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#17 COMPARTIR LUGLIO 2011 C OMPARTIR Notiziario del gruppo “In Bolivia 2004” Patronato San Vincenzo In questo numero TESTIMONIANZE Don Davide Rota BOLIVIA La voce dei volontari in Bolivia DOSSIER La libertà è partecipazione, di Don Alessandro Sesana ATTUALITÀ L’acqua è un bene comune CULTURA Film Si può fare VOLONTARIATO Dire, fare, abitare

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In questo numero TESTIMONIANZE Don Davide Rota BOLIVIA La voce dei volontari in Bolivia DOSSIER La libertà è partecipazione, di Don Alessandro Sesana ATTUALITÀ L’acqua è un bene comune CULTURA Film Si può fare VOLONTARIATO Dire, fare, abitare Notiziario del gruppo “In Bolivia 2004” Patronato San Vincenzo COMPARTIR LUGLIO 2011

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#17COMPARTIR

LUGLIO

2011

COMPARTIRNotiziario de l g r uppo “In Bol ivia 2004”

Patronato San Vincenzo

In ques to numeroTESTIMONIANZE Don Davide Rota

BOLIVIA La voce dei volontari in Bolivia

DOSSIER La libertà è partecipazione, di Don Alessandro Sesana

ATTUALITÀ L’acqua è un bene comune

CULTURA Film Si può fare

VOLONTARIATO Dire, fare, abitare

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ccoci qui alla fine di quest’anno per il nostro gruppo, da tempo ormai si respira aria di vacanze e tra poco un

altro gruppo di ragazzi raggiungerà la Bolivia con Don Sandro.Vorremmo scrivere qualche pensiero riguardo alle attività del nostro gruppo in quest’anno, perché crediamo che il tenervi informati su quanto fatto sia d’aiuto in primis a noi e sia una forma di rispetto riguardo a chi crede e appoggia questo gruppo.

L’impegno che chiediamo a chi non fa parte del gruppo è, come sempre, quello di farsi coinvolgere da quest’esperienza tanto profonda, crediamo che il partecipare sia fondamentale nella vita di ognuno e soprattutto di chi sa cosa facciamo e chi siamo. Dopo l’incontro conclusivo del gruppo è emerso che l’esperienza dei “campi di lavoro” continua, negli anni, a migliorare e a crescere. Crediamo possa essere un tratto distintivo del gruppo, sia perché abbiamo la possibilità di farci conoscere, sia perché permettono al gruppo di mantenere, creare, migliorare la sintonia che ci lega e che risulta fondamentale per continuare sulla nostra strada. Ci siamo ripromessi che per settembre, quando riprenderanno le nostre attività, lavoreremo a rendere questi momenti ancora più carichi di significato ed emozioni.

Per quanto riguarda il nostro giornalino “Compartir”, l’intenzione per il prossimo anno sarebbe quella di dedicare ogni numero ad una tematica particolare e far convergere i vari articoli e le testimonianze a queste tematiche che definiremo nel corso dell’anno.

Altro capitolo quello della spesa del commercio equosolidale che ha funzionato un po’ meno a causa di vari disguidi per i quali vi chiediamo scusa. Stiamo decidendo come muoverci per l’anno prossimo, come organizzare il tutto perché possa risultare più fluido e gestibile. A settembre definiremo bene questa situazione così da informare tutti quanti acquistano i nostri prodotti.

Per quanto riguarda il gruppo “Caracol”, ossia le adozioni a distanza, l’impegno per l’anno prossimo è quello di ricreare una rete in grado di finanziare effettivamente la gestione delle casette, perché ad oggi la situazione è ancora molto limitata e sporadica.

Per quanto concerne le bancarelle alle quali partecipiamo con alcuni prodotti fatti nei laboratori del Patronato, l’idea futura è quella di investire su feste in grado di assimilare e comprendere il nostro progetto rispetto alla Bolivia, così da coinvolgere e mettere a conoscenza sempre più persone e, non ultimo, poter effettivamente ricavare un guadagno per i progetti che seguiamo.

Questa è la visione d’insieme di quest’anno e i propositi per la ripresa di settembre…ed ora godiamoci un momento di vacanza…Buona estate a tutti!

◆ Il gruppo “InBolivia2004”

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E

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i chiamo Don Davide Rota, sono del 1949, nativo di Ulbiale in Val Brembana. Sacerdote dal 1973, la

mia prima destinazione è stata la Parrocchia di Loreto dove sono rimasto fino al 1982 come curato. In quell’anno il Vescovo Giulio Oggioni mi ha inviato in Bolivia nella Par-rocchia di Munaypata a La Paz e lì sono ri-masto fino al 1995.Il mio primo percorso di avvicinamento al Patronato inizia proprio in quel lontano paese dove ho avuto il privilegio di vivere e lavorare fianco a fianco con preti del calibro di don Berto Nicoli, don Antonio Berta, don Pietro Balzi e don Giuseppe Ferrari, dove ho frequentato la Ciudad del Nino a cui mi le-gano alcune tra le esperienze più belle e si-gnificative della mia vita.

