premesse, l’autunno sarà caldo.

Per la Cgil, il responsabile economico Lapadula contesta alla base il Dpef da 24 miliardi, affermando che la prevista crescita del 2,1% non è attendibile e che, anzi, le misure deprimeranno il Pil dello 0,5-0,6%. Tagliente la replica alla ricetta della Corte dei Conti: ridurre gli stipendi pubblici per limitare la spesa. «Da che pulpito arriva la predica, - osserva Lapadula - ci sono burocrati, anche magistrati del Consiglio di Stato, che vanno in pensione a 65-66 anni e vengono riassunti con contratti di consulenza». Duro pure Pezzotta: «Da una parte si invoca la ripresa dei consumi, dall’altra si chiede di sforbiciare gli stipendi; è il massimo della contraddizione. Piuttosto, il governo rinnovi i contratti aperti».

Rispetto alla chiusura dei sindacati, la posizione degli imprenditori è più possibilista. Il metodo del confronto va bene, - spiega il direttore generale di Confindustria, Maurizio Beretta - ma ora il governo metta in campo «provvedimenti concreti e incisivi», cominciando da un «consistente» taglio all’Irap. I sostegni alla ricerca e innovazione devono accompagnarsi a quelli diretti al Mezzogiorno, anche attraverso la fiscalità di vantaggio, e agli interventi per far funzionare meglio mercati e concorrenza. Il tutto nel quadro di «una grande stagione di investimenti privati e pubblici», che servano da volano allo sviluppo. Per le piccole

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imprese, la Confapi batte sul tasto degli incentivi mirati e selettivi. Tra le altre parti sociali consultate in commissione, l’Ugl suggerisce di inasprire la lotta al lavoro nero, la Lega coop insiste per l’alleggerimento dell’Irap, la Coldiretti propone di mettere a regime gli ultimi pacchetti di norme fiscali per l’agricoltura.

P. C. L’INTERVENTO

Troppi poteri al primo ministro nella riforma della Cdl «Distrutte le attuali garanzie costituzionali, il capo del governo diventa il padrone della vita della Camera»

di LEOPOLDO ELIA DICIASSETTE costituzionalisti di Magna Carta dicono sì al nuovo premierato previsto dal disegno di legge costituzionale sulle riforme della Costituzione (seconda parte) in discussone alla Camera dei deputati, dopo la prima approvazione al Senato nel marzo scorso; sessanta costituzionalisti dicono no nel volume di ASTRID ”Costituzione una riforma sbagliata”, a cura di Franco Bassanini, Passigli editori. Il ventaglio degli studiosi che esprimono un giudizio negativo è molto ampio e variegato comprendendo tra gli altri, cito a caso, Baldassarre e Sartori, Amato e Pace, Carlassare e Pizzetti. Innanzitutto i sessanta contestano l'affermazione di partenza del documento di Magna Carta: non corrisponde alla realtà delle democrazie a forma di governo parlamentare che i poteri attribuiti al Primo Ministro dal testo della riforma siano "equivalenti a quelli che gli spettano nelle altre democrazie europee". Invece il potere di scioglimento della Camera dei deputati, permanente e incondizionato, è senza dubbio eccedente sia rispetto al modello inglese che a quello tedesco. In questi ordinamenti il Premier e il Cancelliere sono stati più volte sostituiti in corso di legislatura, perché il controllo dei gruppi parlamentari di maggioranza è davvero efficace e non neutralizzabile con un uso del potere di scioglimento preventivo e indiscriminato da parte del Premier o del Cancelliere. Così sono stati sostituiti Churchill, Eden, MacMillan e la Tatcher; e in Germania, Adenauer, Erhard, Schmidt, quest'ultimo accantonato a profitto di Kohl nel 1982, con il ricorso alla sfiducia costruttiva per la prima volta in trentadue anni a partire dal 1949. In particolare, nella Repubblica Federale Tedesca la richiesta di scioglimento da parte del Cancelliere può essere sempre superata dall'approvazione di una proposta di sfiducia costruttiva perché si indica il nome del nuovo Cancelliere e non ci si limita a sfiduciare "distruttivamente" quello in carica. In realtà, se si approvasse in via definitiva il testo in discussione alla Camera, il Primo Ministro diventerebbe il padrone dell'attività e della vita della Camera dei deputati: potrebbe inserire nel suo ordine dei lavori leggi del tutto al di fuori del programma sottoposto agli elettori (già in questa legislatura il Premier ha fatto ingoiare molti rospi di questo tipo ai suoi docili alleati); potrebbe persino cambiare parti cospicue della sua maggioranza, perché gli basterebbe avere nella Camera un manipolo di fedelissimi per rendersi invulnerabile di fronte ad ogni proposta di sfiducia costruttiva, ammessa soltanto con le firme dei deputati collegati con lui in sede elettorale.

In effetti i poteri del futuro Primo Ministro sono in pratica molto simili a quelli del Presidente Chirac che non solo di fatto (come avverrebbe da noi) ma anche di diritto non può essere sfiduciato dall'Assemblea nazionale: avremmo in Italia quel "monarca repubblicano" che concentra in sé una somma di potere politico incompatibile con i principi del costituzionalismo contemporaneo. Ed è significativo che alle ammissioni di eccessive rigidezze ed automatismi, determinati nel nuovo progetto dalla ossessione antiribaltonistica (riconosciuti da alcuni aderenti a Magna Carta), non faccia seguito nessun atteggiamento di possibilismo correttivo nella maggioranza, finora andata avanti come un tritasassi incurante di ogni emendamento tendente a temperare i poteri del Premier. Va da sé che il Presidente della Repubblica verrebbe confinato in un ruolo tra protocollare e notarile, mentre la Corte costituzionale sarebbe minacciata di una composizione più politicizzata per armonizzarla con l'indirizzo maggioritario.

Quanto al Senato federale, esso è criticato per molte ragioni anche dagli autori di ASTRID, a partire dalla sua composizione tutt'altro che federale: peraltro gli anomali poteri di veto e di garanzia ad esso attribuiti dall'attuale progetto di riforma sono la conseguenza della distruzione altrettanto anomala delle garanzie a tutela del pluralismo democratico presenti nella vigente Costituzione e rappresentate dal ruolo del Presidente della Repubblica, del Parlamento e della Corte costituzionale. Non si creano nuove garanzie a difesa dell'ordinamento costituzionale e dell'opposizione e si distruggono quelle esistenti: è questa la sostanza di una riforma, che nessuno contrasterebbe se fosse di aggiornamento e di modernizzazione anziché di stravolgimento di ogni ragionevole equilibrio. IL MINISTRO PISANU

«Mantenere alta la soglia di attenzione» Stretta sorveglianza per 13 mila obiettivi

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ROMA - Nessun allentamento della tensione in agosto per il sistema di sicurezza nazionale. Dopo l'escalation di minacce all'Italia, l'indicazione impartita ieri dal ministro dell'Interno, Giuseppe Pisanu, a servizi segreti ed Antiterrorismo è stata chiara: la soglia d'attenzione va mantenuta «elevata» su tutti gli obiettivi sensibili. La sollecitazione del ministro si tradurrà in una circolare del capo della Polizia che verrà inviata a prefetti e questori di tutto il Paese. All'indomani dell'ennesimo messaggio minatorio delle Brigate Abu Hafs al Masri, dunque, Pisanu ha chiamato al Viminale i vertici dell'intelligence e delle forze di polizia per fare il punto sulle misure di prevenzione e vigilanza di fronte alla minaccia terroristica. «Pur non sottovalutando la campagna mediatica in atto contro l'Italia - ha spiegato il Viminale - la riunione ha confermato l'analisi svolta dal Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica il 21 luglio scorso circa il rischio di attentati terroristici». Il ministro ha quindi invitato i responsabili delle forze di polizia a «ribadire le misure finora adottate e a mantenere elevata la soglia di attenzione». In circa 10 giorni, dunque, sono stati due i vertici convocati da Pisanu per analizzare la situazione. Al di là dunque dello scetticismo degli apparati di sicurezza sulle Brigate Abu Hafs al Masri e sui presunti legami con Al Qaida, il pericolo di un attacco terroristico in Italia viene valutato con la massima attenzione. Sul tavolo del ministro ieri al Viminale, Sismi e Sisde hanno illustrato diverse informative in merito; in assenza di un'indicazione concreta e precisa su possibili attacchi, la decisione è stata così quella di un mantenimento dell'elevato livello di tutela per tutti gli oltre 13 mila obiettivi sensibili individuati sul territorio nazionale e sui quali vigilano circa 23 mila uomini. Il Fondo monetario plaude alla riforma delle pensioni ma frena sulla riduzione delle tasse. Approvato il Dpef

«Conti in ordine, poi tagli all’Irpef» Il premier: il proporzionale? Non insieme al Federalismo. Casini sulle riforme: equilibrio e responsabilità Berlusconi: aliquote ridotte nel 2005, riprende la collaborazione con Bankitalia ROMA – Secondo il Fondo Monetario Internazionale prima di tagliare le tasse l’Italia dovrebbe rimettere a posto i propri conti pubblici. Secondo gli analisti del Fondo la riforma delle pensioni è un passo avanti, ma l’economia italiana continua ad essere stagnante. Il Dpef è stato approvato da Camera e Senato. Intanto la riforma federale ha fatto il suo primo passo nell’aula della Camera, e il presidente Casini ha invitato tutti «a operare responsabilmente alla ricerca di convergenze nell’interesse del Paese». Bocciata da Berlusconi la richiesta dell’Udc di riformare la legge elettorale in senso proporzionale assieme al federalismo.

AJELLO, CIFONI, CONTI E GUAITA ALLE PAGG. 2, 3 E 5 I tabaccai: è caos dopo la manovra bis, non sono stati stampati i nuovi bolli da 11€ ROMA – La Federazione italiana tabaccai chiede «urgentemente» un incontro con il neo ministro dell'Economia, Domenico Siniscalco, per discutere dei problemi emersi dagli interventi correttivi di finanza pubblica (la cosiddetta manovrina), come l'aumento dei valori bollati.