Col ritorno a Bergamo nel 1995 e la destina-zione a Mozzo come parroco il feeling verso il Patronato non si è attenuato, anzi è anda-to silenziosamente approfondendosi per quei disegni misteriosi che la Provvidenza

ha su ogni per-sona, fino a due momenti deci-sivi: l’invito agli inizi del 2009 da parte del ve-scovo Roberto Amadei a entra-re a far parte della comunità, e la richiesta agli inizi di que-st’anno da parte d e l v e s c o v o Francesco Be-schi di assume-re l’incarico di Superiore.

Ora che da qualche mese sto vedendo il Pa-tronato dal di dentro, la prima confusa im-pressione è di essere entrato a far parte di una famiglia dove all’inizio uno fa un po’ fa-tica a raccapezzarsi ma dove il radicamento nelle origini rimane solido e profondo; l’im-pegno nel presente è vivace e in apparenza un po’ caotico, la voglia di progettare insie-me il futuro è carica di entusiasmo e di spe-ranza.Il Patronato, guidato dalla Provvidenza di-vina e sostenuto dall’impegno e dalla carità di tante brave persone, sta vivendo una sta-gione nuova, ricca non solo di progetti e promesse ma anche di concrete certezze e di realizzazioni. Anche il vescovo Francesco ci ha rinnovato il suo atteggiamento di fiducia e di stima, chiedendoci di riprogettare il fu-turo aprendo prospettive nuove, sperimen-tando soluzioni diverse, senza uscire dal sol-co del carisma e della missione tracciati dal fondatore Don Bepo.

La nostra grande famiglia sta per affrontare un’altra tappa del suo cammino e per essere all’altezza delle sfide che l’attendono, ha bi-sogno del contributo di tutti, un contributo fatto di preghiera continua, di fedeltà alle origini, di capacità di cogliere il nuovo che avanza senza perdere ciò che vale dell’anti-co, di comunione di intenti e di dialogo tra le differenze. Ma soprattutto di gioia di sen-tirsi protagonisti di un’avventura nata dalla fede, fecondata dalla carità, proiettata nella speranza.

“Il Signore sta tracciando la strada, a noi tocca solo di percorrerla con entusiasmo e fiducia imitando i buoni esempi di chi ci ha preceduto”.

◆ Don Davide Rota

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Testimonianze

Don Davide Rota

M

Don Davide Rota

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i trovo nella città dei bambini, una comunità dove ci sono 120 bambini dagli 0 ai 20 anni che sono orfani o che hanno genitori e

parenti che non si trovano nelle condizioni di garantire loro una crescita psico-fisica ade-guata. Questa comunità si trova a Cocha-bamba, dove mi trovo da ormai da due anni, ma sono solo poco più di sette mesi che lavo-ro qui come educatore. Sono molto felice di essere qui, perché sto realizzando i due grandi sogni della mia vita. Quello di forma-re una famiglia, sposandomi e avendo dei fi-gli, e quello di dedicare il mio tempo ai bam-

bini piccoli e grandi, che hanno bisogno di una figura paterna perché inesistente. Sarebbe bello che non ci fosse la necessità di persone come me, ma purtroppo non si può lasciarli a sé stessi. Le strade del Signore so-no infinite. Credo che questa frase sia vera e io credo in Dio. È ormai da molti anni che ho questi due grandi desideri, sposarmi e fare qualche cosa di buono nella mia vita insieme a quello di partire per la missione, ma solo recentemente all'età di 34 anni vedo realiz-zarsi i miei sogni più importanti. Molti anni ho aspettato, a volte mi chiedevo il perché, e più passa il tempo più mi convinco che il Si-gnore ha voluto farmi fare un percorso per prepararmi, fare in modo che un giorno fossi pronto ad affrontare la vita per cui sono na-to. Tante cose che ho fatto, le esperienze vis-sute, il lavoro, lo studio, il gioco con gli ami-ci. Tante le persone incontrate e i luoghi visi-tati. Tutte queste cose mi hanno fatto cresce-re, mi hanno aiutato a conoscere e a cono-scermi meglio, a conoscere i difetti e i doni che mi ha regalato il Signore per farli frutta-re al massimo. Sono molto felice, credo per-ché ho fede in Dio.Certo le difficoltà non mancano. Con tanti bambini piccoli e grandi che hanno caratteri molto diversi a volte non è facile. Poi ci si mettono gli adulti che più che pensare ai bi-sogni pensano a sé stessi. Certo bisogna pen-sare che non ci sono solo persone che sono qui per aiutare dei bambini, ma alcuni sem-plicemente sono qui per lavorare. Fortuna-tamente sono più le persone che hanno un approccio positivo. Io qui sono straniero, che a volte è un vantaggio a volte uno svantaggio. È importante farsi accettare, bisogna avere molta pazienza, umiltà e coerenza se voglia-mo essere missionari, se vogliamo essere un esempio positivo. In più ci troviamo in un

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Bolivia

La voce dei volontariin Bolivia

Gigi con una delle bimbe della Ciudad

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periodo dove ci sono molti cambiamenti e come tanti sanno molte volte i cambiamenti portano a incertezza. Grazie a Dio io ho fede e questo è molto importante perché ho la certezza fondamentale che c’è Gesù Cristo il risorto che mi salva ogni giorno dai miei peccati e dai peccati del mondo. Sono felice e prego il Signore che mi aiuti a servirlo nel miglior modo possibile.

◆ Gigi

Mi presento per chi ancora non mi conosce, mi chiamo Marco e ho 21 anni. Sono in Boli-via perché è sempre stato un sogno che ave-vo nel cassetto fare un anno di esperienza in una missione e stare a contatto con bambini e ragazzi che non hanno avuto la mia stessa fortuna di avere una mamma e un papà. Ringrazio tutte le persone che hanno fiducia

in me e che mi hanno dato la possibilità di fare questa grande esperienza, per ora anco-ra al principio.

Beh che si può dire in un mese di vita boli-viana???? Aiuto!!! No dai, tutto sommato non è vero. È tutto un altro mondo, un altro stile di vita che a modo suo può essere molto affascinante. Mi serve ancora un po’ di tem-po per ambientarmi e per migliorare il mio castigliano. La vita qui è tanto tranquilla oggi come tanto incasinata domani. I bambini più piccoli non ti lasciano proprio respirare un minuto!! Vogliono sempre giocare, ridere, correre, saltare. Beh altrimenti che bambini sono se non vogliono questo?? È perfetto co-sì. Ma giustamente quando si parla di studio e lavoro sono bravissimi a nascondersi o in-ventare simpatiche giustificazioni per non mettersi al lavoro. Infatti in qualche giorno

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si arriva a sera con la testa che scoppia!! Va beh ma tutto sommato è proprio una grande e bella famiglia, molto unita e sempre dispo-sta ad aiutarsi l'uno con l'altro. Ma come ogni famiglia ha i suoi pregi e i suoi difetti. Sicuramente il pregio più grande di questa famiglia è che qui non manca mai il momen-to per sorridere e penso che la più grande gratitudine che si possa trovare sia la felicità e il sorriso vero di un bambino.

◆ Marco Tognetti

Condivido volentieri la mia esperienza in Bo-livia. Ci sono rimasto un po’ più di sei mesi e sono rientrato in maggio di quest’anno. Ho avuto l’occasione, nonostante abbia vissuto per la maggior parte del tempo nella Ciudad de los ninos, di intessere relazioni con per-sone anche esterne a questa realtà, così da avere una panoramica più generale che non quella limitata nella seppur ricca comunità dei bambini e ragazzi del Patronato S. Vin-cenzo. Ho intessuto buone relazioni con mol-te persone, il che mi spinge a tornare a Co-chabamba quest’estate, anche solo per due settimane, per incontrare tutti quelli che aspettano il mio ritorno o che comunque sa-ranno contenti di vedermi anche solo per qualche giorno. Per quelli che non mi cono-scono, è necessario dire che le intenzioni, una volta partito da Bergamo lo scorso otto-bre, erano di rimanerci molto più a lungo, a “tempo indeterminato” come dicevo a tutti quelli che me lo chiedevano. Per cui il fatto che sia ritornato “così presto” e che sia tor-nato a lavorare nella mia vecchia azienda ha lasciato molti un po’ sconcertati.

A questo riguardo vorrei prima di tutto dire che l’esperienza è stata positiva e che il tor-nare è stata più una necessità che una volon-tà. In ogni caso ho sempre pensato, anche quando mi trovavo là, che si è missionari ovunque e che la terra di missione non è un concetto geografico. Inoltre ho sempre pre-ferito le proposte alle proteste, quindi ri-sparmio ai lettori di questo scritto le noiose lamentele che potrei raccontare approfittan-do di questo spazio e butto lì una possibile

attività che i gruppi che ogni estate vanno alla Ciudad de los ninos potrebbero svolgere.

Ho avuto l’occasione di vivere e lavorare un mesetto alla finca, che è la fattoria della Ciu-dad de los ninos distante circa un’ora dalla comunità. Ho abitato nella casa occupata fi-no a qualche anno fa dal direttore: è una villa stupenda e adatta ad accogliere gruppi.Attualmente è semi-abbandonata, sporca e piena di rifiuti. Uno di questi gruppi potreb-be passare qualche giorno là, visitando la te-nuta, la scuola agricola adiacente (sempre facente parte della Ciudad de los ninos) ed eventualmente Capinota, parrocchia “ber-gamasca” distante qualche chilometro e si-stemando la casa in modo da renderla agibi-le. Ringrazio chi mi ha dato la possibilità di scrivere queste due righe e auguro, a chi ne ha il desiderio, di poter andare anche solo a visitare la Ciudad e a chi ci è stato di tornarci presto.

◆ Paolo Locate!i

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Marco e Moises

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“Ogni uomo che viene sulla terra – dice una leggenda persiana – ha sulla fronte una stella luminosa. Quando riesce a scorgere sulla fronte dell'altro la sua luce raddoppia di intensità. Quando poi la sua stella partecipa della luce che è sulla fronte di tutti gli altri uomini, allora si ha la luce completa sulla terra, ed è luce non umana, ma divina”

La parola che mi interessa sottolineare in questa leggenda persiana è “partecipa”. Una parte-cipazione alla vita dell'altro, con l'altro, che rende la vita di ciascuno più luminosa, più auten-tica, più sacra. È vero, di questi tempi avvertiamo un clima di stanchezza, di fatica e di scora-mento che qualcuno ha riassunto bene nell’espressione efficace “manca il respiro”.Forse è un tempo confuso, di valori spenti, di ruoli ingrigiti, di volontà, desideri, e passioni frenate da un eccesso di conformismo. Allora mi sembra interessante parlare di partecipazio-ne, come di una possibile strada da seguire per il futuro, per uscire e superare questa confu-sione. Ho letto un pensiero di Emil Cioran che dice “rifuggire dalle mie responsabilità, ci ho messo del genio”. Anche noi forse impegniamo molto del genio che abbiamo per rifuggire le nostre responsabilità. Il genio andrebbe piuttosto usato per aumentare il bene del mondo e la giustizia, unica vera via della pace. Taluni dopo Gesù Cristo hanno chiamato questo con il nome di amore.