Il provvedimento, infatti, entrato in vigore domenica primo agosto, ha comportato l'aumento della marca da bollo da 10,33 a 11 euro ed è stato a conoscenza, secondo la Fit «soltanto per alcuni uffici pubblici e qualche notaio».

«I cittadini - continua la nota -, disorientati e privi d'informazioni, per l'ennesima volta riversano le loro comprensibili lamentele alla categoria dei tabaccai, che subisce danni economici e di immagine per le altrui carenze. Infatti - conclude la nota - nonostante gli avvertimenti della Fit, il legislatore non ha previsto nè la stampa di valori bollati nè il nuovo importo, ne la predisposizione di valori dei tagli necessari per integrare la marca da 10,33 e raggiungere il nuovo importo». Premier ottimista sul futuro: «L’anno prossimo crescita costante». E sulla devolution dice: «Lega disponibile a modifiche»

«Il proporzionale? Non col federalismo» Berlusconi gela l’Udc e sulle tasse annuncia: «Tagli con la Finanziaria nel 2005» Poi cena con Follini e Casini, che a pranzo aveva incontrato Fini ROMA - «La legge elettorale insieme al federalismo? No, non credo che si possa fare. Ne cominceremo a ragionare». Silvio Berlusconi, poche ore dall’inzio della discussione sul progetto di riforma istituzionale tanto

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caro alla Lega, ieri mattina ha gelato così le attese dei centristi di Follini. Il presidente del Consiglio non solo ha negato qualunque nesso tra legge elettorale e devolution, ma ha distinto bene tra ciò che era nel programma di governo (il federalismo) e ciò che invece ha già provocato forti dissensi in un altro partito della maggioranza come Alleanza nazionale (la legge elettorale proporzionale). L’incontro di ieri a pranzo tra Gianfranco Fini e Per Ferdinando Casini potrebbe essere servito proprio a sgomberare questo dissidio. E a qualcosa di più potrebbe essere servita la cena di ieri sera fra Berlusconi, Follini e lo stesso Casini.

«Vogliamo fare la devoluzione così come era stata impostata. Ciò che va corretto - ha spiegato ieri il premier - è un federalismo molto strano e alla fine pernicioso» introdotto «dalla sinistra con quella modifica costituzionale approvata con cinque voti. Su quello credo bisogna intervenire, ma so già che da parte della Lega c'è disponibilità, tenendo conto della negativa esperienza di questi anni con oltre 200 ricorsi alla Corte costituzionale. Così com’è non funziona».

Berlusconi fa sfoggio di ottimismo e il varo del Dpef, avvenuto qualche minuto prima, gli dà una serenità maggiore perchè il voto rappresenta «un passo in avanti molto importante verso il completamento del programma elettorale del 2001». Il taglio delle tasse è per il premier uno dei punti fermi del programma anche se ieri mattina c’era molta meno enfasi nelle sue parole: «Si farà senza decreto. Verrà inserito in finanziaria» e «inizierà dal 2005». Ciò che Berlusconi ieri ha meglio precisato è la necessità dell’intera copertura che dovrà avere il provvedimento: «Bisognerà intervenire coprendo i minori introiti adeguatamente cosa che è sempre stata nelle nostre intenzioni e non poteva essere diversamente». Non solo, il premier dicendosi ottimista sulla ripresa economica, lega il buon andamento dell’economia al taglio delle tasse arrivando a spiegare che da cià dipenderà il futuro della coalizione. Dice Berluconi: «Le previsioni che io conosco e su cui punto sono di una ripresa economica stabile nel 2005 con una continuazione nel 2006. Questo mi fa essere ottimista per l'economia e quindi anche per la nostra maggioranza».

A poche ore dalla chiusura dei lavori del Parlamento Il premier dà un giudizio sostanzialmente assolutorio alla sua maggioranza «che ha tenuto molto bene al di là di tutte le fibrillazioni dialettiche». «Siamo riusciti a varare il decreto per la variazione dei conti del 2004 come avevo promesso all'Ecofin; la riduzione delle imposte è ormai accettata dalla maggioranza; c'è stata l'abolizione della leva, il decreto sull'energia e quello sull'Alitalia e poi l'importantissima riforma sulle pensioni che non è mai riuscita a nessun altro. Quindi stiamo completando un ciclo di riforme e con la finanziaria prossima, che riempirà di contenuti il Dpef, avremo fatto ciò che avevamo garantito agli italiani. Altre riforme sono in Parlamento ma verranno approvate entro l'anno e c'è un terzo gruppo di riforme che sono già avviate e che verranno presentate».

In buona sostanza il premier augura a tutti buone vacanze («le mie saranno di lavoro»), spiegando che «ci sono le condizioni per avere fiducia». Nell’inguaribile ottimismo del premier c’è anche spazio per un pensiero alla Cdl che «va allargata a tutti i partiti che non si ritrovano nello schieramento di centrosinistra. Anche ai radicali» di Pannella e Bonino.

Ma. Con. Censis

Per gli italiani aumentano sommerso ed evasione ROMA - Per il 70% degli italiani l'economia sommersa e l'evasione fiscale stanno aumentando. È quanto emerge da una ricerca condotta dal Censis su un campione rappresentativo di 2.000 cittadini. Un dato confermato dalle stime della Commissione europea, che per il nostro Paese calcola un'incidenza del sommerso pari al 17% del Pil. Per le casse dello Stato, la perdita ammonterebbe a 85 miliardi di euro. A questa cifra, secondo il Censis, si deve aggiungere poi un ulteriore 4% derivante dalle attività economiche in nero, non osservate e non contabilizzate nel Pil, che, se recuperato, porterebbe a un gettito complessivo di 5,9 miliardi. Vale a dire un valore equivalente alla manovra correttiva.

La percezione della crescita del sommerso in Italia attraversa trasversalmente gli schieramenti politici, con una netta maggioranza tra gli elettori del centro-sinistra, dove raggiunge il 79%, mentre scende al 60% fra quelli del centro-destra. Più o meno concorde, invece, l'opinione, di occupati (71%), non occupati (75%) e pensionati (65%). Se si considerano le categorie professionali, la convinzione è più diffusa tra i dipendenti delle aziende private (74,8%), seguiti da quelli della pubblica amministrazione (71,4%) e dagli imprenditori e liberi professionisti (71%).

Per rilanciare l'economia e lo sviluppo del Paese, sottolinea il Censis, serve un rilancio degli «investimenti pubblici nelle infrastrutture, nella ricerca e nelle nuove tecnologie». Ne è convinto, infatti, il 70,7% degli intervistati, mentre solo un 29,3% crede che «non sia possibile aumentare le spese, perchè altrimenti salterebbero i conti pubblici». A ritenere utili gli investimenti pubblici sono sopratutto le persone al di sotto dei 45 anni di età, orientate a guardare con fiducia e speranza al futuro. Un'idea condivisa a prescindere dall'orientamento politico. Sia nel centro-sinistra sia nel centro-destra, infatti, una schiacciante maggioranza, pari al 70% del campione, ritiene importante far ripartire gli investimenti pubblici.

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ECOFLASH BANCHE-IMPRESE Il 40% delle sofferenze è concentrato al Nord A fine 2003 il 40,1% delle sofferenze lorde del sistema bancario italiano è stato riscontrato nel Nord Italia, il 33,2% nel Mezzogiorno e il 26,6% nel Centro. E’ quanto emerge dal primo rapporto dell’Osservatorio permanente sui rapporti tra banche e imprese (di cui fa parte anche l’Abi). Il 35% delle sofferenze, è in capo alle imprese industriali». Nella foto, Maurizio Sella dell’Abi. PREVIDENZA Bonus anzianità: test di convenienza ROMA ■ Il super-bonus per chi rinvia il pensionamento di anzianità premierà chi ha accumulato più anni di contributi. Per gli altri, la scelta va valutata considerando anche la perdita sull’importo della pensione.

SERVIZI A PAG. 23 PANORAMA ■ Brunetta consigliere di Palazzo Chigi L’economista Renato Brunetta è stato nominato consigliere economico del Presidente del Consiglio. Lo ha comunicato Berlusconi durante il Consiglio dei ministri. Il Documento / L’analisi dei funzionari di Camera e Senato

Dubbi dei tecnici sull’effetto del Pil ROMA ■ «Un'ipotesi la cui plausibilità va attentamente valutata». I funzionari del servizio del Bilancio del Senato usano frasi di tradizionale cautela, ma il senso della domanda – che si coglie nell'analisi del Dpef 2005-2008 – è chiaro: come può una manovra da 50 miliardi (tra il 2005 e il 2006) convivere con una maggior crescita economica, rispetto al tendenziale, di 0,2 punti di Pil all'anno nel prossimo biennio?

Come si arriva ai 50 miliardi? La manovra correttiva per il 2005 ammonterà, secondo lo stesso Documento di programmazione, a 24 miliardi di €, di cui 17 permanenti. Altri sei se ne aggiungeranno per finanziare i tagli alle imposte, che il ministro dell'Economia Domenico Siniscalco intende siano interamente coperti. L'anno dopo, altra correzione da 13,7 miliardi, tutti permanenti, più ancora sei per la seconda tranche di sconti fiscali. Totale, 49,7 miliardi. Nonostante ciò, e nonostante lo stesso Governo stimi un effetto depressivo dello 0,3% del Pil dalla manovra 2005, l'economia finirà per svilupparsi, l'anno prossimo, al ritmo del 2,1% reale in luogo dell' 1,9% che si avrebbe senza quelle misure.

Siniscalco ha spiegato che la stessa manovra svelerà il mistero. Calibrata con sapienza, minimizzerà gli effetti recessivi, anzi ne avrà di propulsivi. Nella misura di uno 0,5% di Pil se dovrà essere più che compensato l'effetto frenante.

C'è un altro problema: i tempi. Se il differenziale tra crescita tendenziale e programmatica, pari allo 0,2% annuo per il 2005-2008, «deve essere considerato come l'effetto netto positivo risultante dagli effetti depressivi della manovra e quelli espansivi» di riduzione fiscale e del nuovo fondo rotativo, condizione perché ciò accada è che gli effetti positivi si realizzino negli stessi esercizi in cui avvengono aggiustamento e sviluppo.

Lo stesso fondo rotativo, che prenderà il posto dei contributi a fondo perduto, solleva richieste di chiarimenti. «II Governo asserisce che garantirà un volume di investimenti "pari almeno" a quello degli anni precedenti, ma con un minor onere per il bilancio della P.A.». Eventuali modifiche, obiettano gli esperti, potrebbero invece mutare la valutazioni di convenienza delle imprese. Poi occorre tener presente se il fondo sia sostitutivo, aggiuntivo o presenti un mix tra le due possibilità rispetto agli incentivi esistenti. Difficilmente il nuovo fondo avrà effetti immediati sull'economia superiori a quelli dei contributi sostituiti.

Anche i funzionari della Camera chiedono precisazioni sulle azioni per lo sviluppo. Ma rivolgono l'attenzione anche alle manovre correttive e ai loro effetti sul disavanzo. Nonostante il loro «profilo discendente (in assoluto e ancor più in rapporto al Pil)», sono considerate sufficienti a ridurre il deficit di mezzo punto di Pil l’anno. Per l’avanzo primario, poi, è previsto un miglioramento annuo ancora più marcato, pari a 0,7 punti di prodotto per il 2006 e il 2007 e a 0,8 punti nel 2008. «Ne consegue una previsione peggiorativa sull'andamento della spesa per interessi la cui incidenza rispetto al Pil manifesta, in media, un incremento, di circa 0,2% punti di prodotto all’anno fino al 2007 e di 0,3 punti per il 2008». Da rilevare che un indebitamento programmatico dell' 1,2% del Pil nel 2008, rispetto a un tendenziale del 4%, appare compatibile con le manovre nette permanenti per 2,75 punti di prodotto previste per il quadriennio. A molti quesiti darà risposta la prossima Finanziaria. E ancor più quella del 2006, anno elettorale.

IL SOLE – 24 ORE PRIMA PAGINA Mercoledì 4 Agosto 2004

IL SOLE – 24 ORE IN PRIMO PIANO Mercoledì 4 Agosto 2004 - N. 214 – PAGINA 3

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L.L.G. LA NUOVA PREVIDENZA ■ La scelta di far slittare il momento del pensionamento va valutata in funzione di fattori anche personali

Super-bonus al test di convenienza Vantaggi maggiori per chi ha accumulato più anni di contributi - I calcoli devono tenere conto della «cristallizzazione» dell’assegno Il bonus del 32,70% dello stipendio lordo, esente da tasse, previsto dal 2004 al 2007, dall'articolo 1, commi da 12 a 14 della legge delega previdenziale, per il posticipo del pensionamento di anzianità, sta sollevando, oltre che interesse, anche una serie di dubbi che sarebbe opportuno venissero eliminati nel decreto legislativo in corso di emanazione da parte del Governo. Tra le opportunità sul piatto una di quelle probabili sembrerebbe la possibilità di usufruire del bonus a partire dalla «finestra» di ottobre 2004.

La convenienza del bonus. La scelta del bonus comporta indubbiamente, per il lavoratore interessato, di dover porre sul piatto della bilancia vantaggi e svantaggi. Il vantaggio è la riscossione ogni mese in busta paga di una somma consistente al netto dei contributi per la pensione e tasse. Lo svantaggio appare subito quello di dover rinunciare alla contribuzione e, conseguentemente, a una quota di pensione.

Naturalmente, quando si tratta di dover coprire con il bonus spese impellenti di natura personale e familiare l'opzione potrebbe anche diventare quasi obbligata. Negli altri casi la scelta potrebbe anche essere sofferta. Di fronte a una pensione liquidata sulla base di una consistente anzianità contributiva (39 o 40 anni di contributi) la scelta può essere facile, in quanto la convenienza appare chiara.

Gli esempi pratici. Per rendere meglio l'idea facciamo qualche esempio. Ipotizziamo il caso di un lavoratore dipendente con 40 anni di contribuzione, cioè il limite massimo che si considera per la pensione retributiva, con una retribuzione pensionabile degli ultimi anni che subisce scarsi aumenti. In questo caso il lavoratore, se ha voglia di continuare a lavorare, non ci deve pensare due volte e deve subito imbarcarsi nel posticipo del pensionamento di anzianità.

Facciamo ora il caso di chi ha maturato il diritto alla pensione di anzianità con il requisito minimo di 35 anni e l'età di 57 anni con una retribuzione media annua ricavata dagli ultimi anni di 32.500 euro e che da ottobre 2004 vorrebbe intascare il bonus fino a tutto il 2007. II nostro lavoratore per poter fare una scelta oculata deve considerare che perderà sulla futura pensione il 2% per ogni anno di contribuzione. Ogni anno incassa come bonus 10.627,50 euro (32.500 X 32,70%) e ci rimette come pensione 650,00 euro (32.500 X 2%). Per tutto il periodo di bonus, quindi, l'interessato guadagna poco più di 35.152 euro contro la perdita sulla pensione di circa 1.950 euro.

Naturalmente, non si è tenuto conto del fatto che la pensione viene perequata ogni anno per effetto del costo della vita e si è attuata una semplificazione estrema del calcolo. Va ricordato, infatti, che la pensione si determina in due quote, A e B. La quota A per i contributi maturati fino al 31 dicembre 1992 sulla base della retribuzione annua media derivante dagli ultimi cinque anni di retribuzione pensionabile e la quota B per i contributi riferiti dal 1993 fino al mese precedente la decorrenza della pensione sulla base della retribuzione annua media pensionabile ricavata dagli ultimi dieci anni di retribuzioni pensionabili.

GIUSEPPE RODÀ

Dubbi a raffica sull’incentivo Molte le questioni che dovranno trovare risposta nei decreti attuativi del ministero L’incentivo al rinvio del pensionamento non ha mancato di lasciare aperte molte incertezze relative all'applicazione del bonus.

Definitività. Una volta che si è optato per il posticipo della pensione di anzianità si è obbligati a percorrere questa strada fino al 31 dicembre 2007, oppure si può cessare dall'attività lavorativa anche prima? Il testo della legge delega tace al riguardo. Si ritiene, però, che l'interessato possa cambiare idea in coincidenza, magari, con la cessazione dell'esigenza familiare che ha fatto scattare la molla del bonus.

Retroattività. Chi, poniamo nell'ottobre 2002, avrebbe potuto andarsene in pensione di anzianità e non l'ha fatto, può ora all'ottobre 2004 avvalersi del bonus? Si ritiene di sì, in quanto la scelta del posticipo ulteriore della pensione di anzianità va nella giusta direzione tracciata dalla legge delega del contenimento degli oneri nel settore pensionistico.

Pubblico impiego. Un dipendente di un ente pubblico non economico (per esempio un avvocato dipendente dall'Inps) può avvalersi del beneficio del bonus? La legge delega prevede il posticipo del pensionamento di anzianità a favore dei lavoratori dipendenti del settore privato che rinuncino all'accredito contributivo relativo all'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti e alle forme sostitutive

IL SOLE – 24 ORE NORME E TRIBUTI Mercoledì 4 Agosto 2004 - N. 214 – PAGINA 23

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della stessa assicurazione generale obbligatoria. Si propende, però, per la risposta positiva, in quanto si tratta di lavoratori iscritti all'Inps e il bonus concorre al contenimento degli oneri nel settore pensionistico dell'Inps.

Il Tfr. Di fronte al godimento del bonus il Tfr continua a essere accantonato? La risposta è positiva per il semplice motivo che il Tfr viene liquidato alla cessazione del rapporto di lavoro.

Tempistica. Si può, al limite, prendere il bonus avendo diritto alla finestra di ottobre 2007 e proseguendo il lavoro? Sì, naturalmente per i mesi di ottobre, novembre e dicembre 2007.

Il meccanismo. Come funziona il meccanismo della pensione Inps nel caso di bonus da ottobre 2004 a dicembre 2007? In questo caso l'Inps liquiderà la pensione all'atto della cessazione dell'attività lavorativa con la decorrenza (finestra) del 1° ottobre 2004 sulla base della contribuzione e retribuzione annua media pensionabile esistente a settembre 2004. Questa pensione sarà aumentata della perequazione automatica degli anni 2005, 2006 e 2007.

G.RO. Le regole dell'incentivo Cosa prevede la legge delega per chi rinvia il pensionamento

Gli aventi diritto. I dipendenti dei datori di lavoro privato che, a partire dal 2004 e fino al 2007, avranno 57 anni di età e 35 anni di anzianità contributiva, oppure, indipendentemente dall'età, i requisiti contributivi (da 38 a 40 anni di anzianità), potranno scegliere tra andare in pensione o continuare a lavorare avvalendosi degli incentivi

II beneficio. La norma prevede che la somma corrispondente alla contribuzione che il datore avrebbe dovuto versare all'ente previdenziale, qualora non fosse stata esercitata la facoltà di rimanere al lavoro, sia corrisposta interamente al lavoratore. II beneficio è del 32,70%, valore dato dalla somma di quanto non verrà più trattenuto a carico del lavoratore, di norma l’8,89%, e di quanto il datore avrebbe versato a suo carico per l'assicurazione Ivs (23,81 %)

II vantaggio fiscale. Tutta la somma erogata a titolo di incentivo non è soggetta a imposte. La delega, infatti, aggiunge al comma 2 dell'articolo 51 del Tuir la lettera i-bis) in base alla quale sono escluse dal reddito le quote di retribuzione derivanti dall'esercizio, da parte del lavoratore, della facoltà di rinuncia all'accredito contributivo presso l'assicurazione generale Ivs dei lavoratori dipendenti e le forme sostitutive della medesima, per il periodo successivo alla prima scadenza utile per il pensionamento di anzianità, dopo aver maturato i requisiti minimi secondo la vigente normativa

La certificazione. Per i requisiti maturati viene introdotta la "certificazione" riferita a età e anzianità contributiva previsti dalla normativa in essere prima della data di entrata in vigore della nuova legge e maturati dal lavoratore entro il 31 dicembre 2007. II lavoratore che abbia maturato i requisiti entro quella data potrà esercitare il diritto alla pensione in qualsiasi momento successivo alla data di maturazione indipendentemente da ogni modifica della normativa

INTERVENTO

Ma il riordino non fa «decollare» i fondi Secondo pilastro, la scommessa è la riduzione del carico fiscale Solo in azienda il Tfr avrà una rivalutazione garantita DI PAOLO CIRINO POMICINO * Quella delle pensioni, approvata qualche giorno fa, è una riforma che continuerà a far discutere per molti mesi ancora forze politiche e sociali. La sinistra dirà tutto il male possibile, il centro-destra ne farà un elogio sperticato. Come sempre capita, la verità, probabilmente, sta nel mezzo perché ci sono lati positivi e altri decisamente negativi.