La libertà è partecipazione

“La libertà non è star sopra un albero,non è neanche avere un’opinione,la libertà non è uno spazio libero,libertà è partecipazione”.(Giorgio Gaber)

Giorgio Gaber in una sua canzone dichiara che la libertà non è stare sopra un albero, non è neanche avere un’opinione, la libertà è partecipazione.Mi piace pensare a questi ultimi nostri giorni, come ad un tempo di una rinnovata partecipa-zione, giorni di una fragile riscoperta dell'importanza di quello che è chiamato bene comune.Il nostro sistema sembrava diventato incapace di risolvere qualsiasi problema, o, come dice qualcuno, sembrava essere un sistema bloccato, tanto che la paura era quella di cadere in un continuo degrado. Il sistema terra sembrava incapace di organizzarsi per risolvere i suoi pro-blemi vitali, tanto che si rischiava di andare incontro ad uno scontro di civiltà, cosa per altro non ancora superata. Diciamo per essere veri che questi scontri a volte sono stati anche cerca-ti e voluti.Attraverso questo rinnovato senso di partecipazione, forse si sta avviando un processo di me-tamorfosi. Il regno animale ci offre un bellissimo esempio di cosa è una metamorfosi. Il baco che diventa crisalide inizia un processo che, da una parte è di distruzione, dall'altra di autoco-

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Dossier

La libertà è partecipazione

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struzione, da cui nascerà il nuovo che è la farfalla: essa è altro dal bruco, ma rimane anche bruco.La nostra società, pur continuando a rimanere nei suoi elementi costitutivi, quelli che sono i suoi fondamenti, attraverso la forma della partecipazione e del rinnovato interesse per il bene comune, sta producendo qualità nuove di vita, di aggregazione, di iniziative che dicono un ini-zio di cambiamento e che possono portare verso una rigenerazione economica, sociale, eccle-siale, educativa e perché no anche etica.Forse queste iniziative non si conoscono tra loro, nessuno per ora le domina, non sempre so-no messe in rete, ma esse sono sicuramente il vivaio del futuro. Continuiamo allora a coltivare questo seme/germe della partecipazione che porterà ad una vera trasformazione. Mi piace pensare che questa parola, partecipazione, oggi possa essere declinata in questo modo:“Non basta più denunciare occorre invece enunciare. Non basta ricordare l'emergenza, oc-corre cominciare a definire le vie che portano alla Via” (E. Morin)

Un esempio: i referendum

Quello che è successo nelle giornate dei recenti referendum è forse uno dei piccoli segnali di questo cambiamento in atto. Non sono tanto importanti i risultati, anche se questi non ci sono indifferenti, quanto il clima di partecipazione e di impegno che si è sviluppato attorno a que-sta iniziativa.“Ritengo che la parte preponderante in questo referendum l'abbia avuta una nuova sensibi-lità, una nuova cultura a partire dagli 80, i cui semi e fermenti si sono realizzati in una mi-riade di esperienze per instaurare rapporti nuovi di giustizia tra i popoli, maggior rispetto del creato e nuovi stili di vita, sempre più diffusi e condivisi”. (don Albino Bizzotto).

Tutto oggi sembra essere determinato dall'economia, tutto sembra assoggettato a questo uni-co criterio. In realtà vi sono esperienze fondamentali nell'uomo che non possono essere in al-cun modo quantificate come valore economico da commerciare. Riscoprire questo valore vuol dire avere la capacità di utilizzare il criterio economico, andando oltre lo stesso criterio. Forse la vicenda dei referendum ci ha insegnato anche questo: non esiste un valore immediatamen-te e solamente commerciabile.

La riuscita della nostra vita dipende dai rapporti singoli o di gruppo che stabiliamo con gli al-tri. A proposito dell'acqua un padre della chiesa così scrive:“L'acqua della pioggia discende dal cielo. Sempre allo stesso modo e forma, ma produce ef-fetti multiformi.. la pioggia infatti non discende diversa, non cambia se stessa, ma si adatta alle esigenze degli esseri che la ricevono e diventa per ognuno di essi quel dono provviden-ziale di cui abbisognano...”. Ecco perché l'acqua non è un valore puramente commerciabile, ecco perché salutiamo con piacere l'impegno di tanti che hanno voluto difendere e promuove-re questo valore. Collegare l'acqua, il sole, l'energia alla vita significa metterci in sintonia con le vicende più profonde delle nostre comunità, significa tenere unito il tempo, lo spazio, la ter-ra, nella promozione della vita perché essa possa continuare in tutte le sue forme.Una persona ha detto: siamo qui per salvare l'acqua per tutti. Forse si può dire in altro modo: siamo qui per pregare perché l'acqua salvi tutti noi: l'acqua senza di noi può continuare ad esistere ma noi senza l'acqua no. San Francesco canterebbe così dell'acqua che ci salva:“Laudato si', mi' Signore, per sor Aqua,la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta”.