C'è un aspetto, però, che è di una gravità assoluta e di cui nessuno parla o chi ne parla qualche volta lo fa sotto voce e a sproposito. Ci riferiamo all'annosa questione della previdenza integrativa. A nostro giudizio si è persa un'altra occasione per far decollare per davvero quei fondi pensione di cui si parla ormai da oltre dieci anni e che sono sempre più indispensabili in una economia che ha fame di capitali in un Paese che registra, grazie a Dio, una longevità sempre maggiore. Con la riforma approvata, invece, i fondi pensione resteranno ancora una volta al palo. Vediamo perché.

Come è noto i fondi pensione sono alimentati dal Tfr (trattamento di fine rapporto) dei singoli lavoratori. Oggi, lasciato nelle mani delle singole aziende, il Tfr ha una rivalutazione annua dell'1,5% più lo 0,75% dell'inflazione reale. Chi mai sarà, allora, quel pazzo di lavoratore che toglierà dalle mani delle aziende il suo Tfr per darlo ai fondi pensione che, secondo le norme approvate, non danno alcun rendimento minimo garantito?

La domanda che sorge spontanea è: perché mai l'azienda rivaluta annualmente il Tfr dei propri lavoratori mentre i fondi pensioni non ci pensano nemmeno lontanamente? La risposta è semplice e disarmante ad un tempo. Mentre nel caso delle imprese il Tfr è un costo fiscalmente deducibile pur essendo una fonte di finanziamento per lo sviluppo dell'azienda, nel caso dei fondi pensione il rendimento del Tfr

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investito viene tassato all' 11 per cento. In queste condizioni, nessun fondo pensione potrà garantire un rendimento minimo pari almeno alla rivalutazione che fa oggi l'azienda e pertanto nessun lavoratore gli affiderà il proprio risparmio previdenziale abbandonando la rete di protezione aziendale per andare in mare aperto con il rischio di incappare in una burrasca tipo Parmalat e perdere in un solo colpo le fatiche di una vita.

La pensione integrativa, però, è essenziale per evitare di avere, tra vent'anni, un popolo di pensionati affannati visto che con il metodo contributivo la previdenza obbligatoria darà una pensione pari al 47-48% dell'ultimo salario. Stando così le cose avevamo fatto presentare dai gruppi parlamentari dell'Udeur al Senato e alla Camera (senatore Fabris e onorevole De Franciscis) alcuni emendamenti per ovviare a questo ennesimo rischio di flop dei fondi pensione. I nostri emendamenti altro non facevano che rendere esenti da qualunque imposizione fiscale i rendimenti dei fondi pensioni che andavano, così, a far crescere esponenzialmente la massa del risparmio previdenziale al punto tale da garantire ai lavoratori un rendimento minimo più una quota variabile a secondo della bontà degli investimenti fatti.

All'Erario il tutto non costava nemmeno un euro dal momento che il Tfr per l'azienda è un costo deducibile. A regime, l'imposizione fiscale sarebbe ritornata sulle pensioni integrative al momento della loro erogazione così come torna oggi nel momento in cui il lavoratore percepisce la liquidazione dalla propria azienda.

A quel punto la domanda iniziale sarebbe stata rovesciata. Chi sarebbe stato quel pazzo che lasciava nell'azienda il proprio Tfr quando un fondo pensione gli dava la possibilità di guadagnare qualcosa in più, ferma restando la rete di protezione di un rendimento minimo garantito? II mercato italiano dei capitali si sarebbe arricchito finalmente di investitori istituzionali capaci di offrire risorse ad aziende in grado di svilupparsi ed in più, cosa di fondamentale importanza, l'Italia avrebbe avuto finalmente la possibilità di privatizzare senza perdere progressivamente pezzi di sovranità produttiva in favore di capitali stranieri. Anzi, si sarebbe innescato quel processo di internazionalizzazione virtuosa della nostra economia evitando quel processo di colonizzazione che da anni si sta stringendo intorno al collo del Paese.

Tanto per essere ancora più chiari, se negli anni 90 avessimo avuto i nostri fondi pensioni, oggi il 40% dell'Eni non sarebbe nelle mani di fondi americani ma in quelle di fondi italiani e saremmo stati certamente anche noi, come gli inglesi, gli spagnoli, i francesi e i tedeschi, protagonisti autorevoli nel riassetto del capitalismo europeo e internazionale all'indomani dell'avvio della stagione della globalizzazione.

Così non è stato ieri per responsabilità precise di alcuni che personalmente riteniamo traditori consapevoli dell'interesse nazionale e così non sarà domani perché ancora una volta, per le ragioni descritte, i fondi pensione non decolleranno. In tal modo continuare a privatizzare senza i fondi pensione è come mettere l'Italia in vendita sul mercato internazionale riservando per noi tutti un ruolo di Paese di soli consumatori e di produttori per conto terzi.

* Responsabile programma AP- Udeur L’iscrizione decorre dall’istituzione degli enti

Autorità indipendenti, il personale all’Inpdap Risolta la vicenda dei lavoratori trasferiti nella «Pa» Il personale dipendente dalle «Autorità indipendenti», cioè degli organismi preordinati alla regolamentazione e alla tutela di interessi pubblici di rilevanza costituzionale, va iscritto all'Inpdap con decorrenza dalla data dell'istituzione dell'autorità indipendente. Lo precisa l'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica (Inpdap) con la circolare n. 46 del 27 luglio 2004.

Ma vediamo i termini di questa vicenda dove, in alcuni casi, troviamo coinvolta anche l'Inps. Il problema era di stabilire la natura delle Autorità indipendenti. Alcune di esse, nelle more dell'adozione del regolamento di organizzazione, hanno iscritto temporaneamente all'Inps il personale transitato nei ruoli e reclutato presso altre pubbliche amministrazioni.

In considerazione della natura delle funzioni svolte da questi organismi e in assenza di esplicite previsioni normative per un diverso inquadramento pensionistico del personale dipendente, l'Inpdap fa presente che le Autorità indipendenti rientrano nel novero delle amministrazioni pubbliche previste dall'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 165/2001 a partire dalla data della loro istituzione.

A sostegno di questa tesi l'Inpdap segnala che il Consiglio di Stato, con parere 260/1999 ha affermato, tra l'altro, che nella formulazione dell'articolo 1, comma 2 della legge n. 29 del 3 febbraio 1993 vengono ricomprese tra le amministrazioni pubbliche anche le amministrazioni dello Stato a ordinamento autonomo, tra le quali possono essere incluse le cosiddette «Autorità indipendenti». Questo orientamento è stato condiviso anche dal ministero del Lavoro con nota n. 899/70941/PUB-V-105 del 4 giugno 2004.

Le Autorità indipendenti, quindi, vanno iscritte all'Inpdap (Cassa Stato), a decorrere dalla data di costituzione. Ecco, perciò, la situazione, sul piano contributivo, del personale in servizio presso le Autorità indipendenti: ■ il personale transitato nei ruoli e reclutato presso amministrazioni pubbliche già iscritte presso l'Inpdap mantiene senza soluzione di continuità l'obbligo di iscrizione a questa gestione. Il versamento dei contributi viene effettuato a favore della Ctps (Cassa Stato) oltre che alla «Gestione unitaria autonoma per le attività creditizie e sociali» a decorrere dalla data di immissione in ruolo;

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■ i dipendenti in posizione di comando presso le Autorità indipendenti oppure posti in aspettativa senza assegni o collocati fuori ruolo dalle amministrazioni di appartenenza, anche con qualifica dirigenziale, conservano la posizione assicurativa esistente all'atto del relativo provvedimento presso la gestione pensionistica di competenza; ■ il personale assunto direttamente dalle Autorità indipendenti, già erroneamente iscritto all'Inps, viene iscritto obbligatoriamente, come già visto, all'Inpdap a partire dalla data dell'assunzione. In particolare, sul piano pensionistico questo personale viene iscritto alla Ctps alla «Gestione unitaria autonoma delle prestazioni creditizie e sociali».

G.RO.

Favori alla Cgil, Cheli querelato Il garante Tlc non aveva ratificato l’accordo con i Cobas Sibc e Falbi: «Vuole far rientrare in gioco la Triplice» dl CARLO REBECCHI Una querela per «comportamento antisindacale». Destinatario, il presidente dell'Autorità per le Garanzie nelle telecomunicazioni Enzo Cheli. Motivo: il «Professore» aretino, che insegna diritto costituzionale a Firenze e dottrina dello Stato presso la Luiss di Roma, si è rifiutato d'intesa con il consiglio da lui presieduto di ratificare un accordo concluso con il segretario generale dell'Autorità dai sindacati autonomi, che rappresentano l'80% dei dipendenti. Cheli «vuol fare rientrare in gioco i sindacati della Triplice, Cgil in testa, che quell'accordo invece hanno condannato» spiegano Roberto Pompili e Ferdinando Crisasi, i segretari dei sindacati Falbi e Sibc il cui avvocato presenta oggi Ia querela. Il rifiuto di Cheli ha avuto anche un altro effetto: le dimissioni per protesta del segretario generale dell'Autorità, il consigliere di Stato Alessadro Botto.

L'accordo (firmato il 30 luglio) che il Consiglio dell'Autorità non ha ratificato doveva essere il punto di partenza per «rimettere ordine in un carrozzone gestito troppo a lungo in maniera perlomeno allegra» osserva Pompili. Un «andazzo» caratterizzato in passato da fatti non del tutto chiari (sono tuttora in corso indagini della Corte dei Conti e della magistratura) e da assunzioni altrettanto sospette contro il quale, con il sostegno della Falbi e della Sibc, il segretario generale si è battuto fin dal suo arrivo all'Autorità. «Per capire come possono essere andate le cose basti pensare qui non c'è è stata fatta una sola assunzione per concorso. All'inizio c' è stata grande abbondanza di consulenze per le quali, come per le assunzioni, sono stati chiamati soprattutto gli amici e gli amici degli amici», spiegano i sindacalisti.

Stato di cose utile per più d'uno ma tutt'altro che apprezzato dalla maggioranza dei dipendenti, aderenti a due sindacati - appunto la Falbi e la Sibc - che nascono in Banca d'Italia dove hanno anche realizzato un exploit «moralizzatore» tutt'altro che facile: sono riusciti infatti - anche se hanno dovuto rivolgersi ai tribunali - a far dimettere sei direttori generali nominati dal Governatore Antonio Fazio senza rispettare le regole.

Adesso ci riprovano all'Autorità di Garanzia nelle comunicazioni, convinti che per poter dare il meglio questa istituzione recente debba «stabilizzarsi», come era appunto nelle finalità dell'accordo firmato con Botto, che prevedeva regole e procedure «certe» per assunzioni e promozioni e per la regolarizzazione dei precari. Particolare significativo: a parità di spesa, l'accordo respinto dalla Cgil e da Cheli avrebbe consentito nuove assunzioni, indispensabili per il buon funzionamento della struttura dell’Autorità. Cgil, Cisl e Uil chiamano in causa il governo e sollecitano la defiscalizzazione

I sindacati: «Serve un tavolo di monitoraggio» ROMA - Il governo non assista inerte all’impennata dei prezzi del petrolio e dei carburanti, una «grana ciclopica», ma convochi subito il tavolo di monitoraggio promesso dal ministro dell’Economia, nell’ultimo incontro con le parti sociali a Palazzo Chigi. Allarmati per la minaccia di gravi effetti inflazionistici, i sindacati chiedono, all’unisono, un immediato intervento dell’esecutivo, che dovrebbe agire in più direzioni. Per la Cgil, il segretario confederale Nicoletta Rocchi ritiene necessario come misura d’urto un taglio delle accise sui prodotti petroliferi. Le casse del fisco non ne soffrirebbero, poiché si tratterebbe di sterilizzare gli aumenti di gettito prodotti dai rincari del greggio, su cui i tributi vengono applicati. La defiscalizzazione, però, incontra i dubbi del leader Uil, Angeletti: «Ha senso solo in un Paese dove la formazione del prezzo avviene realmente in base al mercato. Ma in Italia un vero mercato petrolifero non esiste, perché c’è al contrario un rigido oligopolio». Dunque, meglio puntare su una ”moral suasion” che induca le compagnie a un «comportamento più corretto». Ora, invece, «quando il prezzo del barile sale cresce subito anche quello alla pompa, mentre se il barile scende, alla pompa non cala mai». Se fatta seriamente, - insiste Angeletti - la ”persuasione” funziona: quale compagnia può mettersi contro l’esecutivo, che ha molte frecce al suo arco per indurre a una condotta «virtuosa»? Sul monitoraggio da far partire senza ritardi è d’accordo pure il segretario confederale

4 PRIMO PIANO IL MESSAGGERO GIOVEDÌ 5 AGOSTO 2004

Libero ECONOMIA Mercoledì 4 agosto 2004 15

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Cisl Baretta, che considera il ”tavolo” un primo banco di prova della nuova concertazione: «Vedremo se il governo fa sul serio. Ci convochi». Dall’altra parte della barricata, non mostra troppa preoccupazione il neo-consigliere economico di Palazzo Chigi, Brunetta. L’impennata del greggio - afferma - «è momentanea e potrebbe essere riassorbita in tempi brevi. Tutto il mercato è destinato a cambiare, e l’equilibrio di prezzo andrà ben sotto i 40 dollari».

P.C. Cgil, Cisl e Uil: subito soluzioni credibili, o a settembre sarà guerra. I Cobas: il Tfr non si tocca

Pubblico impiego, sindacati all’attacco sui fondi pensione ROMA - I sindacati lanciano l’ultimatum: «Non tollereremo più ulteriori ritardi» sul fronte della previdenza complementare nel pubblico impiego. E se a settembre il governo e l'Aran non daranno risposte definitive sulle risorse disponibili, Cgil, Cisl e Uil sono pronte a una nuova ondata di mobilitazione. L'annuncio ha seguito l'incontro svoltosi ieri per discutere della costituzione del Fondo di previdenza complementare per i dipendenti dei ministeri, degli enti pubblici non economici, delle agenzie fiscali, della presidenza del Consiglio, del Cnel e dell'Enac.

I sindacati respingono la tesi dei privilegi dei dipendenti pubblici sul fronte pensionistico, cui ha fatto esplicito riferimento la scorsa settimana il ministro del Welfare Roberto Maroni: «Prima di pensare ad armonizzare i trattamenti pensionistici degli statali - afferma Alessandro Ruggini, dirigente della Funzione pubblica Cgil - il governo dovrebbe finalmente far decollare la previdenza complementare anche per i pubblici, costituendo i fondi pensione attesi da anni». I sindacati giudicano «deludente» l'incontro di ieri all'Aran: «Non abbiamo avuto ancora alcuna risposta accettabile», afferma Ruggini. E i segretari generali di Fp Cgil, Fps Cisl e Uil Pubblica amministrazione, Carlo Podda, Rino Tarelli e Salvatore Bosco, confermano come, allo stato attuale, rimangono ancora aperti molti problemi sul fronte della costituzione del Fondo per statali, parastatali,dipendenti della presidenza del Consiglio, delle agenzie fiscali, del Cnel e dell'Enac: una platea di potenziali iscritti di 350.000 lavoratori.

Innanzitutto - spiegano Podda, Tarelli e Bosco - va verificata «la disponibilità concreta di risorse con cui incentivare l'adesione ai fondi ed assicurare la loro fase di avvio. Poi, va verificata ancora la disponibilità di un progetto compiuto capace di garantire il massimo della omogeneità possibile circa il livello dei rendimenti. Tenuto conto - spiegano - che nel medesimo fondo confluiranno comparti diversi con diverse esperienze contrattuali».

Per Cgil, Cisl e Uil, dunque, non c'è più tempo da perdere. Nettamente contrari all'uso del Tfr per i fondi pensione restano invece i sindacati di base, che parlano di «scippo». DOPO LA DENUNCIA DEL DIRETTORE DI ”LE MONDE”

Tra Castelli e Pisanu scoppia la lite sul razzismo Il Guardasigilli al ministro della Difesa: non dovevi scusarti con i francesi, loro pensino al caso Battisti ROMA - «Francamente non mi sarei mai aspettato che un ministro della Repubblica italiana raccogliesse questa provocazione fatta da un privato cittadino, ma soprattutto non mi sarei mai aspettato che sentisse il bisogno di scusarsi». Comincia così la lettera aperta scritta dal ministro della Giustizia Roberto Castelli al suo collega titolare dell'Interno Giuseppe Pisanu.

«Rispettare obblighi di sicurezza ma senza razzismo», aveva detto il responsabile del Viminale rispondendo all’articolo scritto su ”La Repubblica” dal direttore del quotidiano ”Le Monde” Colombani, nel quale il giornalista francese criticava le forze dell'ordine italiane per aver perquisito più volte suo figlio a Venezia soltanto perchè è scuro di pelle.

«L'episodio - scrive Castelli - quasi certamente è casuale. (...) È da presumere che i carabinieri abbiano fatto solo il loro dovere, come nei confronti di qualsiasi altro passeggero. Da ministro del governo sento il dovere di difenderli e sento il dovere di chiedere io le scuse nei loro confronti a chi li tratta da razzisti e cretini solo perchè cercano di svolgere il loro dovere, che è quello, per l'appunto, di effettuare controlli sui passeggeri».

Secondo il Guardasigilli, il direttore Colombani «non ama gli italiani». «Questa - continua - è l'idea che costui ha dell'Italia: un Paese con giudici da terzo mondo e forze dell'ordine razziste e cretine. No davvero, non mi sento di avanzare scuse a chi cerca di accreditare, lui sì razzista, un'immagine così distorta del nostro Paese».

A favore di Pisanu interviene invece Clemente Mastella. Secondo il leader dell’Udeur «il ministro Castelli, noto gentiluomo padano, è entrato secondo il suo stile a gamba tesa». «In democrazia (e questo è un grande valore) ci possono essere anche ministri come Castelli. Importante - afferma Mastella - sempre in

20 ECONOMIA IL MESSAGGERO GIOVEDÌ 5 AGOSTO 2004

7 PRIMO PIANO IL MESSAGGERO VENERDÌ 6 AGOSTO 2004

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democrazia, è non averli a lungo e mandarli a casa al più presto». Avremmo evitato di esprimere giudizi di merito, dopo la garbata risposta del ministro Pisanu, che a nostra giudizio aveva chiuso l'episodio con grande dignità. Ma Castelli riapre la polemica con modi rozzi e ”federalisti”, esemplari forse per lui e per la Padania, ma disgustosi per noi». I due politologi parlano del caso Petrella, l’oncologo rimosso dal suo incarico a Napoli per motivi politici