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Conclusione

La conclusione è semplicemente un invito a scoprire, camminare e vivere fino in fondo l'intui-zione che il partecipare può aiutarci a salvare il mondo. Questa intuizione deve essere accom-pagnata da un forte impegno etico che Bonhoeffer descrive in questo modo durante il tempo di crisi del nazismo e della seconda guerra mondiale:“La perdita della memoria morale non è forse il motivo dello sfaldarsi di tutti i vincoli, del-l’amore, del matrimonio, dell’amicizia, della fedeltà? Niente resta, niente si radica. Tutto è a breve termine, tutto ha breve respiro. Ma beni come la giustizia, la verità, la bellezza e in generale tutte le grandi realizzazioni richiedono tempo, stabilità, ‘memoria’, altrimenti de-generano. Chi non è disposto a portare la responsabilità di un passato e a dare forma a un futuro, costui è uno ‘smemorato’, e io non so come si possa colpire, affrontare, far riflettere una persona simile”.Queste parole scritte circa 70 anni fa ci fanno riflettere sul problema della perseveranza nei confronti di un impegno di responsabilità che ancora oggi è chiesto a tutti gli uomini.Che cosa è la giustizia senza uomini e donne giusti che la praticano?Che cosa è il bene comune senza uomini e donne che si impegnano per esso?

I grandi valori prendono forma solo quando trovano uomini e donne che vogliono nel quoti-diano e nella concretezza della vita dare forma e azione proprio a tali valori. La speranza è che davvero questo nuovo fermento di partecipazione possa trovare infinite forme di gesti, prati-che e azioni quotidiane che possano dare forma ad un nuovo mondo, nato dal basso, nato dal-la volontà della gente semplice. E visto che parliamo di concretezza, la prima azione concreta è quella di non rimettere nell'armadio delle cose vecchie il fermento di questi giorni, ma di continuare su questa strada.

◆ Don Sandro Sesana

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“Chi vuole privatizzare l’acqua deve dimostrare di essere anche il padrone delle nuvole, della pioggia, dei ghiacciai, degli arcobaleni”.(Erri De Luca)

I risultati del referendum del 12 e 13 giugno hanno ampiamente dimostrato che la volon-tà dei cittadini è quella di impedire la priva-tizzazione dell’acqua, bene necessario per l’esistenza di ogni individuo. La privatizza-zione pone il rischio, infatti, che a pagarne le conseguenze siano le fasce più deboli della società e le comunità più piccole, per le quali la qualità del servizio rischia di essere su-bordinato ad interessi meramente economi-ci. La necessità di creare un sistema virtuoso di gestione della risorsa idrica si avverte da lungo tempo e i cittadini italiani hanno espresso la propria volontà sovrana.

Il fatto che l’acqua, bene primario e indi-spensabile alla vita, sia stata equiparata a una merce e pertanto assoggettata alle leggi del capitalismo e alla logica del consumo è ormai storia vecchia. È invece storia recente quella dei Movimenti per l’acqua pubblica nati capillarmente in tutto il territorio na-zionale e (in molti casi con largo anticipo) anche all’estero per rivendicare il diritto al-l’acqua come bene comune sul quale non si possono produrre profitti. Il continuo au-mento delle tariffe e l’incapacità di mantene-re le promesse su una migliore gestione del approvvigionamento idrico ha fatto sì che negli ultimi anni crescesse l’opposizione alle multinazionali dell’acqua e quindi alla ge-stione privata di questa risorsa che si era ampiamente diffusa su scala internazionale nello scorso decennio.

Assistiamo oggi ad un’inversione di ten-denza: sempre più numerose sono le comu-nità che lottano per un ritorno alla gestione pubblica dell’acqua, in America Latina, negli Stati Uniti, in Africa ed in Europa. Ci sono esempi, in varie parti del mondo, di come in-tere comunità, partendo da presupposti di-versi, abbiano adottato campagne nonviolen-te e ottenuto una ripubblicizzazione dell’ac-qua. A Parigi la distribuzione idrica, privata, è stata totalmente ripubblicizzata dall’1 gen-naio 2010. Il progetto della municipalità pa-rigina si iscrive nel più ampio movimento di ripubblicizzazione dell’acqua in Francia: so-no già più di quaranta le città e comunità ur-bane che hanno scelto di fare il salto. Oltre alla capitale, anche grandi città come Tolosa, Lione, Bordeaux o Lille hanno avviato un processo di ripubblicizzazione dell’acqua. E dopo Parigi, anche Berlino ha fatto ritorno all’acqua pubblica.Il portavoce del comitato berlinese, Thomas Rodek, ha dichiarato molto semplicemente: “Un bene essenziale come l’acqua non può essere fonte di profitto, vogliamo che torni in

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Attualità

L’acqua è un bene comune

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mano pubblica”. I dati dei promotori sono inequivocabili: dal 2001 le tariffe dell’acqua sono salite del 35%. Ai partner privati veni-vano garantiti utili assai lucrativi. Dorothea Härlin ha ricordato che non soltanto i berli-nesi ma anche i cittadini di tutto il mondo si battono per l’acqua. Una tendenza che si os-serva a livello globale, tanto che il Corporate Europe Observatory e il Transnational Istitu-te, da tempo impegnati nelle lotte per i beni comuni, hanno lanciato un sito che segue passo per passo la riconquista dell’acqua: www.remunicipalisation.org. Al suo interno una cartografia mondiale dettagliata delle collettività che sono riuscite a bloccare la mercificazione dell’acqua.