«Spoil system o vendetta all’italiana?» Pasquino: «Usato come punizione». «Nessuna ritorsione», ribatte Mennitti

di MARIO AJELLO ROMA – In inglese, si chiama spoil system. In italiano come si traduce: normale ricambio di ruoli e persone o vendetta dei vincitori sui vinti? Lo spoil system, tecnicamente, è un meccanismo che riguarda l’avvicendamento nei posti dirigenziali nell’amministrazione pubblica. Però, allargandone il senso, si possono includere anche «casi» recentissimi. Come quello di Pippo Baudo cacciato dalla Rai. E soprattutto di Pino Petrella: deputato diessino e oncologo di fama, cui la Fondazione Pascale di Napoli - dopo che il medico ha criticato alla Camera la politica sanitaria del Polo - ha appena dato il benservito. Con un’aspra lettera firmata dal commissario dell’istituto (Raffaele Perrone Donnorso) e ispirata (in via gerarchica) dal ministro Sirchia e (in via politica) dal premier Berlusconi. La polemica è accesissima. Martusciello, Vito e tutta Forza Italia festeggiano: «Giusta la rimozione di Petrella». An, con Pianelli, si smarca e chiede le «dimissioni di Sirchia la cui politica sanitaria è fallita», mentre il deputato berlusconiano Aldo Perrotta confessa che «abbiamo sottoposto al premier l’ambiguità del ruolo di Petrella» (ovvero, hanno detto al premier che il diessino andava cacciato). Violante e i Ds presentano un’interrogazione parlamentare a Sirchia: «Perchè Petrella epurato? E quale il ruolo del premier in questa vicenda?». Insomma «ritorsione politica» (come la chiama l’Ulivo) o spoil system sia pure all’italiana? «Nel Nostro Paese - spiega il politologo Gianfranco Pasquino - secondo la legge del 1999 spoil system significa ricambio di un certo numero limitato di poltrone e in certe specifiche istituzioni e non in tutte. Questa legge, però, ha avuto un’applicazione estensiva. Finendo per far quasi coincidere spoil system e lottizzazione. O addirittura spoil system e vendetta, come potrebbe far pensare il caso Petrella». «A me non sembra affatto - sostiene Domenico Mennitti, politologo di centro-destra - che siano in corso ritorsioni. Non c’è persecuzione contro Petrella nè contro chiunque altro. Esistono talvolta casi in cui qualcuno patisce atteggiamenti non benevoli. Da 50 anni, è la cultura di centro-sinistra che domina nei posti di potere o di visibilità. E appena rimuovi qualcuno riconducibile a quell’ambito, si grida alla scandalo o al regime».

Il primo a solidarizzare con l’«epurato» Petrella è stato l’«epurato» Michele Santoro. Ma questo conta fino a un certo punto (pochino). Quel che è più curioso è che in un libro basilare, «La transizione a parole» di Pasquino, fra tanti concetti manchi ogni accenno allo spoil system. «Manca - spiega ora Pasquino - perchè il primo governo Berlusconi, il governo Dini e il governo Prodi, ognuno per diversi, hanno particato poco o niente lo spoil system. La legge del ’99, il centro-sinistra la fece anche per difendersi. Aveva la sensazione che stava perdendo il potere e allora si tutelò dicendo: i nuovi vincitori potranno prendere soltanto certe poltrone e non altre cui nella legge non si fa cenno. Per esempio quelle della Rai. Infatti è nella tivvù che ora si sta combattendo la battaglia più cruenta. Come dimostrano i casi Biagi, Santoro o perfino Gruber che lascia la Rai per ambizione personale ma anche perchè non ne può più delle pressioni governative». Petrella una vittima come loro? O sono tutte vittime di una traduzione linguisticamente sbagliata: spoil system uguale repulisti? L’INTERVISTA L’ex consulente del “Pascale” Il medico lavorava a titolo gratuito «Ora la faranno pagare anche a Sirchia»

di LUIGI PASQUINELLI ROMA – Il professore Giuseppe Petrella, ordinario di chirurgia oncologica nell’ateneo Federico II di Napoli, parlamentare Ds, sette mesi fa era stato nominato alto consulente scientifico presso l’istituto napoletano per la cura dei tumori “Pascale”. Lo aveva voluto il ministro della Salute Sirchia, lo stesso che l’altro ieri è stato costretto a licenziarlo su ordine diretto di Silvio Berlusconi.

Professor Petrella, ha fatto arrabbiare il premier. «Così sembra».

Se lo aspettava? «Mi meraviglio, tra tante cose importanti nel nostro Paese, lo sfascio della finanza eccetera, invece di pensare ai conti dell’Italia ha pensato di regolare quelli con me. Pare che abbia detto ai suoi: non vi preoccupate, a questo Petrella ci penso io. Una delle poche promesse mantenute».

10 CRONACHE ITALIANE IL MESSAGGERO VENERDÌ 6 AGOSTO 2004

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Non le è stato perdonato il suo intervento alla Camera del 14 luglio. «Un parlamentare di An mi additò come colui che aveva sfasciato la sanità napoletana. Io dissi che se il ministro di centrodestra aveva nominato me al Pascale significava, evidentemente, che tra le loro file non c’era nessuno all’altezza. Non credo che quell’aggressione sia stata un episodio casuale».

Cioè? «Da quando sono stato nominato, ricordo tra l’altro che lavoravo a titolo gratuito, ho subìto continuamente attacchi sui giornali».

Quindi? «Il prossimo obbiettivo sarà il commissario straordinario Donnorso. Colpiranno lo stesso ministro».

Perché ce l’hanno tanto con voi? «Sirchia aveva mandato a casa il precedente commissario, vicino a Forza Italia. Donnorso e il sottoscritto non siamo graditi a quella parte politica».

Non sarà per caso per gli interessi sotterranei, gli appalti miliardari bloccati dalla nuova gestione, di cui si sussurra?

«Non sta a me dirlo. Non mi interesso di queste cose. Io mi occupo solo degli aspetti scientifici». Lei però accusa la Destra di aver sfasciato l’oncologia napoletana

«La sanità campana ha fior di oncologi, nulla da invidiare ai colleghi di tutta Italia. Ma il “Pascale” non riusciva a decollare. Donnorso ha valorizzato le eccellenze presenti».

Perché prima funzionava male? «Perché la gestione era più politica che professionale».

Com’è la situazione dei malati di cancro in Campania? «Nel Mezzogiorno si ammalano meno persone rispetto al Nord ma si registrano più decessi. Questo significa due cose: diagnosi tardive e carenza dei centri di eccellenza». Il governo studia misure a difesa del potere d’acquisto. Sì dei sindacati che chiedono di passare dalle parole ai fatti

Pensionati, spunta il paniere dei prezzi Avanza l’ipotesi di adeguare le rendite sulla base dei consumi degli anziani

di PIERO CACCIARELLI ROMA - Per i pensionati sarebbe una rivoluzione vera, più benefica del taglio alle tasse promesso da Berlusconi, che per la grande maggioranza degli anziani, visto il livello dei loro redditi, avrebbe effetti modestissimi o pari a zero. La novità, accolta positivamente dai sindacati, l’annuncia il viceministro dell’Economia Baldassarri: applicare un diverso meccanismo per adeguare le pensioni all’inflazione, basato non sul paniere generale di spesa delle famiglie, ma su un complesso di beni e servizi realmente utilizzato dalle persone entrate nella terza e nella quarta età. Su questa ipotesi sta lavorando il governo, che vorrebbe mantenere fede a uno degli impegni presi nel Dpef: salvaguardare il potere d’acquisto di chi si trova in condizioni di disagio.

Il problema - spiega il vice del neo-ministro Siniscalco - riguarda «soprattutto i ceti medi e bassi, perché il loro canestro della spesa è un po’ diverso da quello di chi si trova in condizioni migliori. Esso è fatto di beni essenziali, come casa, farmaci, alimentazione, generi di prima necessità e una quota di abbigliamento. E talvolta su queste voci l’aumento è più forte». Dall’esecutivo, dunque, arriva il riconoscimento ufficiale di un fenomeno denunciato con insistenza dai sindacati e dalle organizzazioni dei consumatori: che il carovita ”generale” misurato dall’Istat è diverso da quello, più pesante, con cui devono fare i conti larghi strati di cittadini. Insomma, si tratterebbe di aumentare gli assegni mensili «in funzione dei prezzi che i pensionati pagano davvero, e a ciò si sta lavorando».

Dal sindacato viene un coro di consensi per il progetto governativo, ma anche la richiesta di un rapido confronto su tutte le questioni che interessano da vicino i lavoratori e le famiglie. Secondo Cgil, Cisl e Uil dopo le ferie dovrebbe aprirsi un tavolo di negoziato sul carovita e sulla difesa dei redditi, ma anche - propone il leader della confederazione di via Po, Pezzotta - «su come redistribuire la ricchezza prodotta nel Paese». Un problema - rimarca - tanto più sentito in quanto il potere d’acquisto dei pensionati è calato sensibilmente. Questa posizione viene condivisa dal numero due della Uil, Musi, che giudica «intelligente e responsabile» costruire un paniere specifico per gli anziani. «Ma lo sarebbe altrettanto - prosegue - rispettare quanto deciso con la riforma Dini, che fissava ogni cinque anni un confronto per verificare la ricchezza prodotta nel Paese e decidere come redistribuirla. Una cosa che non è stata mai fatta». Su un migliore adeguamento per i pensionati al carovita si dice d’accordo Morena Piccinini, segretario confederale Cgil, che però invita il governo «a non limitarsi alle battute», ma ad avviare una trattativa seria. Tra i problemi aperti - ricorda - è gravissimo quello delle pensioni più basse, rimaste sotto la soglia della povertà.

Un altro annuncio dato da Baldassarri riguarda il fisco: tra le ipotesi sul tappeto, in preparazione della Finanziaria, c’è quella di lasciare al 45%, per un periodo transitorio, l’aliquota sui redditi più alti (di livello tutto da decidere). Resta confermato, per fine legislatura, l’obiettivo di passare a tre aliquote del 23, 33 e 39%.

17 ECONOMIA IL MESSAGGERO VENERDÌ 6 AGOSTO 2004

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Manovra La Ragioneria: senza tagli alle spese scatta il danno erariale ROMA – Gli enti pubblici non territoriali dovranno effettuare i tagli di spesa previsti dalla manovra bis - dal taglio per le missioni e i convegni a quello delle consulenze - altrimenti scatterà l'ipotesi di danno erariale nei confronti dei responsabili amministrativi. A monitorare l'effettiva riduzione delle spese, prevista dalla «stretta» scattata il 12 luglio, saranno i rappresentanti della Ragioneria dello Stato presenti nei collegi di revisione o nei collegi sindacali dei diversi enti pubblici.

È il Ragioniere Generale dello Stato Vittorio Grilli a richiamare, con una circolare, l'attenzione sulle modalità con le quali va verificata l'attuazione della manovra, che prevede anche tagli del 30% sulle spese per consumi intermedi degli enti previdenziali (senza però intaccare le prestazioni).