L’ondata di ripubblicizzazione è dovuta alla consapevolezza sempre più diffusa che la privatizzazione dei servizi non è conveniente né per la rete idrica né per gli utenti. E ciò nonostante il Fondo Monetario Internazio-nale, la Banca Mondiale e l’Unione Europea continuino a presentare la privatizzazione dell’acqua come una soluzione vincente.

In Svezia si è recentemente costituito un movimento europeo per l’acqua che va ad affiancarsi alla forte rete dell’acqua del-l’America Latina e a quella nata in Africa al Forum Mondiale di Nairobi, una rete del “vecchio continente” che si è data un Mani-festo fondativo di dieci punti che riassumono le basi comuni del lavoro e gli obiettivi da

raggiungere: “A partire dall’assunzione della dichiarazione congiunta dei movimenti per l’acqua (Carta di Città del Messico e le con-clusioni del Forum di Nairobi) i movimenti europei chiedono il riconoscimento dell’ac-cesso all’acqua potabile come diritto umano indivisibile, l’esclusione dell’acqua da ogni accordo di tipo commerciale e quindi la sua completa sottrazione alle logiche di mercato. L’Unione Europea dovrà considerare l’acqua un bene privo di rilevanza economica, da ge-stire in maniera pubblica e partecipata.L’assicurazione del diritto all’acqua ad ogni abitante del pianeta passerà attraverso un’assunzione collettiva di responsabilità, attraverso il partenariato pubblico-pubblico e la cooperazione solidale, non attraverso le forme di privatizzazione”. (Tratto dalla rivi-sta “Azione nonviolenta”, numero 568).

L’acqua è l’ingrediente principaledell’essere umano, indispensabile alla vita, immagine della nonviolenza nella goccia che lentamente e dolcementescava la roccia, fonte immancabile di ispirazione per musica e poesia.

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Il film racconta di un’esperienza di coopera-tiva sociale che si svolge subito dopo la chiu-sura dei manicomi in seguito alla legge Ba-saglia. Protagonista di questa terapia basata sul lavoro che deve confrontarsi anche con il mercato, è un composito gruppo di ex-malati di mente che, affidati alla tutela di un medi-co molto tradizionale, hanno lasciato il ma-nicomio ma trascinano le loro esistenze im-bottiti di farmaci. Da loro arriva un ex-sin-dacalista un po’ sognatore che decide di ten-tare di renderli corresponsabili e soci di un’attività vera.

Il film cerca di raccontare il microcosmo del-la malattia mentale in una veste leggera, che permetta di capire quante e quali siano le possibilità per tanti ex-pazienti di istituti psichiatrici di trovare un posto all’interno del mondo del lavoro e uno scopo che aiuti a vivere la vita in maniera proficua e soddisfa-cente.

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Una scena tratta dal film

Si può fare,di Giulio Manfredonia

Cultura

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l territorio dell’ambito di Bergamo nel corso degli anni e in particolare dell’ul-timo decennio, si è dotato di servizi che

rispondono alle situazioni di emergenza abi-tativa. Si tratta di servizi di ricovero nottur-no (dormitori) e residenziali (comunità) che rispondono a bisogni della fascia di popola-zione che possiamo definire appartenente alla grave marginalità. Tali servizi attraverso un processo coordinato svolgono una fun-zione di tipo abitativo affiancata ad interven-ti di accompagnamento.Le strutture attualmente presenti sul nostro territorio, escludendo alcune situazioni lega-te più alla popolazione immigrata clandesti-na, rispondono in modo esaustivo ai bisogni primari e di accompagnamento di questa fa-scia di popolazione.

Rimangono invece scoperti alcuni ambiti verso i quali intende orientarsi il progetto.

1. Una parte della popolazione si rivolge ai servizi per la grave marginalità, utilizzandoli in modo improprio. Infatti, pur necessitando di una soluzione di emergenza abitativa, non appartengono alla fascia di popolazione in condizioni di emarginazione grave e si tro-

vano quindi ad utilizzare un servizio che of-fre risposte non pertinenti alla loro situazio-ne. Inoltre la valutazione degli operatori va nella direzione di giudicare dannose le rispo-ste dei servizi dedicati alla grave marginalità per questa tipologia di utenza, in quanto tende ad aggravare la situazione di disagio. La condizione di queste persone si caratte-rizza per un bisogno abitativo manifestato a seguito di un evento di crisi relazionale, eco-nomica o familiare. Il soggetto non appare destrutturato e mantiene buone risorse indi-viduali, anche se la capacità di utilizzarle ri-sulta parzialmente compromessa dall’evento. Di conseguenza si ipotizza che una risposta abitativa agevolata, affiancata ad un accom-pagnamento con funzione di supporto e orientamento, permetta al soggetto una con-dizione di pausa per riprogettare in tempi brevi la sua situazione.