La circolare della Ragioneria, che riguarda i soli enti pubblici non territoriali, chiede così di monitorare la riduzione del 15% delle spese 2004 per studi e incarichi di consulenza per soggetti estranei all' amministrazione. È una limitazione - viene spiegato - che non si applica alle università e che prevede come unica deroga l' emanazione di provvedimenti «adeguatamente motivati» per incarichi relativi a materie di specifica competenza dell' ente interessato. La manovra prevede poi un analogo taglio del 15% anche per le spese relative a missioni all' estero, per spese di rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni. In tutti e due i casi «gli atti ed i contratti posti in essere in violazione della limitazione della spesa - scrive Grilli - concretizzano illecito disciplinare e configurano ipotesi di responsabilità erariale». Più deciso è invece il taglio per le spese intermedie «non obbligatorie» degli enti previdenziali. La riduzione deve essere del 30%, «con esclusione delle spese dipendenti dalla prestazione di servizi correlati a diritti soggettivi dell' utente». Sarà varato ad ottobre il codice deontologico preparato dall’Autorità per la privacy Debiti saldati in ritardo, il Garante contro la lista nera delle banche Non si potrà essere segnalati come cattivi pagatori prima di 4 mesi o 4 rate non versate

di MARIO COFFARO ROMA - Il codice deontologico sulle centrali rischi private è pronto al varo definitivo. Il Garante della privacy (Rodotà, Santaniello, Paissan, Rasi) ha pubblicato ieri il codice sul proprio sito internet. Si avvicina la fine di un incubo per molti che pur avendo rimborsato, talvolta in ritardo, una rata di un debito si ritrovavano iscritti a tempo indeterminato e spesso a loro insaputa nelle liste dei cattivi pagatori. Le conseguenze, in certi casi, sono state disastrose perché pur avendo estinto il debito il ritardatario si vedeva negare successive richieste di fido o di finanziamento a causa dell’iscrizione nella lista dei “clienti a rischio morosità” da cui non è facile essere cancellati.

Ora il Garante della privacy ha messo a punto una serie di regole di comportamento che, a norma di legge, costituiranno condizione essenziale per la liceità e la correttezza dei trattamenti di dati personali effettuati dalle società e da enti privati che gestiscono centralmente i sistemi di informazioni creditizie, come pure da istituti di credito e finanziari. Queste informazioni servono ai fini del rilascio alla clientela di prestiti personali, mutui o finanziamenti per l’acquisto di beni di consumo (come un’auto o un elettrodomestico). Con l’entrata in vigore del Codice ci sarà una maggiore trasparenza verso i consumatori. Le banche dati delle centrali rischio potranno essere consultate esclusivamente per lo scopo della tutela del credito e da determinate categorie di soggetti con modalità di accesso circoscritte. Prima di segnalare una morosità dovranno passare 4 mesi o 4 rate non pagate, per evitare registrazioni causate da errori o disguidi. E non oltre 24 mesi dopo l’esaurimento di un rapporto creditizio con estinzione del debito, i dati dovranno essere automaticamente cancellati (alcuni operatori preferirebbero il termine di 36 mesi).

Ai primi di ottobre il nuovo codice deontologico (14 articoli) sarà varato. Tutti gli operatori, pena sanzioni, dovranno attenervisi. Fino al 15 settembre è possibile inviare all’indirizzo di posta elettronica “[email protected]” ogni eventuale osservazione. Entro la fine del mese saranno discusse le ultime possibili variazioni tecniche proposte dalle associazioni dei consumatori (riunite nel Consiglio nazionale consumatori e utenti) e dagli operatori del mondo finanziario e il testo ufficiale sarà quindi pubblicato sulla Gazzetta.

Fondi d’investimento in crisi: la raccolta cala sempre di più ROMA – Per i fondi comuni d’investimento si appesantisce il conto in rosso della raccolta 2004: il dato di luglio, diffuso ieri da Assogestioni (-1.551,6 milioni di euro), è migliore del saldo negativo di giugno (-2.749,3 milioni, dato peggiore da settembre 2002), ma porta il disavanzo dei primi sette mesi a -6.807,9 milioni. Un andamento deludente soprattutto se confrontato con i primi sette mesi del 2003, quando si era a livelli record, con un attivo di 25.792,7 milioni. Confermato il ritorno in negativo per i fondi azionari: il saldo è

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andato in passivo per 618,8 milioni (da gennaio a luglio: -617,6 milioni). Gli obbligazionari confermano il trend discendente: 1.303,8 milioni (il saldo 2004 è di 6.383,6 milioni). Buone notizie per i fondi di liquidità, in positivo dopo sei mesi (+62,7 milioni a luglio, 3.060,9 da gennaio a giugno), e i fondi flessibili: +624,6 milioni, con un surplus 2004 di 5.097 milioni. CONTI PUBBLICI ■ Circolare della Ragioneria sul Dl 168

«Per chi non rispetta i tagli scatterà il danno erariale» ROMA ■ Scende il campo la Ragioneria Generale dello Stato per assicurare il rispetto dei tagli di spesa imposti dalla manovra bis agli enti pubblici. non territoriali. Le indicazioni sui controlli rigorosi che saranno effettuati nei prossimi mesi per «vegliare» sulla corretta applicazione dall'intervento di contenimento della spesa pubblica (contenuto nel decreto legge del 12 luglio, convertito nella legge 191/2004), vengono da una circolare del 3 agosto firmata dal Ragioniere generale, Vittorio Grilli.

La circolare è indirizzata ai rappresentanti dell'Economia nei collegi dei revisori dei conti e sindacali presso enti e organismi pubblici non territoriali, chiamati ad accertare «nelle periodiche verifiche amministrativo-contabili il rispetto dei vincoli nelle procedure di approvvigionamento, tenendo presente che la stipulazione di contratti in violazione delle suddette disposizioni è causa di responsabilità amministrativa, con conseguente ipotesi di danno erariale» a carico degli amministratori.

In particolare la Ragioneria, per quanto riguarda gli enti pubblici non territoriali, chiede di monitorare la riduzione del 15% delle spese 2004 per studi e incarichi di consulenza affidati a soggetti estranei all'amministrazione (limitazione che non si applica alle università e agli enti di ricerca e che prevede come unica deroga l'emanazione di provvedimenti «adeguatamente motivati» per incarichi relativi a materie di specifica competenza dell'ente interessato).

Un analogo taglio del 15% è ordinato sulle spese dipendenti da missioni all'estero, per spese di rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni.

Ma sotto la lente della Ragioneria finiscono anche gli enti pubblici previdenziali (Inps, Inail, Ipsema, Inpdap, Enpals, Ipost). Sulle spese di questi soggetti, i revisori dei conti dovranno vigilare con attenzione sulla riduzione più consistente delle uscite. Che dovrà essere, infatti, per i consumi «intermedi non obbligatori» non inferiore al 30% (con esclusione delle spese derivanti da prestazioni di servizi correlati ai diritti soggettivi dell'utente).

Nel caso in cui per impegni già presi non sia possibile la riduzione del 30%, la stretta dovrà essere applicata sulla disponibilità residua.

Ai rappresentanti della Ragioneria la circolare del 3 agosto raccomanda inoltre di effettuare valutazioni sulle spese che dovranno essere considerate «obbligatorie», e che quindi non verranno toccate dai tagli.

La Ragionerie, infine, «consiglia» agli enti di fare acquisti di beni e servizi tramite le procedure Consip per le aste on line. L'indicazione è che si utilizzi preferibilmente il canale telematico. In caso contrario, tuttavia, non dovranno essere oltrepassati nei contratti i "suggerimenti" sul rapporto qualità/prezzo previsti dalle convenzioni Consip.

Tutti i contratti di acquisto – precisa la circolare – dovranno essere sottoscritti dal dipendente responsabile e saranno fatti controlli a campione per verificare, anche in questo caso, eventuali responsabilità amministrative per danni arrecati all'Erario.

M. BEL. In arrivo le marche da bollo integrative ROMA ■ Dopo le lamentele dei professionisti e della Fit, la Federazione tabaccai italiani (si veda sul «Sole- 24 Ore del 3 e del 4 agosto), da ieri sono in distribuzione i nuovi tagli delle marche da bollo per integrare, fino agli 11 euro previsti dalla manovra finanziaria-bis, la marca da 10,33 euro.

Lo ha comunicato l'agenzia delle Entrate che ieri ha cominciato la distribuzione e la consegna dei nuovi tagli, in attesa delle innovative modalità di pagamento del bollo per via telematica. «Per integrare i bolli da 10,33 euro esistenti – si legge nella nota diffusa – sono già in corso di distribuzione alle rivendite autorizzate 12 milioni di esemplari da 0,15 euro, e 4,7 milioni da 0,52 euro». Sempre da ieri, «è iniziata la consegna di ulteriori 10 milioni di esemplari da 0,52 euro». LA MANIFESTAZIONE

IL SOLE-24 ORE NORME E TRIBUTI Venerdì 6 Agosto 2004 - N. 216 – PAGINA 23

7 PRIMO PIANO IL MESSAGGERO SABATO 7 AGOSTO 2004

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Quasi tutte le sigle sindacali mobilitate. Romano, Siulp: volanti senza benzina, e i soldi vanno alle missioni all’estero

Diecimila agenti in piazza, Pisanu in ansia A Ferragosto l’inedita protesta dei poliziotti: stanno militarizzando la sicurezza L’ultima agitazione fu nel ’97 per le pensioni

di CARLO MERCURI ROMA - I bene informati raccontano di un Pisanu preoccupatissimo. Aveva pianificato con cura il suo Ferragosto, tradizionale giorno di lavoro per il ministro dell’Interno: visite a sale operative, strette di mani e tanti auguri. Invece si vede rivoluzionato il palinsesto da una protesta inedita, quella che chiameremo “la marcia dei diecimila”.

Tanti saranno infatti, mescolati ai loro familiari, i poliziotti che, nel giorno di vacanza per antonomasia, sceglieranno di marciare su Palazzo Chigi. Protesta inedita, si diceva. L’ultima volta che i poliziotti scesero in strada era l’aprile del ’97: allora la protesta riguardava le pensioni. Perché stavolta gli agenti tornano a manifestare, e in modo così clamoroso?

«Noi contestiamo la militarizzazione del sistema della sicurezza», dice Felice Romano, segretario nazionale del Siulp. E qui si capiscono i grattacapi del ministro Pisanu: stavolta, infatti, la protesta non è per il solito aumento di stipendio o per qualche altra rivendicazione economica. Stavolta il problema investe la sostanza. Continua Romano: «Se osserviamo gli ultimi mutamenti della nostra società, dal punto di vista della sicurezza, notiamo che c’è un’impressionante “deriva” verso la militarizzazione degli apparati». E snocciola: «La tanto sbandierata divisione del comparto sicurezza da quello della difesa è lontana dall’effettuarsi. Esiste, ed opera, un’importantissima Commissione parlamentare, che è quella della Difesa, mentre è stata smantellata la Commissione Affari interni. Il riallineamento delle carriere ha premiato solo le Forze armate e danneggiato le polizie a ordinamento civile. Inoltre l’ultima legge sulla leva fa sì che ogni poliziotto, per diventare tale, deve prima passare un anno come volontario nelle Forze armate». Il segretario del Siulp non teme di scendere nei dettagli: «Delle volte - dice - le nostre auto non scendono in strada perché mancano i soldi per il carburante. Dobbiamo risparmiare, ci dicono. I soldi servono per le nostre missioni militari all’estero. Ecco il criterio della priorità: è logico - s’infiamma - di fronte a un concetto militare della sicurezza, le scelte principali sono altre. E noi assistiamo ai casi di agenti che, per riaccompagnare in patria gli extracomunitari espulsi, si devono pagare il biglietto aereo di tasca propria per poi, chissà quando, farselo rimborsare». Sicché si capisce come le mogli dei poliziotti abbiano accettato di buon grado di sacrificare il giorno di festa per accompagnare i loro mariti nella protesta silenziosa di Ferragosto.

E per Claudio Giardullo, segretario del Silp-Cgilm, la manifestazione del 15 agosto non è che l’inizio: «Siamo pronti - dice - a proseguire una battaglia importante per la sicurezza del Paese e la tutela dei lavoratori di Polizia. Una battaglia che non dovrà, ovviamente, esaurirsi in una mattina di mezza estate». IL CASO DELLE NOMINE

Carabinieri, lo scontro continua e il Cocer diserta le cerimonie: «Procedure irrituali» L’opposizione: rischio sicurezza mentre il Palazzo si azzuffa ROMA - Dunque da ieri il generale Giorgio Piccirillo non è più il Capo di Stato maggiore dell’Arma dei carabinieri. Ha lasciato il suo posto al generale Elio Toscano, già capo dell’ufficio legislativo del ministero della Difesa. Il generale Piccirillo è passato a guidare il Comando delle unità mobili e specializzate dell’Arma, subentrando al generale Vittorio Savino, che ha lasciato il servizio attivo per raggiunti limiti d’età. Alle due distinte cerimonie, che hanno segnato altrettante importantissime investiture nella vita dell’Arma, non ha partecipato il Cocer, e la sua assenza si è sentita. E’ stata un’assenza polemica, quella dei rappresentanti dei carabinieri. Perché, dopo il can-can sollevato dal loro burrascoso comunicato contro il comandante generale, i delegati del Cocer si sarebbero aspettati una chiamata, un cenno, una richiesta di chiarimenti, da parte del generale Gottardo. Invece niente. Il comandante dell’Arma ha tirato dritto per la sua strada, procedendo alle nomine annunciate, senza prima convocare l’organismo di rappresentanza. I delegati tornano a far notare l’irritualità della procedura: «Non è mai successo - spiegano - che prima della nomina di un Capo di Stato maggiore, il comandante generale non abbia avvertito il Cocer. Il Capo di Stato maggiore - dicono - è l’ufficiale che tiene i contatti con l’organismo di rappresentanza, è il nostro “interfaccia”. Stavolta abbiamo saputo della nomina del generale Toscano dalla stampa. Non abbiamo nulla contro Toscano - sottolineano - ma la procedura seguita dal Comando non ci piace». Così hanno disertato le cerimonie. Intanto l’onda lunga della polemica politica sulle nomine dell’Arma non si placa. Gianfranco Pagliarulo, senatore dei Comunisti italiani, ha chiesto chiarimenti a Pisanu. «Le palesi tensioni - ha detto - fra i ministri dell’Interno e della Difesa sulle nomine dell’Arma rivelano un grave contrasto su un argomento delicato». Molto critico anche l’ex sottosegretario all’Interno Giannicola Sinisi: «Apprendiamo con stupore dai giornali -

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ha spiegato - che, mentre l’Italia sappiamo essere entrata nel mirino dei terroristi, il nostro Governo litiga pubblicamente sulla nomina del nuovo Capo di Stato maggiore dei carabinieri».

C. Mer. Dopo la riforma della previdenza i gestori privati puntano a triplicare entro il 2007 gli iscritti e le risorse

Fondi pensione, rendimenti al 6% La Covip: nella prima metà 2004 interessi quasi raddoppiati rispetto al 2003 Afflusso simato a 6,5 miliardi annui pari a metà importo delle liquidazioni

di PIERO CACCIARELLI ROMA - Tra qualche mese quasi 12 milioni di lavoratori delle imprese private, e forse alcuni milioni di statali, saranno chiamati a decidere se dirottare le future quote di Tfr a un fondo previdenziale, o se incassarle al momento di andare in pensione. Chi critica la riforma da poco approvata dalla Camera di solito ricorda che, mentre il Tfr assicura per legge un certo rendimento (ora è il 3,5% l’anno), un fondo non è in grado di garantire niente e anzi è esposto alle tempeste delle crisi borsistiche. La realtà attuale, però, dovrebbe indurre a un certo ottimismo, poiché il 2004 sta fruttando a questi strumenti finanziari guadagni più alti di quelli del 2003, calcolabili in un 6% tra gennaio e giugno. Il dato viene anticipato, in un’intervista all’Ansa, da Luigi Scimia, neo-presidente della Covip, l’Authority unica sulla previdenza complementare, che da poco ha esteso i controlli anche sulle polizze individuali, prima sottoposte alla vigilanza Isvap. Già i risultati dell’anno scorso erano stati soddisfacenti, visto che i fondi chiusi (negoziali e di categoria) avevano dato il 5% e quelli aperti (gestiti da banche e assicurazioni) il 5,7%. Ma per inizio 2005 si prevedono rendimenti ancora migliori e questa sarà una buona base per l’auspicato decollo delle pensioni integrative. L’obiettivo è triplicare in un triennio sia la massa degli iscritti (adesso sono due milioni e mezzo), sia le risorse a disposizione.

La riforma delle pensioni

PENSIONI DI ANZIANITÀ INCENTIVI

Dal 2008 cambiano i requisiti Fino al

31 dicembre 2007

Per i lavoratori dipendenti

1 60 anni di età (che per gli uomini saliranno a 61 nel 2010 e a 62 nel 2014) e 35 anni di contributi

Chi decide di restare al lavoro avrà in busta paga, esentasse, i contributi previdenziali (32,7% in più)

Pensioni d’oro 2 40 anni di contributi,

a prescindere dall’età anagrafica Aumento del contributo dal 3 al 4%

Lavoratori in mobilità 3 SOLO PER LE DONNE: 57 anni e 35 di contributi, ma calcolo della pensione interamente col metodo contributivo

Chiuse due delle quattro finestre annuali per accedere alla pensione

Per 10.000 lavoratori in mobilità con accordi stipulati prima del primo marzo 2004 sarà possibile andare in pensione anche dopo il 2008 con le regole attuali

PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Tfr ai fondi pensione, con il meccanismo del silenzio assenso. Il lavoratore avrà sei mesi di tempo per decidere

16 ECONOMIA IL MESSAGGERO DOMENICA 8 AGOSTO 2004

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Equiparazione tra i fondi della previdenza complementare

ANSA-CENTIMETRI La riforma mira a far affluire ai fondi 6 miliardi di euro l’anno, quasi la metà del Tfr in maturazione. Così si metterebbe in moto la seconda gamba del sistema, ancora affetta da una certa gracilità, poiché gli aderenti superano di poco un decimo della potenziale platea di 20 milioni di lavoratori, tra privati e pubblici. Inoltre, i 500 fondi preesistenti al decreto del 1993 che ha regolato la previdenza complementare continuano a raccogliere 30 miliardi l’anno, contro gli appena 6 di quelli costituiti successivamente e delle polizze personali. Importante però - esorta Scimia - è rimuovere la clamorosa anomalia degli statali, che a nove anni dalla riforma Dini ancora non dispongono delle pensioni supplementari: il che significa, per i più giovani, accumulare un ritardo difficilmente recuperabile. Da poco è partito il fondo della scuola, ma governo e sindacati - insiste il numero uno della Covip - in autunno devono trovare una soluzione per tutti. Se le prospettive generali sono buone, i motivi di cautela non mancano. Per esempio, i fondi regionali vanno bene, ma - avverte Scimia - bisogna evitare che le Regioni utilizzino le risorse drenate per finanziare le necessità di bilancio e piazzare le proprie obbligazioni. Invece, gli amministratori dei fondi vanno lasciati liberi di scegliere le forme di investimento più utili per gli iscritti. Soprattutto, «va vista con sospetto» l’ipotesi di costituire un fondo presso l’Inps. Maroni l’ha escluso, ma il governo potrebbe riconsiderare la questione e ciò deve preoccupare, poiché i ricavi sarebbero inferiori a quanto rendono gli strumenti di banche e assicurazioni. Altri timori dell’Authority riguardano i piani individuali di accumulo, che la delega appena varata parifica ai fondi comuni, aperti o di categoria. Si tratta di 555.000 polizze, che nel 2003 hanno raccolto 1.280 milioni. I loro rendimenti sono soddisfacenti, però vengono gravate da costi pesanti, sui quali occorre fare chiarezza. Se poi la trasparenza contraddistingue i fondi negoziali, controllati da sindacati e imprese, quelli aperti impongono una maggiore prudenza, mentre le polizze individuali dovrebbero fornire più informazioni sugli impieghi delle risorse e sui conseguenti rischi per chi le ha stipulate.