2. Il secondo ambito di intervento del pro-getto ha un dimensione meno conosciuta, che assume una caratteristica di sperimenta-zione. Si vuole intervenire nell’ambito della normalità supportando quelle situazioni che non hanno la caratteristica della gravità ma

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Volontariato

Dire, fare, abitare

I

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che evidenziano situazioni di difficoltà abbi-nate a forme di emergenza abitativa. Le si-tuazioni che meglio evidenziano l’ambito di intervento sono condizioni di sfratto, di se-parazione con necessità di abbandono della casa, di crisi economica temporanea.

Il progetto

Il progetto nasce dalla proposta “Emergenza dimora” della Fondazione Cariplo che a par-tire dal 2007 ha visto coinvolte diverse realtà del territorio della bergamasca: il Nuovo Al-bergo popolare, la Cooperativa sociale Il Pu-gno Aperto, l’Azione Cattolica, la parrocchia di Longuelo in Bergamo, il Comune di Ber-gamo, l’Ambito Territoriale, l’associazione Casa Amica, la Caritas diocesana.

Si pone l’obiettivo di offrire una risposta abi-tativa per soggetti che a seguito di un evento di crisi (relazionale, economica, familiare, ecc.), rischiano di intraprendere un lento cammino che potrebbe portarli verso situa-zioni di esclusione sociale o di emarginazio-ne; intende inoltre stimolare un approccio culturale solidale al tema dell’abitare.

Struttura organizzativa

Il servizio è composto da 2 appartamenti, si-tuati rispettivamente a Longuelo e in Città Al-ta. Si caratterizzano come servizi residen-ziali con una capacità ricettiva per ogni sin-golo appartamento di 7-8 posti. Sono attrez-zati dei normali servizi che permettono una condizione di residen-zialità (camere, cucina, docce, servizi igienici, lavanderia).

Gli appartamenti sono caratterizzati da una conduzione-organizza-zione familiare con una

presenza mista di volontari e ospiti. Si ipo-tizza che l’offerta di un alloggio in condivi-sione con altre persone possa offrire, a colo-ro che saranno ospitati, una condizione di tranquillità per riprogettare la loro situazio-ne personale. Parallelamente il progetto vuo-le promuovere una cultura differente dell’ac-cogliere e dell’abitare. Attraverso la presenza stabile di volontari e con il coinvolgimento del territorio particolare cura verrà posta a:- promuovere una convivenza partecipata- creare un clima “caldo” che stimoli un agile

recupero di risorse per favorire un reinse-rimento nella rete sociale

- offrire occasioni di socialità e agganci verso il territorio.

I volontari

Il gruppo dei volontari è parte fondamentale del progetto:- sperimenta esperienze di convivenza conti-

nuativa negli appartamenti- favorisce iniziative estemporanee e stabili

di animazione e di aggancio con il territorioTrovano un supporto organizzativo con l’operatore referente dei volontari e suppor-tano tramite l’osservazione l’andamento del progetto individuale con l’operatore che ha il ruolo di filtro.

14 Compartir · Luglio 2011

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Gli ospiti

Gli ospiti dei servizi potranno essere uomini e donne, italiani e stranieri, provenienti dal territorio della Provincia di Bergamo che stanno attraversando un periodo di difficoltà abitativa e usufruiscono dell’alloggio al fine di prevenire l’aggravamento di forme d’iso-lamento e/o di condizione di senza dimora, di agevolare un agile recupero di risorse ed un reinserimento nella rete sociale. In parti-colare si tratta di:

1. Persone di sesso maschile e femminile che, in condizione di bisogno abitativo, si rivol-gono al Nuovo Albergo Popolare o alla Cari-tas di Bergamo, senza tuttavia possedere le caratteristiche del senza fissa dimora in gra-ve marginalità sociale. Per queste persone, che solitamente mantengono intatte alcune importanti risorse personali e di rete, l’inse-rimento nelle Comunità Terapeutiche del NAP rappresenterebbe una risposta inade-guata e sproporzionata al problema.

2. Persone straniere regolari o richiedenti asilo o rifugiate o con protezione umanitaria. Si tratta di uomini e donne soli, con diverse nazionalità, che ad oggi si rivolgono in prima istanza al servizio Migrazioni del Comune di Bergamo e alla Cooperativa Migrantes per attività di accoglienza, integrazione e tutela.

3. Uomini o donne provenienti dal circuito informale del “passaparola” che, a differenza delle precedenti, non sono agganciate o non vogliono essere agganciate ad alcun servizio sociale territoriale e rappresentano una for-ma di disagio sommerso. Ne è esempio espli-cativo la persona che sta attraversando un percorso di separazione dal coniuge e che viene trovarsi, momentaneamente, senza una casa ed in condizione di vulnerabilità psicologica.

I pensieri dei volontari

Di seguito ecco alcuni dei pensieri dei volon-tari che hanno vissuto questa esperienza nei

due anni di apertura effettiva degli apparta-menti:

“Inaugurazione della casa: fatto! Festa per l'inizio del progetto: fatto! Conferenza stam-pa: fatto! Formazione dei volontari e presen-tazione alla comunità: fatto, fatto! Possiamo dire che adesso si inizia. Questa volta vera-mente però! Ora arriva il bello. Ora arriva il momento di immergersi completamente nel-la vita della casa e darsi da fare per prepara-re l'arrivo dei primi ospiti.

Per questo motivo vorrei invitarvi ad espri-mere un vostro parere sul tema della casa, uno dei punti focali del progetto, insieme al territorio.

La questione è la seguente: cosa intendiamo con la parola "casa"? Quali sono i significati che abitano questo luogo così importante per la vita? Come deve essere una casa per esse-re chiamata tale? Quali caratteristiche fon-damentali deve avere? Quali sono i desideri, le idee, le tentazioni che circolano attorno a questo luogo?”.

◆ Nicola

“Le nostre case ora sono veramente abitate: a Longuelo tra poche ore arriverà anche il sesto coinquilino!

Eravamo inizialmente preoccupati che que-sto progetto potesse non trovare immediata risposta ma fortunatamente non è stato così. Certo la convivenza non è sempre facile, tan-te teste tante idee... ma sicuramente c'è da parte nostra la ricerca di un equilibrio, pro-prio come si farebbe in una grande famiglia.

Compartir · Luglio 2011 15

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Dopo mesi dedicati un po’ alla nostra gestio-ne interna, siamo pronti a pianificare una modalità di collaborazione con il territorio; siamo convinti che questo sia per noi una grande risorsa ma devo ammettere che pro-gettare nel concreto della vita quotidiana non è facilissimo.

Se qualcuno avesse già vissuto situazioni si-mili e volesse darci qualche suggerimento, lo accetteremmo volentieri!”.

“C'è chi va e c'è chi viene. Ogni volta la par-tenza di un amico lascia un po’ di amaro in bocca perché sei certo che sentirai la sua mancanza. Ma guardando più in là scorgi il suo volto, teso per l'incertezza del cosa suc-cederà, ma nello stesso tempo contento di essere riuscito a costruire qualcosa con la propria forza e la propria caparbietà.

E allora ciao "indimenticabile", buon viaggio, in bocca al lupo per la tua nuova splendida casa e ricorda che Casa Giacomo è sempre disponibile ogni qualvolta ne sentirai il biso-gno...

Anche lui ha preso il volo, il volo dell'auto-nomia. Ed è l'augurio più grande che pos-siamo fare a tutte le persone che passeranno accanto a noi”.

◆ Laura

Per chiunque volesse saperne di più, puòvisitare il blog: www.direfareabitare.it

16 Compartir · Luglio 2011

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In questi anni più volte ci siamo soffermati a riflettere sul tema dei laici e del volontariato e del loro ruolo dentro questa grande e ori-ginale esperienza del Patronato. Don Bepo Vavassori affermava che i laici devono avere un incarico e un impegno compatibile con il loro stato di vita.Per quanto mi riguarda in questi anni ho cercato di apprendere quella lezione di vita dai preti del Patronato che dice di imparare a curare con passione il piccolo e il semplice.Credo che l'esperienza del gruppo inBolivia2004 possa essere posta come un piccolo segno di tutto quanto stiamo dicendo su laici e volontariato.Senza nessuna strutturazione, ma con una organizzazione attenta, questi giovani hanno provato a fare una cosa molto semplice: affa-scinati dal viaggio estivo in Bolivia e dalla realtà della Ciudad de los ninos hanno pro-vato a restituire in termini di impegno e di riconoscenza quanto hanno vissuto in quei giorni di permanenza in Bolivia.Mi sembra opportuno sottolineare alcuni aspetti di questo impegno:

La fedeltà

Qualcuno tutte le settimane è venuto al Pa-tronato per portare avanti un lavoro, un im-pegno, un progetto. Qualcun altro ha provato a coordinare il gruppo e per finire altri anco-ra hanno sostenuto il gruppo con un impe-

gno di vicinanza, di amicizia e di collabora-zione dall'esterno. Si, la fedeltà all'impegno è stata ottima.

La semplicità e l'ordinarietà

Si è scelto di lavorare facendo il “possibile”, senza propaganda, ma con il semplice passa parola. Il piccolo e il semplice, il possibile gestito con cura e passione hanno dato come risultato cose che al gruppo sono sembrate grandi.

La gratuità

Tutto qui è gratuito: l'impegno, i progetti, il tempo e le energie di ciascuno. Magari qual-cuno può guardare con ammirazione a questi giovani che gratuitamente hanno speso il lo-ro tempo per la Bolivia ed in particolare per la Ciudad.Certo è mancata tutta la professionalità. Ma qui entriamo in un altro tipo di esperienza. Queste pagine vanno guardate con simpatia, lette con benevolenza, qui dentro è raccolto come in un racconto il lavoro di un anno, qui è raccolta la passione di alcuni giovani per la Bolivia. Per tutto il gruppo è importante sen-tire che questo tipo di impegno può essere in qualche modo valorizzato e preso in conside-razione come qualcosa di significativo.

◆ Don Sandro Sesana

Compartir · Luglio 2011 17

Dalla relazione conclusiva del gruppo inBolivia2004

Contatt iDon Alessandro Sesana

[email protected]

340.8926053

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